Editoriale - Alef

Vai ai contenuti

Editoriale

  •  

    Serve un’assemblea costituente

     

    Lo scontro avvenuto nei giorni scorsi tra Luca Zaia e l’On De Luca jr sul progetto di autonomia differenziata ripropone anche a noi DC e Popolari un tema che, specie nel Veneto, ha rappresentato per molti anni un fattore di seria riflessione, sfociato nella proposta che, come Popolari del Veneto, formulammo nel 2015, della macroregione del Nord -Est. Alla fine del 2015, infatti, con molti autorevoli amici veneti, avevamo condiviso l’idea della macroregione del Nord-Est, convinti come eravamo e siamo che esista, ed è costituzionalmente previsto, un meccanismo, mai esplorato, per arrivare alla macroregione “speciale” triveneta, con Trentino e Friuli-Venezia Giulia, omogenee per cultura, storia, caratteristiche economiche e tessuto sociale, a costo “zero” per lo Stato. Attraverso, cioè, l’applicazione dell’art. 132, comma 1, della Costituzione, ossia promuovendo la richiesta di fusione delle tre regioni venete da parte di tanti consigli comunali quanti rappresentino 1/3 della popolazione complessiva (circa metà del Veneto). In tal caso si determinerebbe la convocazione di un referendum, che, se avesse esito positivo obbligherebbe le camere a discutere una legge costituzionale di accorpamento del Triveneto. Fondere due regioni speciali e una ordinaria avrebbe comportato necessariamente la creazione di una macroregione speciale, in cui vi sarebbe stata una diversa modulazione, anche mantenendole invariate, delle attuali risorse dello Stato per il medesimo territorio, altresì potendo l’intero triveneto beneficiare della autonomia fiscale ora riconosciuta solo a TTAA e FVA. Inoltre, sul piano strategico una macroregione del nordest, cuore e crocevia degli assi nord/sud ed est/ovest dell’Europa, appariva a tutti noi uno straordinario strumento di attrazione di investimenti, nonché di interlocuzione autorevole con le istituzioni italiane ed europee a immediato beneficio della crescita dell’intero territorio.

    La proposta avrebbe potuto nascere da alcuni Sindaci di importanti città venete, sotto l’egida di autorevoli riferimenti veneti nel mondo del diritto, delle professioni, dell’economia, della cultura, dell’editoria. Quella nostra indicazione, ahimè, non fu raccolta dalle forze politiche presenti nel Consiglio regionale del Veneto e cadde tra i “wishful thinkings” (pensieri vaghi) impotenti e insoddisfatti. Peccato, perché sarebbero bastati i pronunciamenti dei consigli comunali dei sette comuni capoluoghi del Veneto per far scattare quel referendum. La Lega e il Presidente Zaia, con la maggioranza del consiglio regionale veneto, decisero diversamente, proponendo la strada di un referendum consultivo per la cui indizione si è ebbe via libera dalla Corte costituzionale. Comprensibili le opposizioni di chi considerava quella consultazione senza effetti concreti sul piano istituzionale; tuttavia, dopo che altre due richieste avanzate negli ultimi vent’anni erano state ignorate, noi Popolari veneti ritenevamo che non ci si dovesse  far sfuggire l’occasione per gridare alto e forte la nostra volontà di acquisire una più ampia autonomia del tutto simile a quelle di cui godono i nostri fratelli del triveneto: friulani, trentini  e alto-atesini Alla fine, perciò, anche noi popolari veneti partecipammo convintamente al voto referendario del 22 Ottobre 2017 a sostegno di quell’autonomia regionale che è  parte essenziale della nostra migliore tradizione e cultura politica.

    Una forte partecipazione fu ottenuta in quel voto, così come fu plebiscitario il sostegno a una maggiore autonomia della nostra Regione, costituendo, come di fatto è avvenuto, la precondizione politica per aprire un confronto con il governo centrale non più rinviabile. Ritenevamo, ora come allora, che 50 miliardi di fondi versati da Lombardia e Veneto al governo centrale, sottratti dall’imposizione fiscale dei lombardo-veneti siano una cifra enorme non più sostenibile. Non intendevamo e non intendiamo sottrarci ai doveri della solidarietà a favore delle regioni italiane meno fortunate, ma riteniamo che non possano più essere accettati gli sprechi e il malgoverno di realtà istituzionali come quelle che reggono la sanità campana e di altre realtà meridionali o lo sfregio a ogni logica elementare di buona amministrazione cui è stata condotta la Regione Sicilia.

    Da molto tempo sosteniamo, con l’insegnamento del compianto prof. Miglio, l’idea di un’Italia federale organizzata sulla base di cinque o sei macroregioni, ma, ahimè, sin qui le nostre sono state inutili “grida nel deserto”, in un Paese centralista che non si rende conto, così com’è attualmente organizzato, di essere destinato al fallimento.

    Il tema è ancor più attuale oggi con la volontà espressa dal governo Meloni di procedere verso un premierato che si potrebbe accettare solo se bilanciato da una struttura istituzionale di tipo federale sul modello tedesco, ossia, con la presenza di un sistema organizzato su cinque o sei macroregioni in grado di superare l’attuale frammentazione non più compatibile con la realtà italiana nel contesto europeo e internazionale. Saremmo di fronte a una profonda modifica dell’assetto costituzionale perseguibile non con il ricorso a referendum a cascata sulle principali modifiche istituzionali, ma solo con l’indizione di una nuova assemblea costituente con noi DC e Popolari disponibili a sostenere un cancellierato sul modello tedesco, espresso da una legge elettorale di tipo proporzionale con sbarramento e sfiducia costruttiva e con un bilanciamento istituzionale garantito tra cancellierato e macroregioni. Auguriamoci che i due progetti di riforma presenti in parlamento per il premierato e l’autonomia differenziata, non siano solo motivo di scambio politico tra Fratelli d’Italia e Lega, di un governo espressione di un parlamento eletto da una minoranza del corpo elettorale, ma l’occasione per un dibattito serio istituzionalmente risolvibile solo attraverso un’assemblea costituente non più rinviabile.

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 8 Aprile 2024

     

     

     

    Se non ora dopo il voto ritessiamo la tela

     

    Giorgio Merlo con i suoi due ultimi articoli pubblicati su “Il domani d’Italia” evidenzia alcuni fatti indiscutibili: alle europee il centro della politica italiana sarà rappresentato da tre formazioni principali: Forza Italia, guidata da Taiani inserita stabilmente nel PPE, il raggruppamento Bonino-Renzi-Cuffaro (?!) collegato al partito Renew di Macron e Azione di Calenda, espressione autonoma di una linea liberale neo-azionista anti DC, anch’essa collegata al partito macroniano.

    All’alleanza guidata dalla Bonino si attribuisce una funzione meramente tecnico tattica, funzionale al superamento della soglia del 4% previsto dalla legge elettorale, con libertà dei singoli contraenti di ritrovarsi sulle posizioni politiche proprie dopo il voto.

    Trattasi di una situazione paradossale in grado di favorire quel trasformismo che è la condizione permanente scaturita nella politica italiana dopo la fine dei partiti della cosiddetta prima repubblica. Con l’amico Merlo e con molti amici di Tempi Nuovi condividiamo l’idea che al nostro Paese serva la nascita di un centro politico nuovo, ampio e plurale, nel quale possano trovare cittadinanza le culture politiche di ispirazione popolare, liberale, repubblicana e socialista, accomunate dalla volontà di difendere e attuare integralmente la Costituzione e di perseguire in politica estera la tradizionale politica italiana euro atlantica che il Paese ha scelto, sotto la guida della Democrazia Cristiana. Avremmo dovuto avere più coraggio e impegnarci alla raccolta delle firme per una lista unitaria di ispirazione DC e popolare, alternativa alla destra nazionalista e sovranista e distinta e distante da una sinistra sempre più lontana dalla sua cultura originaria. Non l’abbiamo fatto e, quindi, alle europee, privi di una lista di riferimento, ci limiteremo ad appoggiare quel candidato o candidata a noi più vicina/o presente in alcune delle tre liste del centro in costruzione.

    Da tempo sostengo che per noi DC e Popolari la scelta più coerente dovrebbe essere quella di ritrovarci uniti a sostegno del PPE, partito di cui la DC è stata cofondatrice erede dei grandi padri DC dell’Europa: De Gasperi, Adenauer, Monnet e Schuman.

    Taiani, alla guida del partito italiano inserito a pieno titolo nel PPE, grazie alla scelta che Berlusconi fece a suo tempo su sollecitazione di Sandro Fontana e don Gianni Baget Bozzo, avrebbe dovuto guardare più in là della sua immediata convenienza e rispondere positivamente all’offerta di collaborazione fatta dalla DC di Cuffaro e Grassi. Ha preferito non rispondere, convinto della buona sorte che Forza Italia sta sperimentando, anche per le confuse politiche del suo partner di governo e competitore elettorale, Matteo Salvini.

    A Forza Italia basterà aprire le liste nei diversi collegi a qualche candidato DC e popolare, per assicurarsi il voto di molti elettori della nostra area politica. Ritengo che sarà molto più difficile che elettori cattolici italiani possano sostenere una lista guidata dalla radicale Bonino, le cui idee valoriali sono alternative e incompatibili con le nostre ispirate dai principi della dottrina sociale cristiana. Ci auguriamo che, alla fine, dal centro oggi tripolare, qualche deputato della nostra area venga eletto al Parlamento europeo, e che, soprattutto, ciò che non siamo riusciti a compiere prima del voto di giugno, si possa, anzi si debba riprendere subito dopo.

    Dovremo ritessere con pazienza la tela della nostra ricomposizione politica insieme alla costruzione del centro nuovo della politica italiana, essenziale al superamento di un bipolarismo forzato che, solo una legge elettorale iniqua e da cambiare, ha potuto sin qui facilitare.

     

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 1° aprile 2024

     

     

    Come avviare il nuovo progetto

     

    E’ condivisa l’idea che da soli e divisi non si va da nessuna parte, nel migliore dei casi, come è accaduto in questi anni, ci si riduce al ruolo di subalterni ininfluenti a destra o a sinistra. Il ruolo di esponenti dell’area ex DC o popolari svolto in partiti di destra o di sinistra, come ben ci ammoniva Donat Cattin riferendosi ai cosiddetti “ indipendenti di sinistra” (ma vale anche per quelli di destra), alla fine, è quella di coloro che si ridurranno a sperimentare come sia sempre “ il cane che muove la coda”. Il tema della ripresa di un ruolo politico dei cattolici in Italia, già sottolineato dall’insegnamento degli ultimi papi, è stato recentemente evidenziato dai vescovi lombardi e non dovrebbe risultare estraneo nemmeno alle più alte gerarchie della Chiesa italiana. Il tema di un rinnovato soggetto politico che intenda assumere, nella totale autonomia e responsabilità laicale, l’ispirazione dall’umanesimo cristiano e dai principi della dottrina sociale cristiana è, infatti, cruciale se si vuole concorrere alla nascita di un centro nuovo della politica italiana, alternativo alla destra nazionalista e sovranista e alla sinistra alla ricerca affannosa della propria identità, attualmente condizionata da orientamenti di stampo radicale lontani dalla sua storica tradizione. Un centro ampio e plurale in cui possano ritrovarsi le migliori tradizioni repubblicane, unite dalla volontà di difendere e attuare integralmente la Costituzione. Ciò, per quanto ci riguarda, presuppone la ricomposizione della nostra area politica, sociale e culturale, vittima della suicida diaspora post-democristiana, per troppo tempo alla mercè di divisioni dettate da egoistiche logiche personalistiche, tuttora in atto. Le elezioni europee, regolate da una legge di tipo proporzionale, avrebbero dovuto essere l’occasione speciale per superare le vecchie casematte e per dar vita a una lista unitaria dei DC e Popolari. In realtà non abbiamo avuto la determinazione di impegnarci nella raccolta delle firme e, adesso, per quella strada non ci sarebbe più tempo. Divisi sulle prospettive di appartenenza alle diverse famiglie politiche europee, come conseguenza più delle scelte compiute e che si intendono consolidare in campo nazionale, tutte foriere di ruoli subalterni come su indicato, ciascuna di queste diverse realtà si sono orientate verso liste di amici di destra o di sinistra.

    Conseguenza di tutto questo, il rischio di incrementare le fratture e le difficoltà di ricomposizione. Avendo come obiettivo strategico la nascita del nuovo centro della politica italiana, noi DC e Popolari, impossibilitati a costruire una lista da soli, dovremmo cercare di concorrere alla costruzione di una lista compatibile con i nostri valori e tale da porsi come strumento di ulteriore aggregazione al centro successivamente. Non mancano tentativi in questa direzione, che stanno cercando di organizzare una lista di area centrale di DC e Popolari con Matteo Renzi e il partito di Italia Viva, non solo per eleggere qualche deputato al parlamento europeo, ma, soprattutto, per avviare il progetto del nuovo centro politico che sarebbe quanto mai prezioso per l’Italia.

    Un’iniziativa che dovrebbe essere favorita dalla più ampia realtà del mondo cattolico italiano, se non vogliamo disperdere quanto di positivo la cultura politica dei cattolici democratici, liberali e cristiano sociali hanno saputo esprimere nella lunga storia dell’unità nazionale, drammaticamente interrotta con l’uccisione di Aldo Moro, la fine della prima repubblica e la successiva diaspora democratico cristiana. Spero che possa prevalere il buon senso e la disponibilità di quanti, al di là degli interessi personali dei singoli, sapranno operare per favorire la riuscita di questo progetto.

    Condizioni geopolitiche internazionali e le difficoltà istituzionali interne rappresentate dall’ormai permanente astensione elettorale e conseguente rottura dell’equilibro tra gli interessi e i valori dei ceti medi produttivi e delle classi popolari, con un perdurante patologico bipolarismo forzato da una legge elettorale da cambiare, reclamano la nascita di un centro politico nuovo che, con molti amici DC e Popolari andiamo invocando da tempo. Un progetto che non può più essere rinviato.

     

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 27 Marzo 2024

     

    Unità di tutti coloro che si riconoscono nel PPE

     

    L’agognato federatore del centro nuovo della politica italiana, Mario Draghi, è renitente all’appello e dall’intervista della sua signora a “ il Foglio”, sembra dire NO anche alla chiamata in Europa, preferendosi ritirare nel privato.

    Sperare nella capacità di manovra di Matteo Renzi, in rotta col dioscuro liberal-radicale Calenda, si rischia di subire le ondivaghe giravolte del pur abile toscano, già leader del PD, ora sostenitore del candidato della destra in Basilicata e da molti considerato assai inaffidabile.

    Alla vigilia delle elezioni europee solo da Iniziativa Popolare ( Tassone, Gemelli, Orioli, Ruga)  e dalla DC guidata da Cuffaro, è emersa una netta scelta a sostegno del PPE. Iniziativa Popolare da tempo ha evidenziato come il tema della ricomposizione politica dell’area cattolica, nelle sue tre principali espressioni: democratica, liberale e cristiano sociale, lungi dall’essere favorita dalle elezioni europee, nelle quali pur vige la legge elettorale proporzionale, si dovrà sviluppare con l’obiettivo di giungere a una lista unitaria possibile alle prossime elezioni politiche nazionali.

    Per le europee, dunque, il tema è come orientarsi, tenendo presenti le condizioni del confronto scontro tra culture dichiaratamente europeiste e culture nazionalistico sovraniste che saranno le protagoniste del duro scontro nel voto di giugno.

    Considerati i programmi dei diversi partiti presenti in Europa e la delicatissima situazione geopolitica europea e mondiale, per noi “DC non pentiti” e Popolari che si rifanno al pensiero sturziano e moroteo, non c’è dubbio che, pur con tutti i limiti e le insufficienze, il partito più vicino ai nostri interessi e ai nostri valori sia il PPE.

    Ecco perché abbiamo chiesto a Forza Italia, ossia il partito più importante italiano presente nel PPE, di farsi promotore di un’ampia alleanza con quanti del mondo cattolico si riconoscono sulle posizioni del PPE. E’ ormai acquisito come in questa area sociale, culturale e politica, sia ben netta la frattura tra chi, come gli ex popolari del PD, voteranno per candidati che se eletti saranno acquisiti nel gruppo parlamentare del PSE e chi, come gli amici di Tempi Nuovi , siano orientati a sostenere a livello europeo, il PDE e Renew, il partito del presidente Macron.

    Va preso atto di questa netta distinzione di voto alle elezioni europee e, da parte nostra è necessario impegnarci a promuovere la più ampia unità tra gli elettori di area cattolica a sostegno del PPE e di favorire una lista con gli amici di Forza Italia, nella quale sia riconoscibile la nostra presenza, da soci eredi dei fondatori del PPE e dei suoi mentori storici: De Gasperi, Adenauer, Monnet e Schuman.

    Le spericolate manifestazioni di dissenso di Salvini in politica estera stanno aprendo spazi ampi al centro a favore di Forza Italia. Una lista orientata a sostenere in Europa il PPE con l’esplicito apporto degli amici DC e popolari potrebbe rappresentare l’avvio di una formazione di centro politico nuovo che, dopo il voto europeo, si potrà sviluppare in maniera positiva per il nostro Paese. Un centro democratico, popolare, liberale e riformista, alternativo alla destra nazionalista e sovranista e distinto e distante dalla sinistra sempre più radicale, potrebbe rappresentare il fatto politico veramente innovativo per il sistema Italia. All’On Taiani il compito di farsi protagonista di questo progetto.

     

    Ettore Bonalberti

    ALEF ( www.alefpopolaritaliani.it)

    Venezia, 20 Marzo 2024

     

     

  • Divisi alle europee, prepariamoci alla ricomposizione per le elezioni  politiche nazionali

     

    Alle prossime elezioni europee risulta evidente che, allo stato dell’arte, la possibilità di costruire una lista unitaria dell’area politica cattolica ( democratica, liberale e cristiano sociale) sia impossibile. Da un lato, ci sono gli amici ex popolari del PD che sono ben orientati a sostenere il PSE di cui si è celebrato il congresso proprio in Italia. Il gruppo di Tempi Nuovi, se non abbiamo equivocato, sembrerebbe diviso tra chi è nettamente schierato con il PDE sulle posizioni del francese Francois Bayrou, con altri silenti ( Fioroni) o nettamente dalla parte del PPE, come l’On Ivo Tarolli. Con gli amici di Iniziativa Popolare siamo nettamente a sostegno del PPE, così come è pure schierata la DC di Cuffaro e Grassi.

    Il voto abruzzese ha dimostrato che l’elettorato di centro, in una regione storicamente generosa per la DC, o si rifugia nell’astensionismo, che permane oltre il 50%, o tende a collocarsi su Forza Italia, allontanandosi sia dalla Lega  che dal M5S.

    Forza Italia è a sostegno del PPE,, grazie alle scelte fatte a suo tempo da Berlusconi grazie alla forte sollecitazione degli amici compianti, Sandro Fontana e don Gianni Baget Bozzo, rappresentando, a tutt’oggi, la componente italiana  più forte e autorevole di quel partito europeo. Resta da valutare se e quando il partito guidato dall’On Taiani, sarà in grado di liberarsi dal condizionamento pressante di casa Berlusconi, per assumere a tutto tondo i caratteri di un partito retto secondo i principi fissati dall’art.49 della Costituzione, con una leadership contendibile (una testa un voto) e capace di assumere una reale assetto di centro, distinto e distante dalla destra nazionalista e sovranista guidata dalla Meloni e dalla Lega in caduta libera  di Salvini.

    Allo stato degli atti, dunque, la speranza di una nostra ricomposizione è una mera chimera e

    alle europee si andrà divisi. Una divisione che, anziché facilitare, probabilmente, renderà ancor più ardua la ricomposizione successiva alle prossime elezioni politiche.

    Come ha scritto nel suo bell’articolo la prof.ssa Campus su Il domani d’Italia, è stato molto utile e positivo quanto avvenuto al convegno di Roma organizzato dagli amici di Civiltà dell’amore con numerose associazioni e gruppi di area cattolica, nel quale è apparso che Piattaforma 24 potrebbe assumere la funzione di catalizzatore del progetto di ricomposizione per le elezioni di giugno. Una funzione tanto più efficace, se sostenuta da iniziative della base, essenziali anche per le diverse scadenze elettorali comunali e provinciali. Attendiamo il documento conclusivo di quell’incontro.

    Potevamo impegnarci tutti insieme alla raccolta delle firme per una lista unitaria dei DC e Popolari per le europee, ma, ahinoi, o non abbiamo avuto il coraggio o sono prevalse logiche dettate da mediocri calcoli e piccole ambizioni personali. Non si è fatto e, adesso, qualcuno ce lo ritroveremo candidato su liste di destra o di sinistra, ridotto al ruolo di gregario subalterno e di ininfluente altrui.

    Ribadendo l’opzione a sostegno di candidati europei impegnati con i programmi e i valori del PPE, ci daremo appuntamento dopo il voto, con tutti i democratici cristiani e i popolari interessati a convergere su un programma e su alleanze compatibili con i nostri valori e, dunque, con una lista unitaria alle elezioni politiche nazionali.

     

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 13 Marzo 2024

     

  • Speranze perdute

     

    Avevo sperato che la situazione di surplace, nella quale sembravano bloccate le diverse formazioni politiche di ispirazione popolare, venisse superata, per puntare a un progetto di unificazione efficiente ed efficace a partire dalle prossime elezioni europee, in ciò facilitato dalla legge elettorale proporzionale. Ciò che sta avvenendo, in realtà, conferma la permanenza di forti ostacoli, sia per i silenzi incomprensibili da parte di qualcuno, sia per le strane virate laiciste radicali di quelli  amici che dichiarano la propria convinta adesione al partito della destra-centro macroniano nell’Unione europea.

    Ho evidenziato questa contraddizione in una nota pubblicata su facebook, con la quale scrivevo: “quelli che in Italia inseguono Macron e il suo partito Renew, dopo il diritto d’aborto in costituzione e la programmata legge sull’eutanasia, ora devono fare i conti con la scomparsa della Croce e dei simboli cristiani a Parigi. Ma come fanno ancora a dichiarare di essere eredi di Luigi Sturzo e di Aldo Moro? “ Condividendo il suggerimento dell’amico prof Antonino Giannone, mi permetto di aggiungere:  per favore un po’ di etica e verità: facciano un passo indietro con i loro principi di riferimento ad altre culture relativiste e nichiliste e non gettino fango su Padri della Repubblica e grandi Testimoni Cristiani!

    Questa mia provocazione ha avuto alcune immediate repliche da parte di alcuni amici, come quella di Paolo Mele:” La Francia é alla deriva sociale, addirittura Macron preme per la guerra.  La Europa é in preda alla follia troppi politicanti materialisti”. O quella di Bruno Cassinari che, con molta chiarezza scrive: “Si deve oggettivamente riconoscere che il Ppe é l'unica formazione politica presente nel Parlamento europeo guidata da democristiani. L'evidente spostamento a destra é, comunque, più accettabile della deriva laicista dei macroniani”.

    Considerato, come lo stesso Cassinari sottolinea, che Weber, leader del PPE, ha escluso accordi con Lepen, Orban e Afd e che, in ogni caso il Ppe sarà in maggioranza con socialisti e liberali o con conservatori e liberali, a me sembra evidente che alle elezioni europee la posizione dei DC e dei Popolari che intendono restare fedeli alla migliore tradizione democratico cristiana e popolare, non potrà che essere quella a fianco del PPE.

    E’ la posizione scelta dalla DC di Cuffaro-Grassi e da Iniziativa Popolare ( Tassone e amici), come credo sia anche quella condivisa dagli amici di Piattaforma 24 dell’On Ivo Tarolli e degli amici dei Popolari per l’Italia, nonostante l’assordante silenzio di Mario Mauro.

    La posizione degli aspiranti macroniani mal si concilia con quella di quelli ancora indecisi tra l’allontanarsi o meno dal PSE, tanto che il pur pregevole documento redatto da Giorgio Merlo non risulta ancora sottoscritto dall’On Fioroni e, in ogni caso, se quella fosse la scelta per le europee non faciliterebbe il progetto di ricomposizione politica dell’area cattolica: democratica, liberal e cristiano sociale per le elezioni politiche nazionali successive.

    Allo stato degli atti ho perso ogni speranza sulla disponibilità a riunirsi dei vertici romani, divisi da opposte visioni strategico tattiche e/o da assai meno commendevoli piccole ambizioni personali e, a questo punto, ritengo che solo un processo di più lunga maturazione, che parta dalla base, potrà favorire la ricomposizione politica della nostra area culturale e sociale.

    Organizziamo, dunque, incontri tra le varie anime e componenti socioculturali presenti nei diversi territori e predisponiamo liste unitarie per i rinnovi dei prossimi consigli comunali, provinciali e per quelli delle elezioni regionali in programma. Lì discuteremo dei problemi e dei temi di interesse della nostra gente, utilizzando la regola del “pensare globalmente e agire localmente”, offrendo le soluzioni politico amministrative più adeguate, ispirate dai nostri valori di riferimento della dottrina sociale cristiana. E, proprio da quegli incontri emergerà, con naturale selezione democratica, la nuova classe dirigente della futura area politica di ispirazione DC e popolare.

     

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 10 Marzo 2024

     

     

     

Non si registrano reazioni 

 

Seguo le vicende politiche italiane da “vecchio DC non pentito”, nel mio buen retiro mestrino, come un “ osservatore assai poco partecipante” che raccoglie le sue informazioni da amici più giovani e ben presenti nelle vicende romane. Con l’ultima mia nota mi attendevo qualche risposta, in particolare dall’amico Mario Mauro, con il quale, insieme al compianto on Potito Salatto, ho concorso alla nascita del movimento-partito dei Popolari per l’Italia. Sin qui da Mauro un silenzio incomprensibile che, conoscendo l’amico Mario, non vorrei fosse legato a condizionamenti dovuti a oggettive difficoltà  presenti anche per lui, quanto all’obbligo della raccolta delle firme, o, peggio, ad eventuali condizionamenti esterni, che lo trattengono dal compiere scelte più rischiose rispetto a quella di un’eventuale candidatura personale in una lista di centro destra.

Avevo suggerito agli amici di Iniziativa Popolare, con i quali condivido strategia e tattica in questa complessa fase della vicenda politica italiana, di promuovere la raccolta delle firme per una lista unitaria dell’area cattolica: democratica, liberale e cristiano sociale, ma, di fronte alle oggettive difficoltà, si è preferito valutare l'idea di altre strade percorribili come quelle da me indicate nell’ultimo articolo. Ho sempre creduto che rispetto all’obiettivo strategico di un centro politico nuovo alternativo alla destra nazionalista e sovranista oggi dominante nella versione meloniana, sia indispensabile la discesa in campo di una forte componente organizzata dell’area cattolica democratica, sperando che la legge proporzionale delle europee favorisse tale progetto.

Allo stato degli atti, invece, prendo atto che, dopo il surplace dei mesi scorsi, si stanno verificando azioni che non facilitano il processo. Tempi Nuovi e Insieme annunciano un documento comune, che alcuni osservatori mi dicono non essere, in realtà, mai stato realmente sottoscritto; anche perché, se fosse vera la vulgata dell’amico Giancarlo Infante, sarebbe molto difficile comprendere come si potrebbero conciliare le posizioni europee nettamente omogenee al PPE di Insieme con quelle per il PSE di Fioroni e amici. Sin qui le uniche certezze sono quelle della DC di Cuffaro- Grassi e degli amici di Iniziativa Popolare (Tassone, Gemelli, Orioli, Ruga con il sottoscritto) nettamente schierate con il PPE e il manifesto programma a sostegno di Ursula Von der Leyen. Senza una netta presa di posizione di Mario Mauro e dei Popolari per l’Italia, è evidente l’esigenza di un accordo almeno tecnico operativo con Italia viva indispensabile, da un lato, per superare il vincolo della raccolta delle firme e, dall’altro, lo sbarramento del 4%. Un progetto questo che sarebbe assai facilitato se anche gli amici di Azione decidessero di superare le pregiudiziali, che l’On Calenda aveva a suo tempo espresso nei confronti della DC alle ultime elezioni comunali romane. Alle europee si svolgerà una verifica importante per la politica non solo europea, ma anche per quella italiana, e, da parte mia, sono convinto che l’obiettivo più importante sarà quello di facilitare la nascita di una coalizione di centro ampio e plurale che non potrà che essere il risultato dell’accordo tra le grandi culture storico politiche che hanno fatto grande l’Italia: popolare, liberale, repubblicana, socialista, le quali insieme sono state alla base della fondazione del patto costituzionale. Ecco perché ci permettiamo di reitare l’appello per un impegno politico attivo di Mario Draghi che, a nostro parere, potrebbe essere il vero federatore possibile di un tale schieramento di centro, espressione della mediazione tra gli interessi e i valori dei ceti medi produttivi e delle classi popolari, asse portante della tenuta del sistema politico istituzionale dell’Italia. Corollario indispensabile a tale progetto, in ogni caso, rimane la nostra ricomposizione politica, senza la quale nessuna alternativa credibile potrà nascere al dominio dell’attuale destra nazionalista e sovranista, dalle posizioni ambivalenti e contraddittorie in politica estera e in quelle economico, sociali e istituzionali per il Paese.

Ettore Bonalberti

Venezia, 8 Marzo 2024

 

 

Tra il federatore Mario Mauro e Matteo Renzi

 

In attesa di conoscere le decisioni del possibile “federatore” del centro nuovo della politica italiana, alternativo alla destra nazionalista e sovranista e distinto e distante dalla sinistra radicale, che a suo tempo avevo indicato nel presidente Mario Draghi, sin qui assai riluttante a una sua discesa nella politica attiva di partito; considerate le difficoltà oggettive della raccolta delle firme in tempi ormai stretti, dobbiamo attendere le decisioni dell’amico Mario Mauro dei Popolari per l’Italia. Ai Popolari per l’Italia ho partecipato al loro congresso di fondazione e ho condiviso il loro progetto, che è lo stesso che accomuna tante altre realtà politico associative dell’area cattolica: democratica, liberale e cristiano sociale, ossia, la ricomposizione politico organizzativa della stessa.

Mario Mauro col suo partito è nelle condizioni di poter presentare la lista alle prossime europee e persegue obiettivi politici coerenti con quelli del PPE e largamente condivisi dalle diverse formazioni partitiche e associative di area cattolica in Italia.

Ho inviato alcune sollecitazioni al sen Mauro in tal senso e attendo fiducioso una sua risposta. Sarebbe l’avvio di un progetto per attivare la Federazione dei Democratici cristiani e Popolari italiani con cui presentarci uniti alle prossime elezioni europee, premessa positiva per le successive elezioni politiche nazionali. Segnali positivi in tal senso sono già pervenuti da alcuni partiti e movimenti di ispirazione DC e Popolare.

Tale progetto potrebbe essere favorito da iniziative proveniente dalla base, grazie all’attivazione di progetti di ricomposizione delle diverse esperienze associative presenti nei diversi territori, occasioni utilissime per la selezione di una nuova classe dirigente espressione della cultura popolare di ispirazione cristiana.

Se, malauguratamente Mario Mauro non rispondesse positivamente all’invito, anche la disponibilità espressa da Matteo Renzi con Italia Viva per la ricostruzione del nuovo centro della politica italiana, potrebbe essere considerata, a condizione che fosse chiara la nostra partecipazione di DC e Popolari nella lista per le europee e la nostra successiva collocazione a fianco del PPE.

Quelle indicate sono le opzioni possibili per una ripresa di iniziativa politico istituzionale organizzata dei cattolici, in assenza delle quali non vedo alternative se non quelle di assumere funzioni subalterne da ascari ininfluenti a destra o a sinistra, col solo compito di offrire voti a partiti e progetti politici diversi e alternativi a quelli dei nostri valori di riferimento ideali, culturali, sociali e politici.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 7 Marzo 2024

 

 

 


Lettera inviata al sen Mario Mauro e agli amici dell'area politica cattolica per organizzare la lista unitaria dei DC  e Popolari
alle prossime elezioni europee

Caro Mario,

ho seguito fin dall’inizio l’attività dei Popolari per l’Italia di cui ho condiviso e condivido gli obiettivi, sempre orientati a consolidare i principi e i valori dei Popolari, sia con riferimento alla nostra matrice politico culturale italiana che in Europa.

Ora si presenta un’opportunità unica e irripetibile con le prossime elezioni europee, dove sarebbe necessaria una presenza unitaria ampia e qualificata della nostra area cattolica: democratica, liberale e cristiano sociale.

Il sistema elettorale proporzionale favorisce questa opportunità, rendendo vane e/o strumentali le idee di quegli amici che, per ragioni diverse anche le più nobili, sperano di trovare collocazione in liste che puntano a collocarsi in Europa in versanti diversi e , in taluni casi, opposti e  alternativi a quello del PPE.

I Popolari per l’Italia sono l’unico partito-movimento in grado di presentare una lista di area cattolica senza l’obbligo della raccolta delle firme. Un’operazione questa possibile solo con un ampio coinvolgimento degli amici di periferia, tanto più difficile per i tempi stretti in cui si dovrebbe svolgere.

Per la tua convinta fede popolare e democratico cristiana e per le comuni battaglie condotte in questi anni sono a chiederti di farti promotore con gli amici in indirizzo di una forte iniziativa politica, che ci conduca a costruire una lista unitaria di area DC e Popolare in tutti i collegi elettorali europei. Si tratterebbe di un’azione che ci permetterebbe di mobilitare tutti i liberi e forti presenti nelle nostre realtà territoriali; un impegno importante non solo per le europee, ma in vista anche delle prossime elezioni politiche nazionali.

La programmazione di una Camaldoli 2024 dei cattolici italiani, che ci permettesse di coinvolgere le migliori risorse sociali, culturali e politiche della nostra area, potrebbe essere lo strumento per condividere una seria proposta programmatica per l’Italia e per l’Europa, in grado di garantire nel rispetto dei nostri principi della dottrina sociale cristiana, l’equilibrio tra gli interessi e i valori dei ceti medi produttivi e delle classi popolari, oggi non rappresentati e in molta parte rifugiati nella vasta schiera dei renitenti al voto delle diverse scadenze elettorali.

Ti prego di superare ogni dubbio e perplessità, nella fiducia che tutti insieme sapremo finalmente ridare voce e rappresentanza politica alla nostra area sociale e culturale, così come prego gli amici in indirizzo di organizzare in tempi brevissimi un incontro per definire le più opportune modalità per la migliore riuscita del progetto. Confidando nella disponibilità di tutti voi, vi saluto cordialmente

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 29 Febbraio 2024

 


  1. Non è più tempo di galleggianti seriali

     

    La sua lista alle regionali sarde ha ottenuto lo 0,3 %, poco più di duemila voti e l’UDC di Cesa il 2,8%, 19.056 voti. Passi per Cesa, organico da tempo della destra leghista col suo alter ego padovano De Poli, ma ciò che lascia interdetti è la lettera post voto dell’On Rotondi alla Meloni: “Cara Giorgia, convoca subito un vertice con Maurizio Lupi, Lorenzo Cesa, me e Cuffaro. Facciamo sì che questa nostra area di confine sia ricondotta a una sintesi unitaria, in coordinazione con FdI”.

    Spiace che una persona intelligente come Rotondi, allievo della scuola politica DC avellinese di Gerardo Bianco, con il quale abbiamo condotto molte iniziative nella DC, nella corrente di Forze Nuove, si sia ridotta al galleggiamento permanente; prima, con il Cavaliere e, adesso, con Fratelli d’Italia. In poco tempo da “miglior fico del bigoncio”, Rotondi si è ridotto al ruolo di consulente turiferario e inutile supporto della destra. Altro che “area di confine”, semplicemente guardia confinaria in attesa di ordini dalla capa.

    E’ormai chiaro che l’appello lanciato a un’area di destra come quella di Lupi, Cesa e Cuffaro, alla vigilia di altre scadenze elettorali regionali, come quelle dell’Abruzzo e della Basilicata e in attesa di quelle prossime europee, ponga anche a tutti noi, che continuiamo a credere nel progetto di ricomposizione politica dell’area cattolica, la necessità di scelte da farsi nella chiarezza senza infingimenti.

    Apparteniamo a quell’area politica cattolico democratica, liberale e cristiano sociale che si considera alternativa alla destra nazionalista e sovranista, oggi dominata dal partito di Fratelli d’Italia, distinta e distante da una sinistra tuttora alla ricerca di una sua più forte e certa identità.

    Siamo convinti che al Paese, che vive una condizione di anomia sociale, culturale e politica, caratterizzata dalla divisione sempre più marcata tra interessi e valori dei ceti medi produttivi e delle classi popolari, serva la nascita di un centro politico nuovo ampio e plurale, espressione delle culture essenziali della nostra Repubblica: popolare, liberale, repubblicana, socialista.

    Come ha insegnato il voto della Sardegna, servirà un’ampia alleanza con quanti credono nei valori dell’umanesimo cristiano e nei principi della nostra Costituzione repubblicana. Premessa indispensabile per tale alleanza resta quella di favorire la più vasta ricomposizione politica possibile dell’area cattolica, se non ci si vuole ridurre a ruoli subalterni e ininfluenti delle componenti più attrezzate.

    Sono vari i cantieri che stanno lavorando in tale direzione e, finalmente, funziona anche un tavolo di coordinamento che favorisce il dialogo. Si tratta di non indugiare, tenendo presente che alle regionali sarà inevitabile scegliere tra blocchi alternativi, mentre alle europee varrà la legge proporzionale. Per entrambe le scadenze, in ogni caso, sarà indispensabile definire una nostra piattaforma di programma ispirata ai nostri valori di riferimento, in base alla quale decidere con chi schierarci alle regionali, preparandoci a dar vita a una nostra lista per le elezioni europee, con l’obiettivo di presentarci ancor più forti alle politiche, che potrebbero svolgersi prima della loro scadenza naturale. Non è più tempo per i galleggianti seriali e degli opportunisti che da troppo tempo vivono di rendita. E’ tempo di ridare voce alla nostra base e ai tanti liberi e forti che si riconoscono ancora nelle culture politiche sturziana e degasperiana, che costituiscono tuttora una delle eredità più preziose della storia repubblicana nazionale.

     

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 28 Febbraio 2024

     

Dall’anomia alla proposta politica della nostra area

 

La rivolta del mondo delle campagne in Europa e in Italia, la grave situazione della sicurezza nel lavoro, la crisi dei ceti medi e le difficoltà sempre più forti delle classi popolari, caratterizzano una situazione sociale e politica che ho più volte denominato col termine sociologico di “ anomia”.

Una condizione caratterizzata dal venir meno delle regole, dalla crisi dell’intermediazione dei corpi sociali, dalla forte discrepanza tra i mezzi disponibili e i fini che la società propone come quelli da raggiungere. Insomma, una situazione nella quale prevale una diffusa frustrazione che può generare diverse forme di aggressività individuali e sociali. E’evidente l’emergere di uno squilibrio tra gli interessi e i valori dei ceti medi produttivi e quelli delle classi popolari, non più favorito e mediato dai partiti, lontani mille miglia dal dettato costituzionale dell’art.49, e con un governo più preoccupato della gara a rubacchiarsi qualche regione in più o in meno, che a trovare una sintesi su temi strategici decisivi come quelli della politica estera. Se, da un lato, monta l’attesa per il voto aperto in parlamento sul terzo mandato ai presidenti di regione e per il voto di domenica prossima in Sardegna, dall’altro nulla sembra scalfire un esecutivo diviso sulla scelta geo strategica dell’Italia. Da una parte, Meloni e Taiani con i loro partiti schierati con l’area euro atlantica e, dall’altra, Salvini con la Lega, fedele al suo patto con il partito di Putin, in netta posizione filo russa.

In epoche repubblicane normali, una situazione nella quale la scelta del presidente del consiglio fosse risultata alternativa a quella del suo principale alleato di governo, avrebbe portato all’immediata crisi di governo. Oggi, invece, si continua come se nulla fosse, in attesa dei risultati del voto sardo, e/o di ciò che potrà accadere in parlamento sul voto per il terzo mandato.

Ciò che appare in netta evidenza è la debolezza socioculturale, prima ancora che politica, dei partiti che reggono l’attuale maggioranza di governo; legittima sul piano parlamentare, minoritaria, di fatto, per quanto attiene alla sua reale capacità di rappresentanza degli elettori e delle elettrici italiani. Ecco perché, al di là delle tante dissertazioni sociopolitico-culturali tuttora aperte, a me pare sia quanto mai opportuno il ritorno organizzato di una cultura politica come quella di matrice cattolico democratica, liberale e cristiano sociale; ossia di quella cultura di matrice popolare,

democratico cristiana ispirata dai valori della dottrina sociale della Chiesa cattolica. Una cultura che, oggi come ieri, è indispensabile per offrire politiche generali ispirate dai principi di solidarietà e sussidiarietà e da politiche economico finanziare sostenute da quelli dell’economia civile, in una fase della società dominata dai poteri del turbo capitalismo finanziario dominanti nella società della globalizzazione. La ricomposizione politico organizzativa di quest’area non è e non potrà essere il risultato di un anacronistico e regressivo sentimento nostalgico, che pure abbiamo sostenuto dalla fine della DC  e per il lungo tempo della diaspora suicida, ma la constatazione realistica che ai problemi di una società come quella italiana in preda a una condizione di anomia, serve un progetto politico in grado di offrire speranza e equilibrio a ceti medi e popolari, indispensabili per la tenuta stessa del sistema. Un equilibrio e una speranza che, dopo l’illusione del voto settembrino 2022, sembrano affievolirsi ogni giorno di più, mentre si rafforza l’esigenza di un’alternativa al governo della destra, ampia e plurale: democratica, popolare, liberale, repubblicana e riformista socialista.

Sono aperti molti cantieri per la ricomposizione politica dell’area DC e Popolare e, finalmente, opera un comitato di coordinamento nazionale. Ci auguriamo prevalga il buon senso e, quanto prima, la fedeltà alla nostra migliore storia politica.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 22 Febbraio 2024

 

 

 

Mancano pochi mesi

 

Mancano meno di quattro mesi alle elezioni europee e dalla nostra area ancora nulla di concreto.

Un’indagine del dr Pagnoncelli pubblicata su Avvenire evidenzia come i cattolici al voto si presentino “un po' egoisti e senza nostalgia di un partito”.

Non è, dunque, la nostalgia il sentimento su cui poter far leva, considerando che se la nostalgia può essere ancora presente nelle generazioni più anziane, essa è del tutto assente nelle nuove generazioni che della DC non hanno alcuna idea, se non quelle deformate da una pubblicistica che ha sostenuto la damnatio memoriae del partito per tutto il tempo della diaspora suicida, e anche oltre.

E’ essenziale ripartire dai fondamentali, come da diverso tempo è impegnato l’amico prof Antonino Giannone, con i suoi corsi di etica politica rivolti ai giovani imperniati sui sei pilastri della cultura per ricostruire la polis e ridare un amalgama al popolo italiano. Sono quelli dell’Umanesimo integrale, della Dottrina sociale cristiana, del Popolarismo e Personalismo, dell’Ecologia integrale ed etica ecologica, della Costituzione della Repubblica italiana e della Carta dei Diritti Umani ( CEDU).

Iniziativa altrettanto meritoria quella programmata da Il Popolo ( www.ilpopolo.cloud) di corsi di formazione politica per i giovani. Sono attività prepolitiche indispensabili per far emergere una nuova classe dirigente di giovani dotati di passione civile, ispirati dai valori fondanti della nostra migliore tradizione storico politica sturziana e degasperiana. Va da sé, però, che sono progetti a media e lunga scadenza non traducibili nei tempi brevi che la politica reclama, specie nella condizione attuale e  rispetto ai quali sono molti i tentativi avviati, inevitabilmente portati avanti da protagonisti di stagioni politiche passate e, in quanto tali, difficilmente appetibili, non solo alle nuove generazioni, ma frammentati tra i diversi supporters delle antiche esperienze.

In questi giorni si è sentita la voce dell’On Boschi che, con Italia viva del suo collega Renzi, punta a dar vita alle elezioni europee a una lista unica anti-sovranista con Emma Bonino di +Europa, in alternativa al veto di Calenda, definito: “lotta nel fango”.

Anche nel fronte dei sedicenti liberal democratici, dunque, permangono divisioni, accentuate dal protagonismo dell’”azionista de noantri romano”, pronto a saltare da un fronte all’altro con la presunzione velleitaria di catalizzare da solo l’alternativa.

A sinistra, servirà più coraggio dagli ex Popolari del PD, i quali dovrebbero uscire dalla condizione di comodo convivenza o di costante frustrazione vissuta nel “partito radicale vasto” della Schlein, favorendo il progetto avviato dall’On Fioroni, così come più ampia disponibilità dovrebbe esserci dagli amici del Centro Democratico di Tabacci, rafforzando quanto positivamente stanno svolgendo Tempi Nuovi e gli amici di Base Popolare.

Anche dalla DC e dagli altri amici che, come il sottoscritto, si riconoscono nei valori del PPE, dovrebbe essere favorito lo sforzo unitario avviato da Iniziativa Popolare per la ricomposizione politica dell’area cattolica: democratica, liberale e cristiano sociale. Mi riferisco agli amici di Insieme e di Piattaforma Popolare 2024, avendo come obiettivo le elezioni politiche nazionali.

Credo, infatti, che a pochi mesi dalle elezioni europee non ci sia più il tempo per la costruzione del centro nuovo della politica italiana, per il quale ci si dovrà impegnare per la prossima scadenza delle politiche nazionali. Si tratterà di partire con quanti sono interessati a dar vita all’alternativa politica alla destra nazionalista e sovranista oggi dominata da Fratelli d’Italia, consapevoli che servirà un’alleanza ampia e plurale delle componenti di cultura popolare, democratico cristiana, liberale, repubblicana e socialista. Un’alleanza da far partire dalla base, ricostruendo questa unità di intenti sin dalle prossime elezioni comunali, provinciali e regionali. Alle europee si andrà inevitabilmente divisi, tra quanti resteranno collegati al PSE, altri al Renew, e al PPI.

 

Nel frattempo servirà sperimentare alla base, con grande impegno, positivi processi di ricomposizione fra tutte le diverse presenze popolari, indispensabili anche per far emergere la nuova classe dirigente dei liberi e forti.

 

Venezia, 13 Febbraio 2024

 

Alla ricerca di un federatore

 

 Tra la Meloni e la Lega continua la lotta sotterranea per la conquista dei voti a destra, specie in questa fase di forte contestazione del mondo agricolo. La Coldiretti è divisa tra le aspirazioni elettorali del suo presidente, Ettore Prandini e la rivolta di una base sempre più indisponibile a seguire gli equivoci connubi prandiniani con l’inadeguato ministro Lollobrigida di cui si chiedono le dimissioni.

Nella nostra area socioculturale e politica continuano le divisioni ereditate dalla lunga e dolorosa diaspora post DC. Da un lato ci sono gli amici che, facenti parte del PD, intendono continuare la loro appartenenza “innaturale” al PSE; altri  che  hanno deciso di aderire al partito europeo Renew di Macron; altri ancora, sono quelli che intendono restare ben stretti alla propria cultura politica nel PPE e, infine, l’On Cesa con l’UDC, ancora una volta schierati a fianco della Lega, a destra in Italia e in Europa.

Assai meritoria è l’azione condotta dagli amici di Iniziativa Popolare per tentare di favorire senza riserve il progetto di ricomposizione politica dell’area cattolica: democratica, liberale e cristiano sociale.

Trattasi di un progetto difficile il cui traguardo, più che alle prossime elezioni europee, potrà e dovrà essere spostato alla scadenza delle elezioni politiche nazionali nel loro termine naturale o anticipato. La difficoltà risiede nelle divisioni delle diverse fazioni indicate, per favorire il superamento delle quali ho proposto l’idea di un confronto aperto, a tutto campo con la nostra vasta e articolata realtà culturale e sociale, in quella che ho chiamato la Camaldoli 2024.

Qualche amico ha giustamente rilevato, com’era anche a me ben evidente, che non siamo nelle condizioni storico politiche del 1943. Non abbiamo, come ho scritto, né un Demofilo/De Gasperi, né una realtà cattolica oggi assimilabile a quella dell’Italia di quel tempo.

Da molte persone si sottolinea che servirebbe un federatore capace di avviare il progetto con un’autorevolezza tale da facilitare la ricomposizione basata sulla fedeltà ad alcuni fattori portanti; l’ispirazione ai principi della dottrina sociale cristiana, la fedeltà ai valori della Costituzione repubblicana e a quelli dell’europeismo e dell’Occidente.

Come trovare questo federatore?

O si parte dalla base o si sollecita una delle personalità già in campo, disponibile ad assumersi il ruolo che seppe compiere Demofilo/De Gasperi nel Luglio 1943. Se allora il compito era quello di presentare e attivare le “idee ricostruttive della Democrazia Cristiana”, ora si tratta di redigere un manifesto per la costruzione del centro nuovo della politica italiana: democratico, popolare, liberale, riformista, euro atlantista, alternativo alla destra nazionalista e sovranista e alla sinistra lontanissima dalle sue origini.

Penso che questa personalità sia ben presente nella realtà italiana e europea. Mi riferisco a Mario Draghi, che potrebbe svolgere efficacemente il ruolo di federatore del nuovo centro della politica italiana. Un appello unitario affinché assumesse tale ruolo, di tutte le diverse componenti di area cattolica DC e popolare, sarebbe al riguardo utile e opportuno.

Ci sono momenti della nostra storia politica, nei quali l’assunzione di responsabilità dirette nell’agone politico è molto più importante di qualunque altro incarico pubblico, e quello che sta attraversando l’Italia è proprio uno di questi.

L’altra strada sarebbe quella di ripartire dalla base, organizzando in tutte le province e regioni italiane, incontri unitari tra le diverse componenti della nostra area; assemblee di DC e Popolari dalle quali fare emergere con i cahiers de doléance e le proposte dei nostri concittadini e elettori, una nuova classe dirigente in grado di assumersi la responsabilità di rappresentare nelle diverse realtà elettorali e istituzionali, gli interessi e i valori dei ceti medi e popolari dal cui equilibrio dipende la tenuta del nostro sistema sociale.

Certo la prima strada indicata sarebbe la più efficace e tempestiva, mentre la seconda necessiterebbe di tempi più lunghi, nei quali, comunque, il processo di ricomposizione politica sarebbe facilitato. Credo sia quanto mai giusto e opportuno provarle entrambe, convinti che, se rimanessimo inerti, la nostra condizione di irrilevanza si protrarrebbe ancora per lungo tempo, a tutto danno del nostro Paese.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 10 Febbraio 2024

 

  1. Perché e come avviare una nuova Camaldoli ?

     

    Nei giorni scorsi ho scritto una nota con cui indicavo l’obiettivo di una Camaldoli 2024, ricordando quanto seppero fare i nostri padri politici nel Luglio 1943, creando i presupposti programmatici della DC, che Demofilo-De Gasperi aveva  indicato con le “ Idee ricostruttive della DC”. In una situazione storico politica molto diversa e dopo la lunga stagione della diaspora succeduta alla fine politica della DC, condividiamo tutti insieme l’esigenza di una ricomposizione politica dell’area cattolica ( democratica, liberale e cristiano sociale) e non per un regressivo seppur nobile sentimento nostalgico, ma nella convinzione che serva al Paese la nascita di un centro politico nuovo, ampio e plurale, nel quale è indispensabile la presenza di una forte componente di cultura politica popolare e democratico cristiana.

    Sono in atto diversi e meritori tentativi, come quelli degli amici di Iniziativa Popolare, Tempi Nuovi, Piattaforma Popolare, Agenda Popolare, Base Popolare, da sostenere e favorire, ma credo sia opportuno ampliare la partecipazione alla più vasta e complessa realtà culturale, sociale e politico organizzativa del mondo cattolico italiano e delle aree liberal democratiche ispirate dai valori dell’umanesimo cristiano.

    Qualunque progetto che nascesse dalla confluenza di quanti sono espressione dei partiti della cosiddetta prima repubblica, rischierebbe di risultare poco attrattivo non solo per le nuove generazioni, tra le quali molti sono inconsapevoli della nostra storia, ma anche di quell’ampia maggioranza di cittadini renitenti al voto da diverse elezioni.

    Credevamo e personalmente credo ancora, che la legge proporzionale vigente alle prossime elezioni europee avesse potuto favorire la formazione di una lista unitaria della nostra area, sperando che, alla fine, avrebbe prevalso il buon senso. In realtà quella scadenza così vicina e propizia rischia ancora di essere foriera di divisioni tra quanti, come il sottoscritto e tanti altri amici, ritengono che la nostra collocazione politica naturale in Europa sia con il PPE, che sarà guidato nel dialogo e scontro elettorale dalla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e altri che guardano al partito del centro demo liberale macroniano di Renew, oltre a quelli, come i Popolari del PD, sempre uniti ai partiti che fanno riferimento al PSE.

    In tale situazione le elezioni europee, anziché facilitare rischiano di confermare la continuazione della diaspora suicida che ha portato a una condizione di irrilevanza e alla permanente divisione della nostra area politica.

    Ecco perché credo sia necessario traguardare il nostro obiettivo oltre le europee e preparaci per le prossime elezioni politiche. Si tratta di  partire, da un lato, dalla base, con la formazione di liste unitarie d’area ovunque sia possibile nei comuni, province e regioni chiamate al voto nei prossimi mesi, e, dall’altra, a organizzare la nuova Camaldoli dei cattolici italiani, nella quale affrontare i temi più urgenti della nostra società e individuare le soluzioni più opportune secondo i criteri ispiratori della nostra cultura politica, ossia i principi della dottrina sociale cristiana e quelli fondamentali scritti nella Costituzione repubblicana.

    Per tale incontro credo che, più dei vecchi e nuovi esponenti della variegata galassia DC e Popolare, potrebbe essere più utile, efficiente ed efficace, un’iniziativa che venisse assunta dai direttori delle principali testate giornalistiche dell’area cattolica, a partire da quelli che da anni si battono per la nostra ricomposizione politica.

    Mi auguro che questa sollecitazione sia raccolta e con rinnovato spirito di amicizia ci si possa incontrare quanto prima nella Camaldoli della ripresa politico culturale dei cattolici italiani.

     

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 2 Febbraio 2024

    Camaldoli 2024: le nostre risposte alle attese degli italiani

     

    Dal surplace all’eliminatoria a squadre ( australiana), sperando di risultare vincenti. Seguo la metafora del ciclismo su pista, tenuto presente che, alla fase di immobilismo- surplace di qualche tempo fa, ora si è ingrossata la fila dei concorrenti al progetto di ricomposizione politica dell’area cattolica: democratica, liberale e cristiano sociale. Dopo Iniziativa Popolare, Tempi Nuovi, Insieme, Piattaforma 2024, si è aggiunta la squadra di Base Popolare, mentre dall’area liberal repubblicana, Carlo Calenda, che al tempo delle ultime elezioni per il consiglio comunale di Roma, aveva respinto l’offerta per una lista con i DC romani, ora intende offrire una casa ai Popolari “ per continuare a esistere insieme”.

    Da parte mia ripeterò che è bene tutto ciò che va nella direzione della nostra ricomposizione politica, ma, a questo punto, è indispensabile trovare un ubi consistam non solo per il nostro stare insieme, ma, soprattutto per offrire all’Italia delle risposte politiche adeguate alle attese della nostra gente.

    Lo fecero i nostri padri con le idee ricostruttive della DC di Demofilo ( De Gasperi), nello stesso mese di Luglio del 1943 in cui si svolse l’incontro dell’area cattolica, nel quale si definì il Codice di Camaldoli, da cui derivò il programma politico della DC per il Paese.

    Dopo il surplace non serve più la gara affannosa tra chi è ancora scettico sul fare una lista unitaria alle elezioni europee e chi, invece, spinge per questo obiettivo; o, peggio, il ruolo di qualche improvvido amico alla ricerca della sola affermazione personale.

    Intellettuali di fede cattolica a Camaldoli nel 1943 discussero di  tutti i temi della vita sociale: dalla famiglia al lavoro, dall'attività economica al rapporto cittadino-stato. Lo scopo fu quello di fornire alle forze sociali cattoliche una base unitaria che ne guidasse l'azione nell'Italia liberata. Il Codice di Camaldoli funse da ispirazione e linea guida per l'azione della Democrazia Cristiana e, come  ha ben scritto Bruno Di Giacomo Russo su Il domani d’Italia ( 16 settembre 2023): ” Il Codice di Camaldoli, intrinseco di valori e principi, corrisponde al diretto precedente culturale della Costituzione italiana.

    Una delle ragioni per cui ancora oggi nella nostra azione politica  intendiamo continuare a ispirarci ai principi fondamentali della Carta costituzionale che, insieme a quelli della dottrina sociale cristiana nell’età della globalizzazione, sono stati indicati dai Papi San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco.

    Con queste due stelle polari, dottrina sociale cristiana e Costituzione repubblicana, ci si dovrà incontrare nella Camaldoli 2024 con gli esponenti più importanti della cultura e delle realtà sociali e politiche cattoliche, per discutere delle attese degli italiani nella realtà odierna e con ciò che ci attende a medio e lungo termine.

    Alla gara inopportuna e inefficace dell’eliminatoria a squadre deve, dunque, subentrare il confronto e il dialogo con le diverse realtà presenti del mondo cattolico per definire il programma che i DC e Popolari intendono offrire al Paese. Un programma che dovrà essere coerente con i nostri valori e in relazioni agli interessi dei ceti medi e delle classi popolari cui intendiamo dar voce a livello istituzionale. Ridare voce a quella maggioranza di elettrici e di elettori che da molto, troppo tempo, sono renitenti al voto, indifferenti all’offerta politica di un bipartitismo forzato e da una legge elettorale iniqua e schizoide che permette il governo del Paese a una finta maggioranza non espressione della realtà sociale e culturale reale dell’Italia.

     

    Quali sono le attese degli italiani oggi? Secondo lo studio realizzato da Brunswick e Hokuto, presentato al Convegno “ L’economia che fa il bene: cosa significa per gli italiani?” di Avvenire ( Milano- 15 Novembre 2023) lo sviluppo, il clima e l’integrazione sono i temi risultanti prioritari. Al primo posto, dunque, lo sviluppo economico e l’occupazione lavorativa, seguiti dalla gestione dell’immigrazione. Segue la questione ambientale insieme alla tutela del territorio e la lotta all’inquinamento, il cambiamento climatico e la transizione energetica insieme al tema delle fonti e del costo dell’energie. Solo in coda ai risultati del campione i temi dell’opportunità dei giovani e della parità di genere. La risposta più importante per affrontare e dare soluzione a questi temi è stata individuata nell’economia civile, ossia una nuova forma di economia che mira al benessere comune; un’economia come quella che i proff. Bruni e Zamagni da molto tempo sostengono, alternativa a quella dominante nell’età della globalizzazione, nella quale trionfa il principio del NOMA ( Non Overlapping Magisteria)posto alla base dell’economia politica mentre, per l’economia civile, l’economia non può essere staccata dai principi dell’etica e della politica.

    Se oltre a questi temi discuteremo di quello drammatico dei rischi della terza guerra mondiale, oggi vissuta “ a pezzi”, come l’ha egregiamente connotata Papa Francesco, e dell’esigenza di avviare progetti di pace che tengano conto della nuova realtà multipolare della geopolitica, ritengo che ancora una volta i cattolici italiani, dalla Camaldoli 2024, potranno offrire risposte coerenti alle “attese della povera gente” e a quel ceto medio i cui interessi e valori devono essere rappresentati in equilibrio con quelli delle classi popolari. Questo è il compito che, a mio parere, spetta a tutti noi eredi della cultura politica del popolarismo sturziano e della Democrazia Cristiana, il partito che ha rappresentato per quasi cinquant’anni la maggioranza degli italiani.

     

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 30 Gennaio 2024

     

     

     

     

     

DC e Popolari: l’unità è indispensabile

 

Il popolarismo sturziano è stata la cultura che ha favorito l’impegno politico dei cattolici all’inizio del secolo scorso, assicurando la partecipazione alla vita politica di vasti ceti popolari e intermedi ispirati dai valori della dottrina sociale della Chiesa espressi nella Rerum Novarum. Un’esperienza straordinaria avviata partendo dai comuni, attraverso la partecipazione attiva di realtà associative e culturali, consolidata grazie all’estensione giolittiana del diritto di voto, stroncata dalla violenza delle squadracce fasciste e, dopo il Concordato,  dall’esilio di don Luigi Sturzo.

Quell’eredità fu raccolta dalla prima generazione democratico cristiana che, con “ le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana”( Demofilo: 26 Luglio 1943) e il programma del “ Codice di Camaldoli” (Luglio 1943) seppe organizzare la DC e assumere la guida ininterrotta del governo del Paese per oltre quarant’anni.

La DC è stata storicamente la più grande espressione dell’unità politica dei cattolici italiani (democratici, liberali e cristiano sociali) e, sul piano sociale, lo strumento capace di garantire a livello istituzionale, il punto di equilibrio degli interessi e dei valori delle genti del Nord e del Sud e quello dei ceti medi produttivi e delle classi popolari. Equilibrio senza il quale salta il sistema del nostro Paese.

Finita politicamente la DC (1993), si interrompe l’unità tra Nord e Sud ( esplode il fenomeno della Lega)  e, dopo l’illusione liberale di Berlusconi e Forza Italia, irrompe il populismo qualunquista del M5S e la falsa supremazia della destra nazionalista e sovranista, espressione della maggioranza della minoranza degli elettori. La maggioranza oltre il 50%, infatti, nel 2022 si è astenuta dal voto. E l’On Meloni può guidare legittimamente il Paese solo grazie a una legge elettorale anacronistica e iniqua.

La condizione di anomia sociale e politica in cui versa l’Italia guidata da una pseudo maggioranza è il risultato del venir meno dell’equilibrio di cui sopra, minacciato dal progetto di autonomia differenziata, destinato ad aggravare il divario Nord-Sud, e dalla condizione di crisi economica, non solo delle classi popolari, evidenziata dai dati della povertà assoluta rilevati dall’ultimo rapporto della Caritas italiana, ma dello stesso terzo stato produttivo e dei ceti medi, come evidenziato, da un lato, dai sindacati e, dall’altro, dal presidente di Confindustria, Carlo Bonomi.

Venuto meno il ruolo di Forza Italia, dopo la scomparsa del Cavaliere, la condizione della maggioranza di governo è quella del dominio della destra degli eredi almirantiani, preoccupati di occupare tutti gli spazi di potere disponibili, portatori di una cultura in netto contrasto con i fondamentali costituzionali della Repubblica.

Questo progetto, il primo della triade della destra ( premierato, autonomia differenziata, riforma della magistratura con la separazione delle carriere) è destinato, infatti, a mutare la natura stessa della nostra repubblica parlamentare. Contro tale disegno di “deforma costituzionale” è essenziale attivare i comitati per il NO, a partire da quello dell’area politica dei DC e Popolari.

Questa nostra area è affollata di partiti, movimenti, associazioni e gruppi che, a diverso titolo, si richiamano ai valori del popolarismo sturziano e della DC degasperiana, risultanti dalla suicida diaspora che ha caratterizzato la lunga stagione seguita alla fine della DC e solo da poco tempo in via di ricomposizione.

I Cattolici, che hanno l’obbligo di non disinteressarsi della politica e del servizio ai cittadini, è ora che escano allo scoperto e difendano pubblicamente i valori di riferimento del progetto di vita che non è confinato solo nelle scelte individuali, ma anzi deve raccordarsi anche nella società con gli altri nel contesto della propria fede, della dottrina sociale della Chiesa

Con i recenti incontri promossi da Iniziativa Popolare, Tempi Nuovi e da Piattaforma 2024, sono emerse nettamente le volontà di impegnarsi per concorrere a ricostruire una presenza forte e unitaria dei cattolici nella politica italiana, aperti alla collaborazione con altre culture politiche liberali e riformiste interessate alla difesa e all’attuazione integrale della Costituzione.

Persistono alcune perplessità specie da parte di amici che antepongono al progetto unitario la scelta delle alleanze in vista delle elezioni europee. Una strategia sbagliata e inefficace, di fatto, contro producente rispetto al progetto di ricomposizione politica .

Condivido pienamente l’appello pronunciato dall’On Ivo Tarolli a conclusione dei lavori dell’incontro di Piattaforma 2024, con cui ha affermato come” lo stare uniti venga prima, stia sopra a qualsiasi decisione successiva ( liste, candidature e alleanze)

A coloro che mantengono ancora riserve evidenziamo che siamo giunti a un tempo in cui è obbligatorio imboccare la strada della nostra ricomposizione, passaggio politico decisivo

per il bene dell’Italia. Un centro nuovo della politica italiana, infatti, non può nascere dall’incontro delle soli culture liberal democratiche e repubblicane,  perché da sole sarebbero

sempre minoritarie senza la partecipazione di una forte componente politica organizzata dei cattolici.

Dobbiamo avere più coraggio e meno rivalità negativa: "Insieme" possiamo dare una speranza e un futuro migliore a un popolo che si va rassegnando o che subisce i cupi scenari dei poteri forti, dobbiamo sostenere la fiducia nei giovani che numerosi invece si vanno addormentando con l'uso delle droghe e dello "sballo" del sabato sera. Abbiamo il dovere di attrarre un nuovo interesse ed entusiasmo perché ciascuno dia un progetto alla propria vita, con "i talenti ricevuti" e alla collettività che s'ispiri ai valori forti che sono nel Vangelo di Gesù e nell'insegnamento del Magistero della Chiesa e nei principi della nostra Costituzione repubblicana.

È tempo di respingere le facili scorciatoie, di adottare politiche in grado di  contrastare i dominio dei poteri forti del sistema finanziario nazionale e internazionale e  di altri poteri occulti, per attuare integralmente il dettato costituzionale. E’ tempo di procedere senza indugi e logoranti rinvii all’unità politica possibile dei DC e Popolari presenti in Italia. Il futuro è ancora nelle nostre mani, ma vorremmo costruirlo insieme da cattolici e laici per il bene del popolo italiano e per il futuro delle giovani generazioni.

Ettore Bonalberti

Venezia, 25 Gennaio 2024

 

 

 

 

  • Qualcosa si muove, ma in ordine sparso

     

    Si moltiplicano le iniziative per la ricomposizione politica dell’area cattolica DC e popolare. Aveva avviato il confronto Iniziativa Popolare, il 15 Gennaio, in una riunione nella quale gli Onn Tassone e Gemelli, con Mattia Orioli, avevano presentato un documento politico che sarà esaminato dai diversi partiti e movimenti, avendo già incontrato l’adesione degli amici della DC guidata da Cuffaro e Grassi. Il 18 Gennaio, Tempi Nuovi ha organizzato un interessante convegno sul tema: L’ Appello di Sturzo tra progressisti e conservatori, al quale hanno partecipato, tra gli altri, gli Onn.Gozi e Fioroni. Ho potuto assistere on line all’incontro, coordinato dal sen D’Ubaldo, insieme ad altri amici, per comprendere la direzione che Tempi Nuovi intende assumere in vista dei prossimi  impegni elettorali.

    Con l’intervento dell’On Gozi si è confermata la scelta del movimento a far parte del partito Renew a livello europeo, in alternativa al PSE e al PPE.

    Come ho avuto modo di evidenziare in altri articoli, questa decisione non favorisce il processo di ricomposizione politica dei DC e Popolari, e, personalmente, trovo assai difficile conciliare la scelta di continuità col popolarismo sturziano insieme a un partito, quello egemonizzato da Macron, ossia da uno degli esponenti più qualificati dei poteri finanziari europei e internazionali. Continuo a ritenere che l’area politica di riferimento dei DC e Popolari in Europa non possa che essere quella del PPE, il partito che ha avuto come padri fondatori i grandi leader DC: De Gasperi, Adenauer, Monnet e Schuman, il quale poggia i suoi riferimenti valoriali sui principi della dottrina sociale cristiana della centralità della persone e dei corpi intermedi, della solidarietà e sussidiarietà.

    Comprendo che la scelta con Gozi e Calenda possa facilitare la presentazione di candidature alle europee e la possibilità di superare il tetto del  4 % per l’eventuale elezione di candidati, ma vale la pena impedire o, quanto meno rinviare, il processo di ricomposizione politica della nostra area, per qualche candidatura su una lista destinata  a consegnare, nell’ipotesi migliore, qualche deputato in più a Macron?

    Resta, peraltro, da verificare se e come combinare la scelta con Calenda, tenendo presente che, su posizioni alternative, ancorché allineate con Renew, sembrerebbero muoversi anche Renzi e Franceschini. Tempi Nuovi conferma, dopo il convegno di ieri, la sua scelta di collaborazione con la sinistra inserendosi a livello europeo in contrapposizione al PPE.

    Netta, invece, la scelta per il PPE di Iniziativa Popolare e della DC, così come, credo, sarà confermata domani anche da Tarolli con il suo documento “ Ritornare Uniti e Paritari”.

    Credo, ahimè, che non saranno le elezioni europee l’occasione per mettere in campo una lista unitaria dei DC e Popolari, se, alla fine, prevarrà come sembra, la via più facile per la presentazione di candidature e le speranze di elezione. Più opportune e interessanti le scadenze elettorali regionali e amministrativo locali, in preparazione delle quali, servirà attivare con urgenza iniziative di confronto e  dialogo tra le diverse realtà rappresentative della nostra area culturale e sociale in quelle sedi.

    E’ tempo di formulare proposte di programma ispirate dai nostri principi, tenendo presente le attese della povera gente, vittima di politiche del governo della destra, sempre più promotori di ingiustizia sociale, e a quelli dei ceti medi, sempre più impoveriti e vittime di un’anomia sociale nella quale si impone una netta divaricazione tra i mezzi disponibili e i fini che la società propone come modelli da perseguire; il venir meno delle regole e del ruolo dei corpi intermedi. In una parola, la condizione che favorisce il distacco progressivo dalla politica di questi ceti, il disimpegno elettorale e, dopo l’illusione del voto al Cavaliere e alla Lega prima, e nel 2022 alla destra meloniana, alla renitenza sempre più accentuata al voto.

    E’ tempo di chiamare a raccolta quanti, ispirandosi ai valori del popolarismo sturziano e degasperiano, e alla migliore tradizione democratico cristiana, intendono concorrere alla nascita di un centro politico nuovo, capace di saldare gli interessi e i valori dei ceti medi produttivi e delle classi popolari, in alternativa alla destra nazionalista e sovranista e alla sinistra all’affannosa ricerca della propria identità.

     

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 19 Gennaio 2024

  1. Bilancio di governo e prospettiva dei DC e Popolari

    Dopo oltre quindici mesi dalle elezioni politiche del 2022, alla vigilia delle prossime consultazioni elettorali che chiameranno al voto gli italiani per rinnovare il parlamento europeo, cinque consigli regionali e alcune migliaia di consigli comunali, credo sia giunto il tempo per un bilancio sull’azione di governo dell’On Meloni e di valutare anche il nostro “che fare “ come ex DC e Popolari.

    A Settembre del 2022 il voto, grazie a un sistema elettorale schizoide, ha offerto la guida del Paese a una maggioranza, espressione di una minoranza del corpo elettorale: un centro destra a forte dominanza del partito di Fratelli d’Italia. Primo risultato: l’elezione di  un Presidente del Senato che giura sulla Costituzione repubblicana, conservando intatta la sua fede nei valori familiari di stretta osservanza vetero e post fascista. Fatto nuovo nella nostra storia la guida del governo a una donna, alla leader del partito di maggioranza relativa, l’On Meloni, che, dopo più di un anno, anche nell’ultima conferenza stampa d’inizio 2024, continua ad attribuire ai precedenti governi le responsabilità dei problemi del Paese e a immaginare presunti tentativi di intimorirla o condizionarla da non precisate fonti esterne.

    In realtà ciò che appare sempre più nettamente è il forte divario esistente tra le promesse elettorali fatte e i risultati concreti della sua azione di governo, tanto sul fronte degli sbarchi degli immigrati che aveva promesso di fermare, quanto su quello delle pensioni e della sanità, mentre si aggrava la situazione economico sociale dei ceti più poveri, le ingiustizie sociali e la condizione di vita della stessa classe media.

    Ogni giorni di più, infine, emergono la cultura e la natura del partito di Fratelli d’Italia, con   manifestazioni diffuse di nostalgici del tempo che fu; con un deputato che va alle festa armato di pistola, mentre un altro propone il ritorno al minculpop, dopo il  decretato bavaglio alla stampa. Ormai non si contano più i casi di esponenti del governo implicati in questioni giudiziarie o di dubbia opportunità etico politica, senza che alcun provvedimento sia assunto dalla Presidente del Consiglio nei loro confronti.

    Emerge, insomma, sempre di più la cultura originaria di una destra nazionalista e sovranista. alternativa ai valori fondanti della nostra Costituzione repubblicana.

    La confermata volontà di sostenere il premierato, alternativo alla natura di repubblica parlamentare indicata dai padri costituenti, è coerente con un’impostazione culturale e organizzativa di “un partito del capo”, lontano mille miglia dai dettami dell’art 49 della Costituzione.

    Alle prossime elezioni  regionali stanno emergendo forti difficoltà di tenuta della maggioranza, per la netta determinazione del partito della Meloni a conquistare posizioni di leadership in alcune delle realtà, come il Veneto e la Sardegna, già tenute dai suoi partner di governo. In questo quadro, in cui si evidenziano oggettive difficoltà di una maggioranza tra i partiti della destra, con Forza Italia ridotta a un ruolo di mero supporto ininfluente, assistiamo alla guerra di logoramento progressivo tra le principali forze di opposizione, PD e M5S, senza che appaia un progetto credibile di ricomposizione politica dell’area cattolico democratica, liberale e cristiano sociale, senza la quale un centro credibile, alternativo alla destra nazionalista e sovranista e distinto e distante da una sinistra in cerca di una sua aggiornata identità, non sarà facile far tornare al voto quel 50% e più di renitenti elettori ed elettrici, e di garantire quell’equilibrio tra interessi e valori dei ceti popolari e medio produttivi, che costituisce l’asse portante  del nostro sistema sociale.

    I diversi partitini, movimenti, associazioni, gruppi della nostra area politico culturale, sembrano impotenti, bloccati in un defatigante surplace fatto di sguardi prudenti e maliziosi e di timidi tentativi di ripartenza, sempre dominati da velleitarismi o da egoismi particolaristici che impediscono di giungere, se non a soluzioni unitarie, almeno di tipo federalistico.

     

    Viviamo una stagione difficile, a partire dal mondo ecclesiale italiano, in cui non mancano fratture e divisioni anche rispetto all’azione pastorale di Papa Francesco. Divisioni che non facilitano l’avvio di quel progetto di ricomposizione politica dei cattolici, dopo la lunga stagione ruiniana della testimonianza plurale nei diversi partiti, che ci ha condotto alla sostanziale irrilevanza a destra, come alla sinistra.

    Si sostiene da molti amici che mancherebbe un federatore in grado di avviare il processo. Certo, non saranno i sopravvissuti alla grande stagione democratico cristiana, quelli in grado di assumere la guida, dopo la lunga e dolorosa diaspora tuttora aperta, molti dei quali hanno vissuto  le più diverse e opposte esperienze politico organizzative, perdendo credibilità. Ritengo, invece, che solo partendo dalla base, attraverso il confronto e il dialogo tra le diverse realtà della nostra area presenti nei territori, possa emergere una nuova classe dirigente in grado di assumere la nuova leadership del progetto.

    Due stelle polari dovranno guidarci: la fedeltà ai principi della dottrina sociale cristiana, aggiornati dalle ultime encicliche pontificie di Papa San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco, e la forte determinazione per la difesa della Costituzione repubblicana contro tutti i tentativi di deformarla in una repubblica di un uomo solo o di una donna sola al comando.

    Prima dovremo puntare alla nostra ricomposizione da sperimentare, se sarà possibile, con una lista unitaria d’area alle europee, e con liste unitarie alle elezioni regionali e locali, e, insieme, l’alleanza con quanti, eredi dei valori e dei partiti fondatori della Costituzione, intendono favorire il progetto di governo alternativo a quello della destra, foriero solo di divisioni, incapace di garantire più solidarietà e maggiore giustizia nella società italiana.

     

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 8 Gennaio 2024

     

     

  2. Risposta all’On Susta

     

    L’on Susta con spirito di “ correzione fraterna” ha giudicato il mio articolo “ datato” e, in qualche misura, disinformato sulla reale natura del Partito Democratico Europeo, del quale Susta è stato membro autorevole, così come parte altrettanto autorevole è stato del PD italiano, insieme a molti dei Popolari da lui nominati cofondatori del PDE. Quel PD dal quale, molti degli stessi attuali esponenti di Tempi nuovi, sono usciti, dopo l’infelice esperienza vissuta da sostanziali emarginati di un partito nel quale “ è sempre il cane che muove la coda”.

    Caro Susta, ciò che ci divide in questo momento è la diversa prospettiva: tu continui a guardare al tema delle alleanze, verso quel sol dell’avvenire che si dovrebbe incontrare con una rinnovata collaborazione con Renzi e il PD europeo. Un PDE che, a parte i soci cofondatori da te citati, oggi è inconfondibilmente caratterizzato dall’egemonia del partito più forte, ossia di Macron ( En marche), mentre, da parte mia, rivolgo interesse primario al tema della nostra ricomposizione politica. Intendo quella della vasta e articolata area cattolica, nelle sue tre espressioni storico culturali più importanti: democratica, liberale e cristiano sociale. Tema che si può efficacemente perseguire, non dividendoci sulle alleanze a destra o a sinistra, ma rimanendo fermamente al centro, alternativi alla destra nazionalista e sovranista e alla sinistra ridotta dalla Schlein a “ partito radicale di massa”. Perché tale progetto si avveri  non possiamo dividerci alle elezioni europee tra chi, come me e tanti altri amici, dalla DC di Cuffaro e Grassi ad Iniziativa Popolare, Federazione dei DC e Popolari e altri movimenti e gruppi politici, intendono rimanere legati al Partito Popolare Europeo dei padri fondatori DC, pena la nostra sostanziale irrilevanza. Il PPE è il partito nel quale il ruolo preminente oggi è quello della CDU tedesca, il cui programma è quello più vicino alla nostra cultura politica, sia con riferimento ai principi della dottrina sociale cristiana, che a quelli euro-atlantici da sempre difesi e consolidati da Adenauer, Khol, Merkel e dall’attuale presidente, Ursula von der Leyen. Scegliere, come ha deciso Tempi Nuovi e da te condiviso, di andare al voto europeo insieme al Partito Democratico europeo, vorrebbe dire rinunciare ai voti di quell’area cattolica liberale e cristiano sociale che è fortemente orientata per il PPE.

    In secondo luogo, come ho scritto nel mio articolo “ datato”, la scelta di Tempi Nuovi comporta lasciare a Forza Italia e all’UDC di Cesa il ruolo dominante italiano nel PPE. Io credo, invece, che una lista unitaria della nostra area, che si presentasse forte nelle sue tre componenti con chiaro orientamento per e nel PPE, potrebbe raccogliere il consenso ampio delle tre aree della nostra realtà, ma, soprattutto, favorirebbe il ritorno al voto dei tanti renitenti che hanno abbandonato la scheda da diverse tornate elettorali.

    Come è emerso nel recente importante incontro promosso dagli amici di Iniziativa Popolare con alcuni esponenti della nostra area DC e Popolare, altra cosa sarebbe quella di un accordo di lista con amici del centro già collegati con il PDE, al fine di favorire una futura convergenza europea come quella che ha portato all’elezione alla Presidenza UE della Von der Leyen. Anche in tal caso, però, meglio, molto meglio e più opportuno, presentarci  tutti noi uniti nella lista dei DC e Popolari italiani.

    Sarò “ datato”, caro Susta, ma vengo da una scuola politica di una grande leader, Carlo Donat Cattin, che ci ha sempre insegnato che il nostro ruolo era di porci come parte avanzata di un partito di centro moderato, piuttosto che, come avete dolorosamente sperimentato molti di voi, sottoposti in un partito di sinistra, senza più i riferimenti storico culturali della sua tradizione.

    Continuo a ritenere che, alla fine, prevarrà il buon senso e insieme ci impegneremo tutti per riportare in campo gli interessi e i valori della nostra migliore storia politica.

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 22 Dicembre 2023


Segnali timidi e contraddittori

 

Il 14 Dicembre scorso si è riunito il comitato direttivo nazionale di Tempi Nuovi, di cui “ Il Domani d’Italia”, ha pubblicato il testo dell’introduzione dell’On Fioroni. Non sapendo se, alla fine, sia stato approvato un documento, posso solo fare riferimento a quanto indicato da Fioroni nel suo intervento.  Credo sia quanto mai interessante e condivisibile quanto affermato da Fioroni: “Occorre da un lato ricomporre l’area cattolico popolare e sociale, oggi ancora frammentata e troppo dispersa o ridotta a giocare un ruolo del tutto ininfluente, se non addirittura inutile, sia a destra che a sinistra; come pure, dall’altro, rilanciare un Centro dinamico, innovativo, riformista e di governo attraverso la riscoperta di una vera e credibile “politica di centro”. Obiettivi che richiedono, però, uno sforzo di unità e di inclusione che superino definitivamente ed irreversibilmente le piccole meschinità, personali e politiche, a cui abbiamo assistito in questi ultimi tempi in un campo che era e resta decisivo per il rinnovamento e il cambiamento della politica italiana. Perché un luogo politico centrista e riformista non potrà che essere culturalmente plurale e con una leadership diffusa. Dove, cioè, vince il pluralismo e la convergenza di più culture politiche per riaffermare con forza e convinzione un progetto politico che sia in grado di battere alla radice quel bipolarismo e quella radicalizzazione della lotta politica che erano e restano nefasti per la qualità della  nostra democrazia”.

Una proposta che, tuttavia, contraddice nel suo proposito di ricomporre, quanto lo stesso Fioroni, poco più avanti afferma: “Tempi Nuovi ha pertanto aderito al Partito Democratico Europeo perché sicuramente, più di quanto possa accadere stando nel Partito Popolare Europeo – tradizionale luogo di convergenza storica, fino all’ingresso di Forza Italia e del Partido Popular, dei partiti di autentica matrice democratico cristiana – questa scelta garantisce il prosieguo della cooperazione tra le grandi famiglie dell’europeismo, in contrasto con l’avventura di un governo europeo di tipo conservatore, fatalmente esposto alle insidie della destra nazionalista”.

Come ho avuto modo di esporre in un mio articolo ( vedi Il Domani d’Italia del 7 Giugno scorso: Dibattito- Uniti alle europee? Occorre superare la diaspora  post DC) ; “il discrimine da condividere alle europee dovrebbe essere la scelta a sostegno del Partito Popolare Europeo, l’unica famiglia politica nella quale possiamo collocarci in continuità con la scelta dei padri fondatori: De Gasperi, Adenauer, Monnet e Schuman. Guai se favorissimo, con scelte divisive e miopi, il tentativo della Meloni di collegare i conservatori e la destra europea al Ppe perché, a quel punto, di ricomposizione della nostra area politico culturale ne parleranno i nostri nipoti. “

Non comprendo perché i DC e i Popolari dovrebbero cambiare la loro naturale collocazione nella casa fondata dai padri, per inserirsi in quel partito di Macron, espressione dei poteri finanziari a livello europeo e mondiale, lasciando la strada aperta nel Ppe ai partiti dell’area di destra e moderata della politica italiana. Meglio lasciare questa, a mio parere errata direzione di marcia, al leader di Rignano sull’Arno, Matteo Renzi, noto consulente e relatore ai seminari di studio di quei poteri. Renzi che, da leader del PD, non fu una della cause delle difficoltà di diversi amici Popolari a restare in quel partito nel quale, come ben ammoniva Carlo Donat Cattin: “ è sempre il cane che muove la coda”?.

Come ho scritto più volte, impegniamoci prima a raccogliere le firme per la presentazione di una lista unitaria della nostra area alle elezioni europee, ricompattando a livello territoriale le diverse componenti, sin qui sparse e/o disperse, preparando in tal modo il terreno per riproporre le nostre indicazioni di programma dettate dalla lettura dei bisogni della società italiana, alla luce dei principi della dottrina sociale cristiana e della fedeltà ai valori della Costituzione repubblicana, alle successive elezioni amministrative e alle politiche nazionali.

Ettore Bonalberti

Venezia, 20 Dicembre 2023

 

Non perdiamo altro tempo

 

Siamo al limite del tempo massimo consentito per l’eventuale raccolta delle firme per una lista unitaria dell’area politica cattolica: democratica, liberale e cristiano sociale, necessarie per poter partecipare autonomamente alle prossime elezioni europee.

La possibilità offerta dalla legge elettorale proporzionale che regola il voto europeo dovrebbe suggerire il buon senso e permetterci di superare le suicide divisioni che hanno caratterizzato la lunga stagione della diaspora, tutt’ora in atto. A sinistra, si è sentita la voce  dell’amico Castagnetti interessato a richiedere “ un posto in segreteria” per i  popolari nel partito democratico, per il quale la Schlein ha contribuito a confermare la profezia di Del Noce di un “ partito radicale di massa”. Da quel fronte, dunque, come ha ben rilevato Giorgio Merlo nel suo ultimo articolo su “Il Domani d’Italia”, nessun segnale di novità o di movimento, quanto piuttosto la continuazione del vecchio gioco degli “indipendenti di sinistra “ di ricercare o ricevere qualche posizione sicura nel partito e nelle liste elettorali.

Anche sul fronte delle diverse formazioni partitiche di ex DC al centro, sono timidi i segnali orientati al progetto di ricomposizione politica, anche se qualche novità è emersa dal gruppo di Insieme, Iniziativa Popolare e di Piattaforma Popolare 24, in attesa di conoscere se e quali decisioni saranno assunte dagli amici di Tempi Nuovi.

Interessante e fuori dagli schemi consueti la proposta della DC di Cuffaro di una lista unitaria dei “Liberi e Forti”, che potrebbe rappresentare lo strumento per presentare finalmente una rappresentanza ampia e plurale dell’area cattolica e popolare alle elezioni europee.

Una lista che necessiterebbe della raccolta delle firme per esser rappresentata; un impegno che permetterebbe di sondare la consistenza reale del consenso esistente nei diversi  collegi elettorali. Auguriamoci che tale offerta vada a buon segno, quale scelta alternativa al prevalere di logiche derivanti da egoistici interessi particulari di quanti sembrano preferire la più comoda collocazione in sicure liste di destra o di sinistra.

Una cosa è certa: o cogliamo quest’occasione e facciamo prevalere il buon senso, sperando che, come scrive Manzoni nei Promessi sposi, non se ne stia “nascosto per paura del senso comune”, oppure non ci resterà che ripartire, con grande umiltà, dalle periferie, cercando di rimettere insieme quanti si ritrovano sui valori del popolarismo sturziano e degasperiano, in vista delle elezioni locali: comunali, provinciali e regionali.

Tutto ciò per preparare al meglio la lista unitaria dei cattolici democratici, liberali e cristiano sociali alle prossime elezioni politiche, per le quali sarà indispensabile batterci per una legge elettorale proporzionale. Obiettivo che si potrà ottenere, io credo, solo cercando la più ampia maggioranza politica e parlamentare sul sistema del cancellierato alla tedesca. Un punto di mediazione tra la “deforma costituzionale” della Meloni, e la difesa passiva dell’esistente. Con il cancellierato alla tedesca, si reintrodurrebbe la legge elettorale proporzionale e si sperimenterebbe l’istituto della sfiducia costruttiva, che ha garantito alla Germania la stabilità politica. Servirà anche una seria revisione degli errori compiuti con la modifica al Titolo  Quinto della Costituzione, per garantire un diverso e innovativo rapporto tra Stato e Regioni, sul piano dell’autonomia differenziata, nella garanzia dell’uniformità dei servizi fondamentali dal Nord al Sud d’Italia. Questo, io credo, sarebbe quanto dovremmo impegnarci a perseguire, in una fase storico politica interna e internazionale nella quale la presenza di una realtà politica organizzata di ispirazione democratica e popolare è quanto mai necessaria.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 12 Dicembre 2023

 

 

  • Scelte chiare per il Parlamento europeo

  • Si è aperta una gara fratricida a destra tra Salvini e Meloni per accreditarsi i voti alle prossime europee, con grave danno per l’immagine del nostro Paese all’estero. Presidente del consiglio con il vice Taiani, ministro degli esteri, schierati su posizioni nettamente euro atlantiste, mentre l’altro vice presidente del consiglio, Salvini, è fermo su posizioni anti UE e filo putiniane. In situazioni analoghe nella prima  Repubblica si andava alla crisi di governo. Ora sarebbe logico attendersi da parte delle minoranze la richiesta di un dibattito parlamentare sulla politica estera del governo, da concludersi con un voto, affinché ogni attore in commedia si assuma le proprie responsabilità.

    Se a destra ci si rincorre tra Fratelli d’Italia e Lega per non perdere il voto sovranista e nazionalista, anche al centro e alla sinistra le cose non vanno meglio, considerati i diversi schieramenti cui i partiti di quest’area fanno riferimento a livello europeo.

    Considerato  che si voterà per l’elezione del nuovo parlamento europeo, a me sembra che sarebbe corretto chiarire agli elettori e alle elettrici a quali aree politiche ci si intende collegare dopo il voto. Se a sinistra sembra scontato che i diversi partiti di quest’area faranno tutti riferimento a livello europeo al PSE, assai più frastagliata è la  situazione dei partiti che, a diverso titolo, si dichiarano “al centro” della politica italiana.

    Una divaricazione tanto più incomprensibile per i diversi partiti e movimenti dell’area cattolica, i quali, volendo essere coerenti con la loro storia e tradizione culturale e politica, dovrebbero tutti riferirsi al PPE, non solo perché quella è la casa dei padri fondatori, ma considerando  che il programma del maggior partito di questo schieramento europeo, la CDU, è quello che fa diretto riferimento ai principi dell’economia sociale di mercato e ai principi della dottrina sociale cristiana. Ecco perché non comprendiamo la disponibilità espressa da qualche amico per un’alleanza preventiva con Renzi, il quale ha già deciso che, in caso di elezione a Strasburgo e a Bruxelles, farà riferimento allo schieramento di Macron che, con la nostra tradizione politica, ha ben poco da spartire.

    Ancor più incomprensibile quanto hanno più volte espresso amici come l’On Fioroni e altri, che sognano il ritorno alla Margherita o all’Ulivo, e che, in caso di elezione al parlamento europeo, finirebbero con lo schierarsi a fianco dei partiti del gruppo socialista.

    Certo oggi il PPE vede la più ampia rappresentanza italiana espressa da Forza Italia la quale, acquisita la disponibilità della DC di Cuffaro, ne ha declinato l’offerta, escludendo in ogni caso l’inserimento del simbolo di quel partito insieme a quello del partito del Cavaliere.

    Cuffaro ha rilanciato ipotizzando la lista dei “Liberi e Forti”, un progetto interessante che andrebbe seriamente discusso se, come da qualche tempo anche gli amici di Iniziativa Popolare perseguono, fosse lo strumento per un primo passo di ricomposizione politica dell’area cattolica, unita nella prospettiva del sostegno al PPE e, strategicamente orientata a realizzare analoghe convergenze alle prossime elezioni comunali, provinciali e regionali, sino alle future elezioni politiche.

    L’incontro annunciato a Roma dai giovani coordinatori del gruppo di Iniziativa Popolare, Mattia Orioli e Roberta  Ruga, il prossimo 12 dicembre con i rappresentanti dei diversi partiti e movimenti politici dell’area cattolica italiana, servirà proprio a verificare la disponibilità di quanti sono pronti per la raccolta delle firme necessarie per la presentazione delle liste nei diversi collegi, insieme alla volontà di battersi per una proposta di segno alternativo al progetto di deforma costituzionale indicato dal governo della destra, come già si fece al tempo del referendum promosso da Renzi. Ci auguriamo che il 12 dicembre possa nascere un progetto serio di Federazione dei DC e Popolari, che sappia riprendere quanto di positivo avevamo già sperimentato con l’iniziativa  dell’On Gargani, alla quale aderirono oltre cinquanta tra partiti, movimenti, associazioni e gruppi della nostra area DC e Popolare.

     

    Ettore Bonalberti

  • 6 Dicembre 2023

     

E’ sempre il cane che muove la coda

 

A quegli amici che negli anni ’70-80 dopo la DC tentavano l’avventura nel PCI, Carlo Donat Cattin ricordava che in quel partito: è sempre il cane che muove la coda. Un aforisma che se vale per la sinistra si conferma quanto mai attuale anche per la destra oggi al potere.

Quelli che hanno fatto l’esperienza nel PD hanno potuto accertare sulla propria pelle la fondatezza di quel monito, ma la stessa condizione è quella vissuta dai vari  ex DC, oggi vassalli di Forza Italia o della Lega. Solo il vecchio “fico del bigoncio”, Rotondi, pur di galleggiare, continua a sostenere l’assurda teoria del partito della Meloni come nuova DC 2.0.

Nonostante tutto ciò e i molti tentativi sin qui compiuti per la ricomposizione politica dell’area cattolica, alla vigilia delle prossime elezioni europee, gli ex DC e Popolari si dividono tra chi cerca una facile candidatura in una lista di destra o di sinistra e chi, come Iniziativa Popolare, sollecita una lista unitaria dei cattolici, raccogliendo insieme le firme necessarie per la sua presentazione. Se l’obiettivo principale fosse quello di inviare qualche rappresentante al parlamento europeo, la scelta più facile dell’inserimento in una delle liste d’area, sarebbe comprensibile. In quel caso, però, si dovrebbe chiarire l’esito successivo di quella scelta, considerate le diverse e opposte opzione che destra e sinistra si accingono a compiere sul piano europeo. La sinistra, divisa tra la fedeltà al PSE e i renziani già accasati con “en marche”, il partito di Macron;  la destra, altrettanto divisa tra le opzioni della Meloni ( conservatori con Fitto ?) o estrema destra con Salvini. Sono entrambe posizioni incompatibili per noi DC e Popolari con i quali, fedeli alla migliore tradizione europeista dei padri fondatori DC, riteniamo sia il PPE la nostra casa madre di riferimento.

Oggi quell’area è ben presidiata da Forza Italia, grazie alla scelta che, a suo tempo, compì Berlusconi, sollecitato da due democristiani di razza, come Sandro Fontana e don Gianni Baget Bozzo. E’ la scelta che Cuffaro ha già deciso di far compiere alla DC, divenuta il suo feudo ben presidiato dal consenso siciliano, conseguente a quelle da lui già compiute in sede regionale con tutta la destra.

Gli amici di Tempi Nuovi, per bocca di Fioroni, sembrano ambire a un’alleanza con ciò che rimane del PD renziano. Una prospettiva assai lontana da quanto l’amico Merlo va descrivendo con i suoi ottimi articoli sulla storia e la tradizione politica della sinistra sociale democratico cristiana.

Restano gli amici di Insieme ( Infante) e di Base Popolare ( Mario Mauro, Quagliariello, De Mita) e quelli coordinati dall’On Tarolli e gli oltre cinquanta firmatari dell’atto costitutivo della Federazione dei DC e Popolari presieduta dall’On Gargani. Infine dobbiamo valutare il ruolo che possono e debbono svolgere, con la vasta area di movimenti, gruppi, associazioni dell’area cattolica,  le numerose casematte democristiana nate dalla diaspora post 1993 tuttora dolorosamente in atto.

Credo, però, che rispetto a quest’obiettivo dell’elezione di un deputato al parlamento europeo, sia molto più importante quello di avviare il progetto di ricomposizione politica dei cattolici, convinto come sono, che un centro democratico, alternativo alla destra nazionalista e falsamente sovranista e alla sinistra ridotta a partito radicale di massa, non possa nascere senza l’apporto di una forte componente cattolica: democratica, liberale e cristiano sociale. Ecco perché impegnarci tutti insieme alla raccolta delle firme necessarie per la presentazione di una lista alle europee, può e deve rappresentare l’occasione per verificare quanti siamo, su chi possiamo effettivamente contare e preparare, in tal modo, una mobilitazione dal basso, premessa indispensabile per poter partecipare alle successive elezioni regionali, provinciali e comunali e a quelle delle prossime elezioni politiche.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 1 Dicembre 2023

 

 


Stato dell’arte

 

Impegnati a concorrere alla costruzione di un’alternativa credibile al governo della destra nel nostro Paese, è necessario partire dai dati concreti della realtà effettuale, per non cadere in velleità ideologiche senza riscontro nei fatti.

In questi giorni l’ultima valutazione del rating ha visto Moody’s confermare la sostanziale stabilità dell’Italia e un aumento dell’outlook, dimostrazione di un giudizio positivo dei poteri finanziari sulle scelte moderate del ministro Giorgetti, in attesa di ciò che potrà accadere a breve in merito al voto sul MES, cartina di tornasole non più rinviabile dei rapporti tra governo Meloni e Unione Europea.

Se con il giudizio di Moody’s il governo può cantare legittimamente vittoria, molto diversa è la concreta realtà sociale ed economica del Paese.

Il recente rapporto della Caritas stima la povertà assoluta dell’Italia vicina al 10%, più di due milio di famiglie, con oltre un milione di giovani in una condizione di precarietà destinata a essere ereditata tra le generazioni. Scrive infatti il rapporto della Caritas: “Quasi il 45% di nuovi poveri nei centri Caritas. Uno su cinque tra gli assistiti, cresciuti del 12% in un anno, ha un lavoro. Continua lo scandalo di 1,3 milioni di minori in povertà educativa; aumentano poveri assoluti a quota 5,6 milioni; in 14 a rischio'”. Siamo al triplo rispetto a quindici anni fa. Da fenomeno “residuale” a fenomeno “ strutturale”.

A questa situazione si può porre rimedio soltanto con una politica orientata alla crescita economica che reclamerebbe, però, una politica fiscale e industriale o carente, come nel caso della seconda, o, addirittura rovesciata nei fini, per quanto attiene alla politica fiscale.

Ho più volte evidenziato che ogni politica di riforme serie in Italia e in Europa è difficile da attuare se non si supera la condizione di subordinazione dell’economia reale e della stessa politica alla finanza di un turbo capitalismo, che ha rovesciato i principi essenziale del NOMA ( Non Overlapping Magisteria) di cui ha scritto pagine encomiabili il prof  Zamagni.

Ciò comporterebbe per l’Italia l’immediato ritorno alla legge bancaria del 1936, che stabiliva la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria. Una legge nata dopo la crisi del 1929, a imitazione di quella USA, Glass-Steagall, su iniziativa di Beneduce e conservata dalla Banca d’Italia guidata da Guido Carli sino all’infausto Decreto Amato-Ciampi che ha determinato l’attuale situazione.

La questione fiscale italiana è rappresentata dagli ultimi dati che vedono redditi dichiarati dal solo 44% e  con il 14% ( per lo più lavoratori e pensionati) che sostengono il carico prevalente IRPEF nel nostro Paese. il 44 per cento dei contribuenti paga oltre il 92 per cento dell'imposta, con un gettito complessivo pari a 175,17 miliardi di euro nel 2021. Il restante 56 per cento contribuisce al gettito fiscale per il 7,38 per cento.

Una condizione, che nel Paese dei nostri cugini francesi riempirebbe le piazze di protesta, in Italia sollecita,invece, uno dei vice presidenti del consiglio a prendersela con i sindacati CGIL e UIL, ricevendo come risposta, quella di uno striscione dei manifestanti a Padova: “Salvini invece di precettare vai a lavorare….. “

Questo scempio a ogni ragionevole condizione di rispetto dell’art 53 della Costituzione (Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività) deve essere superato, mentre il governo della Meloni continua a strizzare gli occhi agli evasori, con provvedimenti tesi a lisciare loro il pelo, alla ricerca di un facile consenso elettorale.

Sarà la situazione sociale ed economico fiscale concreta del Paese a creare le condizioni di una crisi, che si riverbererà sul piano politico istituzionale, per il venire meno di quell’equilibrio di interessi e di valori che sta alla base della tenuta del sistema. Ecco perché continuiamo a credere che serva all’Italia il ritorno in campo della cultura del popolarismo, ispirato dai principi della dottrina sociale cristiana e dalla volontà di difendere e attuare integralmente la Costituzione repubblicana, per il quale è indispensabile batterci tutti insieme per la ricomposizione politica  della nostra area. Altro che le deformazioni costituzionali indicate dalla Meloni, contro le quali dobbiamo mettere in campo subito il nostro comitato dei Popolari per il NO.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 19 Novembre 2023

 

 

 

Vogliamo dialogare su alcune idee di programma?

 

Raccolgo l’invito dell’amico Davicino espresso nel suo articolo del 15 Novembre su Il Giornale d’Italia ( “ Centro barcollante, non rinunciamo a un progetto di ampio respiro”) inviando alcune idee di programma, come contributo personale di “un osservatore partecipante”, con la speranza che possa aprirsi un proficuo confronto con gli amici dell’area politica di ispirazione cattolica: democratica, liberale e cristiano sociale.

Alla vigilia delle elezioni europee (primavera 2024) e con l’avvio del progetto di deforma costituzionale decretato dal governo della destra, credo che, accanto alle indicate priorità di una lista unitaria d’area e dell’avvio del comitato dei DC e Popolari per il NO, sia opportuno dialogare su alcune proposte di programma coerenti con gli interessi e i valori del nuovo centro che vorremmo concorrere a realizzare, noi di area cattolica  ispirati dai principi dell’umanesimo cristiano e della dottrina sociale cristiana.

In estrema sintesi le mie idee sono:

 

1. Riconferma della nostra storica alleanza europeista e occidentale, con l’impegno a

costruire un’Unione europea di tipo federale, che sappia superare i limiti e le

contraddizioni del patto di Maastricht e del sistema delle decisioni all’unanimità, e che,

specie dopo questa tragica vicenda della guerra russo-ucraina, sappia organizzare una

propria force de frappe in alleanza con la NATO, uscendo dalla condizione di gigante economico, nano politico, ectoplasma militare. Per le prossime elezioni europee lista unitaria dell’area cattolica democratica, liberale, cristiano sociale, collegata al PPE.

2. Conferma della costituzione repubblicana, piccoli adeguamenti a garanzia

dell’elettore/cittadino, nuovo rapporto Stato/Regioni con funzioni solo nazionali e

autonomia per tutti, da nord a sud, a gradi con verifiche pattuite per delega; più

attenzione, sanzioni certe e controlli degli atti pubblici. Contro il progetto di deformazione costituzionale avviato dalla destra al governo, formazione immediata del comitato dei DC e Popolari per il NO.

3. Stato più efficiente, meno costoso, semplificazione ministeri, massima digitalizzazione;

dipendente pubblico un esempio positivo per il privato; meno dirigenti, più

responsabilità, più stipendio; riduzione dei passaggi; libertà di accesso e

autocertificazioni, ma controlli severi immediati sanzioni certe a valle; no flat tax

lineare, ma tasse più imposte sempre proporzionali al reddito familiare, ISEE per tutto

su base biennale; una sola Camera legislativa; un Senato per alte questioni; meno

regioni e più macroregioni; Province più efficaci di aggregazione; Comuni confinanti

aggregati, minimo 3000 abitanti per comune, massimo 4 fusioni;

4. Legge elettorale di tipo proporzionale e istituto della sfiducia costruttiva.

5. Applicazione dell’art.49 della Costituzione sulla democrazia interna dei partiti

6. Ambiente clima come primario obiettivo salute; contatti con associazioni propositive e

con soluzioni; niente barricate, ma progetti concreti urbani; puntare al 100% di mezzi

pubblici non inquinanti; uffici pubblici tutti con utenze non inquinanti da scuole a

comuni; fotovoltaico solo su tetti e aree già cementate; recupero ovunque acqua

piovana, più bacini; solo pompe di calore e solo auto in garage per nuove costruzioni;

7. Programma di politica attiva del lavoro non slegato da riforme fiscali e del cuneo

contributivo, oltre che con l’inserimento di una pensione autonoma integrativa legata a

quella previdenziale pubblica; uguaglianza contrattuale e stipendi uomini donne, di

genere, pubblici e privati; normare contratti regionali e specialistici; governare le

differenze fra imprese piccole e grandi; regime fiscale plusvalenze grandi imprese;

modello scolastico performante il lavoro; per certi aspetti fiscali e tributari il lavoro del

politico equiparato agli altri; diritti e doveri hanno lo stesso peso sociale e civile;

8. Riduzione perequazione sociale reddituale; reddito sociale minimo dopo severi

controlli individuali e di famiglia un ISEE per tutto (anche per diversi pagamenti);

assegnazione lavori di pubblica utilità servizio assistenza a chi percepisce un reddito

vitale; ripristinare a scuola l’educazione civica e morale e inclusione; tariffe e canoni in

base al reddito; reddito in base al ricavo lordo per tutti i lavoratori; sanità scuola

lavoro sono le uniche voci dello Stato (non delle macroregioni) che possono essere in

rosso o possono creare debito pubblico; più controlli preventivi e a valle con più forze

dell’ordine per strada in luoghi pubblici;

9. Famiglia prima figura sociale di educazione formazione, base essenziale della società,

da difendere e promuovere per le sue funzioni e aspetti personali e sociali

10. Valorizzazione dei corpi intermedi, indispensabili per un’autentica politica ispirata dai

principi della solidarietà e sussidiarietà

11. Europa sempre, ma meno burocrazia e costi fissi; più perequazione su certi temi: una

difesa unica; ufficio unico per affari esteri; fiscalità e tributi uguali in area euro in

proporzione produttività e redditività netta; tasse e imposte uguali per tutte le major

del web, energia, farmaceutica; contratti strategici unici; difesa della qualità a tavola;

lealtà e rispetto degli asset singolo paese; condivisione surplus finanziari;

12. Predisporre un piano nazionale industriale che manca da 40 anni partendo dagli asset

pubblici-privati e quelli privati (turismo, alimentazione, porti, meccatronica, acciaio …)

inalienabili, che siano reddituali o almeno autosufficienti; e anche un piano nazionale

agroalimentare che sia ambientale e strategico per le nuove generazioni;

13. Predisporre un piano economico nazionale sociale-civile-vitale legato alla sussidiarietà

attiva, sociale, civile, sussidiaria ecologica e ambientale, deve essere prioritaria in ogni

esercizio e campo al posto di quella solo monetaria e solo finanziaria, ritorno alla

economia reale in certi settori, chiudere le delocalizzazioni d’imprese, controllo e

tassazione delle mega rendite anche finanziarie e della gestione patrimoni e

assicurazioni da reinvestire nel sociale transizione ecologica,

14. Grande progetto integrato da più funzioni per i 2/3 del territorio italiano

montano/collinare più vulnerabile, svantaggiato, difficile, abbandonato che può

crollare a valle, ma anche premiato e autentico patrimonio culturale paesaggistico

nazionale che ha in se già milioni di posti di lavoro e fare in modo che ritornino gli

occupati a fare impresa e servizi, dalle scuole ai pronto soccorso, dalle regimazioni

idrauliche all’antropologia di servizio;

15. Giustizia a misura del cittadino e non del magistrato; veloce, certo, equo; separazione

drastica delle carriere; autogoverno magistrati composto da meno membri più laici e

meno togati, non attivi; eliminare legame amministrativo legale fra politico e

magistrato; nessun rientro di carriera chi fa il politico; sanzioni esemplari per fuga di

notizie e veline di atti processuali di chiunque; carriere certificate con parametri

pubblici; nuovo processo penale, carceri più vivibili, più sanzioni amministrative e

servizi sociali al posto delle pene lievi, certezza assoluta e nessuna discrezionalità della

sentenza definitiva per i reati gravi

Tutto ciò avendo consapevolezza, che ciò che ci aspetta dopo la fine della sanguinosa guerra di

aggressione russa all’Ucraina, sarà particolarmente oneroso per le famiglie e le imprese,

permanendo l’esigenza di trovare le alternative alla nostra attuale dipendenza energetica al

gas e al petrolio russo, incrementando l’utilizzo delle energie alternative e delle disponibilità

di gas del nostro territorio, nuove fonti di approvvigionamento internazionali, accanto allo

sviluppo delle nuove tecnologie dell’idrogeno e del nucleare.

Prioritarie restano da risolvere con estrema urgenza: la ricostruzione della Sanità pubblica, la

digitalizzazione del Paese, l’edilizia scolastica, la conversione energetica, la sicurezza

idrogeologica del territorio. Suggerisco, infine, quanto ho già avuto occasione di esporre, ossia

che per un’autentica ed efficace politica riformatrice tale da contrastare e battere lo

strapotere della finanza che ha sin qui reso subalterne ai propri obiettivi sia l’economia reale

che la stessa politica, sia indispensabile compiere le seguenti scelte di politica economica

finanziaria:

1. Obbligo di cessione al Tesoro dello Stato italiano da parte di Telecom Italia Sparkle

della proprietà dei cavi sottomarini, necessari alla comunicazione intranet dei movimenti

elettronici del denaro nel sistema bancario italiano (=abolizione della L.58 del 28 Gennaio

1992 e della Legge n. 35 del 29 gennaio 1992)

2. Controllo Statale sulla raccolta del risparmio tra il pubblico mediante compagnie

assicurative statali = abolizione del DPR n. 350/1985 firmato da Sandro Pertini

3. Obbligo di cessione da parte di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna,

Carige e BNL del 51% delle loro azioni al Tesoro dello Stato Italiano al fine che lo Stato

italiano abbia, con 265 voti su 529, il controllo del 51% di Banca d’Italia (abolizione della L.82

del 7 Febbraio 1992), al fine che Banca d’Italia possa di nuovo dopo 25 anni tornare a vigilare

per impedire truffe sui derivati e su azioni/bond carta straccia, e per impedire anatocismo e

usura bancaria.

4. Reintroduzione della Legge Bancaria del 1936 (abolizione del decreto legislativo n.

385/1993):

5. SEPARAZIONE TRA BANCHE DI PRESTITO (loan bank) e BANCHE SPECULATIVE

(investment bank) : abolizione del d.lgs n.481/1992 firmato da Giuliano Amato, Barucci e

Colombo. Automatica re-introduzione della contabilità bancaria esistente prima del 31 Luglio

1992 (abolizione del Provvedimento di Banca d’ Italia del 31 Luglio 1992 firmato da Lamberto

Dini al fine di fermare l’evasione fiscale verso i fondi speculatori petroliferi kazari proprietari

della City of London e sede fiscale a tassazione zero nello stato USA del Delaware)

6. Divieto di prestare denaro creato con un clic elettronico anziché raccolto tra il

pubblico

7. Riduzione del capitale flottante di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna,

Carige, BNL e di ogni altra società italiana strategica quotata in borsa (ENI,…) dall’attuale

85% del capitale totale, al 15%, al fine di evitare scalate da parte dei fondi speculatori

petroliferi kazari.

8. Divieto di vendite allo scoperto (divieto di short -selling) sia di tipo naked (presa in

prestito di titoli inesistenti per es. di MPS per farle crollare, le uniche finora vietate dall’UE) e

di quelle piene. Divieto in sostanza di ogni tipo di vendita allo scoperto contro titoli di società

italiane quotate alla borsa di Milano.

9. Abolizione del CICR (è l’ufficio di controllo occulto di Banca d’Italia)

10. Conferire il potere ISPETTIVO sia a Banca d’Italia che alla Consob, in aggiunta a quello

di vigilanza

11. Separare la Consob dal controllo di Banca d’Italia al fine di avere un organo ispettivo

indipendente. Possibilità anche per la GDF e per la Polizia di Stato di compiere ispezioni in

materia finanziaria, in materia di borsa.

12. Divieto per famiglie, imprese ed enti locali italiani di sottoscrivere derivati sulla

valuta(=abolizione del DPR n.556/1987 emesso su proposta del Ministro del Tesoro Giuliano

Amato) e derivati sul tasso (=abolizione del D.M. del Tesoro n. 44 del 18 febbraio 1992

firmato da Mario Draghi)

13. Divieto al Governatore di Banca d’Italia di variare il tasso ufficiale di sconto (abolizione

della L.n. 82 del 7 Febbraio 1992) al fine di evitare le truffe sui derivati sul tasso

14. Divieto di anatocismo nei conti correnti, leasing, mutui, prestiti con cessione del quinto e

in ogni altra forma di prestito

15. Abolizione del piano di ammortamento alla francese, lecito solo il piano di

ammortamento all’italiana (quote capitali sempre uguali).

16. Divieto di usura oggettiva (supero tasso soglia) e divieto di usura soggettiva (supero

tasso medio). Introduzione della rilevanza immediatamente penale anche del supero del tasso

medio indipendentemente dalla situazione di difficoltà economica-finanziaria del soggetto

cliente

17. Abolizione della disciplina fondiaria ex art 38 e seg. TUB

18. Riforma del Tribunale delle Esecuzioni immobiliari sulla prima casa e sull’immobile

sede dell’attività: divieto di esecuzione immobiliare sulla prima casa e sulla sede dell’attività,

obbligo di prolungamento del mutuo, in caso di difficoltà, ad un tasso massimo pari al tasso

d’inflazione. Divieto di neutralizzazione del Fondo Patrimoniale (è una figura giuridica

prevista dal 1936 a tutela della famiglia italiana).

19. Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3

immobili) in soggetti posti in qualsiasi ruolo e funzione del Tribunale addetti all’esecuzioni

immobiliari e nella sezione fallimentare.

Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3

immobili) nell’avvocato e dottore commercialista della curatela fallimentare, dei sequestri

immobiliari e quali procuratori per le banche nelle esecuzioni immobiliari e nel custode e

nel notaio delle esecuzioni immobiliari

20. Creazione della Procura Nazionale contro i Reati finanziari commessi da soggetti

speculatori esteri, con distaccamento in ogni DDA, collegata all’INTERPOL e per la

prevenzione di attentati terroristici e jihadisti da parte dei fondi speculatori atti a riottenere il

controllo privato delle banche italiane e dell’Ente dell’Energia italiano

21. Obbligo di almeno cinque Parlamentari di ogni forza politica di partecipare all’

Assemblea Annuale di Approvazione del Bilancio delle banche italiane azioniste di

maggioranza di Banca d’Italia, in quanto vero governo del sistema e termometro della salute

del paese.

Spero che questi miei contributi possano servire ad avviare un proficuo dibattito, dal quale si

possa giungere a un possibile accordo sul programma, indispensabile pre condizione per gli

sviluppi politico organizzativi successivi.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 17 Novembre  2023

 

 

 

Comitato dei DC e Popolari per il NO e Lista unitaria alle europee, le nostre priorità

 

 

I sondaggi politico elettorali sono profezie che si auto-adempiono o si auto-distruggono. La vulgata che si sta diffondendo, col sostegno del governo della destra e dei vari organi di stampa a esso vicini, sarebbe quella secondo cui: “ il popolo sarebbe favorevole al premierato”. E’ una tesi azzardata e  pericolosa, diffusa da una maggioranza fittizia che, alle ultime elezioni politiche, ha prevalso con un voto rappresentativo di metà dell’elettorato attivo italiano, ma che oggi controlla la quasi totalità dell’informazione radio televisiva.

 

Ora però, se si vuole contrastare questa pericolosa deriva, è necessario che i partiti e i movimenti delle culture che hanno contribuito al patto costituzionale, avvino senza indugi i comitati per il NO. Ciò è indispensabile anche per la vasta platea di partiti, movimenti, associazioni e gruppi dell’area cattolica: democratica, liberale e cristiano sociale. Abbiamo già svolto questa importante funzione al tempo del referendum renziano e, a maggior ragione, dobbiamo farlo ora, che si tenta di stravolgere la costruzione alla quale hanno contribuito i nostri padri DC fondatori: De Gasperi, Dossetti, La Pira, Mortati, Moro, Gonella….

 

Ecco perché rivolgiamo un pressante appello agli amici della Federazione DC e Popolari che furono, con l’On Gargani, Tassone e altri, i promotori di quel Comitato, affinché avviino immediatamente la costituzione del comitato dei Popolari per il NO, con gli amici della DC, di Insieme, di Tempi Nuovi e delle tante altre realtà della galassia DC e Popolare presenti in Italia. Non c’è più tempo da perdere, come non c’è più tempo per tergiversare sul progetto di una lista unitaria dei DC e Popolari alle prossime elezioni europee. Sarà quella una tappa importante, necessaria, ancorché non sufficiente, per concorrere alla costruzione del centro nuovo della politica italiana: democratico, popolare, liberale, riformista, euro atlantista, alternativo alla destra nazionalista e sovranista e a una sinistra ridotta a partito radicale di massa. L’equilibrio democratico dell’Italia è sempre stato fondato sulla saldatura tra gli interessi e i valori del terzo stato produttivo e delle classi popolari. Un equilibrio che la DC seppe garantire per oltre quarant’anni, insieme alle altre componenti di ispirazione laica, repubblicana, liberale e socialista.

 

Ancora una volta il centro nuovo della politica italiana dovrà nascere dalla confluenza di queste culture sulla base dell’incontro dei valori di riferimento essenziali; quelli dell’umanesimo popolare, liberale e socialista.

Noi di Iniziativa Popolare siamo pronti per tale progetto, attendiamo la disponibilità di tutti.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 15 Novembre 2023

 

 


Gli eventi si ripetono, ma ora servono decisioni

 

Sono intervenuto diverse volte sul tema della difesa idrogeologica del nostro Paese (vedi la nota della primavera scorsa che potete leggere su “Il Popolo” del 18 Maggio 2023).

Dopo le recenti vicende delle alluvioni in Toscana e nel Veneto, ho ripetuto il mantra: “Si ripetono alluvioni, smottamenti, frane, morti e ritorna la brutta realtà di un Paese vittima di un permanente degrado geologico. Vale sempre l’aforisma di Leo Longanesi: “ Italia, Paese di inaugurazioni e non di manutenzioni”. Intervenire ex post costa molto di più di prevenire” .

Un amico friulano, il Dr Danilo Bertoli, letta questa mia nota, mi ha scritto:

Caro Ettore, ti fornisco una chicca relativa al tema delle manutenzioni: nella mia attività parlamentare ho difeso l'autonomia funzionale e di bilancio del Centro di ricerche sismologiche di Udine dentro l'Osservatorio geofisico di Trieste.  A seguire il CRS di Udine ha siglato convenzioni con le Regioni Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Trentino- Alto Adige per mettere giù le stazioni di rilevamento sistematico del fenomeno e la loro elaborazione a fini predittivi. Oltre 20 anni fa, al momento in cui il prof.  Riuscetti era direttore di Dipartimento grandi rischi dell'Università di Udine, venne fatta la previsione che il prossimo terremoto si  verificherà tra Montebelluna e Sacile e farà 300 morti. Studi scientifici dicono che se si accadesse oggi un terremoto in Friuli come quello del 1976, che fece mille morti, le vittime non sarebbero  piu di 200 max 300. Ebbene, da allora il CRS di Udine non elabora i dati rilevati. Non sarebbe il caso che ci attivassimo perché le tre Regioni:

- rifinanzino la Convenzione e dotino il CRS del personale adeguato?

- nell'ambito dei fondi PNRR le Regioni Friuli-Venezia Giulia e Veneto facciano insieme un piano di interventi antisismici almeno nell'area Montebelluna Sacile.

Secondo il prof Riuscetti,  prosegue Bertoli, agendo in questo modo subito, le vite umane sacrificate potrebbero essere 30 max 40 invece delle 300 da mettere in conto senza i lavori edilizi per l'antisismica...

Giro il tema ai responsabili politici del Triveneto.

Venendo a un caso che ha riguardato sempre il Triveneto, come quello della tempesta Vaia che è stato un evento meteorologico estremo che ha interessato il nord-est italiano (in particolare l'area montana delle Dolomiti e delle Prealpi Venete) dal 26 al 30 ottobre 2018 sono ancor più gravi gli errori e le omissioni compiuti. A 5 anni da Vaia, infatti, nessun ripensamento sulla totale distruzione del sistema forestale regionale Veneto, dal 1977 di totale competenza regionale! Prima c’era l’Azienda regionale delle Foreste che, un’improvvida decisione della giunta Galan decise di incorporare in Veneto agricoltura, un ente che ha resistito tra mille difficoltà e molteplici competenze, sino alla fase dei “commissari tutto fare” e al progressivo svuotamento delle competenze e del ruolo del settore forestale. Credo che una riflessione critica su quanto accaduto andrebbe fatta nelle sedi competenti e si riconsiderino scelte politico  organizzative rivelatesi inefficienti e inefficaci.

Serve un piano nazionale di difesa idrogeologica e piani territoriali regionali ad hoc, impegnando i bilanci dello Stato e delle Regioni in un’opera di difesa idrogeologica dell’Italia non più rinviabile, se non vogliamo vedere il Bel Paese sbriciolarsi, con costi in vite umane e economico sociali sempre più alti e insostenibili.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 7 Novembre 2023

 


Perché al centro con il PPE

 


Dal tempo dell’Opera dei Congressi (1874-1904) alla nascita del PPI (18 Gennaio 1919) i cattolici  decisero di scendere in campo nella politica italiana, con l’obiettivo di inverare nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali della dottrina sociale della Chiesa. Dalla “Rerum Novarum “di Papa Leone XIII alle encicliche giovannee: “ Mater et Magistra” e “ Pacem in terris” sino a quella paolina: “ Populorum progressio”, furono sempre i principi ispiratori della DSC a guidare la loro azione politica,  dai Popolari di Sturzo alla DC di De Gasperi, Fanfani, Moro e degli ultimi democristiani della nostra quarta generazione.

Nella lunga stagione della diaspora ( 1993-2023), dopo la fine del partito, la DC, che aveva per oltre quarant’anni raccolto in larghissima parte il voto cattolico, si è accentuata sempre più fortemente la divisione tra cattolici della morale e cattolici del sociale, e si sono approfondite le fratture tra le tre componenti storiche da sempre presenti tra i cattolici italiani. Se “i cattolici democratici” hanno in larga parte concorso alla nascita del PD, dopo l’esperienza della “Margherita”, “i cattolici liberali” hanno finito col sostenere il partito di Berlusconi prima, e, nel 2022, almeno in parte, lo stesso partito di estrema destra di Giorgia Meloni.  Molti di noi, che siamo legati alla tradizione dei “cristiano sociali”, da Miglioli, Grandi, Gronchi, Pastore, Donat Cattin, Labor, Vittorino Colombo, Bodrato, Marini, Sandro Fontana, abbiamo scelto il ruolo di “ DC non pentiti”, ponendoci l’obiettivo assai arduo della ricomposizione politica dell’area cattolica, considerato che la suicida separazione del trentennio della diaspora, ha prodotto una sostanziale irrilevanza delle nostre voci.

Credo che adesso, com’è stato per tutto il tempo dell’esperienza politica dei cattolici italiani, anche alla luce dei recenti insegnamenti e sollecitazioni provenienti dagli ultimi pontefici, nostro obiettivo politico strategico debba rimanere quello dell’impegno a tradurre nelle istituzioni i principi della dottrina sociale cristiana, accanto al dovere di difendere e attuare integralmente i dettami della Carta costituzionale. Le encicliche sociali di papa Francesco ( “Laudato SI”, “Fratelli tutti”, insieme all’ultima esortazione apostolica “ Laudate Deum”) sono le stelle polari che indicano le priorità per noi cattolici nel tempo che ci è dato di vivere. Credo che sarebbe, dunque, necessario assumere decisioni sul piano politico organizzativo coerenti con tali insegnamenti.

Sappiamo che la condizione necessaria, anche se non sufficiente, per facilitare il progetto  della nostra ricomposizione politica, sta nel superamento delle leggi maggioritarie che, dal referendum Segni  in poi, hanno ridotto il sistema politico italiano a un bipartitismo forzato, che non esprime la realtà del Paese, stante una renitenza al voto sempre più elevata.

Ci eravamo illusi che col voto europeo, che si svolgerà con legge elettorale proporzionale, prevalesse il buon senso, favorendo l’avvicinamento delle diverse frazioni in cui tuttora si scompone la complessa  e articolata realtà culturale e politica dell’area cattolica. Invece, ancora una volta, sembrano prevalere nostalgie di vecchie formule già sperimentate all’interno del partito della sinistra, il PD, presentate come una seconda fase della vecchia Margherita, probabilmente con il compito di ricontrattare dall’esterno, in condizioni diverse, ciò che non si era potuto raggiungere prima, nella condizione subalterna vissuta in quel partito.

A me sembra un calcolo sbagliato, specie se per svolgerlo, si propone l’adesione al partito di Macron, “en marche”, nella sua versione di “Renew for Europe”. Che un movimento/partito, come “Tempi Nuovi”, di Popolari già facenti parte del PD, si propongano di partecipare alle prossime elezioni europee insieme a Calenda e/o Renzi, credo sia una strana capriola dalla Margherita in versione aperta alla sinistra, con Rutelli verso Veltroni, a una Margherita aperta a destra, verso i rappresentanti più autorevoli, come Macron, dei poteri finanziari dominanti.

Come si possano conciliare i principi e i valori della dottrina sociale cristiana con un partito che propone l’inserimento costituzionale del diritto all’aborto, credo sia molto difficile da spiegare all’elettorato di area cattolica. D’altronde l’area liberal democratica che già si trova inserita in quel polo, tra l’originale primigenio ( Renzi-Calenda) e il surrogato di risulta, temo che finirà per scegliere il primo.

Come ho scritto più volte, ritengo che l’unità della lista per le europee della nostra area culturale si possa raggiungere, dopo un’attenta lettura dei programmi che per l’Europa propongono i due schieramenti del centro: quello del Partito Democratico, Renew per l’Europe,  e quello della CDU, partito principale del PPE. Quest’ultimo è ispirato dai principi del solidarismo cristiano e della sussidiarietà, coerenti con quelli della dottrina sociale cristiana, cattolica e protestante, che confermano il permanere dei legami profondi con i principi dei padri DC fondatori dell’Unione europea: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman.

Un’alleanza, dunque, con i partiti che fanno riferimento al PPE, considerato  che la CDU ha chiuso nettamente alla destra estremista e intende continuare la politica avviata dalla Merkel e da Ursula Von der Leyen a BXL.

Un amico autorevole mi invita a chiarire come superare l’ostacolo di Forza Italia, il partito italiano più importante, almeno sin qui, inserito nel PPE. Fu grazie al convincimento svolto su Berlusconi dai compianti Sandro Fontana e don Gianni Baget Bozzo, che il partito del Cavaliere scelse l’adesione al PPE e, oggi, può utilizzare il suo diritto di veto. Una lista che in Italia raccogliesse l’unità di tutte o della maggior parte delle componenti di area DC e Popolare, ritengo, tuttavia, che non avrebbe difficoltà a farsi riconoscere quale componente attiva del PPE, del partito, cioè, di cui  la DC storicamente è stata cofondatrice. Tanto più se permanesse in Italia l’alleanza di Forza Italia con due partiti, Fratelli d’Italia e la Lega, distinti e distanti nettamente dagli obiettivi politici del PPE.

Penso, infine, che, presentandoci uniti alle europee con candidati nei collegi credibili, il nostro elettorato saprebbe ritrovare le ragioni di una partecipazione ampia al voto, e il risultato sarebbe la premessa della nascita di quel centro politico nuovo, ampio e plurale, basato sull’umanesimo cristiano, aperto alla collaborazione con le altre culture ispirate dall’umanesimo laico liberale e riformista socialista. Servirà tanto impegno e molta generosità, a partire dalle periferie, nelle quali chiamare a raccolta tutti i movimenti, associazioni e gruppi che si richiamano alla nostra migliore tradizione culturale e politica.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 23 Ottobre 2023

 

 

 

 

Quale centro vogliamo?

 

Col bipartitismo forzato introdotto in Italia, dopo il referendum maggioritario di Segni del 1993, con la fine politica della DC è scomparso il centro che aveva garantito l’equilibrio politico istituzionale e la crescita e lo sviluppo economico-sociale dell’Italia.

Alla fine dei partiti storici sono subentrate le formazioni politiche di tipo personale-aziendale col prevalere dei caratteri populistici nella versione berlusconiana d’antan, della Lega nordista e del M5S nella sua espressione più rilevante del qualunquismo italico e, alla fine, al prevalere della destra estrema col risultato elettorale del settembre 2022.

Chi, come il sottoscritto, ha impegnato gli ultimi vent’anni di impegno politico nel progetto di ricomposizione politica dell’area cattolico democratica, liberale e cristiano sociale (nella convinzione che all’Italia serva, come nei momenti migliori della sua storia, la presenza di una forza politica ispirata dai valori della dottrina sociale cristiana, erede della migliore tradizione popolare e democratico cristiana),  ritiene che, nella condizione attuale del Paese, retto dalla maggioranza di una minoranza dell’elettorato italiano, per costruire un’alternativa alla destra nazionalista e sovranista oggi al potere, serva costruire un’alleanza ampia e articolata di centro sinistra, nella quale sia forte la componente centrale: democratica, popolare, liberale, riformista, euro-atlantista, nella quale possano convivere i principi e i valori dell’umanesimo cristiano, liberale e socialista.

Un centro, dunque, alternativo alla destra dominata dagli eredi almirantiani e alla sinistra che, con la Schlein, ha assunto il carattere di un partito radicale di massa, distinto e distante dai valori dell’umanesimo cristiano e dalla stessa migliore tradizione del vecchio partito comunista.

Condizione preliminare perché possa nascere questo centro è il ritorno alla legge proporzionale e il modello del sistema elettorale tedesco potrebbe essere quello su cui si potrebbe trovare un ampio consenso a livello politico e parlamentare.

Ecco perché con gli amici di Iniziativa Popolare intendiamo aprire una forte iniziativa per il ritorno alla legge elettorale proporzionale e all’applicazione dell’art.49 della Costituzione sulla democraticità interna ai partiti che, con i nuovi movimenti-partito personalistico aziendali, è stata del tutto disattesa.

Credo che quanti si dichiarano interessati a tale progetto di ricomposizione politica dell’area cattolica, dovrebbero orientare le loro scelte tattico operative in coerenza con questa prospettiva.

Certamente le prossime elezioni europee, nelle quali vige la legge elettorale di tipo proporzionale con sbarramento al 4%, è l’occasione irripetibile per favorire la formazione di una lista unitaria d’area, avendo consapevolezza, che tale passaggio elettorale, costituisce un passo importante, necessario, ma non sufficiente per il progetto più ampio che riguarda il nuovo assetto politico del nostro Paese. Un passaggio però che, a mio parere, dovrebbe tener conto degli sviluppi possibili successivi.

Da diverse settimane siamo attenti a ciò che si sta muovendo tra diversi gruppi, partiti e movimenti di questa vasta e composita area, una frammentazione pulviscolare conseguente alla dolorosa diaspora democratico cristiana (1993-2023) e rileviamo atteggiamenti e comportamenti diversificati, alcuni dei quali condizionati da vecchie nostalgie di segno regressivo. Tralasciando la schiera di coloro che, ben ancorati nei due raggruppamenti del bipartitismo forzato destra-sinistra, aspirano a collocarsi comodamente in una delle due liste del raggruppamento di appartenenza, siamo più interessati alle vicende di quanti, almeno a parole, si dichiarano interessati al progetto di ricomposizione politica dell’area cattolica, quale elemento decisivo per la costruzione del nuovo centro ampio e plurale di cui sopra.

Con gli amici di Iniziativa Popolare crediamo che ci siano le condizioni per avviare un serio dialogo con gli amici della DC, i quali, tuttavia, dovranno confermare che la scelta per una lista unitaria alle europee unita al Partito Popolare Europeo, deve rappresentare una scelta di campo dalle inevitabili conseguenze operative sul piano delle alleanze in Italia. E’ vero che Forza Italia, grazie a quanto indicarono a suo tempo i compianti amici Sandro Fontana e don Gianni Baget Bozzo a Berlusconi di aderire al PPE, è oggi il più importante partito italiano inserito a pieno titolo nel PPE, ma è altrettanto vero, che tale scelta si pone in netta alternativa a quelle della Meloni e di Salvini nettamente a destra in Italia e in Europa.

Se, da un lato chiediamo chiarezza alla DC su questo piano, altrettanto chiarezza vorremmo dagli amici di Tempi Nuovi dopo l’annuncio da loro pronunciato di adesione in Europa al partito “en marche” di Macron nella sua versione europea di Renew Europe. Quale coerenza in tale decisione per un movimento che pure si ispira ai valori e ai principi del cattolicesimo democratico? Come conciliare tali valori con un partito marcatamente laicista che è quello che ha chiesto di inserire nella Costituzione europea il diritto all’aborto?

Confidiamo che, alla fine, in Tempi Nuovi prevalga la coerenza e si superi la nostalgia per una Margherita che, nella versione pro Macron, assumerebbe il carattere di uno spostamento a destra di quella stessa idea.

Penso che con gli amici di Insieme guidati da Giancarlo Infante sia possibile aprire un dialogo fecondo, anche alla luce delle loro indicazioni di programma sin qui espresse molto vicine a quelle che sono indicate nel dibattito interno alla CDU, partito guida del PPE, che ha chiuso nettamente a ogni collaborazione con la destra estrema tedesca.

Credo che Iniziativa Popolare, dovrebbe favorire questo processo di ricomposizione, nel quale invitare tutte le diverse espressioni che si dichiarano interessate a una presenza forte dei democratici cristiani e popolari italiani, in larga parte facenti parte di quel vasto elettorato italiano renitente al voto, che sta solo attendendo la voce di un nuovo centro politico affidabile, espressione degli interessi e dei valori della povera gente e dei ceti medi produttivi.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 17 Ottobre 2023

 

Si può sempre galleggiare, ma, alla fine, si tradiscono le proprie radici

 

Ho conosciuto Gianfranco Rotondi alla fine degli anni ’80, in uno dei tradizionali incontri annuali di St Vincent della nostra corrente DC di Forze Nuove, nella quale partecipò, graditissimo ospite, Gerardo Bianco, appena uscito indenne dallo scontro politico avellinese e nazionale con De Mita. Rotondi  si rivelò subito dotato di grande appeal, eloquio chiaro e diretto e una cultura storico politica inusuale tra i giovani della sua età.

Sin da allora lo considerai, se non il migliore, uno dei “migliori fichi del bigoncio” dei giovani della quinta e ultima generazione dei democratici cristiani.

Anche lui divenne componente importante della corrente della sinistra sociale DC, Forze Nuove, che con Pastore ( Rinnovamento), Donat Cattin, Labor, Acquaviva, Bodrato, Vittorino Colombo, Mannino, Macario, Marini, Sandro Fontana, Toros, Fracanzani,  Girardin,  e molti altri esponenti , hanno rappresentato i miei riferimenti politico organizzativi.

Con la diaspora del 1993, tutta quella grande esperienza cessò, e si avviarono i diversi tentativi per farla sopravvivere. Chi, pensando che avrebbe potuto esistere all’interno dei fronti contrapposti del bipolarismo forzato da una legge elettorale impropria come quella del mattarellum, e quanti, me compreso (che dal 2011 cercarono di dare pratica attuazione alla sentenza della Corte di Cassazione n.25999 del 23.12.2010, secondo cui: la DC non è mai stata giuridicamente sciolta) si sono impegnati per far rinascere, senza successo, la Democrazia Cristiana.

Rotondi, da scaltro politico, fu tra quelli che innanzi tutto pensò con altri, che la discesa in campo del Cavaliere, poteva rappresentare l’occasione per dar vita al centro nuovo della politica italiana. Obiettivo condiviso da autorevoli amici come Sandro Fontana e don Gianni Baget Bozzo, che furono gli ispiratori della scelta strategica decisiva di Berlusconi per il PPE . Una rendita di posizione  importante utilizzata sino ai nostri giorni da Forza Italia e accoliti.

Rotondi cercò sempre di mantenere viva la sua etichetta di democratico cristiano, che rappresentava il marchio necessario per le trattative alle diverse scadenze elettorali, grazie alla quale seppe sempre garantirsi una posizione sicura, alle regionali lombarde prima, alle politiche poi, sempre per se stesso e qualche altro stretto amico collaboratore.

Non sono mancati tentativi operati da Rotondi per ricomporre un’area centrale, contando sulla presunta disponibilità di alcuni amici e amiche, tanto che si inventò la formula di Verde Popolare, presentato proprio a St Vincent nel 2021.

Gli è che, quando con Gargani, Tassone, il sottoscritto e altri abbiamo tentato di avviare la Federazione dei DC e Popolari, Rotondi traccheggiò, assunse una posizione di surplace; nella sostanza non aderì a quello che poteva rappresentare un tentativo serio di ricomposizione politica dell’area cattolica nelle su tre componenti essenziali: democratica, liberale e cristiano sociale.

Con la vittoria della destra di Giorgia Meloni alle elezioni politiche del Settembre 2022, si assiste all’ultima giravolta del nostro “fico del bigoncio”. Ora la soluzione, secondo lui, sarebbe quella di stare tutti con la destra, con la presunzione di essere il traghettatore-trasformatore della stessa, dal partito degli eredi almirantiani a una nuova Democrazia Cristiana formato 2.0.

Penso che anche la più sottile lucidità e il più ostinato realismo politici non possano superare certi limiti di compatibilità con i propri valori, salvo ridurre la politica a mero strumento di sopravvivenza e di gestione del potere.

Leggere il programma annunciato di una nuova edizione di St Vincent sotto le insegne di Fratelli d’Italia- Fondazione Democrazia Cristiana-Fiorentino Sullo, costituisce, da un lato, il disconoscimento della storia politica di un uomo integerrimo come Sullo, uno dei padri della sinistra politica DC della Base, e, dall’altra, l’ennesima capriola del “nuovo Tarzan della politica italiana”. Celebrare a St Vincent l’entrata ufficiale di Rotondi nell’area della destra meloniana costituisce, infine, il più grande torto alla memoria di Carlo Donat Cattin, che dei convegni di St Vincent, della sinistra sociale DC di Forze Nuove, fu l’inventore e l’interprete unico e non replicabile. Gli italiani, scriveva Ennio Flaiano: " sono sempre pronti a salire sul carro del vincitore", e, Prezzolini scriveva nel suo " Codice della Vita italiana": i fessi hanno dei principi, i furbi soltanto dei fini”.  Col trasformismo si può sempre galleggiare, ma si finisce col tradire le proprie radici.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 6 Ottobre 2023

 


Per una risposta positiva all’invito di Renzi

 

Con alcuni amici di area democratico cristiana e popolare è da tempo che perseguiamo il progetto di un centro nuovo della politica italiana che intendevamo dovesse essere: ampio, plurale, democratico, popolare, liberale, riformista, euro-atlantista, alternativo alla destra nazionalista e sovranista e distinto e distante dalla sinistra che, con la segreteria Schlein, ha assunto il carattere di un partito radicale di massa.

 

Era questo l’obiettivo specifico della Federazione dei DC e Popolari che, guidata con grande passione dall’On Giuseppe Gargani, non è riuscita a realizzarlo, per il venir meno dell’adesione di alcuni autorevoli amici; chi, per la più sicura collocazione nell’area della destra, come l’On Rotondi, chi, più legato alla propria realtà organizzativa della DC, come l’amico Grassi che, alla fine, ha consegnato la guida di quel partito al più attrezzato Totò Cuffaro, con lo spostamento definitivo a destra anche di quell’esperienza politica avviata insieme agli Onn. Silvio Lega, Luciano Faraguti, Clelio Darida e altri nel 2012.

E’ continuata, così, la lunga Demodissea della diaspora democratico cristiana esplosa dopo la fine del partito storico dello scudo crociato, che era stato l’architrave per quasi cinquant’anni della democrazia italiana. E’ di questi giorni l’annuncio del sen Matteo Renzi di avviare il progetto di una lista di Centro, alternativa alla destra e alla sinistra, per chiedere il consenso alle prossime elezioni europee.

Confesso che in questi anni sono state molte le ragioni di dissenso con il giovane leader di Rignano sull’Arno. La più importante, quella che ci portò a organizzare il Comitato dei Popolari per il NO alla “deforma costituzionale”; comitato con il quale offrimmo un buon contributo alla difesa della nostra Costituzione. Ora, però, ci troviamo di fronte a un fatto nuovo e interessante della vita politica italiana. Consumata l’unità di Italia Viva con Azione, un aggregato che avrebbe dovuto tenere insieme il partito di Renzi con quello di Calenda, entrambi caratterizzati da mutevoli e disinvolti atteggiamenti politico programmatici, Renzi ha annunciato un nuovo inizio. L’unità del duo Calenda-Renzi non poteva durare, stante le diverse culture politiche di provenienza. Il primo, Renzi, figlio di una tradizione cattolico democratica, sostenuta da una giovanile esperienza ciellina, mentre il secondo, Calenda, aspirante interprete di un azionismo d’antan che, con le sue disinvolte piroette, aveva finito con l’assumere piuttosto il carattere di un “azionismo de noantri”, impregnato di una sistematica velleitaria idiosincrasia democristiana. Un’alleanza, insomma che, al di là degli immediati interessi organizzativo parlamentari, si è conclusa con un fallimento.

Alle elezioni europee varrà la legge elettorale proporzionale, una condizione che permette, da un lato, alle diverse culture politiche presenti nella realtà italiana di contarsi, e, dall’altra , con lo sbarramento al 4%, di favorire liste ampie di candidati che possano ragionevolmente concorrere al superamento di quel traguardo.

All’annuncio di Renzi dell’avvio del suo centro, ho espresso il mio interesse al progetto che, tuttavia, richiede alcuni chiarimenti di fondo, tenendo presente che noi DC e Popolari siamo interessati a collegarci alla migliore tradizione storico politica dei padri fondatori DC dell’Unione europea: De Gasperi, Adenauer, Monnet e Schuman, oggi tenuta in vita, seppur con qualche contraddizione, dai partiti di ispirazione DC in Europa, tra i quali, essenziali la CDU e la CSU di Germania.

Con questi partiti vogliamo, come anche ha sostenuto Renzi, portare avanti un progetto di riforma dell’Unione europea da declinare meglio sui principi della dottrina sociale cristiana, quali quelli della solidarietà, fraternità e sussidiarietà e per la costruzione di un’Europa federale nella quale debbano prevalere i valori democratici e popolari su quelli della finanza propri del turbo-capitalismo dominante.

Certo il Centro nuovo della politica italiana dovrà essere in grado di intercettare nel modo più ampio quanto esiste nell’elettorato del Paese, sia in quello attivo, e, ancor di più, in quello sin qui renitente al voto. L’elettorato, cioè, di area democristiana, popolare, liberale, riformista socialista e repubblicana, e per far questo si richiede che debba essere applicato integralmente nel partito quanto indicato dall’art.49 della Costituzione. Il sistema delle regole democratiche dovrà essere alla base della sua vita interna, così come sul piano programmatico dovremo saper indicare soluzioni rivolte al bene comune nel rispetto dei principi fondamentali della Costituzione repubblicana.

Se Renzi fosse disponibile a sviluppare la propria azione nel rispetto di questi orientamenti credo che dalla composita area politica cattolico democratica, liberale e cristiano sociale, dovrebbe giungere una risposta positiva al suo invito.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 7 Settembre 2023


Stato dell’arte per la nostra ricomposizione politica

 

La decisione del tribunale di Roma di respingere il ricorso presentato da Totò Cuffaro per la riappropriazione del simbolo dello scudo crociato riconsegna per l’ennesima volta l’utilizzo di quello storico simbolo all’On Lorenzo Cesa. Simbolo grazie al quale, Cesa e i suoi pochi accoliti si garantiscano da molti anni la sopravvivenza politica a fianco dei partiti della destra italiana. Prima Forza Italia e la Lega e, oggi, Fratelli d’Italia, in virtù di una rendita  che snatura il valore storico politico di quel glorioso simbolo della Democrazia Cristiana.

Un ricorso fallito quello di Cuffaro, tanto più grave per una sentenza che, come si legge nell’ordinanza del giudice Paolo Goggi,  sostiene essere “fondata” l’eccezione sollevata dal partito guidato da Cesa, secondo cui Cuffaro e “la sedicente Dc che sostiene di rappresentare” sono “privi di qualsivoglia legittimazione ad agire, in quanto l’associazione non sarebbe espressione dello storico partito” e Cuffaro “non sarebbe in alcun modo legittimato ad agire quale suo rappresentante”. Il giudice rileva come l’ex senatore ed ex presidente della Regione Sicilia non abbia offerto “idonea dimostrazione dei poteri di colui che nel ricorso afferma essere il segretario amministrativo del partito”. E nemmeno, aggiunge, ci sono “elementi sufficienti da cui poter desumere la necessaria continuità associativa” fra l’associazione di Cuffaro e “e lo storico partito della Democrazia cristiana”. E quindi il diritto a utilizzare lo scudo crociato come simbolo resta all’Udc. Tesi quanto meno contraddittoria, tenuto presente che nemmeno all’UDC di Cesa quella “necessaria continuità associativa” può essere seriamente riconosciuta.

E’ dal 2011, su indicazione dell’amico Publio Fiori, che abbiamo tentato con i compianti Silvio Lega e Clelio Darida, la ricostruzione della DC, partito che, secondo la sentenza n.2512 del 23.12.2010 della suprema corte di cassazione “ non è mai stato giuridicamente sciolto”, con la riconvocazione del consiglio nazionale del partito, che ci permise di eleggere alla segreteria nazionale, Gianni Fontana prima e Renato Grassi poi. Un percorso complesso e irto di ostacoli che ho descritto nel mio saggio: “ Demodissea, la Democrazia Cristiana nella stagione della diaspora- Considerazioni sul periodo 1993-2020” Edizione A.L.E.F. ( Il Mio Libro). Prima dell’ultimo congresso nazionale del partito ( il XX svoltosi a Roma il 6-7 Maggio 2023) , ho rassegnato le dimissioni da vice segretario nazionale, non condividendo lo spostamento a destra assunto dal partito, dopo l’alleanza realizzata in Sicilia da Cuffaro, alla fine risultato nettamente maggioritario ed eletto alla segreteria nazionale.

Con la sentenza di Roma fallisce quindi l’ambizione di Cuffaro di riunire lo scudo crociato con la DC. “Non presenteremo ricorso“, commenta l’ex senatore, affermando che l’operazione ha senso “solo se tutte le diverse anime di ispirazione democristiana troveranno le ragioni per farlo e per tornare insieme, ma è una decisione politica”. “Per quanto riguarda noi, ha  aggiunto , abbiamo già il nostro simbolo e il nostro nome che nessuno può toglierci. Andiamo avanti col nostro segno al quale ci siamo affezionati, che è stato riconosciuto e convalidato dal ministero degli Interni e apprezzato dagli elettori e che ci sta dando grandi soddisfazioni”.

Da vecchio DC non pentito penso sarebbe cosa utile smetterla con la guerra per lo scudo crociato e opportuno consegnare lo stesso all’Istituto Lugi Sturzo, come bene immateriale della storia democristiana, quella  del partito di De Gasperi, Gonella, Fanfani, Moro, Rumor, Taviani, Colombo, Donat Cattin, Marcora e degli amici compianti della terza generazione: Forlani, De Mita, Misasi, Bisaglia, Malfatti, che non può essere rappresentata da Cesa e dai suoi amici per mera rendita politica personale.

Ritengo anche che, dopo il fallimento del coraggioso tentativo fatto dall’On Giuseppe Gargani con la Federazione DC e Popolare, per il venir meno della condivisione degli amici Rotondi, Grassi e dello stesso Cesa, per chi fosse realmente interessato al progetto di ricomposizione della nostra area politico culturale, dovrebbe tenere presente che:

a)    la nostra è un’area vasta e complessa, articolata almeno in tre sezioni principale: quella dei cattolici democratici, dei cattolici liberali e dei cristiano sociali. Nessuna di esse dovrebbe essere esclusa dal progetto.

b)   La ricomposizione può essere facilitata in presenza di un sistema elettorale di tipo proporzionale.

c)    È indispensabile una forte mobilitazione della realtà sociale, culturale, economica e associativa dell’area cattolica dalle gerarchie sino alle parrocchie e alle periferie del nostro vivace associazionismo.

L’obiettivo per detta ricomposizione è la volontà di concorrere alla costruzione di un centro nuovo della politica italiana, ampio e plurale: democratico, popolare, liberale e riformista, euro atlantista, alternativo alla destra nazionalista e sovranista, distinto e distante da una sinistra che, con la guida della Schlein, ha assunto il carattere, preconizzato dal prof Augusto Del Noce, di un partito radicale di massa.

Le prossime elezioni europee come quelle per i rinnovi dei consigli regionali in scadenza, si svolgeranno con leggi elettorali proporzionali che facilitano il progetto.

Certo, quelli che da tempo sono schierati a fianco della destra o della sinistra si illuderanno di trovare posto nelle liste di queste due aree, continuando a svolgere una funzione di ascari reggicoda ininfluenti. Se vogliamo veramente facilitare il progetto, anche tenendo conto dello sbarramento esistente per l’elezione di deputati al parlamento europeo, sarà necessaria la più ampia unità di quanti si riconoscono nell’esigenza di far tornare in campo la nostra cultura politica. Con gli amici di Iniziativa Popolare, oggi coordinata da due giovani, Matteo Orioli e Roberta Ruga, ci stiamo muovendo in questa direzione, nella quale ci auguriamo di incontrare gli amici di Costruire Insieme, di Infante e  di Tarolli, quelli di Piattaforma Popolare di D’Ubaldo, Merlo, Sanza e delle diverse e sparse DC con le quali è indispensabile riprendere il dialogo. Ce la faremo? Credo sia una delle ultime possibilità, dopo la quale, il tema della ricomposizione politica dell’area cattolica sarà oggetto di svolgimento, forse, dei nostri nipoti.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 19 Agosto 2023

 

 

  • Riprendiamo la proposta della macroregione del NordEst

     

    Sono trascorsi più di duemila giorni dal referendum veneto per l’autonomia e i segnali che giungono dal governo della destra meloniana non offrono alcuna speranza, nonostante le minacce del ministro Calderoli, che si è così  espresso: “se non passa l’autonomia differenziata lascio la politica e, stavolta, non come Renzi”.

    Pur comprendendo alcune delle obiezioni che gli amici delle regioni meridionali sostengono, nel timore che, con l’autonomia differenziata, prevista dalla Costituzione, si possano creare situazioni, peraltro già esistenti, di forte differenziazione in Italia su alcune materie rilevanti come: scuola, sanità e servizi, vorrei evidenziare che la mia Regione è una delle poche che nel suo Statuto, approvato con  legge regionale n. 340 del 22 Maggio 1971, si parla esplicitamente di “popolo veneto”.

    A quel giudice della Corte Costituzionale (nella quale il compianto avv. Ivone Cacciavillani si era presentato poco tempo fa a sostegno delle tesi della Regione Veneto contro il ricorso presentato al governo centrale sulla legge regionale per l’autonomia veneta) il quale, sentendo parlare di “autogoverno del popolo veneto”, intervenne in modo assai poco consuetudinario, durante l’arringa del difensore,  affermando che: “ in quest’aula si può parlare solo di popolo italiano”, il Nostro replicò,  con un efficace proverbio veneto: “la bocca la si lega solo ai sacchi”. Una felice espressione del nostro dialetto che, con le rigorose argomentazioni giuridiche esposte da Cacciavillani, favorì la vittoria in giudizio del Veneto.

    Ora siamo a un punto morto e credo che, come abbiamo proposto alcuni anni fa, proprio insieme all’avv. Cacciavillani e all’amico On Domenico Menorello, si dovrebbe riaprire il tema della macroregione del Nord Est, nel quadro di una più ampia riforma in senso federale del nostro Paese.

    L’Italia vive la realtà istituzionale regionale diversa tra cinque Regioni a statuto speciale e 15 regioni a statuto ordinario; 20 Regioni che hanno raggiunto un livello  di  costi non più sostenibile dal bilancio nazionale

    Una congerie di competenze  accumulate in maniera confusa e  progressiva:  dai decreti delega che, dal 1977,  hanno affidato alle regioni molte competenze amministrative, alle caotiche funzioni relative al controllo del territorio, ripartite e spesso rimpallate tra regioni, città metropolitane e comuni, sino al decentramento delle leggi Bassanini e alla modifica del Titolo V della Costituzione con l’invenzione delle competenze concorrenti, fonti del caos permanente dei ricorsi presso la Corte Costituzionale. E’ questa la triste realtà in cui versa il nostro regionalismo permanendo l’ormai incomprensibile, iniqua e anti storica differenziazione tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale.

    Se a questo gravissimo ircocervo istituzionale si aggiunge una sostanziale irresponsabilità amministrativa delle Regioni che vivono una schizofrenica situazione, tra competenze dirette  in materia di spesa e competenze pressoché nulle in materia di entrate, in larga parte derivate dallo Stato, e, dulcis in fundo, gli immorali comportamenti sperimentati con i casi di corruzione-concussione e scandalo di rimborsopoli o di cattiva gestione come in alcune regioni, appare pressoché impossibile difendere l’attuale assetto istituzionale regionale.

    Della lezione regionalista sturziana si è data un’interpretazione fuorviante che si è accompagnata da un esercizio distorto delle competenze che, in origine, avrebbero dovuto restare quelle di legislazione, programmazione e controllo e che, viceversa, sono diventate sempre più funzioni di gestione diretta e indiretta attraverso una congerie di enti e aziende partecipate che concorrono in larga misura all’enorme deficit strutturale dell’Italia.

    Di qui la necessità di ripensare al nostro assetto istituzionale, ricollegandoci a una corretta interpretazione del pensiero regionalista sturziano e alla lezione del prof Miglio che, per primo, teorizzò l’idea delle macroregioni come possibile soluzione al complesso e disorganico processo di formazione storico politica dell’unità nazionale.

    Sostenitori della tesi del prof Miglio, da anni proponiamo in Italia  il passaggio dalle attuali 20 regioni a 5- 6 macroregioni. Fu presentato a suo tempo una proposta di legge da parte di due deputati PD, Roberto Morassut e Raffaele Ranucci, che prevedeva la riduzione delle attuali 20 regioni a otto regioni così individuate: Regione Alpina (Piemonte-Liguria – Val d’Aosta)-Lombardia- Regione Triveneto- Regione Emilia-Romagna-Regione Appenninica- Regione Adriatica- Regione Roma Capitale- Regione Tirrenica-Regione del Levante-Regione del Ponente- Regione Sicilia-Regione Sardegna. Insomma la proposta sembrava cominciare a farsi strada.

    Nel Veneto, in speciale modo, viviamo l’ormai insostenibile condizione di terra di confine con due regioni a statuo speciale quali il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige.

    E’ stata l’intuizione dei democratici cristiani veneti a sviluppare agli inizi degli anni’80 l’idea di Alpe –Adria, nella concezione berniniana dell’”Europa delle Regioni”, nella quale un ruolo trainante poteva e doveva essere assunto dall’area del Nord-Est o del Triveneto.

    Esaurita la falsa prospettiva dell’indipendenza del Veneto e ridotte al lumicino quelle sull’autonomia differenziata, assai più realistica può diventare quella della costruzione della macroregione del Nord-Est o del Triveneto.

    Non si tratta di togliere o ridurre l’autonomia che, seppur in maniera diversa, godono oggi il Friuli V. Giulia e  il Trentino Alto Adige, ma,  di spalmare su tutte e tre le regioni la stessa autonomia.

    Ci soccorrono due articoli della nostra Costituzione ai quali possiamo ricorrere:

     

    Articolo 116 (vedi ultimo comma)

    Il Friuli Venezia Giulia [cfr. X], la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale.

    La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano.

    Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata. E’ la strada intrapresa giunta nell’attuale stand by.

     

    Articolo 132

     

    Si può con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione d’abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse [cfr. XI].

    Si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Provincie e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra.

    Questa dell’art.132, è l’ultima possibilità che ci rimarrebbe da sostenere, anche attraverso il referendum consultivo, certamente privo di efficacia giuridica concreta, ma dall’indubbio valore politico, sull’autonomia del Veneto.

    E’ tempo di passare dalle parole ai fatti e procedere secondo le strade indicate dalla nostra Carta costituzionale.

     

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 11 Luglio 2023

     

     

     

  • Agli amici dell’associazione “ Tempi Nuovi-Popolari uniti”, alla vigilia dell’assemblea convocata a Roma Venerdì 14 Luglio p.v., ho inviato la lettera allegata:

  • Cari amici, 

  • seguo con molta attenzione la vostra iniziativa del prossimo 14 Luglio che, come indicato dall’amico Fioroni, si pone l’obiettivo della ricomposizione politica dell’area cattolica democratica e cristiano sociale.

    Un obiettivo che perseguo anch’io da molto tempo, da “ DC non pentito”, e che condivido con quanto l’amico Giorgio Merlo scrive su Il Domani d’Italia, ossia di favorire il progetto di un centro nuovo della politica italiana, alternativo alla destra nazionalista e sovranista, distinto e distante da una sinistra che si va ricomponendo su posizioni estreme e radicali, lontane e incompatibili con i nostri valori.

    Eredi della migliore tradizione dei padri DC e Popolari, fondatori dell’Unione Europea: De Gasperi, Adenauer, Monnet, Schuman, intendiamo sostenere l’idea di un’Europa federale ispirata da quei principi, nella quale torni a prevalere  il primato della politica, oggi ridotta a un ruolo subalterno alla finanza e all’economia, nel tempo dei dominio dei poteri finanziari nell’età della globalizzazione.

    Obiettivo primario dovrà essere quello di impegnarsi a costruire una lista unitaria delle diverse anime dell’area cattolica: democratica, liberale e cristiano sociale, indispensabile in un passaggio elettorale guidato da una legge di tipo proporzionale con preferenze e tenendo presente lo sbarramento esistente per l’elezione dei deputati al parlamento europeo. 

    Ragioni legate alla mia età, che esclude ogni velleitaria presunzione di candidature e/o ruoli diversi da quello di “osservatore timidamente partecipante”, capace solo di fornire eventuali “buoni consigli”, non potendo nemmeno più “dare dei cattivi esempi”, non mi consentono di essere con voi a Roma al vostro importante appuntamento. Sarò presente, tuttavia, con tutto il mio cuore, garantendo il mio sostegno alla lista che riuscirete a formare.

    Avanti, dunque, sempre da Liberi e Forti, nel solco tracciato dai nostri padri: Sturzo, De Gasperi, Moro, Zaccagnini, Galloni, Granelli, Misasi, Marcora, Donat Cattin, Bodrato  e tanti altri con cui abbiamo compiuto un lungo tratto del nostro impegno politico.

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 6 Luglio 2023 

     

Un progetto di economia solidaristica

Con alcuni amici, abbiamo riflettuto da tempo su com’è strutturata la società occidentale dominata dal turbo capitalismo finanziario e siamo giunti ad una conclusione, che desideriamo porre alla tua attenzione per avere una tua cortese opinione.

La conclusione a cui siamo arrivati prevede che una politica orientata al cambiamento, per essere efficace, deve essere attuata in due fasi.

Una Politica prima alla portata della società civile (denominabile perciò Metapolitica) da questa attuata attraverso un adeguato strumento la cui diffusione sia socialmente desiderabile e il cui “sottoprodotto” consista, di conseguenza, in un consenso elettorale per le forze politiche che patrocinano la detta Metapolitica.

Una Politica seconda attraverso la quale le forze politiche in questione, forti del menzionato consenso elettorale, potranno attuare le riforme che rendono il sistema economico più etico.

Detto questo, se è oramai evidente che gran parte dei mali che affliggono l'intero ecosistema provengono dal sistema economico e sociale capitalista, oramai degenerato conformemente al suo DNA, è altresì evidente che occorre urgentemente sostituirlo...con qualcosa di migliore.

In che modo?

Visti i danni che hanno caratterizzato i sistemi nati da “rivoluzioni”, ad es. Francese e Bolscevica (comunque oggi, fortunatamente, impossibili in Occidente), è alquanto evidente che un cambiamento salvifico non può che venire da una opportunametamorfosi”, cioè da un cambiamento interno, più o meno rapido, al livello delle “singole cellule” del sistema, oltretutto la sola oggi non solo possibile ma anche di una banalità sconcertante (!), quantomeno sul piano concettuale.

Da notare, però, che le “singole cellule”, sopra menzionate, NON SONO, contrariamente a quanto qualcuno vuol far credere, le singole persone: si tratterebbe di una via impraticabile!

Si tratta, invece, di singoli “beni e servizi” di consumo famigliare di prima necessità : un “segreto” di cui nessun economista vi parlerà, sia esso in buona fede (per ignoranza) o cattiva fede (per divieto da parte dei suoi “padroni”).

Vediamo meglio.

Consideriamo che gran parte dei detti beni e servizi possono essere prodotti:

A - sia  per essere destinati a terzi (“valori di scambio” oggetto di compravendita sul Mercato).

Qui siamo nel Paradigma dell'Eteronomia  dove (teoricamente) vige la concorrenza fra produttori (aziende composte da Lavoro e Capitale dove quest'ultimo generalmente predomina: da cui l'appellativo Capitalismo) e dove il “pesce grande” mangia il “pesce piccolo” (la concorrenza, ipotizzata nella teoria, va scemando nella pratica, con conseguente concentrazione della ricchezza in poche mani).

B - sia per consumo proprio (“valori d'uso” destinati alla collettività produttrice, quale una famiglia o, in Occidente, una Cooperativa di auto-produzione, cioè una Mutua). Le collettività qui in questione sono quelle private : quelle pubbliche (costituite dai cittadini di Comuni, Regioni e Nazioni) sono vocate all'auto-produzione di servizi collettivi, indivisibili, come ad es. l'ordine pubblico, erogati gratuitamente e finanziati con la fiscalità.

Qui siamo nel Paradigma dell'Autonomia dove vige la solidarietà: non c'è competizione né interna (fra il Capitale e il Lavoro) né esterna (fra le diverse collettività auto-produttrici che tenderanno, anzi, a collaborare dato che “l'unione fa la forza”).

Ed ecco, finalmente, il modo (il solo) attraverso il quale si può cambiare il sistema economico e sociale in senso favorevole all'ecosistema:

“Occorre provocare una sua metamorfosi , attraverso una Metapolitica attuata dalla società civile, consistente nel trasferimento di un certo numero di beni e servizi di prima necessità dal Paradigma dell'Eteronomia a quello dell'Autonomia. E questo realizzando inedite Cooperative di auto-produzione (Mutue) multi-attività, denominate Convivi, caratterizzate, proprio grazie alla multi-attività, da una presenza relativamente elevata di soci-lavoratori (oltre che utenti). Tali Cooperative sono destinate a diffondersi ovunque coesistano “risorse produttive inutilizzate” , lavoro in primis, e “bisogni essenziali non soddisfatti”. Seguendo questa via, implicante la (re)localizzazione di molte attività produttive, ad esempio dell'agroalimentare, può essere eliminata l'inattività involontaria in un sistema economico, dove permane la libera iniziativa, e che tende alla sostenibilità ambientale, oltre che sociale.

Si ricordi qui la “profezia” di Alexander Langer: “La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile”.

Detto altrimenti: la conversione ecologica potrà aver luogo non tanto per una diffusa, quanto illusoria, responsabilità sociale  implicante un costo individuale (una strada in salita), bensì seguendo una via, ad oggi occultata (!), che porta all'interesse collettivo (comprendente la conversione ecologica) attraverso il perseguimento dell'interesse individuale tra cui un reddito da lavoro per chiunque lo desideri (una strada in discesa).

La Metapolitica imperniata sulla diffusione dei Convivi, attuabile dalla società civile, mira proprio alla sostenibilità socio-ambientale attraverso una particolare metamorfosi del sistema.

Da notare che una tale metamorfosi è non solo alla portata della società civile, ma quest'ultima è anche la sola che può attuarla (beninteso con la normativa vigente perché, in caso contrario, essa sarebbe alla mercé della “Politica seconda” la quale è nelle mani di chi dispone degli organi d'informazione e cioè dei fautori del rovinoso status-quo).

In altre parole le principali aspirazioni di una società, e cioè la piena attività permanente (disoccupazione zero) e la libera iniziativa  economica, ottenute nel rispetto della natura (pilastri della Dottrina sociale cristiana), considerate inconciliabili (sic!) dalla cosiddetta “Scienza economica” in quanto questa dà per scontata la sola presenza del Capitalismo (da cui il dogma del TINA-There Is No Alternative, colossale “fake news” dei nostri tempi!), sono esclusivo appannaggio di una Metapolitica (Politica prima), attuabile dalla società civile, e NON della Politica seconda, fosse anche impostata democraticamente, vocata unicamente alla formulazione delle norme.

I Partiti politici che approvano gli obiettivi della detta Metapolitica ispirata alla“ Ideologia” cristiana, potranno fare, al più, da Patrocinatori, incorporando tale ruolo nel loro programma (mettendo così in pratica la Sussidiarietà, altro pilastro della Dottrina sociale cristiana) raccogliendo in tal modo il consenso elettorale, che costituisce il prezioso “sottoprodotto” della detta Metapolitica , e utilizzandolo a buon fine.

 

Domande ricorrenti (D) & Risposte ultra-sintetiche (R)

Per approfondimenti si rinvia alla documentazione disponibile gratuitamente, su richiesta, all'indirizzo: gianfranco.trabuio@gmail.com.

D1: Se l'auto-produzione riguarda beni e servizi già disponibili sul mercato (es. una casalinga che si mette a produrre pane per la propria famiglia), non è che la nuova attività (in ambito auto-produttivo/Autonomia) sostituisce una attività preesistente sul mercato (Eteronomia), dando luogo ad un “buco nell'acqua” in termini occupazionali?

R1: No. La famiglia della casalinga non riduce la sua domanda (spesa) sul  mercato ma la trasforma (es. meno pane e più servizi culturali), trasferendo occupazione sul mercato (dal comparto della panificazione a quello culturale). Cosicché la nuova attività, seppur informale, della casalinga è aggiuntiva  nel sistema. Questo vale, ovviamente, anche per la nuova attività, formale in tal caso, avente luogo nei Convivi.

D2: Con un numero così ridotto di beni e servizi, di fatto quelli auto-prodotti in un ambito famigliare tradizionale, come si può impattare efficacemente sul sistema?

R2: Questi beni e servizi sono sicuramente pochi ma coinvolgono un grande numero di famiglie (quasi tutte). Anche i soci essenzialmente utenti, infatti, si sentiranno coinvolti, alla prova dei fatti, se il rapporto prezzo/qualità (accertabile) sarà favorevole. Ciò dovrebbe tradursi in un conseguente consenso elettorale per le forze politiche che patrocinano la Metapolitica in questione, in vista di una uscita dal Capitalismo degenere. Il che dovrebbe permettere di ridurre la pressione delle grandi imprese sulla Politica, la quale potrà finalmente renderle più etiche sia sul piano sociale che ambientale.

D3: Come mai una tale Metapolitica non è stata ancora attuata... e nemmeno avviata?

R3: Perché non esiste ancora:

un soggetto Patrocinatore, la cui funzione consiste nell'apportare le risorse umane alla base della compagine societaria delle Cooperative di auto-produzione multi-attività (a cominciare da una prima realizzazione sperimentale che, una volta finalizzata, possa servire da “prototipo” per una diffusione di tale modello standard sul territorio)

un soggetto Attuatore, idealmente un consorzio di piccole imprese commerciali avente nel suo ambito competenze diverse (informatica, architettura, gestione aziendale, credito), la cui funzione è di apportare le risorse materiali, il “core business” del quale consiste nella fornitura di servizi agli investitori proprietari degli spazi produttivi dati in affitto alle cooperative di auto-produzione.

D4: Siamo sicuri che la produttività di queste Cooperative sia tale da rendere vantaggiosi gli acquisti, in termini di rapporto prezzo/qualità, da parte dei soci?

R4: Si. In quanto l'intero circuito di produzione-consumo è programmato a tal fine. La prima realizzazione sperimentale serve a definire correttamente i vari aspetti: tipologie di beni e servizi, loro modalità di produzione, numerosità dei soci lavoratori e/o utenti... tutti fattori collegati). Tale convenienza agli acquisti è, oltretutto, destinata ad accrescersi, con la diffusione dei Convivi rendendo possibili acquisti in comune di input di produzione o, per alcuni di essi, una auto-produzione consorziata.

D5: La diffusione dei Convivi è garantita?

R5: Si. In effetti oltre alla citata convenienza a diventare soci lavoratori e/o utenti e alla convenienza per i risparmiatori ad investire nelle strutture produttive date in affitto ai Convivi (imprese non soggette a “mortalità” come quelle del contesto concorrenziale), la loro diffusione è facilitata dalla loro sostenibilità economica (non necessitano di fondi pubblici), dal loro carattere standard molto importante nella gestione (la quale costituisce un fattore essenziale per ogni impresa) e, soprattutto, dalla non necessità di innovazione, di prodotto e di processo (producono beni e servizi correnti con procedimenti ordinari), la quale risulta invece essenziale (e spesso purtroppo illusoria) per le start-up del contesto concorrenziale.

Vorremo tentare di sperimentare i convivi citati nella realtà di Mestre-Marghera, il tuo contributo critico costruttivo, sarebbe quanto mai prezioso. In attesa di leggerti gradisci i più cordiali saluti.

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti- www.alefpopolaritaliani.it)

Venezia, 3 Luglio 2023

 

   

 

 

 

Dopo il forum di Padova: che fare, a partire dal Veneto un tempo “ bianco”?

 

Ho partecipato al forum organizzato a Padova, Domenica scorsa, da Il Giornale del Veneto, diretto dall’amico Dino Bertocco, sul tema: Civismo, Popolarismo, Sussidiarietà. Dopo la relazione iniziale, quanto mai coinvolgente, di Paolo Giaretta e la sintesi introduttiva di Bertocco, erano molto attesi gli interventi delle due ex ministre: Mariastella Gelmini ( Azione –Calenda) e Elena Bonetti ( Italia Viva- Renzi). Interpreti qualificate del pensiero cattolico, hanno entrambe sostenuto la necessità dell’impegno per ricomporre la più ampia unità tra le culture di ispirazione liberal democratica e riformista con quella della tradizione popolare, riconosciuta come fondamentale della loro formazione politica.

Nel mio intervento ho evidenziato la positività di queste affermazioni, che hanno fatto seguito alle ultime svolte da Calenda, poiché superano quella che, con una certa ironia, avevo connotato come una sorta di “azionismo de noantri”, espressione di una cultura radicaleggiante anti cattolica e anti popolare, che, se fosse confermata, condannerebbe quell’esperienza a una condizione di permanente minorità.

Siamo alla vigilia di due importanti scadenze politico elettorali: le elezioni per il rinnovo del parlamento europeo e di alcune realtà regionali, mentre tanto il terzo polo che la nostra frastagliata area cattolico democratica, liberale e cristiano sociale, sono accomunate dall’opposizione alla destra sovranista e nazionalista a dominanza di Fratelli d’Italia, e dalla distinzione e distanza da una sinistra oggi avviata sulla strada di una progressiva radicalizzazione, come confermato dal recente incontro  di Campobasso della Schlein con Conte e  Fratoianni.

Se l’obiettivo strategico è fissato sull’esigenza di un’alternativa concreta al governo della destra in Italia, i passaggi intermedi delle europee e regionali, favoriscono, col sistema proporzionale, una nostra possibile e doverosa  ricomposizione, premessa indispensabile per concorrere alla formazione di un più ampio centro plurale con le culture politiche liberal democratiche e riformiste come è emerso dal forum di Padova. Un autentico spartiacque della politica per noi veneti da cui intendiamo ripartire. Positivo ciò che si è avviato con la piattaforma popolare 2024 dagli amici Tarolli e D’Ubaldo.

Nella nostra Regione del Veneto stiamo vivendo un momento molto delicato del partito che dal 2010 ha assunto la guida del governo regionale. La Lega ha appena eletto segretario il giovane Stefani, battendo nettamente il pur bravo Manzato, espressione più vicina all’impostazione tradizionale del leghismo veneto, cui è mancato l’apporto indispensabile del gruppo dell’assessore Marcato, che aveva denunciato il clima di violenza in cui si erano svolti i congressi provinciali. Il caso delle dimissioni del sindaco leghista di Castelfranco veneto si aggiunge alle denunce di Marcato, per cui sembra si stia verificando la teoria paretiana delle volpi e dei leoni: le volpi leghiste della prima ora si sono lentamente trasformate nei leoni che, certo dispongono del potere derivante dal controllo assoluto regionale e di molti enti locali, ma, come ha denunciato Marcato, difettano “ nella testa, nei piedi e nel cuore”. L’assessore regionale padovano intendeva rilevare la carenza strategico tattica del partito, il venir meno dell’impegno diffuso sui territori, e una passione civile che non è più quella dei tempi eroici della prima ora della Liga Veneta.

Credo vada fatta una seria riflessione sulla Lega Veneta, considerato che i cinquant’anni della vita regionale sono contrassegnati dagli oltre venti anni di egemonia dominio della DC (1970-1995) con l’intervallo giunta Pupillo ( 1993-94); il quindicennio infausto di Galan (1995-2010) ( quello del: “Il Veneto sono io”), e i tredici anni ( 2010-2023) del presidente Zaia tuttora in atto.

Guai se riducessima la nostra analisi a una semplificazione eccessiva del fenomeno leghista.

Sarebbe utile un seminario sul Veneto a oltre cinquant’anni dall’istituzione regionale: dall’egemonia DC a quella leghista (2010-2023) che segue i quindici anni di guida di Galan ( 1995-2010),  oggi insidiata dalla destra e con una partecipazione elettorale passata dal 94,6 % degli anni ’70 al 66,4 % degli anni’70 a poco più del 50% oggi

Partiamo da una prima considerazione: il Veneto era bianco finché la società civile era bianca dominata dalla cultura delle parrocchie. Mutamento nel contesto socio culturale religioso dei veneti e mutamenti politico elettorale. Dalla religione di senso comune all’autonomia del credere…. Una commissione di studio da me coordinata formata dai proff. Nicola Berti, storico, Ulderico Bernardi, sociologo, e Ferrucio Bresolin, economista, fu organizzata dalla DC veneta a metà degli anni ’80, al verificarsi dei primi smottamenti elettorali verso la Lega specie nell’area pedemontana del Veneto. Partiva dalla realtà artigiana, contadina e commerciale quel disimpegno dal voto alla DC, identificata come responsabile di “ Roma ladorna”.

La Lega, che assume l’egemonia-dominio dal 2010 in poi, non riesce tuttavia a imporre un proprio modello culturale incentrato sulla primigenia idea della “veneticità”: il basso continuo, in senso metaforico, rappresentato dal cattolicesimo, nonostante i colpi subiti a causa della secolarizzazione, esercita ancora una discreta influenza, mentre  invece “il venetismo” della Lega si limita a mettere il cappello ( ideologico) sulla vitalità linguistica e dei costumi popolari che la società veneta continua ad esprimere.

Dal Comitato regionale per la programmazione economica alla programmazione come metodo d’ intervento in concorso dello Stato: il ruolo dell’IRSEV ( Prof Innocenzo Gasparini) sua soppressione nel 1992 al Programma Regionale di sviluppo e al Piano territoriale di coordinamento, sono le esperienze introdotte dai governi DC del Veneto; esperienze che permangono nella nuova situazione a dominanza leghista, caratterizzata dagli impegni derivanti dall’Unione Europea ( PRS-FESR)

Il percorso legislativo e amministrativo regionale andrebbe analizzato tenendo presente l’evoluzione della società, dell’economia, della cultura venete intervenute dal 1970 a oggi.

Il Ruolo della “famiglia impresa” dagli anni antichi e sino a oggi : dai metalmezzadri degli anni ’60-70, anche nelle nuove professioni rimane la famiglia come centro di autofinanziamento e di risparmio,

Osserviamo che, dopo oltre 2000 giorni dal referendum vinto per l’autonomia, si è ancora al surplace per l’autonomia differenziata, che vede scarse possibilità di concreta realizzazione.

Persa la battaglia per l’autonomia, cosa rimane, allora, se non alcuni valori originari discendenti dalla cultura familiare di origine bianca in larga parte ereditata da molti dei dirigenti e quadri della Lega, che abbiamo personalmente sperimentato nell’appoggio ricevuto nella battaglia vinta dal comitato dei Popolari per il NO alla deforma costituzionale renziana ?

Credo che esistano le condizioni per una svolta nella politica del Veneto, se, come ci auguriamo anche dopo l’incontro di Padova, riusciremo a costruire un’ampia alleanza popolare, liberale, socialista e repubblicana , ossia un centro alternativo alla destra nazionalista e sovranista che, anche nel Veneto, sta erodendo consensi alla Lega e a ciò che rimane di Forza Italia dopo la scomparsa di Berlusconi, capace di rappresentare gli interessi e i valori di quel 50% di elettorato che anche nel Veneto è renitente al voto.

Un centro, terzo polo, che, come confermato Domenica scorsa al forum, non può ridursi a una rappresentazione tardo azionista, anticlericale e anti popolare, considerato che, nel Veneto, ancor più che nel resto del Paese, la cultura dei Popolari e dei democratici cristiani che hanno rappresentato quella dei fondatori della nostra Regione interpreti della migliore parte della nostra storia regionale, da Tomelleri a Bernini, sino a Bottin e  a Frigo, rimane una di quelle ancora importanti nella nostra società, nonostante l’impetuoso fenomeno della secolarizzazione e del relativismo etico anche da noi così diffusi.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 26 Giugno 2023

 

 

 

 

 

Alle obiezioni fatte dall'amico On Lucio D'Ubaldo , direttore de Il Domani d'Italia (www.ildomaniditalia.it) ho risposto con la nota seguente:

 

Vogliamo provarci?

 

Caro D’Ubaldo, rispondo al commento con il quale hai presentato la mia nota ieri su Il Domani d’Italia, ripetendo quanto da me già scritto: le elezioni europee regolate dalla legge elettorale di tipo proporzionale con le preferenze e lo sbarramento al 4%, favoriscono, da un lato, il confronto tra le diverse culture politiche in campo, e, dall’altro, non obbligano a quelle alleanze cui sprona la legge elettorale maggioritaria, tanto a destra quanto a sinistra.

Per gli amici che si rifanno alla tradizione politica DC e popolare, si tratta di un’importante opportunità  per verificare lo stato di rappresentanza che riusciamo ancora a svolgere, specie nei confronti di quel 50% di elettori renitenti al voto, che, da molto tempo, non trovano più risposte ai loro interessi e ai loro valori dai partiti del bipolarismo forzato destra-sinistra, oggi rappresentato, da un lato, a destra, dall’egemonia di Giorgia Meloni, specie dopo la scomparsa del Cavaliere, e, a sinistra, dalla Schlein, che guida il PD su posizioni radicali. Idee e proposte politiche quelle della leader del PD, che confliggono con i valori e i principi di larga parte dei Popolari che un tempo avviarono l’esperienza della Margherita e la confluenza nel PD, rivelatasi insostenibile.

Ecco perché credo sia opportuno rivolgere un invito a tutti gli amici dell’area cattolica: democratica, liberale e cristiano sociale e a quanti militano nelle diverse realtà organizzate a livello territoriale, a un incontro, che potremmo svolgere anche in via telematica, per un primo scambio di idee, con l’obiettivo di concorrere tutti insieme alla formazione di una lista unitaria alle prossime elezioni europee.

Credo che la discriminante per detta formazione possa essere la scelta condivisa a sostegno dei principi ispiratori dei padri fondatori DC e Popolari dell’Unione europea e l’appartenenza al Partito Popolare Europeo.

L’obiettivo principale sarà quello di avviare il progetto di ricomposizione politica della nostra area, dopo la lunga stagione della diaspora scoppiata dopo la fine ingloriosa della DC ( 1993-2023). In secondo luogo, raggiungere e superare il 4 % dello sbarramento alle europee, necessario per eleggere qualche nostro rappresentante al Parlamento europeo. Obiettivo impossibile, se ciascuna delle nostre realtà organizzate pensasse di presentarsi con lista autonoma. Anche qualora non superassimo lo sbarramento, insieme, dopo il voto, rappresenteremo una realtà politica concreta, misurata sul campo, disponibile a scegliere programmi e alleanze per le elezioni regionali e nazionale, attraverso un congresso politico, da indire da un’assemblea nazionale, le cui modalità saranno da concordare circa i tempi e le  condizioni della sua realizzazione. Qualcuno sta ipotizzando di ricomporre la vecchia casa della libertà ideata da Berlusconi, rimanendo nell’area del centro destra, oggi sempre di più destra-centro. Altri, addirittura, sognano di trasformare Fratelli d’Italia nella nuova DC. Ipotesi scellerata  espressa da chi, da anni, utilizza rendite di posizioni per mera sopravvivenza politica personale.

Noi crediamo, invece, che sia indispensabile impegnarci tutti per la nostra ricomposizione, per la conferma dei nostri principi e valori, e, dopo, solo dopo, ci si porrà il tema delle alleanze politico programmatiche nazionale e di quelle regionali, da decidere con gli amici delle nostre realtà territoriali. Non comprendiamo le titubanze di chi, scottato dall’esperienza nel PD, ne è uscito, ma continua a ipotizzare l’idea di correggere la rotta di quel partito. Al riguardo gli amici Giorgio Merlo e Giuseppe Fioroni hanno scritto note importanti sulla fine di quell’esperienza. Ecco perché alla tua domanda: va bene la nostra unità, ma con chi? Rispondo così: con chi ci sta ed è pronto per questa sfida.

Cordiali saluti

Ettore Bonalberti

Roma , 16 Giugno 2023

 

  1. Superare le  divisioni, uniti al centro sui valori della dottrina sociale cristiana

     

    Con la morte di Silvio Berlusconi il centro della politica italiana vivrà un profondo rivolgimento. La scelta al Cavaliere dell’adesione di Forza Italia al Partito Popolare Europeo, suggerita da Sandro Fontana e da don Gianni Baget Bozzo, fu una di quelle strategiche più importanti, che assegnarono al partito di Berlusconi un ruolo decisivo negli equilibri interni del partito europeo.

    Non a caso Marcello Pera è intervenuto in questi giorni per sollecitare una scelta della Meloni e di Fratelli d’Italia sulla strada a suo tempo intrapresa da Berlusconi, nel momento in cui lo stesso PPE va alla ricerca di un partito forte italiano in sostituzione di Forza Italia, che sembrerebbe destinata a un’inevitabile erosione, se non drammatica implosione, tra filo meloniani e filo leghisti. Sbaglieremmo, però, come fa Travaglio e il Fatto Quotidiano a ridurre il partito del Cavaliere a un gruppo di potere che, dopo la morte di Berlusconi si dividerà tra Fratelli d’Italia e Lega. Ritengo, infatti, che l’essere Forza Italia l’unico partito italiano  che si riconosce nel PPE, lasci uno spazio non solo di sopravvivenza, ma anzi di crescita in un nuovo partito PPE Italia che, superando Forza Italia, che da molti è stata vista come partito di gestione troppo personale, raggruppi tutte le forze di centro. Un partito nel quale, finalmente, trovi una sua concreta presenza, la componente di matrice cattolico democratica, liberale e cristiano sociale.

    Ciò presuppone impegnarci tutti insieme a superare le nostre divisioni e a costruire la lista unitaria dei DC e Popolari alle prossime elezioni europee. Elezioni che, grazie alla legge elettorale con preferenze, ci libera dalla necessità di alleanze a destra o a sinistra. E’, d’altronde, evidente, che lo sbarramento al 4%, imponga l’unità di tutte le diverse anime della nostra articolata area politico culturale, considerando che, da soli, non si va da nessuna parte.

    Se, alle europee, le discriminanti dovrebbero essere quelle dell’adesione senza riserve alle scelte euro atlantiche dei padri fondatori e l’appartenenza al Partito Popolare Europeo, alle prossime elezioni regionali e in vista di quelle politiche, l’obiettivo sarà quello di costruire un centro ampio e plurale nel quale possano confluire le grandi culture politiche che hanno fondato la repubblica: popolare, liberale, socialista e repubblicana. Un centro alternativo alla destra nazionalista e sovranista, distinto e distante dalla sinistra alla ricerca della propria identità, oggi ridotta alla condizione di un “ partito radicale di massa”. Alle regionali e alle politiche, dopo la verifica del voto europeo, questo centro ampio e plurale potrebbe rappresentare il rifugio di larga parte di quell’elettorato che da troppo tempo è renitente al voto, estraneo al bipolarismo forzato, favorito da una legge elettorale dimostratasi incapace di esprimere l’equilibrio reale degli interessi e dei valori presenti nella società italiana.

    Sarebbe da suicidi non cogliere quest’opportunità e lasciare campo aperto all’iniziativa della Meloni e di Fratelli d’Italia, pronta a raccogliere parte importante dell’eredità politica di Forza Italia, e verso la quale molti dei “cattolici della morale” e dell’area più moderata hanno espresso sin qui adesione.

    E’ tempo del coraggio e di raccogliere sino in fondo l’appello della lettera spedita nei giorni scorsi da Papa Francesco ai dirigenti del Partito Popolare Europeo, con la quale ha richiamato la necessità di rifarsi ai valori dei padri fondatori e ai principi essenziali della dottrina sociale cristiana.

     

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 14 Giugno 2023

     

     

     @font-face {font-family:"MS 明朝"; mso-font-charset:78; mso-generic-font-family:auto; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536870145 1791491579 18 0 131231 0;}@font-face {font-family:"Cambria Math"; panose-1:2 4 5 3 5 4 6 3 2 4; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:auto; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536870145 1107305727 0 0 415 0;}@font-face {font-family:Cambria; panose-1:2 4 5 3 5 4 6 3 2 4; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:auto; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536870145 1073743103 0 0 415 0;}p.MsoNormal, li.MsoNormal, div.MsoNormal {mso-style-unhide:no; mso-style-qformat:yes; mso-style-parent:""; margin:0cm; margin-bottom:.0001pt; mso-pagination:widow-orphan; font-size:12.0pt; font-family:Cambria; mso-ascii-font-family:Cambria; mso-ascii-theme-font:minor-latin; mso-fareast-font-family:"MS 明朝"; mso-fareast-theme-font:minor-fareast; mso-hansi-font-family:Cambria; mso-hansi-theme-font:minor-latin; mso-bidi-font-family:"Times New Roman"; mso-bidi-theme-font:minor-bidi;}.MsoChpDefault {mso-style-type:export-only; mso-default-props:yes; font-family:Cambria; mso-ascii-font-family:Cambria; mso-ascii-theme-font:minor-latin; mso-fareast-font-family:"MS 明朝"; mso-fareast-theme-font:minor-fareast; mso-hansi-font-family:Cambria; mso-hansi-theme-font:minor-latin; mso-bidi-font-family:"Times New Roman"; mso-bidi-theme-font:minor-bidi;}div.WordSection1 {page:WordSection1;}


Iniziativa Popolare per l'unità dei DC e Popolari 


“Iniziativa Popolare”, gruppi di Democristiani e Popolari che favoriscono la nascita del nuovo soggetto politico di ispirazione cristiana, è tornata a riunirsi con lo scopo di dare seguito ai due incontri di Roma, del 19 Dicembre 2022 e del 13 Maggio scorso, ed a quelli tenuti da remoto negli ultimi giorni.

     Nell’incontro di ieri hanno partecipato solo esponenti di chiara impronta centrista, né legati al centrodestra e né legati al centrosinistra.

     Il nuovo soggetto politico, Iniziativa Popolare, è formazione politica di centro, nasce come movimento a struttura leggera, è aperto a nuovi gruppi politici e associativi simili, spazia nel campo dell’astensionismo elettorale inteso non come luogo avverso alla politica o apolitico, ma luogo politico che sceglie di non votare perché non si sente rappresentato dalle destre e dalle sinistre. Iniziativa Popolare rappresenta gli elettori assenti, anzi chiama ad un nuovo protagonismo attivo di presenza e di partecipazione. Il web, il virtuale, conducono alla solitudine e facilitano forme di individualismo libertario. Ogni persona attiva, invece, è in ontologica relazione con gli altri ed è soggetto che favorisce identità, appartenenza, solidarietà, progresso. Nei prossimi giorni verranno definiti gli assetti temporanei di Iniziativa Popolare. Tra i promotori Ettore Bonalberti, Mario Tassone, Pasquale Tucciariello.


Roma, 9 Giugno 2023

 

Un tentativo di metapolitica a Venezia

                    

L’impegno politico dei cattolici italiani che permise il superamento della questione romana, portando sulla scena politica la realtà delle grandi masse contadine e dei ceti medi produttivi, insieme a una parte rilevante della classe operaia, fu sollecitato dagli orientamenti pastorali della Dottrina sociale cristiana (Dsc).

Dalla Rerum Novarum di Papa Leone XIII, alla Quadragesimo Anno di Papa Pio XII, Il PPI di don Luigi Sturzo prima e la DC di De Gasperi poi, furono i partiti storici di larga parte dei cattolici italiani e di laici cristianamente ispirati che realizzarono politiche rette dai principi di solidarietà e sussidiarietà e per la difesa dei valori non negoziabili della fede cattolica.

Fu così anche per la nostra quarta e ultima generazione DC, entrata nel partito al tempo delle encicliche giovannee, Mater Magistra e Pacem in Terris, e della Populorum progressio di Papa San Paolo VI,  sino ai giorni della fine della DC( 1993) e l’avvio di quella tragica diaspora post DC tuttora in atto.

Nel frattempo, la società italiana che aveva vissuto la grande trasformazione da prevalentemente agricola a industriale e terziaria, con l’avvento della globalizzazione, si trova a fare i conti con la fine del NOMA ( Non Overlapping Magisteriae): il prevalere della finanza sull’economia reale e la subordinazione della stessa politica agli interessi dominanti rappresentati dagli hedge funds anglo caucasici-kazari, con sede operativa nella city of London e fiscale nello stato USA, del Delaware a tassazione fiscale zero. Poteri dominanti delle industrie energetiche, farmaceutiche, agro alimentari, della comunicazione e degli stessi sistemi bancari di larga parte del mondo occidentale.

Fenomeno quello della globalizzazione già analizzato dalla Centesimus Annus di Papa San Giovanni Paolo II, e, successivamente, dalle encicliche Caritas in veritate di Papa Benedetto XVI e le ultime di Papa Francesco: Laudato SI e Fratelli tutti.

Costante il richiamo dei pontefici all’impegno politico dei cattolici, tanto più doveroso oggi che, dopo la lunga stagione della diaspora, stiamo vivendo una condizione di irrilevanza politica in un sistema caratterizzato da un bipolarismo forzato da una legge elettorale assurda e da un’astensione dal voto  che colpisce oltre la metà del corpo elettorale.

Con gli amici Gerardi e Trabuio, responsabili del gruppo World-Lab di Venezia ( www.worldlabnetwork.ru) , da diverso tempo stiamo cercando di sviluppare un progetto di economia solidaristica, diversa da quella corrente di tipo turbo capitalistica dominata dalla finanza, coerente con le indicazioni  pastorali della dottrina sociale cristiana..

L'avvio di tale progetto prevede la realizzazione pilota a Venezia, nella sede territoriale di Mestre-Marghera, di un’ inedita mutua multi-attivita', comprendente beni e servizi di prima necessità , denominata convivio.

La diffusione di tale mutua, dovuta all’indubbio interesse che ne traggono i soci, comprovato dall’odierna proliferazione di realizzazioni analoghe ( seppur tutte mono attività!), ma anche favorita dalla sua sostenibilità economica, dal suo carattere standard e dalla non necessità di innovazione (di prodotto e/o di processo) ne farebbe lo strumento di una metapolitica di ispirazione cristiana, cioè in grado di generare, al tempo stesso, nuova occupazione e solidarietà sociale concreta.

Se patrocinata da una coalizione di forze politiche di analoga ispirazione, farebbe di quest'ultima un possibile soggetto centrale assolutamente nuovo nello stantio panorama politico attuale (nel quale le due sponde politiche “contrapposte” corrono, come recentemente affermato da Massimo Cacciari, su “rotaie diverse di uno stesso binario”).

In effetti, la diffusione dei convivi alla base della detta metapolitica, implicando una nuova importante presenza del mutualismo (produzione di “valori d'uso”) a fianco del mercato (produzione di “valori di scambio”), avrebbe come effetto nientemeno che una metamorfosi  del sistema economico e sociale rendendolo conforme alla Dottrina sociale cristiana i cui principali pilastri, considerati oggi incompatibili (sic) da una c.d. “scienza” economica, sono:

a) la disoccupazione zero permanente,

b) la libera iniziativa privata e

c) un ruolo sussidiario del settore pubblico.

E' così che la Dsc diverrebbe la stella polare per una “visione del mondo” (weltanchauung)  oggi tragicamente mancante.

Per non cadere vittima, in fase elettorale, del “Capitolo quinto” (in dialetto veneto: chi che manovra l'informassion ga vinto) occorre, insomma, che la Coalizione sia portatrice di una Metapolitica dai grandissimi effetti tangibili fondata su una visione del mondo, come quella cristiana bimillenaria, ricca di valori etici e spirituali. Solo così, coadiuvata localmente da opportune associazioni di volontariato, potrà diventare un “soggetto mediatico” raccogliendo il meritato consenso che , successivamente,  le consentirà di orientare la Politica in modo da completare la salvifica metamorfosi, diventata oramai urgente agli occhi dei più, cioè di una parte della società che va ben oltre (!) quella del “non voto”.

Un’utopia impossibile? Intesa nel senso di pensiero critico noi ci crediamo e ci vogliamo provare, altrimenti che senso avrebbe dirci cristiani oggi, nell’età della globalizzazione turbo capitalistica? Un’importante sfida per tutti i cattolici e per gli amici DC e dell’area popolare.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 8 Giugno 2023

 

 

 



Lista unitaria dei DC e Popolari alle europee?

 

Credo sia questa la domanda che molti amici dell’area cattolico democratica, liberale e cristiano sociale si stiano ponendo alla vigilia delle elezioni europee che si celebreranno nel 2024. Gli amici, cioè, che sono  espressione e interpreti delle tre più importanti tradizioni che hanno caratterizzato la storia politica dei cattolici italiani.

La legge elettorale proporzionale, con preferenze e sbarramento al 4%, dovrebbe escludere ogni residua disponibilità a convergere in posizioni di risulta nelle liste di destra o di sinistra, se non nei casi dei soliti noti, pronti a tale “sacrificio” per il proprio particulare, ma, semmai, proprio il tentare di favorire il progetto di ricomposizione politica. Una ricomposizione che potrebbe avvenire dopo la lunga stagione della suicida diaspora post democristiana (1993-2023) tuttora in corso.

 Purtroppo contro questa elementare evidenza permangono le antiche divisioni, non solo tra gli eredi della sinistra DC: quelli della sinistra sociale e della cosiddetta sinistra politica, ma quelli di sempre tra cattolici  democratici e dell’area liberal conservatrice e, ancor più forti tra i cattolici della morale e i cattolici del  sociale.

Se la frattura tra le due sinistre storiche della DC fu consumata nel Febbraio 1980 al XIV Congresso nazionale del partito, quello nel quale Carlo Donat Cattin presentò il cosiddetto “ preambolo”, che prese il suo nome, con il quale sosteneva che “ allo stato degli atti” non era possibile la collaborazione di governo col PCI; un documento che rovesciò le alleanze congressuali e mutò il corso della politica italiana. La frattura tra i cattolici della morale e i cattolici del sociale si è ulteriormente approfondita, dopo che il PD, con la segreteria Schlein, ha assunto sino in  fondo i caratteri di quel “partito radicale di massa” profetizzati molti anni addietro dal prof. Augusto Del Noce.

Nel 1980 la divisione nella sinistra DC era tra i fautori dell’alleanza col PCI e quelli per la ripresa dei rapporti con il PSI di Craxi e dell’area socialdemocratica e liberal- repubblicana, mentre oggi si dovrebbe tener conto tutti della nuova realtà rappresentata da un governo della destra guidata dagli eredi dei post fascisti almirantiani, con l’egemonia della premier Meloni, assai attenta al rispetto di quei valori non negoziabili su cui confidano i  cattolici della morale e molta parte dell’area liberal moderata dei vecchi elettori DC.

A me pare che, continuare a sostenere come un mantra il vecchio insegnamento degasperiano di “una DC che guarda a sinistra” se era comprensibile negli anni in cui il fronte popolare PCI-PSI rappresentava larga parte delle realtà operaia italiana, nella sicurezza di scelte euroatlantiche che tenevano il PCI di Togliatti-Longo e sino a Berlinguer ben lontano dal ruolo di partito di governo, andrebbe diversamente declinato oggi che l’avversario è rappresentato da una destra nazionalista e sovranista, non solo pronta a cavalcare, come giustamente sta facendo necessitata la Meloni, la scelta euro atlantica, ma, insieme, la difesa dei valori non negoziabili per la quale ha raccolto molti voti dell’area cattolica e continua a mietere consensi sia a livello nazionale che locale.

Ecco perché con gli amici di Iniziativa Popolare continuiamo a sostenere che, prima delle alleanze, utilizzando la legge elettorale proporzionale e le preferenze vigente per le prossime elezioni europee, il primo obiettivo da perseguire deve essere quello della ricomposizione politica della nostra area che vuol dire, puntare a costruire una forte compagine di centro ampio e plurale, alternativa alla destra nazionalista e sovranista, distinta e distante dalla sinistra alla ricerca della propria identità. Ciò dovrebbe valere per tutti, e, in primis, proprio per quelli amici che dalla Margherita confluirono nel PD, per abbandonarlo dopo le tristi esperienze vissute recentemente. Per facilitare questo progetto, però, se si mette davanti la scelta preferenziale a sinistra non si riuscirà a comporre una lista unitaria insieme ai rappresentanti delle componenti moderate e dell’area dei cattolici della morale, indispensabili per puntare a un risultato positivo alle europee. Solo se uniti, ancora una volta, saremo forti e, probabilmente in grado di superare lo sbarramento del 4% previsto. Qualora non fossimo in grado di raggiungere quel risultato, all’indomani delle europee sapremmo finalmente, in ogni caso, la nostra consistenza elettorale nazionale e in sede locale e dopo, solo dopo, in un congresso nazionale del partito, potremo decidere in libertà e sulla base di un condiviso programma politico le alleanze. Certo il discrimine da condividere alle europee dovrebbe essere la scelta a sostegno del Partito Popolare Europeo, l’unica famiglia politica nella quale possiamo collocarci in continuità con la scelta dei padri fondatori: De Gasperi, Adenauer, Monnet e Schuman. Guai se favorissimo, con scelte divisive e miopi, il tentativo della Meloni di collegare i conservatori e la destra europea al PPE perché, a quel punto, di ricomposizione della nostra area politico culturale ne parleranno i nostri nipoti.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 6 Giugno 2023 ,

 

 

Prima il voto europeo uniti al PPE

 

Dopo l’infausta fine della prima repubblica, il centro era stato rappresentato dal “partito di plastica” del Cavaliere che, in alternativa alla gloriosa macchina da guerra occhettiana , conquistò la maggioranza del voto alle elezioni del 1994, sfruttando l’immagine di “ uomo nuovo” della politica italiana e i voti dei reduci del PSI e di molta parte degli ex DC.

Berlusconi, grazie alle sollecitazioni di Sandro Fontana e di don Gianni Baget Bozzo, suo intelligente mentore ideologico, scelse di allearsi a livello europeo con il PPE, di cui divenne uno dei più autorevoli leader per consenso elettorale e ruolo istituzionale. Oggi, dopo il voto di Settembre 2022, quella situazione è totalmente mutata e quello che un tempo era il centro destra a dominanza del partito di Forza Italia,  è diventata un’alleanza di destra-centro egemonizzata dal partito di estrema destra di Giorgia Meloni, nel quale, nonostante le chiare scelte euro atlantiche compiute dalla presidente del consiglio, convivono molti esponenti di culture nazionaliste e sovraniste di nostalgici post e neo fascisti.

Ipotizzare alleanze a destra dei DC e Popolari legati alla cultura originaria democratico cristiana e popolare con tale maggioranza, a me pare solo possibile come  scelta tattica, forse comprensibile a livello locale, ma assolutamente incompatibile in quello nazionale, considerate le distanze esistenti tra gli ideali e i valori che ispirano la destra meloniana da quelli propri della nostra tradizione sturziana, degasperiana e morotea .

Anche a sinistra, con un PD a dominanza della neo segretaria Elly Schlein, ridotto al ruolo di un “ partito radicale di massa”, la nostra incompatibilità è evidente. Una incompatibilità confermata dalle decisioni che amici, popolari ex Margherita, hanno compiuto, come Fioroni e altri, uscendo da un partito i cui valori, alla fine, sono risultati incompatibili con quelli fondanti della nostra cultura politica.

Qualcuno si era illuso sul terzo polo del duo Calenda-Renzi, ma proprio in questi giorni si è potuto vedere quanto le divisioni tra di loro siano profonde e che solo l’esigenza di conservare il supporto finanziario del gruppo parlamentare unificato, abbia rappresentato la condizione utilizzata e imposta da Renzi per il varo di una lista unitaria alle prossime europee.

Giorgio Merlo nella sua ultima nota su Il Domani d’Italia ( Il Centro è credibile se è credibile chi lo rappresenta), sulla base di un sondaggio del dr Lorenzo Pregliasco, confermerebbe la profezia di uno spazio elettorale attorno al 10 % a un centro che fosse equidistante dai due poli della destra e della sinistra, con personalità credibili alla sua guida.

Gli è che, da un lato, i cosiddetti cattolici della morale, flirtano con la destra già da molti votata, e, dall’altra, quelli del sociale, o sono coerentemente fermi al centro, come il sottoscritto e molti altri, o ripensano nostalgicamente a una nuova Margherita in formato 4.0, sempre con lo sguardo rivolto a quella sinistra da cui sono appena fuggiti, dopo la vittoria congressuale della leader statunitense nazionalizzata svizzera.

Ecco, se veramente fossimo tutti interessati, come affermato sia al Convegno del Parco dei Principi del 25 Febbraio che a quello del 13 maggio al teatro parrocchiale di San Lorenzo in Lucina, alla ricomposizione politica dell’area popolare: cattolico democratica, liberale e cristiano sociale, è evidente che, utilizzando finalmente alle prossime elezioni europee il sistema elettorale proporzionale con preferenze, l’unica scelta che dovremmo compiere è quella della formazione di una lista unitaria di tutte le componenti della nostra area, tanto quelle che fanno capo agli amici di Tempi Nuovi-Popolari uniti, che a quelle di Insieme e, infine, ma non meno decisivi, di Iniziativa Popolare con tutti gli amici a diverso titolo democratici cristiani e con tutte le diverse associazioni e movimenti che sottoscrissero il patto della Federazione DC e Popolari.

Ogni altra scelta che puntasse di andare ciascuno per proprio conto sarebbe miope e contro producente, giacché da sole, nessuna delle diverse formazioni potrebbe superare realisticamente la soglia minima obbligatoria prevista dalla legge elettorale europea per  l’assegnazione dei seggi.

Unica discriminante per il voto europeo dovrebbe esser la comuna volontà di far parte della più ampia squadra del Partito Popolare Europeo, poiché tutti eredi del partito che, con De Gasperi fu, con Adenauer, Monnet e Schuman, tra i fondatori della compagine popolare europea, lasciando a un futuro congresso nazionale la decisione delle scelte politico programmatiche e delle alleanze sul piano interno italiano.

Ecco perché mi sento di rivolgere l’ennesimo appello a tutti gli amici delle diverse realtà politico culturali citate, affinché si rinviino  le decisioni sulle alleanze e ci si impegni tutti uniti per dar vita a una lista unitaria dei DC e Popolari alle prossime elezioni europee, con l’obiettivo di riportare finalmente nel Parlamento a Strasburgo e a BXL, alcuni deputati rappresentativi della nostra cultura politica.

           

Ettore Bonalberti

 

Venezia, 26 Maggio 2023


Il linguaggio della verità

 

Ci sono molte iniziative di associazioni, movimenti, partiti, interessati alla costruzione di un nuovo centro politico dell’Italia, con particolare attività nella vasta e complessa area culturale e sociale cattolico popolare: democratica, liberale e cristiano sociale.

E’ prioritario il tema della ricomposizione politica di quest’area, considerata quanto mai necessaria per sviluppare un più ampio movimento politico alternativo alla destra nazionalista e sovranista, egemonizzata da Fratelli d’Italia, e al populismo grillino, distinto e distante dalla sinistra alla ricerca affannosa della propria identità che, con la segreteria Schlein, ha assunto sempre più distintamente quella di un “ partito radicale di massa”.

Non saranno certo gli eredi della quarta e ultima generazione democratico cristiana, come la mia, che potranno assumere un ruolo da protagonisti, considerata l’età avanzata di noi tutti, consapevoli che: possiamo solo fornire dei buoni consigli, visto che non siamo nemmeno più in grado, fortunatamente, di offrire dei cattivi esempi. Il nostro ruolo, e dovremmo esserne tutti realisticamente consapevoli, può solo essere quello dei traghettatori, capaci di consegnare il testimone a una nuova generazione di donne e di giovani interessati a portare avanti gli interessi e i valori ispirati dai principi della dottrina sociale cristiana e della carta costituzionale repubblicana.

Se per la nostra generazione la nostalgia è in larga parte il sentimento che ha animato e sostiene la volontà di continuare a batterci, ai giovani delle nuove generazioni che si sono succedute, dopo la fine della DC, molti dei quali testimoni dei disastri della nostra diaspora politica (1993-2023), è invece indispensabile spiegare a loro che cosa sia veramente successo negli anni che portarono alla fine ingloriosa della prima repubblica.

Ho sintetizzato in questi punti le ragioni della fine della DC:

la DC è finita per aver raggiunto il suo scopo sociale: la fine dei totalitarismi di destra e di

sinistra contro cui si era battuto il movimento dei cattolici in un secolo di storia;

la DC è finita per il venir meno di molte delle ragioni ideali che ne avevano determinato l’origine, sopraffatta dai particolarismi egoistici di alcuni che, con i loro deteriori comportamenti, hanno coinvolto nel baratro un’intera esperienza politica;

la DC è finita per il combinato disposto mediatico giudiziario che l’ha travolta insieme agli altri partiti democratici e di governo della Prima Repubblica;

la DC è finita quando sciaguratamente scelse la strada del maggioritario, per l’iniziativa improvvida di Mariotto Segni, auspice De Mita in odio a Craxi e Forlani, abbandonando il tradizionale sistema proporzionale che le garantiva il ruolo centrale dello schieramento politico italiano.

E, soprattutto, ed è la cosa più grave e incomprensibile, la DC è finita senza combattere. Con una parte, quella anticomunista, messa alla gogna giudiziaria, e quella di sinistra demitiana succube e imbelle, alla mercé dei ricatti della sinistra giustizialista.

E finivo affermando che “la DC è finita e nessuno sarà più in grado di rifondarla”, consapevole che la nostalgia, nobile sentimento romantico, ma regressivo sul piano politico, culturale ed esistenziale, può rappresentare un fattore servente, forse necessario, ma, certo, non sufficiente per ricostruire alcunché.

 Alla fine della DC concorsero pure alcune nostre gravi colpe e inadempienze:

• la mancanza di una vera trasmissione della fede e dei valori nel costruire la città dell'uomo ( scarsa applicazione laica della Dottrina sociale della Chiesa);

• la mancanza di sostegno forte alla famiglia specie a quelle con più figli;

• la mancanza di riconoscimento sociale alle casalinghe;

• la mancanza di formazione dei giovani nella fede religiosa, nella passione e fede politica;

• la quiescenza nei confronti della criminalità' organizzata;

• la tiepida lotta alla corruzione dei politici e dei burocrati, nella quale concorsero, ahimè, anche molti amici del nostro partito;

• la tiepida lotta all'evasione fiscale;

• la scarsa cultura per la responsabilità, per la meritocrazia e le difficoltà nel ricambio del ceto politico;

• l’ eccesso di sprechi per creazione di enti inutili;

• il cumulo esagerato nel cumulo di incarichi pubblichi ;

• la poca attenzione a sostenere programmi per la ricerca e l'innovazione, ma solo finanziamenti a pioggia per progetti talora fasulli e opere mai completate;

• i pochi o nessun investimento su risorse della PA da mandare all'UE;

• lo scarso utilizzo dei fondi europei senza follow up sui finanziamenti ottenuti dai progetti italiani;

• gli enormi investimenti senza controllo nella Cassa del Mezzogiorno;

• l’ eccesso di appiattimento nell’ accettare e condividere le richieste dei comunisti con gravi oneri per le finanze pubbliche

Insomma abbiamo consapevolezza delle nostre colpe, dei nostri errori e dei nostri limiti e, non a caso, dopo quell’esperienza è arrivata la diaspora e la frantumazione dei democratici cristiani nelle piccole formazioni a diverso titolo ispirate alla Democrazia Cristiana.

Sono, però, convinto che sia indispensabile approfondire le ragioni più profonde geo politiche e economico-finanziarie internazionali che concorsero a determinare quella fine.

E’ necessario compiere quello che non abbiamo saputo o non abbiamo voluto fare; un processo alla storia di quegli anni tormentati e drammatici, cercando di ricostruire i passaggi più dolorosi, chiedendoci: chi ha ucciso Aldo Moro? Chi ha ucciso politicamente amici autorevoli come Giulio Andreotti e Calogero Mannino? Perché Martinazzoli fece la scissione, sbagliando persino i modi giuridici del passaggio da DC a PPI? Perché alcuni dei nostri amici, come Casini e Mastella corsero in fretta alla casa di Berlusconi?

Quanto al caso Moro, non v’è dubbio che alle tante ragioni messe in evidenza seppur non in maniera esaustiva dalle tante commissioni d’indagine parlamentari, furono alcune scelte di politica economica e finanziaria, destinate a  indebolire il ruolo dominante dei poteri finanziari internazionali, le concause che spinsero il progetto di eliminazione del leader della DC italiana.  Aldo Moro, infatti, stava ledendo con la sua zione politica gli interessi delle grandi famiglie luterane di origine tedesco orientali ( Rothshild/ Rockfeller/J.P. Morgan) di cui Kissinger è membro e rappresentante, dato che intendeva:

-cancellare con un colpo di penna, senza pagarlo, il debito di guerra del Tesoro italiano verso le banche (Casse di Risparmio) controllate dai Rothshild/ Rockfeller (J.P. Morgan).  Alla sua morte infatti il debito del Tesoro verso le Casse  di Risparmio non fu più cancellato con un colpo di penna, produce tuttora interessi; 

-stampare con le BIN (banche d'interesse nazionale che erano pubbliche) una prima tranche di 5 miliardi di euro di banconote cartacee da 500 lire  per finanziare le opere pubbliche.  Alla sua morte infatti le 500 lire in banconote cartacee non furono stampate dalle BIN;  

-non voleva inoltre che Banca d'Italia fosse estromessa dall'acquisto dei titoli di Stato che rimanevano venduti . Alla sua morte, infatti, Banca d'Italia fu estromessa dall'acquisto dei BTP rimasti invenduti, l'Italia cedette al ricatto dei Rothshild/ Rockfeller   " se vuoi  che ti compri i titoli di stato rimasti invenduti, pagami interessi”. 

E, sempre sul piano della geopolitica, andrebbe meglio studiato, quanto accadde nel 1992 sul panfilo Britannia. Scrisse al riguardo il compianto Marcello Di Tondo:

Il modello di un capitalismo finanziario dominante, da importare in Italia sulla base di un

accordo tra la sinistra post comunista e la massoneria internazionale, con il contributo di

una serie di personaggi riconducibili alla cultura catto-comunista, fu definito, nel 1992,

nel corso della poco conosciuta crociera che si svolse, appena al di fuori delle acque territoriali

italiane, a bordo del Panfilo Britannia, di proprietà della regina Elisabetta II, cugina del Duca di Kent,

Gran Maestro della Massoneria inglese.

In quell’ occasione  (sapientemente ed intelligentemente tratteggiata da una intervista che

Giulio Tremonti rilasciò al Corriere della Sera il 23 luglio 2005) fu stabilito un accordo

tra i poteri massonici nazionali ed internazionali ed i post comunisti, eredi diretti del Pci,

sulla base del quale alla sinistra sarebbe andato il controllo economico e politico del Paese

e alla massoneria il controllo economico e finanziario.

Si mise così in moto un processo, conosciuto come “Mani Pulite” che spazzò via  in pochi mesi la DC

e i suoi alleati (Psi, Psdi,  Pri e Pli) che avevano governato il Paese sino ad allora, pur con evidenti

limiti a partire dalla seconda metà degli anni ’80, riuscendo nell'incredibile impresa di portare

l'Italia, dalla desolazione di una nazione sconfitta e distrutta dell’immediato dopo guerra,

al 5° posto tra le maggiori economie mondiali.

Ma quei Partiti rappresentavano, in quel momento, l’ostacolo politico e istituzionale per

la realizzazione di quel progetto.

Contemporaneamente, fu accelerato il percorso di privatizzazione di banche e di società

a controllo pubblico per oltre 100.000 miliardi di vecchie lire, processo preparato ed avviato,

nei primi anni ‘90, dai Governi Ciampi e Amato.

La variabile non prevista, fu l’entrata in campo politico, alle elezioni del 1994, di Silvio Berlusconi

che, rompendo gli schemi e gli accordi che erano stati siglati, sconvolse il quadro generale ed

introdusse una forte ed imprevedibile variabile allo schema prospettato sul Britannia.

Da quel momento, iniziò la sconvolgente persecuzione giudiziaria di Silvio Berlusconi.

La storia vale la pena di essere conosciuta anche attraverso i tanti “dietro le quinte” del grande teatro mediatico che, in  tutto il mondo viene propinato all’opinione pubblica.

Partire da questi fatti e spiegarli alle nuove generazioni credo sia l’impegno prioritario se si intendono cambiare le cose. Non c’è più tempo, in ogni caso, per restare nel ruolo di reggicoda della destra o della sinistra, ma di impegnarci sin dalle prossime elezioni europee e regionali, per liste unitarie dell’area DC e Popolare. Se De Gasperi con la DC seppe porsi come argine al populismo e al qualunquismo di quel tempo, oggi spetta ancora ai cattolici democratici, liberali e cristiano sociali, concorrere alla costruzione del nuovo centro politico in grado di riconquistare la fiducia dei ceti medi produttivi e delle classi popolari che, in larga parte, stanno disertando le urne a tutti i livelli istituzionali.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 21 Maggio 2023

Alcune proposte per la difesa idrogeologica dell’Italia

 

Con cadenza frequente e sistematica l’Italia vive la grave situazione causata dagli eventi, alluvioni e frane, che evidenziano il grado di dissesto idrogeologico del Paese in tutta la sua estensione, dalle Alpi alla Sicilia. Un dissesto dalle conseguenze enormi sul piano economico e sociale, all’origine del quale, oltre al cambiamento climatico in atto, concorrono molte responsabilità di noi esseri umani per le nostre azioni e quelle dei responsabili della cosa pubblica ai diversi livelli, per i quali vale sempre l’aforisma di Leo Longanesi, secondo cui: “ L’Italia è un Paese di inaugurazioni e non di manutenzioni”.

Dopo quanto è accaduto negli ultimi tempi e la drammatica situazione che molti comuni dell’Emilia Romagna, Marche e Toscana, stanno vivendo, risulta ormai evidente che ciò che un tempo sembrava saltuario, seppur con frequenza ricorrente, ora si deve prendere atto che trattasi di fenomeno destinato a ripetersi sistematicamente, tale da imporre un cambio di strategia globale, sia in materia di politiche ambientali, urbanistiche e territoriali, che di difesa idrogeologica.

Da direttore generale dell’assessorato alle Opere Pubbliche, Politiche per la casa e Protezione civile di Regione Lombardia (2001-2005), in accordo con alcuni docenti del Politecnico di Milano, ho redatto il PRO.MO.S. ( Progetto Montagna Sicura) che, credo, si potrebbe riprendere al servizio del Paese. Se in quarant’anni, i danni di alluvioni e frane sono stati stimati in oltre 50 miliardi, è evidente che il tema non può più essere rinviato, pena il disastro ambientale italiano. Un disastro tanto più grave in un Paese come il nostro, che detiene il primato mondiale di presenza dei beni artistico culturali e che gode di una diffusa e ampia realtà di piccole e medie aziende costituenti il tessuto produttivo vitale dell’Italia.

Credo che, accanto a una nuova politica di approvvigionamento, conservazione e distribuzione dell’acqua, bene primario assoluto, sia da considerare il ruolo strategico della montagna alla quale si deve offrire il massimo sostegno.

La montagna Italiana deve essere considerata non una criticità, ma una risorsa strategica per il Paese. Premessa essenziale è quella di metterla in sicurezza per garantire sicurezza anche agli altri ecosistemi del Paese. Serve, come individuammo nel PRO.MO.S., approfondire la conoscenza dei seguenti temi inerenti alla difesa e alla sostenibilità degli eco sistemi montani:

 

Ø Necessità di una raccolta organica dei dati a disposizione sull’ambiente montano ed esposizione delle esperienze sinora acquisite, quali ad esempio l’individuazione dei principali temi idrologici e geoidrologici attinenti specificatamente i bacini montani:

·      idrologia delle zone alpine lombarde;

·      portate di piena nei bacini alpini;

·      trasporto solido nei corsi d’acqua nei versanti;

·      fenomeni erosivi;

·      fenomeni franosi e loro correlazione con quelli idrologici;

·      individuazione dei principali temi botanici, forestali, biologici ed ambientali in generale;

·      individuazione dei bacini campione su cui studiare con appositi finanziamenti anche europei;

·      correlazione tra interventi tradizionali e risposta del territorio;

·      proposte di interventi di tipo naturalistico ed avvio di programmate fasi di controllo e di verifica della risposta dei singoli bacini in esame.

 

Sempre in relazione all’idea progetto PRO.MO.S. si suggerisce di acquisire ed implementare con adeguate azioni di ricerca e sviluppo i seguenti sotto-progetti:

 

Sottoprogetto 1

Assetto geologico e rischi naturali del territorio

 

1. Analisi e mappatura dei rischi naturali (frane, alluvioni, valanghe, sismi);

2. Analisi delle prevenzioni naturali esistenti (foreste, stato di fiumi e torrenti);

3. Definizione di linee guida di intervento mirati alla riduzione dei rischi maggiori;

4. Progetto di reti di monitoraggio geologico e valutazione dei costi;

5. Progetto di qualche caso pilota di consolidamento geologico e valutazione dei costi;

6. Definizione di piani di gestione delle emergenze in caso di disastri naturali.

 

Sottoprogetto 2

Valorizzazione del paesaggio, degli insediamenti rurali e dei beni culturali minori

 

7.   Salvaguardia delle specie animali e dei biotipi vegetali;

8.   Analisi dello stato di conservazione degli insediamenti rurali tipici del territorio;

9.     Analisi dello stato dei servizi esistenti per le popolazioni rurali;

10.  Mappatura dei beni culturali minori di potenziale interesse turistico;

11.  Progetto di consolidamento e recupero del tessuto rurale e dei beni culturali minori

 

Sottoprogetto 3

Accessibilità e sicurezza delle zone di interesse turistico, paesaggistico ed economico

 

12. Analisi dei sistemi di trasporto esistenti e dell’impatto sul territorio;

13. Analisi delle capacità ricettive e di accoglienza e della loro accessibilità;

14. Definizione di linee guida per lo sviluppo di un sistema di trasporto locale;

15. Progetto di sistemi innovativi di trasporto locale a basso impatto ambientale;

16. Potenziamento di piste ciclabili e percorsi per il tracking compresi tra posti di ristoro.

 

Sottoprogetto 4

Sviluppo economico e qualità della vita delle popolazioni rurali

 

17. Analisi delle potenzialità economiche.

18. Analisi delle potenzialità turistiche del territorio.

19. Individuazione delle linee di possibile sviluppo compatibile con l’ambiente.

20. Mappatura delle strutturali esistenti per le popolazioni locali (case, scuole, asili);

21. Progetto di interventi per migliorare tali strutture per qualche caso campione.

 

Sottoprogetto 5

Ripristino del ciclo del legno per l’assetto geologico e lo sviluppo economico

 

22. Valutazione dell’interesse geologico, ambientale ed economico del ciclo del legno;

23. Analisi dello stato attuale, dei possibili margini di sviluppo e dei costi;

24.  Definizione di linee guida per uno sviluppo compatibile con 1’ ambiente ed il territorio,

25.  Progetto di una serie organica di interventi finalizzati al potenziamento del Ciclo del Legno.

 

 

 

Progetti e sotto progetti da sviluppare in tutte le realtà montane italiane, allo scopo di attivare azioni coordinate finalizzate a:

         promuovere la valorizzazione delle risorse naturali utilizzando l’analisi territoriale ambientale per permettere agli enti locali di dotarsi della certificazione territoriale ambientale;

         incentivare le azioni necessarie per la tracciabilità totale dei prodotti montani e promuovendo forme di divulgazione degli ambienti montani certificati;

         difendere la tipicità dei prodotti agricoli delle zone montane, in particolare di quelli legati all’allevamento del bestiame, per favorire il mantenimento delle attività agricole nelle zone montane e la conservazione degli ambienti ad esse legati;

         qualificare i prodotti della selvicoltura, secondo i principi della eco-certificazione, per dare un vantaggio competitivo ai prodotti delle foreste montane italiane, gestite secondo tecniche selvicolturali vicine alla natura;

         mettere in atto azioni decise di rinaturalizzazione dei torrenti e dei fiumi alpini, in particolare garantendo adeguati spazi ai loro alvei e sufficienti aree di espansione in caso di piena;

         riconoscere la multifunzionalità delle aziende agricole di montagna, mettendo in atto azioni concrete di coinvolgimento degli agricoltori nella manutenzione del territorio secondo la positiva esperienza dei “presidi agricoli”;

         sostenere l’associazionismo forestale come strumento cardine per la gestione dei boschi privati, parte della foresta italiana finora più trascurata e che tanta parte potrebbe avere nel rilancio delle attività forestali nel Paese;

         sostenere la meccanizzazione delle attività forestali favorendo l’impiego delle tecnologie più avanzate ed aprendo finalmente la foresta italiana all’innovazione tecnologica  per abbattere i costi di utilizzazione e favorire una coltivazione diffusa dei boschi delle aree montane;

         favorire l’utilizzo del legno nell’edilizia, con azioni specifiche a favore delle abitazioni in legno, anche al fine di passivizzare la CO2;

         incentivare l’uso energetico del legno, soprattutto per la produzione di energia termica a piccola e media scala, favorendo processi di filiera a scala locale;

         valorizzare le altre fonti rinnovabili di energia, abbondanti nelle zone montane, puntando ad istituire “carbon-free areas”, aree pilota in cui le comunità locali si svincolano completamente dall’uso di fonti fossili, lasciando in loco tutta la ricchezza legata alla produzione ed alla distribuzione dell’energia.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 19 Maggio 2023

 

 

 

Quel guazzabuglio dell’animo dei democristiani

 

Sembra di combattere contro i mulini a vento anche per un don Chisciotte come me che ha assunto questo pseudonimo dal 1993, anno della fine politica della Democrazia Cristiana.

Dopo trent’anni di continue battaglie segnate dalla scomposizione progressiva del partito che aveva governato l’Italia per oltre quarant’anni ( 1948-1993) e la sua frantumazione nei mille rivoli della diaspora.

Sono nate tante piccole casematte che hanno spezzettato anche ciò che rimaneva della DC in periferia, alcune delle quali semplici aggregazioni di notabilati di alcune personalità interessate soprattutto a sopravvivere a destra o a sinistra nella lunga stagione di passaggio dalla Prima Repubblica e sino ai giorni nostri.

Un primo tentativo di ricomposizione era stato tentato con la Federazione DC e Popolari presieduta dall’On Peppino Gargani, che era stata avviata con un atto fondativo sottoscritto da una cinquantina di movimenti, associazioni, gruppi e partiti, con l’impegno di dar vita a un soggetto politico nuovo di centro alternativo alla destra nazionalista e sovranista e distinto e distante dalla sinistra alla ricerca della propria identità. Quel tentativo non ha potuto decollare per il NO degli amici Rotondi e Cesa e il debole appoggio di altri insieme ad alcuni errori di conduzione tattica mal digeriti da qualche autorevole sottoscrittore del patto.

Anche tra i presunti eredi della DC, anziché raggiungere la ricomposizione,la platea si è andata via via ampliando di sigle e di sedicenti segretari nazionali; ferma restando le ragioni legali di continuità giuridica della DC, nata dall’autoconvocazione del Consiglio nazionale del partito nel 2012, con l’elezione poi della segreteria di Gianni Fontana prima e di Renato Grassi dal 2018, al quale è succeduto al XX Congresso di quest’anno, Totò Cuffaro.

Il permanere del sistema elettorale largamente maggioritario del rosatellum, ha favorito i tatticismi dei soliti noti, interessati a garantirsi il posto al sole nelle liste della destra o della sinistra, sino a verificare l’egemonia della destra alle politiche del settembre 2022. Una destra che ha assunto per la prima volta dal 1948 la guida del governo del Paese. Questa nuova e per certi versi inedita situazione politica si incrocia con la prossima scadenza elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo. Una scadenza nella quale, finalmente, sarà vigente la legge elettorale proporzionale con preferenze, ossia una condizione che libererà la nostra area sociale e culturale dalla necessità di scegliere l’alleanza a destra o a sinistra.

Ecco perché da molto tempo continuo a sostenere il progetto della ricomposizione politica dell’area popolare, avendo consapevolezza che essa è caratterizzata dai “ cattolici della morale” e  dai “ cattolici del sociale” e, in definitiva, dalle tre culture che hanno segnato profondamente la sua storia: quella dei cattolici democratici, dei cattolici liberali e dei cristiano sociali. I primi, sulla base del documento approvato al Parco dei Principi, hanno dato vita al gruppo “ Tempi Nuovi-Popolari Uniti”, così come è sorto il movimento di Iniziativa Popolare coordinato da Mario Tassone e ben strutturato è pure il movimento-partito “ Insieme” guidato da Giancarlo Infante. Anche il sen Ivo Tarolli ha dato vita con alcuni amici al movimento “ Piattaforma Popolare 2024”.

Iniziativa Popolare è sorta sulla base della condivisione di un documento politico Bonalberti-Fiori-Tassone-Tucciariello che si pone l’obiettivo della ricomposizione politica dell’area cattolica, come affermato nel convegno del 13 Maggio scorso a Roma al teatro parrocchiale di San Lorenzo in Lucina.  Sono subito emersi i primi distinguo e da qualcuno la volontà di proseguire in solitaria un’avventura che, in quelle condizioni, può solo votarsi all’ennesimo suicidio politico. Alle elezioni europee servirà raggiungere una soglia minima pari a quasi  quattro milioni di voti. Un’ipotesi già difficilissima se condotta con una lista unitaria, ma che diventerebbe impossibile e del tutto velleitaria se fosse condotta con liste separate.

Se qualcuno pensasse di conservare le vecchie etichette o di ricostituire consumate esperienze ( Margherita 2.0?!) sperando di essere attrattivi per l’intera area, temo sia fuori strada. Salvo che lo stesso non predichi bene e razzoli male, simulando l’unità e dissimulando la ricerca più sicura in qualche lista della destra o della sinistra, è evidente che l’unica strada ragionevole percorribile sia quella della formazione di una lista unitaria rappresentativa delle diverse anime dell’ampia, articolata e complessa realtà sociale e culturale cattolica popolare.

Siamo chiamati tutti, comunque, a un grande senso di responsabilità e a usare pazienza e tolleranza, coerenti con l’insegnamento degasperiano dettato al Congresso DC di Venezia (1949): solo se uniti saremo forti e se siamo forti saremo liberi…”.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 17 Maggio 2023

 

 


 

Intervento di Ettore Bonalberti

Convegno di Iniziativa Popolare

Roma- Teatro parrocchiale di San Lorenzo in Lucina

13 Maggio 2023

 

Abbiamo raccolto un’esigenza diffusa: superare la nostra “Demodissea”, la diaspora che ci ha divisi per oltre trent’anni ( 1993-2023) e per offrire al Paese il contributo politico culturale dei cattolici, come è avvenuto nelle svolte decisive della nostra storia: dalla Rerum Novarum al PPI, dalla Quadragesimo Anno alla DC di De Gasperi alle ultime encicliche sociali di Papa San Giovanni XXIII, San Paolo VI, San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco.

 

Basta con le divisioni vogliamo favorire la ricomposizione della nostra area, tra i cattolici della morale  e cattolici del  sociale; vogliamo costruire la nuova casa comune dei cattolici democratici, dei cattolici liberali e dei cristiano sociali.

 

Vogliamo partire dalla base, nei territori, dove sollecitiamo l’avvio di comitati civico popolari di partecipazione democratica nei quali favorire finalmente il dialogo tra le diverse componenti presenti, accomunate nella difesa dei principi della dottrina sociale cristiana e dei valori costituzionali dei padri fondatori, come i nostri De Gasperi, Dossetti, Mortati, La Pira. Moro, Gonella.

 

Intendiamo concorrere alla costruzione di un centro politico nuovo: alternativo alla destra nazionalista e sovranista e distinto e distante da una sinistra che, con la segreteria Schlein ha assunto i caratteri definitivi annunciati dal prof Del Noce di “ un partito radicale di massa”.

 

Con Mario Tassone e Pasquale Tucciariello siamo solo i catalizzatori di  avvio di un processo che vede coinvolti gli amici della DC di Cuffaro-Grassi,  di Giovanardi con i cattolici liberali, di Insieme con Infante, dei Popolari D’Ubaldo, Merlo, ma i veri protagonisti dovrete essere tutti voi, ciascuno di voi nelle vostre realtà territoriali, nei quali deciderete democraticamente la nuova classe dirigente . Un’assemblea costituente che pensiamo si possa organizzare per l’autunno prossimo, servirà a definire, sulla base degli orientamenti di programma che emergeranno dal confronto della base, il programma politico di Iniziativa Popolare e la guida politica della stessa.

Alcune priorità sul piano istituzionale: NO al presidenzialismo, ma SI alla repubblica parlamentare. Siamo sempre stati favorevoli al sistema istituzionale del cancellierato tedesco che, però, presuppone: legge elettorale proporzionale con sbarramento e sfiducia costruttiva; organizzazione dello Stato di tipo federale e, soprattutto, l’esistenza di partiti, nei quali sia applicato l’art.49 della Costituzione. Alcuni di questi, figli della “rivoluzione passiva” del 1993, mantengono la natura di partito- azienda e/o personalistici, per cui credo si aprirà una duro confronto per il quale, come già facemmo contro la “deforma costituzionale renziana”, i DC e i Popolari dovranno organizzare il comitato per il NO al presidenzialismo da sviluppare in tutte le sedi territoriali.

 

Difesa del lavoro, dei salari, di una sanità pubblica più efficiente, attenzione alla grave emergenza climatica che ci permetta di superare l’aforisma di Longanesi: Italia, paese di inaugurazioni e non di manutenzioni. Riforma fiscale che garantisca finalmente quanto stabilito dalla Costituzione, dicendo Stop a un sistema che si regge sul contributo prevalente e determinante dei lavoratori dipendenti pubblici e privati e dei pensionati.

 

Una politica economico finanziaria, che, seguendo quanto la DC seppe garantire per tutto il tempo del suo governo con la direzione della Banca d’Italia di Guido Carli, comporti: il ritorno alla legge bancaria del 1936, che stabiliva la netta distinzione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria. Distinzione, superata la quale, si è dato via libera al dominio dei poteri finanziari che hanno subordinato l’economia reale ai loro interessi e la stessa politica a un ruolo sussidiario ancillare.

 

A Venezia, con l’avvio del comitato civico popolare  di partecipazione democratica, stiamo organizzando con gli amici di World-Lab un modello sperimentale di economia solidale, un progetto di  metapolitica che intende tradurre nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali della dottrina sociale cristiana. Di esso forniremo a chi fosse interessato tutte le informazioni più precise.

 

Cari amici, dal 2012 sono passati più di dieci anni nei quali, come “medici scalzi”, le abbiamo tentate quasi tutte. Ora si tratta di rimboccarci le maniche, avendo come obiettivi immediati: la difesa della repubblica parlamentare e la preparazione di una lista unitaria di Iniziativa Popolare per le prossime elezioni europee.

 

Dipenderà dall’impegno di ciascuno di noi far sì che, ancora una volta i cattolici italiani, possano contribuire  da protagonisti e non da paria della destra o della sinistra alla difesa e allo sviluppo della democrazia italiana.

 

Roma, 13 Maggio 2023

 

 

 


Indicazione unanime per l’unità dei DC e Popolari

 

L'assemblea di Iniziativa Popolare riunitasi a Roma il 13 maggio 2023 presso il teatro parrocchiale di San Lorenzo in Lucina ,sentiti gli esponenti dei gruppi e movimenti partecipanti, all’unanimità ha deciso di dare mandato ai rappresentanti dei diversi gruppi di costituire un'associazione per concordare :  

a) la nascita di una formazione politica unitaria dell'aria popolare: cattolico democratica, liberale e Cristiano sociale;

 b) di attivare i gruppi unitari di base per la partecipazione democratica delle realtà popolari esistenti a livello territoriale;

 c) il programma politico secondo i principi della dottrina sociale Cristiana e dei valori costituzionali per offrire una nuova speranza al Paese;

 d) di eleggere democraticamente dai comitati di base i delegati dell'assemblea costituente del nuovo partito che sarà convocata in autunno;

 e) il nome e il simbolo del nuovo partito che parteciperà unitariamente alle prossime elezioni europee in sintonia con il PPE.

 

 Allo stato attuale il coordinamento organizzativo temporaneo dei gruppi politici viene affidato all’On Mario Tassone che ha presieduto l’odierno convegno

 

Roma 13 maggio 2023

Ancora sul caso MORO

 

Ho letto con interesse l’articolo di Lucio D’Ubaldo pubblicato l’8 Maggio su “Il Domani d’Italia” relativo al caso Moro (“ La verità sul caso Moro scuote la coscienza della nazione”). Una nota che allarga la visuale sulle circostanze e le motivazioni che potrebbero essere state alla base dell’assassinio del presidente della DC. Come ho avuto modo di scrivere all’autore ritengo, però, parziale la narrazione che, sin qui, si è fatta su uno degli episodi decisivi che portarono alla fine della DC, dei partiti che con essa avevano governato l’Italia per quasi trent’anni e della stessa “prima repubblica”.

Credo sia giunto il tempo di considerare le questioni economiche che concorsero in maniera, io credo, decisiva a quell’azione eversiva di “attacco al cuore dello Stato”. Aldo Moro, infatti, stava ledendo con la sua zione politica gli interessi delle grandi famiglie luterane di origine tedesco orientali ( Rothshild/ Rockfeller/J.P. Morgan) di cui Kissinger è membro e rappresentante, dato che intendeva:

-cancellare con un colpo di penna, senza pagarlo, il debito di guerra del Tesoro italiano verso le banche (Casse di Risparmio) controllate dai Rothshild/ Rockfeller (J.P. Morgan).  Alla sua morte infatti il debito del Tesoro verso le Casse  di Risparmio non fu più cancellato con un colpo di penna, produce tuttora interessi; 

-stampare con le BIN (banche d'interesse nazionale che erano pubbliche) una prima tranche di 5 miliardi di euro di banconote cartacee da 500 lire  per finanziare le opere pubbliche.  Alla sua morte infatti le 500 lire in banconote cartacee non furono stampate dalle BIN;  

-non voleva inoltre che Banca d'Italia fosse estromessa dall'acquisto dei titoli di Stato che rimanevano venduti , 

Alla sua morte, infatti, Banca d'Italia fu estromessa dall'acquisto dei BTP rimasti invenduti, l'Italia cedette al ricatto dei Rothshild/ Rockfeller   " se vuoi  che ti compri i titoli di stato rimasti invenduti, pagami interessi”. 

Sarebbe utile che questa tesi fosse meglio studiata e approfondita dai media che, ahimè, subiscono lo stesso controllo diretto e indiretto che l'economia finanziaria esercita sull’economia reale e sulla stessa politica ridotta a un ruolo ancillare.

Più volte ho scritto, ricordando come nell’età della globalizzazione si sia superato, come ben argomenta il prof Zamagni, il principio del NOMA( Non Overlapping Magisteria) per cui: è l’economia finanziaria a prevalere sull’economia reale e sulla politica, evidenziando come una delle strade possibili da percorrere per ovviare strutturalmente al condizionamento, sia il ripristino della legge bancaria del 1936, reintroducendo la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria.

Moro ci tentò con i provvedimenti citati e, alla fine, ha pagato con la vita. Il governo della destra a guida di Giorgia Meloni sarà capace di tale coraggio? In fondo dovrebbe tornare ad applicare una legge che, su consiglio di Beneduce, Benito Mussolini adottò nel 1936, per rispondere alla grave crisi scoppiata negli USA e nel mondo dal 1929.

Fedeli all’impostazione che Guido Carli seppe sempre garantire alla Banca d’Italia, noi DC e Popolari dovremo tutti insieme richiedere questa scelta strategica di politica economica e finanziaria. Il ripristino della legge bancaria del 1936, con la separazione tra banche commerciali e banche speculative, vorrebbe dire riappropriarci della sovranità  monetaria,  sottratta all’Italia nel 1992/93 col d.lgs n. 481 del 14 Dicembre 1992 che abolì di soppiatto, dopo 56 anni, la separazione  bancaria; decreto emesso da Amato e Barucci e sottratta col Provvedimento di Banca d’Italia del 31 Luglio 1992, emesso da Lamberto Dini, con cui è stata modificata inspiegabilmente all’insaputa di tutti, non essendo,  né una legge , né un decreto legge , né un decreto legislativo, la contabilità di partita doppia del sistema bancario italiano; fatto che avrebbe consentito, a questi fondi speculatori , secondo alcuni autori,  una colossale miliardaria evasione fiscale (circa 1350 miliardi di euro evasi).

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 8 Maggio 2023

 


Le ragioni della nostra iniziativa politica con il Convegno del prossimo 13 Maggio a Roma sono ben espresse nella nota allegata.. Alla sollecitazione degli amici a Roma, si dovrebbe far  partire in tutte le realtà locali, provinciali e regionali, la nascita di comitati civico popolari di partecipazione democratica, aperti a quanti si ritrovano nei principi e nei valori dei democratici cristiani e popolari e nella più vasta realtà cattolica: democratica, liberale e cristiano sociale. Sarà quello il luogo nel quale, democraticamente, si favorirà l’emergere della nuova classe dirigente.



GLI ASTENUTI MAGGIORANZA ASSOLUTA, IL TERZO POLO DISSOLTO, IL PD PARTITO GENDER, LA DESTRA DI GOVERNO CON UNA PROPOSTA DIVERSA E DISTINTA DAL NOSTRO PROGETTO SOCIALE. URGE LA RICOMPOSIZIONE DELL’AEREA DEL POPOLARISMO. SABATO 13 MAGGIO INCONTRO A ROMA.

Di Publio Fiori

Le ultime elezioni regionali (Lazio, Lombardia, Friuli) hanno confermato un dato significativo: la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto (55%-60%) si è astenuta, manifestando così, con un “silenzio assordante”, di non riconoscersi né nella Destra, né in questo Centro, né nella Sinistra.

I partiti hanno finto di non accorgersene limitandosi a discutere sulle percentuali ottenute.

Come anche la maggior parte dei commentatori politici che hanno ignorato il dato più significativo: dette percentuali sono calcolate sul numero dei votanti e non degli aventi diritto al voto.

Cioè un partito, ad esempio, che vanta il 30% dei consensi; questo 30% è sul 40% dei votanti e quindi è il 12%. Così il c.d. Centro di Renzi e Calenda che vantava circa l’8% in realtà ha ottenuto l’8% del 40% e cioè circa il 3%.

E così per tutti gli altri partiti.

La conseguenza è che, sempre ad esempio, una maggioranza del 50% rappresenta in realtà il 50% del 40% e quindi solo il 20%.

Questo dato ci costringe a due inevitabili considerazioni.

Innanzitutto una democrazia, che anziché guidata dalla maggioranza degli elettori (quelli aventi diritto al voto) lo è da parte di una modesta minoranza, è una democrazia “malata” che potrebbe accingersi a svolte riformistiche preoccupanti dove il consenso della gente conti meno e dove il voto così ridotto sia suscettibile di essere soggiogato da suggestive tentazioni leaderistiche.

Poi è emerso chiaramente che il “Centro” (come dimostra la rottura tra Renzi e Calenda) non c’è perché manca un partito capace di interpretare e rappresentare quei cittadini che si riconoscono in un complesso di valori legati alla nostra storia, alla tradizione, all’etica; in una parola ai principi fondamentali della Costituzione dove sono forti i riferimenti al cattolicesimo politico e sociale.

Perché il “Centro” non è una nozione geografica di formale equidistanza opportunistica tra Destra e Sinistra, ma è una visione della società nella quale i cittadini si riconoscono perché esprime un alto progetto di convivenza civile che rispetta le attese della gente.

D’altra parte quando il 60% si astiene vuol dire che gli italiani non vogliono il bipolarismo che se non c’è nella società (come negli USA) non si può imporre con una legge.

A ciò si aggiunge la “mutazione” del PD che è passato dai “diritti sociali” ai c.d. “diritti civili”, con una rivoluzione antropologica in violazione dei diritti naturali dell’art. 2 della Costituzione (teoria Gender, demolizione delle differenze biologiche, transizione di genere, utero in affitto, aborto generalizzato anche in violazione della stessa legge 194/78, famiglia arcobaleno, eutanasia, figli con due padri o due madri, attacco alla genitorialità tradizionale).

Con una Destra di governo che non appare capace di interpretare i valori, le istanze e le attese del Mondo cattolico.

Il “Centro”, che sta in quel 60% di astensioni, attende che qualcuno (come fece Don Sturzo) si assuma il compito di riaggregare l’area del Cattolicesimo politico-sociale.

Ponendo fine all’arcipelago delle Democrazie Cristiane prive di sostanziale legittimazione politica, nonché agli scontri giudiziari che rivendicano in esclusiva la successione alla DC di De Gasperi.

E’ urgente avviare un processo di ricomposizione.

A tal fine sono necessarie due passaggi: un gesto di generosità di tutti questi segretari nazionali DC e una grande iniziativa politica che muovendo dai livelli locali colleghi tutti i partiti, i movimenti e i comitati di cattolici che spontaneamente si sono organizzati nei comuni per testimoniare la loro volontà di rilanciare il cattolicesimo politico.

Abbiamo, pertanto assunto l’iniziativa di promuovere per sabato 13 maggio a Roma un primo incontro aperto ai rappresentanti dei partiti, associazioni e comitati che si riconoscano nella tradizione del Popolarismo Sturziano e del Cattolicesimo politico-sociale.

Naturalmente l’invito è rivolto anche agli amici che ritrovandosi nel PD, anche alla luce delle recenti esternazioni della Schlein sentano l’imbarazzo di tale collocazione.

Chi è interessato è pregato di comunicarlo alle email indicate.

A presto e cari saluti.

 

Ettore Bonalberti (ettore@bonalberti.com)

 

Publio Fiori (fioripublio@gmail.com)

 

Mario Tassone (mario.tassone43@gmail.com)

 

Pasquale Tucciariello (pasqualetucciariello@libero.it)



La luna di miele del governo sta per finire

 

In carica dal 22 Ottobre 2022, alla vigilia del sesto mese, per il governo Meloni, la luna di miele sta per finire. Confermate le scelte fondamentali della politica estera italiana, tanto sul versante atlantico che europeo, la leader romana deve fare i conti quasi quotidianamente con le simpatie putiniane diffuse nella Lega e in alcuni settori del partito del Cavaliere, mentre permangono forti criticità con l’Unione europea sia per la politica immigratoria, che sul mancato OK all’avvio del MES, e, soprattutto, con i ritardi negli adempimenti collegati all’attuazione del PNRR. Su quest’ultimo punto la strada scelta dalla Meloni e dai suoi ministri sembra quella di attribuire la responsabilità ai procedenti governi, ma, come ha già avuto modo di intervenire l’On Tabacci in aula, e il prof Giavazzi con il suo articolo sul Corsera, non mancherà presto la dura replica di Mario Draghi che, a quel punto, sarà quanto mai influente e non solo sul piano della politica interna.

A me pare che l’On Meloni, al di là delle preoccupazioni che si temevano all’avvio del suo incarico, sia riuscita a tenere la barra dritta del governo, nel quale, semmai, suonano stonati molti degli interventi e degli atti di alcuni suoi ministri a partire dall’alleato concorrente Salvini che, da ministro dei Trasporti e delle Opere pubbliche, è l’espressione coerente dell’aforisma di Leo Longanesi ( “Italia Paese di inaugurazioni e non di manutenzioni”) vista la sua ben nota astensione dalla presenza al ministero, sostituita da una frequenza insolita a tutte le inaugurazioni e manifestazioni di propaganda politica, alla ricerca del consenso perduto. Ogni giorno che passa emerge netta la discrepanza tra le facili promesse elettorali e le decisioni concrete che il governo assume. Dagli annunciati “blocchi navali” all’impotenza assoluta, sino alle forti contraddizioni e malcelate responsabilità come nella tragedia di Cutro; ai limiti delle proposte di riforma fiscale con l’occhiolino agli evasori, sino all’impotenza sin qui espressa per quanto riguarda, ad esempio, la legge sulla concorrenza, senza la quale le risorse finanziarie del PNRR rischiano di diventare un miraggio.

Con concessioni balneari che rendono oltre 3 milioni all’anno e per le quali alcuni privati pagano 10.000 euro, o uso esclusivo di spiagge in Sardegna da super Hotel, al costo di 520 euro, attendiamo le decisioni nel merito del governo italiano. Sono in attesa anche gli organi comunitari che, come noi, non comprendono tale assurda situazione.

Immigrazione, fisco e giustizia sono alcuni dei settori nei quali emerge con più nettezza lo scarto tra quanto si era promesso in campagna elettorale e ciò che concretamente si riesce a decidere sul piano del governo, tenendo conto delle concrete situazioni e condizionamenti interni e internazionali in cui si deve operare.

Evidenziare tali criticità suscita una particolare reazione da ambienti e persone di area cattolica, già simpatizzanti se non addirittura votanti DC, che avendo scelto di sostenere col proprio voto le liste della destra, si trovano spiazzati, diventando aggressivi come quei soggetti che avendo perseguito un obiettivo, si ritrovano a vederlo sempre più appannato e lontano, cadendo, in tal modo, in un’ inevitabile frustrazione che, lungi dal portarli al silenzio regressivo, alimenta in loro un’aggressività, anche da parte di amici che consideravamo indenni da tali sentimenti.

Certo, se la denuncia dei limiti e delle difficoltà nell’azione di governo rientra a pieno titolo nella disponibilità di “un osservatore non partecipante”, non può certo essere la cifra di un’azione politica che intenda porsi in alternativa all’attuale maggioranza di destra del  governo a dominanza del partito di Giorgia Meloni. Un compito che spetta innanzi tutto ai partiti della sinistra e del terzo polo, mentre per noi cattolici di area democratica, liberale e cristiano sociale, sostanzialmente ininfluenti e assenti dal Parlamento, compete quello primario di impegno per la nostra ricomposizione politica. Dovremmo partire da ciò che Papa Francesco ha ricordato ai giovani  del “ Progetto Policoro” ricevuti in udienza nei giorni scorsi: “ oggi c’è bisogno di buona politica- oggi la politica non gode di ottima fama. Soprattutto fra i giovani. Perché vedono gli scandali, tante cose che tutti conosciamo. Le cause sono molteplici. Ma come non pensare alla corruzione, all’inefficienza, alla distanza dalla vita della gente?” Come dovremmo riflettere sulle parole del card Zuffi, presidente della CEI, pronunciate all’apertura del consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana: “È davvero per tutti tempo di scelte coraggiose e non di opportunismi”. Perché siamo a “un preludio di primavera”, dopo l’“inverno” che ha connotato gli anni passati”. Parole che mi hanno fatto ricordare quelle che Don Luigi Sturzo espresse al congresso di Torino del PPI nel 1923, rivolgendosi a Cavazzoni e Tovini, pronti all’accordo con il fascismo, da lui definiti: “ foglie secche” di un albero che sarebbe rifiorito in una futura primavera.

E’ l’augurio che anche noi facciamo nostro, consapevoli che, in questa delicatissima fase della politica italiana ed europea, la nostra prima responsabilità sia quella di impegnarci a tutti i livelli, a Roma come nelle sedi territoriali di base, a favorire la ricomposizione politica della nostra area culturale e sociale, al fine di superare un forzato bipolarismo tra una destra a egemonia nazionalista e sovranista e una sinistra ridotta a partito radicale di massa.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 1 Aprile 2023

 

 

 

 

 

A proposito delle alleanze

 

Giorgio Merlo con la sua ultima nota su “Il domani d’Italia” (Il centro e le alleanze-tema non aggirabile), pone una questione cruciale, quale quella delle alleanze. Una questione che, tuttavia, posta in questa fase di ristrutturazione delle forze politiche e alla ricerca della nostra ricomposizione politica, rischia di creare più polemiche e divisioni che unità.

Esiste una parte rilevante dell’area cattolica democratica, liberale e cristiano sociale, che, sollecitata soprattutto dalla fedeltà ai valori, espressione di quella parte importante di amici che potremmo definire “cristiani della morale”, non accetterà mai una collaborazione con “un partito radicale di massa”, come quello che il PD ha assunto in via definitiva con la nuova segreteria di Elly Schlein.

Eppure questa parte di amici ed elettori di area ex DC e popolare è essenziale, se vogliamo ricomporre la nostra unità politica. Un’unità che non può che derivare dalla convivenza necessaria tra “cattolici della morale” e “ cattolici del sociale”, come sempre è stato nella lunga stagione di egemonia-dominio della DC.

Credo che premessa indispensabile per un rapporto non equivoco con questi amici, sia assumere come riferimento ideale e culturale l’idea che Alcide De Gasperi aveva del partito; la DC come “ partito di centro che guarda a sinistra”, formulata in un momento storico, dove il PCI di Togliatti era forma e  sostanza assai diversa da quella del PD attuale della Schlein.

Nell’attuale situazione politica, da molto tempo continuo a ritenere che compito dei DC e dei Popolari sia quello di concorrere alla formazione di un centro politico nuovo ampio e plurale: laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, atlantista, alternativo alla destra nazionalista e sovranista, distinto e distante dalla sinistra, che è alla ricerca affannosa della propria identità, dopo i tanti sbandamenti subiti dopo la fine del PCI.

Le alleanze per noi possibili, caro Merlo, non potranno che essere fatte con quanti intendono difendere e attuare integralmente la Costituzione Repubblicana, dal rispetto dei principi fondamentali in essa contenuti, espressione del migliore compromesso etico, politico e culturale compiuto dai nostri padri costituenti come De Gasperi, Fanfani La Pira, Dossetti, Lazzati, Gonella e Aldo Moro, con i partiti, che con loro, posero le basi del nostro assetto costituzionale. Essenziale sarà trovare un accordo sulla legge elettorale, che per noi non potrà che essere di tipo proporzionale con sbarramento e preferenza unica, e su un progetto di politica economica e finanziaria in grado di rispettare il principio del primato della politica sulla finanza e sull’economia. Quel NOMA ( Non Overlapping Magisteriae) che richiede, in primis, il ritorno alla legge bancaria del 1936, sempre difesa dalla DC con Guido Carli alla guida di Banca d’Italia. Legge che garantiva la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria, il superamento della quale è all’origine di tutti i problemi di subordinazione dell’economia reale alla finanza, della politica ai poteri dominanti, e delle gravi crisi finanziarie che, con frequenza settennale, si ripetono dal 2008 in poi.

Credo che su queste due premesse fondamentali sia opportuno e necessario, non solo favorire il nostro progetto di ricomposizione politica, su basi non equivoche, ma anche, di individuare le alleanze più opportune indispensabili per assumere un ruolo non di mera testimonianza politica, ma di concreta azione di governo.

Pensare che tutto ciò possa nascere dall’alto, con metodo top down, per semplice accomodamento e compromesso di alcuni vertici, credo sarebbe miope ed errato, alla luce di ciò che abbiamo già sperimentato nel merito, nei lunghi anni della diaspora democristiana. Serve, certamente, una forte iniziativa dei responsabili nazionali dei diversi partiti e movimenti d’area che deve, però, esser sostenuta dal basso, con procedimento bottom up, come quello che, con i comitati civico popolari di partecipazione democratica, luoghi di incontro e di dialogo tra tutte le componenti ex DC e popolari presenti nei territori, sapremo favorire e  organizzare.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 22 Marzo 2023

Luciano Faraguti un autentico democratico cristiano

 

Sono trascorsi cinque anni dalla scomparsa di Luciano Faraguti, che è stato uno degli amici e colleghi di partito tra i più importanti della mia esperienza politica.

L’avevo conosciuto che non avevo vent’anni, lui di sette anni più vecchio di me, in quello che al tempo era un fisiologico ricambio nel Movimento  Giovanile della DC. Mi bastò il suo sguardo, sempre caratterizzato da una sottile ironia e quel buffetto datomi sulla guancia,  invitandomi a meglio attrezzarmi in fatto di abiti dei politici, quasi a predirmi una futura vita di parlamentare DC, che era nella prospettiva di quasi tutti i migliori giovani della Democrazia Cristiana.

La scelta della comune adesione alla corrente di Forze Nuove e la partecipazione al movimento aclista di Livio Labor, furono alla base di una militanza che ci vedrà impegnati  insieme per oltre quarant’anni; lui da parlamentare e, più avanti, da componente del governo, e, insieme a me, da membri del consiglio nazionale della DC sino alla fine politica del partito.

Quante battaglie abbiamo condotto nella DC, sempre a fianco di Carlo Donat Cattin; dalle prime  per il centro sinistra, alla  scelta del “preambolo”;  in alternativa al dominio demitiano del partito, e, più avanti, dopo la morte del leader piemontese, insieme a Franco Marini nella fase di nascita del PPI.

Donat Cattin aveva nei suoi confronti un atteggiamento di costante affezione, nel riconoscimento di una fedeltà e capacità di tattica politica senza uguali. Non a caso lo confermò per molti anni nella Direzione nazionale della DC, in rappresentanza della corrente di Forze Nuove.

Con l’avvio della lunga stagione della diaspora democristiana (1993-94), Faraguti mantenne sempre forte la sua fedeltà ai valori democratici cristiani e insieme iniziammo (2011) a dar vita al progetto di ricomposizione dell’area DC, con Publio Fiori, Lillo Mannino, Silvio Lega, Sergio Bindi e altri, sino all’elezione a segretario del partito, nel contestato XIX Congresso nazionale (2012), di Gianni Fontana.

Le nostre strade si divisero nella difficile mediazione per l’elezione della Presidente del Consiglio Nazionale del partito, di Ombretta Fumagalli Carulli, quando Faraguti non volle rinunciare alla candidatura del nostro comune amico e già compagno di corrente, il carissimo e compianto Ugo Grippo. Non venne però mai meno la nostra amicizia, consolidata dai lunghi anni di militanza nella corrente e della partecipazione di entrambi per quasi vent’anni nel Consiglio nazionale della DC, insieme alla sua amatissima compagna, Carla Tanzi.

Profonda era la sua capacità di analisi e di interpretazione degli avvenimenti politici, sempre svolte coerentemente alla nostra comune matrice cristiano sociale. Forte era la sua curiosità e il desiderio di approfondire con me i fatti che si succedevano dentro e fuori quell’area popolare di comune interesse di noi “DC non pentiti”.

Quante discussioni sui temi più vari: sociali, culturali e politici nei quali Faraguti apportava tutta la sua competenza. Spesso gli rimproveravo una certa ritrosia a scrivere i pensieri e i discorsi importanti che elaborava e che  teneva con persuasiva e appassionata oratoria. E’ mancata così la raccolta di una serie di contributi  scritti, che manterrebbero ancora oggi una loro validità, su alcuni temi essenziali della nostra vita politica.

Convinti assertori della DC, quale “ partito popolare, democratico e antifascista”, Luciano sarebbe ancor oggi in prima linea a sostegno di un progetto per la nostra ricomposizione politica, dopo quella fallita con la DC e della stessa Federazione Popolare dei DC, e ci conforterebbe col suo entusiasmo e una passione civile che gli proveniva dalle sue radici cattoliche e democratico cristiane dell’amata città di La Spezia. 

Caro Luciano, amico di tante battaglie politiche, mi manca il tuo affettuoso sorriso e il conforto dei tuoi suggerimenti, resta il ricordo indelebile di una testimonianza di vita, di pensiero e di azione politica di cui sarebbe così utile poter disporre in questa travagliata fase della nostra vicenda culturale, sociale, economica e politica dell’Italia e dell’Europa.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti- www.alefpopolaritaliani.it )

 

Venezia, 13 Marzo 2023

 

 

 


Per l’unità politica dell’Area Popolare

 

Concorrere al progetto di ricomposizione dell’area popolare significa impegnarsi per costruire l’unità politica dei cattolici democratici, cattolici liberali e cristiano sociali, premessa indispensabile per dar vita al centro nuovo della politica italiana. Un centro ampio e plurale nel quale possano trovare cittadinanza le culture politiche che hanno fatto grande l’Italia e concorsero in maniera decisiva a costruire le fondamenta costituzionali della Repubblica.

Tale progetto può svilupparsi dalla scomposizione di ciò che ha caratterizzato la lunga stagione della seconda repubblica, quella che coincide con la dolorosa diaspora democristiana tuttora in atto ( 1993-2023). Una scomposizione che, da un lato, scuote il Partito Democratico, specie dopo la nuova leadership della Schlein, che conferma la profezia del Prof Del Noce che già connotò il PCI come: “ il partito radicale di massa” e, dall’altra, mette in movimento gruppi e persone dai partiti che, con diversa legittimità e fortuna, si posero il problema della rinascita politica della Democrazia Cristiana.

Così dal PD sono usciti diversi amici Popolari che non si riconoscono più in quel partito, sino all’autorevole denuncia dell’On Fioroni, mentre il duo Bindi-Castagnetti, ultimi dei mohicani dossettian-prodiani già DC, confermano la loro permanenza nel PD, da “ cattolici adulti”, aperti al relativismo etico prevalente di quel partito.

Con Fioroni, diversi amici che si rifanno al cattolicesimo democratico, come Sanza, Merlo, D’Ubaldo, Infante e altri, hanno avviato un serio processo di ricomposizione con l’incontro del Parco dei Principi e la sottoscrizione di un documento politico che indica una positiva strada di collaborazione. Un limite che, personalmente, mi sono permesso di evidenziare nella loro azione, è l’eccessiva apertura alla collaborazione col terzo polo di Calenza-Renzi, dato che da quei due partiti in via di unificazione, permane un’incomprensibile idiosincrasia anti DC da parte di Calenda, neo “azionista de noantri”. Come ho più volte scritto, per costruire un centro politico nuovo ampio e plurale, che non si riduca a un soggetto laico radicale destinato a un ruolo minoritario ininfluente nel Paese, serve costruire la più ampia unità politica dell’area popolare, identificando, oltre ai valori ideali di riferimento comuni, proposte programmatiche coerenti e condivise. Anticipare, come frequentemente appare in alcune prese di posizione degli amici, la questione delle alleanze, come scelta prioritaria, a me pare, cosa sbagliata e assai inopportuna. Una decisione che non facilita il processo di aggregazione, a mio parere del tutto prioritario. E’ questa la ragione per cui, denunciati i limiti dell’esperienza della DC, che dal 2011-12 ho contribuito al tentativo di rilanciare politicamente e che, oggi, sta vivendo un pericoloso sbandamento a destra, dopo le scelte operate alle recenti elezioni regionali in Sicilia, Lazio e Lombardia, con gli amici Fiori, Tassone, Tucciariello e Minisini, quest’ultimo direttore dell’Idea Popolare, la testata storica sturziana, abbiamo deciso di offrire un serio contributo al progetto di ricomposizione politica dell’area popolare, con Iniziativa Popolare e la sottoscrizione di un documento politico che, richiamandosi ai valori sturziani e degasperiani, indica alcune linee di programma che vorremmo discutere e approfondire con quanti sono interessati al progetto. Iniziativa Popolare è uno strumenti di dialogo e di riflessione, aperto al contributo della vasta area cattolica e laico popolare. Uno strumento tanto più efficiente ed efficace, se sarà sostenuto dall’adesione dei tanti comitati civico popolari di partecipazione democratica che intendiamo sviluppare nelle diverse realtà locali per attivare, con metodo democratico, l’emergere di una nuova classe dirigente dotata di passione civile, disponibile a tradurre nella città dell’uomo, con gli orientamenti pastorali della dottrina sociale della Chiesa, i valori fondanti della Costituzione Repubblicana.

 

Ettore Bonalberti

 

Venezia, 11 Marzo 2023

Il nostro contributo al progetto di unità politica dell'area popolare

Cari amici,                                                                                                                   

abbiamo deciso di rompere gli indugi per la ricomposizione dell’Area Popolare, viste le tante difficoltà e indecisioni registrate.                                                    

Intendiamo superare la fase delle federazioni e delle associazioni per puntare ad una vera riunificazione dell’arcipelago popolare con un nuovo soggetto (INIZIATIVA POPOLARE) sulla base del documento allegato, che naturalmente è una proposta suscettibile di modifiche e integrazioni.                                                                         

Il primo obiettivo è un Comitato formato dai rappresentanti di tutti i soggetti collettivi che aderiranno, che provvederà alla costituzione formale e alle norme (statuto) che dovranno regolare la vita del nuovo soggetto, con rigoroso rispetto dei principi di democrazia interna.                                                                                                  

Vorremmo organizzare un primo incontro informale a Roma ad Aprile per una mezza giornata (dalle 11 alle 18).                                                                              

Chi è interessato può rispondere a ettore@bonalberti.com e fioripublio@gmail.com.

Cordiali saluti                                                                                                                 

 

Ettore Bonalberti

Publio Fiori

Gemelli Vitaliano

Minisini Amedeo Massimo

Mario Tassone  

Pasquale Tucciariello                                                                                                                 

 

PER L’UNITA’ POLITICA DELL’AEREA POPOLARE

 

In un momento delicato della vita italiana, a 103 anni dall”Appello di don Luigi Sturzo ai “  Liberi e Forti”, donne, uomini, anziani e giovani che credono nei principi e nei valori della dottrina sociale della Chiesa e che ritengono doveroso e necessario impegnarsi politicamente per ridare una speranza alla politica italiana, chiedono a tutte le persone impegnate sul piano sociale, culturale e politico di area cattolico-democratica e cristiano- sociale di superare definitivamente la lunga e dolorosa stagione delle divisioni e di ritrovarsi uniti nell’area popolare italiana.

 

LA GRANDE TRADIZIONE STURZIANA E DE GASPERIANA CON LE ENCICLICHE SOCIALI

 

Siamo eredi della grande tradizione sturziana e degasperiana che ha rappresentato nella politica italiana uno straordinario fattore di progresso, permettendo al nostro Paese di trasformarsi da “terra povera” e di “dolorosa emigrazione” in un’area tra le più industrializzate del mondo.

 

Facciamo riferimento a principi e valori che si basano sul primato della Persona e della Famiglia e sulle realtà associative che, operando in ambito sociale, economico, culturale e politico, intendono continuare la nostra tradizionale “voglia di fare insieme”, anche ricorrendo agli strumenti più avanzati delle moderne tecnologie.

 

Intendiamo costruire un movimento di ampie convergenze, capace di superare antiche e nuove divisioni per ritrovare, nei valori del popolarismo le ragioni del nostro impegno politico. Intendiamo tradurre nella “città dell’uomo” gli orientamenti pastorali espressi dalle encicliche sociali della Chiesa: dalla “Rerum Novarum” alle “Caritas in veritate”, “Laudato SI” e “Fratelli tutti”. Esse sono le più credibili e avanzate risposte ai limiti della globalizzazione, che ha determinato il primato della finanza sull’economia e la riduzione della politica a un ruolo subordinato ai poteri finanziari dominanti.

 

L’EUROPA DEI VALORI

 

Siamo impegnati per la costruzione di un’Europa dei valori, unita, aperta, diversa e più umana, che tragga linfa vitale dalle sue radici cristiane e dalle libertà civili, all’interno della quale le peculiarità e le particolarità regionali e locali possano lavorare insieme per il benessere di Tutti.  Un’Europa che riaffermi il contrasto con ogni forma di totalitarismo e di aggressione, come l’ inaccettabile e disumana invasione russa in Ucraina dove l’Europa deve far sentire la sua voce per chiedere l’avvio immediato di un processo di pace, nel rispetto dei principi fondamentali del diritto internazionale così pesantemente violati.

 

Crediamo nel libero mercato e nella libera concorrenza che sono alla base di un “welfare” che sappia, però, coniugare e integrare in modo equilibrato libertà e responsabilità personali, sviluppo economico e solidarietà sociale. Siamo consapevoli dei limiti di un sistema capitalistico incapace di garantire l’obiettivo per noi irrinunciabile di “disoccupazione zero”, raggiungibile solo con una profonda trasformazione dell’attuale sistema e livello interno, europeo e internazionale secondo i principi del solidarismo cristiano e dell’economia civile.

Siamo contrari alla ideologia gender, alla carriera alias nelle scuole, al cambio di sesso per minori e all’opposizione alla libertà educativa dei genitori; e a tutte le politiche che assecondano i desideri, gli istinti, le mode contro il diritto naturale, anziché guidare la società secondo valori condivisi.

 

LA POLITICA FISCALE E DEL LAVORO

 

Intendiamo proporre e sviluppare un programma di politica attiva del lavoro non slegato da riforme fiscali e del cuneo contributivo. Riteniamo utile, sia per il gettito fiscale che per un forte segnale di giustizia sociale l’introduzione di un Tributo straordinario sui grandi patrimoni.

Poi l’inserimento di una pensione autonoma integrativa legata a quella previdenziale pubblica; uguaglianza contrattuale uomini-donne, pubblica e privata con contratti regionali e specialistici; governare le differenze fra imprese piccole e grandi; regime fiscale sulle plusvalenze delle grandi imprese; modello scolastico inclusivo performante il lavoro con libertà d’insegnamento; per certi aspetti tributari il lavoro del politico equiparato agli altri; diritti e doveri hanno lo stesso peso sociale e civile;

 

Perequazione delle pensioni; reddito sociale minimo alle famiglie dopo severi controlli sullo stato di bisogno e limitato nel tempo; lavori di pubblica utilità e servizio assistenza a chi percepisce un reddito vitale; ripristinare una scuola inclusiva con “l’educazione civica”; tariffe e canoni in base al reddito; sanità, scuola e lavoro uniche voci dello Stato (non delle macroregioni) che possono essere in rosso o possono creare debito pubblico; più controlli preventivi e a valle con più forze dell’ordine per strada e  in luoghi pubblici per un effettivo controllo del territorio.

 

LA GIUSTIZIA

 

Chiediamo una Giustizia a misura del cittadino e non del magistrato; veloce, certa, equa; separazione drastica delle carriere; autogoverno dei magistrati composto da più laici e meno togati; eliminare il legame fra politico e magistrato. Nessun rientro di carriera per chi fa il politico; sanzioni esemplari per fuga di notizie e veline di atti processuali di chiunque; carriere certificate con parametri pubblici; nuovo processo penale, carceri più vivibili, più sanzioni amministrative e servizi sociali al posto delle pene lievi, certezza assoluta e nessuna discrezionalità della sentenza definitiva per i reati gravi.

 

LE SFIDE DA AFFRONTARE: ECOLOGIA, POLITICA SOCIALE, RISANAMENTO TERRITORIALE, ACCOGLIENZA, FISCO.

 

La sfida che ci pone il nuovo scenario ambientale a livello planetario, richiede il nostro impegno per tradurre nella politica italiana ed europea gli orientamenti pastorali della “Laudato SI” partendo da una grande piano per sostenere la diffusione capillare delle nuove energie solari e fotovoltaiche e per la sistemazione idraulico forestale dell’Italia, “Paese di inaugurazioni e non di manutenzioni”.

 

Chiediamo al governo di predisporre un piano economico nazionale sociale-civile-vitale legato alla sussidiarietà attiva,  sociale, civile, sussidiaria ecologica ambientale; deve essere prioritaria in ogni esercizio e campo al posto di quella solo monetaria e  finanziaria; ritorno alla economia reale in certi settori, chiudere le delocalizzazioni d’imprese,  controllo e tassazione delle mega rendite finanziarie, dei titoli derivati e della gestione patrimoni e assicurazioni da reinvestire nel sociale con la transizione ecologica. 

 Serve predisporre un grande progetto integrato da più funzioni per i 2/3 del territorio italiano montano/collinare più vulnerabile, svantaggiato, difficile, abbandonato che può crollare a valle, ma anche premiato e autentico patrimonio culturale paesaggistico nazionale, che ha in se già milioni di posti di lavoro e fare in modo che ritornino gli occupati a fare impresa e servizi: dalle scuole ai pronto soccorsi, dalle regimazioni idrauliche all’antropologia di servizio.

Non ci sottraiamo all’esigenza di una politica dell’accoglienza che non si limiti a sollecitare l’Europa a fare la sua parte.

Perché siamo stati anche noi emigranti (negli anni tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 furono 20 milioni gli italiani che varcarono l’oceano per sfuggire alla fame e alla disoccupazione); e poi perché la nostra tradizione etica, religiosa e civile non ci consente di volgerci dall’altra parte.

 

QUALE PRIMATO DELLA POLITICA

 

Riconosciamo il primato della politica come momento di sintesi ideale e come luogo di rappresentanza reale dei bisogni diversi e diffusi; una politica che rifugga da inutili conflittualità personalistiche e di parte e che riassuma i valori del popolarismo inteso come diretta partecipazione della Persona-cittadino alla costituzione del suo futuro e dei suoi Figli

 

Siamo convinti assertori di un sistema elettorale proporzionale con preferenza unica, superando l’attuale sistema che ha sin qui prodotto frammentazione partitica e trasformismo parlamentare, riducendo il sistema a una contrapposizione forzata tra aggregazione elettorali incapaci di garantire efficace governabilità.

 

La politica non deve essere esclusivamente strumento per vincere le competizioni elettorali, ma deve agire per salvaguardare e costruire anche gli interessi delle generazioni future.

 

LA RICOMPOSIZIONE DELL’AREA POPOLARE: FINE DEL COMPROMESSO STORICO.

 

Viviamo l’autonomia locale come forma di massima libertà, esaltando la partecipazione responsabile nel rispetto del principio di sussidiarietà. Una sussidiarietà che deve riguardare non solo le istituzioni, ma anche il rapporto tra queste e la società civile: ciò che può fare meglio il cittadino, singolo o associato, non deve essere fatto dalle istituzioni pubbliche.

 

Senza alcuna nostalgia di un passato, pure carico di indiscutibili positività, crediamo sia giunto il momento di unire tutte le energie locali, provinciali, regionali e nazionali, affinché la nostra cultura politica torni ad essere rappresentata nelle istituzioni italiane e europee.

In una chiara posizione autonoma e di Centro, distinta sia dalla Destra che dalla Sinistra, per la diversità e l’inconciliabilità dei valori di riferimento.

 

Un’azione capillare di promozione del dibattito culturale e politico su tutto il territorio nazionale sarà attivata per favorire la più ampia partecipazione dei cittadini e delle associazioni che intendono dare il loro fattivo contributo per la ricomposizione politica dell’area popolare.

Ben consapevoli che la linea politica adottata dal PD con la nuova Segreteria, con l’esaltazione dei c.d. diritti civili  (espressione di permissivismo, relativismo ed egoismi) rompe definitivamente con la strategia di Gramsci, Togliatti e Berlinguer fondata sull’intesa con i cattolici nel rispetto dei nostri valori.

 

Firmato da: (ordine alfabetico dei sottoscrittori)

 

Bonalberti Ettore

Fiori Publio

Gemelli Vitaliano

Mario Tassone

Pasquale Tucciariello

 

 

PER L’UNITA’ POLITICA DELL’AEREA POPOLARE

 

In un momento delicato della vita italiana, a 103 anni dall”Appello di don Luigi Sturzo ai “  Liberi e Forti”, donne, uomini, anziani e giovani che credono nei principi e nei valori della dottrina sociale della Chiesa e che ritengono doveroso e necessario impegnarsi politicamente per ridare una speranza alla politica italiana, chiedono a tutte le persone impegnate sul piano sociale, culturale e politico di area cattolico-democratica e cristiano- sociale di superare definitivamente la lunga e dolorosa stagione delle divisioni e di ritrovarsi uniti nell’area popolare italiana.

 

LA GRANDE TRADIZIONE STURZIANA E DE GASPERIANA CON LE ENCICLICHE SOCIALI

 

Siamo eredi della grande tradizione sturziana e degasperiana che ha rappresentato nella politica italiana uno straordinario fattore di progresso, permettendo al nostro Paese di trasformarsi da “terra povera” e di “dolorosa emigrazione” in un’area tra le più industrializzate del mondo.

 

Facciamo riferimento a principi e valori che si basano sul primato della Persona e della Famiglia e sulle realtà associative che, operando in ambito sociale, economico, culturale e politico, intendono continuare la nostra tradizionale “voglia di fare insieme”, anche ricorrendo agli strumenti più avanzati delle moderne tecnologie.

 

Intendiamo costruire un movimento di ampie convergenze, capace di superare antiche e nuove divisioni per ritrovare, nei valori del popolarismo le ragioni del nostro impegno politico. Intendiamo tradurre nella “città dell’uomo” gli orientamenti pastorali espressi dalle encicliche sociali della Chiesa: dalla “Rerum Novarum” alle “Caritas in veritate”, “Laudato SI” e “Fratelli tutti”. Esse sono le più credibili e avanzate risposte ai limiti della globalizzazione, che ha determinato il primato della finanza sull’economia e la riduzione della politica a un ruolo subordinato ai poteri finanziari dominanti.

 

L’EUROPA DEI VALORI

 

Siamo impegnati per la costruzione di un’Europa dei valori, unita, aperta, diversa e più umana, che tragga linfa vitale dalle sue radici cristiane e dalle libertà civili, all’interno della quale le peculiarità e le particolarità regionali e locali possano lavorare insieme per il benessere di Tutti.  Un’Europa che riaffermi il contrasto con ogni forma di totalitarismo e di aggressione, come l’ inaccettabile e disumana invasione russa in Ucraina dove l’Europa deve far sentire la sua voce per chiedere l’avvio immediato di un processo di pace, nel rispetto dei principi fondamentali del diritto internazionale così pesantemente violati.

 

Crediamo nel libero mercato e nella libera concorrenza che sono alla base di un “welfare” che sappia, però, coniugare e integrare in modo equilibrato libertà e responsabilità personali, sviluppo economico e solidarietà sociale. Siamo consapevoli dei limiti di un sistema capitalistico incapace di garantire l’obiettivo per noi irrinunciabile di “disoccupazione zero”, raggiungibile solo con una profonda trasformazione dell’attuale sistema e livello interno, europeo e internazionale secondo i principi del solidarismo cristiano e dell’economia civile.

Siamo contrari alla ideologia gender, alla carriera alias nelle scuole, al cambio di sesso per minori e all’opposizione alla libertà educativa dei genitori; e a tutte le politiche che assecondano i desideri, gli istinti, le mode contro il diritto naturale, anziché guidare la società secondo valori condivisi.

 

LA POLITICA FISCALE E DEL LAVORO

 

Intendiamo proporre e sviluppare un programma di politica attiva del lavoro non slegato da riforme fiscali e del cuneo contributivo. Riteniamo utile, sia per il gettito fiscale che per un forte segnale di giustizia sociale l’introduzione di un Tributo straordinario sui grandi patrimoni.

Poi l’inserimento di una pensione autonoma integrativa legata a quella previdenziale pubblica; uguaglianza contrattuale uomini-donne, pubblica e privata con contratti regionali e specialistici; governare le differenze fra imprese piccole e grandi; regime fiscale sulle plusvalenze delle grandi imprese; modello scolastico inclusivo performante il lavoro con libertà d’insegnamento; per certi aspetti tributari il lavoro del politico equiparato agli altri; diritti e doveri hanno lo stesso peso sociale e civile;

 

Perequazione delle pensioni; reddito sociale minimo alle famiglie dopo severi controlli sullo stato di bisogno e limitato nel tempo; lavori di pubblica utilità e servizio assistenza a chi percepisce un reddito vitale; ripristinare una scuola inclusiva con “l’educazione civica”; tariffe e canoni in base al reddito; sanità, scuola e lavoro uniche voci dello Stato (non delle macroregioni) che possono essere in rosso o possono creare debito pubblico; più controlli preventivi e a valle con più forze dell’ordine per strada e  in luoghi pubblici per un effettivo controllo del territorio.

 

LA GIUSTIZIA

 

Chiediamo una Giustizia a misura del cittadino e non del magistrato; veloce, certa, equa; separazione drastica delle carriere; autogoverno dei magistrati composto da più laici e meno togati; eliminare il legame fra politico e magistrato. Nessun rientro di carriera per chi fa il politico; sanzioni esemplari per fuga di notizie e veline di atti processuali di chiunque; carriere certificate con parametri pubblici; nuovo processo penale, carceri più vivibili, più sanzioni amministrative e servizi sociali al posto delle pene lievi, certezza assoluta e nessuna discrezionalità della sentenza definitiva per i reati gravi.

 

LE SFIDE DA AFFRONTARE: ECOLOGIA, POLITICA SOCIALE, RISANAMENTO TERRITORIALE, ACCOGLIENZA, FISCO.

 

La sfida che ci pone il nuovo scenario ambientale a livello planetario, richiede il nostro impegno per tradurre nella politica italiana ed europea gli orientamenti pastorali della “Laudato SI” partendo da una grande piano per sostenere la diffusione capillare delle nuove energie solari e fotovoltaiche e per la sistemazione idraulico forestale dell’Italia, “Paese di inaugurazioni e non di manutenzioni”.

 

Chiediamo al governo di predisporre un piano economico nazionale sociale-civile-vitale legato alla sussidiarietà attiva,  sociale, civile, sussidiaria ecologica ambientale; deve essere prioritaria in ogni esercizio e campo al posto di quella solo monetaria e  finanziaria; ritorno alla economia reale in certi settori, chiudere le delocalizzazioni d’imprese,  controllo e tassazione delle mega rendite finanziarie, dei titoli derivati e della gestione patrimoni e assicurazioni da reinvestire nel sociale con la transizione ecologica. 

 Serve predisporre un grande progetto integrato da più funzioni per i 2/3 del territorio italiano montano/collinare più vulnerabile, svantaggiato, difficile, abbandonato che può crollare a valle, ma anche premiato e autentico patrimonio culturale paesaggistico nazionale, che ha in se già milioni di posti di lavoro e fare in modo che ritornino gli occupati a fare impresa e servizi: dalle scuole ai pronto soccorsi, dalle regimazioni idrauliche all’antropologia di servizio.

Non ci sottraiamo all’esigenza di una politica dell’accoglienza che non si limiti a sollecitare l’Europa a fare la sua parte.

Perché siamo stati anche noi emigranti (negli anni tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 furono 20 milioni gli italiani che varcarono l’oceano per sfuggire alla fame e alla disoccupazione); e poi perché la nostra tradizione etica, religiosa e civile non ci consente di volgerci dall’altra parte.

 

QUALE PRIMATO DELLA POLITICA

 

Riconosciamo il primato della politica come momento di sintesi ideale e come luogo di rappresentanza reale dei bisogni diversi e diffusi; una politica che rifugga da inutili conflittualità personalistiche e di parte e che riassuma i valori del popolarismo inteso come diretta partecipazione della Persona-cittadino alla costituzione del suo futuro e dei suoi Figli

 

Siamo convinti assertori di un sistema elettorale proporzionale con preferenza unica, superando l’attuale sistema che ha sin qui prodotto frammentazione partitica e trasformismo parlamentare, riducendo il sistema a una contrapposizione forzata tra aggregazione elettorali incapaci di garantire efficace governabilità.

 

La politica non deve essere esclusivamente strumento per vincere le competizioni elettorali, ma deve agire per salvaguardare e costruire anche gli interessi delle generazioni future.

 

LA RICOMPOSIZIONE DELL’AREA POPOLARE: FINE DEL COMPROMESSO STORICO.

 

Viviamo l’autonomia locale come forma di massima libertà, esaltando la partecipazione responsabile nel rispetto del principio di sussidiarietà. Una sussidiarietà che deve riguardare non solo le istituzioni, ma anche il rapporto tra queste e la società civile: ciò che può fare meglio il cittadino, singolo o associato, non deve essere fatto dalle istituzioni pubbliche.

 

Senza alcuna nostalgia di un passato, pure carico di indiscutibili positività, crediamo sia giunto il momento di unire tutte le energie locali, provinciali, regionali e nazionali, affinché la nostra cultura politica torni ad essere rappresentata nelle istituzioni italiane e europee.

In una chiara posizione autonoma e di Centro, distinta sia dalla Destra che dalla Sinistra, per la diversità e l’inconciliabilità dei valori di riferimento.

 

Un’azione capillare di promozione del dibattito culturale e politico su tutto il territorio nazionale sarà attivata per favorire la più ampia partecipazione dei cittadini e delle associazioni che intendono dare il loro fattivo contributo per la ricomposizione politica dell’area popolare.

Ben consapevoli che la linea politica adottata dal PD con la nuova Segreteria, con l’esaltazione dei c.d. diritti civili  (espressione di permissivismo, relativismo ed egoismi) rompe definitivamente con la strategia di Gramsci, Togliatti e Berlinguer fondata sull’intesa con i cattolici nel rispetto dei nostri valori.

 

Firmato da: (ordine alfabetico dei sottoscrittori)

 

Bonalberti Ettore

Fiori Publio

Mario Tassone

Pasquale Tucciariello

 

 

 

 

 

 


Ora o mai più

 

L’assemblea del 25 Febbraio al Parco dei Principi è stata una tappa importante nel processo di ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale. Dopo quasi trent’anni della diaspora democristiana (1993-2023) si sono riuniti amici che, in quella dolorosa stagione politica, hanno vissuto esperienze di divisione e  contrapposizione.

E’ evidente che il progetto potrà svilupparsi, solo se dalla base si costruiranno le condizioni politico organizzative per il ricongiungimento delle diverse componenti presenti in sede territoriale della nostra area. Non esistono scorciatoie o strade privilegiate, al di fuori di quelle che possono e devono nascere dalle nostre realtà locali.

E’ evidente che l’obiettivo più vicino sia quello di costituire una lista unitaria di area popolare alle prossime elezioni europee. Un obiettivo che non deve, tuttavia, farci correre il rischio di passaggi frettolosi verso un Terzo polo ancora carico di contraddizioni e di pregiudizi, già dolorosamente sperimentati nelle recenti elezioni comunali romane e regionali.

Credo sia opportuno attendere come si evolverà il progetto del partito unitario del Terzo Polo tra Calenda e Renzi, avendo presente l’idiosincrasia verso i DC e i Popolari che, Calenda in particolare, ha sin qui dimostrato verso la nostra tradizione politico culturale.

I cattolici e il loro ruolo politico non è riducibile al surrogato di riduttiva ed errata interpretazione calendiana di un strano incidente della storia nazionale, avendo rappresentato il PPI, prima e la DC, per oltre  quarant’anni, alcune delle esperienze  politico parlamentari più importanti della fine dell’Italia liberale, con Sturzo prima e di tutta la storia repubblicana, con la DC di De Gasperi, Moro e dei loro eredi.

Noi a quelle tradizioni politiche vogliamo rifarci, derivandone i loro elementi migliori Ecco perché, prima di scelte affrettate di alleanze elettorali, intendiamo concorrere alla ricomposizione politica della nostra area. Una ricomposizione che dovrà costruirsi dalla base, attraverso l’avvio di comitati civico popolari di partecipazione democratica, strumenti in grado di facilitare il dialogo e il confronto tra le diverse realtà di base. Lì si raccoglieranno le attese della nostra gente alle quali corrispondere con efficaci proposte di programma. Lì si selezionerà la nuova classe dirigente, che non potrà essere scelta dall’alto per cooptazione, ma dalle procedure democratiche locali, sia per i ruoli del partito, che per le candidature. Certo il nuovo sistema della rete che è partito dal Parco dei Principi potrà favorire il progetto, ma guai se, come altre volte è già avvenuto in passato, fosse dal centro che si pensasse di definire, orientare e gestire questo originale e innovativo processo.

Prima, dunque, partendo dalla base, ricomponiamo tutto ciò che sia possibile e il documento del Parco dei Principi può costituire un punto di riferimento e di riconoscimento unitario quanto mai opportuno, e, poi, salendo con metodo democratico dalle realtà locali, provinciali e regionali, si potrà giungere a quell’assemblea costituente nazionale del nuovo soggetto politico di centro, ampio e plurale: democratico, popolare, ispirato dai valori della dottrina sociale della Chiesa, alternativo alla destra nazionalista e sovranista, distinto e distante dalla sinistra alla ricerca della propria identità.

Credo che per facilitare questo processo di ricomposizione sarebbe quanto mai utile e opportuna una riunione a Roma dei principali attori dei diversi movimenti e partiti che, sin qui, hanno tentato, seppur divisi, di organizzare le risorse sparse e divise presenti sul territorio. Un invito da rivolgere anche a coloro che, per scelta improvvida o disattenzione, non fossero stati invitati il 25 febbraio scorso. Sarebbe un segnale efficiente ed efficace per tutti gli amici in periferia. Una cosa è certa: il dado è tratto e stavolta o mai più. Avanti, allora tutti, da Liberi e Forti per il bene dell’Italia.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti- www.alefpopolaritaliani.it )

Venezia, 1 Marzo 2023 

 

 

Un’occasione da non perdere

 

Il convegno organizzato dagli amici di area popolare, Sabato 25 Febbraio scorso, all’Hotel Parco dei Principi a Roma, costituisce un passaggio fondamentale nel progetto di ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale. Un progetto che, da parte mia, perseguo da molto tempo, come ben sa chi segue le mie note pubblicate nella lunga e dolorosa stagione della diaspora post DC.

Trattasi di un’occasione da non perdere anche da parte degli amici della DC che, dal 2012, sono impegnati nel progetto di ricostruzione politica della DC, ossia per dare pratica attuazione alla sentenza n.25999 del 23.12.2010 della Cassazione, secondo cui: La DC non è mai stata giuridicamente sciolta.

Un progetto cui ho dato un contributo con tutte le mie forze in sede locale e nazionale, che si è, almeno per me, interrotto, dopo la deriva a destra assunta dal partito, come ben evidenziato dalle scelte regionali e nazionali nelle elezioni di Sicilia, Lazio e Lombardia.

Avevo scritto in un editoriale del 13 Gennaio scorso, che il partito della Meloni, Fratelli d’Italia, non è la nuova DC e che esistono enormi difficoltà di natura ideali e culturali che separano la nostra storia e tradizione politica da quella degli eredi del neofascismo almirantiano. Ho anche più volte sottolineato che scelte compiute a destra o a sinistra da parte della DC, avrebbero ridotto il partito al ruolo di ascaro reggicoda dei due partiti egemoni, nei quali, alla fine: “ è sempre il cane che muove la coda”.

Ciò che è avvenuto Sabato scorso con la relazione introduttiva di Giuseppe De Mita e ben sintetizzato nel documento finale che si allega, rappresenta il superamento di una lunga stagione di divisioni fomentate dai personalismi di quanti hanno privilegiato il loro “ particulare” politico all’interesse più generale di un’area che, scomparsa dalle istituzioni, sopravvive nella realtà delle molte frazionate espressioni sociali, culturali e politiche a livello locale e nazionale.

Quanto ha scritto l’On Fioroni oggi su Il Domani d’Italia è la presa d’atto della difficoltà/impossibilità per i Popolari di continuare a militare in un partito che, con la vittoria congressuale della Schlein, assume definitivamente il carattere profetizzato dal prof De Noce per il PCI/PD di “ partito radicale di massa”. Nulla a che spartire con la nostra tradizione politico culturale sturziana e degasperiana. Ecco perché, come è ben descritto nel documento finale, oggi esistono le condizioni per concorrere tutti insieme alla nostra ricomposizione politica partendo dai fondamentali sturziani che sono all’origine del nostro impegno politico.

A Venezia stiamo tentando di attivare il comitato civico popolare di partecipazione democratica, ossia lo strumento nel quale avviare il dialogo e il confronto tra le diverse espressioni della nostra area sociale, culturale e politica, premessa indispensabile per costruire il POP veneziano e regionale del Veneto.

Da vecchio “ DC non pentito”, osservatore non partecipante, ma non per questo estraneo o peggio, distante dalle vicende del partito in cui ho speso larga parte della mia stessa vita, mi permetto di suggerire a Grassi e amici di cogliere l’occasione offerta dal documento del Parco dei Principi e di sottoscriverlo con gli altri firmatari a nome di tutta la DC. Non si comprenderebbe l’eventuale assenza del partito che, più di altri, dal 2012 ha tentato il rilancio politico del partito di De Gasperi, Fanfani, Moro, Zaccagnini sino a De Mita, Forlani e Martinazzoli, per cui, superando ogni difficoltà, mi auguro che la DC  sappia compiere quella scelta che molti dei nostri iscritti ed elettori si attendono, ossia di concorrere al progetto di ricomposizione politica dopo la lunga e dolorosa stagione della diaspora democristiana.

Ettore Bonalberti

Venezia, 27 Febbraio 2023


Il documento di area popolare

 

Il susseguirsi di maggioranze parlamentari, di successi elettorali e di trionfi e cadute di leadership a forte impatto mediatico, non ha spostato l’orizzonte politico del paese e non ha ridotto il senso di insicurezza che attraversa la società italiana.

Crescono significativamente il livello di astensione al voto, la volatilità delle scelte elettorali, il senso di sfiducia nei partiti e in una certa misura verso le istituzioni democratiche della rappresentanza.

Eppure, nella pubblica opinione resiste la speranza dell’arrivo di qualcosa che sia allo stesso tempo nuovo e antico; innovativo e tradizionale; capace di riformare e attento a conservare: qualcosa che rivesta di novità la continuità.

Le opzioni tecnocratiche e populistiche, convergenti nel ritenere il popolo un oggetto e non il protagonista della vicenda democratica, si sono rapidamente trasformate da soluzione a problema delle democrazie.

In questo contesto e su queste basi di comune riflessione è maturata un’esigenza diffusa di ricomposizione del variegato universo politico di movimenti, associazioni, liste civiche e personalità, che si riconoscono nella comune radice culturale del popolarismo.

Ciò viene significativamente alla luce a 100 anni da quel congresso del Partito Popolare – simbolo di fedeltà ai valori democratici – che costò l’esilio a Luigi Sturzo

I problemi del presente impongono un impegno diretto nell’elaborazione e nell’azione concreta per senso di responsabilità storica e non per evocare una teoria del passato.

Nulla dice che questa condizione di incertezza preluda a facili successi, ma nulla impedisce di assumere l’impegno di offrire possibili soluzioni.

Il pluralismo delle diverse esperienze popolari avverte dunque necessario ricercare le forme più efficaci perché esse si esprimano in forme politicamente unitarie.

Pertanto, si è deciso di lavorare alla costruzione di una comune Piattaforma Popolare che raccolga i movimenti politici e associativi, le esperienze amministrative, sociali e culturali che trovano nel popolarismo la comune radice di pensiero.

Una Piattaforma Popolare che, conservando l’autonomia dei partecipanti, consenta la formazione di un riferimento unitario e organico che rappresenti anzitutto uno spazio di impegno culturale e quindi di elaborazione programmatica, con il chiaro obiettivo di favorire l’individuazione di scelte organizzative disponibili alle collaborazioni più ampie, inclusive ed efficaci sul piano politico.

Le prime firme (con relativi gruppi o associazioni)

Fioroni Giuseppe – Centro Studi Aldo Moro                     

Coordinamento nazionale “Insieme” (Infante Giancarlo, Mosti Eleonora, Cotta Maurizio)

De Mita Giuseppe – POP Popolari in rete

Amoruso Donato – Puglia in Movimento 

Arnone Vincenzo – POP Calabria 

Attaguile Francesco – POP Sicilia

Bazzoni Giacomo – I Popolari Brescia

Bertoli Danilo – Istituto Friulano per la storia del movimento politico dei cattolici

Binato Fabio – POP Veneto                                           

Burresi Pietro – Associazione Aldo Moro Siena 

Caprioli Nicola – Rete Bianca Bologna 

Cerciello Emanuel – POP Toscana

Ciambella Luisa – Per il bene comune Viterbo 

Clemente Sergio – AICS Foggia 

Dellai Lorenzo – Pop Trento

Di Giovanni Antonio – Fondazione Sturzo Caltagirone

Di Natale Graziano – La migliore Calabria

D’Ubaldo Lucio – Associazione Nazionale dei Democratici Cristiani

Fauttilli Federico – Città d’Europa

Gargani Giuseppe – Popolari per l’Europa

Ginoble Tommaso – Popolari per l’Abruzzo                              

Grassi Gero – Associazione Aldo Moro Bari

Grassi Giuseppe – Per il bene comune Roma                                               

Lebbro David – Campania Domani

Mauro Mario – Popolari per l’Italia

Mazzoni Erminia – POP Campania

Mennea Ruggero – Per il bene comune BAT

Merlo Giorgio – POP Piemonte

Molinari Giuseppe – Associazione Popolari Basilicata

Monda Dante – Rete Bianca Roma

Porzi Donatella – Per il bene comune Umbria

Rigoni Andrea – I Popolari Massa Carrara

Ruta Roberto – Per il bene comune Molise

Santi Aurelio – I Popolari Modena

Sanza Angelo – POP Popolari in rete

Tanzilli Alberto – Per il bene comune Roma

Tuccillo Francescomaria – Popoli e Polis                    

Valiante Simone – Per il bene comune Salerno

Vassallo Maurizio – Per il bene comune Rieti                                               

Venanzoni  Diego – Fare Centro Napoli

Visani Roberto – I Popolari Imola
Zucchetti Roberto – POP Lombardi

 

Per un’alternativa alla destra di governo

 

Siamo consapevoli che una reale alternativa politica alla destra di governo nazionalista e sovranista, oggi egemonizzata dal partito della Meloni, si può solo costruire con un’ampia alleanza tra un centro nuovo della politica e una sinistra che ritrovi, finalmente, la propria identità. Non esistono vie preferenziali o peggio scorciatoie tattiche, come quelle intraprese da alcuni amici  DC, che hanno scelto di assumere una funzione ancillare da ascari subordinati al partito della Meloni: in Sicilia con Cuffaro, e in Lombardia e nel Lazio, dove, con scarso successo, hanno appoggiato le liste guidate dai candidati di destra.

Proprio per questa deriva a destra della DC guidata da Renato Grassi, mi sono dimesso dall’incarico di vice segretario del partito, tornando al mio ruolo assunto fin dal 1993, di “ DC non pentito”, quello di un medico scalzo alla ricerca della ricomposizione politica dell’area popolare, cattolico democratica e cristiano sociale.

Un tentativo coraggioso è stato avviato con l’amico Peppino Gargani e la Federazione Popolare dei DC, messa in crisi dall’opposizione netta di Cesa e di Rotondi, organicamente collegati alla destra, e da quella indecisa dello stesso Grassi.

Ecco perché guardiamo con interesse a ciò che accade tra gli amici di Insieme di Giancarlo Infante, quelli di Ivo Tarolli e, soprattutto, con il progetto avviato da Giorgio Merlo, Angelo Sanza con Giuseppe De Mita, per la ricomposizione politica dell’area popolare.

Il prossimo 25 Febbraio si terrà l’incontro di questi amici per fare il punto della situazione. Incontro al quale desidero partecipare, presentando l’esperienza che abbiamo indicato a Venezia, con l’avvio del comitato  civico popolare di partecipazione democratica, nel quale vorremmo offrire alle diverse espressioni dell’area politico culturale veneziana, lo strumento per garantire il dialogo e il confronto necessario alla ricomposizione politica di questa vasta  e complessa area, divisa nella lunga stagione della diaspora DC ( 1993-2023).

E’ evidente che un’alternativa politica credibile alla destra nazionalista e sovranista, oggi egemone con la Meloni al governo del Paese, potrà nascere solo dall’alleanza tra le culture politiche che sono state alla base della formazione della Repubblica Italiana. Ciò comporta, da un lato, la definizione corretta dell’identità del PD, che potrà uscire dal loro prossimo congresso, e, dall’altra, dalla nascita del centro nuovo della politica italiana in grado di allearsi con quanti intendono difendere e attuare integralmente la Costituzione repubblicana, contro i tentativi già annunciati dalla destra di governo, come quello  della trasformazione della nostra Repubblica, da parlamentare, come la vollero i padri costituenti, a presidenziale.

Fallito l’esperimento della “Margherita” di confluire nei DS per dar vita al PD, nel quale, alla fine, per il prossimo congresso emergono due linee a confronto: quella di Bonaccini, più direttamente collegata alla tradizione dell’ex PCI e quella della Schlein, espressione coerente della natura trasformista assunta dal “neo partito radicale di massa”. Due linee entrambe ostili ed estranee a quella della tradizione dei Popolari che, con Marini e Castagnetti, decisero di sostenere quel progetto.

Anche ciò che accade al cosiddetto terzo polo, di Calenda e Renzi, in forte difficoltà dopo i risultati insoddisfacenti delle recenti elezioni regionali, è la dimostrazione dei limiti di un progetto che, per Calenda doveva rappresentare l’avvio di una sorta di federazione laico liberale repubblicana, che, ha finito con l’assumere i caratteri di una sorta di “ azionismo de noantri”, fortemente critico con tutto ciò che appartiene alla nostra tradizione politica DC e popolare, ossia quella stessa tradizione culturale e politica d’origine di Matteo Renzi.

Ecco perché per poter costruire una reale alternativa politica alla destra di governo, in attesa delle conclusioni cui perverrà il PD,  il nostro compito primario è quello di concorrere alla ricomposizione politica della nostra area cattolico democratica e cristiano sociale, premessa indispensabile per la costruzione del nuovo centro della politica italiana nel quale potranno ritrovarsi le storiche culture politiche che hanno fatto grande l’Italia: quella popolare, laico liberale, riformista socialista e repubblicana, in grado di allearsi con una sinistra forte della sua identità e disponibile a combattere per la difesa e completa attuazione della Costituzione, a partire, da quella della Repubblica parlamentare; per il ritorno alla legge proporzionale con preferenze e l’applicazione in tutti i partiti dell’art.49 della Costituzione. Il 25 Febbraio con gli amici di area popolare ci confronteremo, con la volontà di avviare un progetto finalmente decisivo per l’alternativa alla destra di governo, vincente, non se risulterà come l’ennesimo tentativo di  riunire  alcuni amici al vertice, ma solo se sarà sostenuto dai molti comitati civico popolari di partecipazione democratica che, come mi auguro a Venezia e nel Veneto, sorgeranno dalla base in tutto il Paese.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 20 Febbraio 2023

 

 



Nel 1991 fu l’On Publio Fiori a segnalarmi la sentenza della Cassazione n. 25999 del 23.12.2010 che poneva fine al lungo contenzioso fra i presunti eredi della DC, stabilendo in via definitiva che “ la DC non è mai stata sciolta”. Partì da quella notizia l’azione da me condotta per l’autoconvocazione del consiglio nazionale della DC storica, presieduto dall’On Rosa Russo Jervolino, azione che potei portare a compimento con l’aiuto decisivo dei compianti Onn. Silvio Lega e Clemente Darida. Da quel momento iniziarono pure i tentativi compiuti, nel 2012 con il XVIII Congresso nazionale della DC, che elesse alla segreteria nazionale del partito, Gianni Fontana e dell’Ottobre 2018, con   elezione di Renato Grassi da me sostenuta con totale solidarietà.

Ringrazio l’On Fiori che, ancora una volta promuove, con la riedizione dell’Idea Popolare, la storica testata giornalistica sturziana, il progetto di ricomposizione politica  dell’area popolare, come ben evidenziato nella nota trasmessami, che  pubblico assai volentieri sulla nostra rivista on line. Buona lettura

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 15 Febbraio 2023

 

Publio Fiori: GLI ELETTORI STANNO ABBANDONANDO QUESTI PARTITI. RICOMPONIAMO L’AREA POPOLARE. LIBERA DA VINCOLI E SUDDITANZE.

 

“Sono maturi i tempi per una iniziativa che ispirandosi al popolarismo Sturziano ricomponga l’arcipelago democristiano e recuperi l’unità politica dei cattolici con un soggetto politico di centro, democratico, popolare, laico, riformista, europeista, alternativo alla sinistra smarrita e alla destra populista, inserito nel PPE”.

Lo ha dichiarato Publio Fiori a seguito della inquietante caduta della partecipazione elettorale.

“E’ evidente – ha proseguito Fiori – la disaffezione della gente che non si sente più rappresentata da questi partiti incapaci di una visione alta fondata su quei valori della Costituzione che rimangono inattuati o addirittura stravolti (diritti fondamentali, lavoro, famiglia, dignità della persona, partecipazione, solidarietà e sussidiarietà); partiti che anziché guidare secondo principi condivisi assecondano mode, istinti e pseudo diritti che violano la dignità delle persone e i diritti inviolabili dell’art. 2 della Costituzione.

E anche a causa di un bipolarismo imposto di fatto dalla legge elettorale ma che non corrisponde all’effettiva articolazione della nostra società.

“Ne emerge – ha continuato Fiori - una società globalizzata, nichilista, individualista, indifferente e assoggettata a un capitalismo finanziario che fa crescere differenze, povertà, disoccupazione, limitando gli spazi e la qualità della democrazia e rende necessario un profondo cambiamento con il recupero dei valori del popolarismo che, in antitesi al populismo, sono presenti nella nostra Costituzione”.

“Per questo obiettivo – ha detto ancora Fiori – sono già in atto molte iniziative: l’assemblea del 25 febbraio organizzata da Gargani e da Sanza, l’incontro tra Casini e Mastella, l’associazione realizzata da Ettore Bonalberti tra i gruppi DC del nord-est, gli innumerevoli partiti e comitati locali DC nati spontaneamente in tutta Italia, la riedizione dell’Idea Popolare (il periodico di don Sturzo) che ha organizzato per il 15 marzo una assemblea nazionale a Roma e le sollecitazioni della Gerarchia (Cardinali Parolin e Bassetti) nell’incontro “Ditelo dai tetti” del marzo 2022 dove è stato riaffermato il diritto-dovere dei cattolici all’impegno politico per una ‘politica migliore’ “.

“Naturalmente – ha concluso Fiori – questo tentativo deve puntare ad un soggetto del tutto autonomo e non opportunisticamente legato o peggio subalterno ad altri partiti che pur dichiarandosi di “Centro” nulla hanno in comune con la nostra Storia”.

 

 

Contributo al dibattito per la ricomposizione dell’area popolare

Prof Roberto Berveglieri

 

Questa mio pensiero potrebbe apparire come “la solitudine dei numeri primi”, ma è importante lanciare un messaggio per riportare il valore etico nella politica e nell’economia. Per questo mi rifaccio al profeta Michea, simbolo universale di tre punti indelebili, perché contemporanei in ogni società: “1. lotta contro i governanti e le caste del tempo che affamavano il popolo, e chiedeva che la giustizia venisse ripristinata; 2. egli ci porta la notizia di un grande cambiamento, che una volta all’anno la liturgia ci ricorda, cioè la nascita di Betlemme; 3. ci dà lo stesso segnale di Isaia, ‘il bene trionferà’, perché nello stesso tempo ci dice che radunerà attorno a se un gruppo di giusti, il bene vincerà, e si prenderà cura dei bisognosi”. Egli ci dà un messaggio, che è quello di metterci in gioco e parlare, promuovere quello che noi consideriamo il bene comune.

Dunque, il mio sforzo è trovare l’equilibrio tra il diritto (che è la scienza della esistenza regolata da norme giuridiche) e l’etica, che è la capacità di distinguere ciò che è giusto e ingiusto; perciò dobbiamo essere coraggiosi, aperti, esatti. E allora che dobbiamo dire.

In sostanza, metterci in gioco, e parlare di quello che si considera il bene comune.

Alcuni personaggi che sono contemporanei della società, i loro scritti sono datati, ma le intuizioni sono contemporanee. Prendiamo le quattro intuizioni di Sturzo: 1. La tensione etica; 2. La laicità; 3. Il bene comune; 4. Il coraggio di un riformismo operativo.

Ecco, io penso con voi di aggiungere non nozioni a quelle già tante volte chiaramente esposte, bensì la nota dell'esperienza vissuta, perché quando uno arriva a una certa età non ha più nemmeno la possibilità di fare un saggio di ricerca di idee nuove; ma fare una riflessione sulla storia, su quello che abbiamo vissuto. Quindi, le cose che io vi dirò non le ho prese dai libri, se non dal libro più importante che ciascuno ha in se. Conoscevo un bravo padre, il quale diceva che il più bel libro di lettura spirituale è spogliare la propria vita, e alle volte io ho pensato che avendo dedicato tutta la mia vita a studiare le questioni sociali e politiche, la dottrina sociale della Chiesa, gestire la pubblica amministrazione, forse sono in grado di dire come vedo io questa crisi terribile che stiamo vivendo. Quali sono le cause vere? Ma perché siamo arrivati a questo punto? Ed è possibile venirne fuori? E se è possibile venirne fuori, come? Con le risposte a queste domande noi potremmo girare l'Italia e avremmo risolto i problemi del paese. Il mio è un contributo sul quale poi, ciascuno potrà riflettere ed  essere più o meno d'accordo.

Comincerò col dire che la crisi che stiamo vivendo è una crisi del tutto anomala, straordinaria, non è comune, è una crisi che ha radici complesse di natura politica, di natura economica, di natura culturale; quindi, non si risolve soltanto sul piano dell'economia.

Permettete che ha modo di introduzione vi dica quello che io penso dell'Europa, perché poi questo mi aiuta a comprendere la crisi dell'Italia.

A mio modo di vedere, e date il valore che volete alle cose che vi dico, l’Europa è nata male, è nata con il peccato originale, perché è nata come comunità economica. Già il grande architetto dell'Europa, il francese Jean Monnet, una settimana prima di morire scriveva nel suo diario: “Se dovessimo cominciare di nuovo a costruire l'Europa io comincerei non dall'economia, ma dalla cultura, perché non si tratta di mettere intorno a un tavolo il più di Stato dell'Italia, della Francia, della Germania e di mettersi d'accordo sul mercato dell'acciaio. Ma si tratta di unire i popoli. Unire gli italiani, francesi e tedeschi è una questione culturale per l'Europa”.

I nostri padri fondatori, tutti bravi, e santi, come li conosciamo, Adenauer, De Gasperi e Schuman avevano il problema della pace. Non è possibile, come avvenuto per tutti i secoli anteriori al ventesimo, che in ogni secolo i popoli europei si siano distrutti a vicenda con la guerra; e l'ultima guerra mondiale, così terribile, ci ha fatto capire che è necessario costruire la pace. Ma come potevano fare? Mettiamo in comune la produzione dell'acciaio con cui si fanno i cannoni, gli aeroplani le armi. Allora, se avremo un comune mercato dell'acciaio, avremo in mano l'elemento per garantire la pace; al tempo stesso quando poi si è scoperto l'atomo facciamo anche le Euratom, l'Unione Europea atomica per la protezione dalle radiazioni, e quindi garantire la pace. Ottima idea; e abbiamo avuto 70 anni di pace incredibili, nonostante alcuni focolai qua e là, ma abbiamo goduto di un periodo stupendo di pace.

Ma l'errore è stato l'aver cominciato con l'economia e aver messo l'accento sull'economia, che poi è diventata moneta unica, che poi è diventata dominio della finanza (mai avere un uomo della finanza o un banchiere alla guida del ministero dell’economia o del governo). E i popoli non si sono Uniti fra di loro, si sono uniti i governi, con risentimenti perché si è imposta una regola dura, non sforare l'equilibrio tra prodotto interno lordo è debito; con tutti i drammi che sono venuti fuori; basti pensare come è stata trattata la Grecia. Vedere un popolo ridotto a quella situazione di sofferenza sociale, di ingiustizia nel nome dell'economia (peggio finanza), che ha dettato la politica all’Europa è conseguenza del peccato originale; è il frutto del peccato originale, da cui si tenta di venir fuori. Quindi, le critiche che si fanno sono necessarie e buone.

Ma se io, politico, volessi rifondare l’Europa, fossi il rifondatore dell'Europa, di nuovo io comincerei dalla cultura.  Abbiamo un esempio di come si può costruire la casa comune?

Allora voi permettete che mi rifaccia a un'antica immagine che ormai da tanti anni ho usato soprattutto parlando agli studenti, ma anche a conferenze e convegni pubblici diversi.

Il problema della casa comune, che è il problema del XXI secolo: noi non possiamo costruire una società, un'Italia nuova del XXI secolo senza imparare quella che è la Regola fondamentale del mondo globalizzato: “imparare a vivere Uniti, rispettandoci, diversi. Amici miei, questa è la regola cardine della costruzione della Nuova Europa, della nuova Italia, del nuovo mondo globalizzato. E allora l'esempio che portavo è molto banale ma rimane nell'immaginazione: è la costruzione di una casa. Quand'è che una nazione diventa Stato, diventa Popolo unito? Quando esiste una omogeneità di valori: il costume, la fede, l’arte, la lingua, che danno unità culturale a un popolo, che ha un suo territorio.

Quello che io direi nella costruzione della casa è la funzione delle fondamenta e del pavimento; non si può cominciare a costruire la casa dai muri o dal tetto. La casa si costruisce dalle fondamenta, e il fondamento della casa comune è la cultura di un popolo, sono i valori, il modo di parlare, l'arte, il costume, tutto quello che è anche ricchezza creatività, fede religiosa. Quando questo è omogeneo c'è il pavimento.

La cultura non rimane mai un discorso accademico, una tavola rotonda in televisione. La cultura si esprime sempre in Istituzioni che sono i muri della casa comune. Quindi le grandi leggi istituzioni che governano la casa comune: la magistratura, la scuola, la famiglia, il lavoro, la politica, la fede, sono i muri maestri della casa, che si devono fondare sul fondamento culturale della casa. La Cultura, che diventa Istituzione, alimenta le istituzioni.

Quindi, il diritto di famiglia italiano sarà diverso dal diritto di famiglia africano, tedesco e altri, perché la cultura è quella che determina anche le forme istituzionali. Quando ho costruito il modello, abbiamo il modello di società.

Se pigliamo in mano la Carta repubblicana ci accorgiamo che i primi 12 articoli sono il fondamento dell'Italia; sono quei valori, quel costume, quella tradizione bimillenaria che costituiscono l’humus, il terreno, l'anima del popolo italiano. La seconda parte riguarda le Istituzioni. Tanto è vero che la seconda parte è molto datata. E le riforme istituzionali vanno fatte perché il paese è cresciuto; e le istituzioni, che sono come l'abito, si rompono da tutte le parti, perché il corpo è cresciuto: ma non mettiamo in discussione le fondamenta, mentre dobbiamo rinnovare l'Italia e rinnovare l'Europa. Ricominciamo dal pavimento, dalla cultura, dai valori; uniamo i popoli, le culture e le lingue. Cerchiamo di costruire insieme il pavimento dei valori, che poi è quello che si trova nelle Costituzioni delle democrazie moderne. Non li dobbiamo inventare, abbiamo la nostra Costituzione che è validissima nel pavimento (nei fondamentali), quindi non dobbiamo inventarlo. E i grandi valori si trovano oggi in tutte le nazioni, in tutte le etnie.

Ero curioso quando Papa Giovanni Paolo II, nel cinquantesimo dell'ONU, parlò all'assemblea delle Nazioni Unite. Mi son detto, vediamo un po' come fa il Papa a cavarsela. Aveva davanti a se i cristiani, cattolici, buddisti, musulmani, indù, shint, atei; aveva davanti razza bianca, razza nera, razza gialla, occhi a mandorla, occhi rotondi: le diversità di tutti i popoli del mondo. Come farà il Papa a progettare l'Unità del mondo in questa diversità; vediamo come fa. E Lui ha usato un termine che mi ha colpito molto, e l'ho adoperato anch'io poi in alcune conferenze. Ha detto: “esiste una grammatica etica comune in tutte le coscienze umane, bianche, nere, Indù, musulmane, cattoliche, atee; tutti abbiamo dei valori comuni che in un mondo globalizzato devono servire a costituire il nucleo centrale di un nuovo Umanesimo”.

Il nuovo fondamento, il pavimento del XXI secolo non può più essere quello di una nazione; il sovranismo e nazionalismo è antistorico, perché ormai stiamo diventando un'unica famiglia.

Andiamo per le strade di Milano o altri luoghi. Prima i musulmani li trovavate in Asia, i buddisti in Giappone, i cattolici più o meno in Occidente, nei paesi del Sud Europa, nel nord i protestanti; ma questo è finito.

Se andiamo per le strade di Milano o altrove, incontriamo tutte le razze e le culture del mondo e altri, e forse c'è ancora qualche cattolico. Voglio dire, che ormai la famiglia delle famiglie umane è una realtà. Non solo di tipo economico, perché riusciamo a trasmettere capitali interi con un bip da uno Stato all'altro, ma anche a livello politico, a livello giuridico. Come sono le grandi carte dell'ONU, e i diritti fondamentali dell'uomo. Quindi è un mondo che si unifica. Che cosa vuol dire fare una frontiera col filo spinato, mi fai ridere. Ma credi tu di frenare i gommisti che vengono su attraverso il Mediterraneo, mandando la marina militare a sparare. Ma sei matto. Ma non vedi lo squilibrio demografico che c'è tra nord e sud dell'equatore. Al nord dell'equatore un miliardo più o meno di ricchi, al sud dell'equatore 6 miliardi di poveri che sopravvivono col 17% delle riserve dell'umanità. Proprietà di tutta l'umanità che vengono sciupate nel superfluo per l’83% nel nord. Con un problema demografico enorme, perché noi oggi stiamo tutti invecchiando. Ringraziamo il Signore, arriviamo tutti a 90, 100 anni, benissimo. Facciamo le case per gli anziani. È novità inventare le case per gli anziani. Ma le idee, la forza, la creatività chi ce l'ha? Ce l’ha quel 40% del Sud dell'equatore che oggi hanno 14 anni; aspettate che arrivino a 30, quando noi saremo tutti centenari, chi fabbrica? chi lavora? Andiamo a sparare con la Marina Militare contro i gommoni. Quella della emigrazione è una questione strutturale, che non si può affrontare come abbiamo fatto fino ad ora, affrontandola in modo casuale, chiudendo i porti, oppure disinteressandoci. Io non accetto nessuno, non ha senso! Perché la crisi che stiamo vivendo non è una crisi congiunturale.

Se noi prendiamo un libro di storia, in ogni capitolo troveremo una crisi congiunturale; finisce un governo se ne fa un altro; muore un bravo letterato ne emerge un altro, e sono capitoli nuovi. Ma il modello di società che noi chiamiamo civiltà e che è la cultura istituzionalizza, quella può durare secoli. Quello che sta accadendo ai nostri giorni, amici miei, è che alla fine del Novecento è finita anche la civiltà industriale, parlando dell'Occidente, perché per l’Asia e l’Africa sarebbero altri problemi. Il che vuol dire che è una civiltà, una cultura che è durata 300 anni, dalla prima rivoluzione industriale, alla rivoluzione francese, alla scoperta dell'America.

Però di quando in quando queste evoluzioni suppongono una crisi strutturale, che non è congiunturale; bisogna ripensare il modello di casa. Per 300 anni abbiamo cambiato gli equilibri interni, economici, politici, ma il modello era quello.

Oggi è saltato il modello, e la nostra grande missione di generazione, che senza averlo scelto, ci troviamo a vivere, è il passaggio da una civiltà all'altra; che è quella tecnologica, post moderna. Bisogna andare per strade nuove, bisogna inventare un modello nuovo, perché i modelli di ieri non servono più; i modelli di domani non li abbiamo ancora, ma noi dobbiamo andare avanti. Allora si può anche sbagliare nelle scelte del nuovo, ma occorre che ci mettiamo tutti a cercare l'unità, nel rispetto della diversità, perché il pluralismo non è un guaio è una ricchezza.  Immaginatevi che noia se tutti fossimo uguali; ha parlato Berveglieri, possiamo tutti andare a casa perché ha parlato, siamo tutti uguali. Menomale che lui dice, un altro dice, l'altro dice, e il pluralismo ci arricchisce, ma bisogna fare unità.

Ecco la grammatica etica comune, di cui parlava Papa Giovanni Paolo, che poi erano i valori fondamentali della nostra Carta repubblicana: la dignità della persona. Oggi non troviamo nessun documento internazionale, nessuna Costituzione moderna che non la mette al primo posto.

La solidarietà, la persona umana ha bisogno dell'altro, la società nasce in noi, non è un etichetta che si incolla sul collo della bottiglia. Il bambino è l'inizio della società. La famiglia è cellula della società. La società, la solidarietà è essenziale, nessuno di noi può fare tutto da solo, non solo quando è piccolo, ma anche quando è grande.

La sussidiarietà, cioè fare in modo che l’istanza superiore non sostituisca quello può fare l'istanza inferiore. Quindi, il problema delle regioni, il problema delle partecipazioni dei corpi intermedi, e quindi sindacati, e quindi tutte le varie manifestazioni, anche delle minoranze, che devono avere una loro responsabilità, nel bene comune; quindi la democrazia matura; il bene comune, cioè il fatto che esistono dei beni che non sono individuali. Ci sono dei beni che sono individuali, la mia salute è individuale, e se la perdo è un bel guaio, e mi potranno solo aiutare.

Ma ci sono dei beni comuni che o li raggiungiamo tutti insieme, o moriamo tutti insieme. Se voi avete notato, tutti i problemi nuovi che oggi nascono sono problemi planetari; non c'è più una sola nazione che riesce a gestire unicamente con le sue forze i problemi che nascono, cominciando dalla casa comune dell’ecologia. Il problema ecologico, uno può firmare o non firmare il trattato di Parigi. Ma si muore. Non sappiamo più che cosa mangiamo. Quello dei Tumori a Taranto andrà accertato meglio. Però ci sono dei casi di autodistruzione in cui noi non possiamo far finta di risolverli da soli; non ce la facciamo.

La pace o la facciamo tutti insieme o non ci sarà mai la pace; è la vittoria della povertà, come purtroppo sta accadendo col la guerra della Russia all’Ucraina. L’Europa, e con disgusto anche l’Italia, non ha messo in campo nessuna iniziativa di pace. Solo armi.

L'evoluzione, il nuovo sistema di produzione a livello globale che va assolutamente instaurato con le nuove tecnologie, o è un'opera comune o non si vive. È finito il tempo di una nazione leader, come gli Stati Uniti che erano la polizia del mondo. Non ce la fa più; e quando costruisce dei muri è il segno della sua debolezza, perché non è costruendo il muro col Messico che risolvi il problema dell'emigrazione, o facendo la gara con la Cina.

E se l'Europa non diventa la terza superpotenza, nella nuova Geopolitica, se non sarà in grado di confrontarsi con i Mercati, con la cultura della Cina, degli Stati Uniti, dell'India dei grandi popoli emergenti, perdiamo il treno della storia. Ed è ridicolo sentire i nostri politici che parlano di sovranismo, prima gli italiani; gli italiani da soli fanno solo Africa, senza aver dispregio per l'Africa, perché diventiamo Africa; e se continuiamo ancora così, se ci opponiamo perfino alle Istituzioni europee, non è il modo di proposi; è antistorico, è ideologico.

Allora Voi capite come la crisi della politica sta nell'aver perso il fondamento dell'Europa, che è l'ispirazione etica, ha perso il fondamento etico dell’operare, che è la morte della politica. La politica è come un essere vivente. Gli esseri viventi hanno un'anima, e quando un essere vivente perde l'anima che cosa succede? Marcisce, si corrompe. Guardate la televisione, possibile che non esista un giorno, un telegiornale in cui non ci sia uno scandalo di corruzione. Ma che cosa fanno questi uomini pubblici, che hanno raggiunto responsabilità di bene comune grande, che non hanno il buon senso di vincere la tentazione dei soldi! Perfino nel CSM, ma chi lo va a pensare, ma dove siamo. Accade perché abbiamo perso un'anima. Abbiamo perso il fondamento, e i muri senza fondamenta vengono giù; i muri crollano, le Istituzioni non reggono.

La crisi della disoccupazione, non è solo congiunturale, come si studiava all'università; i cicli economici crescono, si abbassano, l'inflazione sale, scende. No! quella è congiuntura, qui si tratta di struttura, perché non si produce più come si produceva 20 anni fa; la catena di montaggio della Fiat non esiste più, non esistono più 100 operai che per 8 ore al giorno devono fare tutti la stessa manovra, perché la cinghia gira e se no il prodotto non viene. Oggi sei un uomo seduto, colletto bianco, al computer, che regola il processo produttivo; se c'è un difetto si accende la lampadina, si ferma tutto, si aggiusta e si riparte; il prodotto è più perfetto di prima. E che cosa mangiano gli altri 100 che sono diventati inutili?

È il problema di una disoccupazione strutturale, e necessita trovare una soluzione strutturale, non congiunturale, dando soldi di qua e di la, o facendo quota 100, reddito di cittadinanza, o altre cose di questo tipo. Questi sono pannolini caldi! Bisogna ripensare le leggi del mercato, della produzione, il modo dello sviluppo! È lì che non ci siamo. Ci manca una classe politica preparata, perché va bene il fondamento, quindi i valori, la tensione etica, ma se manca l'entusiasmo non fate politica per favore.

Io non ho nulla contro i notai, sono preziosi. Ma io non posso fare il politico come fa il notaio. Ci sono professioni che senza una vocazione non si possono fare; un medico senza vocazione è un disastro, perché il medico non fa il medico solo per prendere i soldi, ma per curare i malati, non ha orario, lo chiamano di notte, nei casi più disperati deve essere pronto, è una vocazione; il prete senza vocazione è un disastro. Io aggiungo, scherzando, che molte volte è un disastro anche quando ce l'ha. Però, a parte le eccezioni, ad un certo punto, se uno non ha la vocazione cambi. Molti di questi politici che ci stanno governando sono lì da professionisti! I professionisti della politica sono la morte della politica. La politica non è una professione è una vocazione. E se uno non si dona con entusiasmo, cambi mestiere, non si faccia prete, non si faccia medico, non si faccia politico, perché farà dei danni più grandi. Il medico è chiamato a sanare i corpi, non a riempire il cielo di anime, non è la sua missione. Mandare in paradiso la gente, ci pensa qualche altro. Ma per fare questo bisogna però avere tensione ideale, e al tempo stesso professionalità e competenza. C’è una frase straordinaria di Paolo VI: ‘La politica è la forma più alta di carità’. Ed è assolutamente vero.

Io non vorrei scandalizzare, ma qualche volta ce la metto apposta. Per riuscirci non basta essere santi per essere bravi politici; se uno non è santo, cioè non ha l'entusiasmo, non ha l'etica non combina niente, anche se ha professionalità. Ma se manca la professionalità, non basta la santità; e se uno è solo un professionista che cerca il proprio successo, le proprie affermazioni, i soldi, la propria sedia, e non ha la tensione ideale, la spiritualità della vocazione, cambi mestiere, perché è una rovina.

Ad uno degl’ultimi incontri, Padre Sorge mi diceva dell’esperienza della Scuola di azione politica fatta a Palermo, quando i superiori, dopo tanti anni alla Civiltà Cattolica gli dicono di andare là. A fare cosa? Non lo sappiamo nemmeno noi, ma c'è una situazione drammatica, la criminalità ha in mano tutto; c'è un centro culturale dei Gesuiti in città che stenta a vivere, vedi un po’. Quando ho visto, “mi son detto che la prima cosa da fare è formare una nuova classe dirigente; abbiamo bisogno di politici che siano onesti, con tensione ideale, e competenti; non si può fare economia, politica, le leggi, con l'ignoranza di chi va così a tastoni. Ma non si può, … il bene comune, gli equilibri internazionali …

Come si decidono queste leggi, ad esempio, la TAV non la si vuole ideologicamente. E allora che si fa? Costi e benefici. Quanto spendo e quanto guadagno. Ma ci sono delle scelte che non hanno nulla a che fare con i costi e benefici. C'è una Europa da unire (anche politicamente, con politica estera comune, esercito comune, politica sociale comune, …).

C'è una vena culturale da stendere dall'uno all'altro mare, oceano, che sarà il futuro del mondo; che forse anche non ti rende magari qualche dollaro in più, ma non è quello.

Ecco, questo è mancanza di tensione etica, di creatività; abbiamo bisogno di Statisti che leggano la storia e sappiano intuire dove va il mondo.

Lasciatemi dire che le Brigate Rosse uccidendo Moro hanno colpito giusto, perché hanno ucciso uno Statista, che aveva il coraggio di vedere il futuro, di vedere oltre, e di ipotizzare la terza fase famosa, di cui lui parlava, che era la democrazia matura, che sarebbe stata una cosa eccezionale; ma senza chi la guida non si realizza.

Uccidendo Moro, le Brigate Rosse hanno ucciso il futuro dell'Italia.

Però non possiamo nemmeno legarci a un uomo, ce ne sono tante di intelligenze e capacità; quando poi bisogna pensare in europeo, bisogna pensare in europeo, non in italiano. Se io continuo a pensare in italiano, prima gli italiani, mentre il mondo pensa in europeo e addirittura pensa della via della seta e pensa globalizzato, io perdo il treno della storia, mi ritroverò isolato, povero, sottosviluppato.

Dove sono gli uomini che pensano in europeo, che pensano in globalizzazione, che pensano in futuro, pur avendo i piedi per terra, avendo i piedi nel locale. Ma pensando in universale; abbiamo bisogno di questi politici. Ecco la formazione della classe politica.

Ecco, allora il vero problema di oggi è che stiamo vivendo una crisi strutturale, non abbiamo le strutture nuove perché non esistono; esistono quelle vecchie, che si cerca rapidamente di aggiustare, ma non avendo la cultura universale, che è il fondamento del nuovo Umanesimo, che bisogna fondare su valori condivisi, per poi avanzare insieme verso un Umanesimo ancora più pronto.

E al tempo stesso ci manca la classe dirigente. Quindi, è una crisi terribile, e bisogna non perdere più tempo. Che cosa fare. Tre anni fa, a Brescia, abbiamo ricordato il Centenario di Sturzo, ne parlavamo con il professor Maddalena e con padre Sorge.

Noi abbiamo nella storia della cultura alcuni personaggi che sono contemporanei del futuro, perché hanno intuito la verità. Il segreto di essere contemporanei del futuro è dire la verità. Se uno si mette alle false notizie, alle leggende, perde tempo, sono favole che il tempo distrugge. Ad esempio, perché ‘I Promessi Sposi’ di Alessandro Manzoni non invecchiano mai? Perché è un romanzo che dice la verità.

Don Sturzo è stato un genio della politica, oltre a essere un Santo, ha avuto delle intuizioni che sono vere, e sono le intuizioni del popolarismo. Anche lui è datato, ha 100 anni, e li dimostra tutti, anche leggendo i suoi scritti, perché lui e figlio della sua epoca.

Ma le intuizioni del genio sono contemporanee, valgono sempre lo sforzo.

La mia preoccupazione è stata questa:

Prendiamo le quattro intuizioni, sempre vergini, sempre vere di Don Sturzo, e cerchiamo di rileggerle oggi. Anche perché Papa Francesco, che è un papà profeta, nella Evangelii Gaudium dedica quattro paragrafi ai quattro elementi fondamentali di una buona politica.

Quali sono le regole della buona politica?

Lui non parla dei cattolici, come Struzzo che non parlava dei cattolici, ma parlava dei liberi e forti: chiunque condivide. Allora senza saperlo, questo lo penso io, il Papa ha riletto in modo moderno le quattro intuizioni di don Sturzo.

La prima grande intuizione di Sturzo, sempre valida, la tensione etica! Lui parlava chiaramente anche di tensione trascendente, e parlava della religione cristiana. E qui permettetemi un riferimento storico interessante. Conoscete tutti il nome di Benedetto Croce, il patriarca della cultura Laica; quando si pronuncia il suo nome inchiniamo la testa; non religioso. In un suo studio che ebbi occasione di approfondire anni fa, in sintesi dice questo: “Nessun modello di società può rimanere in piedi se manca il fondamento etico”. Detto da lui che fu un intelligenza notevole, senza etica non c'è vita sociale, che è il fondamento famoso della politica. Ma poi aggiungeva: “Ma il fondamento etico non può sussistere senza il contributo della coscienza religiosa”; detto da lui che non credeva!

Altrimenti è quella che padre Sorge, io e altri, chiamiamo religione civile, che è la strumentalizzazione politica della religione, per cui bacio il crocifisso, il rosario, bacio il Vangelo. Mi raccomando al cuore immacolato di Maria, che ha detto che Trionferà, quindi la lega trionferà (ostentazione strumentale).

Quella invece era vera come intuizione, perché se manca la dimensione trascendente non sta in piedi l'etica, che è il fondamento della vita sociale.

I mezzi? I primi dodici articoli sono i dodici valori fondamentali della Costituzione. Sono il fondamento etico di ogni costruzione dell'Italia, con la sua cultura bimillenaria.  Ma questo non sta in piedi se manca una coscienza religiosa, che non deve essere la confessionalizzazione della politica; non posso usare la politica a fini religiosi, e la religione a fini politici. Il Concilio in questo è stato chiarissimo. Non dico che nemmeno la Chiesa è arrivata a tanto, perché troviamo ancora dei preti, magari anche dei cardinali, che usano la politica per fini religiosi, ed è lo stesso errore di quelli che usano la religione a fini politici per avere dei voti.

Il cammino e lungo, ma la strada sta nell'autonomia. Noi abbiamo grazie a Dio anche a livello giuridico, la revisione del concordato che è stata fatta anche alla luce del Concilio Vaticano II, che ha fatto proprie queste nuove visioni; quindi la strada è quella, ma il cammino è lungo.

La prima cosa quindi la tensione etica. Ricominciamo dai valori, dalla cultura, dalla formazione. Se uno mi dicesse, lei ha detto un fiume di parole, esiste una parola unica che riassume tutto? Esiste, e ve la lascio in ricordo: ‘formazione’.

Di fronte a una crisi strutturale di civiltà siamo tutti impreparati, uomini di cultura, uomini di politica, uomini di chiesa, perché la crisi è venuta che non ce ne siamo accorti.

Fino a pochi giorni prima della caduta del Muro di Berlino, nessuno prevedeva la caduta del muro. Nonostante che prevedessero la fine dell'Impero Sovietico, in modo lucidissimo.

Noi non abbiamo visto arrivare la crisi strutturale. Noi, abbiamo dalla parte nostra il Signore che ha indetto un concilio degli anni 60, che anticipava i problemi del ventunesimo secolo. Per me è una delle prove dell'esistenza di Dio il Concilio. Perché solo lo Spirito Santo poteva prevedere quali sarebbero state le sfide del XXI secolo.

Detto questo, formare! Tutto quello che investiremo in formazione ha futuro. Anche se poca gente viene agli incontri, io mi congratulo con gli organizzatori di questi incontri, perché in altri tempi un tema come questo avrebbe riempito i teatri, anzi, non ci stava la gente; oggi, vengono poche persone intelligenti. Ma bastano quelle per seminare. Al seme basta una persona.

Allora concludendo, ‘La seconda intuizione di Sturzo era quella della laicità’, una laicità che diventa sempre più importante. Non è più la laicità ottocentesca in cui si parlava solo di Stato e Chiesa. Esiste anche una laicità ideologica. Perché esiste un confessionalismo ideologico.

Cosa vuol dire laicità: superamento dei dogmatismi confessionali o ideologici, per poter fare insieme il bene comune.

Mi è rimasto impressa la crisi del governo Prodi, quando ha messo tutti insieme, con la maggioranza di due voti in Senato, ed erano di Rifondazione Comunista. La crisi del governo è accaduta perché i due di Rifondazione erano i più confessionali del governo. Loro han detto: la lotta di classe è un dogma, non la possiamo contraddire, piuttosto che approvare questa legge, crisi di governo. Questo è mancanza di laicità! Laicità vuol dire ricerca di quello che ci unisce, superando i propri muri. Ponti, non muri.

Il terzo principio, intuizione di Sturzo, valido ancora oggi, è il bene comune. Ci sono dei beni comuni che o raggiungiamo tutti insieme, o moriamo tutti insieme; li ho già accennati prima: tutti i problemi nuovi sono planetari nessuna nazione da solo può affrontarli.

Il quarto ed ultimo principio, il coraggio di un riformismo aperto. Qui Sturzo era feroce. Nell'ultima pagina del discorso di Caltagirone del 1905, famoso, se la prende con quei cattolici conservatori; e dice che i cattolici conservatori sono mummie, anche se son cattolici stanno bene nei musei; non sappiamo che farcene, perché la società va riformata. Bisogna avere il coraggio delle riforme; il Vangelo è rivoluzionario; si ispira a modelli di Coraggio, di Giustizia, di Amore, che sono rivoluzionari.

Allora, mettendo insieme questi valori, nasce la possibilità di superare la crisi, non in modo convenzionale, o litigando con l'Europa, o creando muri, o chiudendo porti, non è questo! Ma costruendo insieme una nuova coscienza etica basata sui valori costituzionali allargati a livello mondiale, benedicendo e vivendo la laicità di chi pure ispirandosi a valori che sono dogmatici come quelli della Fede deve mediare questi valori in leggi politiche, e la mediazione non è mai la trasposizione dei valori non negoziabili in termini di legge; impossibile!

Bene comune, e poi tutto l'entusiasmo per un rinnovamento di un mondo migliore perché il mondo non può fermarsi, la storia non si può fermare, però si può e si deve orientare! Ed è la sfida di chi vive come noi il passaggio epocale dalla civiltà industriale o moderna, in civiltà post moderna o tecnologica, in cui non abbiamo più modelli definiti e dobbiamo andare per strade nuove, ma illuminati da questi valori possiamo scegliere con professionalità. Però, mettendo insieme anche una classe politica capace di fare questi passi. Capite come è grave la nostra situazione, ma non è senza speranza. Ecco, creare una nuova classe politica, questo è il nostro ruolo, il nostro compito.  Grazie, Roberto.

 

Per le cose immediate da fare basta riprendere le ultime mie conferenze.

 

Padri fondatori dell'Unione europea sono considerati il francese Jean Monnet, il franco- tedesco Robert Schuman, gli italiani Altiero Spinelli e Alcide De Gasperi, il belga Paul-Henri Spaak, il tedesco Konrad Adenauer. 

 

Non c’è più tempo da perdere

 

Le riflessioni degli amici Fioroni e D’Ubaldo su Il Domani d’Italia di oggi (  Il PD fa passi indietro: tempi nuovi per i Popolari?) e quella di Giorgio Merlo ( Cambio di scena: destra sinistra e centro….non più tabù) confermano le difficoltà/impossibilità di continuare l’esperienza politica in un PD sempre più orientato a ricomporsi nella sua unità originaria della sinistra italiana. Anche a destra, come scrive Giorgio Merlo, la presidente Meloni tenta “di interpretare con eleganza e diligenza, la destra politica, culturale e sociale italiana”.

Contrariamente a quanto alcuni amici democratico cristiani hanno deciso, nel recente ufficio politico di quel partito, ossia di scendere in campo anche nelle prossime elezioni regionali del Lazio e della Lombardia a sostegno delle candidature di destra, appartengo a quel gruppo di “ DC non pentiti” convinti che la fedeltà alla nostra migliore tradizione storico politica, ci imponga di concorrere alla ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale. Una ricomposizione dell’area popolare, premessa indispensabile per favorire la nascita del centro nuovo della politica italiana, ampio e plurale: democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, atlantista, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, alternativo alla destra nazionalista e populista, distinto e distante dalla sinistra alla ricerca della propria identità.

Un centro aperto alla collaborazione con quanti intendono difendere e attuare integralmente la Costituzione repubblicana. E’ quanto con gli amici della Federazione Popolare DC ci siamo proposti alcuni anni fa e che, adesso, potrebbe essere concretamente sperimentato con gli amici Popolari già partecipi dell’esperienza nel PD.

Uniti sui valori fondanti della dottrina sociale cristiana e sulla fedeltà alla Costituzione repubblicana, dovremmo impegnarci tutti insieme per un progetto indispensabile al rafforzamento del sistema democratico del nostro Paese.

A Venezia siamo interessati a favorire l’avvio di un centro civico popolare di partecipazione democratica, nel quale aprire finalmente, dopo anni di silenzi e di divisioni nella diaspora post democristiana ( 1993-2023), il dialogo tra i diversi movimenti, associazioni, gruppi e persone appartenenti alla vasta area politico culturale popolare.

Se anche dal centro nazionale tale progetto fosse favorito, con l’obiettivo di preparare un’assemblea costituente nella quale definire la proposta politico programmatica di area popolare e scegliere la nuova classe dirigente, credo che sarebbe oltremodo utile e opportuno.

Lasciamo alle foglie caduche d’autunno di quanti sono interessati, pur di sopravvivere, al ruolo di ascari reggicoda della destra o della sinistra, di sottrarsi a questo impegno. Crediamo, invece, che spetti ancora ai “liberi e forti italiani del XXI secolo”, raccogliere il testimone della migliore tradizione sturziana e degasperiana, per offrire una nuova speranza a un Paese in grave crisi culturale, economica e sociale, e una sponda sicura per il sistema democratico italiano. 

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 27 Gennaio 2023

 


Alcune  proposte di riforma per il Paese

 

Da Sindaco DC di un paese altopolesano, agli inizi degli anni’70, profilandosi i decreti Stammati, che avrebbero introdotto il finanziamento diretto dello Stato agli enti locali sulla base della spesa storica, essendo aperto un forte dibattito tra gli amministratori DC, in maggioranza in quasi tutti i comuni del Veneto,  decisi di chiamare i capifamiglia del mio paese in Comune per verificare le situazioni reali economico patrimoniali di ciascuno. Realizzai la più importante e analitica revisione dell’imposta di famiglia, ultimo strumento nelle mani degli enti locali, grazie alla quale negli anni successivi il mio comune poté contare sul finanziamento statale correlato all’ultima entrata che da quel censimento era stato fatta, con piena adesione, seppur con qualche mugugno, dei cittadini.

L'introduzione del welfare state alla fine degli anni '60, che è stata una delle grandi conquiste della DC e del centro-sinistra, si è accompagnata alla riforma fiscale del 1974 voluta dall'allora ministro Visentini, con le conseguenze che derivarono da quella scelta da lui fortemente perseguita e attuata: la scissione tra il momento dell’autonomia ed il momento delle responsabilità, ossia il venir meno di uno dei capisaldi fondamentali di tutto l'insegnamento sturziano, con l'instaurarsi di una pericolosissima prassi fondata su un unico sportello centralizzato delle entrate ed oltre 30.000 sportelli incontrollati ed incontrollabili della spesa, con le conseguenze ben note sul piano del deficit pubblico. Da un punto di vista strutturale, con la trattenuta fiscale alla fonte dei redditi da lavoro dipendente (con i datori di lavoro, pubblici e privati, in funzione di esattori fiscali per conto dello Stato) si realizzava una condizione assurda e iniqua, per cui il peso prevalente del welfare state veniva pressoché totalmente sostenuto dalle categorie a reddito di lavoro accertabile, mentre largo spazio alla accumulazione veniva lasciato ai detentori di capitali finanziari destinati a sostenere con l'acquisto dei titoli il debito pubblico e, dunque, con un sistema vizioso in cui si drenano i capitali dai redditi di lavoro e di impresa e si pompano gli interessi del debito pubblico che, nel 2022, a fine Dicembre, ha raggiunto la cifra enorme di circa 2750 miliardi di €.

Estensione progressiva del welfare state ed enorme sperequazione a livello fiscale in cui evasione, erosione ed elusione lasciano pressoché fuori controllo oltre un terzo del reddito nazionale prodotto: sono queste le situazioni da cui partire per impostare seriamente un programma di risanamento e di rilancio della nostra economia. Dobbiamo tornare a Sturzo, se vogliamo conservare intatti i caratteri di un partito popolare, ma ciò significa: da un lato ricomporre la frattura tra il momento dell'autonomia e quello delle responsabilità e, dunque, ri-attribuire una concreta capacità impositiva agli enti locali che dovranno concorrere con lo Stato, sin dal momento dell'accertamento, alla determinazione della politica delle entrate, insieme all'assunzione in presa diretta delle responsabilità nella politica delle uscite; dall'altro a por mano, senza più rinvii ed esitazioni, ad una rigorosa riforma fiscale che annulli le attuali insopportabili ingiustizie e sperequazioni. Due grandi obiettivi,dunque, politico programmatici: la riforma della finanza nazionale e locale e la riforma fiscale.

E’ evidente, infatti, come mi scrive l’amico On. Bruno Tabacci, che “ con un 20 per cento di Pil nero e un 6-7 per cento di malavitoso un Paese non regge, perché produce troppe distorsioni e disuguaglianze”. E non regge nemmeno un Paese in cui il terzo stato produttivo sostiene il sistema a favore della “casta”, dei “diversamente tutelati” e del “quarto non Stato”, di cui da tempo scrivo con la mia teoria euristica dei quattro stati, in cui suddivido, “ ai fini del ragionamento”, la società italiana. Non possiamo più continuare con un sistema nel quale larga parte dello  scambio di beni e servizi si regge sul dilemma: con o senza fattura? Si tratta, come l’amico Tabacci sostiene da molti anni, di introdurre il conflitto di interesse tra le due parti, autorizzando la possibilità di produrre nella dichiarazione dei redditi i titoli certficati delle spese effettuate per una serie di beni e servizi ammessi, eliminando così l’interesse reciproco delle parti a sottrarre il dovuto fiscale allo Stato e alle sue necessità.

Serve una nuova politica economica e un ripensamento organico della costruzione europea giunta a un punto morto inferiore e che, distrutta la sovranità popolare nazionale, non ha saputo garantirla a un livello più elevato e partecipato, quello europeo. Di fatto abbiamo costruito un ircocervo iper-burocratico che ci ha spogliato del potere fondamentale sulla moneta senza offrirci contropartite adeguate, che non siano i gravi costi sociali conseguenti alle politiche del rigore basate sulle illegittime prescrizioni dei fiscal compact (denunciate a suo tempo dal prof Guarino) e del pareggio di bilancio vigilate a BXL con una Banca centrale priva del potere di emissione della moneta proprio di ogni istituto con quelle competenze e funzioni.

In Italia, poi, servirà una tosatura a zero della spesa pubblica: dalle 20 Regioni e società derivate si potrebbe/dovrebbe passare a 5-6 macroregioni con competenze esclusivamente legislative di programmazione e controllo, con totale dismissione di tutte le partecipate et similia; un’analoga tosatura nelle spese dello Stato a livello ministeriale e negli enti derivati. Idem ai livelli territoriali regionali e locali.

Se le caste economiche, politiche e burocratiche tenteranno ancora una volta di opporsi, insieme ai nodi scorsoi impostoci dalle assurde e illegittime norme europee ( Guarino docet) e dai poteri finanziari internazionali che hanno sovvertito il NOMA ( Non Overlapping Magisteria)  stabilendo il primato della finanza sull’ economia e la politica ridotte a ruoli ancillari, stavolta non sarà la ghigliottina, ma una  nuova “ assemblea della pallacorda”   destinata a compiere una rivoluzione politico istituzionale levatrice della nuova repubblica o una drammatica rottura di tipo autoritario. Per adesso la sfiducia e la delusione degli elettori sono state raccolte dalla destra a guida di Fratelli d’Italia, con una maggioranza ibrida che, io credo difficilmente saprà e/o vorrà affrontare questi nodi gordiani dal caso italiano.

Spero di sbagliarmi, ma naso-metricamente non vedo orizzonti diversi. Di questo, credo, invece, che noi DC e Popolari dovremo seriamente discutere, dai comitati civico popolari territoriali all’assemblea costituente del nuovo partito di centro, da organizzarsi quanto prima per il bene dell’Italia.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 21 Gennaio 2023

 

 

 

 

 


Fratelli d’Italia non è la nuova  DC

 

Con sondaggi che danno il partito di Giorgia Meloni oltre il 30%, qualche amico, anche tra coloro che si dichiarano “Popolari” di questa o quella regione d’Italia e che hanno, verosimilmente, votato per FdI, si illudono di aver trovato la loro nuova DC.

Il recente incontro romano con il leader tedesco del PPE, Weber, ha favorito tale convincimento. Stessa illusione già patita al tempo in cui Berlusconi, sollecitato da Sandro Fontana e da Don Gianni Baget Bozzo, decise di portare Forza Italia ad aderire al PPE, diventando il principale partito “moderato” italiano presente nel Partito Popolare Europeo. In realtà, strada ben diversa fu fatta nelle varie realtà regionali, a cominciare dal Veneto, dove i leader di Forza Italia, liberali e/o socialisti, iniziarono una sistematica battaglia contro i vecchi DC. Anche nella destra nazionalista e sovranista a guida meloniana, chi sta assumendo un ruolo dominante, non sono certo i supporters esterni ex DC, come Cesa e Rotondi, tranne l’ex governatore pugliese, Fitto da tempo del partito dei conservatori europei, ma il cognato “del Presidente”: l’On Lollobrigida, deus ex machina di tutto ciò che oggi ruota attorno alle nomine del potere governativo.

Nella nostra secolare storia ci sono sempre state correnti e movimenti di pensiero e di azione conservatori, fin dall’Opera dei Congressi. Basterà ricordare il ruolo svolto dalla destra clericale e filo fascista dei Cavazzoni e Tovini, al tempo di Sturzo del congresso di Torino del 1923.

Certo, se una parte non indifferente di ex DC nelle ultime elezioni politiche ha scelto di votare a destra, qualche autocritica seria dovremo pur farla, specie noi che, dal 1993 e nella lunga stagione della diaspora DC, abbiamo tentato, sin qui senza successo, di batterci per la ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale.

L’assenza di un’alternativa credibile al centro della politica italiana, ispirata dai valori della dottrina sociale cristiana e dalla fedeltà ai principi costituzionali, ha favorito, da un lato, la grande astensione dal voto ( quasi il 50% degli elettori) e, dall’altro, stante l’assenza di una reale e credibile alternativa a sinistra, dopo una lunga stagione di governo largamente insufficiente della stessa, la maggioranza relativa alla coalizione di destra centro, e al ruolo dominante del partito della Meloni.

Se, come ho scritto nelle mie ultime note, non si riesce a mettere in moto la macchina a tra le diverse realtà di area in sede nazionale, è indispensabile partire dalla base, come ha anche scritto Armando Dicone su “Il domani d’Italia” il 13 gennaio, nella quale vanno promossi comitati civico popolari di partecipazione democratica tra le diverse realtà presenti di area cattolico democratica e cristiano sociale. Non si tratta, come ben ha scritto Dicone, di costruire l’unità politica dei cattolici ( mai esistita, nemmeno al tempo della DC storica), ma di favorire quella “ dei Popolari di centro”.

Essenziale sarà chiarirci tra di noi sul caso di Fratelli d’Italia. Questo partito non è e non potrà mai essere una nuova DC, dato che le sue radici etico culturali e politico organizzative sono distanti anni luce dalla nostra storia e tradizione etica, culturale, sociale e politica. I riferimenti culturali dell’On Meloni, per quanto si è potuto sin qui comprendere, dalle sue dichiarazioni pubbliche o dalla lettura del suo libro autobiografico: “Io sono Giorgia. Le mie radici, le mie idee”, non sono, né potranno mai essere le nostre.  Difficile, se non impossibile, trovare elementi di omogeneità culturali tra chi si considera erede della tradizione sturziana e degasperiana, con una leader che a Julus Evola , così caro alla cultura neofascista almirantiana e missina, ha deciso di scegliere  Roger Scruton, filosofo conservatore morto nel 2020 o lo scrittore della “Filosofia infinita”, Micheal Ende, inventore del protagonista, il piccolo Atreju,  nel riferimento al quale, Fratelli d’Italia ogni anno organizza il suo incontro di approfondimento formativo. Gli eredi della Democrazia Cristiana, lontani da queste ideologie, hanno come riferimenti essenziali, gli orientamenti pastorali della dottrina sociale cristiana, dalla Rerum novarum alle ultime encicliche sociali di Papa Francesco: Laudato SI e Fratelli Tutti e i principi di solidarietà e sussidiarietà scritti dai nostri padri fondatori nella Costituzione repubblicana. Il nostro vero compito è e sarà proprio quello di tradurre nella città dell’uomo quei principi, adattandoli alle esigenze di questo difficilissimo tempo della globalizzazione dominante. Dobbiamo rifuggire da ogni facile tentazione di ridurci al ruolo di ruota di scorta della destra o della sinistra italiana, ma, semmai, impegnarci, a partire dalle nostre realtà locali, a favorire la ricomposizione al centro della nostra area cattolico democratica e cristiano sociale. Il tempo della diaspora e della nostra Demodissea finirà, se ciascuno di noi si farà portatore di questa necessità e sostenitore di questo impegno.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 14 Gennaio 2023

 

 

 

  1. Non è più tempo di attesa

     

    Non possiamo continuare a restare fermi in attesa di Godot, il surplace non può essere la condizione dei cattolici nella politica italiana. I Popolari della Margherita, tranne alcuni ultimi ancora fiduciosi, hanno già preso atto del fallimento del progetto aperto al Lingotto da Veltroni nel 2007 e dell’irrimediabile deriva a sinistra di quel partito.

    Anche a destra, dopo l’illusione del risultato “specialissimo” della nuova DC di Cuffaro in Sicilia, a molti di noi “ DC non pentiti” appare suicida l’ipotesi di alleanze a destra col solo obiettivo di far sopravvivere nel galleggiamento qualche esponente politico.

    Cosa si aspetta a favorire l’avvio di liste di area popolare, tanto nelle prossime elezioni regionali di Lombardia e Lazio che in quelle  locali della prossima primavera e, in prospettiva, per le europee del 2024?

    Se Maometto non va alla montagna, la montagna andrà a Maometto. Se capi e capetti delle diverse casematte di area DC e popolare in sede romana non sono in grado di avviare un dialogo e un confronto tra di loro,  dobbiamo far partire dalla base l’iniziativa politica.

    Nelle diverse realtà territoriali locali esistono partiti, movimenti, associazioni e gruppi di area cattolico democratica e cristiano sociale che potrebbero incontrarsi e formare dei comitati di partecipazione democratica e popolare, strumenti indispensabili per definire le priorità politiche e programmatiche a livello glocale e selezionare una nuova classe dirigente indispensabile a rappresentare la nostra cultura politica a livello elettorale.

    Certo, un’iniziativa che fosse promossa da Roma potrebbe favorire il progetto, ma, permanendo questa condizione di stallo e di incomunicabilità, è dalla base che deve partire lo stesso. Favoriti dal sistema elettorale proporzionale con preferenze in tutte le prossime elezioni citate, non ci sono più alibi, se non l’egoistica ambizione di qualche solito noto, per contrastare la formazione di liste unitarie di area popolare.

    E’ tempo di superare la divisione tra cattolici della morale e cattolici del sociale per ritrovare insieme le ragioni di condivisione dei fondamentali della dottrina sociale cristiana che resta, con la fedeltà alla Costituzione, la base della nostra comune ispirazione etica, politica e culturale. Il popolarismo sturziano e la lezione degasperiana e della storia migliore della DC sono i nostri riferimenti storico politici, da interpretare alla luce delle esigenze nuove presenti nella nostra società, squassata da disuguaglianze incompatibili con le priorità indicate dai principi di solidarietà e sussidiarietà proprie della nostra cultura.

    Non mancano iniziative impegnate nel progetto di ricomposizione politica della nostra area cattolico democratica e cristiano sociale. Cito, tra le più rilevanti, quelle di area popolare promosse dagli amici Merlo e Sanza, della Federazione popolare dei DC di Gargani, Tassone, Gemelli, Eufemi; il movimento partito di Insieme di Giancarlo Infante e Ivo Tarolli;  il costante tentativo di mantenere viva la storia e cultura politica della DC di Grassi e tanti altri amici. 

    Esistono a livello di base tante altre realtà associative che andrebbero sollecitate ad assumere azioni positive e di coordinamento culturale. Molto importante è anche il ruolo svolto dalle testate giornalistiche e on line della DC ( www.democraziactistiana.cloud), del domani d’Italia (www.ildomaniditalia.eu), di Politica Insieme (www.politicainsieme.com), cui si è aggiunta da qualche settimana la riedizione della gloriosa testata sturziana del L’Idea popolare( www.lideapopolare.it) . Sono luoghi di confronto e di riflessione che possono favorire il dialogo e lo stesso processo di ricomposizione politica di cui il Paese ha necessità.

    Premessa indispensabile sarà quella di avviare una seria iniziativa per una legge popolare per il ritorno alla proporzionale con preferenze, conditio sine qua non, se si intende costruire il centro nuovo della politica italiana, alternativo alla destra nazionalista e populista e distinto e distante dalla sinistra alla ricerca affannosa della propria identità. In parallelo, si dovrebbe ricostituire il vittorioso comitato dei Popolari per il NO alla deforma costituzionale, a suo tempo avviato con l’amico Gargani, al fine di contrastare le derive presidenzialistiche annunciate da una destra nazionalista e sovranista. Dalla base emergeranno i cahiers de doléance, sulla base dei quali il nuovo centro democratico popolare definirà il programma per l’Italia del 2023, secondo una logica glocale, indispensabile nell’età della globalizzazione. In alternativa a una destra di governo, che sta mostrando tutti i suoi limiti e contraddizioni e di una sinistra incapace di ridefinire il suo ruolo, è indispensabile, come nei momenti migliori della storia nazionale, che salga dalla vasta e articolata realtà del mondo cattolico, una nuova speranza per la società italiana.

     

    Ettore Bonalberti

    Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti- www.alefpopolaritaliani.it)

    Venezia, 10 Gennaio 2023

     

     

  2. Un gradito ritorno premessa di un rinnovato impegno

     

    Il ritorno della gloriosa testata sturziana “ L’Idea Popolare” rappresenta un’opportunità di cui approfittare, per riprendere con entusiasmo  il progetto della ricomposizione culturale e politica dei cattolici democratici e cristiano sociali, ossia di coloro che, con diverse sensibilità, appartengono alla tradizione migliore del popolarismo sturziano.

    Dopo la lunga stagione che, nel mio saggio del 2021 ho definito la “ Demodissea” democristiana, ossia quella vissuta nel periodo doloroso della diaspora DC ( 1993-2020), con le numerose “casematte DC” che si combattono l’eredità legittima del partito storico di De Gasperi, Fanfani, Moro, Zaccagnini, De Mita, Forlani e Martinazzoli e con il governo del Paese passato nelle mani della destra a prevalente conduzione del partito nazionalista e sovranista di Fratelli d’Italia, credo sia indispensabile tornare ad approfondire i nostri fondamentali; quelli che derivano da quanto seppe indicare ai “Liberi e Forti” del suo tempo, don Luigi Sturzo.

    Il Popolarismo come antidoto e alternativa al populismo: questo dovrebbe essere il tema dominante del nostro impegno politico, così come ci ha indicato magistralmente Papa Francesco che, nel videomessaggio in spagnolo inviato, in occasione dell’apertura dei lavori, ai partecipanti alla Conferenza Internazionale “A Politics Rooted in the People” organizzata nell’aprile 2021, dal Centre for Theology & Community, ha affermato: La vera risposta all’ascesa del populismo non è più individualismo, ma il contrario: una politica di fraternità, radicata nella vita del popolo”. “Popolarismo”: così Francesco definisce l’antidoto al populismo, per dar vita ad una “politica con la maiuscola”, ad una “politica come servizio, che apra nuovi cammini affinché il popolo si organizzi e si esprima”. Si tratta, specifica il Papa, di “una politica non solo per il popolo, ma con il popolo, radicata nelle sue comunità e nei suoi valori”.

    E’ questa la premessa da cui partire, insieme a quanto il compianto maestro e amico Carlo Donat Cattin scrisse celebrando l’anniversario del 18 Gennaio 1919, data di fondazione del Partito Popolare, con l’appello ai Liberi e Forti: Noi non siamo marxisti ne’ siamo liberali. Siamo cresciuti dal solco tracciato per faticosi decenni nella gleba dell’Italia contadina, tra le minoranze cattoliche dei quartieri operai e degli opifici di vallata della prima e della seconda industrializzazione, nel popolo minuto dedito all’artigianato e al commercio, nella schiera interminabile di educatori, intellettuali, uomini di pensiero, nella più stretta schiera di imprenditori, di scienziati, di ricercatori chiamati alla vita sociale dalla ispirazione cristiana. Siamo popolo nell’accezione sociologica, chiamato alla politica secondo una spinta partita dalla base del mondo cattolico, alla conquista di una dimensione laica. E siamo i continuatori della tradizione politica del popolarismo.” Ecco perché siamo impegnati come “DC non pentiti” nel progetto di ricomposizione dell’area popolare, per concorrere a costruire il soggetto politico nuovo di centro, democratico, popolare, riformista, europeista, alternativo alla sinistra e alla destra sovranista e populista, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori DC: De Gasperi, Adenauer, Monnet e Schuman.

    Un progetto di ampio respiro che deve partire dalla base, dato che i diversi tentativi sin qui esperiti, si sono esauriti nella misera affermazione di questo o quel leader che, a destra come a sinistra, alla fine, ha dovuto sperimentare il vecchio aforisma applicato ai cosiddetti esponenti della “sinistra indipendente” del PCI: è sempre il cane che muove la coda.

    Serve uno scatto di orgoglio e il desiderio di autentica autonomia dalla destra e dalla sinistra, convinti che, come in tutta la storia dei cattolici democratici e cristiano sociali, la nostra collocazione deve rimanere al centro, nel quale intendiamo apportare i principi e i valori della dottrina sociale cristiana così come si è sviluppata: dalla Rerum Novarum alle due ultime di Papa Francesco, Fratelli tutti e Laudato SI, unitamente alla fedeltà al dettato costituzionale. Quei principi e quelle regole che i padri costituenti democratico cristiano seppero tradurre in maniera encomiabile nella Carta fondamentale della Repubblica.

    Certo per poter occupare la posizione centrale nella politica italiana forti dei nostri valori, dovrà essere superato il sistema elettorale di tipo maggioritario che, dal mattarellum all’attuale rosatellum, ha favorito il mantenimento di un bipolarismo forzato. Un bipolarismo che, con la vittoria del partito di Giorgia Meloni, è di fatto anch’esso superato, dato che al dualismo classico del centro destra e centro sinistra è subentrato quello assai più asfittico tra una destra estrema e una sinistra confusa alla ricerca della propria identità. Non abbiamo la forza nella rappresentanza parlamentare per tornare alla legge elettorale proporzionale con le preferenze, ma possiamo attivarci per una legge di iniziativa popolare per questo obiettivo. Potrebbe essere un primo banco di prova necessario per verificare il grado di compatibilità tra le diverse realtà partitiche, associative, di movimenti e gruppi della vasta e articolata area cattolica e popolare. Insieme a questa decisiva iniziativa politica, dovremmo far partire dalla base, nei diversi territori regionali, provinciali e comunali, dei comitati di partecipazione tra le diverse realtà presenti che si riconoscono nei principi e nei valori popolari. Comitati di partecipazione democratica, nei quali emergeranno i bisogni reali dei cittadini e si selezionerà con metodo democratico la nuova classe dirigente ai diversi livelli territoriali. Un’assemblea costituente nazionale sarà la tappa finale di questo progetto-processo, nella quale definiremo il nostro progetto popolare per il Paese, conforme ai nostri principi e tale da superare la dicotomia tra cattolici della morale e cattolici del sociale che ha, soprattutto nella fase della diaspora, accentuata la nostra divisione. Un progetto-processo ambizioso per il quale servirà la disponibilità di tutti gli uomini di buona volontà, liberi e forti del nostro tempo, insieme alla generosità di coloro che hanno sin qui frenato o reso difficile questo percorso.

    Noi esponenti della quarta e ultima generazione della DC storica dovremo semplicemente accompagnare il progetto, nella convinzione che spetterà a una nuova generazione di cattolici democratici e cristiano sociali assumerne la guida, ai quali dovremo solo favorire la consegna del testimone della nostra migliore tradizione politica.

     

    Ettore Bonalberti

    Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti- www.alefpopolaritaliani.it)

    Venezia, 31 Dicembre 2022

     

     


 

Alle prossime elezioni regionali e locali, liste unitarie di area popolare

 

Se la situazione interna al PD, alla vigilia del loro congresso nazionale, è alquanto complessa, assai più ardua è quella della vasta e articolata area cattolico democratica e cristiano sociale. La diaspora democratico cristiana, che in un mio saggio dell’anno scorso ho connotato come la nostra “Demodissea”, nonostante i numerosi tentativi di superamento, non è ancora risolta.

A sinistra, dopo l’assemblea dei Popolari convocata da Pierluigi Castagnetti, è emersa con nettezza la difficoltà degli ex DC all’interno di un partito in cui, come ha ben descritto Giorgio Merlo nel suo ultimo articolo su Il Domani d’Italia, le due candidature principali alla segreteria, quelle di Bonaccini e della Schlein, sono entrambe collegate alla tradizione del PCI-PDS-DS e il ruolo dei cattolici democratici emarginato e subalterno. Si attendono sviluppi, nella speranza che non prevalgano gli aggiustamenti degli interessi “ particulari” dei soliti noti.

Nell’area democratico cristiana, accanto all’interessante e aperta relazione dell’On Mario Tassone all’assemblea del NCDU, con cui si è riproposta la visione di un partito aperto al superamento della sua stessa realtà organizzativa per concorrere alla formazione di un centro politico nuovo alternativo alla destra sovranista e nazionalista, distinto e distante dalla sinistra alla ricerca della propria identità, disponibile a collaborare con quanti intendono difendere e attuare la Costituzione repubblicana, si sono confermate alcune pesanti criticità.

Dopo quell’assemblea, infatti, l’amico Tassone mi ha inviato copia della lettera ricevuta dell’On Gianfranco Rotondi con cui, quello che consideravo “ il miglior fico del bigoncio”, dopo il tentativo a andato a vuoto dei Verdi Popolari, propone la riunificazione dei DC a sostegno della maggioranza di destra dell’On Giorgia Meloni e del suo partito Fratelli d’Italia.

Ho scritto a Tassone che, se il buon giorno si vede dal mattino, la proposta di Rotondi, per quanto mi riguarda, è assolutamente inaccettabile, poiché lontana mille miglia dalla nostra migliore tradizione culturale e politica da Sturzo a De Gasperi, da Fanfani a Moro sino a Zaccagnini, De Mita e Forlani. Da parte mia propongo ciò che da molto tempo vado scrivendo, ossia che, prima, dovremmo ricomporre politicamente la nostra area dei cattolici democratici e cristiano sociali sulla base dei comuni valori ispirati dalla dottrina sociale cristiana e dalla fedeltà alla Costituzione, condividendo un programma credibile per il Paese e dopo, solo dopo, porci il tema delle alleanze, che non potrà che svolgersi con chi intende difendere e attuare integralmente la Costituzione, Non certo con chi, come ha anche ben denunciato Tassone nella sua relazione, si propone di introdurre ipotesi di repubblica presidenziale o semi presidenziale, che snaturerebbero l'equilibrio delicatissimo della carta fondamentale dei padri fondatori. Molto interessante, invece, a mio parere, è quanto si sta svolgendo nel dibattito interno al movimento-partito di Insieme, guidato da Giancarlo Infante, dove si ritrovano molti degli elementi  in grado di favorire il processo di ricomposizione politica della nostra area. Abbiamo due scadenze a breve che si potrebbero utilizzare per una prima prova di unità dell’area popolare, partendo proprio dalle indicazioni provenienti dalle realtà territoriali interessate. Perché alle prossime elezioni regionali del Lazio e della Lombardia e in quelle amministrative locali del prossimo anno, non tentiamo di organizzare liste unitarie dell’area popolare? In queste elezioni, come in quella per il rinnovo del parlamento europeo del 2024, sarà vigente la legge elettorale proporzionale con le preferenze, quindi, nessun alibi per scelte di convenienza in coalizioni di destra o di sinistra con candidature garantite. Saranno gli amici delle diverse realtà di area cattolico democratica e cristiano sociali presenti nei territori interessati a indicare i nostri candidati, unica modalità per garantire l’emergere di quella nuova classe dirigente di cui tutti parliamo e senza la quale la nostra “demodissea” non avrà mai fine. Comitati promotori locali e regionali della Federazione di area popolare saranno gli strumenti indispensabili per questa costruzione dalla base del soggetto politico nuovo di centro, di cui la politica italiana ha bisogno, se si intende superare un bipolarismo forzato tra destra e sinistra sin qui favorito anche da un sistema elettorale che dal mattarellum in poi, ha concorso alla distruzione del centro.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 22 Dicembre 2022

 


Ci vogliamo provare?

 

Sono molti anni che ci dividiamo sul tema delle alleanze, sulla scelta, cioè, del “con chi collegarci”, piuttosto che con il “che cosa e come realizzare” un nostro autonomo progetto politico. A destra, qualche amico, sulla scia della predicazione del “miglior fico del bigoncio”, l’On Rotondi, si sta convincendo che quello di Sora Giorgia sia la nuova DC 2.0. Un ossimoro insensato, o, nel caso di Rotondi, un “ whisful thinking”,  una velleitaria illusione, che contrasta con ciò che tutti insieme abbiamo vissuto: dalla DC di De Gasperi e Fanfani, a quella di Moro e De Mita, sino all’ultima fase delle segreterie di Forlani e Martinazzoli.

A sinistra, coloro  che concorsero a dar vita alla Margherita e alla formazione del PD a vocazione maggioritaria, o se ne sono già andati da quel partito, o stanno realisticamente prendendo atto dell’antico aforisma donat-cattiniano, secondo cui: a sinistra è sempre il cane che muove che coda. Un aforisma che, come già accadde in Forza Italia, a maggior ragione, si confermerebbe anche nella destra a egemonia meloniana.

E’ tragicomico che tra gli eredi di coloro che attivarono contro la DC la battaglia della “questione morale”, stiano emergendo alcune figure del PD, responsabili della più sconvolgente monnezza della storia politica dell’Unione europea; un’autentica cloaca maxima dell’indecenza corruttiva senza analoghi precedenti. E, intanto, al centro, sopravvivono vecchie e gloriose sigle e minuscole casematte, espressione di nobili testimonianze politiche, ma impotenti, da separati in casa, a svolgere un ruolo politico istituzionale efficace ed efficiente nella politica italiana.

Proprio per superare la vecchia dicotomia destra e sinistra, avevamo valutato con simpatia la formazione del Terzo Polo, dove, però, permane l’idiosincrasia DC di Calenda, neo “azionista de noantri, incapace, almeno sin qui, di superare il limite di una concezione laicista radicale collegata a quella deriva anti cattolica che ha sottratto allo stesso PD il consenso di molti ex DC. Auguriamoci che Matteo Renzi lo faccia riflettere, anche se, molto dipende anche da noi.

E’ evidente, infatti, che rimanendo ciascuno rinserrato nella propria casamatta, faremmo tutti la fine della “kupamandica” ( la ranocchia che aveva una “visione del mondo”, il suo mondo, ma era ovviamente circoscritta a quel piccolo pozzo in cui viveva isolata. Se fosse prevalsa la visione della kupamandika, senza i necessari scambi interculturali, avremmo avuto  una diversa e assai più limitata storia scientifica, economica e culturale dell’umanità), non costituendo un momento di interesse e di attrazione politica né per i nostri potenziali sostenitori né per i possibili nostri alleati.

Ecco perché dovremmo tutti impegnarci a superare le nostre antiche appartenenze e sforzarci di ricomporre l’unità politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale. Abbiamo alcune scadenze elettorali importanti davanti a noi: le elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia, alle quali seguiranno altre elezioni in sedi locali e, più in là, le elezioni europee. Tutte scadenze regolate da leggi elettorali di tipo proporzionale, che, come tali, non ci sottopongono all’obbligo dell’apparentamento a destra o a sinistra. Nei prossimi giorni si riunirà l’assemblea generale del NCDU guidato da Mario Tassone e nel merito, credo che dovrebbe essere indicata una coerente prospettiva di unità. Preso atto che il grande sforzo compiuto dall’amico Gargani con la Federazione Popolare dei DC, non ha potuto sin qui decollare, sia per il disimpegno di Cesa ( UDC) e di Rotondi ( Verdi Popolari) che per  lo scarso interesse dimostrato dallo stesso Grassi ( DC), sono convinto che si debba superare lo schema top down ( dall’alto in basso) rivelatosi sin qui strumentale solo alle egoistiche aspirazioni di alcuni, attivando, invece, processi di tipo bottom up ( dal basso verso l’alto); ossia organizzando l’unità delle varie componenti cattolico democratiche e cristiano sociali presenti nei diversi territori. Costruire in ogni provincia e regione dei comitati promotori provinciali e regionali della Federazione nazionale dei Popolari uniti, sarebbe anche il mezzo per far emergere una nuova classe dirigente sugli interessi e motivazioni reali della base. Compito della nostra quarta e ultima generazione della DC storica dovrebbe essere, infine, solo quello della consegna del nostro miglior testimone politico alle nuove generazioni. Credo che ci si dovrebbe impegnare per la ricomposizione dell’area popolare, uniti nella fedeltà ai valori della dottrina sociale cristiana e a quelli della Costituzione repubblicana. Non dovremo proporre troppe e confuse idee di programma, ma limitarci a chiedere, sul piano istituzionale: il ritorno alla legge elettorale proporzionale e l’applicazione in tutti i partiti dell’art.49 della Costituzione. Sul piano economico finanziario, l’elementare necessaria pre condizione per qualsivoglia reale politica riformatrice: il controllo pubblico effettivo di Banca d’Italia e il ritorno alle legge bancaria del 1936, col ripristino della separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria. Le alleanze verranno dopo, aperti a collaborare con chi insieme a noi intende difendere e attuare integralmente la Costituzione. Ci vogliamo provare?

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( www.alefpopolaritaliani.it)

Venezia, 15 Dicembre 2022

 

 

 


 

A proposito di autonomia di Banca d’Italia

 

Ogni volta che si apre una discussione sul ruolo di Banca d’Italia, com’è accaduto anche nei giorni scorsi, dopo l’audizione parlamentare del dr Balassone sulla manovra economica 2023-2025 e le polemiche successive sulle osservazioni fatte alla bozza del bilancio predisposta dal governo, immediatamente scattano i difensori dell’autonomia della banca centrale, quale organo di garanzia per il sistema Paese.

Una domanda, da qualche tempo, a me sorge spontanea: é proprio reale questa “ autonomia” conclamata e strenuamente difesa dai più importanti esponenti delle istituzioni pubbliche? In diverse occasioni ho ricordato l’interrogazione parlamentare rivolta all’allora ministro dell’economia e finanze, dagli Onn. Alessio Villarosa, Alberti, Pesco, Sibilia e Ruocco ( interrogazione a risposta immediata in commissione n.5/10709-testo di Mercoledì 1 Marzo 2017, seduta n.751 ) con la quale si chiedeva il ruolo svolto dagli hedge funds internazionali nel controllo del capitale flottante delle banche detentrici del controllo di Banca d’Italia. Ruolo esercitato attraverso la delega a un’unica persona fisica di un noto studio milanese di avvocati La risposta, con lettera scritta del Ministero dell’economia e delle Finanze-Ufficio del coordinamento Legislativo-Economia- Q.T.453 del 2 Marzo 2017, confermava quanto indicato dagli interroganti, ossia che Banca d’Italia è di fatto sotto il controllo di questi fondi speculativi che, quindi, possono agire secondo i propri diretti interessi. Difficile mantenere l’autonomia, se il controllo del capitale flottante è nelle mani di questi poteri finanziari con sedi legali extra UE. Di qui la necessità, come scrissi nella nota del 21 ottobre scorso ( Fare chiarezza) di tornare al controllo pubblico reale di Banca d’Italia e alla legge bancaria del 1936, che prevedeva la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria.

A corollario di tale indicazione, che il governo attuale potrebbe facilmente realizzare con legge ordinaria, proponevo le seguenti scelte di politica economica e finanziaria, se si intende perseguire realmente una volontà riformatrice come quella annunciata dal ministro Nordio per la riforma della Giustizia:

1. Obbligo di cessione al Tesoro dello Stato italiano da parte di Telecom Italia Sparkle

della proprietà dei cavi sottomarini, necessari alla comunicazione intranet dei movimenti

elettronici del denaro nel sistema bancario italiano (=abolizione della L.58 del 28 Gennaio

1992 e della Legge n. 35 del 29 gennaio 1992)

2. Controllo Statale sulla raccolta del risparmio tra il pubblico mediante compagnie

assicurative statali = abolizione del DPR n. 350/1985 firmato da Sandro Pertini

3. Obbligo di cessione da parte di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna,

Carige e BNL del 51% delle loro azioni al Tesoro dello Stato Italiano al fine che lo Stato

italiano abbia, con 265 voti su 529, il controllo del 51% di Banca d’Italia (abolizione della L.82

del 7 Febbraio 1992), al fine che Banca d’Italia possa di nuovo dopo 25 anni tornare a vigilare

per impedire truffe sui derivati e su azioni/bond carta straccia, e per impedire anatocismo e

usura bancaria.

4. Reintroduzione della Legge Bancaria del 1936 (abolizione del decreto legislativo n.

385/1993):

5. SEPARAZIONE TRA BANCHE DI PRESTITO (loan bank) e BANCHE

SPECULATIVE (investment bank) : abolizione del d.lgs n.481/1992 firmato da Giuliano

Amato, Barucci e Colombo. Automatica re-introduzione della contabilità bancaria

esistente prima del 31 Luglio 1992 (abolizione del Provvedimento di Banca d’ Italia del 31

Luglio 1992 firmato da Lamberto Dini al fine di fermare l’evasione fiscale verso i fondi

speculatori petroliferi kazari proprietari della City of London)

6. Divieto di prestare denaro creato con un clic elettronico anziché raccolto tra il

pubblico

7. Riduzione del capitale flottante di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna,

Carige, BNL e di ogni altra società italiana strategica quotata in borsa (ENI,…) dall’attuale

85% del capitale totale, al 15%, al fine di evitare scalate da parte dei fondi speculatori

petroliferi kazari.

8. Divieto di vendite allo scoperto (divieto di short -selling) sia di tipo naked (presa in

prestito di titoli inesistenti per es di MPS per farle crollare, le uniche finora vietate dall’UE) e

di quelle piene. Divieto in sostanza di ogni tipo di vendita allo scoperto contro titoli di società

italiane quotate alla borsa di Milano.

9. Abolizione del CICR (è l’ufficio di controllo occulto di Banca d’Italia)

10. Conferire il potere ISPETTIVO sia a Banca d’Italia che alla Consob, in aggiunta a quello

di vigilanza

11. Separare la Consob dal controllo di Banca d’Italia al fine di avere un organo ispettivo

indipendente. Possibilità anche per la GDF e per la Polizia di Stato di compiere ispezioni in

materia finanziaria, in materia di borsa.

12. Divieto per famiglie, imprese ed enti locali italiani di sottoscrivere derivati sulla

valuta(=abolizione del DPR n.556/1987 emesso su proposta del Ministro del Tesoro Giuliano

Amato) e derivati sul tasso (=abolizione del D.M. del Tesoro n. 44 del 18 febbraio 1992

firmato da Mario Draghi)

13. Divieto al Governatore di Banca d’Italia di variare il tasso ufficiale di

sconto (abolizione della L.n. 82 del 7 Febbraio 1992) al fine di evitare le truffe sui derivati sul

tasso

14. Divieto di anatocismo nei conti correnti, leasing, mutui, prestiti con cessione del quinto e in

ogni altra forma di prestito

15. Abolizione del piano di ammortamento alla francese, lecito solo il piano di

ammortamento all’italiana (quote capitali sempre uguali).

16. Divieto di usura oggettiva (supero tasso soglia) e divieto di usura soggettiva (supero

tasso medio). Introduzione della rilevanza immediatamente penale anche del supero del tasso

medio indipendentemente dalla situazione di difficoltà economica-finanziaria del soggetto

cliente

17. Abolizione della disciplina fondiaria ex art 38 e seg. TUB

18. Riforma del Tribunale delle Esecuzioni immobiliari sulla prima casa e sull’immobile

sede dell’attività: divieto di esecuzione immobiliare sulla prima casa e sulla sede dell’attività,

obbligo di prolungamento del mutuo, in caso di difficoltà, ad un tasso massimo pari al tasso

d’inflazione. Divieto di neutralizzazione del Fondo Patrimoniale (è una figura giuridica

prevista dal 1936 a tutela della famiglia italiana).

19. Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3

immobili) in soggetti posti in qualsiasi ruolo e funzione del Tribunale addetti all’esecuzioni

immobiliari e nella sezione fallimentare.

Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3

immobili) nell’avvocato e dottore commercialista della curatela fallimentare, dei sequestri

immobiliari e quali procuratori per le banche nelle esecuzioni immobiliari e nel custode e

nel notaio delle esecuzioni immobiliari

20. Creazione della Procura Nazionale contro i Reati finanziari commessi da soggetti

speculatori esteri, con distaccamento in ogni DDA, collegata all’INTERPOL e per la

prevenzione di attentati terroristici e jihadisti da parte dei fondi speculatori atti a riottenere il

controllo privato delle banche italiane e dell’Ente dell’Energia italiano

21. Obbligo di almeno cinque Parlamentari di ogni forza politica di partecipare all’

Assemblea Annuale di Approvazione del Bilancio delle banche italiane azioniste di

maggioranza di Banca d’Italia, in quanto vero governo del sistema e termometro della salute

del paese

Ettore Bonalberti- Venezia, 7 Dicembre 2022

 

 

Torniamo ai fondamentali

 

Nel deserto dominante della politica italiana, non si comprende a quali culture politiche si rifacciano gli attuali partiti presenti in Parlamento, mentre siamo certi che DC e Popolari possono contare sui principi e gli orientamenti valoriali indicati dalla dottrina sociale della Chiesa. Credo che una rilettura critica delle encicliche papali, dalla Rerum Novarum in poi, sarebbe oltremodo necessaria. Noi della  quarta e ultima generazione della DC storica, ci siamo formati negli insegnamenti delle grandi encicliche giovannee degli anni ’60: Mater et Magistra e Pacem in Terris e in quelle di Papa Paolo VI: Populorum progressio, Octogesima Adveniens e Humanae Vitae. Se la Rerum Novarum seppe indicare ai Popolari di Sturzo gli orientamenti pastorali nella fase di avvio e di sviluppo della prima rivoluzione industriale, è con le encicliche di San Giovanni Paolo II ( Centesimus Annus), di Papa Benedetto XVI ( Caritas in veritate) e di Papa Francesco ( Evangelii gaudium, Laudato SI e Fratelli tutti) che abbiamo ricevuto le analisi e le indicazioni più rigorose sugli esiti, i limiti e le criticità dello sviluppo capitalistico nell’età della globalizzazione.

Solo la cultura cattolica può contare su una tale ricchezza di analisi e di proposte sui grandi temi del nostro tempo, di interesse sia personale che dell’intera comunità mondiale.

Ecco perché non abbiamo bisogno di manifesti laburisti o di falsi azionismi radicali, convinti come siamo, che DC e Popolari dovrebbero impegnarsi più sulla loro ricomposizione politica che sulle diverse opzioni che ci hanno sin qui divisi tra destra, sinistra e/o terzo polo.

Una seria riflessione andrebbe promossa, da farsi insieme alla vasta realtà sociale, culturale e organizzativa del mondo cattolico, con una sorta di Camaldoli 2.0, dalla quale derivare un manifesto politico programmatico in grado di offrire risposte alle attese della società italiana, nella quale resta necessario garantire il giusto equilibrio tra interessi e valori del terzo stato produttivo con quelli delle classi popolari. Un equilibrio che rappresenta l’unico antidoto al prevalere delle spinte populiste su cui poggia il consenso della destra nazionale.

Molti, troppi tentativi si sono fatti per ricomporre le tante sigle e le diverse casematte in cui si sono  frantumati politicamente i cattolici dopo la fine  della DC. Fallimenti in larga parte legati al prevalere di interessi  e ambizioni personali di amici preoccupati, soprattutto, di garantirsi la propria sopravvivenza politica. Ora quel metodo va abbandonato e, come ho scritto in una recente nota, si deve ripartire dalla base, per tentare di ricomporre dal basso l’unità di quanti, accomunati dai principi e dai valori della dottrina sociale cristiana, intendono declinarli insieme, nella città dell’uomo. Sarà questo processo, che abbiamo connotato come la costruzione dell’AREA POPOLARE, il modo più democratico per far emergere la nuova classe dirigente, espressione di una partecipazione democratica e popolare, dal basso, ben al di là delle diverse provenienze e collegamenti nazionali dei diversi soggetti. Solo esaurita questa fase nelle varie realtà regionali e locali italiane si potrà organizzare un’assemblea costituente nazionale del soggetto politico nuovo di centro: democratico, popolare, aperto alla collaborazione con quanti di altre aree politiche intendono con noi difendere e attuare integralmente la Costituzione repubblicana. Una carta nella quale i padri fondatori DC seppero concorrere a scrivere articoli importanti ispirati dai nostri valori cristiani. Oggi come allora compete ai cattolici democratici e ai cristiano sociali coniugare l’ispirazione della dottrina sociale cristiana ai valori costituzionali. Un modo di azione che, io credo, potrebbe ricondurre alla partecipazione politica e all’esercizio del voto quella grande massa di renitenti che, da troppo tempo, disertano i seggi elettorali. Le prossime elezioni locali e regionali potrebbero essere il terreno di prova per l’Area Popolare.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 13 Dicembre 2022

 

 

VERSO UN MONDO NUOVO

 

Più volte ho scritto sulla necessità che, quanti si richiamano alla cultura democratico cristiana e popolare, si impegnino a tradurre nella città dell’uomo i principi e i valori della dottrina sociale cristiana. Quei principi e valori, cioè, che sono indicati nelle lettere encicliche che, dalla Rerum Novarum in poi, hanno costituito il patrimonio degli insegnamenti della Chiesa dalla prima rivoluzione industriale ai tempi attuali della globalizzazione.

WORLD-LAB è una “rete informale” di esperti internazionali di diverse formazioni scientifiche ed estrazioni culturali, facenti capo al sito www.worldlabnetwork.ru ,con sede a Mestre (VE). Essi condividono la duplice convinzione:

  • che l’attuale modello di sviluppo occidentale, oramai imperante, è avviato al collasso sociale ed ambientale;
  • che esiste un’ insperata via d’uscita, alla nostra portata, da imboccare urgentemente.

Alcuni studiosi mestrini, i Proff. Gianfranco Trabuio e Dino Gerardi, nel 2015 hanno dato alle stampe con WORLD-LAB, l’associazione da loro costituita, I risultati delle loro ricerche socio economiche, presentando un modello economico mai esplorato in precedenza, frutto di una rivisitazione dell’enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII, promulgata nel 1891, sviluppando “il mutualismo in chiave di attualità, dando vita a un’inedita forma di prassi denominata Convivio, alternativa ai disastri prodotti a livello sociale e ambientale dalla degenerazione del liberismo”.  Tale modello, definito nel saggio “ La dignità delle nazioni”, si connette assai bene con quanto indicato dall’enciclica di Papa Francesco:“ Laudato SI”, promulgata nel Giugno dello stesso anno, 2015.

Nel 2016, Trabuio e Gerardi, hanno dato alle stampe un altro volume, edito sempre da Amazon, dal titolo: “ Manifesto del civismo” col quale chiariscono ancor meglio il nuovo modello economico messo a punto nel precedente volume. Nel Luglio di quest’anno è stato editato il saggio: “ Verso un mondo nuovo”, con il quale è riproposto il valore della solidarietà che dovrebbe tradursi in modelli concreti di vita vissuta, come quello avviato da Davide Lazzareti ( Il Cristo dell’Amiata- 1834-1878) sul Monte Labbro comune di Arcidosso ( Arezzo) esempio straordinario di comunità fondata sulla solidarietà organica. Un modello che si dovrebbe tentare di realizzare in altre realtà territoriali, con la volontà di tornare al solidarismo, così tanto apprezzato nella dottrina sociale della Chiesa cattolica, anche se spesso interpretato soprattutto, se non quasi esclusivamente in versione assistenziale. Considero il saggio “ Verso un mondo nuovo” un libro utilissimo da leggere, in quanto descrive con grande rigore un nuovo modello di società alternativo a quelli attualmente in atto nell’età della globalizzazione. L’ho trovato di grande efficacia comunicativa, grazie anche alle splendide tavole illustrative dell’arch Massimiliano Manchiaro. Ottime anche le sintesi delle encicliche sociali della Chiesa scritte alla fine del saggio. Tutte le pubblicazioni si possono trovare cliccando sul sito (http://www.worldlabnetwork.ru/?page_id=34&lang=it) del gruppo WORLD-LAB e i files in  pdf delle stesse, possono essere richiesti gratuitamente all’amico Trabuio, scrivendo alla sua mail: gianfranco.trabuio@gmail.com.

Ettore Bonalberti

Venezia, 2 Dicembre 2022

 

 

Ripartiamo dalla base

 

Ho letto con interesse l’intervista rilasciata a Il Foglio, giovedì 24 novembre scorso, dall’ex ministro del Lavoro, On Orlando, che ha detto, tra l’altro: il Pd, per non tradire la sua funzione storica, per non finire travolto dagli eventi, non possa che darsi una prospettiva neosocialista, pur sapendo che qualcuno potrebbe non riconoscervisi più”. E più avanti, sempre nell’intervista:

Anzitutto, occorre liberarci dell’ansia della vocazione maggioritaria,  anacronistica in uno scenario ormai nei fatti proporzionale, perché ci ha portato troppo spesso a eludere alcune questioni profonde. E questo lo dico anche a chi, con una certa dose di ipocrisia, invoca lo smantellamento delle correnti in nome di un unitarismo che poi si risolve nella sospensione del giudizio. Siamo arrivati al voto in una condizione di unità interna senza precedenti, ed è andata come sappiamoIn un recente intervento in direzione, infine, lo stesso On Orlando aveva detto: Dobbiamo andare fino in fondo nel confronto tra di noi, pur accettando il rischio che alla fine del percorso non saremo gli stessi che eravamo all’inizio”. Un’altra scissione imminente?

Credo che questi ragionamenti precongressuali dovrebbero essere valutati con estrema attenzione, specialmente dagli amici Popolari che dalla Margherita decisero di aderire al progetto di fondazione del Partito Democratico. Emerge con chiarezza la volontà di un importante esponente ex comunista del partito di ricollegarsi alla propria tradizione politica e culturale, di tipo neo socialista, con buona pace per quegli ex democratico cristiani che speravano in un ben diverso assetto politico organizzativo finale. Emerge con chiarezza come tra gli ex comunisti, insidiati nella loro stessa  base sociale e politico culturale dal M5S, stia prevalendo il richiamo dell’antica casa . E’ evidente, infatti, come nel deserto dominante della politica e con il rischio del prevalere di una condizione di egemonia della destra nazionalista e sovranista, emerga la volontà di tornare a riscoprire i fondamentali che concorsero alla costruzione della Repubblica. Una volontà condivisa anche dagli ex socialisti, liberali e repubblicani, ossia dalle componenti fondanti il patto costituzionale. Assai più lacerata e confusa è la situazione di quell’altra essenziale cultura politica che concorse, con i suoi uomini e donne migliori, alla battaglia resistenziale prima e alla scrittura della Costituzione del 1947. Sono intervenuto più volte sul progetto di ricomposizione politica dell’area cattolica democratica e cristiano sociale e leggo con molta attenzione su ciò che si scrive su vari organi di stampa, sino all’interessante scambio epistolare tra gli amici Cerocchi e Castagnetti  sulla ripresa editoriale della testata  de “Il Popolo” della DC storica. Per la verità, grazie alla volontà di un coraggioso sacerdote, Mons Tommaso Stenico, da molto tempo è editata on line la testata: www.ilpopolo.cloud, nella quale, come su Il Domani d’Italia, si svolge un proficuo dibattito sul tema della ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale. A me sembra, tuttavia, che, falliti i diversi tentativi sin qui operati dall’alto per la mera riunificazione delle diverse realtà partitiche e associative che, a diverso titolo e con diversa legittimazione si rifanno alla DC storica, si debba ripartire dal basso, dalle realtà locali, nelle quali riprendere il dialogo e il confronto tra le diverse sensibilità e culture della nostra area. Da parte dei DC e Popolari serve costruire un’ampia AREA POPOLARE, partendo proprio  dalle diverse realtà regionali. Un processo che nascendo dalla base potrebbe favorire l’emergere di una nuova classe dirigente. Vino nuovo in otri nuove, sostenevano molti amici pessimisti sugli esiti dei tentativi avviati e l’AREA POPOLARE che nascesse dal basso, potrebbe essere proprio lo strumento più efficace ed opportuno per riportare in campo la nostra cultura politica.

In questa fase dominata dalla destra, solo un’ampia collaborazione tra le culture politiche della migliore storia democratica repubblicana potrà garantire pace sociale e sviluppo democratico, sulla base di un condivisa proposta di programma che sappia saldare gli interessi dei ceti medi produttivi con quelli delle classi popolari, in alternativa a politiche, come quelle che stanno emergendo dal governo della destra, fondate sull’aggravamento delle condizioni di disuguaglianza  e di povertà, foriere di conflitti sociali di ardua composizione.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 26 Novembre 2022

 

 

 


Mai così divisi

 

E’ dal 2012 che mi batto per la ricomposizione dell’area  politica democratico cristiana e dei Popolari. Dopo la lunga stagione della diaspora ( 2012-2022), purtroppo, quell’obiettivo che avevo individuato con l’On Publio Fiori e che, grazie all’amico, il compianto On Silvio Lega, ci permise di promuovere l’ autoconvocazione del consiglio nazionale della DC storica, “partito mai giuridicamente  sciolto”, la situazione, oggi, è ancor più lacerata che mai.

A sinistra, coloro che dal PPI scelsero di concorrere alla nascita della Margherita prima e a entrare a pieno titolo nel PD poi,  sembrano adesso tra “color che son sospesi”, con un piede dentro e un piede fuori; delusi dagli eredi del vecchio PC-PDS-DS, che hanno ripreso e stanno consolidando la gestione del partito, molti dei nostri vecchi amici sembrano incapaci di assumere scelte definitive alternative, mentre, alcuni di loro, hanno deciso di sperimentare la strada del Terzo Polo.

A destra, molte realtà di ex DC, come quella di Giovanardi e dei Popolari liberali stanno per celebrare un convegno a Modena imperniato sul tema: “I Popolari liberali di ispirazione cristiana nel centro destra”, che vedrà la partecipazione di una quindicina di movimenti e associazioni di area cattolica e di destra. Gianfranco Rotondi, già esponente di fede democristiana nel partito del Cavaliere, dopo la fugace esperienza dei Verdi Popolari è passato con armi e bagagli al partito della Meloni, ricevendo in cambio l’elezione al collegio uninominale alla Camera di Avellino. Ora sarebbe impegnato nella velleitaria idea di trasformare Fratelli d’Italia nella DC 4.0. Molti dei militanti di Comunione e Liberazione, espressione più esplicita dei cattolici della morale, infine, hanno scelto da tempo l’area di centro destra e, anche in quest’occasione elettorale, il voto per il trio Meloni-Salvini-Berlusconi. Credo che, mai come nel voto del 25 Settembre scorso, una parte così rilevante dell’area cattolica si sia orientata a destra e mai tutti noi siamo stati così divisi. Nel mezzo, tra i Popolari schierati a sinistra e indecisi sulle prospettive, si colloca tutta la frastagliata presenza dei diversi partiti e movimenti che si richiamano, a diverso titolo, alla DC, incapaci di presentarsi autonomamente alle elezioni politiche, limitandosi a qualche avventurosa sortita in quelle scadenze elettorali nelle quali vige un sistema elettorale proporzionale; com’è avvenuto in Sicilia, non senza contrasti, con la lista della DC nuova di Cuffaro, alleata anch’essa con il centro destra. Unica eccezione quella rappresentata dall’amico On Giorgio Merlo, già presidente del movimento politico organizzato da Clemente Mastella ( Noi di centro europeisti), il quale, alla fine si  è schierato al centro, con gli amici del Terzo Polo di Italia Viva, di Matteo  Renzi e di Azione, di Carlo Calenda.

Da vecchio “ DC non pentito” ho scritto ripetutamente che il nostro ruolo politico è stato e dovrebbe continuare a essere quello di contribuire a saldare anche sul piano della rappresentanza politica gli interessi dei ceti medi produttivi e delle classi popolari, ispirati dai principi della dottrina sociale cristiana. Ciò comporta il superamento della dicotomia tra cattolici della morale e cattolici del sociale, se vogliamo assumere unitariamente quanto indicato dalle encicliche sociali scritte dai pontefici nell’età che stiamo vivendo della globalizzazione. Per far questo la nostra posizione non può essere né all’interno di un partito della destra, né in uno di sinistra, ma, forti dei nostri valori, dovremmo contribuire alla costruzione di un centro politico nuovo della politica italiana nella quale possano trovare pari cittadinanza le grandi culture politiche della nostra storia repubblicana: popolare, liberale, socialista e democratico repubblicana. Punto di convergenza unitario: la fedeltà alla Costituzione repubblicana che ci si impegna a difendere e attuare integralmente. Questo si potrà sperimentare con gli amici del Terzo Polo, se prevarrà la volontà di impegnarsi insieme rispettando tutti i valori e la cultura politica di ciascuno. Premessa indispensabile sarà organizzare la raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare per reintrodurre il sistema elettorale proporzionale di tipo tedesco, con le preferenze e l’istituto della sfiducia costruttiva. Un programma di politica economica e sociale dovrà essere concordato nel quale siano garantiti i principi di sussidiarietà e solidarietà indicati dalla Costituzione, così come su quello economico finanziario, sarà decisivo battersi per il ritorno alla legge bancaria del 1936, reintroducendo la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria. Solo al centro si potrà ricomporre nel modo più opportuno e politicamente possibile la nostra area socio-culturale, abbandonando ogni velleitaria e, talora semplicemente  opportunistica opzione a destra o a sinistra, lontana mille miglia dalla nostra migliore storia e tradizione politica.

 

Ettore Bonalberti

22 Novembre 2022

 

 


Né a destra né a sinistra

 

Leggendo la nota di Giorgio Merlo, riferita all’On Bettini, su Il Domani d’Italia e quella del direttore, Lucio D’Ubaldo, sulla situazione in cui versa il PD, si comprende la sofferenza dei Popolari ex Margherita, che avevano creduto in quel progetto, oggi tornato nella gestione confusa degli eredi del vecchio PCI, con loro che, o sono usciti, o vivono una condizione di forte subalternità.

Se questa è la condizione degli amici ex DC a sinistra, non meno tranquilla è quella di coloro che  hanno sostenuto la destra della Meloni, nella presunzione di costituire il centro di quel polo, sino all’incredibile velleitaria proposta annunciata da Rotondi di trasformare Fratelli d’Italia in una rinnovata DC 4.0.

La realtà è che il nostro Paese oggi non è più guidato né da una coalizione di centro sinistra, riferimento troppo importante per la storia politica italiana, né di centro destra. Siamo in presenza di un governo di destra a tutto tondo, con molti esponenti ai massimi livelli istituzionali e di governo, eredi dell’antica cultura almirantiana e post fascista.

Con questo governo legittimato dal voto popolare, grazie anche a una legge elettorale, il rosatellum, che il PD e il M5S non hanno voluto modificare, si tratta, perciò, di fare i conti, tanto sul versante della politica economica, sociale e finanziaria, che su quello istituzionale.

La posizione dei Popolari e dei DC non pentiti, come scrivo come un mantra da sempre, deve restare al centro, alternativa alla destra nazionalista e sovranista e distinta e distante dalla sinistra tuttora alla ricerca affannosa della propria identità.

Avevamo sperato e continuiamo a sperare nel Terzo Polo, nel quale, però, va superata l’inguaribile idiosincrasia democristiana di Carlo Calenda, se si vuol dar vita a un centro politico nuovo ampio e articolato, espressione della grandi culture politiche della nostra storia repubblicana: quella popolare, insieme a quella liberale, repubblicana e socialista, ossia le culture migliori del riformismo del nostro Paese.

A Matteo Renzi, figlio della nostra cultura DC, il compito di far comprendere a Calenda i limiti della sua impostazione azionista, la quale, senza l’apporto dei popolari, com’è stato in tutta la lunga storia democratica italiana, finirebbe con l’assumere una definitiva connotazione minoritaria, elitaria senza futuro e, in ogni caso, incapace di rappresentare con la sinistra un’alternativa credibile alla destra del trio Meloni-Salvini-Berlusconi.

La prossima assemblea nazionale del 4 Dicembre a Milano annunciata dal duo di Azione e Italia Viva, potrebbe essere il luogo nel quale si potrebbe/dovrebbe concretamente accertare la disponibilità alla costruzione di questo nuovo centro ampio e plurale.

E’ evidente, però, che permanendo l’attuale legge elettorale di tipo maggioritario, i due capisaldi di attrazione: a destra Fratelli d’Italia e a sinistra il PD, tenderanno a conservare la loro condizione di privilegio, la quale, tuttavia, obbligherebbe l’Italia a un bipartitismo forzato, incapace di rappresentare la realtà culturale, sociale e politica del Paese assai più vasta e articolata. Certo, singoli personaggi della nostra area politica in cerca di sopravvivenza, com’è già accaduto con Berlusconi, il PD e la Lega prima e, ora, con la Meloni a dx e lo stesso PD a sx ( anche se adesso, con assai maggiori difficoltà) continueranno a offrirsi al miglior offerente dei due poli,  ma ciò renderà impossibile, com’è accaduto nella lunga stagione della diaspora DC ( 1993-2022) la ricomposizione politica di una forza cattolico democratica e cristiano sociale al centro dello schieramento politico.

Ecco perché, compito dei Popolari e dei DC, come abbiamo discusso nell’ultima riunione del direttivo della Federazione Popolare DC e mi auguro si discuta nel prossimo incontro del direttivo della DC guidata da Renato Grassi, dovrebbe essere quello di attivare la presentazione di una legge di iniziativa popolare con la quale si propone di introdurre una legge elettorale di tipo proporzionale con preferenze, coerentemente con l’impostazione generale di tipo proporzionalista della nostra Costituzione e in linea con la nostra migliore tradizione. Un impegno di grande valore istituzionale, che dovrebbe essere unito a  quello per la difesa della repubblica parlamentare e per l’attuazione integrale della Costituzione, a partire dall’applicazione in tutti i partiti dell’art.49 della carta costituzionale.

A tale impegno politico istituzionale, per il quale ci si dovrà impegnare insieme a tutte le altre grandi culture riformiste, dovremmo richiedere politiche economiche finanziarie e sociali, alternative a quelle collegate agli interessi dei poteri finanziari dominanti, dopo il fallimento strategico di una globalizzazione che ha ridotto l’economia reale a fattore servente della finanza e la stessa politica a un ruolo subalterno. Una degenerazione che sta causando una gravissima crisi economica e sociale a livello mondiale e che, anche in Italia, ha colpito e colpisce duramente i ceti medi produttivi e le classi popolari.  Avevamo indicato in alcuni punti essenziali di programma tale progetto che, in via preliminare, richiede il ritorno immediato alla legge bancaria del 1936, reintroducendo la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria, premessa indispensabile a qualsiasi politica riformatrice nel nostro Paese.

Un centro che fosse in grado di proporre e battersi per questi due grandi obiettivi: legge elettorale proporzionale con preferenze, da un lato, e ritorno alla legge bancaria del 1936, dall’altro, potrebbe porsi come elemento di riferimento e di rappresentanza soprattutto di quel vasto elettorato che, da molto tempo, è renitente al voto, stanco dell’offerta politica presente.

Mi auguro che gli amici el Terzo Polo vogliano raccogliere queste nostre sollecitazioni e, intanto, perché non partiamo dalla base, attivando ovunque possibile, dei comitati democratici dei riformisti popolari, liberali, socialisti e repubblicani, come luoghi di partecipazione politica dal basso e per la selezione di una nuova e credibile classe dirigente?

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 18 Novembre 2022

 


Un vaste programme

 

E’ bastato questo tweet scritto stamattina: “Migranti. Fronte disumanitario. Italia, Grecia, Malta e Cipro contro le navi delle Ong”. Così il quotidiano Avvenire oggi. Ai tanti cattolici che hanno votato per la destra guidata dalla Meloni un motivo di riflessione,  specie per coloro che si considerano fedelissimi agli insegnamenti della Chiesa”, per riaprire un vivace confronto con persone, alcune delle quali, amiche di vecchia data, si sono sentite colpite da un semplice richiamo alla riflessione. Ennesima dimostrazione della divisione esistente nell’area sociale e culturale cattolica, una parte consistente della quale ha scelto di votare a destra alle elezioni politiche del 25 settembre scorso. Orfani del partito, la DC, che dal 1945 al 1993 era stato il riferimento politico di larga parte dei cattolici italiani, consumate le diverse opzioni che dalla fine politica della DC hanno caratterizzato la lunga stagione della diaspora democratico cristiana, il 25 settembre si è consumata la divisione netta tra i cattolici della morale e i cattolici del  sociale. I primi, stanchi delle scelte laiciste e radicali del PD sui temi inerenti ai “ valori negoziabili”, hanno finito con l’orientare il loro consenso alla coalizione di destra anche con alcuni voltafaccia incomprensibili di qualche amico di provata fede DC.

Non mi hanno sorpreso le reazioni di altri del movimento di Comunione e Liberazione che, da molto tempo, si è posto a destra, in alternativa alle posizioni della sinistra in materia di scelte antropologiche sulla vita e la morte, il matrimonio e la cultura del gender.

Leggendo l’ultima bella nota di Giorgio Merlo, in Il Domani d’Italia, sulla sinistra sociale e politica della DC e sul ruolo svolto, soprattutto da quest’ultima, in tema di autonomia della politica da sottrarre al rigido condizionamento di tipo clericale proveniente dalla Chiesa pacelliana degli anni ’50 e per quasi tutti i ’60, ho compreso la necessità esistente nel nostro tempo di riprendere il confronto tra i cattolici, tenendo presente il grado di divisione e di smarrimento esistente nella stessa Chiesa. Un realtà quella ecclesiastica, dove persone espressione di malcelati integralismi preconciliari, sono pronte a contestare non solo il quotidiano della CEI, ma lo stesso Papa Francesco, che non manca, non a caso, di chiedere ogni volta di pregare per lui.

Le nostre difficoltà politiche e organizzative inerenti alla ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale scontano queste divisioni  nella più vasta realtà cattolica, nella quale la rottura tra cattolici della morale e cattolici del sociale appare difficilmente componibile. L’amico Franco Banchi in una recente nota scritta alla vigilia del voto, sosteneva come non ci dovessero esserci “cattolici della morale” e “cattolici del sociale”. È nostra convinzione, scriveva Banchi, “a maggior ragione a fondamento degli impegni elettorali volti al bene comune, che l’ispirazione e l’azione dei cattolici deve coniugare obbligatoriamente entrambi gli aspetti. Perché, egli continuava, accettare di essere circoscritti al solo campo, peraltro irrinunciabile, della difesa dei principi morali e subire passivamente la resa in quello del sociale, in cui non dobbiamo essere per forza liberali o socialisti? Per questo dobbiamo iniziare la “riscossa” in un campo che fin dalla Costituente è stato il nostro luogo eccellente. Uno dei capisaldi da riprendere, sviluppando ed attualizzando l’articolo 118 della Costituzione, è quello  che definisce il profilo di massima della sussidiarietà, a sua volta riferibile agli studi giuridici del pensiero cristiano medievale. E proprio da qui comincia il nostro lavoro di trasferimento attivo dei principi di sussidiarietà nel terzo millennio italiano”.

Utile suggerimento quello di Banchi di fare riferimento ai valori cristiani che i padri costituenti hanno saputo trasferire nella nostra Carta fondamentale, come quelli della sussidiarietà e della solidarietà, compresi quelli enunciati a sostegno della persona e della famiglia. E’ evidente, però, che nel concreto svolgersi del confronto politico e culturale del tempo presente, una riflessione seria deve essere compiuto anche dai partiti e dai movimenti che di questa realtà sono gli attori protagonisti.

Pensare di continuare a ragionare a prescindere da questa scissione politica e culturale del mondo cattolico, ritengo sia un errore che non permette di colmare il divario esistente tra la realtà della politica e della sua rappresentanza istituzionale e la mancata partecipazione al voto di oltre il 50% degli elettori, a diverso titolo e motivazione, stanchi e sfiduciati di ciò che passa il convento. Una seria riflessione dovrà farsi nella vasta area cattolica caratterizzata da molte articolazioni

Analoga riflessione dovrà anche essere compiuta dalle e nelle forze politiche a cominciare dalla sinistra e per essa, dal suo principale caposaldo, il PD, nel quale è aperta la riflessione sul ruolo che i Popolari ex DC hanno svolto sin qui e potranno ancora svolgere, in un partito che è alla ricerca affannosa della propria identità. Analogamente nel terzo polo, dove, Matteo Renzi, dovrà battersi per superare l’idiosincrasia DC di Calenda, neo azionista post litteram, tenendo presente che un Terzo Polo senza una forte componente di ispirazione DC e popolare è destinato a svolgere un ruolo del tutto minoritario in campo politico e istituzionale.

La destra a guida di Giorgia Meloni, ha sin qui saputo raccogliere di risulta  larga parte del voto dei cattolici della morale, i quali, tuttavia, non potranno, alla fine, sottrarsi dagli impegni che a loro derivano dalla coerenza ai principi e ai valori fondamentali della dottrina sociale cristiana. La cultura e i valori di provenienza di Fratelli d’Italia, infatti, sono lontani mille miglia da quelli che, dalla Rerum Novarum in poi, la Chiesa cattolica ha saputo indicarci, sino all’Evangelii gaudium, Laudato SI e Fratelli tutti.

A quanti, infine, a diverso titolo e legittimità si richiamano alla storia della DC, “partito mai giuridicamente sciolto”, spetta il compito di favorire il progetto della loro ricomposizione, premessa indispensabile per concorrere da protagonisti alla costruzione del centro nuovo della politica italiana insieme alle componenti di  ispirazione liberale e socialista riformista.

Un “vaste programme” indubbiamente, ma vale la pena di perseguirlo con forte determinazione.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 13 Novembre 2022

 

 

 

 


Tributo a Mirco Marzaro, dai veneziani" DC  per sempre”

 

Ieri è stata una giornata molto positiva per  i veneziani "democratici cristian per sempre”. Continuando una bella tradizione avviata dall’amico Cesare Campa, dopo il tributo rivolto l’anno scorso all’On Gianfranco Rocelli, quest’anno abbiamo voluto rendere omaggio all’On Mirco Marzaro, che, nei mesi scorsi, ha compiuto la venerabile età di cent’anni.

Una Santa Messa molto partecipata è stata celebrata, alla presenza del figlio di Marzaro, assente per una stagionale indisposizione, nella quale le letture sono state tutte declinate sul versante della pace e, subito dopo, un simposio presso l’Hotel Bologna. E’ stato un ritrovarsi tra tanti vecchi amici accomunati da due elementi essenziali: il sentimento dell’amicizia, che è stato sempre alla base dei rapporti tra i soci democratico cristiani  e il forte radicamento nei valori fondamentali testimoniati dai nostri grandi padri e fratelli: Vincenzo Gagliardi e Mario Ferrari Aggradi, Costante Degan, Vito Orcalli, Alfeo Zannini, Anselmo Boldrin, Luigi Tartari, Giorgio Longo e Marino Cortese e i tanti altri che hanno segnato la storia della DC e della politica veneziana, veneta e nazionale. Non dimenticando il contributo offerto alla Resistenza dai nostri combattenti Partigiani Cristiani, Mario Ferrai Aggradi e Anselmo Boldrin.

Un ringraziamento speciale a Cesare Campa, come sempre efficace organizzatore di eventi e custode della nostra memoria storica. Proprio discutendo a pranzo con alcuni amici è sorta l’idea di dar vita all’associazione dei “ DC veneziani per sempre” che potrebbe costituire l’avvio di uno strumento di partecipazione democratica finalizzata a conservare la memoria di ciò che siamo stati, e di offrire l’opportunità di trasmettere i nostri valori alle nuove generazioni. Mai come in questo momento, infatti, c’è la necessità di concorrere alla costruzione di un nuovo centro della politica italiana, ampio e plurale: democratico, popolare, liberale, riformista, euro atlantista, alternativo alla destra nazionalista e sovranista e distinto e distante dalla sinistra senza identità. Un Centro interessato a collaborare con quanti intendono difendere e attuare integralmente la Costituzione.

Al fine di evitare l’errore del Terzo Polo, dominato da Calenda, responsabile di un’idiosincrasia anti DC, propria di un “azionista di risulta” che rischia di condannare quell’area a un’espressione minoritaria laico liberale senza futuro, servirà organizzare una forte presenza della nostra cultura politica. Dovremmo far partire da Venezia il progetto del nuovo centro della politica italiana come su indicato, nel quale sia ben presente la nostra area politica cattolico democratica e cristiano sociale. Con l’aiuto indispensabile di Campa dovremmo attivare la nostra associazione dei “ DC veneziani per sempre” ( o come la vorremo diversamente connotare), la quale potrebbe favorire una ricomposizione culturale prima ancora che politica, indispensabile per il progetto più ampio del nuovo centro.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 6 Novembre 2022

 

 

 

 

  • Non facciamo la fine della kupamandika

     

    Da “ osservatore non partecipante” ho letto con molta attenzione gli interventi nel consiglio nazionale della DC del 26 ottobre scorso, tenendo presente che le mie dimissioni dagli incarichi di partito non annullano la mia condizione di “ democristiano non pentito” che cercherò di mantenere sino alla fine.

    Avevo inviato una nota alla vigilia del consiglio nazionale, pubblicata con grande onestà intellettuale da Mons Stenico su Il Popolo, con la quale rilevavo la necessità di restare al centro della politica italiana: alternativi alla destra nazionalista e sovranista e distinti e distanti dalla sinistra alla ricerca della propria identità.

    Avevo ricevuto una telefonata dall’amico Grassi al quale avevo espresso questa mia indicazione che, onestamente, ritrovo espressa anche nella sua relazione. Diverso il tono e le argomentazione sostenute dall’amico Gubert, chiuse nella necessità di costruire il soggetto politico coerente alle indicazioni di valore proprie della dottrina sociale cristiana, soprattutto con riferimento ai “ valori non negoziabili”.

    Credo che su questa strada integralistica la prospettiva degli ultimi mohicani della DC sarebbe molto debole e minoritaria, tale da non considerare gli errori e le insufficienze riscontrate da quel 2012, anno nel quale tentammo di ridare pratica attuazione alla sentenza della suprema corte di Cassazione n, 25999 del 23.12.2010, secondo cui: la DC non è mai stata sciolta giuridicamente.

    L’amico Gubert dovrebbe prendere atto che, dopo dieci anni e la lunga Demodissea che ho tentato di ricostruire nel mio ultimo libro:Demodissea: la DC nella lunga stagione della diaspora democristiana ( 1993-2020) . edizioni il Mio Libro, ha segnato una serie di fallimenti acuitisi  dopo l’ultimo congresso del 2018 che, anziché concorrere alla ricomposizione ha dovuto sperimentare ulteriori rotture e divisioni che fanno salire a quasi due mani il numero delle DC che, a diverso titolo, si rifanno alla DC storica, quella che ha cessato giuridicamente la sua vita nel  1992-93.

    Consiglierei a Gubert la lettura del bel libro di Amarthya Sen: Globalizzazione e Libertà ( ed. Mondadori 2003) nel quale l’autore descrive la parabola della ranocchia- kupamandika. Dai testi indiani sanscriti antichi: una ranocchia vive tutta la vita rinchiusa in un pozzo sospettosa di tutto ciò che accade fuori. Dal  500 a.C.: quattro  testi sanscriti (Ganapatha- Hitopadesà- Prasamaraghava- Battikavya) esortano tutti a non comportarsi allo stesso modo della kupamandika. La ranocchia aveva una “visione del mondo”, il suo mondo, ma era ovviamente circoscritta a quel piccolo pozzo. Se fosse prevalsa la visione della kupamandika, senza i necessari scambi interculturali, avremmo avuto una diversa e assai più limitata storia scientifica, economica e culturale dell’umanità.

    Ecco io temo che questa visione, tutta incentrata su ciò che rimasto della DC che pensammo di ricomporre politicamente nel 2012 e che si è andata, invece, progressivamente, decomponendo, sia il vero limite della prospettiva politica indicata da Gubert.

    Trovo, altresì, alquanto ingenerosa e insufficiente l’analisi di Grassi su quello che lui definisce” lesperienza tramontata”” della Federazione Popolare dei DC. Caro Renato, il limite di quel progetto avviato dall’amico Gargani insieme ad alcuni di noi, non è stato dovuto solo al venir meno dell’adesione di Cesa e Rotondi, ma anche della “ tiepidezza” con cui molti dei nostri amici DC avevano accolto quell’iniziativa. Da parte mia continuo, invece, a ritenere che proprio da quel tentativo avviato con una cinquantina di partiti, movimenti, associazioni della nostra area politico culturale si dovrebbe ripartire, certo con una DC confermata su questa strada dal prossimo congresso, con una rinnovata dirigenza come auspicato da Grassi nel suo intervento.

    Nessuna velleità integralistica da nostalgica e anacronistica kupamandika, ma la netta determinazione nel voler occupare una posizione nel centro della politica italiana, insieme a quanti intendono concorrere alla costruzione del soggetto politico nuovo democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, atlantista, trans nazionale, alternativo alle destra nazionalista e populista e distinto e distante dalla sinistra alla ricerca della propria identità. Un centro pronto a collaborare con quanti intendono difendere e attuare integralmente la nostra Costituzione repubblicana. Da “ osservatore non partecipante”, anche proprio per le ragioni indicate da Grassi, ossia di favorire l’emergere di una nuova classe dirigente, non parteciperò al prossimo congresso nazionale, felice se da esso potrà derivare, con la nuova e più giovane dirigenza, la conferma di una linea centrale dei democratici cristiani di cui il Paese avrebbe bisogno.

     

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 28 Ottobre 2022

     

     


Restiamo al centro

 

Privati del nostro simbolo storico, da troppo tempo rendita del duo Cesa-De Poli caudatari della destra, senza parlamentari eletti, abbiamo vissuto una netta divisione alle elezioni politiche del 25 Settembre scorso. Diversi amici hanno votato per l’alleanza di destra soprattutto in alternativa alla deriva laicista del PD che, come da profezia del prof Del Noce, ha assunto sempre di più la fisionomia di un “ partito radicale di massa”.

Ora nel partito di Enrico Letta, alla vigilia del loro congresso nazionale, si levano voci come quella di Bruno Simili, vice direttore della rivista Il Mulino, il quale invita il partito a ripartire dalle diseguaglianze, consapevole che il suo spazio non è al centro, ma a sinistra.

Se questa è e sarà la prospettiva del partito che ha tentato di mettere insieme la vecchia tradizione del PCI-PD-PDS con quella di una parte della sinistra politica della DC, anche per noi DC e Popolari è tempo di condividere un progetto politico in grado di corrispondere agli interessi e ai valori del terzo stato produttivo e dei ceti popolari, per assolvere al ruolo che è sempre stato quello dei popolari sturziani prima e della DC, negli oltre quarant’anni della sua egemonia politica in Italia.

Nostro obiettivo dovrà essere, quindi, quello di concorrere alla costruzione di un soggetto politico nuovo di centro: democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, alternativo alla destra nazionalista e sovranista e distinto e distante dalla sinistra alla ricerca della propria identità. Non possiamo ridurci ad essere una corrente interna o esterna alla destra, come ha deciso di essere l’UDC, o, peggio, una componente integrata della destra meloniana, come ha deciso di fare “ il miglior fico del biconcio”, Rotondi. Strana parabola quella dell’ex giovane avellinese: dalla sinistra DC di Forze Nuove con Gerardo Bianco al seguito del Cavaliere in Forza Italia, poi fondatore dei Verdi Popolari che finisce col confluire armi e bagagli nel partito di Giorgia Meloni, con la velleitaria presunzione di rappresentarne la componente democratico cristiana.

Né possiamo ridurci a diventare una corrente interna o esterna al PD, come sembra procedere il dibattito nel partito guidato da Bruno Tabacci, Centro Democratico.

La collocazione all’interno del PD, come corrente più o meno formalmente organizzata, da Marini, Castagneti, Franceschini, Fioroni, è già stata sperimentata, col risultato che diversi amici alla fine sono usciti dal partito e, oggi, come ha scritto in maniera esemplare Giorgio Merlo nei suoi ultimi editoriali su “ Il domani d’Italia” sono pronti per un progetto di ricomposizione politica dell’area popolare.

Ho preso le distanze dagli amici della DC guidata da Renato Grassi, dopo che avevo verificato che dal caso siciliano gestito da Totò Cuffaro dell’alleanza con la destra, era evidente il rischio di uno sbandamento a destra del partito anche a livello nazionale, in contrasto non solo con quanto avevamo indicato prima del voto, ma con tutta la nostra storia di democratici cristiani e popolari. Il Terzo Polo ha costituito elemento di interesse per alcuni di noi, anche se la piega laicista e anti democristiana di Calenda, ha impedito a Renzi di sviluppare un progetto che poteva e potrebbe ancora avere buoni sviluppi, a condizione che la componente di matrice popolare assuma una seria e condivisa rappresentazione.

Sono molti anni che combatto per la ricomposizione politica della nostra area e credo che vada raccolta l’ appassionata indicazione dell’amico Giorgio Merlo, per concretizzare la quale dovremmo condividere la redazione di un manifesto appello ai DC e ai Popolari italiani, con alcune indicazioni di programma coerenti con i nostri valori espressi dalla dottrina sociale cristiana e adeguati agli interessi del terzo stato produttivo e dei ceti popolari ai quali dovremmo garantire la massima partecipazione e rappresentanza politica. Con il manifesto appello dei Popolari, alla redazione del quale dovremmo chiamare tutti gli amici della vasta e articolata area cattolico democratica e cristiano sociale, si dovrebbero in parallelo attivare in tutte le realtà locali dei comitati civico democratici popolari, per la partecipazione politica dei cittadini. Un progetto, dunque, che dovrebbe muoversi sia dall’alto ( definizione del manifesto appello) che dal basso ( formazione dei comitati civico popolari), per giungere alla convocazione degli stati generali dei Popolari, un’assemblea che, con la partecipazione dei rappresentanti di tutta la base, potrebbe dar vita al soggetto politico del nuovo centro della politica italiana.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 25 Ottobre 2022

 


Un po’ di chiarezza

 

Nell’ultima nota avevo indicato una proposta di" programma elementare”, così definita dato che comporta l’approvazione di una semplice legge ordinaria se si intende ripristinare la legge bancaria del 1936, che stabiliva la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria, una premessa indispensabile per ricondurre il sistema bancario al servizio delle persone, delle famiglie e delle imprese.

E’ tempo di fare luce su ciò che è accaduto e su ciò che si dovrebbe fare nell’interesse nazionale. La legge bancaria del 1936 fu introdotta dal Duce, su indicazione del dr Alberto Beneduce (un dirigente pubblico, economista, politico e accademico italiano, amministratore di importanti aziende statali nell'Italia liberale e fascista, amministratore delegato dell'INA, tra gli artefici della creazione dell'IRI e suo primo presidente, oltre che ministro e deputato), ad imitazione della Legge Glass Steagall introdotta negli USA da Roosvelt nel 1933, per superare gli effetti drammatici della crisi del 1929.

La DC, con la guida della Banca d’Italia affidata a Guido Carli, mantenne in vigore quella legge sino al 1992, anno infausto nel quale fu approvato il d.lgs n.481/1992 a firma Amato, Barucci e Colombo, con il quale si è giunti all’attuale situazione.  Se, come ci auguriamo, il nuovo governo della destra e le forze autenticamente riformiste del nostro Paese decidessero la reintroduzione della legge bancaria del 1936, dovrebbero contestualmente abolire il provvedimento della Banca d’Italia del 31 Luglio 1992 firmato da Lamberto Dini, al fine di fermare l’evasione fiscale verso i fondi speculatori petroliferi kazari proprietari della city of London e sede fiscale a tassazione zero nello stato USA del Delaware.

Va ricordato che all’interrogazione rivolta all’allora ministro dell’economia e finanze, dagli Onn. Alessio Villarosa,Alberti, Pesco, Sibilia e Ruocco ( interrogazione a risposta immediata in commissione n.5/10709-testo di Mercoledì 1 Marzo 2017, seduta n.751 ) si chiedeva il ruolo svolto da questi hedge funds nel controllo del capitale flottante delle banche detentrici del controllo di Banca d’Italia. Ruolo esercitato attraverso la delega a un’unica persona fisica di uno noto studio milanese di avvocati.
La risposta con lettera scritta del Ministero dell’economia e delle Finanze-Ufficio del coordinamento Legislativo-Economia- Q.T.453 del 2 Marzo 2017, confermava quanto indicato dagli interroganti, ossia che Banca d’Italia è di fatto sotto il controllo di questi fondi speculativi che, quindi, possono agire secondo i propri diretti interessi.

Ecco perché il governo che l’On Meloni si accinge a comporre se, come reiteratamente ha dichiarato durante le elezioni, intendesse operare “per il bene dell’Italia”, la prima azione riformatrice che dovrebbe assumere, sarebbe quella di tornare al pieno controllo di Banca d’Italia e al ripristino della legge bancaria del 1936. Su tale decisione, d’altronde, si valuterà non solo la corrispondenza tra il dire e il fare della maggioranza, ma se e come l’opposizione e/o le opposizioni voteranno rispetto a questo progetto, propedeutico a qualsiasi altro obiettivo di politica economica e finanziaria.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 21 Ottobre 2022

 

Testimonianza del dr Nino Galloni


Il Dr Nino Galloni, economista, condividendo la nota sulla proposta elementare di riforma, mi ha inviato l’allegata personale testimonianza autorizzandomi a renderla pubblica:

“Apprendo con gioia questa notizia, sebbene non capisca perché la truffa si sia risolta a Londra invece che in Italia: personalmente l'ho sempre denunciata, fin dall'inizio.

Quando si era capito che i tassi d'interesse sarebbero crollati (a seguito della crisi SME del settembre 1992, prevista da me in precedenza) le amministrazioni furono indotte, dalle banche dealer a sottoscrivere il seguente derivato o scommessa: se i tassi aumentano, la prestatrice rinuncia all'ulteriore guadagno; se il tasso diminuisce l'amministrazione continua a pagare in base a quello precedentemente esistente. Ma le banche sapevano benissimo come stavano le cose mentre gli amministratori erano ignari di tutto.

In seguito stimai la perdita complessiva per l'erario in  165 miliardi di euro che, in gran parte spiegano perché con avanzi primari sistematici, il debito pubblico abbia continuato a crescere.

Anni fa a seguito delle mie denunce, di interrogazioni parlamentari e di due convegni istituzionali fu fatta l'audizione della direttrice generale competente, dottoressa Cannata; la quale, a precise domande, ispirate dal sottoscritto, non trovò di meglio che opporre il Segreto di Stato.

Tutto fu quindi sepolto a parte qualche pronunciamento della Corte dei Conti.

Antonino Galloni”


Una proposta di programma “elementare” per il nuovo governo


Importante sentenza dell’alta corte di Londra per il comune di Venezia: i derivati comprati da Dexia Crediop e INTESA sono nulli e inapplicabili. Con questa sentenza l'amministrazione è legittimata a sospendere i pagamenti dei differenziali futuri a favore delle banche. Considerati gli attuali tassi di interesse, si tratta di un risparmio di circa 30 milioni di euro. Inoltre otterrà la restituzione delle somme versate dalla data di sottoscrizione dei contratti.  Una sentenza decisiva per molti altri comuni italiani. Ricorderò che il solo Comune di Torino ha sottoscritto 21 derivati quando sindaco nel 2001 era l’On Piero Fassino.

L’amico Alessandro Govoni, già CTU del Tribunale di Cremona in materia bancaria e finanziaria, interpellato nel merito, mi ha scritto quanto segue:” Secondo un rapporto della Guardia di Finanza  900 Comuni italiani su 6000,  45 Province su 90, e 12 Regioni su 21, hanno sottoscritto derivati sul tasso come quelli sottoscritti dal Comune di Venezia,  che la Corte di Londra ha finalmente sancito che debba  essere risarcito di tutte le perdite arrecate e che nulla più deve sui flussi futuri. Tutti questi derivati fatti sottoscrivere agli Enti italiani sono delle truffe perché  riportano un algoritmo nascosto tra le righe del contratto per cui ogni 6 mesi la banca d'affari incassa il tasso ( Euribor + spread), mentre il Comune vi e' scritto che incassa solo l' Euribor, perdendoci il Comune ogni 6 mesi lo spread  in genere del 2% calcolato sul mutuo sottostante,  in genere, in media  i mutui sottoscritti dai Comuni sono di 350 milioni di euro,  ciò significa che ogni 6 mesi agli Enti locali italiani sono stati prelevati dal conto corrente 7 milioni di euro, dal 2001 ad oggi, i contratti derivati hanno la durata  del mutuo sottostante in genere 30 anni.  Scrive ancora Govoni: “ E' necessario che il governo emetta un decreto che imponga ai Sindaci e ai Governatori i cui Enti hanno sottoscritto derivati, di procedere sia in sede civile che penale e un decreto che autorizzi  alla Magistratura italiana di procedere d'ufficio contro le banche d' affari per dichiarare truffa contrattuale tutti questi derivati che incorporano già una perdita certa alla stipula per l' Ente locale italiano.  E continua: “Si rammenta che tutte queste banche d' affari Dexia Crediop, Nomura, Morgan Stanley appartengono ai fondi delle grandi famiglie luterane tedesco orientali Rothshild Rockfeller. I luterani tedesco orientali pensano che l' uomo non possa essere giudicato dall' uomo, ma solo da Dio, ma poiché sono atei,  pensano che   nessuno li possa giudicare in terra , pertanto si sentono liberi di truffare, manipolare, usurare fino ad eliminare fisicamente chi si frappone ai loro interessi. I Rothshild e i Rockfeller, proprietari della IG Farben che era proprietaria dei campi di sterminio, eliminarono gli ebrei perché gli ebrei avevano scoperto la cura dei tumori biologica nutrizionale che andava contro agli interessi della IG Farben  unica produttrice mondiale di preparati chemioterapici,  su cui la IG Farben  guadagnava e guadagna ancora oggi con Bayer/BASF, Pzifer,  80 volte i suoi costi di produzione, mentre sulla cura dei tumori con terapia biologica nutrizionale i Rothshild, Rockfeller non avrebbero guadagnati nulla perché non brevettabile”.

Credo ci sia materia di seria riflessione giuridica, politica e amministrativa e invece di assistere alle quotidiane schermaglie di una maggioranza già in fibrillazione in vista della formazione del nuovo governo, credo dovrebbero essere questi alcuni dei temi di interesse della politica. Ho scritto più volte sul ruolo svolto dai poteri finanziari degli hedge funds anglo caucasici/kazari, con sede operativa nella city of London e fiscale, a tassazione zero, nello stato USA del Delaware (BlackRock, Bridgewater Associates, Citibank, Goldman
Sachs, JP Morgan, Morgan Stanley, Pioneer e Vanguard, tutte multinazionali finanziarie luterane tedesco orientali)
proponendo alcune idee di politica economica finanziaria riassumibili ina una proposta semplicissima: il ritorno alla legge bancaria del 1936, con la riconferma della netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria. Ci piacerebbe che, nel programma che Giorgia Meloni esporrà alle Camere appena sarà incaricata per formare il nuovo governo, assumesse questo impegno, ossia quello della riproposizione di una legge voluta dal suo mentore di formazione giovanile, il Duce che, sollecitato dal fidato Alberto Beneduce, volle quella legge bancaria che la DC, con Guido Carli, difese sino al 1992. Senza quella riforma che, vista la grande maggioranza parlamentare potrebbe essere varata facilmente con una legge ordinaria, ogni altro progetto per dare risposte alla crisi economica e sociale italiana risulterà una velleitaria indicazione propagandistica. E sarebbe anche un’ottima cartina di tornasole per valutare il grado di condizionamento dei poteri finanziari citati sui diversi partiti e parlamentari italiani.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 19 Ottobre 2022

 

 

Perché mi dimetto dalla DC di Grassi

 

Sento il dovere di esporre agli amici con i quali ho condiviso molte delle mie riflessioni dal 2012, anno nel quale, con Silvio Lega abbiamo organizzato la raccolta delle firme, su mia iniziativa, per l’autoconvocazione del Consiglio nazionale della DC; del partito, cioè, che, secondo la sentenza inappellabile n. 25999 del 23.12.2010 della suprema Corte di Cassazione: non è mai stato giuridicamente sciolto. Il nostro impegno era di dare pratica attuazione politica a quella sentenza, tentando di ricomporre l’unità dei DC che, secondo la  formula degasperiana doveva restare: un partito di centro che guarda a sinistra.

Con questo spirito nel 2012 avevamo sostenuto la candidatura e l’elezione dell’amico Gianni Fontana, così come nel 2018 quella di Renato Grassi, due persone con le quali abbiamo condiviso larga parte della nostra esperienza politico culturale.

Le vicende del voto siciliano dove  Totò Cuffaro, contravvenendo al deliberato della direzione nazionale della DC del 9 Agosto 2022, ha deciso di abbandonare la scelta centrista  a sostegno del terzo Polo per quella a favore della destra, hanno stravolto le ragioni della maggioranza che nel 2018 aveva sostenuto Grassi su posizioni centriste.

A Renato Grassi avevo inviato la lettera personale che, allo stato degli atti, rendo pubblica allegandola affinché conosciate la dinamica che mi hanno indotto alla scelta di abbandonare il partito in cui ho militato dal lontano 1962.

Testo della mia lettera a Renato Grassi:

Caro Renato,

tu conosci la mia stima e fiducia nei tuoi confronti, nata dall’esperienza vissuta insieme nel MG della DC di Bonalumi e poi consolidatasi nel CN del partito e nelle vicende che ci hanno visti protagonisti dal 2012 ad oggi.

Comprendo la soddisfazione per l’avvenuta elezione di alcuni consiglieri regionali siciliani, grazie, credo soprattutto, all’azione di Totò Cuffaro. Ribadisco, tuttavia, che quella dell’alleanza a destra non può essere la linea strategica della DC in campo nazionale, restando il centro, il nostro luogo politico nel quale rappresentare gli interessi e i valori dei ceti medi produttivi e delle classi popolari. Se la DC nazionale decidesse di assumere la scelta a destra come quella strategica del partito, non avrei più alcun interesse a rimanere nel partito ridotto al ruolo di ascaro di Cesa e C. So che, per alcuni di voi ,sarebbe il ritorno alla casa madre post DC, dell’UDC, ma, da parte mia non intendo essere risucchiato da un partito che ha “ abusato”, per pura rendita personale di pochi, del nostro glorioso simbolo scudo crociato, riducendosi al ruolo di ruota di scorta di Forza Italia prima e poi della Lega, specie da noi nel Veneto, dove De Poli la fa da padrone, anche se, per essere rieletto, Cesa ha dovuto richiedere alla destra un posto sicuro in un collegio ……delle Marche.

Nemmeno il ruolo di  minoranza critica, cui sono stato ben allenato dalla mia lunga militanza nella sinistra sociale DC di Forze Nuove, potrebbe essere esercitato in un partito che fosse Cesa-Cuffaro dipendente.

Scrivo a te questa nota, per il particolare rapporto umano e politico che ci lega da una vita, scusandomi se non sono riuscito, in questi dieci anni, a fare di più di ciò che con tutta la mia passione ho cercato di infondere a sostegno della DC. Resterò, come ho scritto altre volte, un “ osservatore non partecipante”, sempre disponibile a impegnarmi in un partito di centro democratico, popolare, liberale, riformista, euro-atlantista, alternativo alla destra nazionalista e sovranista, oggi alla  prova di governo per volontà della maggioranza del 64% degli elettori italiani, distinto e distante da una sinistra alla ricerca affannosa della propria identità. Se fosse confermata la nostra tradizionale linea ribadita dal XX congresso del 2018 in poi, sarei bel felice di continuare la mia militanza, che, invece, qualora la DC sterzasse a destra, cesserebbe con effetto immediato.

Grazie per quanto hai fatto in tutti questi anni e un fraterno saluto.

Ettore Bonalberti

 

Venezia, 29 settembre 2022

 

Nessuna risposta a questa lettera da parte di Grassi, mentre, ricevevo dall’amico Carmagnola, segretario amministrativo, legittimo rappresentante della DC, una nota di replica all’On Alessi che vi allego:

Il giorno 09 ott 2022, alle ore 17:05, Mauro Carmagnola <carmagnolamauro@gmail.com> ha scritto:

Caro Alberto, cari Amici,
innanzitutto è stato convocato l'Ufficio Politico e non la Direzione o il Consiglio Nazionale.
Spero per parlare del futuro del partito che si dovrà allineare ai risultati lusinghieri che la Dc siciliana ha ottenuto entro una formula politica di coerenza.
Sono indette per "domani" le elezioni regionali della Lombardia e del Lazio e questo è il problema della Dc: esserci, non con chi esserci.
Nessuno sa quante camicie nere sfileranno tra qualche giorno davanti a Palazzo Chigi per esultare, probabilmente nessuna.
Di certo sappiamo che la ministra renziana e cattolica-adulta Elena Bonetti è riuscita ancora una volta, in extremis, di fronte ai problemi immani che le imprese e le famiglie hanno, emettere in zona Cesarini - scorrettamente - un regolamento educativo pro-gender.
Sono questi gli alleati prediletti da una parte della direzione del partito?
Non so se le camicie nere marceranno su Palazzo Chigi, pacificamente, perchè hanno vinto e non devono compiere alcun golpe.
Sono certo di una cosa.
Che il governo Meloni non avrà come priorità il frociume, coi suoi pseudo-diritti che sono abusi nei confronti degli altri e del buon senso comune, vero e proprio tarlo della sinistra debosciata e dei renziani che di questa sinistra debosciata restano una componente (l'altra fetta del terzo polo è rappresentata da un signore che è l'esatto contrario del pensiero e della prassi politica di Carlo Donat-Cattin, ma i nostri ex forzanovisti non l'hanno ancora capito).
Quindi spero che l'Ufficio Politico non si attardi su queste polemiche, ma proceda all'organizzazione delle prossime regionali, col nostro drappo, così non avremo pretesti per parlar male di Cesa e De Poli: spero ci pensino gli iscritti all'Udc che sono ridotti a zerbino di due personaggi che, risolti i loro problemi all'uninominale, se ne sono fregati della lista Noi Moderati al proporzionale; cosa capita da subito, ma che non ci ha impedito da fare una battaglia, per noi, di coerenza: essere il centro del centro-destra.
E proceda all'organizzazione del Congresso, che se dovrà essere una conta tra chi guarda al frociume ed ai liberali europei e chi resta ancorato ai valori cristiani ed al Ppe sarà finalmente un congresso sull'attualità politica e non sull'evoluzione di Carlo Donat-Cattin che diventa paladino del turbocapitalismo e della lobby gay.
Martedì mattina ci sarò.
Grazie Renato.
Mauro

Alla nota di Carmagnola, che confermava la scelta della DC come “ centro del centro destra” ho risposto con la nota che vi allego nella quale annunci le mie dimissioni irrevocabili dal partito.


Inizio messaggio inoltrato:

Da: Ettore Bonalberti
Oggetto: Re: DC
Data: 9 ottobre 2022 18:37:36 CEST
A: Mauro Carmagnola
Cc: Alberto Alessi , Toto’ Cuffaro , Carlo Senaldi , Stenico Tommaso , Filippo Chiaramonte , Luigi Rapisarda , Luigi D'Agro' , Luigi Baruffi , Renato Grassi , Renato Grassi , Salvatore On Cuffaro

Caro Mauro, Renato Grassi ha partecipato, come anche il sottoscritto, il 6 ottobre scorso al direttivo ella Federazione popolare DC e in quell’occasione ha evidenziato  il valore locale della scelta a destra fatta dall’amico Cuffaro in Sicilia, mentre a livello nazionale ha confermato la scelta al centro della DC alternativa alla destra nazionalista e sovranista e alla sinistra. Ora leggo ( ma l’avevo inteso da tempo) che tu vorresti una DC come il centro del centro destra. La tua antica provenienza UDC è, probabilmente, il richiamo della foresta che conferma come noi “fessi” manteniamo dei principi, mentre voi “furbi” avete solo dei fini. Se questa sarà la linea del partito, diversa da quella che Renato aveva ribadito nei giorni scorsi al direttivo della Federazione Popolare dei DC, come ho già scritto al segretario io non farò più parte del partito ( la lettera se Renato crede potrà essere portata a conoscenza degli amici del CN), né intenderò svolgere una funzione di minoranza di sinistra che, in quelle condizioni e considerati i tuoi superficiali giudizi, risulterebbe più che inutile, patetica. Cose nuove accadranno nella politica italiana e il ruolo dei cattolici democratici e dei cristiano sociali sarà ancora una volta al centro della politica italiana e non ridotti alla subalternità della destra sovranista e nazionalista. Per il resto lascia stare Donat Cattin e Forze Nuove, della cui storia non ricordo tu abbia avuto contezza o svolto un ruolo di qualche rilievo.
attendo le conclusioni cui perverrete nel prossimo ufficio politico, anche se ritengo abbia ragione l’avv Rapisarda, che sarebbe stato meglio convocare il consiglio nazionale, deputato statutariamente a discutere dell’esito elettorale.
Auguro in ogni caso ogni bene al partito in cui ho militato per quasi sessant’anni che, però, con le tue indicazioni coerenti con le scelte siciliane di Cuffaro, non è più il mio partito. Rassegno con effetto immediato le mie dimissioni da ogni incarico e vi saluto cordialmente.
Ettore Bonalberti

E’ un momento doloroso per me, “ DC non pentito”, che ora mi batterò con gli amici della Federazione Popolare dei DC e a quanti della nostra area saranno disponibili, per concorrere alla ricomposizione politica  dell’area cattolico democratica e cristiano sociale, alternativa alla destra nazionalista e sovranista e distinta e distante dalla sinistra alla ricerca della propria identità.

Per chi, come molti o alcuni di voi, segue le mie note, sa che questo è l’obiettivo che continuo a proporre da molto tempo e che manterrò come stella polare del mio ultimo impegno politico. Seguirò da “ osservatore non partecipante” le vicende interne della DC che, temo, con la deriva cuffariana finirà nelle braccia di Cesa e dell’UDC, per ridursi al ruolo di valvassino inutile della destra italiana.

Si chiude una fase importante della mia vita politica, confermandovi che resterò sempre quel “ DC non pentito” che conoscete, sino alla fine…..

Cordiali saluti

 

Ettore Bonalberti

 

Venezia, 11 Ottobre 2022

 

SI al dialogo con l’opposizione parlamentare riformista

 

Dopo il voto settembrino è nata una maggioranza articolata e scomposta, insieme a tre opposizioni: quella più numerosa del PD che, con il congresso avviato, è alla ricerca della sua identità; una di tipo populista, guidata da Conte col M5S e una di tipo liberal democratica riformista rappresentata dal terzo polo di Calenda e Renzi.

Noi DC sopravvissuti alla lunga stagione della diaspora ( 1992-2022) viviamo una fase particolarmente difficile, nella quale emergono due posizioni ben distinte: quella di coloro che hanno condiviso la scelta di Totò Cuffaro che, in Sicilia, ha scelto l’alleanza con la destra, e quella di coloro che come me, sono rimasti coerenti con la scelta per un centro politico nuovo democratico, popolare,liberale, riformista, euro- atlantista, alternativo alla destra nazionalista e populista e distinto e distante dalla sinistra senza identità.

Ora il partito, alla vigilia del congresso nazionale, si trova a un bivio: confermare la scelta siciliana per aderire a un’alleanza con la destra italiana, oppure riprendere il dialogo con i parlamentari del Terzo polo disponibili a concorrere alla costruzione del nuovo centro della politica italiana. Considero la scelta a destra del partito errata e contraria a tutta la storia politica e culturale dei cattolici democratici e cristiano sociali di cui, in questi dieci anni ( 2012-2022), ci siamo considerati legittimi eredi. Una scelta tanto più improponibile da realizzare con amici come i sopravvissuti dell’UDC, i quali, come ha ben scritto Carmagnola, in tutti questi anni hanno “abusato” dell’utilizzo del nostro glorioso simbolo scudo crociato per esclusiva rendita politica personale, spostandosi ora dalla parte di Forza Italia, ora da quella della Lega e finendo nel ruolo subalterno della destra estrema di Fratelli d’Italia e della Meloni. Come si possa ipotizzare addirittura l’unificazione con l’UDC, dopo le tante prove negative vissute, se può trovare una giustificazione tattica nella scelta di Cuffaro, con la quale sei consiglieri regionali si sono potuti eleggere al parlamento siciliano, o per tanti degli amici i quali quell’esperienza UDC l’avevano già vissuta dopo la fine della DC storica, non può assolutamente trovare l’adesione da chi, come il sottoscritto, dal 1993 si è battuto per la ricomposizione politica della DC, partito mai giuridicamente sciolto, da “ democristiano non pentito”. Nessuna pregiudiziale, ovviamente, per ricomporre l’unità possibile dei DC, ma sull’alleanza con la destra della politica italiana, non ci sarà mai la mia adesione, sempre convinto dagli insegnamenti dei nostri padri fondatori che vollero la DC partito “ democratico, popolare e antifascista”, rifuggendo sempre le tentazioni di alleanze organiche con la destra italiana.

Quanto ha scritto l’amico Giorgio Merlo su “ Il Domani d’Italia” in merito al progetto politico del terzo polo che non potrà perseguire l’obiettivo calendiano di “un partito repubblicano di massa”, una sorta di azionismo ex post che, ora come allora, non potrebbe che risultare del tutto minoritario, coincide con la nostra stessa idea; semmai, condividendo quanto espresso da Matteo Renzi nell’intervista all’Avvenire del 1 Ottobre, vorremmo concorrere alla costruzione di un partito nel quale la presenza della componente cattolica fosse decisiva. Certo, come scrive Renzi:” I sovranisti e i populisti prendono pezzi di mondo cattolico, ma l’anima culturale del pensiero politico popolare guarda al centro riformista”. Sì, tra l’adesione alla destra, per me un suicidio strategico per la DC, e il NO all’alleanza con l’opposizione populista del M5S o a quella con il PD in corso di restauro strutturale, credo che la nostra prospettiva sia quella di un incontro con l’opposizione di centro riformista che potrebbe assumere un ruolo decisivo per gli equilibri politici dell’Italia. Progetto al quale io credo potrebbe concorrere anche l’amico Bruno Tabacci, di sicura antica fede democratico cristiana.

Ridursi al ruolo di valvassini della destra se può garantire, come a Cesa e De Poli, il galleggiamento politico, ora di qua e ora di là dei collegi elettorali sicuri, non può essere il progetto politico del partito che intende collegarsi alla storia del popolarismo sturziano e della DC di De Gasperi, Fanfani , Moro, Zaccagnini, Marcora e Donat Cattin. Riprendere il dialogo al centro con l’opposizione riformista liberal democratica, credo, possa e debba essere la strada migliore da intraprendere con fiducia e forte determinazione.

 

Ettore Bonalberti

4 Ottobre, 2022

 

 

 


Le due colonne portanti della Prima Repubblica, è tempo di riflessione

 

Con la vittoria della destra alle politiche d’autunno emerge il deserto delle culture politiche che sono state le colonne portanti della prima repubblica: quella della DC e dell’area cattolico democratica e cristiano  sociale e quella del riformismo social comunista, che il PD non ha saputo rappresentare nella lunga stagione del passaggio traumatico del 1993, nel quale il PCI seppe trarre vantaggio dal ruolo svolto dalla magistratura a senso unico, per volute inadempienze o per impossibilità, come il neo deputato Carlo Nordio, ebbe modo di evidenziare quando svolgeva le sue funzione di magistrato inquirente, oggi eletto nella lista di Fratelli d’Italia.

Da un lato la DC paga il conto della lunga stagione della diaspora ( 1993-2022) non ancora giunta al suo termine, con diversi naviganti che hanno saputo sopravvivere, a destra e a sinistra; in alcuni casi ( Cesa e C.), abusando per mera rendita personale dello scudo crociato consegnato loro in eredità illegittima da Casini, finendo col diventare valvassini di Forza Italia prima e, poi, della Lega. In altri ( Rotondi, come già Raffaele Fitto) passando dalla scuderia del Cavaliere a quella di Fratelli d’Italia, dimentico Rotondi del suo antico percorso nella sinistra sociale della DC, con Gerardo Bianco e Carlo Donat Cattin.

Anche noi che dal 2012 abbiamo tentato di dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010 ( “ La DC non è mai stata giuridicamente sciolta”) battendoci per la ricomposizione dell’area DC, dobbiamo amaramente constatare il fallimento del nostro progetto, non essendo stati in grado di presentare né il simbolo, né nostre candidature alle ultime elezioni politiche.

Qualche amico si consola, per il risultato ottenuto dalla cosiddetta “ Nuova DC” di Totò Cuffaro in Sicilia, dove, nonostante la disponibilità offerta dal terzo Polo a sostegno della candidatura del Prof Armao, ha deciso di cambiare alleanza, legandosi alla destra e alla candidatura alla presidenza regionale dell’On Schifani. Un risultato che non può che dirsi riuscito sul piano tattico, con l’elezione avvenuta di sei consiglieri regionali “cuffariani”, ma senza una reale prospettiva strategica, almeno sul piano nazionale. Restiamo convinti dell’idea che il leader della DC cilena, Gabriel Valdes, pronunciò al tempo della lotta contro Pinochet: “ se vinci con la destra è la destra che vince”. Il tempo, e credo anche a breve termine, ci dirà come andranno le cose, ma, da parte mia, continuo a pensare che per la DC, o  per ciò che ancora rimane di essa, se non ci si vuol ridurre al ruolo di ascari del trio Cesa e C. e della trimurti di destra ( Meloni-Salvini-Berlusconi) il suo ruolo politico debba rimanere quello di un partito di centro democratico, popolare, liberale, riformista, euro atlantista, alternativo alla destra nazionalista e populista e distinto e distante da una sinistra senza identità. Come seppe fare la DC nella prima Repubblica, compito di un partito di centro siffatto dovrebbe essere quello di saper favorire l’equilibro degli interessi e dei valori tra ceto medio produttivo e classi popolari, venendo meno il quale, con la fine della DC, hanno potuto emergere i populismi del Cavaliere prima e poi, in rapida successione: della Lega , del M5S sino all’attuale egemonia della destra di Fratelli d’Italia e della sua leader Giorgia Meloni.

Nessuna possibilità che questo ruolo possa essere svolto senza una seria riflessione all’interno della complessa e articolata area culturale e sociale cattolica. 

E’ suonato forte e chiaro il monito del presidente della CEI, card Zuppi  che, alla viglia del voto, richiamando l’appello alle donne e agli uomini del nostro Paese del Consiglio episcopale permanente riunitosi a Matera, ha affermato: “l’agenda dei problemi del nostro Paese è fitta: le povertà in aumento costante e preoccupante, l’inverno demografico, la protezione degli anziani, i divari tra i territori, la transizione ecologica e la crisi energetica, la difesa dei posti di lavoro, soprattutto per i giovani, l’accoglienza, la tutela, la promozione e l’integrazione dei migranti, il superamento delle lungaggini burocratiche, le riforme dell’espressione democratica dello Stato e della legge elettorale”. 

Temi e indicazioni da approfondire sono anche quelli evidenziati nell’appello delle cinquanta personalità di area cattolico democratica, che hanno indicato obiettivi e priorità strategiche dell’Italia alla vigilia del voto.

Di diverso orientamento quello indicato da una decina di movimenti e gruppi di area cattolica moderata che hanno scelto di votare per Forza Italia e lo schieramento di destra, considerando il partito del Cavaliere “il simbolo piu' vicino al nostro patrimonio culturale e politico”.  Sono proprio questi due ultimi appelli l’estrema semplificazione della distinzione espressa poi nel voto tra i cattolici della morale e cattolici del sociale; una distinzione che non era mai intervenuta, seppur presente, né nell’esperienza sturziana del PPI che nella DC da De Gasperi sino alla fine politica di quel partito. Tra quelle due esperienze storiche e il tempo che viviamo si è vissuto la dolorosa “demodissea post DC”, nella lunga stagione della diaspora che, col voto di domenica scorsa, ha raggiunto il suo apogeo.

Ricomporre questa complessa realtà cattolica, sociale, culturale e politica comporterà un’azione di notevole impegno a partire dalle realtà ecclesiali che, dai vertici della CEI dovrà veder scendere per li rami, tra i vescovi delle diverse diocesi e tra i parroci di tutte le chiese territoriali, quanto indicato dal Papa e dalla CEI sull’impegno politico dei cattolici. In quelle sedi si dovrà riconsiderare criticamente il tempo del disimpegno politico dei cattolici e quello della testimonianza plurima nei diversi partiti, che fu la scelta della stagione ruiniana, che, alla fine, ci ha condotto alla nostra attuale definitiva irrilevanza. Anche dopo il voto il cardinale emiliano è intervenuto, anche stavolta con una netta propensione e apertura nei confronti della destra, sempre in linea con la sua antica alternatività a Dossetti e al dossettismo politico.

Analoga riflessione dovrà essere compiuta nel PD, erede della seconda colonna portante della prima Repubblica, nato dalla fusione a freddo tra gli eredi del PCI e una parte della sinistra politica della DC. Qui si tratta di superare il limite d’origine denunciato dal prof Del Noce, quando il partito, da strumento rappresentativo dei lavoratori, ha assunto progressivamente i caratteri di un partito vicino alle posizioni neo liberiste e dei gruppi finanziari dominanti, dando anche ampio spazio all’interno alle posizioni laiciste e radicali degli Zan e delle Cirinnà, alternative a quella dei cattolici della morale, difensori dei valori non negoziabili, che, anche per questo, hanno finito col sostenere i partiti della destra italiani.

Gravissima responsabilità è quella assunta dal PD nell’avallare il sostegno alla legge elettorale del rosatellum che, in assenza dell’alleanza vasta col M5S a sinistra, ha finito col favorire nei collegi uninominali le candidature unitarie della destra. Anche noi DC e popolari se vogliamo concorrere alla costruzione del nuovo centro, abbiamo bisogno di tornare alla legge elettorale proporzionale con le preferenze, sul modello tedesco, unico strumento in grado di rappresentare la reale consistenza del consenso popolare, drammaticamente sceso al punto morto inferiore, con meno del 64 % dei partecipanti al voto il 25 settembre scorso.

Il tema prevalente e prioritario cui ci si dovrà impegnare nelle proposte di programma è quello della lotta alle diseguaglianze sociali e territoriali che caratterizzano la società italiana, squassata da una povertà di oltre sei milioni di cittadini, con punte di povertà assoluta attorno al milione e cinquecentomila unità. Su questo tema si misurerà il confronto con le politiche della destra ora chiamata a governare l’Italia, insieme a quelle che attengono alle nostre scelte in politica estera europea e atlantica. Il prossimo seminario annunciato dai cattolici democratici mi auguro possa fornire alcune indicazioni positive nel merito, così come il dibattito precongressuale aperto da Letta nel PD, darà modo di esprimersi alle diverse realtà presenti in quel partito, dove non mancano componenti ispirate da interessi e valori compatibili con quelli che anche noi DC e Popolari ritroviamo espressi nella Carta fondamentale della Repubblica; la Carta che intendiamo difendere e attuare in tutte le sue parti, a cominciare dall’applicazione dell’art.49 all’interno di tutti i partiti, insieme alla forma di repubblica parlamentare consegnataci dai nostri padri costituenti. Se da quelle che furono le colonne portanti della prima Repubblica e, soprattutto, dai mondi culturali e sociali che a esse hanno fatto e fanno ancora riferimento, verranno alcune proposte di programma all’altezza dei bisogni della società italiana, anche dall’opposizione democratica al governo della destra, potrà venire un contributo positivo per l’Italia.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 30 Settembre 2022

La parola al consiglio nazionale della DC

 

Nel prendere atto che diverse associazioni e movimenti dell’area cattolica hanno sostenuto le liste della destra italiana e che il nostro amico Cuffaro in Sicilia, rovesciando l’indicazione della direzione nazionale del 9  agosto ha deciso di cambiare l’alleanza con il terzo polo, in Sicilia favorevole alla DC, per stipulare quella con la destra, ritengo sia giunto il tempo di un confronto serio in sede nazionale per discutere la linea che ci eravamo dati al XX Congresso nazionale del partito nel 2018; linea riconfermata in tutte le riunioni del CN e della direzione nazionale  successive.

So che alcuni amici del consiglio nazionale sono orientati a destra, mentre da parte mia intendo confermare la posizione storica della DC, ossia quella di un partito “ democratico, popolare e antifascista”, aperto alla collaborazione con chi intende difendere e attuare integralmente la Costituzione repubblicana.

Non appartengo alla schiera di coloro che attribuiscono all’On Meloni il rischio di ritorni impossibili al fascismo, ma sono seriamente preoccupato per quanto prima e durante il passaggio elettorale, Fratelli d’Italia ha dichiarato sul piano delle scelte europee e sulla politica economica e finanziaria del Paese. So che pensare di essere da soli nel mondo è il limite del sovranismo. Non solo siamo collegati, ma sono i poteri finanziari che, nell’età della globalizzazione,  dettano il tempo e fissano le condizioni, i termini e i modi all’economia reale e alla stessa politica. Attendiamo il nuovo governo della destra all’impegno di guida del Paese e formuleremo i nostri giudizi su atti e fatti concreti. Avevamo indicato alcune proposte di riforma economiche e finanziarie, di cui non si trova traccia in nessuno dei partiti che si sono presentati alle elezioni. Il PD paga il suo errore d’origine che, ben aveva evidenziato il prof Augusto Del Noce, ossia quello di una deriva da partito dei lavoratori a partito radicale di massa. Gravissimo l’aver dato fiato alle spinte degli Zan e delle Cirinnà, in netta alternativa al sentir medio dell’elettorato cattolico, giustamente a difesa dei valori non negoziabili. Un elettorato che, alla fine, con molte organizzazioni di area ha deciso di scegliere il voto a sostegno della destra.  Prendiamo, però, realisticamente atto che non si tratta più di avere come interlocutore il centro destra a trazione forza Italia, ma di una destra centro egemonizzata dal prevalere del partito di Fratelli d’Italia. La DC, come nei momenti migliori della sua storia, a mio parere dovrà essere opposizione a questa destra per concorrere al progetto di ricomposizione del centro nuovo della politica italiana, alternativo alla destra nazionalista e populista e distinto e distante dalla sinistra senza identità. Dovremo allacciare rapporti con i pochi parlamentari eletti sia nel terzo polo, che negli altri partiti, i quali siano collegati alla nostra tradizione culturale, sociale e politica. Il terzo polo non ha raggiunto il risultato sperato e l’aspirazione azionista di Calenda si è infranta contro la realtà di un Paese nel quale quella cultura è sempre stata espressione minoritaria e di élites laico radicali. Mi auguro che Matteo Renzi se ne sia reso conto e torni a considerare la possibilità di un incontro con la cultura democratico cristiana e popolare di cui il Paese ha bisogno. Continuiamo a ritenere, infatti, che in quel 50% di renitenti al voto che indicano la grave crisi di rappresentanza politico istituzionale italiana, un ruolo consistente sia stato esercitato da elettrici ed elettori che non trovano più risposte ai loro interessi e ai loro valori, tra i quali, molti della nostra area culturale, sociale e politica.

Dovremo riprendere i rapporti con gli amici della Federazione Popolare, di cui siamo parte integrante e attiva, a quelli  di Insieme e alle numerose associazioni e gruppi dell’area cattolico democratica e cristiano sociale che si collegano alla tradizione politica sturziana e degasperiana. Dobbiamo ritrovarci a condividere un programma dei DC e Popolari per l’Italia con il quale intendiamo inverare nella “città dell’uomo” le indicazioni della dottrina sociale della Chiesa, come scrive l’amico Gubert, nella loro “ integralità”. Netta la nostra scelta euro atlantica, contro ogni tentativo che Salvini e gli amici della Meloni intendessero indebolirla, così come forte dovrà essere il nostro impegno per combattere le diseguaglianze intollerabili presenti nella società italiana, cause importanti del risultato elettorale. Sappiamo che compete innanzi tutto a noi concorrere alla difesa e attuazione integrale della Costituzione, a quella della repubblica parlamentare, al ritorno alla legge elettorale proporzionale con preferenze, conditio sine qua non per la rinascita del centro, e per l’applicazione in tutti i partiti dell’art 49 della Costituzione. Sappiamo, infine, che compito dei DC e dei Popolari, come nella migliore storia repubblicana, sia quello di impegnarsi per garantire l’equilibri tra interessi e valori dei ceti medi produttivi e delle classi popolari. Un equilibrio precario che, con le scadenze e gli impegni d’autunno, sarà messo a dura prova. Il presidente Gubert convocherà il nostro consiglio nazionale e con gli eletti all’ultimo congresso del partito, alla luce del voto del 25 settembre, saremo chiamati a decidere se e come procedere, alla fine di questa ingloriosa Demodissea, che ha connotato la dolorosa diaspora degli ultimi trent’anni ( 1993-2022).

 

Ettore Bonalberti

 

Venezia, 27 settembre 2022

 

Nelle mani di Giorgia

 

L’Italia vira a destra e ha deciso di mettersi nelle mani di Giorgia Meloni. Gli elettori italiani, con una partecipazione al voto, seppure quella peggiore alle elezioni politiche ( 64%), è risultata  superiore a quella prevista, bocciano Draghi e scelgono la destra, affidando il governo alla leader più estremista della storia nazionale dopo Benito Mussolini. Vince, infatti, il partito di estrema destra e quello della protesta a corrente alternata di Conte; escono sconfitti pesantemente PD e Lega, col terzo polo che non sfonda. Anche Forza Italia sconta le perdita d’appeal del Cavaliere, finendo con l’assumere il volto della fotocopia della Lega in netto calo di consensi. Fallimentare l’investimento di Tabacci su Di Maio, che termina la sua corsa parlamentare insieme ai fedelissimi che l’hanno seguito nella scissione del movimento grillino e di Forza Italia. Ha nettamente prevalso il voto di protesta contro la lunga stagione del PD al governo e contro le scelte dello stesso Draghi, che gli elettori hanno considerato una criticità anziché una risorsa.

Cambia pelle il centro destra italiano che, dalla guida del Cavaliere prima e di Salvini per una breve stagione poi, diventa a tutti gli effetti la destra a egemonia della “ sora Giorgia”, non a caso immediatamente acclamata dagli euroscettici ungheresi di Orban e dal partito spagnolo dell’estrema destra. Con la vittoria della destra anche in Svezia, cambia profondamente la composizione del Consiglio europeo, sin qui basato sull’asse competitivo-collaborativo popolari-socialisti.

Si apre una stagione completamente nuova e diversa della politica italiana, in attesa delle reazioni dei nostri alleati euro atlantici e dei mercati finanziari, termometri sensibilissimi e influenti nell’età della supremazia della finanza sull’economia reale, sulla politica e sui suoi esponenti più rilevanti. Molto dipenderà dalla formazione del nuovo governo e dalle principali scelte che lo stesso assumerà verso l’Unione europea e nei rapporti con gli USA e la NATO. Assai pesanti sono i problemi che la destra di governo dovrà immediatamente affrontare: debito pubblico, pensioni, fisco e concorrenza, sono le questioni più urgenti alle quali sono collegati i fondi previsti dal PNRR, la cui disponibilità è nelle mani dell’esecutivo europeo.  Ad essi si aggiungono la posizione dell’Italia sulla guerra di invasione russa all’Ucraina, l’inflazione, la crisi energetica e quella di tante piccole  e medie industrie italiane. Tutti fattori che annunciano un autunno caldissimo per l’occupazione e la stessa tenuta del sistema sociale. Alla Meloni, futura leader di governo, spetterà trovare soluzioni coerenti e compatibili dopo le strambate più volte espresse da Salvini, leader azzoppato di una Lega il cui elettorato si è trasferito in gran numero a Fratelli d’Italia, specie nelle realtà regionali del suo più importante insediamento al Nord del Paese. Toccherà a Lei decidere se restare coerente alle precedenti ondivaghe dichiarazioni o prendere atto del realismo che la guida di governo comporterà. Il Sud ha scelto la strada dell’assistenzialismo assicurato e ha votato Conte e il M5S, terzo partito italiano col suo leader, avvocato d’ufficio del reddito di cittadinanza, che brandirà come una clava contro ogni tentativo di modifica e/o di annullamento.

La sinistra e il PD in particolare, paga la lunga stagione di permanenza al governo, senza più identità e l’incapacità di costruire un’alleanza forte che, visti i risultati, avrebbe potuto meglio sostenere il confronto con la destra. Si apre nel partito il congresso che deciderà la leadership nella nuova fase di principale partito di opposizione.

Il Terzo Polo non è riuscito a sfondare, ma, in ogni caso, penso sia anche con loro che DC e Popolari dovranno tentare di ricomporre il centro nuovo della politica italiana. Un centro, oggi scomparso dopo il voto di ieri. Il velleitario tentativo di Calenda di presentarsi come l’erede della nobile storia del partito d’azione, ha confermato che quella cultura politica era e rimane un elemento minoritario ed elitario della politica italiana.

Noi DC e Popolari, privati del nostro simbolo e di candidati di nostra diretta rappresentanza, eravamo liberi di votare secondo scienza e coscienza, per cui nello scontro destra-sinistra, è mancato l’apporto della componente cattolico democratica e cristiano sociale che ha svolto un ruolo decisivo in molti momenti decisivi della lunga storia nazionale e repubblicana in particolare.

Quanti dell’area cattolico moderata, e sono stati molti, hanno scelto di votare a destra dovranno sperimentare l’aforisma di un grande leader della DC cilena di Rodomiro Tomic, Gabriel Valdés:” se vinci con la destra, è la destra che vince”.

Anche quelli fra di noi, come l’amico Cuffaro, che, alle regionali siciliane, ha deciso di cambiare alleanza, passando dal terzo polo a destra, se, da un lato, porterà alcuni suoi fidati amici nel consiglio regionale, dall’altro  verificherà che, a destra, non ci sarà prospettiva strategica per la DC. Una seria riflessione si imporrà anche al nostro interno, squassato da divisioni che, soprattutto, nelle elezioni siciliane, sono state particolarmente forti. Una cosa è certa: da soli non siamo riusciti nemmeno a presentare una nostra lista, e continuando così non avremo futuro. La ricomposizione della nostra area sociale, culturale e politica, sarà un’opera di grande impegno e di lungo tempo, da avviarsi a partire da un progetto di formazione pre politico che compete a quanti, dopo di noi della quarta e ultima generazione democratico cristiana, intendono battersi per un progetto di ispirazione popolare in grado di saldare gli interessi dei ceti medi produttivi con quelli delle classi popolari.

Noi il nostro compito l’abbiamo svolto nella lunga stagione della diaspora che, con questo voto, è giunta al suo epilogo. Molto, se non tutto, è stato sbagliato e tutto è da rifare. Mondo cattolico nella sua multiforme espressione, categorie sociali di ispirazione cattolica, movimenti e gruppi di area, dovranno ricostruire dal basso l’unità possibile che è drammaticamente mancata per questo ennesimo appuntamento politico.

E’ tempo di concordare un progetto politico fondato sui valori e i principi della dottrina sociale cristiana, come nella migliore storia dei Popolari sturziani prima e del democratici cristiani per oltre quarant’anni di egemonia nella politica italiana. Le risorse dottrinali non ci mancano, se, rileggendo le ultime encicliche sociali della Chiesa, ci si impegnerà a proporne le concrete traduzioni nella “ città dell’uomo” di oggi. Dopo, solo dopo, si porrà la questione del progetto organizzativo per l’unità possibile, che, inseguita per quasi vent’anni ( 1993-2022) col voto di ieri si è dimostrato errato e drammaticamente fallito.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 26 Settembre 2022

 

 


La nostra prospettiva resta quella del centro della politica italiana

 

Qualunque sia l’esito del voto e tutto fa presupporre che, ahinoi, prevarrà la destra con la Meloni  e Fratelli d’Italia primo partito, la nostra prospettiva rimane al centro della politica italiana. Grave e per molti versi stupido, secondo il terzo principio della stupidità di Cipolla, il NO di Calenda al nostro simbolo e alla partecipazione di nostri candidati nella lista del terzo polo, e neghittosa l’accettazione di Renzi di quel diktat. Calenda coltiva l’ambizione di rappresentare l’area liberale e di un nuovo e fuori tempo “azionismo de noantri” che, in continuità con quella storia, non può che aborrire un’alleanza con la DC e i Popolari. Meno comprensibile Renzi che, di questa nostra storia politica e culturale, è stato pure partecipe. I risultati del prossimo 25 settembre ci diranno se e chi ha avuto ragione. Noi, privati del simbolo e di candidati, come ha condiviso la direzione nazionale DC del 6 settembre scorso, saremo liberi di votare secondo scienza e coscienza, decidendo in base ai candidati presenti nelle diverse liste più vicini ai nostri principi, interessi e valori.

Da parte mia, come ho più volte sostenuto, non sarò mai a sostegno della destra nazionalista e sovranista, che ai nostri alleati euro atlantici appare, da un lato, continuatrice della cultura post fascista  e anti europea( la Meloni) e dall’altra ( Salvini) filo putiniana.

Spiace che qualche autorevole amico abbia deciso, credo per preminenti ragioni tattiche, l’alleanza con questa destra e, soprattutto, con amici come quelli del trio UDC di Cesa e C. con i quali abbiamo un contenzioso aperto da molti anni, nei quali il trio UDC dei sopravvissuti a destra, hanno lucrato abbondantemente dell’”abuso” dell’utilizzo del nostro storico simbolo scudo crociato, come ha ben evidenziato l’amico Carmagnola, il quale ha annunciato di riaprire il contenzioso su questo tema dopo il voto.

Nessuna possibilità di alleanza strategica con la destra, e spiace quella fatta da quel campione di sopravvivenza al galleggiamento fatta dall’amico Rotondi che consideravo “ il miglior fico del bigoncio”, il quale, navigando da manca a dritta e di bolina, ha finito col diventare uno dei più appassionati sostenitori della “Sora Giorgia”, alleata della destra di Orban. La DC dopo il voto, in continuità della sua storia politica, ossia di un partito che, noi vecchi DC della DC storica, abbiamo sempre connotato come: “ popolare, democratico e antifascista”, saremo ancora una volta alternativi alla destra nazionalista e populista e distinti e distanti dalla sinistra senza identità. Contrariamente a qualche amico che, per errate considerazioni sul piano etico, ha scelto la destra, crediamo, infatti, che dopo il voto sarà  necessario riprendere a tessere il filo con gli amici del terzo polo e con quanti anche nell’area del PD, sono interessati a concorrere alla ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale. Sì un centro politico nuovo è possibile e la partecipazione di una forte componente popolare e democratica indispensabile. Ci auguriamo che Matteo Renzi, torni ai principi e ai valori della sua origine politica, che è quella dei popolari e democratico cristiani e con lui e con gli amici che saranno eletti del terzo polo, si possa, quindi, riaprire un dialogo, stupidamente interrotto dal diktat calendiano. L’idea ambiziosa della ricostruzione del vecchio partito d’azione, Renzi la lasci a Calenda, convinto, insieme a noi che, come nella migliore storia della nostra Repubblica, l’apporto della componente democratica cristiana e  popolare è tuttora determinante. Avremo modo di ragionare con più elementi a disposizione dopo il voto del 25 settembre, ma, intanto, riconfermiamo che il nostro progetto politico era e rimane quello di un centro politico nuovo nel quale la componente democristiana e popolare sia ben rappresentata. Nel frattempo, come DC e Popolari lanciamo l’idea di un comitato per la difesa della repubblica parlamentare, il ritorno alla legge elettorale proporzionale con le preferenze e l’applicazione dell’art.49 della Costituzione in tutti i partiti politici che intendono concorrere alla vita politica della nazione.

 

Ettore Bonalberti

22 Settembre 2022


Al di là della distinzione tra cattolici della morale e cattolici del sociale

 

Seguo con interesse il dibattito apertosi sulla questione dell’impegno politico dei cattolici italiani che, dopo l’infelice fase ruiniana della testimonianza diffusa e plurima nei diversi partiti, sembra faccia tornare l’esigenza di una rinnovata presenza politica e organizzativa se non dei cattolici, almeno di una larga parte di cattolici italiani.

Ho speso gli ultimi venti anni (1993-2022) del mio impegno politico per l’obiettivo della ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale, ossia dei due filoni essenziali nei quali si è sviluppata la nostra storia, dal popolarismo alla Democrazia Cristiana. Mai si pose in quella lunga stagione la distinzione euristica tra cattolici della morale e cattolici del sociale, questione che si è venuta caratterizzando soprattutto nel momento in cui, gli eredi confusi e indistinti della vecchia sinistra marxista, si sono incontrati con alcune componenti della sinistra politica della DC, dovendo subire, alla fine, una deriva di tipo radicale e laicista, come aveva ben profetizzato il prof. Augusto Del Noce.

Di qui l’emergere di una sinistra sempre più dimentica di quei valori non negoziabili dei cattolici, dimenticanza mai sufficientemente contrastata all’interno di quel partito dagli ex DC, i cosiddetti “cattolici adulti”. Gioco facile, allora, per la destra assumere, con diversa reale consapevolezza, la difesa pubblica di qualcuno di quei valori, finendo col caratterizzare il bipolarismo forzato da leggi maggioritarie insulse ( dal mattarellum, porcellum, rosatellum) tra una destra, espressione dell’area della morale e una sinistra di quella del sociale. Almeno così sembra essere vissuta da molte frange della nostra vasta e articolata area culturale e politico sociale. Emblematica al riguardo la scelta di Cesana e di CL a sostegno del centro destra e anche di alcuni amici della nostra area DC.

Una rappresentazione, in realtà falsa e strumentale, giunta persino all’ostentazione pubblica del rosario da parte di Salvini, mentre la difesa del matrimonio, intesa come unione di un uomo e una donna, se a sinistra é superata dalle diverse teorie del gender et similia sempre evidenziate dai cattolici della morale, a destra,  è assunta da tre leader che sono, o non sposati ( Meloni), o con qualche matrimonio alle spalle ( Salvini), sino alla caricatura dell’invenzione del nuovo matrimonio fasullo come quello ultimo del Cavaliere. E, noi cattolici, privi di un partito di riferimento condiviso, siamo costretti, come nel prossimo voto politico, a scegliere tra questa destra, quella sinistra, o rifugiarci nell’astensione, dopo che il terzo polo, nostro approdo naturale, ci ha rifiutato la rappresentanza facendo prevalere il NO secco del rinato azionismo calendiano “de noantri”. E’ evidente che condivido con gli amici “cattolici della morale” la difesa strenua dei nostri valori non negoziabili, convinto come sono che, come ha scritto recentemente l’amico Franco Banchi:  non ci devono essere “cattolici della morale” e “cattolici del sociale” come se i secondi potessero rinunciare ai principi e ai valori di riferimento essenzaili. È nostra convinzione, a maggior ragione a fondamento degli impegni elettorali volti al bene comune, che l’ispirazione e l’azione dei cattolici deve coniugare obbligatoriamente entrambi gli aspetti”. E questo vale sia per coloro che voteranno a destra, per evitare che si continui a predicare bene razzolando male, che a sinistra, dove le posizioni radical laiciste alla Zan, ahinoi mai contestate dagli ex DC, Letta, Franceschini, Bindi e C., debbano prevalere. Com’ è ben noto, né a destra, né a sinistra ci troviamo a nostro agio. Il terzo polo era e sarà l’area nella quale dovremo concorrere alla costruzione del centro politico nuovo che, come scrivo da sempre, dovrà essere un centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, alternativo alla destra nazionalista e populista, distinto e distante dalla destra.

Non credo abbia senso discutere sul pericolo del “fascismo” di questa destra, quanto, piuttosto, della possibilità che questa classe dirigente da essa espressa possa guidare il Paese in una delle più difficili fasi della sua storia e in presenza di quelle che ho definito le cinque piaghe del nostro autunno: la guerra, la pandemia, l’inflazione, la crisi energetica, la siccità. Cinque piaghe alle quali si aggiunge il dato drammatico della povertà, che colpisce oltre sei milioni di persone, con 1,5 milioni in condizioni di povertà assoluta. Tutto questo, in un Paese in preda a una crisi di sistema caratterizzato da un’astensione dal voto di oltre il 50%, destinata ad ampliarsi. E non si tratta solo delle competenze specifiche delle personalità politiche in questione, ma della loro reale credibilità ai livelli europei e atlantici, ossia verso i nostri storici alleati della cui collaborazione e amicizia politica l’Italia ha assoluta necessità. In politica “ vale ciò che appare” e ai nostri alleati euroatlantici la credibilità e fedeltà dei leader della destra è ridotta a zero. Sono partite le prime “veline” sui fondi russi ai partiti europei e il ministro degli esteri, non un Di Maio qualsiasi, ha già annunciato l’arrivo del dossier italiano. Di fronte a una crisi sociale dovuta alle cinque piaghe, con la possibilità che possa sfociare in una rivolta sociale molto più consistente di quella dei “gilet gialli” francesi, un governo guidato dal trio nel quale uno è alleato del partito di Putin, l’altra con quello di Orban, e il Cavaliere ridotto a un ectoplasma, non potrà durare che l’espace du matin. Comunque la si giri la ricomposizione politica della nostra area cattolico democratica e cristiano sociale, non è una mera chimera di nostalgici “ DC non pentiti”, ma un’esigenza reale del Paese, come lo è stata in altri momenti fondamentali della nostra storia.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 18 settembre 2022

Va bene ripartire dalla base, ma servono alcune regole

 

Al mio editoriale pubblicato su www.ilpopolo.cloud : Il nostro ruolo in una fase delicatissima della vita politica italiana, un caro amico DC polesano, il prof Roberto Berveglieri, ha replicato con questa nota: Caro Ettore ti ho già detto che sei un animo generoso, ma purtroppo c è un proverbio ferrarese che dovresti conoscere: "Cal sumar quando l’ha impara ad lassar lì ad magnar l'è mort ( quel somaro quando ha imparato a smettere di mangiare, è morto). Voglio dirti che bisogna abbandonare l’ idea di chiamare i soliti noti. Basta, bisogna partire dal basso, una "Camaldoli nuova con gente nuova, e penso anche un altro luogo simile, a presto, ciao”.

Una riflessione amichevole e franca che fa il paio con quella di un altro dirigente già della DC di Cremona, il Dr Giampiero Comolli, il quale scrive: “Caro Ettore grazie ancora per gli sforzi, la passione, la costanza e la proposizione lucida e corretta di tutti i tuoi recenti interventi che messi in ordine temporale confermano anche una linearità di pensiero politico morale-sociale sostanziale e formale. Cacciari ha ragione: dovremmo come cattolici prenderne atto al 100% soprattutto in termini di operatività e scelte politiche chiare nette. La DC non si rifonda più. Lo sparpagliato individualismo, senza una barra dritta da 30 anni è la prova inattaccabile. Camaldoli2022 deve riproporre una figura politica senza pregiudiziali, senza citare destra e sinistra, mettere insieme non a parole ma con progetti sociale e morale, terzo settore e finanza, economia e servizi alla persona soprattutto laici, guardare ai giovani e non a qualche cariatide egoista solitaria pronta all’inchino. Questa non è progetto politico: dobbiamo sposare una formula laica-etica di concrete proposte ordinarie quotidiane diffuse che elimini tutte le disuguaglianze concrete non morali. La costituzione ha bisogno di adeguamenti come la legge elettorale, come le regole in parlamento. Come il partigianato non può essere appannaggio solo di una parte politica e di 40enni neanche figli e nipoti di veri partigiani! Dopo 70 anni alcuni cambi pesanti sono un segnale e progetto politico vero!  Oggi lavoro, reddito, casa, salute, scuola, ambiente, economia reale ...devono essere gli altri punti solidi.  Tutto il resto sono dibattiti di folclore e di salottieri inutili che allontanano dalla politica sana e vera. Non voglio negare la DC assolutamente, ma oggi solo la sua sigla fa venire a molti la scarlattina! Sbagliato certamente, ma se vuoi fare politica devi saperti anche proporre e adeguare modus per modi. Un abbraccio grande grande e ....sperem!”

Credo si debba partire da queste indicazioni anche critiche, che si dovranno approfondire ancor meglio dopo i risultati delle prossime elezioni politiche.

E’ evidente che, da alcuni amici da sempre vicini alle nostre posizioni, emerga una sfiducia generalizzata sulle conseguenze delle nostre  insufficienze e responsabilità culminate nel rifiuto di Carlo Calenda, ertosi a rappresentante del nuovo azionismo italico, al riconoscimento del nostro simbolo e di nostre candidature nelle liste del terzo polo. Un rifiuto che, seppur ci lascia piena libertà di voto, non per questo deve farci deflettere dalla decisione assunta unanimemente nella direzione nazionale del 9 agosto scorso, per un voto al centro, alternativo alla destra nazionalista e populista e distinto e distante dalla sinistra senza identità. Crediamo, infatti, che la nostra prospettiva strategica rimanga quella di concorrere alla costruzione del centro politico nuovo della politica italiana, nel quale il ruolo degli amici DC, della Federazione Popolare DC, di Insieme  e delle numerose associazioni, movimenti e gruppi di area cattolico democratica e cristiano sociale che condividono tale obiettivo sia ben rappresentato.

Avevo indicato come strumento operativo urgente la creazione di un Comitato dei popolari per la difesa della repubblica parlamentare, l’introduzione della legge elettorale proporzionale con preferenze, e l’applicazione rigida dell’art.49 nella vita interna di tutti i partiti che intendo concorrere alla politica italiana.

Mi si osserva, giustamente, che chi ha sbagliato o si è rivelato insufficiente in questa lunga fase della nostra Demodissea, si debba fare da parte per far posto a una nuova classe dirigente. Come non condividere tale giudizio, specie da chi come me, verso la soglia degli  ottanta, da tanto tempo sostiene con l’aforisma volterriano che: “ compito di quelli della nostra età dovrebbe essere solo quello di dare dei buoni consigli, considerato che non siamo nemmeno più in grado di offrire dei cattivi esempi”. Non mancano iniziative, come quelle avviate dagli amici Gargani, Pomicino e Giuseppe De Mita in Campania, dell’avvio dell’esperienza dell’associazione dei Popolari italiani. Essa, se ho ben inteso, si propone di dar vita a partiti regionali nella comune condivisione dei valori popolari e democratico cristiani, con ampia autonomia territoriale. Partiti da far sorgere in ogni realtà regionale italiana  per poi ritrovarsi insieme a livello nazionale. Partire dalla base è un buon segno, ma allora, se proprio si intende favorire la nascita di una rinnovata classe dirigente, tanto vale partire dai livelli comunali e su per li rami provinciali e regionale decidere i nuovi responsabili del partito che si intende costruire. Torna utile, io credo, la mia vecchia idea di comitati civico popolari locali, di ampia partecipazione democratica, nei quali potrebbero ritrovarsi le diverse e articolate espressioni dell’area cattolico democratica e cristiano sociale, aperti alla partecipazione di quanti dell’area democratica liberale e riformista condividono il progetto della costruzione di un centro politico come su descritto. E’ evidente che, nonostante il doloroso e inaccettabile rifiuto calendiano, si dovranno riprendere i rapporti con gli amici del terzo polo, soprattutto con quelli della componente renziana, considerato che è da quell’area che si potranno avere alcuni interlocutori politici a livello istituzionale parlamentare dopo il voto del 25 settembre prossimo, insieme a quegli amici ex DC schierati nettamente a sostegno dell’esperienza di governo Draghi. Condividere alcune regole nell’avvio di questi comitato civico popolari sarebbe opportuno pur nell’autonoma responsabilità propria di ciascuna realtà locale.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 15 settembre 2022

 

 

 

 

Il nostro ruolo in una fase delicatissima della vita politica italiana

 

Stiamo vivendo, anche e soprattutto in questa vigilia elettorale, la condizione di irrilevanza politica non solo del nostro partito, ma dell’intera nostra area di riferimento etico, culturale e sociale. E’, dunque, necessario partire da una riflessione seria sulla situazione di quella vasta e complessa realtà culturale, sociale e politica della cosiddetta “area cattolica”, caratterizzata oggi dalla sua multiforme rappresentanza di espressioni organizzate, privata di un soggetto politico in grado di rappresentarne gli interessi e i valori. Non si tratta solo della divisione tra cattolici della morale e cattolici del sociale che, alla vigilia delle prossime elezioni, vede i primi orientati soprattutto a destra, i secondi a sinistra, o in un centro nel quale, però, è prevalsa l’egemonia di un tardo azionismo rappresentato da Carlo Calenda, che è portavoce di una sorta di idiosincrasia verso la DC, sino a imporre la sua pregiudiziale a Matteo Renzi che, sull’apertura ai DC e ai Popolari contava per il successo del terzo polo.

Molti di noi che, tanto nella DC, che nella Federazione Popolare DC, avevamo puntato su tale scelta, siamo rimasti orfani e senza simbolo e candidati di riferimento nei diversi collegi, ci troviamo, quindi, liberi di votare secondo scienza e coscienza, impegnati, soprattutto, a evitare un risultato della destra tale da mettere in pericolo la stessa integrità della nostra carta costituzionale, il patto cioè che ha garantito l’unità del Paese dal 1947 in poi.

La crisi dell’area cattolica parte da lontano e si riscontra anche all’interno della Chiesa, dove, è sempre più sentita l’esigenza di una riflessione sul ruolo dei cattolici nella politica italiana. Una riflessione che ci auguriamo la CEI presieduta dal card. Zuppi possa aprire subito dopo il voto del prossimo 25 settembre.

Compito del nostro partito dovrebbe essere quello di analizzare e proporre le condizioni, i termini e i modi per ricomporre gli interessi e i valori dei ceti medi produttivi e delle classi popolari, che è il ruolo essenziale di un centro politico democratico e popolare, ai fini del mantenimento dell’unità sociale e culturale del nostro Paese. Compito che seppe svolgere la DC per oltre quarant’anni. Quando salta questo equilibrio, alla fine, dopo i diversi tentativi dei capitani del popolo, è la destra che si prende la regia e il palcoscenico. Massimo Cacciari in un esemplare editoriale su La Stampa del 5 Settembre l’ha scritto così: : “…. il 50% degli italiani che non vota è in gran parte formato da persone disperate ormai di veder risolti i propri problemi con competenza ed efficacia? Chi sono questi concittadini? La distribuzione del voto tra centri e periferie la dice lunga a proposito. Vi è chi vuol scelte moderate perché tira avanti più o meno facilmente anche in questa perenne crisi e teme il famoso salto nel buio – e chi avrebbe tutto l’interesse a scelte radicali, ma ormai è del tutto disincantato sulla loro praticabilità. Ogni giorno di più costoro formano, non solo in Italia, una nuova plebe. Una plebe che ha cercato i suoi tribuni senza mai riuscire a trovarli, passata da delusione a delusione. Ma, lo si sappia, una plebe senza tribuni è la negazione dell’idea stessa di repubblica, è dunque l’origine stessa del  principato”.

Ecco, noi dovremmo approfondire tutto questo che, io credo, sarà il tema dominante nel dopo voto, insieme a quelle che, in altro articolo, ho chiamato “ le cinque piaghe dell’autunno italiano”: la guerra, la pandemia, l’inflazione, la crisi energetica, la siccità. Cinque piaghe alle quali si aggiunge il dato drammatico della povertà, che colpisce oltre sei milioni di persone, con 1,5 milioni in condizioni di povertà assoluta.

Nessuna delle forze politiche che si contendono il voto esprime una cultura politica in grado di affrontare tali problemi. Risposte che, ancora una volta, dovranno essere fornite dai fondamentali della cultura politica cattolico democratica e cristiano sociale. Dovremo approfondire e proporre la traduzione possibile sul piano istituzionale delle indicazioni pastorali fornite dalla dottrina sociale cristiana. Quelle della Centesimus annus, della Caritas in veritate, della Fratelli Tutti e Laudato SI; ossia dalle indicazioni culturalmente più avanzate offerte dalla cultura cattolica nell’età della globalizzazione.

Su questo la DC e la Federazione dei Popolari DC con gli amici di Insieme dovrebbero promuovere, con le migliori espressioni della cultura cattolica, un incontro a Camaldoli, per concordare con le diverse articolazioni della nostra area culturale e sociale una proposta di programma per l’Italia del XXI secolo. Sarà la nostra Camaldoli 2022.

Contro i rischi di una vittoria travolgente della destra sovranista e nazionalista, la DC e la Federazione dei Popolari dovrebbero attivare, infine, il comitato dei Popolari per la difesa della repubblica parlamentare, per il ritorno alla legge elettorale proporzionale con preferenze, per l’applicazione in tutti i partiti italiani, che intendono concorrere alla vita politica, dell’art 49 della Costituzione. Parta dai DC e Popolari la difesa dei valori fondanti del nostro sistema istituzionale.

 

Ettore Bonalberti

 

Venezia, 13 settembre 2022

 

 

 

Sintesi intervento di Bonalberti alla direzione nazionale DC del 6 Settembre 2022

 

Ringrazio l’amico Baruffi per la convocazione con l’augurio per un pronto ristabilimento dell’amico Grassi.

Nostro obiettivo primario deve essere quello del mantenimento della nostra unità. Verificata la condizione risultante dal NO di Calenda, essendo rimasti senza simbolo in alcuna lista nazionale e senza candidati, ritengo sia opportuno lasciare i nostri iscritti e simpatizzanti liberi di votare secondo scienza e coscienza, tenendo conto dei candidati presenti nelle diverse liste nei collegi elettorali. Si sceglierà tenendo conto dei nostri principi e valori di riferimento. Scelte diverse che indicassero preferenze a destra o a sinistra sarebbero divisive e metterebbero in crisi la nostra unità.

Ritengo sbagliata la scelta compiuta dall’amico Cuffaro in Sicilia, con lo stravolgimento di quanto avevamo indicato nella direzione del 9 agosto scorso. Cuffaro avrà anche avuto le sue ragioni e potrà anche garantirsi l’elezione di qualche consigliere regionale. Ritengo, però, strategicamente sbagliata quella scelta, specie se applicata in sede nazionale. In Sicilia il terzo polo, anche Calenda, era ed è disponibile a sostenere il candidato prof Armao, nella cui lista si è candidato l’arch. Giuseppe Alessi. Schierarsi con la destra e con Cesa e C., significa correre il rischio di diventare supporto di un gruppo politico con il quale abbiamo un lungo e sperimentato contenzioso. Carmagnola giustamente annuncia la riapertura dello stesso dopo il voto, considerando “l’abuso” che il trio di Cesa da molti anni fa del nostro glorioso scudo crociato.

Continuo a ritenere che la nostra scelta strategica sia  quella al centro, l’unica che ci consente di riannodare i fili con gli amici di Insieme e della stessa Federazione Popolare, i quali hanno pure dovuto subire l’esclusione dalle liste del terzo Polo. Calenda persegue un suo preciso disegno politico, rinverdendo l’antica idiosincrasia azionista per la DC, da loro sempre considerata una sorta di occupante abusiva del potere di governo in Italia.

In definitiva, proporrei di dare un netto segnale di denuncia del comportamento di Calenda contro la DC; libertà di voto per iscritti e simpatizzanti, riconfermando la nostra scelta al centro della politica italiana, interessati a concorrere alla costruzione di un centro  politico democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, alternativo alla destra nazionalista e sovranista e alla sinistra senza identità. Un centro nel quale risulti decisiva la presenza dei DC e dei Popolari. Concetti che erano stati ben espressi da Renato Grassi nella sua lettera inviata a Matteo Renzi per l’avvio delle trattive con il terzo polo. Peccato che Renzi abbia subito l’egemonia di Calenda.


9 Settembre 2022

 

 

Le cinque piaghe dell’autunno italiano

 

Alla vigilia del voto del prossimo 25 settembre abbiamo esaminato la situazione in due riunioni, pressoché contemporanee: alla direzione nazionale della DC e nel direttivo della Federazione Popolare DC. Ho potuto partecipare a entrambe on line, nelle quali è emersa la dura realtà che, ancora una volta, ci vede senza simbolo e senza candidati nelle prossime liste elettorali. Qualche “catecumeno di casa DC”, in cerca di gloria e utilizzando in maniera distorta l’incarico cui è stato chiamato, cerca di addebitare tale situazione all’incapacità dei nostri amici che hanno svolto le trattative col terzo polo. In realtà, gli amici interessati, Grassi e Alessi, avevano instaurato un buon rapporto con Matteo Renzi; rapporto conclusosi in malo modo, dopo l’alleanza fatta da Renzi con Carlo Calenda.

Al di là del noto carattere egocentrico di Calenda, “fasso tuto mi” e della sua già sperimentata idiosincrasia DC nelle ultime elezioni per il consiglio comunale di Roma, la verità del rifiuto calendiano nei nostri confronti, trova ben più fondate ragioni, dal suo punto di vista, volendosi egli attribuire il ruolo di continuatore della storia dell’azionismo politico italiano, che ha avuto il suo massimo esponente nella figura resistenziale di Ferruccio Parri. Tentativo che Calenda intende svolgere in Europa, al parlamento della quale egli è stato eletto sotto le insegne del PD, ora transitato sulle posizioni di Macron e dei conservatori liberali europei.

L’azionismo non ha una buona storia con noi DC, dato  che quella minoranza radical liberale repubblicana, ha sempre avuto  “ in gran dispitto” l’esperienza e il ruolo politico egemone svolto dai cattolici democratici e cristiano sociali della DC nel governo dell’Italia.

Spiace che Matteo Renzi, figlio della nostra tradizione, abbia accettato di svolgere questo ruolo oggettivamente subalterno, impegnato soprattutto a garantirsi la sua elezione e quella di alcuni dei suoi amici più fidati. Tanto nella DC, che nella Federazione Popolare, pur prendendo atto criticamente della situazione e lasciando libertà di voti ai nostri iscritti e simpatizzanti, continuiamo a ritenere che compito nostro sia quello di mantenere dritta la barra al centro per concorrere a costruire il centro nuovo democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, alternativo alla destra nazionalista e sovranista, distinto e distante dalla sinistra senza identità. E questo resterà il tema che intendiamo sviluppare dopo il voto del 25 settembre. Un voto che dovrà fare i conti con le cinque piaghe dell’autunno italiano: la guerra, la pandemia, l’inflazione, la crisi energetica, la siccità. Cinque piaghe alle quali si aggiunge il dato drammatico della povertà, che colpisce oltre sei milioni di persone, con 1,5 milioni in condizioni di povertà assoluta. Tutto questo, in un Paese in preda a una crisi di sistema caratterizzato da un’astensione dal voto di oltre il 50%, destinata ad ampliarsi. Una situazione, insomma, caratterizzata dall’esistenza di una fortissima diseguaglianza sociale che potrebbe sfociare in una ben più pericolosa rivolta sociale. Massimo Cacciari nel suo bell’editoriale su “ La Stampa” di ieri, evidenzia  così lo stato dell’arte: “…. il 50% degli italiani che non vota è in gran parte formato da persone disperate ormai di veder risolti i propri problemi con competenza ed efficacia? Chi sono questi concittadini? La distribuzione del voto tra centri e periferie la dice lunga a proposito. Vi è chi vuol scelte moderate perché tira avanti più o meno facilmente anche in questa perenne crisi e teme il famoso salto nel buio – e chi avrebbe tutto l’interesse a scelte radicali, ma ormai è del tutto disincantato sulla loro praticabilità. Ogni giorno di più costoro formano, non solo in Italia, una nuova plebe. Una plebe che ha cercato i suoi tribuni senza mai riuscire a trovarli, passata da delusione a delusione. Ma, lo si sappia, una plebe senza tribuni è la negazione dell’idea stessa di repubblica, è dunque l’origine stessa del  principato”.

A me sembra  evidente che ciò che è saltato è l’equilibrio, sempre garantito dalla DC e dai suoi governi, tra interessi e valori dei ceti medi produttivi e quelli delle classi popolari. Un equilibrio per ricostruire il quale è necessario mettere in campo e attuare nelle istituzioni le indicazioni pastorali delle ultime encicliche sociali della Chiesa: dalla Centesimus Annus, alla Caritas in veritate, dalla Fratelli tutti alla Laudato SI. E dobbiamo anche rifarci al pensiero sturziano. Farlo oggi significa tenere presenti i fondamentali della sua politica, che si riassumono nella critica alle  “ tre male bestie della politica italiana: la partitocrazia, lo statalismo e lo sperpero del denaro pubblico.

Quanto alla partitocrazia, oggi siamo nella situazione peggiore della storia repubblicana. Partiti senza applicazione interna dell’art 49, spesso ridotti a proprietà personali del leader o della ristretta cerchia dei capi bastone che, grazie alla legge del porcellum, decidono i candidati “ nominati”, espressione  non della sovranità popolare, ma della fedeltà ai dante causa.

Lo statalismo che sarà ancor più accentuato dalla vittoria della destra meloniana che presenta programmi ancor di più fondati sullo sperpero del denaro pubblico. Tre condizioni che vanno considerate insieme al ruolo che il gruppo del trio dei rentiers Cesa e C. svolgono, di scendiletto di quell’area.

Noi dobbiamo restare fermi al centro, per poter riannodare i fili dopo il voto insieme agli amici di Insieme, della Federazione Popolare DC e di quanti sono interessati a ricomporre politicamente l’area cattolico democratica e cristiano sociale. Dobbiamo approfondire i temi indicati dalle ultime encicliche sociali della Chiesa per tradurli nella città dell’uomo, al fine di collegare gli interessi dei ceti medi produttivi con quelli delle classi popolari, che resta il problema essenziale della democrazia italiana. Unica strada necessaria per superare il vallo enorme che si è creato, per diverse ragioni, tra politica e società civile, tra istituzioni e corpo elettorale.

Nel deserto delle culture politiche che ha caratterizzato la seconda e l’avvio di questa terza repubblica, al trionfo dei populismi e dei sovranismi, dobbiamo proporre il messaggio forte del cattolicesimo democratico, del popolarismo fondato sui principi della solidarietà e sussidiarietà. Dobbiamo impegnarci a condividere in quest’area un programma per il Paese, che tenga conto delle priorità e delle attese della povera gente e dei ceti medi produttivi.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 6 Settembre 2022

 

 

 

 


Ultime stazioni della  mia Via Crucis nella DC che ho contribuito a riproporre


Lettera inviata a Renzo Gubert, presidente del CN della DC


Caro Renzo, senza tanti giri di parole, da tempo abbiamo constatato di avere due visioni diverse del partito. Io credo che sia indispensabile ricomporre politicamente la nostra area di riferimento culturale, tu intendi conservare e sviluppare ciò che rimane della nostra amata DC. Il mio progetto, insieme anche a Grassi, abbiamo tentato di realizzarlo con la Federazione Popolare dei DC ( Gargani), progetto incompiuto per le congiunte volontà di Rotondi ( Verde popolare, alla fine sempre nella scuderia sicura del Cavaliere) e di  Cesa, il solito distruttore di ogni tentativo di ricomposizione che non sia a suo esclusivo vantaggio. Io credo a una DC fedele alla sua storia migliore di "partito di centro che guarda a sinistra”; tu a un partito di centro disponibile anche ad alleanze con la destra. La querelle tra cattolici della morale e cattolici del sociale ha solide e antiche fondamenta, ma, se seguissimo il tuo ragionamento, ci ridurremmo a un partito integralista, minoritario, in una società fortemente secolarizzata e sempre meno cristiana. Progetto lodevole per un movimento pre politico, ma assolutamente inefficace per un partito di cattolici, come ha dimostrato la lunga storia dei Popolari prima e poi della DC. La mia esperienza DC, iniziata nel 1962 ( avevo 17 anni), dal 1964, congresso di Roma, l’ho sempre svolta nella corrente di Forze Nuove, erede della storia della sinistra sociale popolare dei Miglioli, Donati, Grandi, Gronchi e DC poi con Pastore e Donat Cattin, Vittorino Colombo, Guido Bodrato, Sandro Fontana, Lillo Mannino….Credo ancora che quella della rappresentanza politica dei ceti popolari e del terzo stato produttivo sia il compito del nostro partito. Credo, infine, che solo restando fermi al centro, dopo il voto del 25 settembre, si potranno riannodare i fili per la nostra ricomposizione politica.
Quanto ai nostri fatti interni più recenti:tutto parte da questa nota inviatami dall’amico Grassi, il quale mi scrive: 

Questa è  la lettera che , previa telefonata ,è stata  inviata a Renzi che ha delegato l'on Rosato per ogni interlocuzione.

Il resto è  storia nota.

copia lettera di Grassi a Renzi:

Egr.Sen.

la D.C.è  impegnata a recuperare, per quanto possibile un'area politico culturale espressione del cattolicesimo democratico e cristiano sociale per favorirne l'aggregazione con le forze liberal democratiche presenti al centro nello schieramento politico e parlamentare italiano. 

Il "terzo polo" ci sembra il contenitore idoneo a rappresentare la  pluralita delle componenti partitiche che vi aderiscono favorendone la sintesi in un unico progetto politico e programmatico. 

La attenzione della D.C.verso "Italia Viva" determinata da una ampia convergenza politica e programmatica  ci consente di ribadire la validità di un comune impegno  nella competizione elettorale in corso.

Abbiamo illustrato la nostra iniziativa all'on.Rosato e auspichiamo una   sua cortese attenzione.

Cordialmente 

Renato Grassi

Segr. Naz.le Democrazia Cristiana

Il 9 Agosto in direzione, cui ho partecipato da remoto ( condivido, con tutti i limiti del caso) ciò che è stato deciso è riassunto nella nota ufficiale de Il Popolo che ti allego:

Ribadisco quanto ho già evidenziato a Grassi: la scelta del terzo polo è quella che ci permetteva e ci permette ancora di riprendere la nostra difficile trama politica, anche dopo il voto settembrino. La nostra frustrazione per l’esclusione impostaci da Calenda è quella stessa vissuta dagli amici di Insieme e della Federazione Popolare con i quali si dovranno riprendere i rapporti se vogliamo dare risposte concrete a ciò che Galli della Loggia ha scritto sull’assenza politica dei cattolici italiani… Quella indicata da Grassi è la linea di equilibrio ragionevole che ci permette di stare insieme. Se, vecchi amici già UDC, pensassero nella prossima direzione di spostare il nostro asse a destra, quell’equilibrio verrebbe frantumato e la nostra divisione politica ed elettorale sarebbe inevitabile. Meglio allora lasciare liberi iscritti ed elettori nel voto, frutto di una legge elettorale oscena che ci impone il dilemma: a destra, a sinistra o astensione. Se indicassimo di votare a sinistra o a destra, il nostro potenziale elettorato si dividerebbe e non saremmo più in grado di ricomporlo.
Comprendo le tue ragioni di difesa dei valori non negoziabili e da tempo condivido, sin dall’UDC di Buttiglione di cui fui componente della direzione nazionale, il giudizio sul PD fatta da Del Noce, ossia di “ un partito radicale di massa”. Ci sono, tuttavia, altre possibilità per sostenere in questa difficile stagione politica le linee di governo indicate da Draghi e la difesa strategica delle nostre storiche alleanze euro atlantiche che, mi sembra, tu sottovaluti.  Sul caso Rapisarda, meglio stendere un velo pietoso, stante l’abnormità del suo comportamento doppio, inaccettabile e che mi dispiace nessuno della direzione abbia contestato. I suoi perfidi giudizi sul mio conto e la mia storia politica e culturale rientrano nella terza legge della stupidità di Carlo Cipolla. Infine sul mio trascorso professionale, sappi che non fu Formigoni a chiamarmi a dirigere l’assessorato alle OO.PP., politiche per la casa e la protezione civile, né Sanese, ma l’assessore socialista competente Carlo Lio. Ti allego per tua opportuna conoscenza il mio CV, che evidenzia tutto il mio passato professionale fatto di impegno, tanto nel settore privato che in quello pubblico. Ti confermo che, senza riportare l’azione del presidente del collegio dei probiviri alla sua corretta funzione, e se passasse una linea opposta a quella concordata il 9 Agosto scorso, il mio impegno nella DC, almeno in questa DC, finirebbe. In quel caso con un colpo solo avreste fatto fuori due vice segretari: Alessi e il sottoscritto. Proprio un capolavoro, dopo oltre dieci anni di impegno politico profuso quasi quotidianamente. Non potrei mai accettare una DC al guinzaglio della trimurti di destra, insieme al trio dei rentiers Cesa e C.
Con la solita e solida amicizia di sempre, ti saluto cordialmente.
Ettore Bonalberti

Il giorno 30 ago 2022, alle ore 02:46, info@renzogubert.com ha scritto:

Caro Ettore,

ci troveremo via internet in Direzione la prossima settimana, ms penso utile continuare il dialogo tra noi tutti via posta elettronica, che consente di esporre con più precisione le diverse posizioni. Rispetto a quanto osservi, molto apprezzato dall'on. Alessi, vorrei esporti alcune mie riflessioni:

1. nella  riunione della Direzione del 9 agosto è stata approvata la relazione del Segretario politico Renato Grassi, che si era espresso  in modo più complesso di quello che tu usi spesso. Eri collegato a distanza, con più difficoltà a seguire  relazione e dibattito, ma come sempre prendo gli appunti per mia memoria, che Pagano mi ha poi chiesto ed ho inviato alla segreteria. Le scelte sono state; a) la ricerca di unità per le elezioni con formazioni politiche (partiti, movimenti, associazioni) di ispirazione cristiana; unica esclusione motivata dall'accordo da ultimo stretto dal Popolo della famiglia con Fratelli d'Italia. b) la collocazione politica in una alleanza di centro con il partito di Renzi, a condizione che l'apporto DC sia riconosciuto (sottinteso: nel simbolo e con candidati); c) Direzione convocata in modo permanente, con riunioni via internet per valutare l'esito della nostra proposta e fatti nuovi. Allo stato dei fatti  non si è avuta notizia di ricerca di rapporti con altri soggetti politici di ispirazione cristiana, nè di disponibilità del terzo polo, di Renzi come di Calenda, di accettare come partner la DC. E non si  è voluto riunire la Direzione per evitare, come tu hai scritto, possibili conflitti tra noi sul come procedere, in palese violazione dello Statuto e del deliberato della Direzione;

2. il ridurre l'identità politica della DC storica  alla scelta euroatlantica mi pare inaccettabile, Lo Statuto della DC dice ben altro e fa riferimento al pensiero sociale cristiano, come lo fecero i fondatori Degasperi, Sturzo, Dossetti, Moro, Fanfani, Piccoli  e tutti i DC della sinistra sociale che citi. La scelta euroatlantica è condivisa da tuttte le formazioni politiche di qualche rilievo, comprese quelle della destra e del centro alleato con la destra. Un democratico cristiano fedele all'ispirazione del partito non può escludere dalle valutazioni circa prossimità e distanze da altre formazioni politiche gli orientamenti  riguardanti  la questione antropologica. Sostenere l'aborto come diritto, non considerrando il diritto del concepito alla vita, legittimare il matrimonio tra omosessuali, togliendo ai bambini in qualche modo acquisiti il diritto ad avere un padre  e una madre e orientando alla pratica dell'utero in affitto, favorire pratiche eutanasiche quando la vita è sofferente, e si potrebbe proseguire, non sono elementi baghetellari che un cristiano impegnato in politica può permettersi di trascurare nel valutare le scelte politiche. Nulla da dire al riguardo?

3. Il rilievo politico di un partito in democrazia dipende per gran parte dal consenso elettorale. La DC riattivata  ha dimostrato finora difficoltà ad avere significativi consensi, salvo che in Sicilia. Eppure penso che essa possa avere un peso che non va minimizzato. Ci possono essere "cagnolini da passeggio", ma non vedo tra noi nessuno disposto a farlo, come non credo che lo facciano politici come Quagliariello, Lupi, Binetti e altri che militano in formazioni politiche di ispirazione cristiana. Abbiamo avuto cattive esperienze nei rapporti con l'UDC, per l'inaffidabilità dei suoi dirigenti, Cesa e DePoli, in alcune occasioni, ma non dobbiamo dimenticare che prima CCD e CDU e poi UDC sono stati gli unici continuatori politici di una parte della DC dopo che il suo CN ha deliberato la sua cessazione e trasformazione in PPI. Sei stato tra i protagonisti della creazione della Federazione Popolare dei Democratici Cristiani e proprio l'UDC con la DC riattivata aveva dato il suo contributo. Poi nell'UDC sono prevalsi calcoli di piccolo opportunismo che hanno tradito il progetto di unità, ma un partito non è fatto solo dai suoi massimi dirigenti nazionali.

4. i tuoi rilievi, aspri, contro l'avv.Rapisarda, ricambiano quelli aspri che egli ti ha indirizzato. Penso che dopo la Perdonanza de l'Aquila di ieri, celebrata da Papa Francesco, entrambi dobbiate riconciliarvi. Entrambi amate la Democrazia Cristiana e ciò lo impone. Tu hai da tempo perseguito la confluenza della DC in un insieme più ampio, anche di area laica liberale; Rapisarda spende energie per tutelare giuridicamente la DC nazionale e per rafforzare il partito, non solo a Roma (lo ha fatto anche per la DC trentina a Rovereto in occasione del dibattito sull'ultimo referendum popolare).

Da ultimo una nota biografica che richiami ricordando i nostri comuni impegni di testimonanza democratico-cristiana contro gli anti-Dc contestatori di Lotta Continua e delle Brigate Rosse (fondate peraltro dopo a Milano). Vedi, tu sei poi andato, se non ricordo male, a lavorare nel settore forestale con amministratori della Regione Lombardia, Formigoni, Sanese, ecc.. Io sono rimasto a Sociologia a Trento come docente e ho sempre dovuto lottare con la sinistra imperante, non solo sul piano scientifico, ma anche delle possibilità di carriera e sul ruolo nell'Università. Non mi è stato mai concesso di presiedere una sessione di laurea: non ero di sinistra. Sono esperienze che lasciano il segno e lo spirito egemonico della sinistra, che peraltro ho rivisto in Parlamento, ha lasciato tracce che per me non è facile trascurare. Ho avuto Beniamino Andreatta come capogruppo alla Camera e con lui lavorava anche Letta. Spirito di superiorità verso gli altri che hanno opinioni diverse e discorsi sempre intrisi di interessi economici. Non hanno sopportato che il successore di Martinazzoli fosse Buttiglione, che invece sul piano dei valori chiamati poi "non negoziabili" non faceva sconti. La DC che vogliamo costruire non è quella che viveva Andreatta, figlio di banchiere, ma quella del pensiero sociale cristiano nella sua integralità, come Papa Giovanni Paolo II e Papa Ratzinger, con approcci diversi, ci hanno insegnato e con la larghezza di spirito che Papa Bergoglio ci invita ad avere.

Cordiali saluti,

Renzo Gubert

Ricominciamo  dai fondamentali e dalla base


Grazie alla mediazione del segretario nazionale Renato Grassi nella direzione del 9 Agosto scorso avevamo unanimemente concordato: “ l'impegno del Partito a recuperare e a valorizzare, per quanto possibile, l'area politico culturale espressione del cattolicesimo democratico e cristiano sociale, ancora largamente presente nella società italiana e a favorirne l'aggregazione con le forze liberal democratiche presenti al centro dello schieramento politico e parlamentare italiano. Il "Terzo Polo" promosso da Renzi e Calenda sembra il contenitore idoneo a rappresentate  la pluralità delle componenti partitiche ed associative che vi aderiscono favorendone la sintesi in un unico progetto politico e programmatico in grado di evitare la scelta tra la destra sovranista e populista e una sinistra dalla identità indefinita tra radicalismo e estremismo. L’attenzione  pregressa della D.C. su "Italia Viva", determinata da una ampia convergenza politica e programmatica, consente di ribadire la validità  di un comune impegno che riproponga nella competizione elettorale i temi che hanno caratterizzato l'attività del Governo Draghi. In particolare va ribadita la linea rigorosa di adesione alla scelta euro atlantica  nella quale la D.C., in coerenza con la sua migliore storia si riconosce pienamente”. Il netto rifiuto di Calenda a riconoscere col nostro simbolo anche solo la presenza di nostri candidati nelle liste del terzo polo nei diversi collegi elettorali, rende oggettivamente difficile, se non impossibile, chiedere ai nostri iscritti e simpatizzanti di votare chi ci ha respinto. Grazie alla nostra dirigenza e, in particolare al segretario amministrativo, Mauro Carmagnola, questa volta siamo riusciti a depositare il nostro simbolo al ministero degli interni, con esito positivo. Qualche chiarezza, al riguardo, è stata fatta nei confronti di alcuni sedicenti movimenti che si auto proclamavano senza alcun fondamento, eredi della DC. L’amico Gubert ha sollecitato più volte la riconvocazione della direzione nazionale per valutare altre opzioni rispetto a quella che avevamo unitariamente condiviso l’8 agosto scorso. L’intervenuta indisposizione, per motivi gravi di salute del segretario nazionale, hanno impedito tale riconvocazione che, se fosse stata fatta, avrebbe reso evidente la spaccatura al nostro interno tra un gruppo orientato a sostenere il centro destra e un gruppo fermo nella difesa della posizione centrale della DC, alternativa alla destra nazionalista e sovranista e alla sinistra senza identità. La scelta del terzo polo, in effetti, era e rimane quella che ci permette di conservare la nostra unità, anche se nel voto del prossimo 25 settembre, il rosatellum, ci costringerà a una scelta rispetto al trilemma: voto a destra o a sinistra, oppure astensione. Comunque la si voglia esaminare continuiamo nella lunga strada della difficoltà a esprimere sul campo la nostra presenza qualificata. Credo che, in linea con quanto la direzione ha deciso l’8 Agosto scorso, il nostro dovere sarà quello di orientarci a sostenere liste con candidati vicini alle nostre posizioni etico culturali, impegnati nella difesa del PNRR dell’agenda Draghi e fermi nelle scelte di politica internazionale, quali l’adesione all’UE e alla nostra tradizionale alleanza atlantica. Dopo il voto si dovrà esaminare con molto coraggio lo stato dell’arte e, a mio parere, servirà tornare ai fondamentali della nostra storia politica, derivando dal popolarismo sturziano e dall’esperienza degasperiana e della DC storica, le linee guida per la nostra ripresa politica. Credo che dovremo batterci, innanzi tutto, a difesa della Repubblica parlamentare contro le insorgenti tentazioni presidenzialistiche avanzate dalla destra italiana; per il ritorno alla legge elettorale proporzionale con le preferenze, per superare l’attuale andazzo dei “nominati” dalle ristrette cerchie dei fedelissimi ai capi di turno dei partiti e richiedere che in tutti i partiti italiani sia rispettato quel “metodo democratico” interno fissato dall’art.49 della Costituzione. Anche sul piano organizzativo dovremo rivedere la nostra impostazione, ancora ferma allo statuto DC del 1992, avviando su tutto il territorio nazionale la costituzione di comitati civico popolari per la partecipazione democratica dei cittadini che, condividendo inostri valori, intendono concorrere alla vita politica locale, regionale e nazionale. Ampio spazio si dovrà prevedere all’utilizzo della formazione di reti locali, regionali e interregionali, con regole concordate e controllate/bili per la partecipazione e l’adempimento dell’elettorato attivo e passivo ai nostri soci anche da remoto. Una scuola di formazione politica on line si dovrà attivare, al fine di favorire la selezione di una nuova classe dirigente che, dotata di passione civile, sappia interpretare al meglio i valori e gli interessi della nostra gente, garantendo il punto di mediazione tra quelli del terzo stato produttivo e delle classi più bisognose. Il congresso nazionale, da celebrarsi dopo il voto di settembre, sia l’occasione per ritrovarci tutti  insieme a discutere e a confrontarci con spirito costruttivo nella comune volontà di favorire, finalmente, con il superamento della trentennale suicida diaspora democristiana, la ricomposizione culturale e politica della nostra area cattolico democratica e cristiano sociale.

Ettore Bonalberti

Venezia, 22 Agosto 2022

Gettiamo il seme per la nascita del centro del sistema politico italiano

 

La crisi di sistema dell’Italia che, più volte, ho connotato con il concetto sociologico durkheimiano di anomia, intesa come assenza di regole, discrepanza tra i mezzi e i fini che la società propone ai suoi componenti o, come  il venir meno del ruolo dei corpi intermedi, ha assunto dimensioni ampie tanto sul piano etico e culturale che su quello economico e sociale. Espressione ultima di questa crisi a livello politico istituzionale è quella rappresentata dal distacco tra il paese reale e quello legale indicato dall’elevata renitenza al voto che, a più riprese e livelli delle competizioni elettorali, sfiora e supera oramai più della metà del corpo elettorale.

Con la fine della “Prima Repubblica”, Berlusconi mise in scacco la “gioiosa macchina da guerra” occhettiana con la promessa di “ un nuovo miracolo italiano”. Fu una promessa vana che naufragò nella lunga stagione del periodo prodiano (2006-2008)  e nella lunga querelle nazionale Berlusconi-Prodi che, alla fine, si accompagnò all’esplosione del malcontento sociale e l’avvio del fenomeno dei Cinque stelle.

Con la crisi del 2011 ( “il colpo di stato” per i fedelissimi del Cavaliere) la crisi dei partiti e la loro incapacità di rappresentare gli interessi e i valori reali presenti nella società civile condusse ai governi a guida dei tecnici, di cui quello presieduto da Mario Draghi rappresenta lo strumento con il quale l’Italia ha, almeno sin qui, evitato la mano pesante della troika europea e una fine non dissimile da quella vissuta dalla Grecia.

E’ evidente che la crisi di sistema è, soprattutto, l’espressione del venir meno di quella saldatura tra gli interessi e i valori dei ceti medi produttivi e delle classi popolari che la Democrazia Cristiana seppe sempre garantire nella lunga stagione della sua egemonia-dominio (1948-1993). E’ indubbio, altresì, che la lunga stagione della diaspora democristiana ( 1993-2022) tuttora in corso, nonostante i diversi tentativi operati a destra, a sinistra e al centro dello schieramento, ha coinciso con quella della rottura dell’equilibrio di cui sopra. Una rottura che impone come prioritaria la ricomposizione al centro di una vasta area democratica, popolare, liberale, riformista, europeista, collegata strettamente alle scelte di politica estera volute da De Gasperi e dalla  DC nel 1949 (NATO) e UE ( 1954) . Una ricomposizione solo con la quale si potrà ridare effettiva rappresentanza politica al terzo stato produttivo ( piccoli e medi industriali, artigiani, agricoltori, commercianti, professionisti, operatori efficienti della PA) e riportare alle urne quel cinquanta e passa per cento di renitenti al voto. Per far questo, però, sarebbe servita una legge elettorale di tipo proporzionale, meglio secondo il modello tedesco, con sbarramento e istituto della sfiducia costruttiva e con le preferenze, al fine di evitare le liste dei “nominati” dai capi e capetti a Roma. Nominati che hanno accompagnato la più squallida stagione del trasformismo politico della storia repubblicana italiana, le cui ultime tragicomiche recite le stiamo vedendo in  queste ultime ore che ci separano dalla presentazione delle liste e dei simboli in gara per le prossime elezioni politiche.

Al posto della legge proporzionale i partiti rappresentati nel parlamento di una legislatura alla fine della sua vita, hanno preferito la conservazione del rosatellum, che favorisce una bipolarizzazione destra-sinistra che, oggettivamente,  impedisce la nascita di quel centro di cui il Paese avrebbe assoluta necessità per la stabilità del sistema.

Era ed è questo l’obiettivo strategico cui sono chiamati gli ex e i neo democratici cristiani, compresi quei “DC non pentiti” della terza e quarta generazione DC  come molti di noi. E lo dobbiamo perseguire non per mera nostalgia ( pur comprensibile rispetto al nanismo e all’improvvisazione dei politici oggi in campo),ma per la necessità di garantire un equilibrio al centro della politica che il sistema richiede.

Se non vogliamo costringere la scelta al trilemma favorito dal rosatellum: destra, sinistra o astensione, è necessario concorrere a piantare un piccolo seme  al centro del confronto politico con chi è disponibile a superare il dilemma PD-Fratelli d’Italia, la cui soluzione, qualunque fosse e sarà col voto del 25 settembre, non garantirebbe e non garantirà la soluzione della crisi di sistema, inevitabilmente aggravata dalle condizioni economiche e sociali che si dovranno affrontare nel prossimo autunno. Ecco perché nell’odierna direzione nazionale della DC, convocata on line dal segretario, Renato Grassi, abbiamo appoggiato convintamente la sua linea per convergere sulla lista di Matteo Renzi, che si pone come momento di aggregazione di uno schieramento centrale, alternativo sia alla destra nazionalista e sovranista, che alla sinistra in grande confusione mentale. Certo chiederemo a Renzi che ci sia riconosciuta la nostra identità politica, col nostro simbolo di partito e con alcune presenze di nostri candidati autorevoli. Certo avremmo preferito e abbiamo anche sollecitato gli amici di Mastella e Calenda per una loro convergenza ampia al centro e ci auguriamo che , superando ogni tatticismo e miopi valutazioni egoistiche, alla fine prevalga il buon senso. Con Calenda ci si sta riuscendo, Mastella persegue obiettivi più familistici.Noi DC alle prossime elezioni dobbiamo esserci, forti della nostra storia politica, del nostro simbolo ( a proposito riprenderemo nelle sedi opportune la questione dello scudo crociato sin qui utilizzato come mera rendita politica personale dal trio Cesa-Binetti-De Poli, al servizio subalterno di Lega e Forza Italia, oggi sotto il dominio della signora Meloni) e con alcuni nostri candidati. Sappiamo che sarà la seminagione di un piccolo seme che, se opportunamente coltivato, fiorirà. Dal voto del 25 settembre siamo certi che si avvierà una fase di forte ristrutturazione e ricomposizione delle forze politiche italiane e la DC, ancora una volta, sarà al centro, nella fedeltà ai valori della dottrina sociale cristiana e della Costituzione repubblicana.

 

Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale DC

Venezia, 9 Agosto 2022

 

 

Un tributo a Riccardo Misasi

 

Voglio ringraziare l’amico prof Pino Nisticò, già presidente della Giunta regionale calabrese, per aver voluto e curato questa raccolta di testimonianze sulla figura di Riccardo Misasi, uno dei più autorevoli esponenti della terza generazione democratico cristiana.

Ricevute alcune copie del libro ho iniziato a leggere il saggio con passione, al punto che, ogni volta che interrompevo per una pausa, non riuscivo a stare in riposo se non per qualche minuto, stimolato a riprendere immediatamente le riflessioni e i ricordi che tanti amici DC calabresi e non solo hanno voluto scrivere sul loro leader politico e amico.

Amici della sua corrente o appartenenti ad altre della costellazione interna democristiana, hanno espresso tutti il ricordo delle loro esperienze vissute insieme a Misasi, considerato unanimemente una personalità di grande spessore umano, culturale e politico, che, giustamente suo figlio Maurizio ha sintetizzato in una splendida immagine, quella di una persona che “ha concepito la politica come un servizio all’Uomo e alla sua libertà”. Una personalità che come è scritto nel motto della  Fondazione a lui intestata è: “guardare al futuro con cuore antico”.

Sì l’On Misasi questo seppe indicare a tutta la comunità democratico cristiana calabrese, ossia la capacità e la volontà di “guardare al futuro con cuore antico”. Lui che, alla Cattolica di Milano con gli amici che, dopo pochi anni, a Belgirate con Albertino Marcora,  Ciriaco De Mita, Gerardo Bianco, Luigi Granelli e Giovanni Galloni, concorse alla fondazione della corrente DC della Base, dotato di una cultura straordinaria storica, sociologica, filosofica, giuridica e  politico istituzionale, mise a capo degli obiettivi della sua azione politica, il riscatto della sua terra dalle condizioni di isolamento e di arretratezza. A lui, infatti, si devono molte delle istituzioni che con la sua attività politica da ministro e parlamentare seppe realizzare in Calabria: dall’università  della Calabria (Unical) ad Arcacavata di Rende ( Cosenza) , del CUD ( Università a distanza) del progetto Telcal ( Telematica Calabria) e di numerose altre scuole prima assenti nel territorio, sempre coerenti con la linea della promozione umana e sociale con particolare riguardo ai giovani. La cultura come strumento di elevazione della condizione di emarginazione dei giovani della sua terra.

Commovente la testimonianza del suo amico e concorrente politico nel partito, il compianto  Carmelo Pujia, l’uomo forte dell’area dorotea, che finì col formare un sodalizio fortissimo, una sorta di due dioscuri calabresi: l’uno, Pujia, impegnato soprattutto sul fronte locale  e regionale e  l’altro, Misasi, su quello nazionale dove, oltre agli incarichi ministeriali, durante la segreteria nazionale dell’On De Mita, assunse il ruolo di capo della segreteria politica prima nel partito e di sottosegretario alla presidenza del consiglio nel governo presieduto dal leader avellinese. Un ruolo di dominus che, in un mio intervento al consiglio nazionale della DC amichevolmente paragonai a quello di un “ Minosse”, colui che, nelle nomine consigliava De Mita con l’autorevolezza di chi “ giudica e manda secondo ch’avvinghia”. Chi, come me, ha potuto conoscerlo e frequentarlo nelle occasioni dei lavori del consiglio nazionale del partito, non può dimenticare i tratti del carattere di Misasi, ben descritti nel libro. Quelli di un uomo sapiente, dai tratti gentili e sinceri sempre ispirati dalla volontà di concorrere all’equilibrio e alla ricomposizione dei contrasti; un politico che nei suoi interventi rivelava una capacità di eloquenza che lo rendeva unico tra i molti esponenti politici della DC. Fu proprio grazie a un suo appassionato intervento al congresso nazionale della DC del 1964, insieme a quelli dell’On Carlo Donat Cattin, che, diciannovenne, scelsi di militare nella sinistra allora unita della DC e per tutto il resto della mia vita.

Di Misasi, al fine di comprendere la statura morale, culturale, giuridica e politica dell’uomo basterà ricordare, con le opere da lui promosse come l’apertura dell’università anche ai figli delle classi meno abbienti provenienti dagli istituti medi superiori e l’avvio dell’università della Calabria e delle due facoltà di farmacia calabresi, l’essere stato l’interlocutore privilegiato di Aldo Moro. Fu, infatti, Riccardo Misasi, il politico democristiano cui Moro dal carcere delle BR inviò la lettera nella quale chiedeva di intervenire nella DC, con tutte le argomentazioni giuridiche e politico istituzionali  insieme a quelle  etico morali più opportune per favorire la sua liberazione. Sarà il più grande cruccio di Misasi quello di non essere riuscito a far prevalere quelle indicazioni e a convocare, su delega ricevuta dallo stesso Moro, il consiglio nazionale del partito. Prevalse, ahinoi, la linea della fermezza e con la morte di Moro si aprì la lunga stagione del declino e della fine politica del nostro partito.

Edito da Rubbettino questo tributo a Misasi curato da Pino Nisticò, mi auguro avvii una serie di studi e approfondimenti su coloro che nei diversi territori regionali e in sede nazionale sono stati i rappresentanti più autorevoli dei loro elettori e del nostro partito. Da parte mia, con l’amico Mario Tassone e alcuni autorevoli professori di storia dell’università di Padova abbiamo promosso il comitato 10 Dicembre 2021 che, tra i suoi obiettivi, ha proprio quello di approfondire lo studio delle figure più autorevoli della DC veneta. Un obiettivo che la DC dovrebbe far proprio in tutte le nostre realtà locali, anche per superare la damnatio memoriae con cui una pubblicistica radicale, laicista e anti DC, ha sin qui relegato la nostra storia politica e amministrativa.

 

Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale DC

Venezia, 7 Agosto 2022 

 


L’ultimo stadio del trasformismo politico

 

Una legislatura caratterizzata dal più alto numero di voltagabbana (304 cambi di casacca per 214 parlamentari) è stata dominata dal trasformismo politico, conseguenza anche di una legge elettorale indecente, senza preferenze e alla mercé di partiti personali impegnati a selezionare dei “nominati” disponibili a ogni avventura. Nella formazione delle liste tuttora in corso, il trasformismo politico sta raggiungendo il suo ultimo stadio, grazie proprio al permanere di una legge elettorale, il rosatellum, che favorisce la conservazione di un falso sistema bipolare, con l’aggiunta di una regola per la presentazione delle liste che concede un potere di compravendita efficace ai detentori di un simbolo già presente tra i parlamentari uscenti; unica strada per evitare la difficile raccolta delle firme in tempi così brevi.

La mancata approvazione di una legge elettorale proporzionale con sbarramento, preferenze e istituto della sfiducia costruttiva, in sintesi, il sistema proporzionale alla tedesca, ha garantito ai maggiori partiti dei due poli, PD e FdI, un potere attrattivo privilegiato alimentando uno scontro bipolare sinistra-destra che, impedisce la nascita di quel centro democratico, popolare, liberale e riformista, euro atlantico che avevamo sperato di vedere realizzato. Assistiamo, invece, all’affannosa rincorsa finale di un posto sicuro, a destra e a manca, dopo che “il principe dei capitani di ventura” della politica italiana, Calenda, ha sparigliato le carte, forte di una presunta capacità d’ interdizione, imponendo al giovane Letta la rinuncia al 30% dei seggi uninominali disponibili. In tal modo, al campo largo, obiettivo originario del PD, sta nascendo un campo variegato mentre si pronunciano fatwe e pregiudiziali insensate che non porteranno fortuna elettorale. Abbiamo sempre sostenuto che una legge in larga parte maggioritaria come il rosatellum, avrebbe tripartito la nostra area politica e culturale di riferimento; l’area cattolico democratica e cristiano sociale che, di fronte allo scontro forzato bipolare PD e coalizione di destra, rischia la tripartizione del voto: a destra, a sinistra, o rifugio nell’astensione. Sono riemerse le vecchie distinzioni del tempo ruiniano tra teodem e teocom, le desuete categorie di fascismo e antifascismo, mentre permane la diaspora suicida post democristiana della lunga “demodissea” del trentennio 1993-2022.

Avevamo sperato che in queste ultime ore un barlume di lucidità potesse ricomporre l’unità elettorale tra Mastella, Tabacci e Renzi, ma, alla fine, siglato il patto PD-Calenda, anche questa ultima speranza sembra svanire. La scelta infelice di Mastella di personalizzare il suo nuovo partito, fa pendant con quella suicida dell’amico Tabacci di investire pressoché tutto sul giovane Di Maio, sino a intestargli la lista di Impegno civico. Una proposta durata lo spazio di un mattino se, dopo l’offerta di un collegio uninominale sicuro dal PD a Di Maio, anche quella lista è diventata obsoleta. La più grande amarezza, infine, resta quella della riconfermata impotenza della DC guidata da Renato Grassi, l’unica legittimata nel percorso seguito dalla sentenza della Cassazione che ha sancito come la DC storica non sia mai stata giuridicamente sciolta, che, tuttavia, non è riuscita nel progetto di ricomposizione politica di ciò che rimaneva di quella storia. Una “rimanenza” che si è andata vieppiù frantumando in tanti rivoli senza progetto e senza speranza. La mancanza del simbolo, ancora una volta utilizzato dal trio Cesa-De Poli-Binetti, quale rendita di posizione elettorale personale, messo al servizio della destra del trio Meloni-Salvini-Berlusconi, e l’assenza di amici eletti nel Parlamento, hanno reso oggettivamente difficile l’azione pre elettorale di Grassi, nonostante la direzione nazionale del partito avesse assunto nel merito una posizione netta e politicamente gestibile. Serviva più disponibilità anche dalle altre componenti citate, ma, alla fine, questa non c’è stata, preoccupati tutti, innanzi tutto del proprio “particulare”.

Ho conosciuto, in questi giorni, diversi gruppi e associazioni di area cattolica e democratico cristiana, che, hanno espresso e sostengono di votare a destra, sotto valutando le conseguenze di questa scelta. Impossibilitati a condividere le scelte in materia di diritti civili fatte dal PD, talune nettamente contrarie ai valori negoziabili di noi cattolici, questi amici, ritengono di essere più tutelati sul piano dei valori da una destra che, di quei valori, è molto spesso una predicatrice astratta rispetto ai comportamenti reali praticati dai singoli esponenti.  E’ assente o, quanto meno è sottovalutato, il giudizio su ciò che sta accadendo in Europa e nel mondo, dove Russia e Cina stanno tentando di modificare gli equilibri geopolitici di Yalta, puntando a dividere l’Unione europea e la NATO, anche con l’aiuto di politici presenti nell’area della destra italiana. Chiedevamo un voto di netta scelta euro atlantica, coerente con le grandi decisioni di politica estera assunte dall’Italia con la DC di De Gasperi , e a sostegno dell’Agenda Draghi. Ultima speranza la lista di Tabacci miseramente fallita e adesso, che il Signore ci assista!

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 4 Agosto 2022

 

 

 


Ultimo appello prima della presentazione delle liste  



Cari amici, dal mio buen retiro mestrino mi giungono notizie di candidature sparse in diverse liste, alcune delle quali di mera testimonianza. Mi preme ribadire quanto con estrema lucidità ha espresso Enrico Letta: il 28 Settembre gli italiani dovranno scegliere tra lui e la Meloni. Se non nasce l’alleanza centrista ampia, democratica, popolare, liberale e riformista pro Draghi, col sistema maggioritario, ogni altra presenza di pura testimonianza favorirà il polo della destra. E ne pagheremo le conseguenze. Mi auguro prevalga il buon senso e si possa ancora attivare quell’ampia alleanza in grado di porsi in alternativa credibile alla destra ondivaga in politica estera e impotente ad attuare il PNRR, ultima opportunità, quest’ultima, per superare le gravi difficoltà economico, finanziarie e sociali dell’Italia. 

 

Cordiali saluti

Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale DC

Venezia, 28 Luglio 2022

A poche settimane dal voto ho inviato ai dirigenti delle varie formazioni politiche di area DC e popolare, la seguente lettera


Insieme a sostegno dell’area Draghi

 

Cari amici, dobbiamo inviare un segnale forte di unità a un’area cattolico democratica e cristiano sociale divisa e disorientata. Il rosatellum maggioritario induce alla tripartizione delle scelte: dx, sx o astensione. Si corre veramente il rischio che il Paese venga consegnato, al trio de noantri: Meloni,Salvini, Berlusconi. Sarebbe la vittoria di Putin che con i suoi amici, con la guerra d’invasione e il ricatto energetico, punta a dividere l’Unione europea e la NATO. Riuniamoci tutti insieme a sostegno dell’alleanza per l’agenda Draghi concorrendo alla costituzione di un centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista e che conferma l’adesione alla NATO fatta dalla DC di De GASPERI    nel 1949. Condividiamo la denuncia appello dell’amico Brunetta: 

“Dieci anni fa il ‘whatever it takes’ di Draghi salvò l’euro, oggi l’Europa va salvata dai sovranisti opportunisti”

"Nessuno si salva da solo. Dieci anni fa a Londra Mario Draghi, allora presidente della Bce, pronunciò le tre parole che cambiarono la storia dell’euro e dell’Europa. Whatever it takes.

Davanti al rischio concreto di un crollo della moneta unica e di una speculazione che scommetteva sul suo naufragio, Draghi decise di rompere gli indugi e di promettere, con perfetto tempismo, che Francoforte avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per salvare l’euro, sull’esempio di quattro anni prima della Federal Reserve e del Tesoro degli Stati Uniti.

È stata anche la lezione politica del Mario Draghi premier italiano dal 2021: attivare tutte le migliori energie per mettere in sicurezza il Paese dal punto di vista sanitario, economico e sociale; compiere ogni sforzo per riconquistare all’Italia credibilità, affidabilità e reputazione. Questa è stata la missione del Governo e questa è l’eredità che lascia, il campo magnetico che le forze politiche che hanno a cuore questo Paese non possono permettersi di abbandonare. Bisogna continuare su questa strada, difendendo la politica della speranza, della responsabilità e della fiducia dai sovranisti opportunisti e dall’egoismo della solitudine. Il salto di maturità che l’unità nazionale aveva reso possibile fino alla scorsa settimana era stata la capacità di andare oltre le miopie, oltre gli ideologismi, oltre le manovre elettorali di piccolo cabotaggio. Qualcuno ha colpevolmente scelto di tornare indietro, dimenticando che non c’è crescita e non c’è sviluppo senza l’Europa. Che il futuro dell’ordine democratico globale è sulle nostre spalle. Che nessuno si salva da solo”.

Vi prego, non perdiamo quest’occasione così decisiva per le sorti del nostro Paese. Un cordiale saluto

 

Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale DC

Venezia, 26 Luglio 2022

Si annuncia un clima da’48

 

Era prevedibile che lo sconquasso aperto da Conte, Salvini e Berlusconi con la sfiducia al governo Draghi, avviasse una campagna elettorale che sta assumendo i toni di quella storica del 1948. Carlo Nordio, il magistrato veneto che era ipotizzato come ministro del futuro governo di destra, ospite della war room di Enrico Cisnetto, ha detto testualmente: "Non abbiamo prove - premette Nordio - ma le coincidenze sono diventate indizi gravi, precisi e concordanti". E aggiungeva: "Sono rimasto inorridito dalle parole di Berlusconi e Salvini che rappresentavano una sorta di endorsement a Putin. L'aggressione russa all'Ucraina è folle, criminale e ingiustificata, e sarebbe inammissibile un governo che non sostenesse, in politica estera, la linea di Draghi, ovvero un sostegno all'Ucraina senza se e senza ma". Tali affermazioni di un gentiluomo liberale, dato già per futuro ministro della destra, fa il paio con quelle pronunciate da Luttwack in TV contro gli stessi Salvini e Berlusconi, il quale ha testualmente dichiarato: "Visto in TV Draghi in piedi con Di Maio alla sua sinistra e Guerini sulla sua destra -la squadra che ha tenuto l'Italia nel patto Atlantico con (piccole) forniture di armi all'Ukraina. Contro ci sono gli amici di Putin: Berlusconi, Conte, Salvini  + i "Pacifisti", inutili".

E’ evidente che, in tale quadro, si comprende meglio la foto dell’indegno incontro avvenuto a Villa Grande nella quale il Cavaliere, mano nella mano della sua…..”consorte”, dà l’ordine ai rappresentanti della destra di governo per la sfiducia al governo Draghi. Per noi democratici cristiani che abbiamo avuto l’onore di conoscere uomini politici della levatura di Moro, Fanfani, Andreotti, Rumor, Taviani, Colombo, Bisaglia, Marcora, Misasi, Donat Cattin e De Mita, mai avremmo creduto che si potesse giungere a un tale livello di bassa macelleria politica. Ancor per noi più deprimente è stato vedere l’On Cesa, UDC, come ruota di scorta della destra, passiva comparsa di una tragicomica performance. E’ intollerabile pensare che Cesa col suo trio continui a utilizzare il glorioso scudo crociato, come rendita per la personale sopravvivenza  parlamentare, inserito in una destra a guida Meloni-Salvini, estranea a tutta la tradizione e alla storia della DC. Questo inganno, che dura da troppi anni, va immediatamente denunciato e noi DC lo faremo in tutte le sedi opportune. Ci confortano le conclusioni della nostra direzione nazionale del 21 Luglio scorso, che hanno confermato la disponibilità del partito a concorrere, nell’autonomia, alla formazione di un’alleanza parlamentare di ispirazione euro atlantica, unita dalla volontà di perseguire l’agenda Draghi; del leader, cioè, che ci proponiamo di indicare al Presidente della Repubblica, se, come siamo convinti, l’alleanza Draghi vincerà le prossime elezioni politiche. Il clima che sta montando, sin dalle prime ore della campagna elettorale, ricorda quello vissuto dai nostri padri nel 1948. Si tratta, infatti, di scegliere da che parte stare: in quella coerente con le scelte fatte dalla DC di De Gasperi nel 1949 con l’adesione al Patto Atlantico e nel 1954 con quella all’UEO ( Unione Europea Occidentale), o in quella ambigua degli amici di Putin e dei nazionalisti e sovranisti amici di Orban e dell’estrema destra europea. Accanto a questa scelta  dirimente nella politica estera, si tratta di decidere se l’Italia debba essere guidata dalla destra a dominanza di  Giorgia Meloni e Matteo Salvini, col Cavaliere dimezzato, che continua con le sue promesse politiche di marinaio, o da una coalizione di forze democratiche, popolari, liberali e riformiste impegnate a salvaguardare il lavoro, i conti pubblici e i portafogli degli italiani. Risparmi e portafogli che le sciagurate azioni di Conte, guidato dal risentimento e di Salvini e Berlusconi, sollecitati dalla voglia di leadership perdute e/o da equivoche frequentazioni internazionali, stanno mettendo a dura prova in questi giorni e ore. Andamento di borsa, incremento dello spread, sfiducia generalizzata sull’Italia, considerata oggi meno affidabile della stessa Grecia, sono con l’inflazione da costi fuori controllo, la crisi energetica, ambientale e sanitaria, le grandi emergenze alle quali un governo del trio di destra non potrà mai dare soluzione. Loro sono stati il fiammifero che ha innescato la crisi; tocca alle forze politiche più responsabili della sinistra e del centro, concorrere a indicare le soluzioni. La Democrazia cristiana, come nei momenti più importanti della sua storia, si è pronunciata e faremo tutto quanto è possibile per favorire l’avvio dell’alleanza elettorale per Draghi presidente.

 

Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale DC

Venezia, 22 Luglio 2022

Fedeli alla nostra storia

 

Oggi ho partecipato in video conferenza alla riunione della direzione nazionale della DC, convocata dal segretario Renato Grassi, in una situazione assai diversa da quella che pensavamo solo alcune settimane prima. La crisi di governo aperta da Conte e dal M5S, cui hanno fatto sponda Salvini e Berlusconi, oltre alle elezioni anticipate di autunno, ha avviato un processo di scomposizione delle forze politiche destinato a non arrestarsi. Di Maio con diversi grillini prima, la Gelmini con Brunetta e Cangini usciti da Forza Italia oggi, sono antesignani di una deriva che porterà a una diversa ricomposizione delle forze politiche. Ieri abbiamo assistito allo spettacolo “ inusuale” di esponenti di centro destra di governo convocati nella casa privata da un signore, il quale, assistito da una gentile compagna, dettava ai suoi adepti la linea. Peccato che a quell’incontro della destra di governo partecipasse anche Lorenzo Cesa, come un cavalier servente, che, ancora una volta utilizza lo scudo crociato per un progetto politico estraneo alla nostra cultura, storia e tradizione politica. E’ evidente, infatti, che il prossimo scontro elettorale avverrà, com’era prevedibile, tra una destra dominata dal duo Meloni e Salvini e, almeno mi auguro, una coalizione elettorale di partiti uniti dalla comune scelta euro atlantica e pronti ad offrire una proposta politico programmatica in grado di rispondere alle attese del terzo stato produttivo e della povera gente. Alla decomposizione progressiva del M5S e di Forza Italia, anche nella Lega, specie nel Veneto e Friuli, non mancheranno scosse di assestamento, con la pressione di amministratori locali e piccoli e medi imprenditori contrari alla crisi politico istituzionale, che si aggiunge a quella economico sociale derivante da pandemia, inflazione da costi, massimi quelli dell’energia, e timorosi delle conseguenze che tale crisi potrà avere a livello europeo e internazionale per il nostro Paese.

Nel mio intervento in direzione ho sostenuto la necessità che la DC non si estraniasse dal processo di scomposizione e ricomposizione in essere, riaffermando le ragioni storiche della nostra scelta euro atlantica. Una scelta che ci dà piena legittimità di concorrere, mantenendo la nostra autonomia, a un’alleanza elettorale euro atlantica insieme agli amici Tabacci, Casini, Renzi, Calenda, Toti, Gelmini, Carfagna. Ho molto apprezzato l’intervento di Casini e Renzi ieri al Senato, entrambi figli della nostra tradizione. Quella che, dopo Yalta, portò De Gasperi alla firma del Patto Atlantico il 4 Aprile 1949 e il 23 Dicembre 1954 al voto per l’adesione dell’Italia all’Unione Europea Occidentale (UEO). Un voto che portò all’espulsione immediata dal partito degli Onn. Mario Melloni ( il futuro Fortebraccio dell’Unità) e Ugo Bartesaghi, già sindaco di Lecco dal 1948 al 1954, per aver votato contro quel trattato. Era segretario del partito, Amintore Fanfani. Altri tempi e ben altri leader politici! Con la scelta determinante fatta da quattro leaders DC europei per l’avvio della CEE: De Gasperi, Adenauer, Monnet e Schuman, riteniamo di avere tutte le  carte in  regola per concorrere insieme ad altri partiti a tale alleanza elettorale. Ora spetterà a Draghi decidere, non di dar vita a un suo partito, ma di accettare la leadership di tale alleanza che lo proporrebbe capolista indicato come capo del governo dopo la verifica elettorale. E’ evidente che compito della DC sarà anche quello di offrire alcune idee di programma ispirate dai valori dell’umanesimo cristiano e della dottrina sociale della Chiesa, quali quelli della solidarietà e sussidiarietà. Insomma programma e alleanza elettorale di un centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, atlantista, alternativo alla destra nazionalista e sovranista. Una scelta con la quale intendiamo riaffermare la validità della nostra migliore tradizione e concorrere a sconfiggere la linea putiniana che gioca a dividere l’Europa euro-atlantica attraverso la guerra e il ricatto energetico. Una seria verifica andrà compiuta nelle nostre periferie per preparare al meglio le prossime elezioni politiche e indicare una classe dirigente credibile, che assuma il codice etico sturziano come riferimento morale per i propri comportamenti politici e amministrativi.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 21 Luglio 2022

 

 

Lettera aperta  all’amico On. Carlo Giovanardi

 

Caro Carlo, ieri sera ho avuto conferma di molte posizioni “clerico moderate”, che rendono assai difficile un progetto politico comune. Battendomi da molti anni per la ricomposizione della nostra area culturale e politica, sono ben consapevole che posizioni come quella espresse ieri sera da alcuni partecipanti, sono state sempre presenti nella storia dei Popolari e della stessa DC. Non a caso ho citato il caso dell’On Stefano Cavazzoni, deputato popolare di Guastalla, che tanti problemi creò a Sturzo, prima, durante e dopo il Congresso dei Popolari  a Torino del 1923.  Ho sempre apprezzato la tua coerenza e la strenua difesa dei valori non negoziabili di noi cattolici in materia di vita, persona e famiglia.

Nella situazione politica odierna, con una destra dominata dalle posizioni della Meloni e di Salvini ( non si tratta del mio presidente Zaia o di Fedriga), come ho sostenuto ieri sera, credo sia primaria l’esigenza dell’unità delle forze che si ispirano all’euro atlantisimo e credono nella Costituzione repubblicana. Ritengo anche che questo  collante possa essere garantito dalla leadership di Mario Draghi.

Ricordo che, il 4 Aprile 1949 il Trattato NATO viene firmato a Washington da 12 Stati membri fondatori e cioè Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito e Stati Uniti d'America. Scelta derivante dagli accordi di Yalta ai quali, la DC e il governo di De Gasperi, aderirono con grande vantaggio per il futuro del nostro Paese. Qualche anno più tardi, il 23 Dicembre 1954, segretario della DC, Amintore Fanfani, le carriere politiche di Mario Melloni ( futuro Fortebraccio dell’Unità’) e di Ugo Bartesaghi (già sindaco DC di  Lecco dal 1948 al 1954)subirono una brusca interruzione, in occasione della discussione parlamentare sull’adesione dell’Italia all’Unione europea occidentale (UEO).Fermamente contrari a un’alleanza politico-militare che avrebbe consentito il riarmo della Repubblica federale tedesca e ulteriormente esacerbato le logiche dello scontro bipolare sul piano internazionale come su quello interno, il Melloni – insieme con il collega e compagno di partito U. Bartesaghi – presentò un emendamento che proponeva di procrastinare l’entrata in vigore degli accordi di tre mesi, nel nome «dell’urgenza politica di sperimentare fino all’ultima ora, fino all’ultimo minuto, tutte le possibilità di trattare che la situazione, prima di divenire gravissima o addirittura irreparabile, ancora avaramente ci consente». La proposta dei due deputati fu respinta ed entrambi votarono contro la ratifica dell’adesione alla UEO; qualche ora, dopo la conclusione della seduta della Camera, la direzione centrale della DC – presieduta dal neosegretario A. Fanfani – deliberò all’unanimità la loro immediata espulsione dal partito. Come tu ben sai la scelta euro atlantica è uno dei capisaldi della nostra politica estera che ispirò i padri fondatori DC dell’Unione europea (CECA e successive trasformazioni): De Gasperi, Adenauer, Monnet e Schuman. Sentire quel signore “liberale” (?!) di ieri sera sottovalutare tale scelta,  mi pare un elemento che rende alquanto difficile un’intesa politica. Così come mi è parsa inaccettabile la tua sottovalutazione del ruolo della DC guidata da Renato Grassi, il quale, presente alla riunione, poco dopo, credo sconfortato, ha abbandonato la stessa. Udire gli sproloqui di quel clerico moderato (?!)  chirurgo di Firenze, Paoletti, contro la DC e il suo congresso, mi ha impedito di restare ancora collegato alla riunione.  Ho sempre apprezzato le tue battaglie coerenti in difesa di principi e valori, ma, ripeto, nella situazione attuale, alla fine, con il rosatellum che non sarà abbandonato, la tua scelta finirà a sostegno del blocco conservatore a guida sovranista e nazionalista. Questa non è la mia scelta che, mi preme evidenziare, resta quella di favorire la nascita di un centro democratico, popolare, liberale e riformista che, stante la situazione internazionale ( crisi in Francia di Macron, in GB dopo le dimissioni di Boris Johnson, della Germania di Scholz, ora squassata dallo scandalo a luci rosse droga dello stupro, oltre da una recessione e inflazione consistente, la fine di Joe Biden negli USA) la cui unità possibile può trovarsi nel sostegno della politica estera euro atlantica. Un centro, dunque, alternativo alla destra nazionalista e populista e alla sinistra senza identità, che per annuncio dello stesso Landini-CGIL, non è nemmeno più in grado di rappresentare il mondo del lavoro a livello parlamentare. Serve un centro nel quale sia forte la presenza di ispirazione democratico cristiana e popolare, capace di esprimere, accanto alla fedeltà alla politica estera euro atlantica, coerente con le scelte dei padri fondatori DC, un progetto di programma all’altezza dei bisogni del terzo stato produttivo e delle attese della povera gente ( che fu l’obiettivo storicamente perseguito dalla DC). Un centro che, ovviamente, potrà e dovrà necessariamente collaborare con quanti, condividendo tali scelte strategiche, intendono con noi difendere e attuare integralmente la Costituzione, a partire dall’applicazione dell’art.49 in materia di democrazia interna dei partiti. Resto interessato a concorrere all’organizzazione di un’assemblea costituente per la ricomposizione politica della nostra area culturale e politica, un progetto che potrebbe essere facilitato solo se venisse adottata una legge elettorale proporzionale. Temo, invece, che, restando il rosatellum maggioritario, le nostre posizioni finiranno inevitabilmente col tripartirsi : a destra, a sinistra o nell’astensione dal voto. Ti ringrazio per l’impegno che, come a Orvieto alcuni anni fa, abbiamo ancora una volta cercato di sollecitare e, con immutata stima e amicizia, ti saluto cordialmente.

Ettore Bonalberti

Venezia, 19 Luglio 2022

 

 


Non è tempo di polemiche, ma di ricomposizione

 

Stimolato dall’ultimo articolo di Giorgio Merlo su “ Il Domani d’Italia” (NO alla DC, si a una Democrazia di ispirazione cristiana) ho redatto questa mia riflessione. Appartengo a quegli indomabili “ultimi mohicani democristiani” che, dal 2011, perseguono l’obiettivo della ripresa politica della DC, dopo che la Corte di Cassazione, con sentenza definitiva n.25999 del 23.12.2010, ha stabilito che: “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”. Un progetto avviato da un’indicazione dell’amico Publio Fiori e dall’impegno assunto con il compianto Silvio Lega per l’autoconvocazione dell’ultimo consiglio nazionale del partito. Un’autoconvocazione che riuscimmo a realizzare nel 2012. Sono passati dieci anni e, tra vicende alterne, alcune delle quali dolorose, il 14 Ottobre 2018 si è celebrato il XIX Congresso nazionale della DC, nel  quale Renato Grassi è stato eletto segretario nazionale.

La recente sentenza n.10654 del 4.7.2022 del tribunale di Roma ha posto fine alla ridda dei se-dicenti capi e capetti di fantomatiche Democrazie Cristiane, che tanta confusione ha creato in molti amici presenti nelle diverse realtà territoriali. Comprendo le difficoltà di amici ex DC, i quali, avendo vissuto l’esperienza del passaggio dal PPI di Martinazzoli, Marini e Castagnetti all’Ulivo di Prodi e, quindi, al PD, dopo un lungo travaglio, si ritrovano adesso nella situazione ambigua e difficile di ex democratici cristiani (magari confortati dal perentorio giudizio dell’On Bodrato sul “prezioso cristallo infranto”) senza un partito e con alle spalle una militanza infelice nel PD, nel quale, per dirla con Donat Cattin, alla fine hanno fatto esperienza di quell’aforisma  secondo cui: “ è sempre il cane che muove la coda”.

Condivido con Merlo l’idea della costruzione di “una democrazia di ispirazione cristiana”, ma, nel contesto politico concreto dell’Italia oggi, alla vigilia di un confronto elettorale che si annuncia durissimo e su alcuni valori fondanti della storia politica della nostra Repubblica, come quelli della scelta nella politica estera, penso che servirebbe un partito organizzato, cristianamente ispirato, anche se non si desidera chiamarlo Democrazia Cristiana. Nessuno di noi pensa di rifare la DC storica, semmai di concorrere a costruire un partito che si rifà a quella tradizione politica, nel contesto storico politico presente. Caro Giorgio, non basta richiamarsi a Sturzo e a De Gasperi, ai governi di Moro e Fanfani, alle grandi scuole della sinistra sociale di Donat Cattin e politico istituzionale di De Mita, se, alla fine, tutto ciò si riduce a una generica richiesta di “una democrazia di ispirazione cristiana”.

Come scrivo con monotonia anche su questo giornale, da molto tempo mi batto per la ricomposizione politica della nostra area cattolico democratica e cristiano sociale, per concorrere alla formazione di un blocco culturale,  sociale, economico e politico istituzionale, nettamente schierato per l’Unione europea e per la scelta atlantica in politica estera, coerentemente con la migliore tradizione politica della DC. Un blocco che, mi auguro, possa costruire alle prossime elezioni una lista unitaria progressista, alternativa alla destra nazionalista e populista, nella quale il ruolo della parte democratico cristiana e popolare sia ben garantito. Per quest’obiettivo serviranno tutte le diverse parti oggi frastagliate e divise dalla lunga stagione della diaspora e servirà, al contempo, superare anche quella situazione di stallo, di surplace, di amici come gli ex popolari già presenti nel PD, i quali hanno il dovere di riconoscere i limiti di un partito che ha permesso lo sviluppo e l’egemonia sempre più diffusa di una cultura radicale di massa,  contraria ai valori fondanti non negoziabili di noi cattolici in materia di persona, vita e famiglia. Una cultura che allontana dal voto non solo i teocom, ma molti elettori ed elettrici del terzo stato produttivo ( artigiani, agricoltori, commercianti, piccoli e medi imprenditori, professionisti) che credono nei principi indicati dalla dottrina sociale della Chiesa. Essenziale sarà trovare un minimo comun denominatore che, nella situazione politica attuale, aggravata dalla crisi aperta da Giuseppe Conte e da ciò che resta del M5S, ritengo possa proprio trovarsi nella scelta unitaria euro atlantica e in un progetto di politica economica, finanziaria e sociale in grado di garantire l’equilibrio tra gli interessi dei ceti medi produttivi e quelli delle classi popolari. In questo contesto, non servono le polemiche superficiali  e gli astratti riferimenti a progetti ideali, ma, piuttosto, metterci tutti veramente alla stanga, per costruire una formazione politica e una lista elettorale che, permanendo questo indecente sistema elettorale, possa competere in alternativa democratica al blocco conservatore sovranista e nazionalista guidato da Fratelli d’Italia e dalla Lega salviniana.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 15 Luglio 2022

La stella polare della politica italiana

 

La politica estera, con la realistica scelta degasperiana post Yalta dell’alleanza occidentale, è stata la stella polare della politica italiana, confermata da tutti i governi che si sono succeduti alla guida del Paese in tutta la storia della nostra Repubblica. Oggi viviamo una condizione di guerra causata dalla brutale invasione russa dell’Ucraina, aperta sfida all’Europa e all’Occidente, nel tentativo dell’autocrate Putin di ricomporre la vecchia Unione Sovietica e di superare gli equilibri geopolitici di Yalta ( Febbraio 1945), nel “secolo asiatico” a dominanza cinese.  Non mancano esponenti e gruppi politici italiani già orientati verso Russia e Cina che, anche in questo momento di aperto conflitto bellico, mostrano malcelate disponibilità filo russo, alimentando quello che viene oramai denominato “ putinismo italico”.

La condizione di grave crisi economica e sociale, politico e istituzionale dell’Italia, ha generato il forte malessere tradottosi nel voto a vantaggio dei “vaffa” nel 2018 e nella sempre più forte astensione dal voto di oltre la metà degli elettori, sia nelle elezioni politiche nazionali che locali.

Il governo di ampia convergenza a guida di Mario Draghi è stata la risposta che, auspice il Quirinale, si è cercato di dare al Paese. Un governo che, dopo quello del Conte 2, ha dovuto affrontare con la continuazione, tuttora in atto, di una delle pandemie più gravi della storia contemporanea, quella della guerra che sta sconvolgendo i rapporti internazionali utilizzando con le forze militari messe in campo da Russia e Nato, le leve strategiche dell’energia da parte di Putin e del controllo dei cereali destinati all’alimentazione di miliardi di persone, specie nei Paesi più poveri del mondo. E’ in atto un’inflazione da costi che non si vedeva da decenni, col rischio di successiva stagnazione, una stagflation che nel nostro Paese si aggiunge a una disuguaglianza sociale come quella denunciata dal recente rapporto ISTAT. Una diseguaglianza espressa in questi termini: in Italia nel 1980 gli AD più pagati prendevano 45 volte i loro operai, 649 volte nel 2020. Quanto siamo lontani dalla regola morale  di Adriano Olivetti: «Nessun dirigente, neanche il più alto in grado, deve guadagnare più di dieci volte l'ammontare del salario minimo».  E’ evidente che, con una disoccupazione crescente alimentata dalla crisi e chiusura annunciata di oltre 100.000 aziende, e un’inflazione oltre l’8%, che si ripercuote soprattutto nella borsa della spesa delle categorie più povere, ci prepariamo ad affrontare un autunno molto caldo. Una situazione che, se non è messa sotto controllo, rischia l’esplosione sociale. Che in tale contesto, Giuseppe Conte stia mettendo a rischio la tenuta del governo Draghi, se è comprensibile rispetto a un movimento che col reddito di cittadinanza si era illuso di proclamare “ la fine della povertà”, è del tutto ingiustificabile considerando che, persa la leadership dell’uomo allineato al mainstream occidentale, l’assenza di un’alternativa credibile può solo arrecare ulteriori danni alla già grave situazione italiana. Salvini ha subito dichiarato nella giornata di ieri: "240 giorni poi vince il centrodestra a guida Lega". Credo che trattasi di un whisful thinking del leader leghista che sembra non stia facendo i conti con la concorrenza della Meloni e di Fratelli d’Italia. Berlusconi, riavutosi dal momento di afasia e preoccupato dai movimenti centrifughi in Forza Italia, ha colto al balzo la situazione chiedendo, come ai tempi della prima Repubblica, un’immediata verifica di governo. Si troverà un compromesso oppure NO? Lo vedremo nelle prossime ore. Intanto, però, io credo che, tenendo fissa la nostra stella polare , noi democratici cristiani e popolari abbiamo il dovere di impegnarci nella costruzione di una forte alleanza politico elettorale euro atlantica, in coerenza con la nostra storia migliore, quella dei padri fondatori DC dell’Unione europea: De Gasperi, Adenauer, Monnet e Schuman.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 12 Luglio 2022

 

I programmi languono, si pensa alle alleanze

 

Molti convengono che prima delle alleanze bisognerebbe discutere di programmi. Ho tentato di offrire alcune idee di programma, per la verità senza trovare, almeno sin qui, interlocutori disponibili. Alla fine, in quasi tutti, sembra prevalere il tema delle alleanze. Un tema scivoloso per il quale. all’interno della nostra area di ispirazione cattolico democratica e cristiano sociale, sopravvive la distinzione tra neocon e neodem che caratterizzò la stagione di egemonia ruiniana nella Chiesa italiana, elemento divisivo sul piano politico. E’ una distinzione che porta allo scontro tra coloro che assumono in via prioritaria la difesa dei cosiddetti “valori non negoziabili” ( vita, persona, famiglia) e quelli che privilegiano i temi della giustizia sociale e i principi indicati dalla dottrina sociale cristiana della solidarietà e sussidiarietà. Altra distinzione che si conserva è quella che si sviluppò nella lunga storia della DC tra la sinistra sociale e la sinistra politica, acuitasi al  congresso del partito del 1980, quello del “ preambolo”, che divise i sostenitori dell’alleanza con i socialisti da quanti proponevano un rapporto preferenziale con i comunisti. Divisioni di un’epoca lontana che sopravvive solo tra i combattenti e i reduci d’antan….

Se a tali distinzioni fra i diversi movimenti, partiti, associazioni, gruppi e attori della vasta e complessa realtà politico culturale, aggiungiamo le difficoltà ancora presenti in quella ecclesiale italiana, appare evidente quanto sia difficile uscire dalla lunga stagione della diaspora, avviatasi con la fine della DC ( 1993-94) e continuata nella Demodissea che sopravvive tuttora nei nostri giorni.

Credo sia fondamentale porci alcuni obiettivi principali della nostra azione politica, con i quali dovremmo tentare di offrire risposte politiche concrete a quelle che Giorgio La Pira definiva “ le attese della povera gente”, collegate alla situazione particolarmente grave che il nostro Paese sta vivendo anche a livello internazionale. Se,infatti, all’interno prevale una condizione di anomia sociale, culturale e politico istituzionale, anche a livello europeo esiste una condizione di forte crisi tra alcune delle principali realtà democratiche del continente. Alle dimissioni di Boris Johnson in Gran Bretagna, alla perdita della maggioranza parlamentare di Macron in Francia, alla debole leadership di Olaf Sholz in Germania, si aggiunge il progressivo sfaldarsi dell’ampia maggioranza del governo per l’emergenza a guida Draghi in Italia. In tale quadro interno e internazionale, venendosi a delineare nel nostro Paese in maniera sempre più evidente lo scontro tra uno schieramento nettamente orientato a sostegno delle alleanze euro atlantiche e un altro sovranista e nazionalista ondivago in politica estera, è evidente che la scelta della Democrazia Cristiana, non potrà che corrispondere a quella che fu scritta da De Gasperi e dalla nostra prima generazione DC a favore del Patto atlantico e dell’Unione europea. Quest’ultima fu una scelta che vide la DC protagonista assoluta con lo stesso leader trentino insieme a Adenauer, Monet e Schuman. Ecco perché la nostra decisione a sostegno dello schieramento euro atlantico che si organizzerà per le prossime elezioni politiche è prioritaria nella nostra strategia. Rafforzati dalla recente sentenza del tribunale di Roma che riconosce piena legittimità e continuità storica al nostro partito, dobbiamo, pertanto, compiere ogni azione utile e opportuna, tanto sul fronte del PPE, che con i partiti e i movimenti che condividono con noi la scelta euro atlantica. Sarebbe utile che una grande iniziativa in tal senso fosse organizzata dal nostro partito a livello nazionale, invitando le realtà politiche e culturali dell’area liberale e riformista, come quelle presenti nella nostra area di riferimento. Un ruolo privilegiato andrebbe svolto insieme agli amici del Centro Democratico, dei Popolari Liberali, del Popolari per l’Italia, Insieme, Rete Bianca e con tutte le altre formazioni partitiche che si pongono in alternativa alla destra nazionalista e populista, restando distinti e distanti dalla sinistra tuttora alla ricerca della propria identità. Manca la garanzia di un centro forte alla realizzazione del quale il nostro contributo sarà decisivo e senza il quale, il pur importante ruolo di garanzia che  Enrico Letta sta facendo assumere al PD, sarà insufficiente ad opporsi alla deriva di destra egemonizzata dal duo Melloni-Salvini. Un duo incerto e ondivago in politica estera, incapace da solo di corrispondere alle attesa dei ceti medi produttivi e delle classi popolari che alla Democrazia Cristiana hanno sempre fatto riferimento per quasi cinquant’anni nella storia della Repubblica.

 Consapevoli che da soli non si va da nessuna parte, sia nel caso restasse in vigore l’attuale legge elettorale maggioritaria del “rosatellum” ( in quel caso tanto le dirigenze nazionali che il nostro elettorale rischierebbero la tripartizione tra destra, sinistra e astensione dal voto), sia se, alla fine, prevalesse, come pare stia avanzando, l’idea di una legge proporzionale con sbarramento e premio di maggioranza. In questo caso, infatti, solo se saremo uniti potremo superare la soglia dello sbarramento che verrà stabilito. Da parte mia riconfermo che la nostra scelta politica sulle alleanze, non potrà che essere coerente con quella che ha sempre visto la DC schierarsi con i partiti impegnati a difendere e attuare integralmente la Costituzione repubblicana.

Pienamente legittimati nella nostra iniziativa di partito si dovranno, quindi, mettere in campo una serie di azioni programmatiche e organizzative che mi propongo di presentare alla riunione della direzione nazionale del partito annunciata per il prossimo 23 Luglio.

 

Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale DC

Venezia, 8 Luglio 2022

 

 

Tempo di convegni e di strategie elettorali

 

Si è aperta la stagione dei convegni e degli incontri politici estivi, tanto più interessanti alla vigilia delle elezioni sempre più vicine. Si incontrano le correnti del PD, come quella del ministro Franceschini a Cortona e si annunciano incontri, in presenza fisica o virtuale via web, all’interno e tra i partiti, movimenti e associazioni delle diverse aree politiche. Non è ancora chiaro con quale legge elettorale si andrà a votare, ma, sia che permanga il rosatellum maggioritario, o che, alla fine, si adotti una legge proporzionale con sbarramento, è opportuno utilizzare il periodo estivo-autunnale per mettere a punto le strategie e le tattiche in vista delle elezioni programmate per la primavera 2023.

Oggi, poi, è un momento particolarmente importante per l’area politica cattolico democratica e cristiano sociale, oggetto della riflessione svolta da Marco Da Milano su il “ Domani” (4 Luglio 2022) , commentata in maniera approfondita  dal sen D’Ubaldo,oggi, su “Il Domani d’Italia. “Il ritorno dei cattolici in politica” da Zuppi a Tommasi, è il titolo dell’articolo di Da Milano, che evidenzia molti argomenti su cui discutiamo da diverso tempo. Avendo vissuto in tutta la sua estenuante durata  la stagione della diaspora democratico cristiana ( 1993-2022), alla vigilia delle prossime elezioni politiche è tempo di tentare la raccolta della semina sin qui compiuta. Viviamo ancora oggi una situazione di stallo, caratterizzata da diversi tentativi di ricomposizione, ahimè, quasi tutti inficiati dall’eterno vezzo italico per il quale: tutti vorrebbero coordinare e nessuno vuol essere coordinato. Permane la distinzione propria della fase ruiniana tra teocon e teodem, che si traduce, in molti casi, nella divisione tra i sostenitori dell’alleanza a destra con quelli di un rapporto privilegiato a sinistra; ultimi colpi di coda di una dicotomia che ha origini ancor più antiche, alcune delle quali risalenti al tempo della scelta divisiva del “preambolo”, al congresso della DC del 1980. La grave situazione internazionale causata dalla guerra di invasione russa in Ucraina e lo sconvolgimento degli equilibri internazionali fissati a Yalta (Febbraio 1945), nella nuova realtà multipolare che si sta delineando nei rapporti tra le grandi potenze, assegnano alla politica estera un ruolo decisivo per qualsivoglia opzione strategica che si intenda perseguire in vista delle prossime elezioni politiche. Ritengo, infatti, che di là delle vecchie distinzioni tra centro destra e centro sinistra, il prossimo scontro elettorale sarà imperniato sul confronto scontro tra partiti schierati nettamente a sostegno della scelta euro atlantica e partiti sovranisti e nazionalisti, in Italia guidati dal duo Meloni-Salvini. Il grande travaglio presente nel mondo cattolico, che richiederà tempi di soluzione incompatibili con quelli più brevi imposti dalla politica italiana, ci costringerà a scegliere inevitabilmente sulla base dell’opzione decisiva in politica estera. Fu così per la DC di De Gasperi, all’indomani della seconda guerra mondiale e, seppur in una diversa situazione interna, lo sarà anche per noi il prossimo anno. Personalmente ho sempre sostenuto l’idea che compito dei DC e dei Popolari avrebbe dovuto essere, come credo ancora sia, quello di concorrere a costruire un centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista e filo atlantico, alternativo alla  destra nazionalista e populista e distinto e distante dalla sinistra tuttora in cerca della propria identità. Una sinistra nella quale permangono visioni etico morali antitetiche ai valori non negoziabili di noi cattolici, tanto da rendere concreta l’idea di Augusto Del Noce di una sinistra “partito radicale di massa” con cui, per molti dei nostri elettori, risulta difficile, se non impossibile, la collaborazione. E’ tempo però di assumere, tra quanti sostengono l’opzione euro-atlantica, una seria disponibilità a comprendere gli uni le ragioni degli altri, riconoscendosi unitariamente nei valori fondanti della nostra Costituzione. Con l’amico Carlo Giovanardi (Popolari Liberali) abbiamo deciso di ritrovarci in una riunione on line, nel mese di Luglio, per una prima verifica con quanti sono interessati al progetto di ricomposizione politica della nostra area. Molti hanno aderito con entusiasmo all’iniziativa; altri hanno confermato la loro partecipazione; qualcuno ha espresso riserve, nel timore di pregiudiziali sulle alleanze. Scelte queste ultime che, condivisa quella sulla politica internazionale dell’Italia, ritengo si debbano fare solo dopo che, anche sulla politica economica, finanziaria e sociale, ossia sul programma, si saranno trovati i necessari accordi. Anche dalla base si stanno muovendo positivamente con il medesimo obiettivo,, stanchi delle incertezze e dei rinvii dei vertici nazionali. E’ il caso degli amici lucani del “Centro Leone XIII” di Rionero in Vulture e degli “Amici dei valori della DC”, con la loro pagina facebook; azioni che, partendo dai territori, tentano di coinvolgere il maggior numero di adesioni di movimenti, gruppi, associazioni, in preparazione di un’assemblea costituente per la ricomposizione politica dei DC e Popolari, assolutamente indispensabile qualunque possa essere, alla fine, la legge elettorale con cui si voterà nel 2023, anche per scegliere una rinnovata classe dirigente coerente con la nostra migliore tradizione.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 5 Luglio 2022

 

 

Tirem innanz da Liberi e Forti

 

Ho partecipato da remoto alla riunione dell’ufficio politico della DC il 24 Giugno scorso, apprezzando la relazione introduttiva del segretario nazionale, Renato Grassi che ho approvato. Con Renato abbiamo vissuto  larga parte della nostra vita politica nel Movimento Giovanile DC prima, nel partito storico della DC poi, e nella travagliata stagione della diaspora (1992-2022). Sono stato tra i più convinti sostenitori della sua elezione al congresso nazionale dell’ottobre 2018, che considero tutt’ora l’unico atto legittimo di continuità storico politica del partito dopo la sentenza della Cassazione del 2010. Della relazione Grassi ho apprezzato il richiamo alla nostra scelta preferenziale per la legge elettorale proporzionale con le preferenze, che, a mio parere, è la precondizione indispensabile se vogliamo perseguire la ricomposizione politica della nostra area cattolico democratica e cristiano sociale.

Ho anche apprezzato la scelta definitiva di rifiuto nei confronti dell’UDC di Cesa, le cui offerte pre elettorali si sono rivelate sempre inaffidabili.

Grassi su questo punto è stato netto, così come quando ha affermato, coerentemente con la mozione congressuale votata per la sua elezione alla segreteria, quanto segue: Proprio la stagione elettorale può invece favorire un ampio processo di aggregazione che consenta di creare i presupposti di una ampia rappresentanza unitaria a livello istituzionale premessa questa si per la formalizzazione di un nuova  formazione politica con una forte caratterizzazione identitaria.
E questa a mio giudizio ,realisticamente la strada da seguire con la speranza che ci venga in  aiuto una nuova legge  elettorale proporzionale.
Le prossime scadenze elettorali in Sicilia, Lazio e Lombardia  possono essere il banco di prova per rafforzare la nostra presenza istituzionale e la capacità di interlocuzione con le componenti centriste”
.

Va da sé che il nostro congresso slitterà presumibilmente nel gennaio 2023, dopo il voto delle elezioni regionali citate. Credo che se governo e Parlamento decideranno di adottare la legge elettorale di tipo proporzionale, ogni tesi sostenitrice della nostra pur necessaria autonomia sarà insostenibile, dato che uno sbarramento al 4 o 5% renderà inevitabile prima di tutto la nostra ricomposizione d’area. Non ci si illuda che, il pur prezioso risultato elettorale siciliano, sia sufficiente per garantirci una nostra partecipazione solitaria alle prossime elezioni politiche nazionali.

Ho ricordato nel mio intervento all’ufficio politico che, impossibilitati a utilizzare lo scudo crociato, rendita di posizione gratuita e illegittima dell’UDC, non sarà col simbolo usato dalla DC di Cuffaro in Sicilia che ci si potrà presentare alle elezioni nazionali. Semmai si potrebbe utilizzare il simbolo che insieme abbiamo condiviso della Federazione Popolare DC, già depositato dall’amico Gargani nelle sedi istituzionali competenti. Non liquiderei, come sta sostenendo qualche amico con eccessiva  sufficienza, quanto sta accadendo nell’area centrale così ben analizzato da Grassi nella sua relazione. Innanzi tutto la netta presa di posizione di Bruno Tabacci per la legge elettorale e il suo sostegno all’azione di scomposizione avviata da Di Maio, che prefigura la formazione di un blocco sociale  e politico euro atlantico attorno alla leadership politica di Mario Draghi. Un progetto centrale che corrisponde ad alcuni dei fondamentali della politica estera sostenuti storicamente dalla DC e che, tuttora, noi condividiamo. Certo non siamo disponibili a partecipare come cani sciolti a tale disegno; semmai, intendiamo concorrere da democratici cristiani a questo progetto. E, prima ancora, intendiamo favorire la ricomposizione politica della nostra area. In una riunione dell’Ufficio direttivo della Federazione popolare DC, promossa da Peppino Gargani, con Tassone e Rotondi e dopo aver ricevuto l’adesione di Carlo Giovanardi ( Popolari liberali), di Gemelli ed Eufemi, avremmo concordato di incontrarci entro Luglio per definire la nostra idea di programma per l’Italia, premessa indispensabile per convocare a Settembre una grande assemblea costituente di ricomposizione politica della nostra area. Agli incerti e nostalgici del tempo antico, come agli appassionati catecumeni neo DC, vorrei ricordare una parabola indiana citata da Amarthya Sen nel suo: “ Globalizzazione e Libertà”. Dai testi indiani sanscriti antichi: una ranocchia vive tutta la vita rinchiusa in un pozzo sospettosa di tutto ciò che accade fuori. Dal  500 a.C.: quattro  testi sanscriti (Ganapatha- Hitopadesà- Prasamaraghava- Battikavya) esortano tutti a non comportarsi allo stesso modo della kupamandika.

La ranocchia aveva una “visione del mondo”, il suo mondo, ma era ovviamente circoscritta a quel piccolo pozzo. Se fosse prevalsa la visione della kupamandika, senza i necessari scambi interculturali, avremmo avuto  una diversa e assai più limitata storia scientifica, economica e culturale dell’umanità. Ecco, cerchiamo di guardare al di là dei nostri confini, non per perdere i nostri connotati storici di democratici cristiani, ma per aprirci alle novità e a ciò che la concreta realtà politica effettuale ci offre. Dalla relazione di Grassi, approvata all’unanimità, ripartiamo con l’entusiasmo e la determinazione dimostrata dal 2012 a oggi. Sì, cari amici: tirem innanz, come sempre da Liberi e Forti.

 

Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale DC

Venezia, 26 Giugno 2022

 

 

 

La riflessione al centro di Comolli

 

La scissione del M5S insegna qualcosa, soprattutto a noi moderati “Noi di Centro” oppure “Punto al Centro”. Infatti il fatto eclatante atteso da mesi se non da anni mette in luce due aspetti, e non tanto marginali,  della mentalità e del modello politico del “terzo millennio” ma decisamente importanti che obbligano a una riflessione.  Una coalizione di persone con origine e passioni diverse va bene in una fase di attacco e di aventinismo del “tutto da cambiare” fuori dai palazzi e in piazza,  ma non va assolutamente bene per governare un Paese complesso e così frammentato per storia e cultura come l’Italia, e per un motivo solo: emerge chiaramente la mancanza di una educazione, formazione, scuola dal basso di chi si vuole impegnare a fare cose pubbliche collettive e istituzionali per altri, cioè fare politica. Seconda riflessione, un’idea nuova di politica, una politica trasparente, una politica rivolta al 100%, non meno, ai bisogni, interessi, necessità e responsabilità diretta del singolo cittadino-elettore paga in termini di attenzione e consenso se c’è una capacità di guida (non necessariamente carismatica e unipersonale) chiara, netta, unica . Quando il singolo  “eletto” (non elevato) pensa più al suo tornaconto e si adegua, anzi diventa furbetto interprete dei regolamenti interni parlamentari che gli consentono di fare quello che vuole senza rendere conto a nessuno, ecco che il rapporto fiduciario crolla in consensi, ma soprattutto in progetti politici. Poi ci saranno anche altre normali e banali motivazioni e semplici differenti visioni che fanno scattare i divorzi. Fatto sta che il campo largo sembra non perdere numeri nell’emiciclo,  ma quanto può perdere o guadagnare nel campo aperto delle prossime elezioni politiche? 

 

Il 2023 è domani e con l’attuale legge elettorale si rischia una catastrofe non solo di eletti, da 900 a 600, ma soprattutto ancor più del legame candidati-collegi, regioni-rappresentanti. Per questo una legge elettorale nuova è necessaria, senza tanti studi, basta copiare!  Resto convinto che “l’intero” impianto e non parziale della legge tedesca sia sufficientemente coerente sia con la rappresentanza territoriale, sia con i vincoli di mandato, sia con la stabilità di governo, sia con anche –un aspetto che mi sta a cuore – il rapporto fra numero di cittadini votanti e numero di eletti. Infatti, il parlamento tedesco può essere composto, di volta in volta, da 600 a 900 parlamentari senza bisogno di tanti giochetti. Più cittadini vanno a votare, più sono i parlamentari.  Sono anche dell’idea che il bicameralismo perfetto non esiste, diventa un modello eccezionale di dialettica e confronto politico ripetuto soprattutto per diversi ambiti territoriali ma che conduce a  decisioni lente e lunghe che oggi non fanno bene al Paese. L ’”Insieme” al centro, e quindi tutti i movimenti o partiti che oggi ne parlano, appare per un vecchio appassionato come il sottoscritto,  come una scelta ovvia: diventa il polo, se uno solo, che determina la stabilità ma anche la corretta innovazione con il cambio di legislatura, dando al cittadino-elettore la “prova” che una alternativa c’è, che una alternanza è sempre dietro l’angolo in forma costruttiva  senza bisogno di alchimie parlamentari, legislative, neonati gruppuscoli . Un aiuto in tal senso viene anche da una ri-organizzazione amministrativa con macroregioni (1 governo locale ogni 2 o 3 o 4 attuali) che già questo non avrebbe bisogno dell’ennesimo passaggio di un “quadro normativo”, ma di una determinazione federativa già pronta. Gli stessi comuni-enti locali, oggi, con meno di 3000-4000 residenti fissi, sono territori abbandonati anche amministrativamente,  quando invece potrebbero essere una risorsa “ecosistemica e occupazionale certa” dimenticandosi di essere territori già abbandonati, difficili, vulnerabili.  

 

Un  eventuale “Insieme al centro”, già l’amico Ettore Bonalberti nel 2008 con altri pensò all’importanza dell’avverbio “insieme” più che a coalizione, non può prescindere da valori, moralità, etica, educazione, rispetto verso gli elettori, coerenza…. e non può non formare un progetto politico che ponga il nucleo primario della famiglia (mi permetto di far rientrare, come cattolico impegnato nella politica del Paese,  anche una famiglia laica e diversa) “al centro” inteso come visione futura,  assistenza ai deboli che possono essere una risorsa, comunione sempre di diritti e doveri, onesto lavoro e corretto stipendio, sanità pubblica da imitare, scuola pubblica un esempio per tutti, meno debito pubblico e più responsabilità ai macroterritori, meno inquinamento al nord e visione caratteriale e autonoma del nostro sud…ma anche meno burocrati e più vera semplificazione e non doppioni, meno spreco e più solidarietà, meno finanza e più economia, meno scartoffie e più vigili per le strade,  meno nazionalismo camuffato e più federalismo europeo su fisco, difesa, esteri, lavoro… 

In questo programma e progetto politico  chissà dove si collocheranno i dimaiani. Ma fra i lettiani e i contiani c’è ancora posto?  E dove si metteranno fra i vari renziani, calendiani, totiani, tabacciani  e forse i casiniani? Una chiosa finale:  un augurio, un pericolo, un lancio spot maldestro… E se anche Berlusconi e molti dei suoi, fedelissimi e fedelissime, dicesse si al centro e non al centro destra….il neo gruppo “Insieme per il futuro” che farebbe? Resterebbe nel campetto o campo largo di sinistra con i vecchi compagni del M5S? Una ipotesi anche questa. Ma è tutta una altra storia…

 

Giampietro Comolli

Piacenza, 25 Giugno 2022  

 

 

Risposta a Rapisarda

 

Ho atteso l’esito elettorale delle elezioni amministrative prima di replicare alla nota dell’Avv. Rapisarda edita sul nostro giornale on line: I corifei del nuovo centro- tra aporie, visioni erranti, strategie impervie.

E’ vero caro avvocato, con l’amico Giorgio Merlo condividiamo una lunga militanza nella sinistra sociale della DC, la corrente di Forze Nuove, che è stata la nostra scuola di formazione partitica, sotto la guida di un maestro straordinario quale fu Carlo Donat Cattin. Entrambi condividiamo l’idea che manchi al centro della politica italiana un partito o una federazione di partiti, ispirati dai valori dell’umanesimo cristiano, strettamente collegato/i alla nostra migliore tradizione euro atlantica, erede/i della storia politica, sociale e culturale dei Popolari e della DC. Scriviamo, senza alcun accordo predefinito e in assoluta libertà personale, molte note e saggi, tanto da assumere ai suoi occhi, il ruolo di “corifei”, maestri del coro a sostegno della costruzione di “un centro nuovo”, per usare l’espressione che Alberto Alessi suggerì di inserire nel documento che siglammo insieme a Gargani, Grassi, Tassone, Eufemi, Gemelli, Giannone e a tanti altri esponenti di movimenti e associazioni per la Federazione Popolare DC.

In sostanza il suo distinguersi da questi due vecchi esponenti DC forzanovisti, consisterebbe nella sua tesi che si dovrebbe procedere in solitaria, come DC, nella costruzione del nostro progetto politico. Una tesi ragionevole che è stata alla base del mio impegno, sin dal 2011, come potrà verificare rileggendo la bella nota riassuntiva della nostra ultima storia, pubblicata sul nostro quotidiano on line: La democrazia tra cronaca e storia.1994-2019. Ed è proprio da quell’esperienza che, allo stato degli atti, dobbiamo riconoscere che quell’obiettivo non l’abbiamo raggiunto, dato che ci troviamo tuttora alla presenza di oltre quindici realtà che, a diverso titolo e legittimità, si rifanno alla DC. Siamo a tutt’oggi privi del nostro simbolo storico, lo scudo crociato, usucapito senza diritto da Casini e soci, sino a diventare una comoda e gratuita rendita di posizione per i soliti noti dell’UDC, con Cesa, de facto, subordinato all’egemonia di De Poli, entrambi al servizio della Lega di Salvini e, adesso, sotto il ruolo guida di Fratelli d’Italia e  della Meloni. Continuiamo una guerra lacerante anche con alcuni consiglieri nazionali eletti nel nostro ultimo congresso nazionale dell’ottobre 2018, i quali, si rincorrono tra ristoranti romani, finti congressi e baruffe assai poco edificanti, per ascriversi il ruolo di papa e anti papa DC. Una tragicomica sequela di corsi e ricorsi che assume ogni giorno di più i caratteri di una psicopatica farsa pseudo politica.

Con l’amico Giorgio Merlo, e mi auguro con tanti altri amici DC non pentiti, personalmente condivido, invece, l’idea che compito prioritario di noi democratici cristiani sia quello di concorrere alla ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale italiana. E lo sostiene uno come me, ossia uno di quelli che insieme a tanti altri, dal 2012 ha seguito il percorso legittimo previsto dallo statuto DC e dai pronunciamenti dei tribunali: da quello della suprema corte di Cassazione del 2010, alla decisione del giudice Romano, grazie alla quale abbiamo potuto celebrare il XIX Congresso nazionale dell’ottobre 2018, nel quale, anche con il mio sostegno fattuale al Nord e dell’amico Antonio Fago al Sud, Renato Grassi è stato eletto alla segreteria nazionale del partito. Nessun dubbio, dunque, sulla volontà di confermare e valorizzare il nostro status di eredi legittimi della DC storica. Detto questo, però, è con la realtà effettuale della politica italiana oggi che si devono fare i conti.

Non a caso ho voluto attendere i risultati delle elezioni del 12 Giugno scorso. Avevo molto sperato nel fatto nuovo della DC di Cuffaro-Grassi in Sicilia e su pochi amici, già DC, impegnati in alcune liste civiche nel Veneto. Da questi risultati dobbiamo oggettivamente costatare che, a Palermo, abbiamo appena superato la soglia minima (5 %) e a Messina abbiamo raccolto il 2%. A Padova la lista civica che vedeva impegnati alcuni amici importanti della nostra area politica, non si é arrivati all’1%, per non parlare degli amici del “Popolo della Famiglia” che hanno ottenuto un misero 0,34 %.

Come ho scritto sulla pagina facebook della DC di Cuffaro: é importante aver riportato qualche amico in consiglio comunale a Palermo. Grazie, dunque, agli amici DC siciliani per il loro impegno. Ora, però, dobbiamo riflettere sul che fare sia per il programma che per le alleanze. Da parte mia, ripeto che con una destra a guida della Meloni e un’ UDC al servizio di Salvini e della stessa Meloni, io non sarò mai da quella parte. Noi dobbiamo restare fermi al centro, disponibili ad allearci con quanti in quell'area si rifanno ai valori dell'umanesimo cristiano e alla scelta internazionale euro atlantica, avviata da De Gasperi e sempre perseguita dalla DC storica. Prima, però, serve ricomporre la nostra unità politica, almeno quella concretamente possibile, da realizzarsi sia dall'alto, con gli attori nazionali disponibili, che dalla base, partendo dai nostri territori. Certo, molto dipenderà dalla legge elettorale che, alla fine, il Parlamento deciderà di adottare. Insisto sino alla noia: se restasse l’attuale rosatellum maggioritario, temo che nessuna ricomposizione sarà possibile. I diversi attori nazionali cercheranno rifugio nelle liste disponibili ad accoglierli, di destra o di sinistra, mentre il nostro potenziale elettorato si tripartirà: a dx, a sx e nell’astensione, contribuendo ad alimentare, così, quell’oltre 50% di renitenti che ormai da troppo tempo hanno deciso di rinunciare all’esercizio del voto. Solo se sarà votata una nuova legge elettorale di tipo proporzionale che, mi auguro alla tedesca, con sbarramento, preferenze e introduzione dell’istituto della sfiducia costruttiva, il progetto di ricomposizione politica della nostra area sarà non solo possibile, ma inevitabile, se non si vogliono inseguire consensi da prefisso telefonico. Caro Rapisarda, si convinca: da soli non si va da nessuna parte; magari si va più veloci, ma solo insieme si va più lontano.

 

Ettore Bonalberti

Vice segretario DC

Venezia, 14 Giugno 2022

 

 

 

 

Sì al progetto indicato da Merlo

L’ultimo articolo di Giorgio Merlo pubblicato da “ Il Domani d’Italia”: Centro, che può essere? Non la replica della Dc, ma qualcosa che ne costituisca la ripresa in termini di valori e contenuti” è un contributo importante al progetto di ricomposizione politica della nostra area culturale e sociale. Vorrei innanzi tutto confermare che nemmeno noi che, dal 2011-12, tentiamo di dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010, secondo cui: “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”, abbiamo pensato che si potesse rifare la DC storica; il partito che per molti di noi è stato quello dell’ intera vita e rimane ancora oggi il proprio riferimento ideale. Ciò che è stato è stato e non può essere replicato nelle nuove e assai mutate condizioni storico politiche dell’Italia e del mondo. Altra prospettiva, come anche rileva Merlo, é concorrere a dar vita a “ qualcosa che ne costituisca la ripresa in termini di valori e di contenuti”. Ecco, per tale prospettiva anche noi, che ci siamo organizzati dal 2012 nella DC guidata prima da Gianni Fontana e oggi da Grassi, siamo pronti a offrire il nostro contributo; non per un nostalgico ricordo di ciò che fu, ma nella consapevolezza che di un centro politico nuovo ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano ha ancora bisogno il nostro Paese. C’è la necessità di superare quel “bipolarismo selvaggio” introdotto in Italia dopo la fine della Prima Repubblica, soprattutto per offrire a un elettorato stanco e sfiduciato, sempre più renitente al voto, una nuova speranza. Ho evidenziato più volte la condizione di anomia morale, culturale, sociale e politica in cui versa il Paese. La crisi prodotta da una globalizzazione nella quale è prevalso il superamento del NOMA ( Non Overlapping Magisteriae), per citare un frequente concetto espresso dal prof Zamagni: il prevalere della finanza sull’economia reale, con la riduzione della stessa politica ad un ruolo ancillare, mentre sul piano politico si assiste allo scontro tra una destra nazionalista e sovranista e una sinistra divisa, tra il PD alla ricerca della propria identità e il M5S, espressione del rancore dei “vaffa” nel voto del 2018, tradottosi nel trasformismo progressivo di quanti impegnati ad “ aprire il parlamento come una scatoletta di tonno”, hanno finito con l’assumere le più diverse posizioni, pur di non perdere i vantaggi di potere conseguiti. Risultato? Il terzo stato produttivo e i ceti popolari, dalla cui saldatura, sempre garantita dalla DC sul piano politico e istituzionale, dipende la tenuta democratica del Paese, non si riconoscono più in un centro destra dominato dalle posizioni estreme di Salvini e della Meloni, o in quelle equivoche di un’alleanza PD-M5S messa in crisi ogni giorno dagli ondivaghi atteggiamenti dell’ex presidente Conte. Uniche certezze, espressioni di stabilità istituzionale e politica,  sono quelle rappresentate dal Presidente della Repubblica, Mattarella, e dal capo di governo, Draghi, esponenti dell’area euro atlantica italiana, erede della migliore tradizione politica di tutta la storia repubblicana. Ha ragione Merlo, alla fine, sono molto poche le residue “casematte” della diaspora democratico cristiana. A parte quella, come l’UDC, impegnata nella difesa della rendita di posizione di un simbolo, lo scudo crociato, sin qui utilizzato solo per la sopravvivenza politica a destra dei soliti noti, io credo che tutte le altre esperienze, come quella di Insieme di Infante-Tarolli, della DC di Grassi e Cuffaro, del Centro di Mastella e dello stesso Merlo, e con esse, anche l’esperienza avviata da Rotondi dei Verdi Popolari, possono e debbono compiere il salto di qualità per la ricomposizione politica dell’area. Se per motivi diversi non cogliessero tale necessità, mi auguro che il processo avviato dalla base ( bottom up) per la convocazione di  un’assemblea costituente per detta ricomposizione, potrebbe favorire il progetto. Certo molto dipenderà dalla legge elettorale che, alla fine, sarà adottata. Permanesse l’attuale maggioritario del rosatellum, senza una forte componente unita di area cattolico democratica e popolare, inserita in una più vasta federazione di laici, liberale e riformista, unita nella difesa dell’euro atlantismo, obbligato dall’ennesima necessità di scegliere tra destra e sinistra, il nostro potenziale elettorato si tripartirebbe, con l’aggiunta, tra la scelta a destra o a sinistra, di una terza componente renitente al voto. Se, viceversa, e come ci auguriamo, alla fine prevarrà la legge proporzionale con sbarramento e preferenze e con l’introduzione dell’istituto della sfiducia costruttiva anti trasformismo parlamentare, tale ricomposizione sarebbe non solo opportuna,  ma indispensabile, proprio per evitare il rischio di quei partiti bonsai, a diverso titolo DC, cui fa riferimento Merlo nel suo articolo. C’è, tra di noi, chi pensa giustamente al voto dei millenians che non hanno mai conosciuto la storia della DC, se non nella versione deformata della “damnatio memoriae” cui è stata relegata, ma tale opera di formazione, certamente meritoria, ma metapolitica, ha scadenze inevitabili  di medio-lungo periodo, incompatibili con quelle che la realtà politica ci impone. In previsione delle prossime elezioni nazionali, credo, invece, che il nostro dovere prioritario sia proprio quello di impegnarci, ognuno per la sua parte e nell’ambito politico organizzativo in cui si ritrova, per favorire quel soggetto politico nuovo che se non sarà la DC, dovrà essere “qualcosa che ne costituisca la ripresa in termini di valori e di contenuti”.

Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale DC-Presidente dell’associazione ALEF ( Associazione Liberi e Forti)

Venezia, 3 Giugno 2022

 

 


L'amico Giampietro Comolli interviene nel dibattito avviato da alcuni miei recenti articoli con due note che pubblichiamo per approfondire la discussione sul nuovo centro della politica italiana

Il contributo di Giampietro Comolli (parte prima)

 

Leggo con molto interesse il dibattito e la discussione aperta dall’amico stimato Ettore Bonalberti su diverse testate e in diversi incontri, meeting e convegni. Desidero esprimere un sostegno allo sforzo compiuto da Ettore e da tanti altri miei coetanei (a cavallo dei 70 anni) in quanto impegnato in diverse attività, vicino a figli e nipoti, attento ai discorsi e agli obiettivi di chi rappresenta o può rappresentare il futuro di questo paese. In primis credo che nessuna nostalgia e risorgenza della democrazia cristiana (intesa come la ex DC) possa oggi catalizzare e proporre una adeguata riflessione politica in una società nazionale (anche europea) che ha vissuto 30 anni di forti rivoluzioni mentali, formative che hanno nelle 2 generazioni successive alla nostra influito non poco. Viceversa, soprattutto le generazioni millennium e zero hanno costatato un’assenza totale di rispetto, di attenzione, di disponibilità all’ascolto dei veri problemi , individuali e collettivi, che stanno affrontando e che hanno davanti, senza che nessuno abbia mai mosso un dito. Molti di loro, soprattutto coloro che non vanno a votare da 10-20 anni, sono lontani dall’attuale modello e governo politico perché non vedono applicati nella cosa pubblica e anche nella filiera privata principi di etica, moralità, servizio ai più deboli, preminenza alla vulnerabilità, applicazione della Costituzione, politiche del lavoro e delle famiglie diverse, sicurezza e prospettive sociali e civili. Un modello di civiltà che si deve incastrare in una società attenta anche ai valori repubblicani, sistemi liberali, laicità collettive e condivise, difesa delle scelte individuali in un contesto aperto e anche multietnico che necessita formazione continua, educazione, rispetto dei diritti come dei doveri. Noto due generazioni pronte all’impegno ma senza blocchi. Quindi nessun revival della ex DC, ma attenzione, accoglienza, impegno, difesa di  valori umani e sociali collegati al modello cristiano della accoglienza, del rispetto e dell’aiuto a chi veramente sta male e ha bisogno di aiuto… questo è condiviso in molti. Nulla di orizzontale e lineare sia nei diritti che parimenti nei doveri, nei bisogni e nel servizio verso gli altri. Qualunque tipo di scuola dell’obbligo e non dell’obbligo sta alla base di una società civile che guarda al futuro con speranza e favore, una scuola che può anche avere costi sociali alti e non coperti a bilancio. Scuola e Salute di tutti i cittadini italiani, come tali riconosciuti da leggi eque solidali aperte ma controllate e indirizzate, sono prioritari a qualunque forma di sussidi e di reddito e possono presentare bilanci statali e regionali in rosso. A seguire l’ordine di priorità c’è il lavoro, ma che sia gratificato e con il giusto reddito e valore in base all’effettivo impegno materiale e mentale non basato su parametri minimali e sindacali, ma su una soddisfazione personale, ma con regole chiare di appartenenza e di disponibilità verso il lavoro e il datore, cercando di meritare carriera, stipendio, benefit in modo uguale sia fa uomini e donne, sia fra funzione pubblica e privata. Addirittura tutto il mondo della PA deve diventare monito,  esempio di riferimento per la parte lavorativa privata. 

Bisogna cambiare il modo mentale di agire, non solo riformare leggi e norme. Un plauso, se ho capito bene, alla ministra Carfagna e ai suoi consulenti perché finalmente lo sviluppo del grande Sud italiano non è in funzione dello “status” del settentrione, bensì come attore principale, come motore di un Mediterraneo fondamentale in cui il Sud nazionale è trainante, è punto di riferimento, è  motore per tutti i paesi che sono baciati dalle acque “nostrae”. Questa è una grande funzione che diventa un motore di sviluppo, di una nuova mentalità,  di sguardi lunghi e di proposte imprenditoriali legate da un destino e da un futuro similare da condividere. E’ con una migrazione reciproca, con uno scambio e contaminazione di conoscenze e di prodotti che si crea anche una pace solidale e solida in un’area che sarà sempre più calda sotto tanti punti di vista. Per questo il grande comparto-filiera agro-ambientale-alimentare, il vecchio settore primario, diventa “il punto base” di un ecosistema ambientale, una transizione digitale, una economia reale, meno inquinamento e spreco di suolo, migliore qualità agroalimentare, tutela dei territorio svantaggiati e vulnerabili…. visto che oggi può usufruire di innovazione tecnologica, più integrazione produttiva, più multilateralismo. In una proposta programmatica  “di costituente” dinamica movimentista aperta allargata (non monocolore, ribadisco) si può aprire una nuova fase politica nazionale, anche di esempio per altri paesi europei,  che dia un reale contributo e  “un segnale” forte e diverso soprattutto verso quel 50% di italiani aventi diritto al voto (è un grande rammarico personale) che da anni e in crescendo non vanno a votare perché totalmente delusi da una politica e da partiti rivoltati su se stessi, a caccia di prebende, di interessi elettorali, di eletti che cambiano vita e casacca, di meccanismi dentro il palazzo che interpretano ed elasticizzano anche principi puri della Costituzione. Costituzione che forse necessita di alcuni fondamentali limitati ritocchi anche per completare riforme impure e incompiute negli ultimi 40 anni.  

 

Giampietro Comolli 

(1974-1981) Direttivo Centro Studi Giovani Cristiano Democratici – Piacenza

(1981-1990) Dirigente Federazione Coltivatori Diretti – Segretario di Zona – Piacenza/Bologna/Roma  

(1985-1989) Responsabile provinciale ufficio Agricoltura DC Provinciale – Piacenza      

(1989-1991) Membro Comitato Provinciale – Membro Direttivo Cittadino  – Responsabile Ufficio economico  DC- Piacenza  

  Venezia, 31 Maggio 2022

Il contributo di Giampietro Comolli (parte seconda)

 

Le parole, i principi, i pensieri, i ragionamenti, le discussioni …..in politica….come molti autorevoli segretari di partiti politici hanno detto, e tutt’ora qualcuno ancora sostiene, sono i fattori determinanti nella costruzione di un modello politico, anche partitico, ma nel rispetto di quanto chiaramente dice la Costituzione senza stiracchiamenti o adattamenti spesso avvenuti con modifiche quasi sempre imparziali e dettate dalla occasionalità del momento. Non è il tempo dei rammendi e rattoppi, va asfaltata una strada nuova con nuovi indirizzi e modelli e con pochissimi obiettivi reali certi esclusivi per le nuove generazioni. Il cosi detto “ polo centrista” deve dare una prospettiva di futuro, non di passato, ma di attuale. Si lavora oggi, si fanno sacrifici oggi….per il domani di altri.  Quello che vedo come contenuto  della “zona centro” nel contesto politico italiano è una visione fondante su azioni e comportamenti di ampio respiro e di lungo periodo, partendo anche da un “federalismo europeo” vero con più Europa, cioè con un’assunzione diretta di responsabilità da parte di Bruxelles, e segnatamente la Commissione, oltre alla sola moneta, che diano concretezza all’idea di Costituente europea, senza tentennamenti. Difesa, politica estera comune e fiscalità…tanto per iniziare, dovrebbe essere unica e valida in tutti i 27 paesi, ma nello stesso tempo molta meno burocrazia e lentezza nelle scelte, più condivisione delle problematiche economiche sociali e civili, corretta proporzionalità e ponderatezza fra grandi e piccoli, fra deboli e forti. Ma veniamo a Noi, al polo centrista, movimentista equidistante ed estraneo dai populismi di destra e sinistra, dai massimalismi e positivismi di destra e di sinistra. Noi “vecchietti” dobbiamo preparare un terreno nuovo, aperto, largo, concreto, pragmatico, rispettoso dei valori etici e morali di chi ci rappresenta, fermo nella funzione di delega. Ecco alcuni temi politici, anche in ordine di importanza:          

-          Grandi personaggi politici che hanno dato un forte contributo negli ultimi 40 anni all’area cosi detta “ di centro” devono essere pilastro di insegnamento mettendosi a disposizione di  giovani uomini e donne che vogliono fare politica non di mestiere, con principi etici e morali individuali necessari per organizzare una corretta e aperta collettività laica;       

-          Costituzione Repubblicana da difendere, completamento dei minimi adeguamenti dettati da un’attualità e in linea con più pace nazionale ed europea, legame con Costituente UE, attenzione al rapporto elettore-eletto, più efficienza e chiarezza Stato-Regioni con una ottimizzazione delle dimensioni e funzioni territoriali, una Camera legislativa e molto rappresentata, una Camera delle Regioni e Enti Locali propositiva ;

-          Legge elettorale proporzionale che salvaguardi le diversità di visioni con sbarramento, stimolante impegni preventivi e alleanze durature in parlamento, riduzione regolamenti applicativi elettorali in Parlamento, eliminazione  cambi di casacca, collegi su macroregioni, una legge che invogli ad andare a votare, premi con più eletti più sono gli elettori, sistema tedesco; esempio per uniformare il più possibile tutti i sistemi elettorali europei;

-          Welfare e Lavoro sicuri, scelta del lavoratore con opzioni di beneficio e di impegno in base al reddito, meno disuguaglianza di stipendio fra vertice e ultimo, cuneo fiscale rivisto e usato per una integrativa assistenza pensionistica pubblica;  reddito di sostegno pubblico a fronte di un lavoro reale di servizio pubblico crescente in base alla vulnerabilità territoriale e sociale, uguali regole pubblico e privato, riordino oneri deduzioni per tutti i lavoratori in base al reddito Irpef; norme diverse fra imprese piccole e grandi; vantaggi fiscali alle imprese che assumono e che investono in servizi sociali e ecosistema ambientale; chi più guadagna più paga in tasse e imposte, nulla di lineare, esenzione sotto un reddito lordo per Isee, proporzionalità crescente per alti redditi, tasse su rendite finanziari e plusvalenze;

-          Scuola e Sanità sono un obbligo pubblico di efficienza ed efficacia; più insegnanti assunti nelle scuole e massima mobilità delle cattedre e stipendio adeguato ai costi di vita, più educazione civica, più scuole pratiche e differenti binari istruttivi, indirizzi scolastici basati sul lavoro non sulle materie; più infermieri assistenti in centri ospedalieri; più medici di base e Uca, sanità di comunità al servizio alla persona; pronto soccorso day hospital al servizio dei territori  e non per numero di abitanti;  certi servizi sanitari devono essere a pagamento per redditi alti;  modelli ospedalieri basati su terapia e non medicina;

-          Famiglia centrale ma in cambiamento, differenze da capire e accettare dettate da troppi fattori negli ultimi 40 anni; occorre un tempo di recupero e di attenzione; accompagnare scelte cattoliche e laiche con equità, misura e adeguamento sociale e civile, ambito privato e ambito pubblico; asili pubblici e privati controllati e sostenuti; sostegni per figli che vanno a scuola e rispetto regole laiche del paese in base al reddito della famiglia; incentivi per volontariato e terzo settore nazionale;

-          Macchina PA Stato efficiente, efficace, senza compromessi al ribasso, costi centralizzati  da limare, personale motivato anche per merito, competenza diretta di funzioni sovra nazionali; difesa asset-produttivi nazionali (turismo, agricoltura, porti…) , valorizzazione della autonomie compiute secondo modelli di macroregioni e aggregazione di Regioni; eliminazione eccessi burocratici di ufficio e competenze doppie fra organi pubblici; responsabilità a monte con tempistiche certe e più controlli a valle con sanzioni e pene immediate reali; eliminazione enti inutili; favorire unioni di comuni sotto 1000 residenti; un Sud autonomo centrale e motore dello sviluppo dell’intero Mediterraneo ;

-          Ambiente Ecosistema come istruzione dalla scuola dell’obbligo, conoscenza del territorio, azioni di assistenza civile e sussidiaria, tasse e imposte alte per chi inquina, più mezzi pubblici non inquinanti, sistema energia alternativa obbligatoria in tutti gli uffici pubblici, modello fonte di molti posti di lavoro, tutela di 2/3 del territorio nazionale composto da monti&colli&isole vulnerabili con incentivi a fare impresa individuale e collettiva  

-          Giustizia Sicurezza Diritto Doveri   per il cittadino, per il colpevole e per l’innocente; innovativa, responsabile, diretta,  veloce separazione dei reati emendabili e sanzionabili da quelli più pericolosi per individuo e collettività;   separazione carriere; potere separato sancito e autogoverno non controllati controllori; carriere di merito e con attestazioni di efficienza; processo penale certo;  carceri solo per certi reati e più vivibili, sanzioni in servizi sociali di lungo periodo e sotto autocontrollo, certezza della sentenza per i reati gravi

 

Giampietro Comolli 

(1974-1981) Direttivo Centro Studi Giovani Cristiano Democratici – Piacenza

(1981-1990) Dirigente Federazione Coltivatori Diretti – Segretario di Zona – Piacenza/Bologna/Roma  

(1985-1989) Responsabile provinciale ufficio Agricoltura DC Provinciale – Piacenza      

(1989-1991) Membro Comitato Provinciale – Membro Direttivo Cittadino  – Responsabile Ufficio economico  DC- Piacenza  

 Venezia, 31 Maggio 2022

Dalla CEI importanti indicazioni pastorali

 

Non appartengo a quel manipolo di cattolici integralisti, oppositori nemmeno malcelati di Papa Francesco, i quali hanno accolto con dispetto anche la nomina del card.Zuppi a Presidente della CEI. Sono un papista ortodosso, fedele agli insegnamenti della Chiesa e credo nell’assistenza dello Spirito Santo ai cardinali raccolti in conclave al momento della scelta del successore di Pietro. Ho anche accolto con favore la scelta del card Zuppi, all’interno della terna formulata dall’assemblea dei vescovi italiani, fatta da Papa Francesco, del successore del Presidente, oggi vescovo emerito di Perugia, card  Bassetti, sostenendo che questa nomina “ apre i cuori alla speranza”.

Ho seguito i lavoro dell’assemblea della CEI tenutasi dal 23 al 27 Maggio a Roma, e credo che il documento finale approvato andrebbe letto e meditato anche da tutti noi impegnati nel tentativo di ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale.

Intervenendo alla conferenza stampa svoltasi al termine dei lavori dell’Assemblea generale della CEI, il neo Presidente CEI, card  Matteo Zuppi, ha ricordato i temi sociali emergenti nella situazione italiana: “ l'abbandono degli anziani, il disagio abitativo, le fragilità giovanili, i morti sul lavoro e la violenza sulle donne, senza dimenticare le migrazioni e la tragedia delle morti in mare. "Su tutto questo - ha concluso - non dobbiamo spegnare i riflettori".

Ecco, credo spetti a tutti noi tenere accesi i riflettori e inserire nel programma attorno al quale ricomporre la nostra unità politica proprio queste priorità.

Ho tentato nelle settimane scorse di redigere un contributo per il programma, inviato agli amici del Consiglio nazionale della DC guidata da Renato Grassi e della Federazione Popolare DC, presieduta da Giuseppe Gargani, evidenziando che, alla base di ogni progetto di riforma economico sociale, è essenziale procedere al rovesciamento della logica che, nell’età della globalizzazione, ha posto il primato della finanza sull’economia reale  e sulla stessa politica; quest’ultima ridotta a un ruolo ancillare, con molti dei suoi esponenti assoldati dai gestori delle multinazionali della finanza padrone del mondo.

Riassumo quelle indicazioni:

1. Obbligo di cessione al Tesoro dello Stato italiano da parte di Telecom Italia Sparkle

della proprietà dei cavi sottomarini, necessari alla comunicazione intranet dei movimenti

elettronici del denaro nel sistema bancario italiano (=abolizione della L.58 del 28 Gennaio

1992 e della Legge n. 35 del 29 gennaio 1992)

2. Controllo Statale sulla raccolta del risparmio tra il pubblico mediante compagnie

assicurative statali = abolizione del DPR n. 350/1985 firmato da Sandro Pertini

3. Obbligo di cessione da parte di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna,

Carige e BNL del 51% delle loro azioni al Tesoro dello Stato Italiano al fine che lo Stato

italiano abbia, con 265 voti su 529, il controllo del 51% di Banca d’Italia (abolizione della L.82

del 7 Febbraio 1992), al fine che Banca d’Italia possa di nuovo dopo 25 anni tornare a vigilare

per impedire truffe sui derivati e su azioni/bond carta straccia, e per impedire anatocismo e

usura bancaria.

4. Reintroduzione della Legge Bancaria del 1936 (abolizione del decreto legislativo n.

385/1993):

5. SEPARAZIONE TRA BANCHE DI PRESTITO (loan bank) e BANCHE SPECULATIVE (investment bank) : abolizione del d.lgs n.481/1992 firmato da Giuliano Amato, Barucci e Colombo. Automatica re-introduzione della contabilità bancaria esistente prima del 31 Luglio 1992 (abolizione del Provvedimento di Banca d’ Italia del 31 Luglio 1992 firmato da Lamberto Dini al fine di fermare l’evasione fiscale verso i fondi speculatori petroliferi kazari proprietari della City of London e sede fiscale a tassazione zero nello stato USA del Delaware)

6. Divieto di prestare denaro creato con un clic elettronico anziché raccolto tra il

pubblico

7. Riduzione del capitale flottante di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna,

Carige, BNL e di ogni altra società italiana strategica quotata in borsa (ENI,…) dall’attuale

85% del capitale totale, al 15%, al fine di evitare scalate da parte dei fondi speculatori

petroliferi kazari.

8. Divieto di vendite allo scoperto (divieto di short -selling) sia di tipo naked (presa in

prestito di titoli inesistenti per es. di MPS per farle crollare, le uniche finora vietate dall’UE) e

di quelle piene. Divieto in sostanza di ogni tipo di vendita allo scoperto contro titoli di società

italiane quotate alla borsa di Milano.

9. Abolizione del CICR (è l’ufficio di controllo occulto di Banca d’Italia)

10. Conferire il potere ISPETTIVO sia a Banca d’Italia che alla Consob, in aggiunta a quello

di vigilanza

11. Separare la Consob dal controllo di Banca d’Italia al fine di avere un organo ispettivo

indipendente. Possibilità anche per la GDF e per la Polizia di Stato di compiere ispezioni in

materia finanziaria, in materia di borsa.

12. Divieto per famiglie, imprese ed enti locali italiani di sottoscrivere derivati sulla valuta(=abolizione del DPR n.556/1987 emesso su proposta del Ministro del Tesoro Giuliano

Amato) e derivati sul tasso (=abolizione del D.M. del Tesoro n. 44 del 18 febbraio 1992

firmato da Mario Draghi)

13. Divieto al Governatore di Banca d’Italia di variare il tasso ufficiale di sconto (abolizione della L.n. 82 del 7 Febbraio 1992) al fine di evitare le truffe sui derivati sul tasso

14. Divieto di anatocismo nei conti correnti, leasing, mutui, prestiti con cessione del quinto e in ogni altra forma di prestito

15. Abolizione del piano di ammortamento alla francese, lecito solo il piano di

ammortamento all’italiana (quote capitali sempre uguali).

16. Divieto di usura oggettiva (supero tasso soglia) e divieto di usura soggettiva (supero

tasso medio). Introduzione della rilevanza immediatamente penale anche del supero del tasso

medio indipendentemente dalla situazione di difficoltà economica-finanziaria del soggetto

cliente

17. Abolizione della disciplina fondiaria ex art 38 e seg. TUB

18. Riforma del Tribunale delle Esecuzioni immobiliari sulla prima casa e sull’immobile

sede dell’attività: divieto di esecuzione immobiliare sulla prima casa e sulla sede dell’attività,

obbligo di prolungamento del mutuo, in caso di difficoltà, ad un tasso massimo pari al tasso

d’inflazione. Divieto di neutralizzazione del Fondo Patrimoniale (è una figura giuridica

prevista dal 1936 a tutela della famiglia italiana).

19. Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3

immobili) in soggetti posti in qualsiasi ruolo e funzione del Tribunale addetti all’esecuzioni

immobiliari e nella sezione fallimentare.

Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3

immobili) nell’avvocato e dottore commercialista della curatela fallimentare, dei sequestri

immobiliari e quali procuratori per le banche nelle esecuzioni immobiliari e nel custode e

nel notaio delle esecuzioni immobiliari

20. Creazione della Procura Nazionale contro i Reati finanziari commessi da soggetti

speculatori esteri, con distaccamento in ogni DDA, collegata all’INTERPOL e per la

prevenzione di attentati terroristici e jihadisti da parte dei fondi speculatori atti a riottenere il

controllo privato delle banche italiane e dell’Ente dell’Energia italiano

21. Obbligo di almeno cinque Parlamentari di ogni forza politica di partecipare all’

Assemblea Annuale di Approvazione del Bilancio delle banche italiane azioniste di

maggioranza di Banca d’Italia, in quanto vero governo del sistema e termometro della salute

del paese.

Ritengo che, se vogliamo tradurre nella “città dell’uomo” le indicazioni pastorali emerse dall’assemblea generale dei vescovi italiani, sia indispensabile porre queste proposte nel programma del partito o federazione dei partiti che si ispirano ai valori del cattolicesimo democratico e cristiano sociali, per le prossime elezioni politiche. Un’assemblea costituente ad hoc per promuovere tale ricomposizione dovrebbe essere convocata quanto prima. E ciò che con alcuni amici abbiamo avviato, partendo dalla base, augurandoci che, anche i responsabili dei diversi partiti, movimenti, associazioni e gruppi che si rifanno ai medesimi principi e valori, concorrano con noi alla realizzazione di tale progetto. Solo così supereremo lo stallo in cui siamo finiti, dopo la lunga stagione della diaspora post DC e potremo riprendere la nostra strada.

Ettore Bonalberti, vicesegretario nazionale DC

Venezia, 29 Maggio 2022

 

 

Documento appello per la Costituente dei democratici cristiani e popolari italiani

Alla vigilia delle prossime elezioni politiche facciamo appello alle donne e agli uomini,  ai giovani e agli anziani che ritengono doveroso e necessario impegnarsi in questo momento di grave crisi  sociale ed economica che interessa il nostro Paese nel quale l'integrazione europea è diventata parte della nostra vita quotidiana; una crisi aggravata dal permanere di un conflitto insensato determinato dalla guerra prodotta dall’aggressione russa all’Ucraina;

crediamo nei  valori e nelle  tradizioni che hanno permesso all'Italia di trasformarsi da "terra povera" e di "dolorosa emigrazione" in un'area tra le più industrializzate del pianeta; valori e tradizioni che si basano sul primato della persona e della famiglia e sulle realtà associative che, operando in ambito sociale, economico, culturale e politico, intendono continuare la nostra tradizionale "voglia di fare insieme" anche ricorrendo agli strumenti più avanzati delle moderne tecnologie.

Siamo impegnati per la costruzione di un'Europa dei valori, unita, aperta, diversa e più umana, che tragga linfa vitale dalle sue radici cristiane e delle libertà civili, all'interno della quale le peculiarità e le particolarità regionali e locali possano lavorare assieme per promuovere il benessere di tutti, superando i limiti dell’attuale organizzazione burocratica senza un riferimento costituzionale condiviso.

Crediamo in  un libero mercato ed una libera concorrenza che sono alla base di un "welfare" che sappia coniugare in modo equilibrato libertà individuale, responsabilità personale, sviluppo economico e solidarietà sociale.

Riconosciamo il primato della politica come momento di sintesi ideale e come luogo di rappresentanza reale di valori e di bisogni diversi e diffusi; per una politica che rifugga le inutili conflittualità personalistiche e di parte e che riassuma i valori del popolarismo inteso come diretta partecipazione dell'Uomo - Cittadino alla costituzione del futuro suo e dei suoi Figli.

Siamo convinti assertori di un sistema elettorale proporzionale con sbarramento, preferenze e istituto della sfiducia costruttiva. Intendiamo, pertanto, impegnarci con urgenza per modificare la legge elettorale in vigore che, con l'abolizione delle preferenze, ha di fatto eliminato ogni forma di legittimazione popolare alle classi dirigenti parlamentari. Diciamo NO a un sistema elettorale che senza garantire stabilità di governo ha favorito solo il più indegno trasformismo parlamentare.

Siamo convinti che le cose nuove non partano dai vertici ma dall’ascolto della base; partono dal popolo che si sottrae al populismo e al leaderismo. Le cose nuove partono dalla base sconfitta ed umiliata rimasta senza partito negli ultimi trent’anni. Ecco perché facciamo appello ai nostri concittadini affinché  si pongano come entità libere, pronti ad autodeterminarsi, ad autorappresentarsi sulla base di un consenso che derivi da un dibattito, anzi da un dialogo in fermento e dunque fertile, una entità attiva, estesa, partecipata, forma di “cultura dell’incontro in una pluriforme armonia”, come papa Francesco chiede. Facciamo buona politica e diamo finalmente una casa al nostro popolo. E sarà la casa nella quale ci riconosciamo tutti, matrice immagine identità speranza e forza.

Crediamo che la politica non debba essere esclusivamente strumento per vincere le competizioni elettorali, ma debba agire per salvaguardare e costruire anche gli interessi delle generazioni future, alle quali dobbiamo saper garantire quel lungo periodo di pace, di libertà e di benessere che i nostri padri hanno assicurato a noi.

Sosteniamo con forza l'idea di uno Stato Federale che sappia essere popolare e che nelle sue articolazioni territoriali riconosca le funzioni costituzionalmente garantite dei Comuni, delle Province, e delle Regioni.

Viviamo l'autonomia locale come forma di massima libertà, esaltando la partecipazione responsabile nel rispetto del principio di sussidiarietà in quella prospettiva europea che oggi ci appartiene. Una sussidiarietà tuttavia che deve riguardare non solo le istituzioni, ma anche il rapporto tra istituzioni e società civile; ciò che può fare meglio il cittadino, singolo o associato, non deve essere fatto dalle istituzioni pubbliche.

Abbiamo vissuto la lunga stagione della diaspora che dal 1993 ha frantumato la presenza politica organizzata dei cattolici italiani e intendiamo  dar vita a un’iniziativa che, partendo dal basso, sappia organizzare l’assemblea costituente e di ricomposizione politica  dell’area cattolico democratica e cristiano sociale.

Diamo vita, dunque, ad un modello di valori e di democrazia che sappia coinvolgere tutti coloro che fanno riferimento agli ideali e ai programmi del Partito Popolare Europeo, tutti coloro che con entusiasmo e motivazione ideale intendono mettere a disposizione le propria intelligenza, capacità e professionalità per il bene comune.

 

E’ comune la volontà di concorrere alla costruzione di un nuovo soggetto politico di centro: laico, democratico, popolare, riformista, europeista, ispirato ai valori della dottrina sociale cristiana, inserita a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori DC e popolari: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman, alternativo alla deriva nazionalista e populista e alla sinistra senza identità. Massima disponibilità a collaborare con chi assuma come programma la difesa e la completa attuazione della carta costituzionale, compresi quanti di area liberale e riformista si riconoscono crocianamente nei valori dell’umanesimo cristiano.

 

Chiediamo a quanti si riconoscono in questi valori e in questa proposta di sottoscrivere il documento e di partecipare attivamente alla prossima assemblea costituente nazionale di ricomposizione politica dell’area democratico cristiana e popolare che insieme convocheremo con procedure democratiche condivise dai territori in sede locale sino all’assemblea dei delegati che deciderà su nome, simbolo, programma e classe dirigente del nuovo partito.

 

Ettore Bonalberti – Dina Maragno- Gianfranco Rocelli –Mario Donnini- Veneto

Pasquale Tucciariello- Raffaele Libutti-Basilicata

Bruno Cassinari- Emilia Romagna

Pietro Falbo- Calabria

Mariella D’Amore- Vincenzo Drimarco-Puglia 

 

 

 

Come si potrebbe procedere

 

C’è una gran voglia di un centro nuovo e diverso da quello sin qui espresso dopo la fine della prima repubblica (1948-1993) e sino ai nostri giorni. Ho raccolto nella mia cartella elettronica oltre settanta interventi di esponenti di diversi partiti, associazioni e movimenti politici che fanno riferimento, sia all’area cattolico democratica e cristiano sociale, che a quella liberal democratica e riformista socialista, tutti inneggianti all’avvio di un nuovo centro. Ho più volte sostenuto che per far decollare il nuovo centro serve, innanzi tutto, ricomporre politicamente la nostra area di riferimento democristiana e popolare sin qui frammentata e vittima di una diaspora (1993-2022) che continua tuttora. Una diaspora, molta parte della quale collegata alle diverse modeste ambizioni  di personaggi interessati, soprattutto, alla loro sopravvivenza politica personale. Quella garantita sin qui dalla sistemazione nei poli di destra o di sinistra, favoriti dal bipolarismo forzato conseguente alle diverse leggi elettorali in larga misura maggioritarie: mattarellum, porcellum e rosatellum.

La nostra ricomposizione d’area può e deve favorire una più ampia federazione con parti politiche d’ispirazione liberal democratica e riformistico sociale, alternativa alla destra nazionalista e populista e alla sinistra senza identità. Il problema è come realizzare detta ricomposizione. Credo, come ho ripetuto ad abundatiam, che sarebbe inefficace e inopportuno partire dalle alleanze, ossia da una decisione che, inevitabilmente divisiva, dovrebbe, semmai, essere il risultato di una verifica di compatibilità politiche e programmatiche conseguenti anche al tipo di legge elettorale che, alla fine, sarà adottato per le prossime elezioni politiche. Non condivido quanto sostenuto dall’amico Giorgio Merlo (vedi il suo recente articolo su il domani d’Italia: centro sì, al di là della riforma elettorale- 10 Maggio 2022 ) secondo cui il centro nuovo potrà e dovrà nascere anche nel caso in cui permanesse l’attuale legge elettorale prevalentemente maggioritaria. Credo, infatti, che nell’ipotesi di un bipolarismo ancora una volta riproposto e che potrebbe avere il carattere di uno scontro tra una destra guidata dalla Meloni e una sinistra dal PD, i nostri potenziali elettori si tripartirebbero tra destra, sinistra e astensione.

Ecco perché ho scritto le ragioni della nostra scelta per una legge proporzionale alla tedesca (vedi www.ilpopolo.cloud - 9 Maggio 2022) che, last but non least, favorirebbe certamente la nostra ricomposizione, ma, soprattutto, permetterebbe di superare una situazione nella quale, col rosatellum, possono nascere certamente delle coalizioni elettorali, ma non è affatto garantita la governabilità, come verificatosi nei lunghi anni della nostra lunga e dolorosa Demodissea. Aggiungo che con questo sistema, abbiamo sin qui portato in Parlamento dei “nominati”, ligi solo ai poteri dei capi partito, e, spesso, senza alcun legame con gli elettori del loro territorio.

Se la proporzionale è, almeno secondo me, la premessa per la ricomposizione, confermo che per procedere serve definire un programma politico organizzativo all’altezza dei valori e degli interessi degli elettori che intendiamo rappresentare. Un modesto contributo al riguardo è stato da me offerto nei giorni scorsi, con la speranza che possa aprire un costruttivo confronto. Ciò che ha impedito sin qui la nostra ricomposizione è l’appartenenza alle diverse realtà politiche e associative, nelle quali alcuni ritengono di poter meglio garantirsi la sopravvivenza politica. Ora è tempo di dichiarare espressamente se siamo disponibili a un salto di qualità e a passare dall’attuale frammentazione alla ricomposizione politica e organizzativa. Abbiamo già e sin troppo accertato che con le nostre divisioni, sul piano elettorale, proporzionale o maggioritario, non si garantisce alcuno, tranne “i soliti noti”, pronti ad accasarsi nel polo più disponibile all’accoglienza, per svolgere, alla fine un ruolo subordinato e irrilevante.

Suggerirei allora di condividere un appello per un’assemblea costituente di ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale italiana; documento che potrebbe essere redatto da alcune delle personalità più autorevoli di questa vasta e complessa realtà e di aprire l’adesione a tutte le cittadine e i cittadini italiani interessati al progetto. Un sistema condiviso per l’elezione di delegati provinciali e/o regionali all’assemblea costituente nazionale da parte di coloro che avessero sottoscritto il documento appello e aderito col versamento di una quota simbolica ( 5 o 10 €), favorirebbe la convocazione dell’assemblea costituente nazionale nella quale decidere insieme: programma e scelta della classe dirigente del nuovo partito. Nessuna leadership precostituita, consapevoli che molti di noi, figli della prima repubblica, hanno consumato le proprie energie e logorato la propria capacità di consenso specie tra le nuove generazioni, ma certi, che solo dal confronto libero e democratico che si potrà svolgere ai livelli territoriali provinciali e regionali, potranno emergere i nuovi leaders per l’assemblea costituente.

Solo dopo aver condiviso una proposta di programma, sarà l’assemblea costituente a decidere le possibili e più opportune alleanze che dovranno, in ogni caso, garantire la difesa e piena attuazione della Costituzione, nel rispetto dei principi essenziali della solidarietà e sussidiarietà  propri dell’umanesimo cristiano.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 11 Maggio 2022

  1. Perché la legge proporzionale


    Alcuni giorni fa ho scritto dello sfarinamento progressivo delle attuali alleanze politiche: a destra con lo scontro Meloni-Salvini, a sinistra con la rottura progressiva tra PD e M5S, aggiungendo: è tempo di ritorno al  proporzionale con le preferenze e di sfiducia costruttiva.

    Quello della legge elettorale è un tema che si propone costantemente alla vigilia di elezioni politiche, quasi che la  crisi di sistema vissuto dall’Italia si possa risolvere col mutamento delle regole elettorali. Certo, dal mattarellum al porcellum e sino al rosatellum, sono stati numerosi i tentativi di trovare soluzioni, in ogni caso sempre corrispondenti agli interessi delle maggioranze di governo e parlamentari che hanno deciso di adottarle. Non sempre ai propositi hanno corrisposto i risultati. Ci aveva provato senza successo anche De Mita che, in odio a Forlani e a Craxi, sostenne lo sciagurato referendum Segni (1991), con cui si scelse di abbandonare il sistema elettorale proporzionale, avviando la lunga stagione del maggioritario che ha caratterizzato e favorito il passaggio dalla prima alla seconda repubblica e sino alla consumazione di quest’ultima.

    Un Parlamento alla fine è risultato costituito da “nominati” (grazie a una legge elettorale, il rosatellum, rivelatasi inadeguata) che, in questa legislatura, hanno dato vita a oltre duecento cambi di casacca: un’autentica propensione al peggior trasformismo parlamentare, finendo col dimostrare che il bipolarismo forzato all’italiana non è in grado di garantire la governabilità. Si possono costituire dei comitati elettorali che il bipolarismo, anziché ridurli a due, ha moltiplicato progressivamente, ma essi non garantiscono stabilità di governo. Ecco perché, anche stavolta, alla vigilia delle prossime elezioni, è utile e opportuno cambiare la legge elettorale.

    Nella vicenda dell’ultimo voto per l’elezione del presidente della Repubblica era riemerso il tema del semi presidenzialismo, che taluni intendevano introdurre per via surrettizia, come  annunciò il ministro Giorgetti, o altri, più esplicitamente, quale obiettivo politico privilegiato, come la destra di Fratelli d’Italia. E’ evidente che la natura costituzionale rigida della nostra Repubblica non potrebbe sopportare la semplice modifica del sistema di elezione presidenziale, senza una riscrittura totale della nostra Costituzione; riscrittura che solo un’assemblea costituente potrebbe compiere. Su tale questione ha espresso giudizi esemplari l’amico On Giorgio Pizzol in un articolo pubblicato su www.ilpopolo.cloud il 3 ottobre 2021: “la nostra è una Costituzione democratica “pura” ed esige una legge proporzionale “pura”.

    E continuava: “ a rafforzare la conclusione sopra esposta aggiungeremo che l’articolo 49 della Costituzione dice: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.” Il senso dell’articolo è intuitivo. Lo riassumeremo così. Ogni partito ha diritto di essere rappresentato in parlamento in proporzione esatta dei voti che riesce ad ottenere dagli elettori. In questo momento, con un Parlamento di soli 600 membri, una legge proporzionale pura è indispensabile per conservare la democrazia rappresentativa  come prevista dagli articoli della Costituzione sopra citati”.

    E’, dunque, evidente, come il tema della legge elettorale, stante la scadenza delle politiche del 2023, non si possa più eludere o rinviare e, infatti, è entrato a pieno titolo nell’agenda politica italiana insieme ai tanti e ancor più decisivi temi che l’Italia deve affrontare in questa difficile congiuntura interna e internazionale.

    Perché scegliere un modello di legge elettorale “ alla tedesca”?

    La storia italiana, com’è noto, si è svolta secondo schemi assai simili a quelli della storia tedesca e, alla luce di ciò che è accaduto e accade in Europa, non possiamo che ribadire come la scelta per il modello elettorale tedesco della legge elettorale proporzionale con sbarramento, utilizzo delle preferenze e istituto della sfiducia costruttiva, sia il più coerente con essa. Proporre come da taluni partiti ed esponenti politici ancor oggi sostengono, sistemi derivati dalle esperienze francesi o inglesi, significa forzare una realtà storico culturale e politica come quella italiana, che, similmente alla storia politica tedesca, ha avuto sviluppi diversi da quei Paesi europei caratterizzati dal fattore unificante e accentratore delle loro grandi monarchie nazionali. Uno sviluppo capitalistico concentrato nel tempo e nello spazio, la nascita di partiti di sinistra prima ancora dei sindacati, in Italia come nella Germania, hanno accompagnato un processo di unificazione nazionale che, in Germania si è svolto sotto la guida di Bismarck e della Prussia, e in Italia, quella di Cavour e del Regno piemontese, impegnati entrambi a mettere insieme le diverse e conflittuali realtà territoriali. Un processo che in Germania, dopo la tragica esperienza hitleriana, e il ritorno alla democrazia, ha assunto il carattere di una struttura federale ad ampia autonomia dei Landers, mentre in Italia, dopo l’accentramento imposto sul modello piemontese post risorgimentale, il sistema regionale si poté compiere solo nel 1970 con l’avvento del sistema frammentato delle attuali regioni.

    Resta il fatto che la Germania col suo sistema elettorale di tipo  proporzionale con sbarramento e l’istituto della sfiducia costruttiva è riuscita a garantirsi governi stabili, sia prima che dopo la riunificazione compiuta dal cancelliere Kohl, sperimentando per lunghi tratti coalizioni unitarie e di ampia convergenza politica. Anche noi italiani dovremmo prendere a modello il sistema elettorale tedesco, tanto più che il sistema elettorale è quello sotteso alla stessa costruzione istituzionale indicata dalla Carta fondamentale. Legge elettorale e Carta costituzionale sono strettamente collegate e la difesa di quest’ultima deve essere sostenuta da un sistema elettorale coerente. Ovviamente e al fine di evitare la scelta dei “nominati” attuali nelle liste bloccate del rosatellum, con la legge elettorale dovrà essere re introdotto il sistema delle preferenze che offrono agli elettori la possibilità di indicare le loro scelte e decidere gli “eletti”. Importante, infine, l’istituto della sfiducia costruttiva: nessun governo può essere sfiduciato in assenza di una maggioranza parlamentare alternativa. Last but non least, almeno per noi dell’area cattolico democratica e cristiano sociale, la legge proporzionale con sbarramento, come più volte evidenziato in diversi miei articoli e dell’amico Giorgio Merlo, è essenziale per il nostro progetto di ricomposizione politica, salvo che non si voglia continuare una suicida diaspora senza prospettive. Ecco perché sottoscriviamo in toto quanto hanno scritto nel loro “ Manifesto Appello per la riforma elettorale in senso proporzionale” il gruppo dei “ Riformisti per davvero” ( www.ildomaniditalia.eu, 17 Febbraio 2022) augurandoci che governo e Parlamento decidano per la proporzionale .

     

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 9 Maggio 2022

     

 

Alcune idee di programma

 

Se intendiamo concorrere al progetto di ricomposizione politica dell’area cattolico

democratica e cristiano sociale, come ho  più volte evidenziato, serve condividere alcune idee di programma. Un progetto che potrebbe essere sviluppato con metodo top down ( dall’alto in basso) oppure bottom up ( dal basso in alto). Quanto al primo, a me pare non ci siano, almeno sinora, indicazioni operative da parte delle diverse realtà che appartengono alla nostra area, così come, nonostante alcuni tentativi compiuti, siamo ben lontani da quel tempo in cui i nostri padri fondatori seppero promuovere il progetto dei democratici cristiani per l’Italia del dopoguerra.  Gli anni delle “Idee ricostruttive” di Alcide De Gasperi e del Codice di Camaldoli.

Ecco perché, con l’aiuto di alcuni docenti dell’università di Padova, esperti in metodologia delle scienze sociali, abbiamo predisposto un questionario che, nei prossimi giorni utilizzeremo con un vasto campione, per raccogliere dal territorio le attese dei nostri amici e potenziali elettori di area.

Da parte mia è da diverso tempo che discuto da “osservatore partecipante” sulle condizioni culturali, sociali, economiche e politico istituzionali dell’Italia e sulle scelte, a mio parere, più opportune per corrispondere alle attese, soprattutto, del terzo stato produttivo e dei ceti popolari, in coerenza con i loro interessi e  valori e una visione propria dell’umanesimo cristiano. In attesa di conoscere ciò che emergerà dai risultati della ricerca  sociologica più approfondita di cui al questionario annunciato, mi permetto di offrire agli amici interessati/bili alcune idee per il programma da cui partire per il progetto della nostra ricomposizione politica. In estrema sintesi:

 

1.     Riconferma della nostra storica alleanza europeista e occidentale, con l’impegno a costruire un’Unione europea di tipo federale, che sappia superare i limiti e le contraddizioni del patto di Maastricht e del sistema delle decisioni all’unanimità, e che, specie dopo questa tragica vicenda della guerra russo-ucraina, sappia organizzare una propria force de frappe in alleanza con la NATO;

2.     Conferma della costituzione repubblicana, piccoli adeguamenti a garanzia dell’elettore/cittadino, nuovo rapporto Stato/Regioni con funzioni solo nazionali e autonomia per tutti, da nord a sud, a gradi con verifiche pattuite per delega; più attenzione, sanzioni certe e controlli degli atti pubblici; 

3.     Stato più efficiente, meno costoso, semplificazione ministeri, massima digitalizzazione; dipendente pubblico un esempio positivo per il privato; meno dirigenti, più responsabilità, più stipendio; riduzione dei passaggi; libertà di accesso e autocertificazioni, ma controlli severi immediati sanzioni certe a valle; no flattax lineare, ma tasse più imposte sempre proporzionali al reddito familiare, ISEE per tutto su base biennale; una sola Camera legislativa; un Senato per alte questioni; meno regioni e più Macroregioni; Province più efficaci di aggregazione;  Comuni confinanti aggregati, minimo 3000 abitanti per comune, massimo 4 fusioni; 

4.     Ambiente clima come primario obiettivo salute; contatti con associazioni propositive e con soluzioni; niente barricate, ma progetti concreti urbani;  puntare al 100% di mezzi pubblici non inquinanti; uffici pubblici tutti con utenze non inquinanti da scuole a comuni; fotovoltaico solo su tetti e aree già cementate; recupero ovunque acqua piovana, più bacini; solo pompe di calore e solo auto in garage per nuove costruzioni;    

5.     Programma di politica attiva del lavoro non slegato da riforme fiscali e del cuneo contributivo, oltre che con l’inserimento di una pensione autonoma integrativa legata a quella previdenziale pubblica; uguaglianza contrattuale e stipendi uomini donne, di genere, pubblici e privati; normare contratti regionali e specialistici; governare le differenze fra imprese piccole e grandi; regime fiscale plusvalenze grandi imprese; modello scolastico performante il lavoro; per certi aspetti fiscali e tributari il lavoro del politico equiparato agli altri; diritti e doveri hanno lo stesso peso sociale e civile; 

6.     Riduzione perequazione sociale reddituale; reddito sociale minimo dopo severi controlli individuali e di famiglia un ISEE per tutto (anche per diversi pagamenti); assegnazione lavori di pubblica utilità servizio assistenza a chi percepisce un reddito vitale; ripristinare a scuola l’educazione civica e morale e inclusione; tariffe e canoni in base al reddito; reddito in base al ricavo lordo per tutti i lavoratori; sanità scuola lavoro sono le uniche voci dello Stato (non delle macroregioni) che possono essere in rosso o possono creare debito pubblico; più controlli preventivi e a valle con più forze dell’ordine per strada in luoghi pubblici; 

7.     Famiglia prima figura sociale di educazione formazione, base essenziale della società, da difendere e promuovere per le sue funzioni e aspetti personali e  sociali

8.     Valorizzazione dei corpi intermedi, indispensabili per un’autentica politica ispirata dai principi della solidarietà e sussidiarietà

9.     Europa sempre, ma meno burocrazia e costi fissi; più perequazione su certi temi: una difesa unica; ufficio unico per affari esteri; fiscalità e tributi uguali in area euro in proporzione produttività e redditività netta; tasse e imposte uguali per tutte le major del web, energia, farmaceutica; contratti strategici unici; difesa della qualità a tavola; lealtà e rispetto degli asset singolo paese; condivisione surplus finanziari; 

10. Predisporre un piano nazionale industriale che manca da 40 anni partendo dagli asset pubblici-privati e quelli privati (turismo, alimentazione, porti, meccatronica, acciaio …) inalienabili, che siano reddituali o almeno autosufficienti; e anche un piano nazionale agroalimentare che sia ambientale e strategico per le nuove generazioni; 

11. Predisporre un piano economico nazionale sociale-civile-vitale legato alla sussidiarietà attiva,  sociale, civile, sussidiaria ecologica e ambientale, deve essere prioritaria in ogni esercizio e campo al posto di quella solo monetaria e solo finanziaria, ritorno alla economia reale in certi settori, chiudere le delocalizzazioni d’imprese,  controllo e tassazione delle mega rendite anche finanziarie e della gestione patrimoni e assicurazioni da reinvestire nel sociale transizione ecologica, 

12. Grande progetto integrato da più funzioni per i 2/3 del territorio italiano montano/collinare più vulnerabile, svantaggiato, difficile, abbandonato che può crollare a valle, ma anche premiato e autentico patrimonio culturale paesaggistico nazionale che ha in se già milioni di posti di lavoro e fare in modo che ritornino gli occupati a fare impresa e servizi, dalle scuole ai pronto soccorso, dalle regimazioni idrauliche all’antropologia di servizio;  

13. Giustizia a misura del cittadino e non del magistrato;  veloce, certo, equo; separazione drastica delle carriere; autogoverno magistrati composto da meno membri più laici e meno togati, non attivi; eliminare legame amministrativo legale fra politico e magistrato; nessun rientro di carriera chi fa il politico;  sanzioni esemplari per fuga di notizie e veline di atti processuali di chiunque;  carriere certificate con parametri pubblici; nuovo processo penale, carceri più vivibili, più sanzioni amministrative e servizi sociali al posto delle pene lievi, certezza assoluta e nessuna discrezionalità della sentenza definitiva per i reati gravi

Tutto ciò avendo consapevolezza, che ciò che ci aspetta dopo la fine della sanguinosa guerra di aggressione russa all’Ucraina, sarà particolarmente oneroso per le famiglie e le imprese, permanendo l’esigenza di trovare le alternative alla nostra attuale dipendenza energetica al gas e al petrolio russo, incrementando l’utilizzo delle energie alternative e delle disponibilità di gas del nostro territorio, nuove fonti di approvvigionamento internazionali, accanto allo sviluppo delle nuove tecnologie dell’idrogeno e del nucleare.

Prioritarie restano da risolvere con estrema urgenza: la ricostruzione della Sanità pubblica, la digitalizzazione del Paese, l’edilizia scolastica, la conversione energetica, la sicurezza idrogeologica del territorio. Suggerisco, infine, quanto ho già avuto occasione di esporre, ossia che per un’autentica ed efficace politica riformatrice tale da contrastare e battere lo strapotere della finanza che ha sin qui reso subalterne ai propri obiettivi sia l’economia reale che la stessa politica, sia indispensabile compiere le seguenti scelte di politica economica  finanziaria:

1. Obbligo di cessione al Tesoro dello Stato italiano da parte di Telecom Italia Sparkle

della proprietà dei cavi sottomarini, necessari alla comunicazione intranet dei movimenti

elettronici del denaro nel sistema bancario italiano (=abolizione della L.58 del 28 Gennaio

1992 e della Legge n. 35 del 29 gennaio 1992)

2. Controllo Statale sulla raccolta del risparmio tra il pubblico mediante compagnie

assicurative statali = abolizione del DPR n. 350/1985 firmato da Sandro Pertini

3. Obbligo di cessione da parte di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna,

Carige e BNL del 51% delle loro azioni al Tesoro dello Stato Italiano al fine che lo Stato

italiano abbia, con 265 voti su 529, il controllo del 51% di Banca d’Italia (abolizione della L.82

del 7 Febbraio 1992), al fine che Banca d’Italia possa di nuovo dopo 25 anni tornare a vigilare

per impedire truffe sui derivati e su azioni/bond carta straccia, e per impedire anatocismo e

usura bancaria.

4. Reintroduzione della Legge Bancaria del 1936 (abolizione del decreto legislativo n.

385/1993):

5. SEPARAZIONE TRA BANCHE DI PRESTITO (loan bank) e BANCHE SPECULATIVE (investment bank) : abolizione del d.lgs n.481/1992 firmato da Giuliano Amato, Barucci e Colombo. Automatica re-introduzione della contabilità bancaria esistente prima del 31 Luglio 1992 (abolizione del Provvedimento di Banca d’ Italia del 31 Luglio 1992 firmato da Lamberto Dini al fine di fermare l’evasione fiscale verso i fondi speculatori petroliferi kazari proprietari della City of London e sede fiscale a tassazione zero nello stato USA del Delaware)

6. Divieto di prestare denaro creato con un clic elettronico anziché raccolto tra il

pubblico

7. Riduzione del capitale flottante di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna,

Carige, BNL e di ogni altra società italiana strategica quotata in borsa (ENI,…) dall’attuale

85% del capitale totale, al 15%, al fine di evitare scalate da parte dei fondi speculatori

petroliferi kazari.

8. Divieto di vendite allo scoperto (divieto di short -selling) sia di tipo naked (presa in

prestito di titoli inesistenti per es. di MPS per farle crollare, le uniche finora vietate dall’UE) e

di quelle piene. Divieto in sostanza di ogni tipo di vendita allo scoperto contro titoli di società

italiane quotate alla borsa di Milano.

9. Abolizione del CICR (è l’ufficio di controllo occulto di Banca d’Italia)

10. Conferire il potere ISPETTIVO sia a Banca d’Italia che alla Consob, in aggiunta a quello

di vigilanza

11. Separare la Consob dal controllo di Banca d’Italia al fine di avere un organo ispettivo

indipendente. Possibilità anche per la GDF e per la Polizia di Stato di compiere ispezioni in

materia finanziaria, in materia di borsa.

12. Divieto per famiglie, imprese ed enti locali italiani di sottoscrivere derivati sulla valuta(=abolizione del DPR n.556/1987 emesso su proposta del Ministro del Tesoro Giuliano

Amato) e derivati sul tasso (=abolizione del D.M. del Tesoro n. 44 del 18 febbraio 1992

firmato da Mario Draghi)

13. Divieto al Governatore di Banca d’Italia di variare il tasso ufficiale di sconto (abolizione della L.n. 82 del 7 Febbraio 1992) al fine di evitare le truffe sui derivati sul tasso

14. Divieto di anatocismo nei conti correnti, leasing, mutui, prestiti con cessione del quinto e in ogni altra forma di prestito

15. Abolizione del piano di ammortamento alla francese, lecito solo il piano di

ammortamento all’italiana (quote capitali sempre uguali).

16. Divieto di usura oggettiva (supero tasso soglia) e divieto di usura soggettiva (supero

tasso medio). Introduzione della rilevanza immediatamente penale anche del supero del tasso

medio indipendentemente dalla situazione di difficoltà economica-finanziaria del soggetto

cliente

17. Abolizione della disciplina fondiaria ex art 38 e seg. TUB

18. Riforma del Tribunale delle Esecuzioni immobiliari sulla prima casa e sull’immobile

sede dell’attività: divieto di esecuzione immobiliare sulla prima casa e sulla sede dell’attività,

obbligo di prolungamento del mutuo, in caso di difficoltà, ad un tasso massimo pari al tasso

d’inflazione. Divieto di neutralizzazione del Fondo Patrimoniale (è una figura giuridica

prevista dal 1936 a tutela della famiglia italiana).

19. Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3

immobili) in soggetti posti in qualsiasi ruolo e funzione del Tribunale addetti all’esecuzioni

immobiliari e nella sezione fallimentare.

Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3

immobili) nell’avvocato e dottore commercialista della curatela fallimentare, dei sequestri

immobiliari e quali procuratori per le banche nelle esecuzioni immobiliari e nel custode e

nel notaio delle esecuzioni immobiliari

20. Creazione della Procura Nazionale contro i Reati finanziari commessi da soggetti

speculatori esteri, con distaccamento in ogni DDA, collegata all’INTERPOL e per la

prevenzione di attentati terroristici e jihadisti da parte dei fondi speculatori atti a riottenere il

controllo privato delle banche italiane e dell’Ente dell’Energia italiano

21. Obbligo di almeno cinque Parlamentari di ogni forza politica di partecipare all’

Assemblea Annuale di Approvazione del Bilancio delle banche italiane azioniste di

maggioranza di Banca d’Italia, in quanto vero governo del sistema e termometro della salute

del paese.

Spero che questi miei contributi possano servire ad avviare un proficuo dibattito, dal quale si possa giungere a un possibile accordo sul programma, indispensabile pre condizione per gli sviluppi politico organizzativi successivi.

Ettore Bonalberti

Venezia, 5 Maggio 2022

 

 

 

Che fare?

 

Parafrasando il celebre saggio di Lenin, con cui il leader sovietico delineò l’organizzazione e la strategia rivoluzionaria del suo partito, credo sia giunto il tempo di tentare di delineare come potremmo e/o dovremmo procedere chi, come molti di noi, si sentono di appartenere a quel vasto e articolato fiume carsico dell’area politica cattolico democratica e cristiano sociale.

Sono oltre vent’anni che ci proviamo, un tempo nel quale sono prevalsi sin qui le ambizioni e i tentativi di sopravvivenza di molti amici combattenti e reduci della “Prima Repubblica”, i quali, finita politicamente l’esperienza della DC, scelsero di appartenere “al nuovo che avrebbe dovuto avanzare”: chi a destra e chi a sinistra e quanti, come il sottoscritto, hanno tentato di dare attuazione pratica e politica alla sentenza della Cassazione n. 25999 del 23.12.2010, secondo cui: la DC non è mai stata giuridicamente sciolta.

Tentativo avviato nel 2011, concretizzato nel 2012 col XIX congresso nazionale convocato dal consiglio nazionale del partito autoconvocatosi a norma di statuto, nel quale congresso venne eletto alla segreteria del partito  Gianni Fontana, così come nel XX Congresso nazionale dell’Ottobre 2018, eleggemmo  segretario, l’attuale Renato Grassi.

Dobbiamo riconoscere onestamente che non siamo stati capaci di raggiungere l’obiettivo originario, nonostante il coraggioso ultimo tentativo della Federazione Popolare DC  promosso dall’amico Gargani, tenendo presente il permanere della questione dello storico simbolo scudocrociato, utilizzato come sicura rendita di posizione personale dagli eredi di Casini e Follini dell’UDC, finiti dal Pdl al PD, con Cesa, vittima del predominio del padovano De Poli, al ruolo di reggicoda della destra veneta di Galan prima e della lega salviniana attuale. Una posizione che, con quella di Rotondi, sempre organico al Cavaliere, ha di fatto reso impraticabile il disegno di Gargani e di altri amici ( Tassone, Eufemi, Gemelli….) della Federazione Popolare. Sono stati dieci anni (2012-2022) nei quali alla ricomposizione ha continuato a perpetuarsi la diaspora che tuttora persiste, accentuata dai velleitari tentativi di altri personaggi minori, capaci solo di amplificare la confusione di un’eterna “ Demodissea” DC. Tutto ciò in un Paese caratterizzato dal prevalere di una condizione etica, culturale, sociale ed  economica  di anomia ( assenza di regole, discrepanza tra mezzi e fini, venir meno del ruolo dei gruppi sociali intermedi), vittima di una crisi di sistema che si esprime nel forte astensionismo elettorale ( quasi il 50%) e con molta parte delle diverse componenti del sistema sociale, in primis quelle del terzo stato produttivo e delle classi popolari, alla ricerca di un centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, alternativo alla destra nazionalista, ai diversi populismi e a una sinistra tuttora alla ricerca di una propria identità nell’età della globalizzazione. Trattasi della  ricerca di un nuovo equilibrio politico, tanto più necessario in questo tempo caratterizzato dalla tragica guerra russo ucraina, destinata a mettere a soqquadro gli equilibri che avevano retto l’Europa e il mondo da Yalta (4-11 Febbraio1945) e dalla nascita dell’OCSE, dopo la conferenza di Helsinki del 1975.

Credo che, a qualunque partito, gruppo o movimento si appartenga, siamo tutti convinti che la premessa per un processo di ricomposizione politica della nostra area sia costituita dall’approvazione di una legge elettorale di tipo proporzionale con sbarramento e introduzione del sistema delle preferenze e dell’istituto della sfiducia costruttiva.

In secondo luogo, si fa sempre più condivisa l’opinione che, prima di dividersi sul tema delle alleanze, sia indispensabile concordare una piattaforma programmatica che, come nei tempi migliori della storia politica dei cattolici ( Idee ricostruttive di De Gasperi e Codice di Camaldoli) sia in grado di intercettare i bisogni emergenti soprattutto dalle classi popolari e dai ceti medi produttivi, dalla saldatura degli interessi e dei valori dei quali, dipende la tenuta stessa del sistema sociale, politico e istituzionale del Paese.

Quanto al tema del programma tenterò in un prossimo articolo di proporre alcune idee, anticipando che, con un gruppo di esperti dell’Università di Padova, stiamo redigendo un questionario con il quale ci proponiamo di raccogliere con metodo bottom up le richieste prevalenti esistenti tra i nostri potenziale elettori nelle diverse realtà italiane.

Concordata la proposta di programma, si potranno definire le regole per la convocazione di un’assemblea nazionale costituente del nuovo centro democratico, popolare, liberale e riformista, nel quale potrà riconoscersi la maggioranza del popolo italiano. Solo allora, dalla volontà della base, sarà decisa la nuova classe dirigente da proporre alla guida del partito e al giudizio degli elettori.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 28 Aprile 2022

Al di là della nostalgia

 

Seguo sempre con interesse le note politiche dell’amico Giorgio Merlo il quale è intervenuto ieri, 8 Aprile, su Il Domani d’Italia, con un articolo dal titolo emblematico: La DC e chi la voterebbe ancora. Da un lato Merlo sostiene che la DC va archiviata come “fatto storico” e “prodotto politico”, dall’altra, citando una recente ricerca Ipsos su come votano oggi i cittadini che nel 1992 scelsero la DC, costata come quegli elettori si siano divisi tra Fratelli d’Italia e il PD. Conclude, tuttavia, che “la storia e l’esperienza della Democrazia Cristiana continuano ad essere attuali ed importanti. E quella politica e quel modo d’essere nella politica chiedono ancora di essere rappresentati e di essere interpretati nella società contemporanea. Piaccia o non piaccia ai populisti e ai sovranisti di turno”.

A me pare una lettura insufficiente della complessa realtà venutasi a creare dopo la fine politica del partito che ha rappresentato l’architrave del sistema italiano per oltre quarant’anni. Anche le conclusioni Ipsos sull’attuale tendenza elettorale degli ex DC non tiene conto che, dal 1993 in poi, il voto degli ex DC si sono divisi tra la nuova esperienza del movimento partito del Cavaliere, Forza Italia, che, grazie agli amici Sandro Fontana e don Gianni Baget Bozzo, scelse di aderire al PPE; quella della Margherita e poi del PD, insieme alla frastagliata serie di cespugli che, a diverso titolo, si rifanno alla DC. Questi ultimi sono il risultato della dolorosa diaspora DC ( 1993-2022) tuttora in corso.

Avendo attivato insieme a Silvio Lega e con il contributo di amici, tra i quali determinante il ruolo svolto presso ministero degli Interni e sentenze dei tribunali, da Leo Pellegrino, l’autoconvocazione del CN della DC fu fatta nel 2012 per dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010, secondo cui: la DC non è mai stata giuridicamente sciolta, trovo ingenerosa e superficiale e insufficiente la lettura di quegli avvenimenti e dei suoi esiti. Ho scritto su questa triste vicenda il mio ultimo libro: DEMODISSEA, la Democrazia cristiana nella stagione della diaspora ( 1993-2020) edizioni Il Libro, nel quale testimonio da “osservatore partecipante” i travagli vissuti per il tentativo di ricomporre politicamente la Democrazia Cristiana.

Tentativo svolto con la segreteria di Gianni Fontana prima e di Renato Grassi, attuale segretario politico, mentre sono sorti tanti cespugli di pseudo aspiranti leader democratico cristiani. Una dispersione suicida che si è tentato, anche qui con enormi difficoltà, di superare con la Federazione DC e Popolare coordinata da Giuseppe Gargani.

Seguo quotidianamente le note su facebook e whatsapp di Insieme guidata da Giancarlo Infante e degli amici DC di Giulio Andreotti, come le diatribe dai risvolti tragicomici di altri “personaggetti”, per sottolineare come tra nostalgia e vacui velleitarismi non mancano i tentativi di costruire un’offerta politica in linea con la nostra migliore tradizione. Ho accolto con molto interesse le conclusioni del convegno di Viterbo su De Gasperi e il documento finale : “Boarding card- Idee ricostruttive oggi”. Anche qui non è la nostalgia ma una visione realistica della politica. Essenziale resta l’esigenza di ricomporre quanto oggi è ancora frammentato. Si tratta di tenere conto, da un lato, della struttura socio economica e culturale dell’Italia, nell’età della globalizzazione, e, dall’altra, delle esortazioni provenienti dalla Chiesa come quella espressa dal card Bassetti in un’ intervista al Corsera (9 Novembre 2019): “È necessaria una nuova presenza di cattolici in politica. Una nuova presenza che non implica solo nuovi volti nelle campagne elettorali, ma principalmente nuovi metodi che permettano di forgiare alternative che contemporaneamente siano critiche e costruttive” che riprende quanto a più riprese ha affermato Papa Francesco.

Con la mia teoria, definita euristicamente, dei “quattro stati”: la casta, i diversamente tutelati, il terzo stato produttivo, il quarto non Stato, ho tentato di rappresentare sociologicamente l’attuale complessa composizione sociale italiana, caratterizzata da interesse e valori diversi e in taluni casi contrapposti, che richiedono risposte ispirate, oggi come nelle fasi precedenti della rivoluzione industriale, dalla dottrina sociale cristiana.

Siamo, dunque, alla presenza di una domanda, soprattutto del terzo stato produttivo e dei diversamente  tutelati, che non trova nell’attuale assetto politico del Paese, un’offerta politica che sta riducendosi a un tripolarismo forzato tra destra guidata da Fratelli d’Italia, PD e M5S.

Si deve uscire da questo trilemma dal quale le formule di governo sin qui prodotte sono prevalenti quelle guidate da personalità  di natura tecnica, espressione di una crisi politica che sta sempre più caratterizzandosi come crisi di sistema . Una situazione aggravatasi con la pandemia prima e con l’attuale guerra russo-ucraina, destinata a mutare l’intero assetto geopolitico europeo e mondiale.

Sono convinto che in tale contesto serve attivare un forte centro democratico, popolare, liberale e riformista, europeista e occidentale, alternativo alla destra nazionalista e distinto e distante dalla sinistra alla faticosa ricerca della propria identità. Un centro nel quale andrebbero ricomposte tutte le fratture esistenti nel campo degli ex DC, aperto alla collaborazione con le culture liberal democratiche e riformiste socialiste, per il quale la DC di Grassi e la Federazione Popolare DC, insieme alle altre realtà di ispirazione popolare, cattolico democratica e cristiano sociale, sono tutte impegnate.

Servirà, innanzi tutto, definire un programma all’altezza dei bisogni del terzo stato produttivo e delle classi popolari presenti tra i diversamente tutelati, per garantire quella saldatura tra ceti medi e classi popolari che è stato il ruolo storico politico sociale e istituzionale più importante della DC di Gasperi, Fanfani, Moro, sino all’ultimo esperienza di Martinazzoli.

Su questi fondamentali, anche con la DC di Grassi e la Federazione Popolare e dei DC, siamo tutti coinvolti e ci auguriamo di ricomporci al centro con quanti intendono impegnarsi per un’area politico culturale e sociale di cattolici democratici e cristiano sociali, ispirata dai valori della dottrina sociale cristiana. Non di nostalgie regressive, dunque, si tratta, ma della volontà di offrire ancora una volta alla società italiana una proposta politica che adesso, ahinoi, non esiste.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 9 Aprile 2022

 

 

 

Ricomponiamoci  per un’alleanza euro-atlantica

 

Il prossimo election day del 12 Giugno, scade in un momento particolarmente difficile della situazione internazionale per la guerra russo-ucraina e le sue drammatiche e  dolorose conseguenze, non solo interne all’Ucraina, ma per la stessa Unione europea e per l’Italia.

In tale quadro caratterizzato dal venir meno della compattezza dei partiti della maggioranza, interessati a ritagliarsi un ruolo autonomo e attivo in previsione delle politiche del 2023, considerate le difficoltà sin qui incontrate dal processo di ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale, credo sia opportuno ripartire dal basso, dai territori in cui si svolgeranno le prossime elezioni amministrative.

Ho scritto, al riguardo: per l’election day del 12 Giugno proviamo a far partire dai territori  interessati, la formazione di liste unitarie di cattolici democratici e cristiano sociali, ispirati dai valori del popolarismo, alternativi alla destra nazionalista e populista e alla sinistra senza identità? Liste di cattolici democratici che sappiano affermare i valori patriottici e solidaristici che nazionalisti e reduci di sinistra non sanno più portare avanti in modo credibile.

Il M5S che, dopo il voto del 2018, è ancora il partito di maggioranza relativa in parlamento, con le ultime prese di posizione del riconfermato leader, Giuseppe Conte, ha introdotto elementi di forte instabilità, proprio sul tema della politica estera che è sempre stato uno dei capisaldi della strategia politica italiana.

La scelta del Patto Atlantico compiuta dalla DC di De Gasperi, non senza difficoltà interne  al partito, con quella dell’Unione europea, costituirà uno dei fondamentali della politica italiana, entrambi sempre difesi negli oltre quarant’anni di egemonia-dominio della DC alla guida dei governi, insieme alle altre componenti di area liberal democratica e socialista con cui abbiamo condiviso la responsabilità di governo ( 1948- 1993).

La guerra russo ucraina ha fatto riemergere uno scontro tra movimenti e partiti schierati più nettamente a sostegno, anche militare, dell’Ucraina, con altri, minoritari, legati più o meno esplicitamente alla Russia putiniana. Una guerra destinata a sconvolgere i vecchi equilibri internazionali fissati a Yalta e all’illusione di un’egemonia esclusiva americana, dopo il crollo del muro di Berlino, sta rivelando la realtà di un multipolarismo che, superando il vecchio conflitto della guerra fredda URSS-NATO, deve fare i conti non solo con l’aspirazione imperialistica putiniana, ma con il nuovo “secolo asiatico” interpretato da India e Cina con gli altri stati dell’estremo oriente del pianeta. E’ in questo nuovo scenario che la politica italiana deve fare i conti, con un partito di maggioranza relativa da qualche tempo in fase di seria frammentazione sul piano parlamentare e, sempre più ondivago su quello delle scelte strategiche, come quella in materia di fedeltà ai patti internazionali sottoscritti. Atteggiamenti e comportamenti come quelli di Giuseppe Conte e del presidente cinque stelle della commissione esteri del Senato, Petrocelli, minano fortemente la credibilità dell’Italia con i propri alleati occidentali. Quest’altalenante comportamento grillino dimostra che il movimento del “vaffa” può sicuramente raccogliere, come nel 2018, il voto del disagio e del qualunquismo sempre latente tra gli elettori italiani, ma, difficilmente, consente di guidare il governo del Paese. Di qui la necessità di ricomporre un’area politica di ispirazione popolare in grado di raccogliere il consenso di una parte importante dell’elettorato italiano e capace di allearsi con le componenti di area liberal democratica e riformista, alle prossime elezioni politiche del 2023, per dar vita a una forte intesa euro atlantica a sostegno della leadership di Mario Draghi. Le elezioni amministrative del 12 Giugno sono, quindi, l’occasione utile e opportuna per avviare proprio dai territori interessati, il processo-progetto della nostra ricomposizione politica. Non c’è più tempo e spazio per i rinvii o, peggio, per i piccoli cabotaggi delle ambizioni personali dei soliti noti.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 1 Aprile 2022

 

 

 

Tra  fede e responsabilità politica

 

Della guerra russo ucraina su un dato di fatto indiscutibile ritengo siamo tutti d’accordo: Putin è l’invasore e l’Ucraina la vittima. Sui modi per concorrere alla pace le posizioni sono molto diverse, anche se prevale la dicotomia tra quanti intendono sostenere militarmente i resistenti e quanti si professano pacifisti senza se e senza ma.

Fedele alla nostra storica tradizione democratico cristiana a sostegno dell’ Unione europea e dell’alleanza atlantica, mi sono fin dall’inizio schierato tra coloro che hanno scelto la linea del governo Draghi, coerente con la fedeltà ai nostri trattati comunitari e della NATO.

Dopo il netto pronunciamento di ieri di Papa Francesco contro i governi che hanno deliberato l’aumento delle spese militari al 2%, come da molto tempo richiede la NATO, vivo un serio imbarazzo.

Che fare allora per aiutare i resistenti valorosissimi dell’Ucraina, novelli Davide contro il gigante russo Golia? Oltre alle sanzioni che UE e USA hanno stabilito in forme assolutamente inedite e ampie, o si aiutano inviando loro armi e munizioni tenendo conto della superiorità incommensurabile  tra le dotazioni dei due contendenti, o si ricorre alle rogazioni e alle marce per la pace che dovrebbero favorire la diplomazia.

Papa Francesco si è nettamente dichiarato per queste ultime opzioni, dopo che il segretario di Stato, card Parolin, aveva ammesso la legittimità della difesa operata dagli ucraini vittime dell’occupazione putiniana e del loro sostegno anche militare. Comprendo e condivido il richiamo al vangelo di Luca che avrebbe consigliato al presidente Zelensky di fare bene i conti prima di decidere di sostenere l’impraticabile scontro, così come, ovviamente, quello di Papa Francesco ispirato ai valori fondamentali della nostra fede cristiana. Ricordo anche la nostra Costituzione che all’art. 11 stabilisce: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, anche se all’art.52 pone la difesa della patria quale “sacro dovere”. Un dovere che non vale solo per noi, ma anche per i valorosi resistenti ucraini.

Furono temi molto dibattuti all’assemblea costituente, resi drammaticamente attuali da questa infame guerra. Nella difficilissima possibile azione diplomatica richiesta alla Santa Sede, dallo stesso presidente ucraino, è ragionevole ritenere che la netta presa di posizione neutrale di Papa Francesco serva anche a favorire tale opportunità, resa tanto più difficile dopo che la chiesa ortodossa russa, divisa dall’altra chiesa di Kiev, si è posta come sostegno morale e culturale al dominio putiniano della Russia.

Noi cattolici, siamo di fronte al permanente dilemma: come restare fedeli agli orientamenti pastorali della Chiesa e alle nostre responsabilità politiche, che discendono dalla nostra azione autonoma e pienamente responsabile di laici impegnati nella “città dell’uomo”.

Se da un lato, non possiamo che accogliere con rispetto le indicazioni del Pontefice, coerenti con i fondamentali della nostra dottrina sociale e per noi degli insegnamenti sturziani in materia, dall’altro, dobbiamo essere rispettosi degli impegni che derivano all’Italia dalla sua partecipazione all’Unione europea e alla NATO. NATO e UE sono due scelte che appartengono alla storia, compiute da governi a guida DC e hanno costituito le fondamenta della politica estera dell’Italia dal secondo dopoguerra sino ad oggi,  a parte  la triste caduta russo cinese del governo giallo-verde di Conte e Salvini. Sappiamo che, comunque finisca questa tragica guerra, non saranno più gli equilibri di Yalta a sopravvivere. Essi, infatti, sono stati fatti saltare da questa scelta scellerata di Putin, contraria a ogni regola e principio di diritto internazionale. Esistono molti motivi per i quali noi cattolici democratici e cristiano sociali siamo critici con l’Occidente dell’età della globalizzazione. Superato il principio del NOMA ( Non Overlapping Magisteriae) non possiamo condividere una situazione nella quale politica ed economia reale sono ridotte al ruolo servente del potere dei gruppi finanziari dominanti; così come non possiamo condividere il prevalere di un relativismo morale che intende sconvolgere i più elementari diritti naturali su cui si fonda tutta la nostra eredità morale, culturale e sociale, elevando a diritto ogni desiderio individuale. Non possiamo accettare, a forziori, che l'8% della popolazione mondiale che detiene il 90% delle risorse del pianeta giochi a fare la guerra Sappiamo anche, però, che non potremo mai rinunciare ai valori di democrazia, giustizia e  libertà che, insieme alle altre culture di ispirazione democratica, laica e liberale abbiamo contribuito a iscrivere nel patto costituzionale. C’eravamo illusi con il nostro Beato Giorgio La Pira, che, nell’età nucleare, non valesse più il principio: si vis pacem para bellum. Putin sta dimostrando che questo non solo è possibile, ma è disponibile ad andare avanti sino alla fine; sino, cioè, a quella che sarebbe la fine del mondo. Non sono tempi di scelte facili, specie per noi cattolici divisi tra fede e realismo politico, eppure, come ci ammoniva Aldo Moro: questo è il tempo che c’è dato di vivere. Parteciperemo a preghiere e alle marce della pace, non mancando, però, di sostenere gli impegni internazionali del Paese e contiamo fiduciosi sul ruolo  che il Santo Padre potrà assumere per por fine a questo immane massacro.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 25 Marzo 2022

 

Movimenti sparsi d’area

 

Con l’avvio della primavera sono annunciati diversi movimenti dell’area politico culturale cattolico democratica e cristiano sociale. Sono iniziative che il mitico Gianni Brera, da un punto di vista calcistico, descriverebbe come quelli della fase della partita dei “mena torrone”, ossia di una melina improduttiva di centro campo senza finalizzazione efficiente ed efficace. Gli amici siciliani, meglio la definirebbero come un esempio pratico del verbo “annacare”  che, come mi spiegò un giorno Leoluca Orlando, significherebbe : il massimo di movimento col minimo spostamento. In definitiva, stiamo assistendo alla ripresa di iniziative sparse e ancora una volta senza alcun collegamento tra di loro.

Probabilmente la più interessante è quella del movimento/partito di Insieme, che annuncia una proposta programmatica condivisibile, ma ancora sostenuta dall’idea dell’autosufficienza; anzi dell’ambizione di assumere un ruolo guida autonomo, reso tuttavia, incerto dalle stesse difficoltà di conservazione dell’unità all’interno della stessa esperienza politica.

Anche Gianfranco Rotondi, che ho più volte definito: “ il miglior fico del bigoncio”, annuncia la convocazione addirittura di un congresso nazionale del suo nuovo movimento-partito, Verde è Popolare. Trattasi di un progetto che, avviato un anno fa, intende mettere insieme quanti, cattolici e laici si ritrovano sugli orientamenti pastorali della “ Laudato SI”. Un progetto che deve scontare, da un lato, la permanenza mai messa in discussione del leader irpino tra i fedelissimi del Cavaliere e, dall’altra, le scelte dell’articolata realtà dei verdi italiana, pressoché unitariamente orientata a sinistra. Come possa riuscire a combinare questo difficile rebus, pur in una fase politica caratterizzata dal diffuso trasformismo, solo il tempo ci darà conto del suo esito.

Nella scompaginata area dei diversi attori e movimenti post diaspora DC, spetta alla DC guidata da Renato Grassi, sin qui l’unica legittimata da sentenze del tribunale romano, compiere il miracolo di una ricomposizione, dovendo fare i conti permanenti con il partito di Cesa, l’UDC, gestore del simbolo scudo crociato, ma, adesso, di fatto dominato dal sen padovano,  Antonio De Poli, reggicoda da sempre dell’area di destra a guida leghista e forza italiota.

Molto opportuna e interessante l’iniziativa annunciata da Ivano Tonoli e Corrado Gardina il 23 Marzo p.v. a Roma, per la presentazione del “Comitato per la raccolta di firme sulla legge elettorale proporzionale” . Come scrivono i promotori, sarà questa “ l’occasione per incontrare autorevoli democristiani d’Italia e di analizzare la necessità di creare un gruppo unito di moderati”

Da parte mia, da sempre auto nominatomi “ DC non pentito”, resto fedele alla mia casa, la DC, anche se ho concorso a sostenere il generoso impegno dell’amico, On Peppino Gargani, di una Federazione dei Popolari e DC, sin qui ferma al surplace, per il costante disimpegno de facto dei soliti Cesa e Rotondi.

La situazione nuova e pericolosa venutasi a creare con la guerra russo-ucraina e le sue inevitabili conseguenze sul piano geopolitico europeo e mondiale, come bene ha scritto l’amico Giorgio Merlo su Il domani d’Italia, comporterà scelte difficili e non più rinviabili anche nello scacchiere politico interno italiano.

Credo che dovremo rafforzare l’unità delle culture politiche euro-atlantiche che, con più coerenza, stanno sostenendo l’impegno della guida di governo di Mario Draghi, nella convinzione che della guida del capo di governo avremo bisogno anche dopo il voto che, auspicabilmente, si terrà nel 2023. Qualunque potrà essere la legge elettorale che governo e parlamento decideranno di adottare, un rassemblement euro atlantico guidato da Draghi, ritengo sia la soluzione più opportuna per l’Italia.

Come sempre a tale raggruppamento democratico, liberale e riformista, sarebbe utile e necessario apportare il nostro contributo di idee, di valori e di interessi della nostra area politica culturale e sociale di cui, mai come in questo momento, con la guerra alle porte, il nostro Paese ha bisogno.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 21 Aprile 2022

 

Tempo in scadenza, se non già scaduto

 

In piena emergenza bellica, con la guerra che potrebbe coinvolgere la stessa UE, sembra anacronistico discutere della politica di casa nostra e, in particolare, di quanto sta accadendo nella nostra area di riferimento culturale. Ha suscitato un forte interesse la lectio magistralis del card. Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, al convegno presso l’aula magna pontificia dell’università San Tommaso d’Acquino a Roma,  Mercoledì 9 Marzo scorso. Non è la prima volta che la gerarchia ecclesiastica discute dell’impegno politico dei cattolici, ma, onestamente, dobbiamo evidenziare che queste sollecitazioni, assai raramente da Roma, sono raccolte tra i vescovi diocesani e i parroci in sede locale. Tra questi ultimi continua a prevalere, infatti, l’indifferenza, quando non anche la forte e deliberata opposizione, ai tentativi che movimenti e gruppi di laici fanno nascere dalla base. E’ sicuramente importante ricevere orientamenti e sollecitazioni dall’alto, ma sarebbe necessario che a quelle sollecitazioni corrispondessero non solo l’impegno dei laici credenti, ma anche la disponibilità degli esponenti  periferici della struttura ecclesiale.

E’ difficile comprendere come in piena emergenza bellica, in Italia, le Camere  siano impegnate ad approvare il suicidio assistito, mentre in Ucraina si realizza il genocidio volontario. E’ anche questa la manifestazione del prevalere del relativismo morale nella società occidentale,  destinata, così, a soccombere alla volontà di dominio del “secolo asiatico”.

Il voto di ieri alla Camera rappresenta il punto morto inferiore e la dimostrazione del ruolo insignificante svolto politicamente da quelli che, a diverso titolo, continuano a definirsi gli eredi della grande tradizione del cattolicesimo democratico e cristiano sociale. Questi ultimi sono gli inefficienti e inefficaci presunti interpreti di una vasta e complessa realtà, fatta di associazioni,  movimenti e gruppi sociali e culturali, incapaci sin qui di esprimere una sintesi politica all’altezza delle indicazioni pastorali della Chiesa, da un lato, e, dall’altro, delle esigenze di una società dominata dall’anomia sociale, culturale e politica, nella quale è assente quel riferimento democratico e popolare che ha contrassegnato una parte importante della storia nazionale. Un riferimento che, nella storia italiana, con la DC, ha saputo saldare gli interessi dei ceti medi e delle classi popolari impedendo in tal modo il rifugio nelle scelte nazionaliste e autoritarie duramente vissute dal popolo italiano.

Al progetto di costruzione dell’unità nazionale il cattolicesimo democratico e cristiano sociale seppe concorrere autorevolmente insieme alle altre forze liberal democratiche e riformiste di ispirazione socialista, con le quali siglò il patto costituzionale. Una carta fondamentale dei diritti e dei doveri assai impregnata dei valori della dottrina sociale cristiana, grazie al contributo dei padri costituenti democratico cristiani: da De Gasperi a Gonella, Gronchi, Dossetti, La Pira, Mortati, Moro e Fanfani, i quali lasciarono un’impronta indelebile nella nostra Costituzione.

Quando leggiamo che, premessa per una ricomposizione politica della nostra area servirebbe partire dal programma, a me pare che la risposta più semplice ed efficace rimanga quella di fare riferimento ai principi della dottrina sociale cristiana, aggiornati dalle encicliche dell’età della globalizzazione ( dalla Centesimus Annus, alla Caritas in veritate, all’Evangeli Gaudium, Laudato SI  e Fratelli Tutti) e all‘impegno di attuazione integrale della Costituzione repubblicana. L’amico Giannone ha indicato i sei pilastri (Umanesimo integrale, Dottrina Sociale Cristiana, Popolarismo e Personalismo, Ecologia integrale ed Etica ecologica, Costituzione repubblicana e CEDU- Carta Europea dei Diritti Umani)che, ancor meglio, definiscono le coordinate del nostro impegno e credo che, al di là delle loro concrete applicazioni nel tempo che ci è dato di vivere, siano proprio quelle le scelte strategiche per un movimento politico che intendesse porsi quale strumento di ricomposizione politica della nostra area. Un movimento politico tanto più necessario, nello stallo che permane, derivato da un bipolarismo forzato nel quale si assiste al dominio, da un lato, della destra nazionalista e populista e, dall’altro, di una sinistra ancora alla ricerca della propria identità. A breve, anche se andassimo a votare alla scadenza naturale, il problema delle alleanze si porrà, specie se permarrà l’attuale legge elettorale maggioritaria. In ogni caso, tuttavia, ritengo che prioritaria rimanga la necessità di una nostra ricomposizione al centro. Abbiamo tentato con la Federazione Popolare DC di facilitare tale progetto-processo, sin qui senza esito positivo. Alla fine, come accade da molti anni, puntuale è scattato il condizionamento dell’UDC, sempre disponibile a parole a ricongiungersi con i fratelli DC separati, ma a ogni prova del nove elettorale, sempre unita in posizione marginale servente della destra a dominanza leghista e, oggi, di Fratelli d’Italia. Questa contraddizione si deve superare, così come va superata la frantumazione della diaspora tra la venti diverse DC sparse nel Paese, che rappresentano una situazione tragicomica inaccettabile, non solo da chi della DC storica ha fatto diretta esperienza, ma dalla stragrande maggioranza degli elettori italiani. A Grassi il compito di facilitare il progetto.

Anche gli ammirevoli tentativi degli amici di Costruire Insieme, della Rete Bianca, come quelli dell’On Rotondi con il suo Verde è Popolare, unitamente a quelli dell’On Mastella con NOI di Centro, se non troveranno il modo di giungere a una ricomposizione rischiano di ridursi, come già sperimentato negli anni, a partitini di testimonianza con consensi da prefisso telefonico, efficaci solo ed eventualmente per qualche sistemazione personale in liste disponibili all’accoglienza dei capi.

Ho più volte sollecitato, sin qui senza riscontro, un incontro fra tutti gli amici di queste esperienze alla ricerca di un ubi consistam, auspicando anche che dalla base potessero, contemporaneamente, avviarsi dei comitati civico popolari di partecipazione democratica, dai quali far emergere una nuova classe dirigente credibile e dalla forte passione civile. A me pare che non ci sia più tempo da perdere, anzi che il tempo sia quasi scaduto, ma sono consapevole di essere un povero don Chisciotte, chiuso nel suo buen retiro forzato veneziano; un “medico scalzo” senza potere, spinto solo dalla volontà di concorrere all’unità politica possibile dei cattolici democratici e cristiano sociali.

 

Ettore Bonalberti

 

Venezia, 11 Marzo 2022

 

Superare i pregiudizi antichi

 

Mi auguro che riesca il tentativo avviato dall’amico Renato Grassi, segretario nazionale della DC ricostituita politicamente dopo la decisione della Cassazione del 23.12.2010, sentenza n.25999 ( “la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”), di invitare i diversi partiti, associazioni, movimenti e gruppi dell’area cattolico democratica e cristiano sociale in una sede come l’Istituto Sturzo, per discutere della loro possibile ricomposizione politica.

Come ho scritto altre volte, sono anche convinto, però, che all’azione avviata dall’alto ( top down) che deve sempre scontare le ambizioni di molti leader o presunti tali e le difficoltà che hanno caratterizzato la lunga stagione della diaspora post DC ( 1993-2022) si debba aggiungere quella dalla base (bottom up) . L’iniziativa, cioè, che punti a ricomporre nelle diverse realtà territoriali l’avvicinamento di quegli stessi partiti, associazioni, movimenti e gruppi, a partire dalle elezioni amministrative che si terranno nella prossima primavera. Un’occasione  non rinviabile per organizzare liste civiche di area popolare insieme a esponenti dell’area liberal democratica e riformista, alternative alla destra nazionalista e alla sinistra alla ricerca della propria identità. Per facilitare l’avvio di tale progetto in sede locale, la costituzione di comitati civico popolari di partecipazione democratica può risultare un efficace strumento, in assenza di partiti organizzati sul territorio secondo le forme del passato, per la selezione di una rinnovata classe dirigente da proporre nelle candidature delle liste elettorali.

Credo che, in ogni caso, sia indispensabile superare una serie di pregiudizi, alcuni dei quali, frutto delle antiche divisioni già vissute nella DC, al tempo dello scontro tra filo socialisti e filo comunisti. Il tempo del “preambolo” che segnò una fase importante della vita politica nazionale. Una divisione, tuttavia, che non ha più alcuna ragione di esistere nella nuova situazione nella quale i partiti del 1980 ( Congresso DC del Febbraio di quell’anno)  non esistono più e il tema odierno non è più quello della maggiore o minore distanza dal PCI, ma se e come affrontare l’alternativa a una destra nazionalista che si sta affermando quale primo partito secondo gli ultimi sondaggi. Mantenere, dunque, le vecchie divisioni, oltre che anacronistico, si sta rivelando un atteggiamento stupido che, alla fine, produrrebbe del male solo a noi stessi e a quelle stesse classi medie e popolari orfane di una rappresentanza politica di centro seria e affidabile. Come nella lunga storia nazionale è ben noto a noi DC che, quando viene meno la saldatura di interessi e di valori tra ceti medi e classi popolari, si apre un vuoto politico occupato o occupabile dalla destra e/o dall’uomo forte al comando. Nella crisi politico istituzionale del Paese, in questa  e nella passata legislatura, si è ricorso alla formula dei tecnici esterni non eletti alla guida del governo, sino alla leadership attuale di Mario Draghi del “governo delle larghe intese”, ma l’insufficienza e la debolezza di tale soluzione sta emergendo ogni giorno di più. Una debolezza tanto più  grave considerando gli impegni derivanti all’Italia da ciò che essa ha assunto con il Next Generation UE e gli adempimenti conseguenti del PNRR.

Serve ricostruire un centro politico forte, risultante dalla collaborazione tra esponenti delle culture politiche che sono state alla base del patto costituzionale, tra le quali, essenziale è e sarà l’apporto di quella popolare. Devono, però, essere superati tra di noi i vecchi pregiudizi e le nostre distinzioni. Uniti nei valori di riferimento e nella volontà di tradurre nelle istituzioni gli orientamenti indicati dalle encicliche sociali della Chiesa e nell’attuazione integrale della Costituzione repubblicana, e affermata da tutti noi la scelta irreversibile dell’alternatività alla destra nazionalista e populista, non può essere agitata la discriminante dell’apertura apriori a sinistra come dirimente per la nostra ricomposizione. Ritengo questa premessa inopportuna sul piano tattico e insufficiente su quello strategico, tale da favorire soltanto la nostra divisione. Sarà sui contenuti di una piattaforma condivisa di programma e sulla volontà di attuare integralmente la Costituzione che, alla fine, insieme decideremo la scelta delle alleanze, tenendo anche presente la legge elettorale di cui disporremo e che ci auguriamo di tipo proporzionale. Ecco perché adesso è l’ora di ritrovarci a Roma e di impegnarci nel lavoro di base nelle periferie, per facilitare il progetto di ricomposizione politica utile per noi e per il nostro Paese.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 18 Febbraio 2022

 

 


Riflessioni sulla  pandemia

 

Sono vaccinato con tre dosi e ho condiviso sia le scelte compiute dal Governo Conte e commissario Arcuri, all’inizio della pandemia, che quelle successive di Draghi-Figliuolo. Confesso che non ho mai volutamente replicato alle posizioni estreme di alcuni amici novax sostenitori di fantomatici processi di Norimberga, spesso accompagnati dall’uso di espressioni ingiuriose contro il governo, inaccettabili. Riconosco, tuttavia, che non mancano le ragioni di critiche, sempre utili e necessarie, specie quando si tratta, come nel caso del Covid, di un fenomeno del tutto nuovo tra le pandemie da virus sin qui conosciute.

Ho più volte espresso, in sintonia con l’amico dr Alessandro Govoni, le mie forti critiche sul sistema finanziario internazionale dominato dagli hedge funds anglo caucasici/kazari ("BlackRock, BridgewaterAssociates, Citibank, GoldmanSachs, JP Morgan, Morgan Stanley, Pioneer e Vanguard, tutte multinazionali finanziarie luterane tedesco orientali ), con sede operativa nella city of London e fiscale nello stato USA del Delaware, a tassazione zero e sul loro controllo di Big Pharma e di tantissimo altro.

Mi ha indotto a scrivere questa riflessione sulla situazione pandemica proprio una nota di Govoni pervenutami in data odierna, che riporto integralmente. Scrive Govoni:

“Se il Ministro della Salute avesse avuto l' "accortezza" di leggere gli studi dell' Istituto Italiano Tumori che le Procure gli  avevano già trasmesso dal 2019,  avrebbe "compreso"  che i sintomi più lievi ( raffreddore e febbre) sono dovuti ai batteri delle deiezioni dei polli spruzzati nell' aria nei campi,  chiamati impropriamente Covid,  e i sintomi più gravi (tosse secca persistente , dispnea notturna, polmoniti bilaterali),  sono dovuti all' esposizione al catrame che a Cremona, Bergamo, Brescia, Milano e in tante altre città delle pianure italiane,   sono oltre alla soglia di tollerabilità umana da almeno 10 anni, e dopo 10 anni i sintomi da esposizione al catrame,  accertò negli anni 30 l' istituto italiano tumori, poi nel 1943 secretato col copyright, sono questi (tosse secca persistente, dispensa notturna, poi polmoniti bilaterali).  Il Ministro della Salute ha però stranamente omesso di farlo, come mai? Il problema è che l' esposizione al catrame provoca proliferazione batterica e parassitaria dell' Anchilostoma. Il problema è con la "vigile attesa", la proliferazione batterica  va avanti, col "paracetamolo" contenendo esso, come è noto,  anilina che è un derivato del catrame, la proliferazione batterica diventa abnorme, con "no antibiotici"  la proliferazione batterica non si arresta, con "no sport" le spore dei batteri e  le larve dell' Anchilostoma, che con la sudorazione verrebbero espulse, non vengono espulse e la proliferazione batterica e quella dell' Anchilostoma non viene diminuita. Il problema è che con queste errate cure domiciliari, si crea un’infiammazione batterica e parassitaria dell' Anchilostoma che porta al cancro su cui Pzifer e Moderna con i preparati chemioterapici guadagnano 80 volte i loro costi di produzione.

Come mai il Ministro della Salute Roberto Speranza ha stranamente omesso di considerare gli studi desegretati dal copyright dell' Istituto Italiano Tumori  che le Procure gli avevano già trasmesso dal 2019?

Come mai il Ministro della Salute Roberto Speranza ha stranamente  omesso di considerare gli 800 deceduti nel 2018 per polmoniti bilaterali già  accertati dalla Procura di Brescia?

 Come mai il Ministro della Salute Roberto Speranza, al presentarsi nel 2020 dei primi deceduti per polmoniti bilaterali, ha stranamente omesso di  far  aprire i corpi per accertare la vera  causa, invece che far incenerire i corpi?

Come mai il Ministro della Salute Roberto Speranza ha stranamente omesso di considerare che nel vaccino anti SARS Cov- 2  vi sono anche eccipienti,  dichiarati da Pzifer e Moderna nel RCP  Paragrafo 6.1, come

potassio cloruro,colesterolo, potassio, diidrogenato, ALC 0315, che provocano proliferazione batterica,  che,  alla lunga,  come accertò l' Istituto Italiano Tumori,  porta al cancro? 

 Non sarà  colluso con queste stesse  industrie farmaceutiche che guadagnano 80 volte i loro costi di produzione sui preparati chemioterapici ?”

 A queste forti domande-accuse rivolta al ministro Speranza e al governo, ho replicato a Govoni così: la tua analisi è convincente, ma possibile che tutto il mondo sia caduto in questo errore per ignoranza o, peggio, per colpevole meditata sottovalutazione della pandemia? La replica di Govoni: “Con le privatizzazioni moltissimi governi sono caduti in balia di queste multinazionali, se pensiamo che Vanguard, il più grande fondo speculatore dei Rothshild/Rockfeller, detiene oggi un patrimonio di 25.000  miliardi di dollari, cioè è 50 volte più ricco dell' Italia, la nazionalizzazione di settori come energia,  farmaceutica, Sanità, e banche, è diventata imprescindibile”.

Analisi e indicazioni di proposte politiche su cui riflettere, con un dibattito serio e approfondito tra tutti noi DC e Popolari e con la più vasta area degli amici liberal democratici e riformisti italiani, se non vogliamo ridurre la politica al ruolo di ancella servente dei poteri finanziari dominanti.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 16 Febbraio 2022

 

 

 


Mario Draghi e il cantiere aperto del centro

 

Che Mario Draghi  un lavoro “possa trovarselo da solo” non abbiamo alcun dubbio, così come crediamo al suo diniego ad assumere il ruolo di federatore dei tanti centrini in cerca di riunificazione. Riteniamo anche che il suo ruolo di capo del governo debba rimanere sino al raggiungimento degli adempimenti previsti dall’UE per il PNRR. Ciò non toglie, tuttavia, che ci si debba impegnare per costruire il nuovo centro della politica italiana che, come ho scritto più volte, non può risultare dalla semplice sommatoria dei diversi addendi sul campo, ma dovrebbe rappresentare l’incontro delle principali culture politiche riformiste presenti in Italia. Nell'ambiente laico purtroppo, tranne qualche lodevole eccezione, sembra prevalere il deserto culturale. Dopo la caduta del Muro, si sono avuti molti atti di apostasia dalle dottrine social-democratiche e liberal-democratiche e si è notato l’abbracciare, con stolto entusiasmo, il neo-liberismo o finanz-capitalismo, pseudo-ideologia che non ha niente a che vedere col liberalismo di Benedetto Croce. Assai più attrezzata, almeno sul piano culturale, è l’area cattolico democratica e cristiano sociale, considerato che le ultime encicliche sociali della Chiesa Cattolica ( Centesimus Annus, Caritas in veritate, Evangelii gaudium, Laudato SI, Fratelli tutti) insieme all’appello di Papa Francesco in occasione della LV Giornata della pace, costituiscono le più avanzate risposte ai problemi connessi all’età della globalizzazione, in un momento nel quale quella che Papa Francesco ha dichiarato essere la terza guerra mondiale a tappe, sembra stia volgendo alle sue tragiche e drammatiche conseguenze.

Nel colpevole silenzio dell’ONU e il timido cinguettare dell’UE, privata di una politica estera e di una forza militare comune, i Paesi europei rischiano di fare la fine del vaso di coccio tra i due vasi di ferro. Anche in Italia c’è bisogno che, al di là del ruolo di sicura fedeltà atlantica ed europea assicurato da Draghi, e dell’impegno del giovane ministro degli esteri, ben lontano dalle competenze dell’antico maestro Andreotti, prendano finalmente voce le culture politiche e democratiche che sono state alla base del patto costituzionale.

L’obiettivo, dunque, è sicuramente quello di costruire un centro rinnovato che, come scrivo alla noia, dovrà essere ampio e articolato, di tipo laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, alternativo alla destra nazionalista e populista e distinto e distante da una sinistra tuttora alla ricerca della propria identità. Un centro nel quale ci si possa trovare uniti dalla volontà di difendere e attuare integralmente la Costituzione repubblicana, ed al quale, noi eredi della migliore tradizione cattolico democratica e cristiano sociale, dovremmo offrire il miglior contributo di idee e di classe dirigente.

Non è importante se Mario Draghi vorrà assumere la guida di un tale progetto in cantiere, per il quale, ripeto, non basterà la volontà dei rappresentanti ufficiali dei gruppi romani, mentre alla leadership di governo di Mario Draghi, compatibile con gli impegni derivanti dal Next Generation UE e all’attuazione del PNRR italiano, non mi sembra ci siano credibili candidature  alternative. Sarà, invece essenziale che, accanto alla ricerca di tale patto federativo da definirsi sul piano nazionale, si realizzi nelle realtà territoriali un processo di avvicinamento delle tre culture: popolare, liberale  e riformiste che hanno fatto grande l’Italia. A maggior ragione e con più forte determinazione non è più rinviabile il processo di riunificazione politica della vasta e articolata area cattolica, culturale e sociale, la quale, ancora una volta, come nelle migliori fasi della storia italiana, potrà/dovrà offrire il proprio indispensabile contributo, traducendo nelle istituzioni, e in collaborazione con le altre componenti politico culturali, molte delle indicazioni della dottrina sociale cristiana.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 14 Febbraio 2022

 

 

Pensare globalmente  e agire localmente

 

Considero molto positiva l’iniziativa assunta da Renato Grassi, segretario nazionale della DC, di invitare gli amici dei diversi partiti, movimenti, associazioni e gruppi dell’area cattolico democratica e cristiano sociale per la ricomposizione politica. Mi auguro che l’Istituto Sturzo, depositario della memoria storica dei Popolari e della DC, accetti di offrirci l’ospitalità, così come spero che, finalmente questa volta, tutti accolgano l’invito senza diserzione di alcuno.

Credo anche che un incontro dei vertici romani,  il quale nei lunghi anni della diaspora (1993-2022) non si è mai potuto realizzare, possa servire certamente come indicazione di una strada che, tuttavia, richiede un diretto e forte coinvolgimento delle realtà territoriali. Un progetto di tipo top down, che si limitasse a un incontro dei vertici con i tutti i limiti e i condizionamenti che sin qui hanno impedito di andare avanti, non sortirebbe esiti positivi se nelle diverse realtà territoriali non si promuovesse un processo di dialogo e ricomposizione tra le diverse espressioni culturali, sociali e politico organizzative della nostra vasta, complessa e articolata area di riferimento.

Era ed è tuttora questo anche il progetto della Federazione Popolare dei DC, guidata da Peppino Gargani, espressione di un patto sottoscritto da una cinquantina di associazioni, movimenti e gruppi, compresi alcuni dei  partiti di area DC, che, tuttavia, fatica a decollare; vuoi per la tiepidezza di alcuni, vuoi per il voltafaccia che in occasione delle ultime elezioni regionali calabresi ha fatto l’UDC di Cesa e De Poli, ma, soprattutto, per il mancato coinvolgimento delle realtà di base di cui quei sottoscrittori del patto federativo sono o dovrebbero essere espressione. Nei prossimi giorni sarà convocata una riunione on line dei soci della Federazione e da parte mia solleciterò Gargani e amici a sostenere l’iniziativa della DC per ritrovarci tuti insieme a discutere dei modi e dei tempi utili e necssari per la nostra ricomposizione politica, delle cui motivazioni si è scritto e si scrive da parte di molti e su diverse testate.

Questa volta, però, è indispensabile favorire iniziative di ricomposizione che sollecitate dall’alto, devono vedere impegnate tutte le realtà territoriali in sede locale. Privi di risorse finanziarie e di sedi fisiche di incontro, a Venezia ho pensato di avviare lo strumento di un gruppo facebook (https://www.facebook.com/groups/272778101596179/?ref=share),

quale sede virtuale; uno strumento per favorire la conoscenza e la partecipazione al dibattito culturale e politico dei cittadini e cittadine elettrici ed elettori, simpatizzanti e non della nostra area . In poche ore ho raccolto diverse adesioni mentre con il Comitato 10 Dicembre (https://www.facebook.com/search/top?q=comitato%2010%20dicembre) insieme a un gruppo di storici intendiamo approfondire la storia della DC, soprattutto attraverso la presentazione degli uomini del partito che hanno contribuito allo sviluppo dell’Italia, difendendo la libertà e i valori costituzionali e con essi, quella degli umili servitori della Repubblica, donne e uomini impegnati per oltre cinquant’anni negli enti locali della penisola. Di essi vorremmo fosse conosciuta la storia, dopo che una falsa vulgata anti DC li ha accomunati senza alcuna distinzione critica, nella damnatio memoriae seguita a “mani pulite”, di cui si dovrà presto ricostruire la verità dei fatti.

C’è nel Paese un desiderio di un centro nuovo della politica italiana e non saranno i tragicomici movimenti parlamentari dei diversi “nominati”, in larga parte transumanti partitici a rispondere alle esigenze di rinnovamento e di riconquista della credibilità della politica, se compiuti da molti di coloro che di questa sfiducia sono stati e/o sono apparsi (“ in politica vale ciò che appare”) come corresponsabili o diretti interpreti.

Solo dal dialogo e dal confronto politico dal basso, dalle realtà di base, con giovani e anziani impegnati a pensare globalmente e agire localmente, potrà emergere una nuova classe dirigente che sarà in grado di assumere con passione civile il testimone della nostra migliore tradizione politica.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 11 Febbraio 2022


    • Alcuni ricordi e un’interessante iniziativa

     

    Leggendo la nota di Lucio D’Ubaldo su Giovanni Di Capua ( www.ildomaniditalia.eu) , un amico caro con il quale abbiamo dialogato sia nella DC  che durante la lunga stagione della diaspora, mi ha incuriosito leggere l’articolo che Di Capua scrisse sul congresso nazionale della DC nel quale eleggemmo alla segreteria nazionale Benigno Zaccagnini in alternativa ad Arnaldo Forlani ( Luglio 1975).

    Ricordo che fummo Angelo Sanza ed io che in quel congresso, nel quale il segretario nazionale era eletto direttamente dai delegati congressuali, raccogliemmo le firme per la presentazione della candidatura del leader romagnolo. Ricordo con quanta passione svolgemmo quel compito, iniziato nella mattinata e concluso solo a notte avanzata ai seggi, ansiosi di conoscere il risultato delle votazioni. Alla fine tornammo ciascuno tra i propri amici di corrente che avevano sostenuto la candidatura di Zaccagnini, salutata col ripetuto grido di “ Zac, Zac, Zaccagnini”, che sarà il leit motif che risuonerà dopo poco tempo al primo festival dell’amicizia di Palmanova del Friuli ( Settembre 1977)  che con Zaccagnini permise il recupero elettorale del partito dopo che nel 1976 il PCI aveva tentato il sorpasso.

    Il mio rapporto con Zaccagnini si consolidò per i frequenti viaggi che da Bologna ebbi modo di fare con lui in aereo per Roma. Ero ammirato dalla sua gentilezza e apertura al dialogo, anche con una persona molto più giovane com’ero io e dalla conoscenza delle sue radici cristiano sociali esemplarmente testimoniate nella resistenza emiliano romagnola, come quella dell’amico Ermanno Gorrieri. Sapendo che venivo dal Polesine e conoscendo la mia appartenenza alla corrente di Forze Nuove, Zaccagnini era curioso di conoscere la realtà di una DC dominata dai dorotei e, in particolare, dal ruolo che a Rovigo e nel Veneto era svolto da Antonio Bisaglia.  Il mio rapporto con il leader polesano era assai contrastato e complesso, fondato su una reciproca stima e da un’amicizia profonda che si manifestò in uno dei momenti più difficili della vita di Bisaglia, dopo l’incidente d’auto che lo costrinse a una forzata assenza, almeno fisica, dal ministero delle partecipazioni statali che reggeva in quel frangente. Sul piano politico interno al partito, era netta la nostra alternatività che portava Bisaglia, sempre attivo e presente nella vita interna del partito, a giungere direttamente da Roma nella mia sezione di appartenenza per confrontarsi con me a sostegno dei suoi amici dorotei locali, la maggior parte dei quali iscritti contemporaneamente alla Coldiretti e alla DC. Se mi iscrissi alla DC, nel 1962 a soli diciasette anni, fu proprio per la sollecitazione dell’amico Toni al mio arciprete, dopo una sua conferenza tenutasi nel mia parrocchia, nella quale, da lettore assiduo di “Avvenire” del direttore La Valle e di Pratesi, lo contestai da sinistra suscitando nell’allora ancor giovane segretario provinciale un certo interesse. Seguì la sua proposta di candidarmi alla delegazione provinciale del MG della DC di Rovigo, una proposta che ritirò qualche tempo dopo, al mio rientro dal Congresso nazionale del partito del 1964 a Roma, dal quale ritornai colpito dal ruolo assunto della sinistra DC unita nella corrente di Forze Nuove con Carlo Donat Cattin, Marcora,  Galloni, Misasi, De Mita, Bodrato, Granelli..

    Bisaglia m’invitò nel suo studio alla direzione provinciale della Coldiretti di Rovigo e molto onestamente mi disse: hai fatto la tua scelta e adesso nel MG DC polesano ho pensato che la soluzione migliore sia quella di eleggere il tuo compaesano e amico, Ilario Bellinazzi.

    Questo era Bisaglia, un uomo politico di straordinaria capacità politica e organizzativa sempre fondata sulla lealtà nei rapporti interni e personali. Quante volte nei nostri non frequenti incontri mi ammoniva: ah se tu avessi scelto di rimanere con me ……Ricordo quella volta che  nella sua auto, che raramente guidava, eravamo nel 1983, mi informò che aveva scelto un giovane di Bologna cui aveva favorito, con il lavoro, la candidatura alle elezioni politiche. Era Pierferdinando Casini che, proprio nella squadra di Bisaglia e dei dorotei, iniziò la sua carriera parlamentare. Zaccagnini sul modello di Moro aveva una sorta di idiosincrasia nel rapporto con alcuni esponenti dorotei, anche se intatta era la sua fede nella Democrazia Cristiana, sempre considerata lo strumento per la difesa della giustizia e della libertà nella coerenza ai principi della dottrina sociale cristiana, di cui fu un esemplare testimone per tutta la sua vita. Dovremmo far conoscere di più gli uomini della DC che hanno concorso alla difesa e al consolidamento della democrazia, insieme allo sviluppo del nostro Paese. E’ proprio l’obiettivo che ci siamo posti con il Comitato 10 Dicembre, ossia di un gruppo di amici che con alcuni storici autorevoli intendono proporre documenti, testimonianze scritte e orali, raccolte da amici delle diverse realtà locali nelle quali vissero i nostri più importanti esponenti, insieme a quella miriade di saggi amministratori locali che seppero guidare le loro comunità, spesso dimenticati o, peggio, confusi nella damnatio memoriae della vulgata anti DC scatenata durante “mani pulite”. Serve comporre questo mosaico della nostra storia, non per un regressivo seppur nobile sentimento nostalgico, ma per far conoscere alle nuove generazioni quale sia stato il ruolo reale svolto dai cattolici democratici e cristiano sociali della Democrazia Cristiana nella politica e nella storia dell’Italia.

     

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 8 Febbraio 2022

     

    P.S.: per chi fosse interessato a seguire e partecipare alle attività del comitato 10 Dicembre può scrivere agli indirizzi di posta elettronica dei seguenti amici:

    ettore@bonalberti.com

    mariorossivr53@gmail.com

    pasruga58@gmail.com

    mariotassone43@gmail.com

     


  1. Consolidiamo la nostra casa

     

    Con alcuni amici DC, avevo tentato di avviare un progetto di federazione per il quale ho creduto nell’impegno generoso dell’amico Peppino Gargani, che non finirò mai di ringraziare, ma, l’ennesimo voltafaccia di Cesa, dominato all’interno dell’UDC da De Poli, e la freddezza di altri interlocutori, hanno ridotto all’impotenza quel tentativo che, pure, aveva visto l’adesione di quasi cinquanta tra associazioni, movimenti e gruppi della  nostra area politico culturale.

    Resto convinto della necessità di concorrere da DC e Popolari alla costruzione di un nuovo centro politico alternativo alla destra nazionalista e populista e distinto e distante dalla sinistra alla ricerca della propria identità. Il presidente Berlusconi, sempre attento a ciò che sta accadendo nel centro destra e forte della partecipazione con Forza Italia al PPE ( scelta che gli fu suggerita a suo tempo dagli amici Sandro Fontana e don Gianni Baget Bozzo), tenta di dar vita a una nuova formazione centrista nel segno del PPE. Un progetto che, temo, troverà ancora una volta tra i promotori, “ il miglior fico del bigoncio”, l’amico On Rotondi, che è tuttora un esponente parlamentare importante di Forza Italia e dopo l’illusione della nascita di un nuovo partito Verde Popolare,. L’idea berlusconiana è quella di richiamare sotto la sua protezione e guida mediatica i diversi gruppi e gruppetti parlamentari ( Renzi, Calenda, Toti, Brugnaro) per sottrarli al richiamo della foresta leghista e in alternativa alla destra nazionalista della Meloni.

    Che la Lega, a partire dagli amici leghisti veneti, aderisse al PPE è stato sempre uno degli obiettivi auspicati anche da noi DC e Popolari veneti, al fine di promuovere quella CSU veneta, sul modello bavarese, che era stata una delle ultime intuizioni della nostra DC regionale, prima della scomparsa improvvisa del sen Toni Bisaglia. Non mi pare ci siano ancora le condizioni per tale scelta per cui, a distanza di poco più di un anno dalle prossime elezioni politiche, governo Draghi sopravvivendo, il  nuovo centro di marca berlusconiana rischia di assumere le sembianze di un centro indistinto e dalle voci confuse, tenuto insieme più dal collante mediatico del gruppo Mediaset che da un’autentica comunanza di progetto e ispirazione ideale. Un tale centro potrà anche garantire qualche seggio parlamentare per i soliti noti, ma non è la prospettiva che personalmente e come partito dovremmo perseguire, almeno noi che dal 2011-2012, ci siamo impegnati con il rilancio della DC storica dopo la sentenza della Cassazione n.25999 ( La DC non è mai stata giuridicamente sciolta) del 23.12.2010. La prospettiva era e rimane quella di concorrere alla ricomposizione politica dell’area cattolica democratica e cristiano sociale in Italia. Un progetto che nasce dalla  convinzione che serva all’Italia un partito in grado di rappresentare la migliore tradizione democratico cristiana e popolare,  impegnato a inverare nella città dell’uomo i principi della dottrina sociale della Chiesa  e a difendere  e attuare integralmente la Costituzione.

    Ecco perché, ritengo sia necessario restare nella vecchia casa mai abbandonata, quella che, dal 2011-12, con Silvio Lega e altri pochi amici abbiamo contribuito  a ricostruire, impegnandomi con l’amico Renato Grassi nel partito, che è stato una parte essenziale della mia vita.  Serve innanzi tutto consolidare la nostra casa. La stessa scelta, quella di restare nella vecchia casa, che fece Carlo Donat Cattin nel 1971, nel momento in cui Livio Labor  lo invitava al passaggio dall’ACPOL al MCL.

    Il recente ufficio politico della DC ha dato mandato a Grassi di sollecitare un incontro presso l’Istituto Sturzo di tutti i partiti, associazioni, movimenti e gruppi che appartengono alla nostra area politico culturale, interessati/bili a procedere sulla via della ricomposizione. Nella prossima primavera celebreremo il XX Congresso nazionale della DC, cui saranno chiamati a partecipare gli iscritti delle varie realtà regionali e locali. Consolidati e rinnovati i quadri dirigenziali e raccolte dalla base le indicazioni prioritarie per il nostro programma, contribuiremo a elaborare la nostra proposta politica, che dovrà declinare realisticamente quella che ormai viene definita l’” Agenda Mattarella” . “Primum vivere”, avevo scritto nell’ultima nota, quindi aggregarci con quanti della nostra area culturale e socio-economica sono interessati a concorrere da DC e Popolari uniti e in conformità alla legge elettorale che sarà scelta dal parlamento per le politiche del 2023, alla nascita di un nuovo centro ampio, democratico e popolare, europeista, liberale e riformista, alternativo alla destra nazionalista e alla sinistra senza identità. Servirà grande generosità da parte di tutti e il concorso attivo delle diverse realtà sociali, culturali, economiche, finanziarie e politiche del grande fiume carsico del cattolicesimo sociale e politico italiano che credono in questo obiettivo. Contemporaneamente in tutte le sedi locali dove sia possibile, attiviamo dei centri civico popolari di partecipazione democratica dai quali emergerà la nuova classe dirigente che, con passione civile, assumerà il testimone della nostra migliore tradizione politica e ammnistrativa.

     

    Ettore Bonalberti

    Vice segretario nazionale DC

    Venezia, 7 Febbraio 2022

Primum vivere

 

Oggi si è svolto l’ufficio politico della DC al quale ho partecipato da remoto. Ottima la relazione introduttiva del segretario politico, Renato Grassi, il quale, confermata la collocazione del partito al centro, in alternativa alla destra e alla sinistra, ha sottolineato il permanere delle difficoltà nei confronti dell’UDC, dopo le tristi esperienze vissute dalle ultime elezioni europee  sino alle recenti elezioni regionali calabresi.

 

Grassi ha espresso interesse per quanto sta avvenendo al centro della politica italiana dopo le elezioni presidenziali per il Quirinale, dopo le quali, salutato con affettuosa amicizia la rielezione del presidente Mattarella, si sta verificando un processo di scomposizione e ricomposizione delle forze politiche interessante per la DC.  Sui problemi organizzativi interni del partito, permanendo la pandemia, è probabile che la data del nostro prossimo XX congresso nazionale possa/debba slittare. Decisione che sarà assunta dagli organi statutari, ma che, probabilmente, si terrà a primavera.

 

“Primum vivere”, ho iniziato così il mio intervento al dibattito apertosi dopo la relazione di Grassi, riconoscendo la necessità di confermare/rinnovare una struttura dirigenziale del partito, premessa indispensabile per un riconoscimento che nasca dalla realtà rappresentata dagli iscritti nei diversi contesti territoriali italiani. Ho espresso un vivo plauso, a quanto gli amici siciliani hanno compiuto e stanno svolgendo sotto la guida di Totò Cuffaro, Grassi e Alessi in Sicilia, insieme al riconoscimento delle difficoltà in regioni, come il Veneto, dove il richiamo della DC non ha sin qui sollecitato le stesse adesioni del 2018.  Ho, tuttavia, rilevato come il nostro ruolo, da soli e in assenza di presenze parlamentari, si riduca a quello di spettatori tra i quali, non a caso, mi sono assegnato il connotato di “osservatore non partecipante”. Concorreremo, dunque, alla celebrazione del nostro XX Congresso nazionale, favorendo la nascita di una rinnovata classe dirigente, nella convinzione, tuttavia, che da soli non si va da nessuna parte.

 

Preso atto che, se permanesse una legge elettorale di tipo maggioritario( rosatellum o consimile) il nostro potenziale residuo elettorato si  tripartirebbe tra coloro che voterebbero col blocco di destra, altri con quello di sinistra e, i rimanenti, forse i più numerosi, si asterrebbero, cogliamo favorevolmente quanto sta maturando dal PD alla stessa Lega a sostegno di una legge di tipo proporzionale. Una legge, meglio se di tipo alla tedesca, con sbarramento e sfiducia costruttiva e con la re-introduzione delle preferenze, per ricostruire una rappresentanza elettorale di eletti e non di nominati, disponibili, come nelle ultime legislature, al più deteriore trasformismo e alla indecente transumanza parlamentare ( oltre 200 cambi di casacca nell’ultima legislatura).

 

Ribadito che “ da soli non si va da nessuna parte”, ho proposto che il segretario della DC, mentre prepariamo le scadenze e procedure organizzative precongressuali, inviti presso l’Istituto Luigi Sturzo tutte le diverse realtà partitiche, associative dei movimenti e gruppi dell’area cattolico democratica e cristiano sociale, con l’obiettivo di concordare tempi e modi per il superamento della travagliata e suicida stagione della diaspora democratico cristiana (1993-2022).  In polemica con la lettura riduttiva dell’amico Follini sul ruolo della DC che, oggi, a suo parere, sarebbe inattuale nel nuovo contesto storico politico, ho evidenziato che, come la DC nacque in continuità con l’esperienza del Partito Popolare di Sturzo, il quale aveva tentato di tradurre nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali della Rerum Novarum al tempo della prima rivoluzione industriale e, De Gasperi, con le idee ricostruttive della DC (Luglio 1943)  e quanto espresso nel codice di Camaldoli (Luglio 1943), si fece interprete politicamente degli orientamenti della Quadragesimo Anno (1931)  nella fase difficilissima del dopoguerra, così compete oggi ai cattolici democratici e cristiano sociali il dovere di tradurre nelle istituzioni democratiche le indicazioni delle ultime encicliche sociali della Chiesa cattolica ( Centesimus Annus,  Caritas in veritate, Laudato SI, Fratelli tutti e il Messaggio di Papa Francesco per la LV giornata mondiale della pace); indicazioni che rappresentano quanto di più avanzato sia stato elaborato sulle conseguenze economiche, sociali e politiche della globalizzazione. Un’epoca nella quale, superate le regole del NOMA (Non Overlapping Magisteria), la finanza determina i fini e subordina ai propri interessi, nelle mani di pochi proprietari degli hedge funds internazionali, quelli dell’economia reale e della stessa politica ridotta a un ruolo servente.

 

Interesse è stato rappresentato da Grassi nella sua relazione per i fermenti che si  muovono al centro, rispetto ai quali, però, abbiamo tutti condiviso, serve rafforzare la componente della nostra area politico culturale, proponendo un programma all’altezza dei bisogni emergenti dai territori con particolare riferimento a quelli del terzo stato produttivo e delle classi popolari, che, scontato un forte deficit di rappresentanza politica, contribuiscono in larga misura all’astensionismo elettorale. Se la DC seppe compiere un autentico miracolo nella storia italiana, saldando gli interessi dei ceti medi con quelli delle classi popolari, così la nuova DC con la più ampia area democratica e popolare dovrà concorrere a rappresentare gli interessi del terzo stato produttivo e di quelli che Giorgio La Pira connotò come “ le attese della povera gente”.

 

Dottrina sociale della Chiesa, nel suo aggiornamento in questa età della globalizzazione e strenua difesa della Costituzione dei padri fondatori, da attuare integralmente, a partire dall’applicazione in tutti i partiti dell’art.49, sono questi i capisaldi attorno ai quali sviluppare il confronto con tutti gli amici della nostra vasta e articolata area politica e con coloro che sono espressione di altre culture come quelle liberal democratica e riformista, con le quali dar vita al nuovo centro della politica italiana. 

 

Ettore Bonalberti

V.segretario nazionale DC

Venezia, 3 Febbraio 2022

 

 


Il contributo dei DC e Popolari per il nuovo centro

 

Nell’elezione de presidente della Repubblica è emersa  nemmeno sotto traccia la funzione dei molti parlamentari di origine DC presenti nei diversi partiti rappresentati in Parlamento, così come più netto è stato il ruolo svolto da alcune componenti interessate a dar vita al nuovo centro della politica italiana: Renzi, Calenda, Toti, Brugnaro.

Nella mia recente nota di commento ( Io triumphe) avevo evidenziato questo fatto e sostenuto che potrebbe trattarsi di “ un centro al quale anche noi DC e Popolari dovremo guardare con interesse, dato che serve concorrere alla costruzione di un centro democratico popolare, liberale e riformista, ampio e plurale, alternativo alla destra nazionalista e populista, distinto e distante dalla sinistra ancora alla ricerca della sua identità”. Un interesse crescente, come testimoniato dalle molte lettere di consenso ricevute da parte di molti amici.

 

Se, come appare possibile, alla fine ci si orienterà per una legge elettorale, che ci auguriamo, sul modello tedesco, di tipo proporzionale con sbarramento, preferenze e con l’istituto della sfiducia costruttiva, è evidente che si impone, come non più rinviabile, il tema della ricomposizione politica dell’area culturale che fa rifermento al cattolicesimo democratico e cristiano sociale. Tutto ciò affinché nel processo di costruzione di un centro politico nuovo come quello in fieri, non manchi il contributo decisivo della nostra cultura politica.

So di non avere alcun titolo per promuovere niente, al di fuori di una personale testimonianza di amore smisurato per il partito, la DC, che ha rappresentato l’impegno di larga parte della mia vita (1962-1993). Un impegno continuato dopo la fine politica della DC e l’inizio delle divisioni suicide, come da me descritto nel saggio: DEMODISSEA- La democrazia cristiana nella lunga stagione della diaspora (1993-2020) (Ed.Il mio Libro).

Da “ osservatore non partecipante” mi permetto solo di suggerire a quanti sono interessati  un’iniziativa da assumere insieme, ossia di riunirci presso l’Istituto Luigi Sturzo a Roma con tutti i rappresentanti delle diverse realtà dei partiti, movimenti e associazioni che fanno riferimento alla nostra area sociale, culturale e politica. Sarà quella la sede per discutere dei modi utili e necessari per avviare il progetto, premessa indispensabile per partecipare insieme alle prossime elezioni politiche, tenendo presente quella che sarà la legge elettorale che governo e parlamento intenderanno adottare per il 2023.

Agli amici assai più autorevoli del sottoscritto, come il mio segretario nazionale DC, Renato Grassi, il presidente della Federazione Popolare DC, Gargani, gli amici: Tassone (NCDU), Infante e Tarolli ( Insieme); D’Ubaldo ( Rete Bianca), Mastella ( Noi di Centro), Rotondi (Verde Popolare), Tabacci ( Centro democratico), Mario Mauro ( Popolari per l’Italia),  il compito di prendere gli opportuni contatti con l’Istituto Sturzo e concordare la data e l’ora in cui convocarci. Un incontro preliminare tra loro sarebbe utile e opportuno, mentre in tutte le sedi territoriali regionali e provinciali, si potrebbero organizzare incontri tra gli amici delle diverse parti d’area per preparare i cahiers de doléance, ossia le necessità esistenti dei cittadini/e, utili per la redazione di un programma e per favorire l’emergere dal basso di una nuova classe dirigente .Con il Comitato 10 Dicembre sorto a Venezia (pagina facebook: Comitato 10 Dicembre), alla fine dell’anno scorso, con il compito di approfondire storicamente il ruolo svolto dagli uomini della DC che hanno contribuito alla difesa della democrazia e allo sviluppo dell’Italia, stiamo favorendo questo processo di conoscenza, formazione e di incontro e aggregazione, ricevendo in pochi giorni molte adesioni da varie parti dell’Italia. Siamo impegnati ad approfondire il messaggio di Papa Francesco con il suo Manifesto scritto per la LV Giornata mondiale della Pace, sintesi mirabile con la Laudato SI e Fratelli tutti, della dottrina sociale della Chiesa nell’età della globalizzazione. Proprio l’impegno a inverare nella città dell’uomo questi orientamenti pastorali è e sarà il compito di una nuova classe dirigente popolare pronta a concorrere con altre culture politiche, quali quelle liberali e riformiste, alla formazione del nuovo centro politico capace di offrire una nuova speranza all’Italia.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 31 Gennaio 2022

 

 


Io triumphe

 

Io triumphe, così si acclamava  a Roma l’elezione dell’imperatore e così scriveva Gianni Brera nel 1982, dopo la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio. Uso anch’io quest’acclamazione con la riconferma del due Mattarella-Draghi, innanzi tutto perché comporta garanzia di stabilità politica e istituzionale  di cui il Paese ha bisogno, e anche perché, modestamente, era ciò che avevo indicato il 18 Gennaio scorso con la mia nota: prevalga il buon senso.

Il buon senso ha prevalso e pure c’è stato l’appello al Presidente Mattarella di Mario Draghi a nome della maggioranza di governo; appello confermato dalla visita processionale dei gruppi parlamentari al Quirinale nel primo pomeriggio di oggi. I tentativi di Salvini di imporre un presidente di centro destra sono falliti, così come quelli operati sino all’ultimo dalla Meloni di rompere l’unità della maggioranza di governo. Il centro destra ha vissuto  la difficoltà del gruppo di Forza Italia privata della presenza del suo leader, insieme alla serie di errori tattici di Salvini,stretto nella morsa tra restare dentro la maggioranza di governo e conservare l’unità del centro destra, sempre più egemonizzato dalla Meloni e Fratelli d’Italia.

Il centro destra esce distrutto da questa vicenda, con la Meloni che si riconferma nel suo ruolo di unica opposizione parlamentare, mentre si sta costruendo una proposta di nuovo centro politico (Toti, Calenda, Renzi, Brugnaro) facilitato dalla saggia decisione di Pierferdinando Casini di ritirare la sua candidatura, nel momento in cui la maggioranza di governo, comprensiva del suo partito, il PD, ha deciso di fare appello alla disponibilità di Mattarella per il reincarico. Un centro al quale anche noi DC e Popolari dovremo guardare con interesse, dato che serve concorrere alla costruzione di un centro democratico popolare, liberale e riformista, ampio e plurale, alternativo alla destra nazionalista e populista, distinto e distante dalla sinistra ancora alla ricerca della sua identità

Forti tensioni anche nel M5S dove Conte dovrà tenere presenti le dissonanze del giovane rampante Di Maio che, in una fase delicata come quella di ieri, all’annuncio di una possibile candidatura della Belloni, con un comunicato improvvido è riuscito a smarcarsi insieme da Conte e dallo stesso capo spirituale Beppe Grillo. Insomma un’elezione che rappresenta un momento di svolta rilevante della politica italiana per la quale non si può applicare la formula gattopardesca del: cambiare tutto perché tutto resti come prima, dato che nelle prossime settimane assisteremo a processi seri e, in taluni casi dolorosi, di scomposizione e ricomposizione nelle e tra le forze politiche.

Resta confermata la maggioranza di governo che potrà/dovrà impegnarsi a risolvere le grandi questioni aperte: pandemia, energia, inflazione, disoccupazione, debito pubblico con tutti gli adempimenti connessi al PNRR, sino alla scadenza naturale della Legislatura. Ancora una volta, alla fine, nonostante lo spettacolo di questa settimana, amplificato da una copertura mediatica (radio,TV e social media) senza precedenti, il buon senso è riuscito a prevalere, anche se sarà molto difficile restare fedeli al mandato costituzionale dell’elezione indiretta del presidente della Repubblica. Anche a chi come molti di noi sono fedeli, senza se e senza ma, alla Repubblica parlamentare, un serio approfondimento su questa delicata materia si imporrà. Avendo ereditato dai nostri padri “ la più bella Costituzione del mondo”, qualora si mettesse mano a uno stravolgimento istituzionale clamoroso come quello del passaggio a una Repubblica di tipo presidenziale, è evidente che l’intero assetto repubblicano andrebbe rivisto. Un cambiamento per il quale solo un’assemblea costituente eletta ad hoc potrebbe por mano. Prima di un tale rivolgimento, però, serviranno ben altri partiti da organizzarsi e consolidarsi su basi autenticamente democratiche secondo i dettami dell’art. 49 della Costituzione.

 

Ettore Bonalberti

29 Gennaio 2022


Il Manifesto di Papa Francesco: dialogo fra le generazioni, educazione e lavoro, presentato il 1 Gennaio scorso, andrebbe meditato da quanti, come noi DC e Popolari, intendono ricomporre la nostra area politico culturale. Esso è un programma aggiornato della dottrina sociale cristiana da tradurre nella “città dell’uomo”.

Ettore Bonalberti

Venezia, 21 Gennaio 2022



Ecco il testo integrale:


MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ
PAPA FRANCESCO

PER LA LV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

1° GENNAIO 2022

Dialogo fra generazioni, educazione e lavoro:
strumenti per edificare una pace duratura

 

1. «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace» (Is 52,7).

Le parole del profeta Isaia esprimono la consolazione, il sospiro di sollievo di un popolo esiliato, sfinito dalle violenze e dai soprusi, esposto all’indegnità e alla morte. Su di esso il profeta Baruc si interrogava: «Perché ti trovi in terra nemica e sei diventato vecchio in terra straniera? Perché ti sei contaminato con i morti e sei nel numero di quelli che scendono negli inferi?» (3,10-11). Per questa gente, l’avvento del messaggero di pace significava la speranza di una rinascita dalle macerie della storia, l’inizio di un futuro luminoso.

Ancora oggi, il cammino della pace, che San Paolo VI ha chiamato col nuovo nome di sviluppo integrale, [1] rimane purtroppo lontano dalla vita reale di tanti uomini e donne e, dunque, della famiglia umana, che è ormai del tutto interconnessa. Nonostante i molteplici sforzi mirati al dialogo costruttivo tra le nazioni, si amplifica l’assordante rumore di guerre e conflitti, mentre avanzano malattie di proporzioni pandemiche, peggiorano gli effetti del cambiamento climatico e del degrado ambientale, si aggrava il dramma della fame e della sete e continua a dominare un modello economico basato sull’individualismo più che sulla condivisione solidale. Come ai tempi degli antichi profeti, anche oggi il grido dei poveri e della terra [2] non cessa di levarsi per implorare giustizia e pace.

In ogni epoca, la pace è insieme dono dall’alto e frutto di un impegno condiviso. C’è, infatti, una “architettura” della pace, dove intervengono le diverse istituzioni della società, e c’è un “artigianato” della pace che coinvolge ognuno di noi in prima persona. [3] Tutti possono collaborare a edificare un mondo più pacifico: a partire dal proprio cuore e dalle relazioni in famiglia, nella società e con l’ambiente, fino ai rapporti fra i popoli e fra gli Stati.

Vorrei qui proporre tre vie per la costruzione di una pace duratura. Anzitutto, il dialogo tra le generazioni, quale base per la realizzazione di progetti condivisi. In secondo luogo, l’educazione, come fattore di libertà, responsabilità e sviluppo. Infine, il lavoro per una piena realizzazione della dignità umana. Si tratta di tre elementi imprescindibili per «dare vita ad un patto sociale», [4] senza il quale ogni progetto di pace si rivela inconsistente.

2. Dialogare fra generazioni per edificare la pace

In un mondo ancora stretto dalla morsa della pandemia, che troppi problemi ha causato, «alcuni provano a fuggire dalla realtà rifugiandosi in mondi privati e altri la affrontano con violenza distruttiva, ma tra l’indifferenza egoista e la protesta violenta c’è un’opzione sempre possibile: il dialogo. Il dialogo tra le generazioni». [5]

Ogni dialogo sincero, pur non privo di una giusta e positiva dialettica, esige sempre una fiducia di base tra gli interlocutori. Di questa fiducia reciproca dobbiamo tornare a riappropriarci! L’attuale crisi sanitaria ha amplificato per tutti il senso della solitudine e il ripiegarsi su sé stessi. Alle solitudini degli anziani si accompagna nei giovani il senso di impotenza e la mancanza di un’idea condivisa di futuro. Tale crisi è certamente dolorosa. In essa, però, può esprimersi anche il meglio delle persone. Infatti, proprio durante la pandemia abbiamo riscontrato, in ogni parte del mondo, testimonianze generose di compassione, di condivisione, di solidarietà.

Dialogare significa ascoltarsi, confrontarsi, accordarsi e camminare insieme. Favorire tutto questo tra le generazioni vuol dire dissodare il terreno duro e sterile del conflitto e dello scarto per coltivarvi i semi di una pace duratura e condivisa.

Mentre lo sviluppo tecnologico ed economico ha spesso diviso le generazioni, le crisi contemporanee rivelano l’urgenza della loro alleanza. Da un lato, i giovani hanno bisogno dell’esperienza esistenziale, sapienziale e spirituale degli anziani; dall’altro, gli anziani necessitano del sostegno, dell’affetto, della creatività e del dinamismo dei giovani.

Le grandi sfide sociali e i processi di pacificazione non possono fare a meno del dialogo tra i custodi della memoria – gli anziani – e quelli che portano avanti la storia – i giovani –; e neanche della disponibilità di ognuno a fare spazio all’altro, a non pretendere di occupare tutta la scena perseguendo i propri interessi immediati come se non ci fossero passato e futuro. La crisi globale che stiamo vivendo ci indica nell’incontro e nel dialogo fra le generazioni la forza motrice di una politica sana, che non si accontenta di amministrare l’esistente «con rattoppi o soluzioni veloci», [6] ma che si offre come forma eminente di amore per l’altro, [7] nella ricerca di progetti condivisi e sostenibili.

Se, nelle difficoltà, sapremo praticare questo dialogo intergenerazionale «potremo essere ben radicati nel presente e, da questa posizione, frequentare il passato e il futuro: frequentare il passato, per imparare dalla storia e per guarire le ferite che a volte ci condizionano; frequentare il futuro, per alimentare l’entusiasmo, far germogliare i sogni, suscitare profezie, far fiorire le speranze. In questo modo, uniti, potremo imparare gli uni dagli altri». [8] Senza le radici, come potrebbero gli alberi crescere e produrre frutti?

Basti pensare al tema della cura della nostra casa comune. L’ambiente stesso, infatti, «è un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva». [9] Vanno perciò apprezzati e incoraggiati i tanti giovani che si stanno impegnando per un mondo più giusto e attento a salvaguardare il creato, affidato alla nostra custodia. Lo fanno con inquietudine e con entusiasmo, soprattutto con senso di responsabilità di fronte all’urgente cambio di rotta, [10] che ci impongono le difficoltà emerse dall’odierna crisi etica e socio-ambientale [11] .

D’altronde, l’opportunità di costruire assieme percorsi di pace non può prescindere dall’educazione e dal lavoro, luoghi e contesti privilegiati del dialogo intergenerazionale. È l’educazione a fornire la grammatica del dialogo tra le generazioni ed è nell’esperienza del lavoro che uomini e donne di generazioni diverse si ritrovano a collaborare, scambiando conoscenze, esperienze e competenze in vista del bene comune.

3. L’istruzione e l’educazione come motori della pace

Negli ultimi anni è sensibilmente diminuito, a livello mondiale, il bilancio per l’istruzione e l’educazione, considerate spese piuttosto che investimenti. Eppure, esse costituiscono i vettori primari di uno sviluppo umano integrale: rendono la persona più libera e responsabile e sono indispensabili per la difesa e la promozione della pace. In altri termini, istruzione ed educazione sono le fondamenta di una società coesa, civile, in grado di generare speranza, ricchezza e progresso.

Le spese militari, invece, sono aumentate, superando il livello registrato al termine della “guerra fredda”, e sembrano destinate a crescere in modo esorbitante. [12]

È dunque opportuno e urgente che quanti hanno responsabilità di governo elaborino politiche economiche che prevedano un’inversione del rapporto tra gli investimenti pubblici nell’educazione e i fondi destinati agli armamenti. D’altronde, il perseguimento di un reale processo di disarmo internazionale non può che arrecare grandi benefici allo sviluppo di popoli e nazioni, liberando risorse finanziarie da impiegare in maniera più appropriata per la salute, la scuola, le infrastrutture, la cura del territorio e così via.

Auspico che all’investimento sull’educazione si accompagni un più consistente impegno per promuovere la cultura della cura. [13] Essa, di fronte alle fratture della società e all’inerzia delle istituzioni, può diventare il linguaggio comune che abbatte le barriere e costruisce ponti. «Un Paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali: la cultura popolare, la cultura universitaria, la cultura giovanile, la cultura artistica e la cultura tecnologica, la cultura economica e la cultura della famiglia, e la cultura dei media». [14] È dunque necessario forgiare un nuovo paradigma culturale, attraverso «un patto educativo globale per e con le giovani generazioni, che impegni le famiglie, le comunità, le scuole e le università, le istituzioni, le religioni, i governanti, l’umanità intera, nel formare persone mature». [15] Un patto che promuova l’educazione all’ecologia integrale, secondo un modello culturale di pace, di sviluppo e di sostenibilità, incentrato sulla fraternità e sull’alleanza tra l’essere umano e l’ambiente. [16]

Investire sull’istruzione e sull’educazione delle giovani generazioni è la strada maestra che le conduce, attraverso una specifica preparazione, a occupare con profitto un giusto posto nel mondo del lavoro. [17]

4. Promuovere e assicurare il lavoro costruisce la pace

Il lavoro è un fattore indispensabile per costruire e preservare la pace. Esso è espressione di sé e dei propri doni, ma anche impegno, fatica, collaborazione con altri, perché si lavora sempre con o per qualcuno. In questa prospettiva marcatamente sociale, il lavoro è il luogo dove impariamo a dare il nostro contributo per un mondo più vivibile e bello.

La pandemia da Covid-19 ha aggravato la situazione del mondo del lavoro, che stava già affrontando molteplici sfide. Milioni di attività economiche e produttive sono fallite; i lavoratori precari sono sempre più vulnerabili; molti di coloro che svolgono servizi essenziali sono ancor più nascosti alla coscienza pubblica e politica; l’istruzione a distanza ha in molti casi generato una regressione nell’apprendimento e nei percorsi scolastici. Inoltre, i giovani che si affacciano al mercato professionale e gli adulti caduti nella disoccupazione affrontano oggi prospettive drammatiche.

In particolare, l’impatto della crisi sull’economia informale, che spesso coinvolge i lavoratori migranti, è stato devastante. Molti di loro non sono riconosciuti dalle leggi nazionali, come se non esistessero; vivono in condizioni molto precarie per sé e per le loro famiglie, esposti a varie forme di schiavitù e privi di un sistema di welfare che li protegga. A ciò si aggiunga che attualmente solo un terzo della popolazione mondiale in età lavorativa gode di un sistema di protezione sociale, o può usufruirne solo in forme limitate. In molti Paesi crescono la violenza e la criminalità organizzata, soffocando la libertà e la dignità delle persone, avvelenando l’economia e impedendo che si sviluppi il bene comune. La risposta a questa situazione non può che passare attraverso un ampliamento delle opportunità di lavoro dignitoso.

Il lavoro infatti è la base su cui costruire la giustizia e la solidarietà in ogni comunità. Per questo, «non si deve cercare di sostituire sempre più il lavoro umano con il progresso tecnologico: così facendo l’umanità danneggerebbe sé stessa. Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale». [18] Dobbiamo unire le idee e gli sforzi per creare le condizioni e inventare soluzioni, affinché ogni essere umano in età lavorativa abbia la possibilità, con il proprio lavoro, di contribuire alla vita della famiglia e della società.

È più che mai urgente promuovere in tutto il mondo condizioni lavorative decenti e dignitose, orientate al bene comune e alla salvaguardia del creato. Occorre assicurare e sostenere la libertà delle iniziative imprenditoriali e, nello stesso tempo, far crescere una rinnovata responsabilità sociale, perché il profitto non sia l’unico criterio-guida.

In questa prospettiva vanno stimolate, accolte e sostenute le iniziative che, a tutti i livelli, sollecitano le imprese al rispetto dei diritti umani fondamentali di lavoratrici e lavoratori, sensibilizzando in tal senso non solo le istituzioni, ma anche i consumatori, la società civile e le realtà imprenditoriali. Queste ultime, quanto più sono consapevoli del loro ruolo sociale, tanto più diventano luoghi in cui si esercita la dignità umana, partecipando così a loro volta alla costruzione della pace. Su questo aspetto la politica è chiamata a svolgere un ruolo attivo, promuovendo un giusto equilibrio tra libertà economica e giustizia sociale. E tutti coloro che operano in questo campo, a partire dai lavoratori e dagli imprenditori cattolici, possono trovare sicuri orientamenti nella dottrina sociale della Chiesa.

Cari fratelli e sorelle! Mentre cerchiamo di unire gli sforzi per uscire dalla pandemia, vorrei rinnovare il mio ringraziamento a quanti si sono impegnati e continuano a dedicarsi con generosità e responsabilità per garantire l’istruzione, la sicurezza e la tutela dei diritti, per fornire le cure mediche, per agevolare l’incontro tra familiari e ammalati, per garantire sostegno economico alle persone indigenti o che hanno perso il lavoro. E assicuro il mio ricordo nella preghiera per tutte le vittime e le loro famiglie.

Ai governanti e a quanti hanno responsabilità politiche e sociali, ai pastori e agli animatori delle comunità ecclesiali, come pure a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, faccio appello affinché insieme camminiamo su queste tre strade: il dialogo tra le generazioni, l’educazione e il lavoro. Con coraggio e creatività. E che siano sempre più numerosi coloro che, senza far rumore, con umiltà e tenacia, si fanno giorno per giorno artigiani di pace. E che sempre li preceda e li accompagni la benedizione del Dio della pace!

Dal Vaticano, 8 dicembre 2021


Francesco

________________________________

 

[1] Cfr Lett. enc. Populorum progressio (26 marzo 1967), 76ss.

[2] Cfr Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 49 .

[3] Cfr Lett. enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 231.

[4] Ibid., 218.

[5] Ibid., 199.

[6] Ibid., 179.

[7] Cfr ibid., 180.

[8] Esort. ap. postsin. Christus vivit (25 marzo 2019), 199.

[9] Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 159.

[10] Cfr ibid., 163; 202.

[11] Cfr ibid., 139.

[12] Cfr Messaggio ai partecipanti al 4° Forum di Parigi sulla pace, 11-13 novembre 2021.

[13] Cfr Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 231; Messaggio per la LIV Giornata Mondiale della Pace. La cultura della cura come percorso di pace (8 dicembre 2020).

[14] Lett. enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 199.

[15] Videomessaggio per il Global Compact on Education. Together to Look Beyond (15 ottobre 2020).

[16] Cfr Videomessaggio per l’High Level Virtual Climate Ambition Summit (13 dicembre 2020).

[17] Cfr S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens (14 settembre 1981), 18.

[18] Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 128.



 

Prevalga il buon senso

 

La situazione è alquanto agitata e confusa, tra il centro destra in progressiva fibrillazione, dopo che il tentativo del Cavaliere sembra ormai considerato da Salvini superabile/to e la sinistra  che rimane ferma in un surplace impotente. Ho salutato con grande soddisfazione l’indicazione di alcuni ex parlamentari grillini della candidatura del prof Paolo Maddalena, costituzionalista a tutto tondo e uno dei più strenui difensori della Carta fondamentale della Repubblica. Sembra, però, che stiano prevalendo gli interessi e le motivazioni “particulari” di singoli, movimenti  e gruppi parlamentari non più sostenuti da quei legami forti che erano alla base dei partiti della prima repubblica, e forte è il rischio di una saga dei franchi tiratori preoccupati solo del loro stipendio e dell’agognato vitalizio.

 

La fragile situazione economico sociale di un Paese sfibrato da una crisi pandemica ben lungi dal potersi considerare finita, suggerirebbe di tener in debita considerazione il motto: quieta non movere et mota quietare, non agitare ciò che è calmo, ma calma piuttosto ciò che è agitato. Recitava così il broccardo latino espressione di un’antica sperimentata saggezza. La saggezza che dovrebbe assistere gli elettori del prossimo Presidente della Repubblica.

 

Il binomio Mattarella presidente della Repubblica, Draghi capo del governo, ha assicurato sin qui all’Italia stabilità politica e un’affidabilità internazionale senza pari, l’unica che può garantire la prosecuzione della legislatura sino al suo termine naturale. E’ noto il reiterato NO del presidente Mattarella a una sua rielezione; un NO motivato dal ricordo di Segni e della sua proposta di “ non rieleggibilità del Presidente della Repubblica”. Come ha sostenuto, tuttavia, con grande rispetto Paolo Cirino Pomicino al TG2,  a riguardo della candidatura del Cavaliere, ma come regola generale: “al Quirinale non ci si candida, ma si viene scelti”. E, allora, perché non attenersi alla saggezza del broccardo latino?

 

Anche le reiterate e motivate indisponibilità espresse da Mattarella, se avvenisse un voto a larghissima maggioranza del Parlamento integrato dai rappresentanti regionali, sono convinto che possano essere superate. Sarebbe la soluzione più semplice e adeguata alla complessità della situazione politica, economica, sociale e istituzionale dell’Italia. La stessa rielezione del Presidente Napolitano costituisce un precedente da considerare. Quando è in atto una situazione di crisi tra e nelle forze politiche che accompagna e amplifica quella stessa della rappresentanza, servono soluzioni che permettano di garantire una tregua per favorire una ricomposizione e il graduale ritorno  a un nuovo equilibrio da realizzare con il voto previsto alla scadenza naturale della legislatura. Ogni altra soluzione, al di là dei tatticismi e promesse vane collegate/bili al voto dei 1009 che inizia il prossimo Lunedì, è certo che provocherebbe l’immediata crisi di governo e le elezioni anticipate con una legge maggioritaria foriera della conservazione di un bipolarismo forzato, incapace di garantire la governabilità di cui l’Italia ha assoluta necessità in questa fase delicatissima della sua storia politico istituzionale. Il bis di Mattarella e la continuazione del governo delle larghe intese, con i possibili aggiustamenti, è ciò che serve. E’ la soluzione più semplice che richiede  un suggeritore autorevole come il capo del governo. Rompere questo equilibrio porterebbe soltanto alla confusione e al triste spettacolo dei nominati parlamentari, molti dei quali transumanti seriali. Auguriamoci che prevalga il buon senso e che Mario Draghi sappia lanciare il suo autorevole appello.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 18 Gennaio 2022

Ripartire dalla base per una Federazione popolare, riformista e liberale

 

Nella crisi di sistema dell’Italia e con la scomparsa delle culture politiche che furono alla base del patto costituzionale, l’assenza di un centro capace di rappresentare gli interessi e i valori del terzo stato produttivo e delle classi popolari, alimenta la renitenza al voto. Un’astensione elettorale  aggravata dalla presenza di una classe dirigente sempre più lontana dalle attese dei cittadini. In questo quadro, tuttavia, permangono intatti gli ideali del popolarismo sturziano e degasperiano, così come s’impongono gli orientamenti indicati dalle ultime encicliche dei Papi: San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco, le quali attualizzano la dottrina sociale della Chiesa Cattolica nell’età della globalizzazione.

Perché allora, dopo quasi un trentennio dalla fine della DC, continua la maledizione della diaspora post democristiana, nonostante il vitalismo diffuso di movimenti, gruppi, associazioni e partiti che si rifanno a quella tradizione politica? Credo che molta parte di ciò sia collegata alla scarsa attendibilità di molti degli attori protagonisti che, con diversa legittimità e fortuna, hanno tentato la ricomposizione politica e culturale di quest’area. Esauriti tutti i tentativi sin qui compiuti per la ricomposizione politica della nostra area, stanco e sfiduciato ho scelto di collocarmi tra gli “ osservatori non partecipanti”, convinto che in questo fallimento abbia influito anche la scarsa e, in taluni casi, nulla credibilità di molti degli attori protagonisti in campo, quasi tutti interpreti di diversi ruoli e responsabilità nella difficile fase di transizione tra la fine della DC e l’avvio delle nuove e differenti personali avventure politiche spesso risultate di mera sopravvivenza. Ecco perché è necessario prendere atto che non spetta più a questi attori, vecchi e logorati nella loro affidabilità, svolgere ruoli di guida, i quali potranno/dovranno essere assunti, invece, da una nuova generazione. Un’autocritica questa che, ovviamente, ci coinvolge tutti noi che apparteniamo alla quarta e ultima generazione della DC storica. Non si può più operare dall’alto in basso ( top down), come ancora sta avvenendo in questi giorni con l’assegnazione di incarichi dal centro ad alcuni amici di realtà locali, una sorta di “missi dominici” del dominus romano, ma serve ripartire dal basso, con un procedimento bottom up, ricomponendo a livello territoriale l’unità possibile di quanti si riconoscono nei valori sturziani cattolico democratici e cristiano sociali, facendo emergere dal confronto democratico di base la nuova classe dirigente. Non uno, ma due passi indietro, dunque, specie da parte di coloro che hanno, sin qui, lucrato personali posizioni di rendita dal riferimento alla DC e/o dall’utilizzo strumentale del suo storico simbolo, lasciando campo aperto ai giovani in grado di interpretare gli orientamenti della dottrina sociale cristiana nei tempi nuovi della globalizzazione. L’unità possibile dell’area cattolico democratica e cristiano sociale in sede locale è, o dovrebbe essere, la premessa per una più ampia collaborazione con le altre culture democratiche liberali e riformiste che, insieme alla nostra, sono state a fondamento del patto costituzionale e hanno fatto grande l’Italia. Ciò comporta:

-       disponibilità dei  grandi vecchi della politica democristiana di mettersi a disposizione dei giovani;

-       individuare i giovani meritevoli che possono rappresentare democraticamente tutte le anime e voci esistenti;

-       eliminare ogni riferimento a diaspore e simboli che possono essere barriere d’entrata;

-       rinsaldare i principi cristiani in una visione laica moderna;

-       presentarsi compatti, uniti, forti e decisi al pubblico, subito in questi giorni, proponendo in primis un Mattarella bis secondo le condizioni anche temporali del capo dello Stato in carica e sostenere fino in fondo in modo unanime questa candidatura di continuità per far finire il lavoro a Draghi poi si vedrà.

 

 

Uniti sì, ma per quali obiettivi?

 

Quanto al merito: i contenuti di un possibile programma politico vanno assolutamente saldati intorno ad un polo europeista, liberale, non estremista, dialogante, che sia di ispirazione degasperiana ed einaudiana, di  valori cristiani e laici e che accolga e riconosca le diversità, che premi la meritocrazia, valorizzi i  giovani con uno scambio reciproco con chi ha costruito il paese,  dia slancio e spazio (vero e non per quote) alle donne, spinga il Paese alla valorizzazione delle imprese, lo renda meno schiavo di una presenza statale "asfissiante e soffocante", che ci salvi da un debito pubblico insostenibile, che abbia capacità di programmazione per i futuri 30 anni,  che possa e sappia dare un Sogno e un Futuro alle nuove generazioni, che  sappia garantire il lavoro e salvare la pensione ai giovani, e un riconfermato ruolo alla democrazia repubblicana oggi subordinata agli interessi dei poteri finanziari dominanti.

 

Si dovrà aprire un dibattito su un progetto di programma politico per una federazione di centro aperto popolare, riformista e liberale, sintetizzabile nell’allegato decalogo:

 

1.     Conferma della costituzione repubblicana, no a deformazioni, si a un armonico e organico aggiornamento ai tempi dopo 70 anni di democrazia compiuta eliminando certi doppioni e chiudendo alcuni capitoli e titoli ancora incompiuti che creano problemi allo Stato, al rapporto Sato-Regioni e alle funzioni-spese delle  Regioni  rispondendo alla opzione di una autonomia a gradi e solo su alcuni temi;

2.     Lo Stato deve costare meno in soldi in tempi morti e il dipendente pubblico deve essere un esempio per il dipendente privato, essere pagato in base al lavoro fatto, meno dirigenze e più responsabilità, più semplificazione, più velocità di accesso alle pratiche, riduzione dei passaggi da un tavolo all’altro, controlli a valle dei processi burocratici; più attenzione al cittadino-elettore, tasse e imposte proporzionali al reddito, proporzionalità crescente e decrescente; una Camera legislativa e un Senato di controllo generale e di partecipazione delle regioni; un numero minore di Regioni; aggregazione province volontariamente; aggregazione obbligata dei comuni confinanti con meno di 3000 abitanti e massimo 4 fusioni;

3.     Uguaglianza di tutti i parametri e contratti per tutti i lavoratori, attenzione diversa fra imprese piccole e imprese grandi, partecipazione sindacale federale più unitaria possibile,  sindacati moderni e misurati al reddito dei lavoratori, non lasciare indietro nessuno dal migrante al gender, ma con regole uguali per tutti, diritti e doveri sullo stesso piano, in primis e soprattutto per i politici; 

4.     Lavoro (reddito minimo sociale a fronte sempre di un servizio reso), scuole (+ formazione educazione inclusione), sanità (+assistenza per tipo di malato e non per reparto/malattia/ primariati)  sono gli unici campi-ministeri dove è possibile fare debito pubblico e deficit statale e regionale, in una linea precisa di ampia occupazione-servizi-qualità di assistenza, reddito equo in base a responsabilità e controlli a tutti i livelli

5.     La famiglia è la prima figura sociale di riferimento crescita educazione formazione, ma anche moderna, dinamica, presente, aggregata e come punto per diverse iniziative legislative

6.     Europa sempre, ma meno burocrazia, costi fissi, arrivismo statalista, finanza, monetarista, più egualitaria, partecipante a problemi comuni, per una difesa unica comune, per un’azione comune all’estero su certi temi, modello fiscale e aliquote unico in base a produttività e redditività, condivisione dei surplus finanziari ; 

7.     Individuazione degli asset-paese (turismo, alimentazione, portualità, acciaio, medicali....) anche privati inalienabili, che siano reddituali o almeno in grado di essere autosufficienti economicamente,  da difendere sempre con interventi pubblici ad hoc, mettere in atto tutte le norme già esistenti in materia

8.     Economia sociale civile sussidiaria ecologica ambientale, deve essere prioritaria in ogni esercizio e campo al posto di quella solo monetaria e solo finanziaria, ritorno alla economia reale in certi campi, controllo e tassazione delle mega rendite anche finanziarie e della gestione patrimoni e assicurazioni da ristornare al cittadino, regole e tasse eque ai colossi del web, energia, finanza, farmaceutica;

9.     Grande progetto integrato da più funzioni per i 2/3 del territorio italiano montano/collinare più vulnerabile, svantaggiato, difficile, abbandonato che può crollare a valle, ma anche premiato e autentico patrimonio culturale paesaggistico nazionale che ha in sé già milioni di posti di lavoro e fare in modo che ritornino gli occupati a fare impresa e servizi, dalle scuole ai pronto soccorso, dalle regimazioni idrauliche all’antropologia di servizio

10. Una giustizia nuova, veloce, vera, equa, separazione delle carriere, un autogoverno sui temi costituzionali e non su altro, carriere certificate con parametri pubblici, nuovo processo penale, carceri più vivibili,più sanzioni amministrative e servizi sociali, certezza della sentenza per i reati gravi.

 

Mi auguro che sia possibile individuare, come ha ben scritto il prof Sandro Campanini, una sede permanente di dialogo e confronto in cui tale dibattito si possa svolgere. Al di fuori dei diversi cantieri aperti, spesso in conflitto tra di loro,  non potrebbe assumere l’iniziativa l’Istituto Sturzo?

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 9 Gennaio 2022

 

 


Solo se saremo uniti saremo forti

 

E’ numerosa la schiera degli amici alla ricerca del centro perduto, considerato da tutti il luogo della politica privilegiato per rappresentare gli interessi e i valori del terzo stato produttivo  e dei ceti popolari. Nel mio archivio elettronico, nel merito, ho raccolto oltre 180 testimonianze, tra le quali le più numerose sono quelle della nostra area politico culturale cattolico democratica e cristiano sociale. Ciascuna è meritevole di interesse e di attenzione anche se, non conoscendo quale sarà, alla fine, la legge elettorale che sarà adottata, è evidente che ognuna di esse, da sola, non sia in grado di garantire alcuna traduzione degli obiettivi prefissati sul piano politico istituzionale. Interesse e attenzione, ovviamente, in primis per la mia DC, per la rinascita politica della quale mi sono battuto sin dal 2011, ma, che, rispetto a essa, ora vivo una condizione di “osservatore non partecipante”, considerato che, dopo dieci anni di impegno costante, permangono e, anzi, si sono moltiplicate, le divisioni, con una diffusa germinazione di sigle e simboli alla ricerca del glorioso scudo crociato, tuttora nella disponibilità elettorale e come rendita di posizione del trio UDC: Cesa-De Poli-Saccone. I buoni risultati elettorali nei comuni siciliani con il ritorno alla politica dell’amico Totò Cuffaro, sono un ottimo segnale, ancorché insufficiente a garantire una sicura prospettiva in vista delle prossime elezioni politiche sul piano nazionale.

Anche l’esperienza della Federazione Popolare DC avviata con l’amico Peppino Gargani, non è riuscita a sfociare nella formazione di quel “soggetto politico nuovo” che, insieme all’amico Alberto Alessi avevamo indicato, come soluzione compatibile, in attesa delle decisioni sempre promesse e mai attuate di Cesa e dell’UDC. E’ mancata alla Federazione, da un lato, l’accettazione reale del progetto da parte dell’UDC che, alla fine, ha confermato la sua ferma appartenenza al centro destra a guida prevalentemente leghista; una partecipazione ridotta a un ruolo subordinato e di mera sopravvivenza del trio; dall’altro, il mancato convinto coinvolgimento della DC di Grassi, più interessata a una riconferma del proprio ruolo di unica legittima continuità giuridica della DC storica. Infine, non ha contribuito il tentativo intelligente, seppur tutto da verificare, dell’amico Rotondi con la sua intuizione di Verde Popolare, ossia il tentativo di coinvolgere in un nuovo movimento/lista/partito, espressioni di area cattolica con quelle dei verdi, unite dai valori espressi dalla Laudato SI di Papa Francesco: i temi strategici del nostro tempo in materia di clima e ambiente.  Anche il tentativo di  Clemente Mastella con il suo NOI DI CENTRO, sconta il limite della riproposizione di un modello di partito di tipo personalistico assai lontano dalla nostra tradizione democratica popolare.

Con l’incontro di ieri del direttivo della Federazione Popolare si è preso atto delle criticità esistenti e con l’amico Gargani si è condivisa l’idea di partire dalle realtà locali e regionali per verificare le concrete possibilità esistenti di attivazione di un raggruppamento al centro di componenti politico culturali di area cattolico democratica e cristiano sociale, con quelle di area liberale e riformista. Un centro, dunque, ampio, plurale e democratico a guida collegiale, capace di rappresentare gli interessi e i valori di larga parte di quell’elettorale da troppo tempo renitente al voto.

Le esperienze positive sperimentate in diversi comuni della Campania nelle recenti elezioni amministrative, come a Napoli, Salerno e Benevento, con risultati attorno al 5% di liste unitarie di centro, dimostrano che, partendo dal locale, con una visione forte sul piano più generale, possano nascere aggregazioni politiche con le quali costruire un’assemblea costituente nazionale di un soggetto politico nuovo di centro, finalmente denominato come “ Popolare, Liberale, Riformista”, capace di rappresentare una nuova credibile realtà della politica italiana. Non un partito di qualcuno, ma un partito a guida democratica e collegiale, rappresentativo di tutte le istanze proprie di un nuovo centro italiano. Si è anche evidenziata la necessità che questo soggetto politico nuovo, partendo dalle realtà locali, raccogliendo le indicazioni di programma a misura dei bisogni esistenti, sia guidato da una rinnovata classe dirigente alla quale si potranno affiancare quei “consiglieri anziani “ in grado di offrire le loro migliori competenze. La presenza al direttivo della Federazione convocato ieri da Gargani dell’amico Gianfranco Rotondi, lascia ben sperare che, alla fine, anche la sua bella iniziativa possa incontrarsi con quella che la Federazione Popolare DC intende sviluppare nelle diverse realtà locali. E’ un invito questo rivolto anche agli amici di Insieme, di Rete Bianca e di Centro democratico, nella convinzione che, ancora una volta, solo se “saremo uniti saremo forti, e se saremo forti, saremo liberi” di portare avanti nelle sedi istituzionali le nostre proposte politiche.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 21 Dicembre 2021

 

COMITATO 10 DICEMBRE

Per squarciare il velo del silenzio e offrire un contributo alla verità

 

Scomparso Sandro Fontana, uno dei più illustri storici di matrice cattolica e democratico cristiana, Francesco Malgeri è probabilmente uno degli ultimi esponenti delle scienze storiche che hanno scritto della DC con occhi non deformati dalla “damnatio memoriae”. E’, infatti, questo il condizionamento ideologico che sembra orientare quasi tutti gli storici italiani che, sulla DC e i suoi esponenti, sembra abbiano eretto un muro di silenzio, quando non si riducano a considerare la presenza della DC come un freno alla crescita democratica del Paese. E’ tempo di sollevare questo velo e di sollecitare gli studiosi della storia contemporanea a un esame più rigoroso dei documenti, degli atti, degli uomini e dei fatti che hanno caratterizzato la lunga stagione della guida democratico cristiana dell’Italia (1948-1993).

Avendo organizzato un incontro dibattito nei giorni scorsi a Mestre, per la presentazione del libro di Giorgio Aimetti: Carlo Donat Cattin, la vita e le idee di un democratico cristiano scomodo, con Mario Tassone, Pasquale Ruga e Mario Rossi, si è deciso di costituire il COMITATO 10 DICEMBRE ( la data in cui si è svolto l’incontro) con l’obiettivo di discutere nelle varie realtà italiane, dei personaggi più rappresentativi della storia politica democratico cristiana. Un modo per avvicinare i giovani alla conoscenza di coloro che hanno contribuito alla nascita, alla difesa e al consolidamento della democrazia italiana.

Stimolato dalla pubblicazione dell’amico D’Ubaldo sulla testata on line: Il domani d’Italia, sul settimanale “Democratici cristiani “Per l’Azione”, voglio esprimere tutto il mio apprezzamento per una rivista che si inserisce nella migliore tradizione politica e culturale dei democratici cristiani. Ringrazio la direttrice Maria Chiara Mattesini e D’Ubaldo, per l’accostamento della testata a “ Per l’Azione”, il periodico che, per noi della quarta generazione DC, costituì un punto di riferimento importante per la nostra formazione politica. Tentando di ricercare notizie su Francesco Mattioli, che di quella rivista fu la guida politico culturale ( tutta la documentazione è raccolta presso l’Istituto Sturzo a Roma) per il MG DC della stagione guidata da Luciano Benadusi e Gilberto Bonalumi, mi sono imbattuto casualmente anche in un libro dei “I Quaderni del Ferrari”, scritto da Dario Mengozzi su: La “ sinistra” cattolica modenese- cronache di una singolare esperienza politica di base. Trattasi di una miniera preziosa di documenti e informazioni redatta nel 75° anniversario della morte di Francesco Luigi Ferrari, avvenuta a Parigi nel 1933. Com’è scritto nella prefazione: Questo Quaderno  si colloca in questo percorso, presentandoci le vicende della sinistra modenese,  una esperienza politica del movimento cattolico modenese guidata da Ermanno Gorrieri a partire dagli anni del secondo dopoguerra fino alla fine degli anni settanta. Mengozzi dice chiaramente nella introduzione che il suo lavoro non è e non intende essere un testo storiografico. Può tuttavia essere considerato una “cronaca”, o un “diario” (anche se si tratta di un “diario ex-post”) le cui tappe sono scandite da un elenco di avvenimenti  e di persone .

Come avviene per tutti i diari, anche in questo caso l’autore ha scelto fatti e nomi soprattutto sulla base di un coinvolgimento diretto: ricordi, ideali, priorità, giudizi di valore non sono resi espliciti, ma hanno improntato la successione cronachistica e sono il vero filtro del lavoro di ricerca che ha preceduto la stesura finale.

Siamo certi che in ogni città italiana siano presenti studi, documenti, testimonianze che potranno essere di stimolo per approfondire la storia del partito dei cattolici democratici e dei cristiano democratici. Siamo già pronti per concorrere con il nostro COMITATO 1O DICEMBRE alla presentazione del prossimo libro redatto dall’amico prof Pino Nisticò, già presidente della Regione Calabria, dedicato al ricordo di Riccardo Misasi, una delle colonne portanti della sinistra DC di Base e della guida politica demitiana della DC. Crediamo che da ogni città, provincia e Regione si faranno avanti gli amici democratici cristiani, come il sottoscritto  “ non pentiti”, per offrire il proprio contributo a squarciare il velo di omertà e di falsificazione sulla storia del nostro partito. E chissà che qualche storico senza pregiudizi non raccolga il nostro invito e la nostra provocazione. Sollecitiamo anche con quest’articolo di aderire al COMITATO 10 DICEMBRE al fine di favorire l’emersione dei tesori culturali rappresentati dalle vicende politico amministrative degli uomini della DC che hanno contribuito alla difesa e allo sviluppo della democrazia italiana.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 14 Dicembre 2021

 

Come al palio di Siena

 

Tutti alla ricerca del miglior allineamento  come i fantini con i loro cavalli al palio di Siena. Qui non si tratta di fantini assoldati dalla propria contrada e disponibili alla compravendita fedifraga del miglior offerente, ma di diversi “conducator” alla ricerca delle possibili alleanze pre elettorali.

La “giostra” era iniziata con l’incontro dell’on Gianfranco Rotondi con il suo nuovo movimento-partito, “Verde popolare”, foriero di una possibile alleanza elettorale bianco verde. Resta il dubbio se potrà coesistere una coalizione tra un amico, ancora organicamente legato a Berlusconi e a Forza Italia e l’on Bonelli, la cui rappresentanza reale dei verdi italiani è tutta da verificare.

Scontata la posizione a destra del trio dell’UDC: Cesa, De Poli, Saccone, ridotto al ruolo di ruota di scorta della Lega salviniana (spiace che su tali posizioni non si dissoci quella nobil donna della senatrice Binetti), dall’assemblea nazionale di Noi Di Centro, riunitasi stamattina a Roma su invito dell’on Clemente Mastella,  è giunto un segnale di orientamento opposto, ossia quello di costruire una sorta di Margherita 2.0, essenziale, a detta del sindaco di Benevento, per garantire maggioranza e governabilità al PD, al quale si richiede un ritorno all’ULIVO dei tempi prodiani. Anche qui un centro subalterno, smemori del fatto che,  come ci ha insegnato Donat Cattin: è sempre il cane che muove la coda, specie nelle condizioni attuali, tanto a sinistra che a destra.

Come a Venezia, negli anni’ 50, andava di moda la SVAC (Società Veneziana Aspiranti Conti), l’aspirazione nostalgica di una media borghesia di parvenu agli usi e costumi dell’antica aristocrazia, così, da diverso tempo, a Roma sembra sorta la SIAC (Società Italiana Aspiranti Conducator), particolarmente diffusa tra esponenti ex democratico cristiani. Ciascuno è impegnato a costruire un proprio partito/ino, col bel triste risultato che a furia di costruzioni, il villaggio delle diverse formazioni conta ormai un numero impressionante di casematte, molte delle quali senza alcuna prospettiva  elettorale concreta. A un bel gridare Merlo, che ha aperto i lavori dell’assemblea, contro i partiti personali, se, alla fine, nel simbolo di NOI DI CENTRO, appare in bella evidenza il nome di Mastella. Noi vecchi democristiani siamo stati allevati in una scuola dove i partiti, non solo erano rispettosi dell’art 49 della Costituzione, ma nei quali le leadership si conquistavano sul campo, nel duro lavoro del confronto politico anche più serrato.  Credo sia stato un errore inserire il nome di Mastella nel simbolo del partito, se si voleva evitare la critica di un ennesimo tentativo di personalizzazione della politica. Altro errore non aver esteso l’invito ai tanti amici di area DC e popolare che, anche per questo, non erano presenti.

Oggi il Teatro Brancaccio era, comuqnue, al completo, nel rispetto delle regole anti-covid, e forte è stata la risposta delle “truppe mastellate”, sempre pronte a raccogliere l’invito del loro leader. Donne e uomini di tutte le estrazioni sociali, con molti giovani- prevalevano gli accenti meridionali , ma erano presenti anche amici di altre realtà territoriali italiane.

Occhio benevolo rivolto ai renziani e ad altri gruppi di un centro politico in movimento, con un netto rifiuto per l’”asino di Buridano”, Calenda, il quale, a furia di considerarsi al centro del mondo,  a detta di Mastella, rischia di finire, appunto, come quell’asino triste. Netta la disponibilità a raccordarsi con Renzi, ma, è proprio di oggi  la notizia che Italia Viva intende unificarsi in Parlamento col gruppo di Toti e Brugnaro. Manovre dei fantini prima del Palio del Quirinale?

Un’osservazione espressa anche da diverse persone che ho avuto modo di sentire al Brancaccio era la seguente: ma perché non impegnarsi innanzi tutto a ricomporre la vasta area cattolico democratica e cristiano sociale, aperti alla collaborazione con espressioni culturali dell’area liberale e riformista socialista e repubblicana, in alternativa alla destra nazionalista e populista e alla sinistra ancora in cerca della propria identità’, piuttosto che continuare a frazionarsi in mille rivoli ?

In questo assai confuso allineamento, manca il mossiere del Palio, che, allo stato degli atti, potrà dare il via, solo dopo l’elezione del presidente della repubblica e la decisione definitiva di governo e parlamento sulla legge elettorale.

Positiva la conferma di Mastella a favore della legge elettorale proporzionale, purché combinata con le preferenze, ma, mi permetto di insistere: prima di avviare un altro partito di centro, non sarebbe meglio tentare la ricomposizione di tutte le diverse espressioni della nostra area sociale, culturale e politica? Continuare a giocare da soli potrà, forse, anche garantire un ruolo subalterno in qualche lista-rifugio, ma non risolve il problema storico politico italiano e della sua crisi di sistema; una crisi che non è solo riconducibile all’assenza di un centro in grado, come seppe fare la DC, di saldare gli interessi dei ceti medi produttivi con quelli delle classi popolari, dando loro efficace rappresentanza politica,  ma anche e, soprattutto, è legata all’esigenza del ritorno in campo di una cultura politica cattolico democratica e cristiano sociale ispirata dai valori e orientamenti espressi dalle ultime encicliche sociali dell’età della globalizzazione.

Guai se, tra l’egoistica volontà di competizione alla ricerca di un’affermazione personale o di un ristretto gruppo di aficionados e la necessità della collaborazione, prevalesse la prima. L’antropologia culturale ci ricorda che nell’isola di PASQUA, esempio del prevalere dello scontro, la competizione tra i diversi clan Rapa Nui  li portò ad esaurire le risorse sino alla scomparsa della loro civiltà. Per costruire le grandi statue lipidee utilizzarono, infatti, grandissime quantità del legno dei boschi dell’isola sino all’esaurimento di quelle risorse e al progressivo depauperamento della biodiversità e della loro stessa civiltà.

L’Isola di ANITA,  invece,  sopravvive tutt’oggi, grazie alla collaborazione di tutti i suoi abitanti. Essa è la dimostrazione antropologica che la collaborazione vince sulla competizione. Vale sempre l’aforisma secondo  cui: da soli si va più veloci, insieme si va più lontano.

Sono anni che, da profeta disarmato, auspico questa ricomposizione della nostra area, per cui  formulo anche agli amici Clemente Mastella e al neo presidente dell’assemblea costituente di NOI DI CENTRO, Giorgio Merlo, i migliori auguri, nella speranza che anche il loro encomiabile sforzo possa facilitare quell’unità possibile di un’area politica decisiva per il superamento della crisi di sistema dell’Italia.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti) (www.alefpopolaritaliani.it)

Venezia, 4 Dicembre 2021

 

 

 

 


 

 

Prove di Centro

 

Sono aperte le prove di formazione del nuovo centro della politica italiana. Ha iniziato Gianfranco  Rotondi con l’incontro del 26 Novembre a Roma di “Verde è popolare”; un tentativo di mettere insieme l’area ex DC guidata dall’amico campano con almeno una parte dei Verdi, sotto il segno dell’ambientalismo ispirato dall’enciclica di Papa Francesco, Laudato SI. Trattasi dell’annuncio di un nuovo movimento-partito che si pone l’obiettivo di preparare una lista bianco-verde per le prossime elezioni politiche. Seguirà il 3 Dicembre l’ennesima assemblea dell’UDC di Cesa col suo trio, sempre fermo nel ruolo subalterno al centro destra a dominanza leghista. Il 4 Dicembre, poi, sarà la volta dell’”Assemblea nazionale costituente  di “Noi di Centro” indetta da Clemente Mastella, tentativo che seguirò con particolare attenzione, se, come mi auguro, rappresenterà lo strumento in grado di favorire il processo di ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale verso un centro più ampio, allargato alle componenti liberali e riformiste socialiste e repubblicane. Infine, il consiglio nazionale della DC guidata da Renato Grassi convocato il 15 Dicembre  per decidere la data del XX Congresso nazionale del partito.

 

Considero positivamente ogni iniziativa finalizzata al superamento della diaspora DC che ha caratterizzato i quasi trent’anni che ci separano dalla fine politica della Democrazia Cristiana (1993), sia che intenda rilanciare politicamente il partito “mai giuridicamente sciolto”, sia e ancor di più, se intende allargare l’area di centro che considero essenziale per il sistema politico italiano. Legge elettorale da un lato e necessità di dare finalmente adeguata rappresentanza politica al terzo stato produttivo e ai ceti popolari, sono le pre condizioni da cui si dovrebbe partire anche da parte di chi formula superficiali sentenze sui diversi tentativi sin qui compiuti, come quelli della Federazione Popolare dei DC guidata da Giuseppe Gargani, messi in crisi miseramente dal permanente gioco di ostruzione condotto dal trio dell’UDC, dalle elezioni europee alle ultime amministrative d’autunno.

 

Guai se, come qualcuno giustamente paventa, le diverse scadenze programmate dovessero servire come miseri espedienti, già sperimentati negli anni, per garantire semplicemente a qualche amico una personale candidatura alle prossime elezioni politiche. Non servirebbero né al progetto di ricomposizione politica dei DC e Popolari, né, soprattutto, a dare risposta alla disaffezione che sta tenendo lontana dal voto la maggioranza degli italiani. Il tema della disaffezione  dal voto rappresenta inequivocabilmente la crisi del sistema politico italiano. Un sistema che vede da moli anni succedersi alla guida dei governi personalità tecniche o improvvisati politici senza elezione parlamentare e il continuo scivolamento della repubblica parlamentare verso forme più o meno palesi di repubblica presidenziale o, come avviene, pressoché quotidianamente da diverso tempo, una via di mezzo al limite del dettato costituzionale. Lo stesso dibattito su Draghi a Palazzo Chigi o al Quirinale (questa seconda ipotesi intesa, vedi Giorgetti, come garanzia di una guida dal Colle più alto, de facto di tipo presidenziale, anche senza il mutamento della norma costituzionale) è espressione della confusione che regna sovrana, tipica di un sistema politico istituzionale in crisi. Una crisi che è conseguenza di quella dei partiti, ridotti a meri comitati elettorali al servizio dei capi di turno, o, addirittura, eterodiretti, catalizzatori di “nominati” fisiologicamente indotti al trasformismo politico e parlamentare che è la condizione permanente di questa triste fase della nostra Repubblica. Convinto come sono che serva ricomporre una grande forza di centro democratica, popolare, liberale, riformista socialista e repubblicana, mi auguro che alla fine, da tutte le diverse assise di area annunciate, emerga netta questa determinazione, considerato anche che tale formula sarebbe efficace ed efficiente tanto nel caso in cui il parlamento dei nominati decidesse di conservare il sistema elettorale maggioritario attuale, che nel caso sia approvata una legge elettorale proporzionale alla tedesca, con le preferenze, come da sempre auspicato. A Venezia, nei prossimi giorni discuteremo di questo progetto con gli amici socialisti, liberali e repubblicani, per lanciare anche dalla città lagunare il progetto di un nuovo centro alternativo alla  destra nazionalista e populista e distinto e distante dalla sinistra ancora alla ricerca della proprio identità. Un centro pronto alla collaborazione con quanti intendono difendere e attuare integralmente la Costituzione repubblicana.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti- www.alefpopolaritaliani.it)

 

Venezia, 29 Novembre 2021

 

 

 

 



Ringrazio l’On Clemente Mastella per essersi assunto l’onere e l’onore di avviare il progetto di costituzione del nuovo centro politico democratico, popolare, liberale e riformista di cui da tempo sostengo la necessità per il nostro Paese. Serviva un leader che assumesse il coraggio di partire. L’invito a ritrovarsi SABATO’ 4 DICEMBRE alle ore 10 al Teatro Brancaccio di Roma è rivolto a quanti sono interessati a questo progetto. Noi Democratici cristiani possiamo e dobbiamo essere parte non secondaria di questo progetto che, sia con la DC guidata da Grassi che dalla Federazione Popolare DC guidata da Giuseppe Gargani, l’abbiamo considerato come la meta indispensabile per riportare in campo le culture politiche che hanno fatto grande l’Italia. Esso sarà anche l’occasione per facilitare la stessa ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale, unita nella volontà di concorrere alla formazione di un centro politico alternativo alla destra nazionalista e populista e distinto e distante dalla sinistra ancora in cerca della sua identità. Un centro aperto alla collaborazione con quanti intendono, come noi, difendere e attuare la Costituzione repubblicana. Partecipiamo, dunque, numerosi  all’incontro di Sabato 4 Dicembre prossimo per l’Assemblea Costituente di NOI DI CENTRO, impegnati ad andare avanti sempre da Liberi e Forti.

 

Ettore Bonalberti

Presidente di ALEF ( Associazione Liberi e Forti)

www.alefpopolaritaliani.it

Venezia, 23 Novembre 2021



Avanti al centro per il bene dell’Italia

 

Sono iniziate le manovre che precedono l’elezione del capo dello Stato. Le votazioni in Parlamento che hanno visto il venir meno della maggioranza di governo hanno evidenziato i giochi che, in questa fase, hanno avuto come protagonisti il solito Renzi “sfasciacarrozze” e alcuni deputati della Lega. Fuori da ogni regola il comportamento della ministra leghista on Stefani, la quale, ha abbandonato il consiglio dei ministri per recarsi in parlamento a votare contro il governo di cui fa parte.

Il parlamento dei “nominati “ uscito dalle elezioni del 2018 è la più squallida espressione del trasformismo politico che ha caratterizzato diversi momenti della cosiddetta seconda repubblica, quella che è succeduta ai partiti storici finiti politicamente nel 1993.

Sembra che Berlusconi nel tentativo di raggiungere il quorum necessario per l’improbabile elezione a capo dello Stato, stia facendo breccia anche tra alcuni deputati e senatori del M5S, quelli che erano stati “ nominati” con l’impegno di “aprire il parlamento come una scatola di tonno” e che, sperimentati i vantaggi degli emolumenti e collegati vari allo scranno miracolosamente occupato, le stanno tentando tutte pur di conservare l’impareggiabile pagnotta.

Debolissima la leadership dell’ex premier Conte, messa a quotidiana verifica dal ringalluzzito Di Maio, il movimento dei grillini è vittima dell’insufficienza dimostrata alle prove dei governi locali e nazionale, e della difficile situazione di stallo della propria condizione tra movimento e partito e tra azione di governo e di opposizione d’antan.

Anche la Lega è vittima della stessa situazione, mentre Forza Italia vive la fase più difficile della sua lunga stagione costantemente collegata alle vicende alterne di un Cavaliere sempre più affaticato dagli anni e dagli affanni di una vita.

In tali condizioni è indispensabile attivare tutte le energie disponibili a costruire una forza politica di centro alternativa alla destra nazionalista e populista e distinta e distante da una sinistra alla ricerca di un’identità faticosamente  perduta. Un centro che si riconosca nei valori del popolarismo e del riformismo liberal democratico, dell’Europa e dell’atlantismo e nel quale sia forte la presenza delle componenti di ispirazione cristiana. Un centro pronto a collaborare con quanti sono interessati a difendere e ad attuare integralmente la Costituzione repubblicana. Un centro, infine, capace di interpretare e dare risposte alle attese della povera gente e dei ceti medi produttivi rimasti sin qui senza rappresentanza. Il tempo delle sirene leghiste e dei pentastellati è finito e serve, invece, riportare in campo le espressioni delle migliori culture politiche che hanno fatto grande l’Italia: quella cattolica, quella socialista, liberale e repubblicana, ossia le più autentiche voci del riformismo italiano.

Dobbiamo ringraziare Mario Draghi per aver accettato di guidare il Paese in una fase delicatissima d’emergenza, ma, tenendo conto delle sue reali ambizioni, serve predisporre un’uscita di sicurezza che ponga fine al clima di trasformismo e di irresponsabilità che sta caratterizzando la vita del parlamento e dello stesso governo.

Passaggio decisivo sarà la decisione sulla legge elettorale, tenendo presente che, tanto nel caso in cui si conservi il “rosatellum” maggioritario, quanto e a maggior ragione, si scelga quello proporzionale con sbarramento, una forza di centro ampia come quella indicata sarà indispensabile per mettere in sicurezza il sistema democratico del Paese.

Serve che qualcuno si assuma credibilmente il compito di avviare il progetto in tempi certi e brevi con la speranza che, alla chiamata, rispondano positivamente i tanti democratici oggi sparsi tra  la disaffezione e/o il disimpegno, sapendo che è giunto il tempo in cui possa partire una rinnovata componente politica centrale dello schieramento nazionale, essenziale per garantire l’equilibrio della politica italiana.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 20 Novembre 2021


Uno scatto d’orgoglio

 

Proseguono i tentativi per la ricomposizione politica dei cattolici democratici e cristiano sociali. Ora, però, serve uno scatto d’orgoglio in avanti per superare il surplace inefficiente che mantiene in vita le vecchie casematte, ognuna delle quali sopravvivono con l’ambizione/presunzione di poter accasare le altre esperienze in campo. Se non si supera questa condizione di stallo, si arriverà alla scadenza delle elezioni politiche ancora divisi e irrilevanti.

 

In un incontro informale di alcuni amici, l’On Publio Fiori, ieri, ci ricordava come fosse prassi della DC nei momenti più difficili ricorrere alla convocazione di un’assemblea nazionale; una sorte di stati generali dai quali vennero sempre idee e soluzioni politico programmatiche importanti per il partito e per il Paese.

 

Nella pluralità dei linguaggi che sono stati sin qui espressi dai diversi attori, a me sembra che la proposta di Fiori potrebbe essere favorevolmente accolta, non solo dagli amici della Federazione Popolare DC, della DC guidata da Renato Grassi, di Insieme, di Rete Bianca e delle tante associazioni, movimenti e gruppi di ispirazione democristiana e popolare, ma anche da quella più vasta realtà culturale e organizzativo- sociale del mondo cattolico.

 

Un comitato promotore dei diversi organismi potrebbe fissare le regole organizzative di questa’assemblea nazionale sul tema della ricomposizione politica dei cattolici democratici e cristiano sociali italiani. In parallelo a questa iniziativa, nelle diverse realtà territoriali gli amici aderenti alle varie realtà associative potrebbero attivare dei comitati civico popolari di partecipazione democratica, aperti alle comunità locali, nei quali poter discutere dei principali temi di interesse dei cittadini. Comitato civico popolari che favorirebbero la partecipazione più ampia e l’emergere delle istanze locali nell’assemblea nazionale.

 

Se vogliamo reagire al clima dominante di relativismo morale e culturale, di anomia sociale e di nostra sostanziale irrilevanza politica, bisogna ripartire dalle realtà locali e dai concreti bisogni dei cittadini: elettrici ed elettori, che da troppo tempo alimentano la vasta platea dei renitenti al voto.

 

In alternativa alle velleitarie ambizioni dei soliti noti, che da molti, troppi anni, galleggiano, favorendola, sulla suicida diaspora succeduta alla fine politica della DC; personaggi non più credibili per rappresentare la fase nuova dell’impegno politico dei cattolici democratici e popolari italiani, dai comitati civico popolari territoriali e dall’assemblea nazionale emergerà la nuova classe dirigente, destinata a inverare nella città dell’uomo le politiche economiche, finanziarie e sociali ispirate dai valori della dottrina sociale cristiana. E con la selezione di una nuova classe dirigente, l’elaborazione di una proposta di programma all’altezza dei bisogni e delle attese della povera gente e dei ceti medi produttivi, unico antidoto alla crisi di rappresentanza e di partecipazione politica, che è alla base della crisi del sistema democratico italiano.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 11 Novembre 2021

 

Come i polli di Renzo?

 

Nella grave crisi di sistema che stiamo vivendo, è acuta l’afonia della cultura politica cattolico democratica  e cristiano sociale, salvo alcune voci che si rincorrono sul tema della costruzione del nuovo centro della politica italiana. E’ divisiva e fuorviante la discussione sulle alleanze che, da alcuni esponenti e gruppi, viene svolta senza tener conto della legge elettorale che, alla fine, governo e Parlamento decideranno di adottare e senza un confronto serio sui contenuti di un programma politico economico, sociale e finanziario all’altezza della situazione glocale e delle attese dei ceti medi produttivi e delle classi popolari. All’altezza, cioè, delle attese di quell’oltre 50% di renitenti al voto, altra espressione della grave crisi della democrazia italiana.

 

Non mancano tentativi di ricomposizione politico organizzativa, come quelli che dal 2012 stiamo svolgendo, per dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010, secondo cui: “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”, come quelli che gli amici della Federazione Popolare DC, di Insieme, di Rete Bianca e  di altre numerose associazioni, movimenti e gruppi, stanno svolgendo, ispirati dalle stesse motivazioni ideali.

 

Ci sono poi alcuni che, molto sbrigativamente, sostengono l’impossibilità o impraticabilità di tentare questa strada, quasi che ci fosse in noi la velleitaria pretesa di ricostruire tal quale la DC finita politicamente nel 1993. Condividiamo il giudizio di Bodrato: “ la DC era come un cristallo che si è rotto, frantumandosi in mille pezzi non più ricomponibili”, tuttavia non ci rassegniamo e continuiamo a perseguire il progetto di ricomposizione di un’area politico culturale che riteniamo, anche oggi, indispensabile per superare la crisi di sistema.

 

A chi ci chiede quali sarebbero le motivazioni per tale impegno, rispondiamo che, come nei tempi più importanti della storia politica nazionale ed europea, anche nell’età della globalizzazione, spetta ai cattolici il dovere di impegnarsi in politica per tradurre nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali indicati dalla dottrina sociale della Chiesa, così come espressi nelle ultime encicliche sociali: dalla “ Centesimus Annus” di Papa Santo Giovanni Paolo II, “ Caritas in veritate” di Papa Benedetto XVI, e di Papa Francesco: “ Laudato SI” e “ Fratelli Tutti”. Se la “Rerum Novarum” fu la pietra miliare dell’impegno politico dei cattolici, quale risposta alla questione sociale posta dalla prima rivoluzione industriale, le ultime encicliche sono quelle che hanno affrontato in maniera più rigorosa i temi posti dalla globalizzazione e ai drammatici problemi delle crisi energetica e ambientale del nostro tempo.

 

Avvilente è costatare come di fronte a questi eccezionali emergenze, economiche, finanziarie e climatico- ambientali, che stanno mettendo in gioco non solo le democrazie, ma la stessa sopravvivenza della nostra specie e del pianeta, la vasta e complessa realtà della nostra area politico culturale continui nella diaspora, rischiando di fare la fine dei polli di Renzo. Non solo continuiamo a coltivare le divisioni tra le diverse casematte costruite nei vent’anni che ci separano dalla fine politica della DC, ma, all’interno delle stesse si consumano quotidianamente diatribe, e scontri espressione di una diffusa stupidità, come descritta da Carlo Cipolla : stupido è colui che con i suoi comportamenti fa del male e se stesso e agli altri.

 

Due sono le principali questioni alle quali, alla luce dei principi ispiratori della dottrina sociale cristiana, dovremmo porre attenzione, che si aggiungono a quelli etici non negoziabili: il tema del superamento del NOMA ( Non Overlapping Magisteria) assai ben descritto dal prof  Zamagni; ossia del prevalere della finanza sull’economia reale e sulla stessa politica, ridotta a un ruolo ancillare e servente agli interessi dei poteri finanziari dominanti; il tema della crisi di sistema, da affrontare sulla base dei principi di solidarietà e sussidiarietà, tenendo conto del ruolo dell’Italia nel quadro geopolitico mediterraneo, europeo e internazionale. Quanto al primo, ho tentato di evidenziare alcune proposte di politico economica e finanziaria, sin qui ignorate (vedi elenco allegato).

 

In merito alla crisi di sistema, riproponendo una tesi già esposta all’inizio della seconda Repubblica, ossia della necessità di convocare un’assemblea costituente attraverso la quale procedere con metodo democratico ai necessari adattamenti della nostra Carta costituzionale, riterrei indispensabile avviare un dibattito sulla nuova legge elettorale da adottare per le prossime  elezioni politiche. Sono convinto che noi DC e Popolari si debba sostenere la legge proporzionale con sbarramento e preferenze, per superare il bipolarismo forzato dimostratosi, dalla riforma Segni in poi, corresponsabile dell’ingovernabilità. Una democrazia retta dal 50% di non partecipanti non è democrazia. De Gasperi diceva che la democrazia muore se non vi è partecipazione.

Una legge elettorale di tipo proporzionale con preferenze è il modo efficace per risanare istituzioni in super critica sofferenza e restituire una classe dirigente diversa e rappresentativa di interessi reali della società . La legge elettorale, infatti,  è, per buona parte, la madre per un’ articolazione istituzionale democratica popolare .

Molto opportunamente credo che, come mi scrive la prof. Campus,  sarebbe il caso di costruire un movimento di opinione che sostenga il tema: "bipolarismo forzato all’italiana=no-democrazia", anche al fine di evitare che le modifiche sulle leggi elettorali restino un make-up della politica e degli attuali  partiti che, con il rosatellum, hanno espresso “il parlamento dei nominati”, oggetto del rifiuto del quasi 60% degli elettori italiani. Evitiamo, dunque, di fare la fine dei polli di Renzo e attiviamoci seriamente a sostegno della riforma della politica economica e finanziaria e di una legge elettorale proporzionale di tipo tedesco, con sbarramento e le preferenze.

 

Venezia, 7 Novembre 2021

 

Ettore Bonalberti

 

Alcune proposte di politica economica e finanziaria dei DC e Popolari

 

L’unico programma politico che TECNICAMENTE consentirebbe ancora, dopo 25 anni, lo

Sviluppo dello STATO ITALIANO e della Sua CLASSE MEDIA (94% della popolazione italiana)

e che renderebbe tecnicamente possibile ogni altro obiettivo in qualsiasi altro settore sarebbe

il seguente :

1. Obbligo di cessione al Tesoro dello Stato italiano da parte di Telecom Italia Sparkle

della proprietà dei cavi sottomarini, necessari alla comunicazione intranet dei movimenti

elettronici del denaro nel sistema bancario italiano (=abolizione della L.58 del 28 Gennaio

1992 e della Legge n. 35 del 29 gennaio 1992)

2. Controllo Statale sulla raccolta del risparmio tra il pubblico mediante compagnie

assicurative statali = abolizione del DPR n. 350/1985 firmato da Sandro Pertini

3. Obbligo di cessione da parte di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna,

Carige e BNL del 51% delle loro azioni al Tesoro dello Stato Italiano al fine che lo Stato

italiano abbia, con 265 voti su 529, il controllo del 51% di Banca d’Italia (abolizione della L.82

del 7 Febbraio 1992), al fine che Banca d’Italia possa di nuovo dopo 25 anni tornare a vigilare

per impedire truffe sui derivati e su azioni/bond carta straccia, e per impedire anatocismo e

usura bancaria.

 

4. Reintroduzione della Legge Bancaria del 1936 (abolizione del decreto legislativo n.

385/1993):

5. SEPARAZIONE TRA BANCHE DI PRESTITO (loan bank) e BANCHE

SPECULATIVE (investment bank) : abolizione del d.lgs n.481/1992 firmato da Giuliano

Amato, Barucci e Colombo.

Automatica re-introduzione della contabilità bancaria esistente prima del 31 Luglio

1992 (abolizione del Provvedimento di Banca d’ Italia del 31 Luglio 1992 firmato da

Lamberto Dini al fine di fermare l’evasione fiscale verso i fondi speculatori petroliferi kazari

proprietari della City of London)

6. Divieto di prestare denaro creato con un clic elettronico anziché raccolto tra il

pubblico

7. Riduzione del capitale flottante di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna,

Carige, BNL e di ogni altra società italiana strategica quotata in borsa (ENI,…) dall’attuale

85% del capitale totale, al 15%, al fine di evitare scalate da parte dei fondi speculatori

petroliferi kazari.

8. Divieto di vendite allo scoperto (divieto di short -selling) sia di tipo naked (presa in

prestito di titoli inesistenti per es di MPS per farle crollare, le uniche finora vietate dall’UE) e

di quelle piene. Divieto in sostanza di ogni tipo di vendita allo scoperto contro titoli di società

italiane quotate alla borsa di Milano.

9. Abolizione del CICR (è l’ufficio di controllo occulto di Banca d’Italia)

10. Conferire il potere ISPETTIVO sia a Banca d’Italia che alla Consob, in aggiunta a quello

di vigilanza

11. Separare la Consob dal controllo di Banca d’Italia al fine di avere un organo ispettivo

indipendente. Possibilità anche per la GDF e per la Polizia di Stato di effettuare ispezioni in

materia finanziaria, in materia di borsa.

12. Divieto per famiglie, imprese ed enti locali italiani di sottoscrivere derivati sulla

valuta(=abolizione del DPR n.556/1987 emesso su proposta del Ministro del Tesoro Giuliano

Amato) e derivati sul tasso (=abolizione del D.M. del Tesoro n. 44 del 18 febbraio 1992

firmato da Mario Draghi)

13. Divieto al Governatore di Banca d’Italia di variare il tasso ufficiale di

sconto (abolizione della L.n. 82 del 7 Febbraio 1992) al fine di evitare le truffe sui derivati sul

tasso

14. Divieto di anatocismo nei conti correnti, leasing, mutui, prestiti con cessione del quinto e in

ogni altra forma di prestito

15. Abolizione del piano di ammortamento alla francese, lecito solo il piano di

ammortamento all’italiana (quote capitali sempre uguali).

16. Divieto di usura oggettiva (supero tasso soglia) e divieto di usura soggettiva (supero

tasso medio). Introduzione della rilevanza immediatamente penale anche del supero del tasso

medio indipendentemente dalla situazione di difficoltà economica-finanziaria del soggetto

cliente

17. Abolizione della disciplina fondiaria ex art 38 e seg. TUB

18. Riforma del Tribunale delle Esecuzioni immobiliari sulla prima casa e sull’immobile

sede dell’attività: divieto di esecuzione immobiliare sulla prima casa e sulla sede dell’attività,

obbligo di prolungamento del mutuo, in caso di difficoltà, ad un tasso massimo pari al tasso

d’inflazione. Divieto di neutralizzazione del Fondo Patrimoniale (è una figura giuridica

prevista dal 1936 a tutela della famiglia italiana).

19. Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3

immobili) in soggetti posti in qualsiasi ruolo e funzione del Tribunale addetti all’esecuzioni

immobiliari e nella sezione fallimentare.

Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3

immobili) nell’avvocato e dottore commercialista della curatela fallimentare, dei sequestri

immobiliari e quali procuratori per le banche nelle esecuzioni immobiliari e nel custode e

nel notaio delle esecuzioni immobiliari

20. Creazione della Procura Nazionale contro i Reati finanziari commessi da soggetti

speculatori esteri, con distaccamento in ogni DDA, collegata all’INTERPOL e per la

prevenzione di attentati terroristici e jihadisti da parte dei fondi speculatori atti a riottenere il

controllo privato delle banche italiane e dell’Ente dell’Energia italiano

21. Obbligo di almeno cinque Parlamentari di ogni forza politica di partecipare all’

Assemblea Annuale di Approvazione del Bilancio delle banche italiane azioniste di

maggioranza di Banca d’Italia, in quanto vero governo del sistema e termometro della salute

del paese

Attraverso queste essenziali riforme l’Italia potrà riprendere quel ruolo che la DC seppe

garantirle in passato e uscire dalla grave crisi nella quale una classe dirigente in larga parte

incompetente e orientata su una deriva nazionalista e populista l’ha condotta in gravissimo

isolamento politico e strategico europeo e internazionale.

N.B.:

* Da documenti desecretati e da rilievi matematici confermati dal Ministero dell'Economia

delle Finanze sull'assetto di controllo delle banche quotate italiane ( risposta del Ministero

all’interrogazione parlamentare dell’On Villarosa (M5S) nel Febbraio 2017) maggiori

azioniste di Banca d'Italia con 265 voti su 529, da parte , attraverso le SUB-DELEGHE conferite

agli avvocati (avv. Cardarelli, ..) dello studio legale Trevisan di viale Maino –Milano, risultano

una decina di fondi petroliferi nonché speculatori finanziari georgiani/ arzebajani di antica

origine tedesca (Vanguard, State Street, Northern Trust , Fidelity , Jp Morgan Trust, Black Rock

, Bnp Paribas Trust, Franklyn Templeton e il loro fondo immobiliare comune Black Stone, già

proprietario di quasi tutti gli outlet village in Italia e di oltre 1 MILIONE di mq di centri

logistici sempre in Italia), cd ariani o KAZARI o askenazita-kazari , indagati dal 15 Gennaio

2018 anche dalla Procura di New York e dallo Stato di New York per PROCURATO DISASTRO

AMBIENTALE e per avere fermato lo sviluppo dell'energia solare, hedge fund e come tali, unici

fondi al mondo autorizzati a compiere amorali , immorali, illegittime VENDITE ALLO

SCOPERTO (presa in prestito di titoli di società terze a loro insaputa per venderli al fine di

farne crollare la quotazione, per acquistarli a prezzi stracciati ad ogni programmato

settennale avvenuto crollo della borsa di Milano, da quando dal 1992/93, abolita purtroppo in

Italia la separazione bancaria tra banche di prestito e banche speculative a causa del decreto

legislativo n. 481 del 14 Dicembre 1992 firmato da Amato e Barucci, essi imperano , crolli

della borsa di Milano infatti avvenuti ogni circa sette anni 1994, 2001, 2008 , 2016, crolli che

hanno impoverito circa 20 milioni di piccoli azionisti italiani che hanno perso tutti i loro

risparmi ) definiti fondi speculatori anche dal D.M. del Tesoro n. 98/1999.

Trattasi di decreti già emessi , non disegni di legge, decreti che comprovano l'avvento in Italia

dal 1992/93 di questi fondi speculatori con sede legale nella City of London , proprietari della

City of London, e sede fiscale nel PARADISO FISCALE del Deleware come dimostrato dalla

Relazione della SEC (organo di vigilanza della borsa degli Stati Uniti , indipendente dal 2001).

Fondi speculatori che il sito governativo britannico beta.companieshouse.gov.uk ha

dimostrato che le società che essi controllano appartengono a TRUSHELFCO, DIKAPPA più un

numero delle sette famiglie kazare , georgiane /arzebajane di antica origine tedesca dei

Rothshild , J.P. Morgan, Warburg , Walker Bush, Rockfeller, Jeferson Clinton, Johnson,

convertiti all'ateismo nel 1820 per poter usufruire senza limiti e remore, con l'invenzione

della trivella, ancora del business del petrolio che era terminato in superficie nel 1400 dopo

Cristo in Georgia/Arzebajan decretando la fine dell'impero KAZARO (600 avanti Cristo -1400

dopo Cristo), un impero inspiegabilmente cancellato dagli inventori kazari delle tipografie, dai

libri storia occidentali, ma ben presente nei libri di storia dell'Armenia, dell'Ucraina.

 




Attenti alla realtà effettuale

 

Perseguo il sogno della rinascita politica della DC dal 1994, anno della sua fine mai consumatasi sul piano giuridico come da sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010, e ripreso con alcuni amici dal 2012, sin qui con molti ostacoli. Comprendo le ragioni che Guido Bodrato ha sintetizzato con un’immagine: “la DC era come un cristallo che si è frantumato e non è più ricomponibile”, tanto più che molti dei frammenti di quel cristallo sono animati da pulsioni egoistiche o, peggio, da colpevoli responsabilità che si tenta di occultare anche manovrando taluni sabotatori seriali.

 

Non a caso ho partecipato all’ultimo XIX congresso nazionale (ottobre 2018) nel quale ho contribuito all’elezione dell’amico Renato Grassi alla segreteria del partito. La DC è il partito di cui continuo a far parte, convinto come sono che, anch’esso possa e debba concorrere alla ricomposizione dell’area più vasta cattolico democratica e cristiano sociale. Ecco perché non raccolgo le provocazioni di qualche amicoC, che vorrebbe dimostrarsi più democristiano di quanti come me lo sono da una vita e lo saranno per sempre. Una cosa, però. è il sogno e un’altra la realtà effettuale della politica italiana. Ragionare in termini esclusivi di ricostruzione della DC può essere una condizione necessaria ma, certamente, non sufficiente per dare risposte concrete all’esigenza di un centro politico di cui il Paese ha necessità.

 

Basta analizzare, come faccio da diverso tempo, il tipo di legge elettorale che sarà scelta per le prossime elezioni politiche. Se restasse l’attuale “rosatellum” o analoga legge maggioritaria, una DC, ancorché riunificata  (operazione sin qui risultata impossibile) potrebbe forse garantire qualche candidatura a qualche amico in uno dei due poli in cui si ripartirebbe la scelta politica, mentre il nostro residuo elettorato, come già sperimentato, si tripartirebbe tra destra, sinistra e non voto. In tal caso, insomma, la battaglia per la semplice e pur importante riunificazione dei DC, sarebbe quanto mai velleitaria. Se, invece, fosse adottata una legge elettorale di tipo proporzionale con sbarramento, è evidente che una DC da sola non andrebbe da nessuna parte, rischiando risultati con percentuali tali da non superare il 3 o 4 per cento richiesto. Anche e a maggior ragione in questo caso, servirebbe un’ampia unione di componenti dell’area cattolico democratica e cristiano sociale. 

 

Dopo la formazione dell’attuale governo Draghi, si sta verificando un processo di seria scomposizione-ricomposizione delle forze politiche all’interno del quale assume realistica possibilità, come annunciato da più parti,  quella di una Federazione di centro di cui ho scritto nella mia ultima nota politica. In sostanza, restando la legge maggioritaria, il progetto della rinascita politica della DC, ancorché meritevole sarebbe inefficace se non per le ambizioni di qualcuno, come lo è stata la rendita di posizione garantita a destra dall’utilizzo per grazia ricevuta del simbolo dello scudo crociato, dal trio dell’UDC: Cesa, De Poli, Saccone insieme alla sen Binetti. Con la legge di tipo proporzionale, essenziale sarebbe l’unità più vasta d’area. Se consideriamo ciò che si sta muovendo nello scenario politico italiano, l’idea di una Federazione di un centro come più volte da me connotato, penso sia la proposta politico- organizzativa più valida, efficiente ed efficace per garantire una soluzione laica, democratica, popolare, riformista, ispirata ai valori dell’europeismo e dell’atlantismo, della difesa della costituzione repubblicana, nella quale una forte componente di ispirazione cattolico democratica e cristiano sociale sarebbe oltremodo utile e opportuna.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 26 ottobre 2021

Verso una Federazione del Centro?

 

Da diverso tempo si susseguono interventi tesi a promuovere l’avvio di un rinnovato centro della politica italiana, alternativo alla destra nazionalista e populista, distinto e distante dalla sinistra alla ricerca della propria identità. Lo stiamo facendo da molti anni noi della DC, legittima erede del partito storico, come la stessa Federazione Popolare dei DC insieme a numerose associazioni, movimenti, gruppi facenti parte della vasta e articolata area dei cattolici democratici e cristiano sociali.

 

E’ mancata sino a oggi la capacità di collegare queste esperienze con quelle assai interessanti degli amici di Rete Bianca, di Insieme, del Centro democratico, persistendo le divisioni che ci hanno visto correre frammentati e, dunque, irrilevanti, anche nelle recenti elezioni amministrative. Uniche interessanti eccezioni: quella dei DC siciliani con Cuffaro, aperti alla collaborazione con Forza Italia e quella di Mastella a Benevento, con una lista sostenuta da un’ampia aggregazione di consenso dal centro a parti importanti della sinistra.

 

La sconfitta della destra-centro nel voto ottobrino, ha favorito, sollecitato dalla Meloni, l’incontro di Mercoledì scorso a Roma, a Villa Zeffirelli di proprietà del Cavaliere, alla fine del quale sono state raggiunte alcune conclusioni evidenziate nella nota resa pubblica. Da essa si evince l’impegno a procedere uniti verso l’elezione del Presidente della Repubblica e un netto rifiuto del sistema proporzionale. Quanto al primo obiettivo, considerato come il piano A della destra-centro, concesso al Cavaliere come un miraggio nel quale solo Berlusconi crede, esso potrebbe essere il prezzo pagato per l’eventuale premiership della Meloni, così come indicato dalle regole sin qui condivise nel destra-centro: guida chi prende più voti. Insomma due obiettivi che, allo stato degli atti, sembrano premesse di due sicure sconfitte.  L’idea di conservare unito il destra-centro si tiene con quella del mantenimento di un forzato bipolarismo che, dal mattarellum in poi, ha saputo sfornare governi instabili a ripetizione finendo col far prevalere l’epistocrazia (governo dei competenti, alla fine, dei tecnici) sulla democrazia. Immediata la reazione negativa di Carlo Calenda all’idea della legge maggioritaria  dato che, come tutti noi DC, è interessato a un sistema elettorale di tipo proporzionale. E’ proprio dalle posizioni espresse dall’amico Mastella a Benevento, con l’orizzonte aperto all’impegno più ampio di un centro democratico nazionale e da quelle di Calenda che si potrebbe ripartire. Per non cadere nella trappola che sarebbe mortale per il nostro potenziale elettorato di area DC e popolare, il quale, con una legge di tipo maggioritario si tripartirebbe tra destra, sinistra e astensione dal voto, è indispensabile concorrere alla costruzione di un centro ampio che, come scrivo da molto tempo, potrebbe assumere i connotati di un centro laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista., trans nazionale, alternativo alla destra nazionalista populista e anti europea e alla sinistra sin qui senza identità. Un centro aperto alla collaborazione con quanti intendono difendere e attuare integralmente la Costituzione repubblicana. Ecco perché guardiamo con interesse al progetto di una Federazione di partiti e movimenti che credono in tale progetto, nel quale la partecipazione di una vasta componente ispirata dai valori del cattolicesimo democratico e cristiano sociale sarebbe oltremodo utile e necessaria. Senza la pretesa di salvifici federatori se dicenti a priori, ma lasciando al campo aperto della politica e del confronto democratico la decisione su chi potrà assumersi l’onere e l’onore di guidare il progetto, credo che insieme a Mastella e a Calenda, anche gli amici di Rotondi e dei Verdi disponibili, così come agli amici di Forza Italia delusi dal mantenere un ruolo subordinato alla destra della Meloni e di Salvini: Carfagna, Gelmini, Brunetta, con quelli di Matteo Renzi, si potrebbe concorrere con tutti gli amici dell’area DC e popolare alla costruzione di una grande centro così come ipotizzato. Un centro che sappia offrire risposte politiche e programmatiche ai bisogni insoddisfatti dei renitenti al voto del 17 e 18 Ottobre scorsi.

 

Ettore Bonalberti

 

Venezia, 22 Ottobre 2021

 

Riflessioni dopo il voto di un democratico cristiano

 

Quasi il 60% di renitenti al voto alle elezioni comunali. Da lì bisogna ripartire per comprendere il grado di crisi della nostra democrazia. La disaffezione della politica, il disagio sociale e le manifestazioni di piazza, la crisi morale, culturale e sociale, in una parola l’anomia che pervade la società italiana, sono state le ragioni della mancata partecipazione al voto. Tutte concorrenti a rappresentare la crisi dei partiti che sta alla base della crisi del sistema.

 In questa mancata partecipazione al voto, pesantissima  è stata la nostra assenza, ossia quella del nostro partito e di altri movimenti e gruppi che insieme a noi sono interessati al processo di ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale.

Tranne alcuni amici coraggiosi come i DC siciliani, i DC e popolari di Rionero, i DC piemontesi, è pressoché raro trovare liste di democratici cristiani, salvo qualche candidato inserito in liste di partiti più o meno affini e dei quali non conosciamo gli esiti.

Ha vinto il PD di Letta e hanno perso le destre nazionaliste e populiste della Meloni e di Salvini. Gli elettori, ancorché solo il 25% votanti, hanno deciso che queste destre non sono adeguate a guidare le città, e, permanendo le loro posizioni estreme di contestazione al governo, come quelle della Meloni, e collegate con partiti antieuropei, come anche la Lega, difficilmente potranno aspirare alla guida del governo nazionale.

Anche la sinistra dovrà fare i conti con la crisi del M5S e con le difficoltà che, il progetto di “ campo largo” annunciato da Enrico Letta, incontrerà passando dai propositi alla concreta realizzazione. Dopo questo voto si annuncia un processo di scomposizione e ricomposizione delle forze politiche italiane. Primo banco di prova, la prossime elezione del Presidente della Repubblica, nella quale il Parlamento allargato alle rappresentanze regionali, dovrà decidere quale ruolo assegnare a Draghi, da tutti considerato la garanzia migliore dell’Italia sul piano internazionale e per l’attuazione del PNRR. E con l’elezione del Presidente della Repubblica, decisiva sarà anche la scelta della legge elettorale da parte di un Parlamento nel quale, molti deputati e senatori sono assai incerti del loro futuro.

Quanto a noi DC dobbiamo renderci conto che se permanesse una legge maggioritaria, il progetto politico avviato nel 2012, ossia di dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione 25999 del 23.12.2010 ( “ La DC non è mai stata giuridicamente sciolta”) è praticamente impossibile. Com’è già accaduto in diversi comuni, il nostro residuo potenziale elettorato si tripartirebbe tra destra, sinistra e astensione e anche al nostro interno si proporrebbe la stessa inevitabile divisione.

Solo con una legge proporzionale con sbarramento il progetto più ampio di ricomposizione politica dell’area  cattolico democratica e cristiano sociale potrebbe avere ancora, non solo una possibilità, ma sarebbe quanto mai utile per il nostro Paese. Tale progetto, però, richiede di riprendere da subito una forte iniziativa con quanti della nostra area culturale e  politica sono interessati a questo obiettivo. Va superata la rincorsa inutile sin qui tentata verso l’UDC, ferma nel subalterno ruolo alla destra sovranista e nazionalista, e a cui dovrà essere definitivamente  contestata la rendita derivante dall’utilizzo del nostro storico scudo crociato, mentre si dovranno ricercare tutte le possibilità di dialogo con gli amici della Federazione Popolare, di Rete bianca, di Insieme, e dei tanti gruppi, movimenti e associazioni che sentono come noi l’esigenza di un ritorno in campo della nostra cultura politica. Obiettivo concorrere alla costruzione di un centro laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, transnazionale, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori, alternativo alla destra nazionalista e populista, distinto e distante dalla sinistra senza identità, ispirato dai principi della dottrina sociale della Chiesa, disponibile alla collaborazione con quanti intendono difendere e attuare la Costituzione repubblicana.

Falliti sin qui i tentativi a livello centrale, dovremo ripartire dai territori: regione per regione, comune per comune, attivando comitati civico popolari di amici, elettrici ed elettori, che si ritrovano sui valori del popolarismo sturziano e degasperiano.  Per una nuova partecipazione politica dalla base sui temi prevalenti glocali, ispirati dai valori della dottrina sociale cristiana. A quel 60% di renitenti al voto va offerta una nuova speranza e, come altre volte nella storia dell’Italia, spetterà ancora ai cattolici democratici e ai cristiano sociali concorrere a tale necessità.

 

Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale DC

 

Venezia, 19 ottobre 2021

 

Riflessioni dal Nord Est

 

L’astensione è stata ovunque ampia e diffusa. Più forte nei centri città, a Milano e a Bologna, e assai più consistente  nelle periferie, come a Roma. L’astensionismo lo paga soprattutto il M5S che, non solo perde i suoi sindaci, ma è decisivo solo in accoppiata col PD a sinistra. Dalle urne delle amministrative emergono due netti vincitori: il PD di Letta e Fratelli d’Italia della Meloni che si annunciano come i poli di riferimento essenziali a sinistra e a destra della politica italiana. Netta la sconfitta di Salvini e della sua idea del partito leghista che, invece, nel Nord Est fa il pieno di voti nei comuni delle regioni guidate da Zaia e da Fedriga.

Sarà importante analizzare la composizione sociale e culturale del quasi 50% dei renitenti al voto che, a una prima superficiale lettura, sembrerebbe attecchire nelle due fasce intermedie dei “diversamente tutelati” e del “terzo stato produttivo”, escludendo “casta” e “quarto Non stato”, sempre attenti a tutelare i loro interessi le loro condizioni di privilegio palesi e occulte.

 

E’ una battuta d’arresto oggettiva e clamorosa per il populismo, mentre appare evidente l’assenza di un centro politico democratico e popolare senza il quale la polarizzazione premia i due partiti di più antico insediamento territoriale e dalle strutture organizzative consolidate.

Servirà anche decifrare l’orientamento del voto giovanile; di quei giovani, cioè, che pochi giorni prima del voto avevano riempito le piazze e le strade italiane per le battaglie ambientaliste, assai più disponibili alle logiche dei movimenti che a quelle dei partiti. Eppure il problema di questa caduta della partecipazione elettorale in sede locale, là dove si costruisce il consenso sui temi e i bisogni specifici dei cittadini, dovrebbe far riflettere sulla crisi della nostra democrazia. Una crisi che, in larga parte, si accompagna a quella più generale e profonda dei partiti per i quali, oggi ancor più di ieri, s’impone l’applicazione non più rinviabile dell’art 49 della Costituzione.

 

Venendo alla nostra area di riferimento sociale, culturale e politico, dobbiamo onestamente riflettere sull’eterogeneità e improvvisazione della nostra partecipazione nei diversi ambienti territoriali, nei quali scontiamo gli effetti devastanti della persistente diaspora che continua a impedire quella ricomposizione politica di cui la politica italiana avrebbe necessità.

 

Tranne alcuni casi molto isolati nei quali, la DC o la Federazione Popolare dei DC, sono riusciti a presentare, per la verità senza molto successo, liste autonome, sono prevalse le scelte a destra dell’UDC che continua a sostenere una politica, forse opportuna e utile per la sopravvivenza dei soliti noti, ma che impedisce la formazione di un centro democratico e popolare, liberale e riformista, europeista e trans-nazionale, inserito a pieno titolo nel PPE, alternativo alla destra nazionalista e populista e alla sinistra senza identità.

 

Vedremo come saranno interpretati i risultati dai partiti presenti nel Parlamento italiano, in base alla valutazione dei quali dipenderà la decisione sulla legge elettorale da adottare alle prossime elezioni politiche. Credo che, sulla base del voto amministrativo, nonostante le spinte al voto di Giorgia Meloni, difficilmente si avranno elezioni anticipate e, dunque, il governo Draghi dovrebbe durare sino alla scadenza della legislatura.  

 

Se a livello nazionale la linea ondivaga di lotta e di governo di Salvini è stata sconfitta, trionfante è invece stata, dove ha prevalso, come in Friuli e nel Veneto, quella dei governatori del Nord Est. Da Pordenone a Chioggia a Montebelluna, infatti, il centrodestra conquista tutti i principali comuni veneto friulani  in cui si è votato. Qui domina la Lega di Zaia e Fedriga con una base sociale e culturale dalle antiche radici bianche. Il vecchio disegno bisagliano di una CSU del Nord potrebbe, dunque, essere ripreso. La crisi di una sinistra senza identità in queste realtà impone una seria analisi da parte di quanti come noi si riconoscono nella tradizione e nella cultura politica dei cattolici democratici e cristiano sociali, al fine di riprendere i ragionamenti nel punto in cui li abbiamo interrotti con Toni Bisaglia, alla vigilia della sua scomparsa e della fine politica della Democrazia Cristiana.

La nostra ricomposizione politica prima e, insieme, l’apertura con quanti intendono collegarsi all’esperienza più ampia del Partito Popolare Europeo, sono gli obiettivi da perseguire con forte determinazione.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 5 Ottobre 2021

 

 

Il confronto continua

 

Ho sollecitato l’apertura del confronto all’interno della DC e della Federazione Popolare DC partendo dalla convinzione che per superare l’attuale frammentazione, prima della scelta delle alleanze, sia necessario trovare la condivisione sui contenuti di un programma in grado di rispondere alle attese del “terzo stato produttivo” e della “povera gente”; di coloro ,cioè, che sono i riferimenti naturali di un partito e/o di una federazione di partiti ispirati dai valori del popolarismo e della dottrina sociale cristiana.

 

Avevo già inviato agli interessati una bozza di programma articolato che, per la verità, non ha suscitato alcun riscontro. Ho replicato nei giorni scorsi ripresentando, come priorità, le scelte in materia di politica economica e finanziaria, indispensabili per contrastare il dominio dei poteri finanziari che, come gli hedge funds anglo caucasici/kazari, hanno la sede operativa nella City of London e quella legale nello stato USA del Delaware, a tassazione fiscale zero.

 

Va ricordato, infatti, che da documenti de-secretati e da rilievi matematici confermati dal Ministero dell'Economia delle Finanze sull'assetto di controllo delle banche quotate italiane ( risposta del Ministero all’interrogazione parlamentare dell’On Villarosa (M5S) nel Febbraio 2017) maggiori azioniste di Banca d'Italia con 265 voti su 529, da parte , attraverso le SUB-DELEGHE conferite agli avvocati (avv. Cardarelli, ..) dello studio legale Trevisan di viale Maino –Milano, risultano una decina di fondi petroliferi nonché speculatori finanziari georgiani/ arzebajani di antica origine tedesca (Vanguard, State Street, Northern Trust , Fidelity , Jp Morgan Trust, Black Rock, Bnp Paribas Trust, Franklyn Templeton e il loro fondo immobiliare comune Black Stone, già proprietario di quasi tutti gli outlet village in Italia e di oltre 1 MILIONE di mq di centri logistici sempre in Italia), cd ariani o KAZARI o askenazita-kazari , indagati dal 15 Gennaio 2018 anche dalla Procura di New York e dallo Stato di New York per PROCURATO DISASTRO AMBIENTALE e per avere fermato lo sviluppo dell'energia solare, hedge fund e come tali, unici fondi al mondo autorizzati a compiere amorali , immorali, illegittime VENDITE ALLO SCOPERTO (presa in prestito di titoli di società terze a loro insaputa per venderli al fine di farne crollare la quotazione, per acquistarli a prezzi stracciati ad ogni programmato settennale avvenuto crollo della borsa di Milano, da quando dal 1992/93, abolita purtroppo in

Italia la separazione bancaria tra banche  di prestito e banche speculative a causa del decreto

legislativo n. 481 del 14 Dicembre 1992 firmato da Amato e Barucci, essi imperano , crolli

della borsa di Milano infatti avvenuti ogni circa sette anni 1994, 2001, 2008 , 2016, crolli che

hanno impoverito circa 20 milioni di piccoli azionisti italiani che hanno perso tutti i loro

risparmi ) definiti fondi speculatori anche dal D.M. del Tesoro n. 98/1999.

Trattasi di decreti già emessi , non disegni di legge, decreti che comprovano l'avvento in Italia

dal 1992/93 di questi fondi speculatori con sede legale nella City of London , proprietari della

City of London, e sede fiscale nel PARADISO FISCALE del Delaware come dimostrato dalla Relazione della SEC (organo di vigilanza della borsa degli Stati Uniti , indipendente dal 2001).

Fondi speculatori che il sito governativo britannico beta.companieshouse.gov.uk ha dimostrato che le società che essi controllano appartengono a TRUSHELFCO, DIKAPPA più un

numero delle sette famiglie kazare, georgiane/arzebajane di antica origine tedesca dei Rothshild , J.P. Morgan, Warburg , Walker Bush, Rockfeller, Jeferson Clinton, Johnson, convertiti all'ateismo nel 1820 per poter usufruire senza limiti e remore, con l'invenzione della trivella, ancora del business del petrolio che era terminato in superficie nel 1400 dopo

Cristo in Georgia/Arzebajan decretando la fine dell'impero KAZARO (600 avanti Cristo -1400

dopo Cristo), un impero inspiegabilmente cancellato dagli inventori kazari delle tipografie, dai

libri storia occidentali, ma ben presente nei libri di storia dell'Armenia, dell'Ucraina.

Senza questa premessa non si comprenderebbero le ventidue proposte in materia di scelte economico finanziarie sulle quali ho invitato a discutere gli amici del partito e della Federazione popolare DC.

Sino ad oggi sono intervenuti alcuni amici che hanno condiviso le mie indicazioni, ma non sono mancate le critiche di altri, come gli amici Rapisarda e Palumbo, o le osservazioni più bonarie di Elisabetta Campus e Renzo Gubert.

Le critiche riguardano o l’oggettiva incapacità di portare avanti questa sfida, considerando la nostra consistenza operativa sul piano politico organizzativo e nulla su quello istituzionale ( Palumbo); o l’aver “volato  troppo in alto” rispetto ai bisogni e alle attese concrete degli elettori ( Rapisarda).

Quanto al primo rilievo non posso che condividerlo: così come siamo, ancora vittime della persistente Demodissea della diaspora DC, la mia proposta ha soprattutto la funzione di favorire il confronto nell’ampia e disarticolata area politica dei cattolici democratici e cristiano sociali, al fine di ricercare innanzi tutto un accordo sui contenuti, rinviando solo dopo la scelta delle alleanze. Una scelta inevitabilmente condizionata dal tipo di legge elettorale che, alla fine, sarà indicata dal governo e votata dal Parlamento. Su tale punto ho chiarito più volte che, se restasse la legge maggioritaria, nessuna possibilità di riunificazione sarebbe possibile, dato che in una scelta bipolare, i nostri potenziali elettori si dividerebbero in tre parti: una parte voterà a destra, un’altra parte a sinistra e molti altri finiranno con l’astenersi dal voto.

Se passasse invece la legge proporzionale con sbarramento al 3 o 4% sarebbe indispensabile unire tutte le forze per non fare la fine dei “polli di Renzo”. Forzare il confronto volendo anticipare la scelta preventiva delle alleanze, oltre che inefficace non essendo ancora certi della legge elettorale, favorirebbe solo la divisione.

Molto più intrigante la questione sollevata da Rapisarda secondo cui avrei volato troppo in alto, rischiando una sorta di “manifesto  programmatico velleitario”….

Su questo rilievo vorrei dire che ho ben presente che i problemi da risolvere con estrema urgenza oggi, riguardano la ricostruzione della sanità pubblica, la digitalizzazione del Paese, l’edilizia scolastica, la conversione energetica, la sicurezza idrogeologica del territorio. Sono, tuttavia, convinto che questi stessi problemi, sui quali si gioca la grande partita del lavoro e dell’equilibrio sociale del Paese, non si potranno risolvere con le sole scelte del PNRR indicateci dall’UE, se non si affrontano i nodi strutturali economico finanziari come quelli evidenziati nelle mie proposte, le quali rientrano nella migliore tradizione culturale e politica della DC e delle scelte fatte dalla Banca d’Italia guidata da Guido Carli, sempre difese dalla DC.

Ettore Bonalberti

Venezia, 25 Settembre 2021



Quali riforme?

 

Romano Prodi ha dichiarato ieri alla trasmissione dell’Annunziata: “ Con Letta ci siamo sentiti parecchie volte. Il principale consiglio che gli ho dato è che ci vuole una proposta sul lavoro, sul tipo di crescita, sull'organizzazione della società post pandemia".  Più modestamente, nelle settimane scorse agli amici della DC e della Federazione Popolare DC, avevo proposto alcune idee per un progetto strategico di riforma per l’Italia. Un progetto che che si riassume in questi punti:

1.    Obbligo di cessione al Tesoro dello Stato italiano  da parte di Telecom Italia Sparkle della proprietà dei cavi sottomarini,  necessari alla comunicazione intranet dei movimenti elettronici del denaro nel sistema bancario italiano (=abolizione della L.58 del 28 Gennaio 1992 e della Legge n. 35 del 29 gennaio 1992)

2.    Controllo Statale  sulla  raccolta del risparmio tra il pubblico mediante compagnie assicurative  statali = abolizione del DPR n. 350/1985 firmato da Sandro Pertini

3.    Obbligo di cessione da parte di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna, Carige e BNL del 51% delle loro azioni al Tesoro dello Stato Italiano  al fine che lo Stato italiano abbia,  con 265 voti su 529, il controllo del 51% di Banca d’Italia (abolizione della L.82 del 7 Febbraio 1992), al fine che Banca d’Italia possa di nuovo dopo 25 anni tornare a vigilare per  impedire truffe sui derivati e su azioni/bond carta straccia, e per impedire anatocismo e usura bancaria.  

4.    Reintroduzione della Legge Bancaria del 1936 (abolizione del decreto legislativo n. 385/1993):

5.    SEPARAZIONE TRA BANCHE DI PRESTITO (loan bank) e BANCHE SPECULATIVE (investment bank) : abolizione del d.lgs n.481/1992 firmato da Giuliano Amato, Barucci e Colombo. Automatica re-introduzione della contabilità bancaria esistente prima del 31 Luglio 1992 (abolizione del Provvedimento di Banca d’ Italia del 31 Luglio 1992 firmato da Lamberto Dini al fine di fermare l’evasione fiscale verso i fondi speculatori petroliferi kazari proprietari della City of London)  

6.    Divieto di prestare denaro creato con un clic elettronico anziché raccolto tra il pubblico

7.    Riduzione del capitale flottante di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna, Carige, BNL e di ogni altra società italiana strategica quotata in borsa (ENI,…)  dall’attuale 85% del capitale totale, al 15%, al fine di evitare scalate da parte dei fondi speculatori petroliferi kazari.

8.    Divieto di vendite allo scoperto (divieto di short -selling) sia di tipo naked (presa in prestito di titoli inesistenti per es di MPS per farle crollare, le uniche finora vietate dall’UE) e di quelle piene. Divieto in sostanza di ogni tipo di vendita allo scoperto contro titoli di società italiane quotate alla borsa di Milano.

9.    Abolizione del CICR (è l’ufficio di controllo occulto di Banca d’Italia)

10. Conferire il potere ISPETTIVO  sia a Banca d’Italia che alla Consob, in aggiunta a quello di vigilanza  

11. Separare la Consob dal controllo di Banca d’Italia al fine di avere un organo ispettivo indipendente. Possibilità anche per la GDF e per la Polizia di Stato di compiere ispezioni in materia finanziaria, in materia di borsa.  

12.  Divieto per famiglie, imprese ed enti locali italiani di sottoscrivere derivati sulla valuta(=abolizione del DPR n.556/1987 emesso su proposta del Ministro del Tesoro Giuliano Amato) e derivati sul tasso (=abolizione del D.M. del Tesoro n. 44 del 18  febbraio 1992 firmato  da Mario Draghi)

13. Divieto al Governatore di Banca d’Italia di variare il tasso ufficiale di sconto (abolizione della L.n. 82 del 7 Febbraio 1992) al fine di evitare le truffe sui derivati sul tasso 

14. Divieto di anatocismo nei conti correnti, leasing, mutui, prestiti con cessione del quinto e in ogni altra forma di prestito  

15. Abolizione del piano di ammortamento alla francese, lecito solo il piano di ammortamento all’italiana (quote capitali sempre uguali).  

16. Divieto di usura oggettiva (supero tasso soglia) e divieto di usura soggettiva (supero tasso medio). Introduzione della rilevanza immediatamente penale anche del supero del tasso medio indipendentemente dalla situazione di difficoltà economica-finanziaria del soggetto cliente

17. Abolizione della disciplina fondiaria ex art 38 e seg.  TUB 

18. Riforma del Tribunale delle Esecuzioni immobiliari sulla prima casa e sull’immobile sede dell’attività: divieto di esecuzione immobiliare sulla prima casa e sulla sede dell’attività, obbligo di prolungamento del mutuo, in caso di difficoltà,  ad un tasso massimo pari al tasso d’inflazione. Divieto di neutralizzazione del Fondo Patrimoniale (è una figura giuridica prevista dal 1936 a tutela della famiglia italiana).   

19. Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3 immobili) in soggetti posti in qualsiasi ruolo e funzione del Tribunale addetti all’esecuzioni immobiliari e nella sezione fallimentare.

 Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3 immobili) nell’avvocato e dottore commercialista della curatela fallimentare, dei sequestri immobiliari e quali procuratori per le banche nelle  esecuzioni immobiliari e nel custode  e nel  notaio delle esecuzioni immobiliari

20. Creazione della Procura Nazionale contro i Reati finanziari commessi da soggetti speculatori esteri, con distaccamento in ogni DDA, collegata all’INTERPOL e per la prevenzione di attentati terroristici e jihadisti da parte dei fondi speculatori atti a riottenere il controllo privato delle banche italiane e dell’Ente dell’Energia italiano

21. Obbligo di almeno cinque  Parlamentari di ogni  forza politica di partecipare all’ Assemblea Annuale di Approvazione del Bilancio delle banche italiane azioniste di maggioranza di Banca d’Italia, in quanto vero governo del sistema e termometro della salute del paese

Attraverso queste essenziali riforme l’Italia potrà riprendere quel ruolo che la DC seppe garantirle in passato e uscire dalla grave crisi nella quale una classe dirigente, in larga parte incompetente e orientata su una deriva nazionalista e populista, l’aveva condotta in gravissimo isolamento politico e strategico europeo e internazionale, prima che Conte e Draghi rimediassero nel merito.

Sarei curioso di conoscere l’opinione di Prodi e del PD, e, soprattutto, del premier Draghi su questi punti, senza i quali ogni progetto di riforma non sarà in grado di affrontare i nodi strutturali che condizionano l’economia e la finanza italiana.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 20 Settembre 2021


Come riprendere il cammino

 

 

C’è un grande fermento al centro, alla ricerca di un punto di equilibrio che, dopo la fine della DC, manca nella politica italiana. Ci stiamo provando noi della DC guidata da Renato Grassi, dopo la sentenza della Cassazione n. 25999 del 23.12.2010 ( “ la DC non è mai stato giuridicamente sciolta”). Prima con Fiori, Lega, Darida, Alessi e il sottoscritto, insieme a Leo Pellegrino, instancabile nel perseguire la rinascita del partito; poi con Gianni Fontana e tanti altri amici sino alla segreteria attuale di Grassi. Il nostro percorso (2012-2021) è stato ostacolato dalle iniziative di alcuni ben noti “sabotatori seriali”, alcuni dei quali esecutori di mandanti non estranei agli illeciti perpetrati negli atti finali dell’esperienza democratica cristiana. Illeciti mai giudicati e sanzionati. Lo stanno tentando gli amici di “Insieme”, anche se non mancano le divisioni al loro interno tra la linea di Infante e quella di Tarolli. Abbiamo rilanciato il tentativo con l’amico Peppino Gargani, attraverso la Federazione Popolare dei DC, sperimentando, ahimè ancora una volta, la posizione equivoca di Cesa e dell’ UDC;  un partito oggi dominato dal sen De Poli, eterna costola subalterna di Forza Italia e della Lega nel Veneto come a Roma. Anche “ il miglior fico del bigoncio”, Gianfranco Rotondi, da sempre inserito da democratico cristiano nel gruppo di Forza Italia, sta tentando l’ardita sperimentazione della nascita di una possibile convergenza tra ciò che rimane della Balena bianca con l’area dei Verdi italiani, sul modello dell’alleanza esistente tra la CDU e i Verdi tedeschi. Non mancano fermenti nell’area degli ex DC che, fatta l’esperienza nel PD, stanno vivendo un momento di sofferta riflessione in Rete Bianca, convinti, come loro sono, sicuramente della necessità di una ricomposizione della nostra area, sempre, però, fondata sul primato di una collocazione a sinistra, anche se non sono più chiari, a loro come a tutti noi, gli elementi di identità del partito di Enrico Letta, dopo la sofferta e complessa camaleontica trasformazione da PCI, PDS, DS, Ulivo, Margherita, PD. Ho cercato, invano, di indicare nella condivisione di una proposta programmatica ( Camaldoli 2) la base di una possibile ricomposizione dell’area cattolico democratica e cristiano sociale, avanzando alcune idee sul piano della politica economica e finanziaria che, ritengo, essenziali per qualsivoglia progetto riformistico credibile nella condizione di sovranità limitata monetaria e popolare del nostro Paese. Partire dalle alleanze, come ho scritto più volte, non facilita, anzi ostacola il progetto.

Anche il Cavaliere è ridisceso in campo con l’ultima intervista rilasciata al giornale di famiglia, tentando di ripresentarsi come elemento di continuità, nientemeno, dell’esperienza degasperiana. Ci aveva provato un’altra volta, riuscendovi, come suggeritogli dagli amici scomparsi, Sandro Fontana e don Gianni Baget Bozzo, che gli indicarono l’entrata nel PPE, forte, in quegli anni, di una rappresentanza consistente di voti in sede nazionale ed europea. Ora, con Forza Italia stretta nella morsa del centro destra che dalla guida di Salvini sta diventando sottoposta a quella estrema della Meloni e di Fratelli d’Italia, lo sforzo di Berlusconi sembra al limite del patetico, nell’impossibile sogno di una sua elezione al Quirinale, per il quale anche una riverniciatura dorotea potrebbe servire alla causa. Devo onestamente ammettere che, dopo tanto combattere, sono stanco e sfiduciato, ancorché sempre interessato a concorrere al progetto di ricomposizione dell’area cattolico democratica e cristiano sociale. Un progetto che continuo a ritenere indispensabile per ricostruire un centro laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori: De Gasperi, Adenauer, Monnet e Schuman, alternativo alla destra nazionalista e populista e alla sinistra senza identità. Sono ancor più convinto che per realizzare questo progetto sia necessario che tutti i vecchi attori, compresi quelli della mia generazione, molti dei quali responsabili delle difficoltà sin qui riscontrate, facciano non uno, ma anche due passi indietro e che il testimone della migliore tradizione politico culturale DC e popolare, venga assunto da una nuova generazione alla quale noi dovremmo limitarci a fornire dei buoni consigli. Diversi tentativi sono stati compiuti, sin qui senza successo, cercando di rispettare statuti e regolamenti delle diverse realtà dei partiti e associative dell’area. Penso che, allo stato degli atti, sarebbe molto più opportuno, utile ed efficace organizzare un’Assemblea Nazionale aperta a tutti coloro che, firmando un apposito documento, si riconoscono nei valori, nella storia e nei programmi della DC e nel decalogo etico sturziano. Superando tutte le oligarchie, i centri di potere e i giochi delle tessere che si sono sin qui riproposti e  con un regolamento semplice che consenta l’emergere di una nuova classe dirigente. Ritengo, infatti, che ci siano ancora molti democratici cristiani e popolari in Italia, i quali attendono solo di essere chiamati da protagonisti a decidere come riprendere il cammino.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 1 Settembre 2021

 

Il decalogo del buon politico di Luigi Sturzo

 

1. È prima regola dell’attività politica essere sincero e onesto. Prometti poco e realizza quel che hai promesso.

2. Se ami troppo il denaro, non fare attività politica.

3. Rifiuta ogni proposta che tenda all’inosservanza della legge per un presunto vantaggio politico.

4. Non ti circondare di adulatori. L’adulazione fa male all’anima, eccita la vanità e altera la visione della realtà.

5. Non pensare di essere l’uomo indispensabile, perché da quel momento farai molti errori.

6. È più facile dal No arrivare al Si che dal Sì retrocedere al No. Spesso il No è più utile del Sì.

7. La pazienza dell’uomo politico deve imitare la pazienza che Dio ha con gli uomini. Non disperare mai.

8. Dei tuoi collaboratori al governo fai, se possibile, degli amici, mai dei favoriti.

9. Non disdegnare il parere delle donne che si interessano alla politica. Esse vedono le cose da punti di vista concreti, che possono sfuggire agli uomini.

10. Fare ogni sera l’esame di coscienza è buona abitudine anche per l’uomo politico.



Appello all’unità

 

Cari amici, 

diciamocelo apertamente stiamo vivendo un tempo, ormai da diversi anni, per alcuni da decenni, di particolare sconforto prossimo alla rassegnazione, constatando  come la lunga diaspora della nostra area DC e cattolico democratico e cristiano sociale, lungi dall’essere in via di superamento, continua in una lacerante frammentazione irragionevole e suicida.

Proviamo tutti insieme a vedere ciò che ci unisce e poi eventualmente a vedere ciò che ci divide. 

Prima di tutto esaminiamo la cultura dalla quale tutti noi Democristiani e Popolari proveniamo:  i principi del Popolarismo, del Cattolicesimo  democratico, della Dottrina Sociale della Chiesa per un aggiornamento che serva per un grande progetto politico. 

Formuliamo a tutti Noi questa domanda: e’ ancora possibile in Italia pensare cristianamente il futuro della società e contribuire a costruire con laicità degasperiana la Polis, la città dell’Uomo?

Non basta voler rivendicare di essere i continuatori della DC storica e del suo simbolo per attrarre milioni di persone a dare il loro consenso elettorale 

Formuliamo prima a tutti noi questa domanda: e’ ancora possibile in Italia pensare cristianamente il futuro della società e contribuire a costruire con laicità degasperiana la Polis, la città dell’Uomo?

La risposta a questa  domanda l’ha data nel 2020 il C.S. della Fondazione Democrazia Cristiana/Fiorentino Sullo formato da 89 esperti, nelle più diverse discipline professionali, distribuiti in Gruppi di Lavoro di 22 Aree tematiche che corrispondono alle funzioni dei Ministeri e dei settori di attività più ricorrenti nella società: https://www.fondazionedemocraziacristiana.it/

Il C.S. è composto anche da tre Membri Emeriti: Alberto Alessi, Achille Colombo Clerici, Giuseppe Nisticò 

Ci si chiederà: qual è la Mission culturale del Comitato Scientifico?

La risposta è quella che abbiamo dato alla domanda iniziale: Noi del Comitato Scientifico pensiamo che sia possibile fare Politica da Cristiani per il miglioramento del Bene Comune, come accadde, dopo la 2^ Guerra mondiale, con la Vision della Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi 

Pensiamo che per il futuro dei giovani, dei Millennials e per lo sviluppo della società italiana che loro governeranno sia necessario e urgente promuovere e sviluppare un’ampia cultura che possa sostenere la Visione di un progetto politico che non sia improvvisato e superficiale, né legato al semplice leaderismo di un politico di destra, di sinistra, del sovranismo e dell’emozione di milioni di followers seguendo gli slogan di comici e avvocati azzeccagarbugli. 

Serve un progetto fondato su una cultura ampia e non superficiale che sia radicata nei cittadini, nel popolo italiano, fondata su principi di un pensiero forte e comune, basata  su valori fondanti, laici e cristiani. 

Valori di moderazione e di riforme, ma con un ‘amalgama ed etica condivisa per poter affrontare le grandi difficoltà sociali, economiche, esistenziali della globalizzazione, ma anche per saper utilizzare le grandi opportunità delle innovazioni tecnologiche dell’era digitale.

Noi del Comitato Scientifico proponiamo e promuoviamo questa Cultura, basata sui seguenti Pilastri:

- Umanesimo integrale: al centro vi sono Persona e Dignità

- Dottrina Sociale della Chiesa, con le Encicliche dei Pontefici, dalla Rerum Novarum di Leone XIII°, alla Populorum Progressio di Paolo VI°, alla Laborem Exercens di Giovanni Paolo II°, alla Caritas in Veritate di Benedetto XVI°, alla Evangelii Gaudium e alla Laudato Si’ di Papa Francesco

- Popolarismo e Personalismo. I Testimoni che hanno fatto diventare nel 1987 l’Italia la V^ Potenza industriale nel mondo

- Ecologia integrale ed Etica ecologica, con il riferimento ai contenuti della Enciclica Laudato Sì

- Costituzione della Repubblica Italiana

- CEDU (Carta Europea dei Diritti Umani)

Noi promuoviamo e sviluppiamo questa Cultura nei giovani e nei Millennials (nati dal 1980 al 1920) e nella società, per contribuire a favorire la costruzione di progetti politici che si ispirino a questi principi per migliorare realmente le carenze di Bene Comune e di Etica nella società.

Oggi, stiamo ancora scontando la grave emergenza economica intervenuta a seguito dei DPCM e delle scelte del Governo giallo-rosso (M5S+ PD) di Giuseppe Conte e per fortuna l’arrivo di Mario Draghi, peraltro un neo liberista internazionale, con il Gen. Figliuolo hanno contenuto gli effetti della pandemia Covid19 con un’efficace piano di vaccinazione e decisioni, meno filo cinesi e più atlantiste, per favorire la ripresa economica. 

In queste fasi di crisi, vogliamo richiamare  l’insegnamento dei grandi Testimoni Italiani del Popolarismo e della Democrazia Cristiana: Don Luigi Sturzo, Alcide de Gasperi, Amintore Fanfani, Aldo Moro, Carlo Donat Cattin, Albertino Marcora, Mariano Rumor,Remo Gaspari, e altri Statisti che hanno dimostrato che è possibile “Servire la Politica e non servirsi della politica” (Luigi Sturzo 101 anni fa).

Allora quale può essere la soluzione politica, ci sembra che riunire assieme un un’unica DC tutti i Democristiani non sia la soluzione ne’ per la comunicazione di massa ne’ per la praticabilità. Oggi i Millennials sono più propensi al termine Federazione e per noi la Federazione Popolare dei DC  ha rappresentato e rappresenta il tentativo più concreto di ricomposizione di tutti i Democristiani (almeno  le quattro componenti che fanno riferimento a: Grassi- De Simone- Luciani- Sandri) ; tentativo al quale le posizioni di rendita lucrate dall’UDC a guida depoliana, hanno sin qui impedito di decollare in maniera positiva.

Io e l’amico  prof Antonino Giannone, Presidente del Comitato Scientifico ci permettiamo di rivolgervi un ultimo appello affinché tutte le diverse anime che fanno riferimento alla DC si ritrovino in un incontro a Roma per definire le condizioni, termini e modi per la celebrazione di un Congresso DC di ricomposizione politica da farsi entro ottobre p.v.

Esso potrebbe essere propedeutico a un’assemblea costituente più ampia da compiersi con tutti gli amici dell’area più vasta cattolico democratica e cristiano sociale  (Insieme, Rete Bianca, Associazioni, Movimenti fino alla recente Associazione promossa da Gianfranco Rotondi Verde e’ Popolare). In pratica l’amalgama comune di partenza dovrebbe essere la Cultura di base dei 6 Pilastri da condividere  

In questo modo la Federazione Popolare con la DC ricomposta da tutte le componenti potrebbero-dovrebbero organizzare liste unitarie di ispirazione DC e Popolare alle prossime elezioni politiche. L’assemblea costituente servirebbe per redigere il programma dei DC e Popolari per l’Italia del XXI^ secolo e per l’elezione della nuova classe dirigente

Ci sembra quindi appropriata al nostro tempo la frase di Aldo Moro presa dal suo ultimo discorso ai Gruppi Parlamentari nel 28 febbraio 1978, pronunciata prima di essere rapito dalle Brigate Rosse e poi barbaramente ucciso. Moro è rimasto un martire cristiano in Politica, un esempio morale per il futuro delle giovani generazioni dei Millennials e della società italiana:

 “Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà… Camminiamo insieme perché l’avvenire appartiene in larga misura ancora a noi”.

Per concludere : siamo tutti in Cammino per realizzare una nuova Civiltà dell’Amore, come ci hanno più volte richiamato a fare i nostri Pontefici. 

Ritroviamo la nostra unità politica di Cattolici, senza aggettivi, e Democristiani non pentiti in cammino verso la  meta comune e finale per tutti e che e’ più vicina per noi più Anziani 

- Ettore Bonalberti

Presidente ALEF 

Membro Comitato Politico Federazione Popolare dei Democristiani

Vice Segretario Democrazia Cristiana  

- Antonino Giannone.

Professore di Leadership and Ethics. 

Presidente Comitato Scientifico Fondazione Democrazia Cristiana/Fiorentino Sullo

Membro della  Direzione Nazionale DC 

 

Roma, 12 Agosto 2020

 

Un “preambolo” oggi, ma con chi e perché?

 

Leggere la nota di Giorgio Merlo su “ il domani d’Italia” del 19 Luglio titolata: “Adesso serve un nuovo “preambolo”. Contro  i populismi”, mi fa tornare alla mente quella mattina del Febbraio 1980 a Roma,  attorno all’altare della chiesetta sconsacrata dell’ex Convento della Minerva,  sul quale Carlo Donat Cattin scrisse di pugno con la sua stilografica quello che passerà alla storia politica italiana, come “il preambolo Donat Cattin”. Eravamo presenti: Sandro Fontana, Emerenzio Barbieri, Luciano Faraguti, Pino Leccisi, e il sottoscritto, ancora incerti sul risultato di quell’autentica sortita del capo, che avrebbe segnato la conclusione vittoriosa del XIV Congresso nazionale della DC per l’area che si opponeva all’alleanza con il PCI.

 

Quella conclusione, da un lato, permise la ripresa della collaborazione di governo col PSI ,PSDI e PRI, garantendo alla DC più di dieci anni di guida del Paese. Essa segnò anche, però, la rottura dolorosissima della nostra corrente di Forze Nuove e con gli altri amici della Base e morotei, che, come giustamente ricorda Merlo, non si sarebbe più rimarginata e continua a influenzare molte delle scelte differenti tra le schegge sparse della diaspora democristiana, comprese le diverse sistemazioni dei molti dei personaggi sopravvissuti a destra e a sinistra delle attuali forze politiche.

 

Merlo propone di redigere un nuovo manifesto, un “preambolo politico anti populista per la salvaguardia e conservazione della nostra democrazia”. In sostanza, un preambolo in chiave anti M5S e anti Lega, con un chiaro riferimento critico  alle scelte politiche indicate per il PD da Zingaretti prima e ora da Enrico Letta. E’ arduo proporre modelli di soluzioni politiche validi per tempi profondamente diversi, come quelli dell’Italia degli anni’80   con quelli attuali. Quando Donat Cattin propose il preambolo, al di là  delle difficoltà interne al partito, superate con un‘indicazione che non poteva non far breccia, come infatti accadde, nel corpo grosso doroteo moderato della DC, esistevano le condizioni politico parlamentari per un’alternativa al “governo della solidarietà nazionale”, che il PSI, il PSDI e il PRI seppero immediatamente cogliere, partecipando a  una formula di governo che sopravvisse, tra alterne vicissitudini, sino al 1992.

 

Non nutro particolari simpatie per il movimento-partito degli ex “vaffa”, anche se stimo quanto il presidente Giuseppe Conte ha saputo realizzare, sia nella prima fase di lotta alla pandemia, che nell’azione condotta per il riconoscimento dell’UE delle risorse del Recovery fund. Una positiva azione che, mi auguro, Conte sappia continuare, ora che ha assunto la guida del M5S in condominio col garante Grillo. Sono, in ogni caso, interessato a comprendere le ragioni che hanno portato oltre il 32% degli elettori a garantire ai grillini nel 2018 la maggioranza  relativa nell’attuale parlamento. Inesperienza, errori e nel clima di trasformismo parlamentare dominante, transumanze incomprensibili a destra e a sinistra, al di là del discredito accumulato dagli esponenti cinque stelle, non eliminano, infatti, le ragioni, le motivazioni dei voti a  loro dati, da larga parte delle classi popolari e dei ceti medi produttivi. Ragioni e motivazioni, che non sono venute meno, ma, probabilmente si sono  aggravate sul piano sociale ed economico, dopo questo lungo periodo della  pandemia. Mi domando, allora: ipotizzare come fa l’amico Merlo, un manifesto sostanzialmente anti M5S, quale alternativa politica reale propone, se, come credo,  ovviamente si esclude quella  di un centro destra sempre più baldanzoso e a netta dominanza leghista dell’estrema meloniana?

 

Alla fine, il problema ritorna inevitabilmente agli orientamenti e alle scelte politiche di un centro da tutti noi auspicato, nel quale un ruolo decisivo dovrebbe essere assunto da esponenti dell’area cattolico democratica e cristiano sociale. Un centro, però, che sino a oggi, non sembra ancora in grado di decollare. E’ vero che il tema delle alleanze, come sosteneva Martinazzoli, è sempre stato centrale nella politica italiana, ma la questione rimane: prima delle alleanze bisognerebbe concorrere a costruirlo il centro, un progetto che con altri amici, su diverse posizioni, inseguiamo da molto tempo, ma che, sinora, sembra ancora un miraggio.

Ho scritto più volte che partire dalle alleanze non facilita il perseguimento dell’obiettivo; prima ritroviamoci su un programma in grado di dare risposte alle attese del terzo stato produttivo e della povera gente con proposte ispirate ai principi della dottrina sociale cristiana e a politiche economiche a quelli dell’economia sociale di mercato e dell’economia civile; riunifichiamo politicamente la nostra area cattolico democratica e cristiano sociale, e allarghiamoci a quanti, ambientalisti e riformisti sono interessati a condividere con noi la difesa e l’attuazione integrale della Costituzione. Anche per questo, certo, ci vorrebbero uomini come Donat Cattin, Marcora e Bisaglia, ma, ahimè, loro non ci sono più  e allora,  pur con tutti i nostri limiti, spetta a noi, se ancora ci crediamo, portare avanti il progetto.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 21 Luglio 2021

 

Ultimi appelli all'unità

L'amico On Mario Tassone ci ha inviato ieri, 18 Luglio, la seguente lettera:

I primi di giugno avevo rivolto un appello al segretario e al presidente dell’Udc, Cesa e De Poli, perché l’Udc ritornasse alle ragioni di fondo della sua costituzione avvenuta il 2 dicembre del 2002: unire movimenti, formazioni ed esponenti politici che si ispirano alla Democrazia Cristiana e al popolarismo sociale. Proponevo, anche, che l’Udc ritornasse al nome originario: Unione democratici cristiani e di centro modificato senza che intervenisse alcuna decisione congressuale e degli organismi di partito. Oggi è il tempo di riprendere il cammino, preservare l’originalità del progetto del dicembre del 2002, impedire che la nostra storia con il simbolo dello scudo crociato scompaiano sotto i colpi di un opportunismo che non rende onore a tanti sacrifici e mortifica tante attese. (Di seguito il testo della mia sollecitazione per avere una risposta che non ho avuto)

Carissimi Lorenzo e Antonio, giorni or sono avevo fatto un appello accorato per ritornare all’originale progetto politico dell’Udc, del dicembre del 2002. Ripropongo con forza il mio appello per ricomporre antiche fratture e ritrovarci assieme per occupare lo spazio che storicamente appartiene ai cristiani democratici e al popolarismo sociale. L’Udc aveva raggiunto risultati politici ed elettorali importanti in un crescendo di attenzione. Un’area moderata,di centro prendeva corpo dando rappresentanza e voce ai ceti produttivi, al variegato mondo del volontariato, dei giovani, delle donne. Fu una risposta dopo il crollo della D.C., fu una scelta perché valori, principi trovassero robusti riferimenti. Fu una grande sfida perché una storia con il suo bagaglio di conquiste civili,non fosse consegnata all’oblio. Un Partito non evita il suo snaturamento con scelte opportuniste che ne impediscono le virtuose visioni del futuro. Se un Partito non pensa,non mobilita,non suscita entusiasmi, se smarrisce il senso della sua storia,se rinuncia alla propria autonomia e si accontenta di essere appendice,non è più tale ma si trasforma in movimento che si svende in una umiliante rincorsa dove prevale il servilismo. Chi porta le insegne di un Partito che costrui materialmente e spiritualmente il Paese, che,uni gli Italiani dopo i disastri,le tragedie delle dittatura e delle guerre, ha il dovere di agire perché un lascito politico e culturale non sia offeso e commercializzato. Chiudiamo una lunga parentesi che ha svuotato l’Udc:il partito della nazione (chi non ricorda Todi, convegno dove volutamente era stato eliminato lo scudo crociato,la proposta di Casini, che liquidava l’Udc e il suo l segretario Cesa,rassegnato come se fosse una vicenda personale e privatistica),l’adesione al governo Letta e la scelta di Monti come esclusivo riferimento del centro e anche nostro. Lo slogan martellante di Casini, non sufficientemente contraddetto, “per Monti,con Monti senza “se”e senza “ma”. Ora io propongo di chiudere quella fase deviante per riprendere il cammino interrotto. Bisogna trovare le soluzioni attraverso la politica cosi come fu fatto per la costituzione dell’Udc. Non è impossibile. Io ci sono con il NCDU,ma ci sono i tanti amici della Federazione Popolare dei democratici cristiani coordinata da Peppino Gargani. Ora è tempo delle decisioni. O si va all’appuntamento con la storia oppure si rimane silenti per non disturbare i potenti. Mi auguro che tutti assieme possiamo ritrovare il gusto della politica e l’orgoglio della appartenenza. Una Assemblea Costituente del prossimo autunno potrebbe segnare la fase della ripresa di un progetto che non può e non deve morire. Nessuno di noi ha il diritto di uccidere un passato che vive in tanti cuori e si proietta nel futuro.Attendo fiducioso una risposta. Sarebbe utile un incontro a breve tra una delegazione dell’Udc e della Federazione popolare dei democratici cristiani. Con i saluti più cari. Mario Tassone


 Questa la mia risposta inviata in data odierna a tutti i soci della Federazione Popolare dei DC



Cari amici,

condividendo l’appassionata nota redatta dall’amico Mario Tassone ricevuta ieri,  vi sollecito ad andare avanti superando i residui opportunismi egoistici che sono stati in larga parte la causa della lunga stagione della diaspora democratico cristiana (1994-2020), la nostra DEMODISSEA. L’idea inseguita da qualcuno di continuare a lucrare sulla rendita di posizione conseguente all’utilizzo elettorale dello scudo crociato, sino a sostenere  l’ipotesi che il nostro glorioso simbolo possa finire nel calderone della destra nazionalista e populista, è assolutamente sbagliata e da contrastare con tutte le nostre forze. Quanti hanno condiviso lo statuto-patto federativo del settembre 2019 e che condividono ancora quel progetto, hanno il dovere di andare avanti senza altri indugi. Le preoccupazioni personali di alcuni amici non possono e non devono più ostacolare la ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale. Peppino Gargani assuma l’iniziativa per la convocazione urgente di un’assemblea generale dei soci della Federazione per preparare tre incontri di programma al Nord, Centro e Sud d’Italia e l’avvio della Costituente del soggetto politico nuovo di centro democratico, popolare, liberale, riformista, ambientalista, europeista, ispirato dai valori della dottrina sociale cristiana, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori: Adenauer, De Gasperi, Schumann, alternativo alla destra nazionalista e populista e alla sinistra senza identità. Non c’é più tempo da perdere e chi pensa di svolgere il ruolo di cavaliere servente della destra italiana insegua il proprio misero tornaconto personale, mentre a noi competerà il dovere di riportare in campo la nostra migliore cultura politica democratico cristiana e popolare con una nuova e giovane classe dirigente.

E’ tempo di scelte non più rinviabili.
Cordiali saluti

Ettore Bonalberti
Presidente ALEF ( www.alefpopolaritaliani.it)

  1. Priorità per il programma

     

    Partiamo dal programma e solo dopo, nell’assemblea costituente del soggetto politico nuovo di centro democratico e popolare, decideremo le alleanze e sceglieremo la nuova classe dirigente. Così ho scritto in alcuni miei editoriali  ( www.alefpopolaritaliani.it), mentre diversi amici ci sollecitano a presentare il programma dei DC e Popolari per il XXI secolo.

    A Roma, al convegno della Federazione Popolare DC di Sabato 19 Giugno, si è avviato il confronto sui temi economico sociali, che continuerà nei prossimi incontri territoriali ( Nord-Centro e Sud) con i mondi vitali, espressione degli interessi e dei valori dei ceti medi produttivi e delle classi popolari.

    Alla vigilia del convegno avevo inviato agli amici del Consiglio nazionale della DC e ai soci della Federazione Popolare DC, un mio ampio contributo programmatico, per la verità, sin qui senza alcun riscontro. Provo a sintetizzare la mia proposta, partendo dalla constatazione che i problemi da risolvere con estrema urgenza riguardano la ricostruzione della Sanità pubblica, la digitalizzazione del Paese, l’edilizia scolastica, la conversione energetica, la sicurezza idrogeologica del territorio. Sono i temi ai quali il governo Draghi dovrà dare soluzione, tenendo presenti i paletti richiesti dall’UE per l’utilizzo delle risorse del recovery fund. Fondi da spendere, come ha dichiarato Draghi martedì 22 all’incontro con la Von der Leyen a Cinecittà:“ con efficienza, efficacia e onestà”. L’unico programma politico che, tuttavia, consentirebbe ancora, dopo 25 anni, lo sviluppo dello stato italiano e della sua classe media (94% della popolazione italiana) e che renderebbe tecnicamente possibile ogni altro obiettivo in qualsiasi altro settore sarebbe il seguente :  

    1.      Obbligo di cessione al Tesoro dello Stato italiano  da parte di Telecom Italia Sparkle della proprietà dei cavi sottomarini,  necessari alla comunicazione intranet dei movimenti elettronici del denaro nel sistema bancario italiano (=abolizione della L.58 del 28 Gennaio 1992 e della Legge n. 35 del 29 gennaio 1992).

    2.    Controllo statale  sulla  raccolta del risparmio tra il pubblico mediante compagnie assicurative  statali = abolizione del DPR n. 350/1985 firmato da Sandro Pertini.

    3.    Obbligo di cessione da parte di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna, Carige e BNL del 51% delle loro azioni al Tesoro dello Stato Italiano  al fine che lo Stato italiano abbia,  con 265 voti su 529, il controllo del 51% di Banca d’Italia (abolizione della L.82 del 7 Febbraio 1992), al fine che Banca d’Italia possa di nuovo dopo 25 anni tornare a vigilare per  impedire truffe sui derivati e su azioni/bond carta straccia, e per impedire anatocismo e usura bancaria.  

    4.    Reintroduzione della Legge Bancaria del 1936 (abolizione del decreto legislativo n. 385/1993) sempre difesa dalla DC e dal governatore Guido Carli:

    5.    SEPARAZIONE TRA BANCHE DI PRESTITO (loan bank) e BANCHE SPECULATIVE (investment bank) : abolizione del d.lgs n.481/1992 firmato da Giuliano Amato, Barucci e Colombo. Automatica re-introduzione della contabilità bancaria esistente prima del 31 Luglio 1992 (abolizione del Provvedimento di Banca d’ Italia del 31 Luglio 1992 firmato da Lamberto Dini al fine di fermare l’evasione fiscale verso i fondi speculatori petroliferi kazari proprietari della City of London)  

    6.    Divieto di prestare denaro creato con un clic elettronico anziché raccolto tra il pubblico

    7.    Riduzione del capitale flottante di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna, Carige, BNL e di ogni altra società italiana strategica quotata in borsa (ENI,…)  dall’attuale 85% del capitale totale, al 15%, al fine di evitare scalate da parte dei fondi speculatori petroliferi kazari.

    8.    Divieto di vendite allo scoperto (divieto di short -selling) sia di tipo naked (presa in prestito di titoli inesistenti per es di MPS per farle crollare, le uniche finora vietate dall’UE) e di quelle piene. Divieto in sostanza di ogni tipo di vendita allo scoperto contro titoli di società italiane quotate alla borsa di Milano.

    9.    Abolizione del CICR (è l’ufficio di controllo occulto di Banca d’Italia)

    10. Conferire il potere ISPETTIVO  sia a Banca d’Italia che alla Consob, in aggiunta a quello di vigilanza  

    11. Separare la Consob dal controllo di Banca d’Italia al fine di avere un organo ispettivo indipendente. Possibilità anche per la GDF e per la Polizia di Stato di eseguire ispezioni in materia finanziaria, in materia di borsa.  

    12.  Divieto per famiglie, imprese ed enti locali italiani di sottoscrivere derivati sulla valuta(=abolizione del DPR n.556/1987 emesso su proposta del Ministro del Tesoro Giuliano Amato) e derivati sul tasso (=abolizione del D.M. del Tesoro n. 44 del 18  febbraio 1992 firmato  da Mario Draghi)

    13. Divieto al Governatore di Banca d’Italia di variare il tasso ufficiale di sconto (abolizione della L.n. 82 del 7 Febbraio 1992) al fine di evitare le truffe sui derivati sul tasso 

    14. Divieto di anatocismo nei conti correnti, leasing, mutui, prestiti con cessione del quinto e in ogni altra forma di prestito  

    15. Abolizione del piano di ammortamento alla franceselecito solo il piano di ammortamento all’italiana (quote capitali sempre uguali).  

    16. Divieto di usura oggettiva (supero tasso soglia) e divieto di usura soggettiva (supero tasso medio). Introduzione della rilevanza immediatamente penale anche del supero del tasso medio indipendentemente dalla situazione di difficoltà economica-finanziaria del soggetto cliente

    17. Abolizione della disciplina fondiaria ex art 38 e seg.  TUB 

    18. Riforma del Tribunale delle Esecuzioni immobiliari sulla prima casa e sull’immobile sede dell’attività: divieto di esecuzione immobiliare sulla prima casa e sulla sede dell’attività, obbligo di prolungamento del mutuo, in caso di difficoltà,  ad un tasso massimo pari al tasso d’inflazione. Divieto di neutralizzazione del Fondo Patrimoniale (è una figura giuridica prevista dal 1936 a tutela della famiglia italiana).   

    19. Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3 immobili) in soggetti posti in qualsiasi ruolo e funzione del Tribunale addetti all’esecuzioni immobiliari e nella sezione fallimentare.

     Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3 immobili) nell’avvocato e dottore commercialista della curatela fallimentare, dei sequestri immobiliari e quali procuratori per le banche nelle  esecuzioni immobiliari e nel custode  e nel  notaio delle esecuzioni immobiliari

    20. Creazione della Procura Nazionale contro i Reati finanziari commessi da soggetti speculatori esteri, con distaccamento in ogni DDA, collegata all’INTERPOL e per la prevenzione di attentati terroristici e jihadisti da parte dei fondi speculatori atti a riottenere il controllo privato delle banche italiane e dell’Ente dell’Energia italiano

    21. Obbligo di almeno cinque  parlamentari di ogni  forza politica di partecipare all’ Assemblea Annuale di Approvazione del Bilancio delle banche italiane azioniste di maggioranza di Banca d’Italia, in quanto vero governo del sistema e termometro della salute del paese

    Attraverso queste essenziali riforme l’Italia potrà riprendere quel ruolo che la DC seppe garantirle in passato e uscire dalla grave crisi nella quale una classe dirigente, in larga parte incompetente e  orientata su una deriva nazionalista e populista, l’ha condotta in gravissimo isolamento politico e strategico europeo e internazionale. Mario Draghi adotterà questi provvedimenti alternativi al dominio del turbo capitalismo finanziario? Ce lo auguriamo, ma, se non per lui, questo, secondo me, dovrà essere il nostro impegno nella politica economica e finanziaria italiana.

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 25 Giugno 2021

     

     

    Condivisione da parte della DC della Nota Verbale della Santa

    Il Segretario Nazionale e i Dirigenti della Democrazia Cristiana manifestano la condivisione della Nota Verbale con cui la Santa Sede ha chiesto "informalmente" al govern0o italiano di modificare il disegno di legge contro l'omofobia.

    Nel linguaggio diplomatico la Nota verbale è una forma di corrispondenza tra Ambasciate e redatta in terza persona timbrata e non firmata.

    La Nota osserva che «alcuni contenuti attuali della proposta legislativa in esame presso il Senato riducono la libertà garantita alla Chiesa Cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato del 1984».

    Il comma 1 assicura «libertà di organizzazione, di pubblico esercizio di culto, di esercizio del magistero e del ministero episcopale».  

    Il comma 3 garantisce «ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». E sono i veri nodi della questione.

    Per questo con grande discrezione la Santa Sede «auspica che la parte italiana possa tenere in debita considerazione le argomentazioni e trovare così una diversa modulazione del testo continuando a garantire il rispetto dei Patti lateranensi».

    La Democrazia Cristiana ritiene che la Santa Sede abbia tutto il diritto di rivolgersi ai propri interlocutori diplomatici a livello istituzionale e che, pertanto, il suo intervento non sia da ritenersi una indebita ingerenza negli affari correnti di uno Stato positivamente laico. Fin quando rimangono consolidati gli Accordi Lateranensi benché rivisti nel 1984… “pacta sunt servanda”!

    Le libertà tutelate dal Concordato Stato-Chiesa sono una preziosa e specifica applicazione di libertà positivamente laiche che sono fondamentali per tutti nell’espressione di visioni e opinioni, nell’insegnamento, nell’organizzazione associativa.

    La Democrazia Cristiana condivide con la Santa Sede la preoccupazione in merito al timore che l’approvazione della legge possa arrivare a comportare rischi di natura giudiziaria.

    La Democrazia Cristiana non chiede in alcun modo che sia bloccato il DDL Zan. La preoccupazione e la richiesta di rimodulazione riguarda i problemi interpretativi che potrebbero derivare in caso di approvazione di un testo i cui contenuti dovessero essere vaghi e prestarsi a differenti interpretazioni e che potrebbero rendere necessario l'intervento della Giustizia in quanto la normativa contempla una rilevanza penale.

    Per questi motivi la Democrazia Cristiana chiede che sia rimodulato e meglio definito l’articolo 1 paragrafi b. e d. laddove si fa riferimento al concetto di “identità di genere” che, come espresso nel DDL, è assai lontano dalla antropologia e dalla psicologia che si rifanno al nuovo umanesimo.

    Analogamente la DC esprime la richiesta di rimodulazione o chiarificazione dell’articolo 7 relativo alle attività da intraprendere in occasione della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia nelle scuole di ogni genere e grado. In questo caso sono chiamati in causa gli organi collegiali delle istituzioni scolastiche, che possono organizzare tale esperienza nei modi che ritengono più opportuni in relazione al progetto educativo della comunità educante stessa. Ma la scuola materna e le prime classi delle elementari esigono una attenzione somma per il rispetto delle emozioni e della vita dei fanciulli.

    Con l’occasione la Democrazia Cristiana auspica per la società politica e per la Chiesa la presenza non solo di laici credenti responsabili e maturi, ma statisti o almeno politici decentemente lungimiranti.

    La Democrazia Cristiana confida nell’intervento del Premier Mario Draghi perché valuti gli aspetti segnalati dalla Santa Sede e quelli, sommessamente, segnalati dalla DC.

     


Una replica fraterna a Teofilo

 

Stavolta la replica viene da uno “spettatore da remoto”, che si presenta con lo pseudonimo di Teofilo (“amico o amante di Dio”) appellativo derivato, probabilmente, dal nome del destinatario del Vangelo di Luca. Credo di riconoscere la sua identità, ma non sarò io a rivelarla, per rispetto della sua scelta di anonimato.

In estrema sintesi nel suo articolo, Teofilo conclude che nell’incontro di Roma dello scorso 19 Giugno: la gatta frettolosa ha fatto i gattini ciechi. O se si preferisce: chi troppo vuolecon quel che segue. Alla fine il progetto della Federazione Popolare DC sarebbe per lui improbabile e tutti dovrebbero riconoscersi nella DC.

Essendo stato il promotore del progetto della rinascita politica della DC nel 2011, grazie all’informativa dell’amico On Publio Fiori sulla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010 ( “ la DC non è mai stata sciolta giuridicamente”), con la raccolta delle firme per l’autoconvocazione del CN della DC, che, in base a quella sentenza, era ancora valido ( raccolta delle firme che fu resa possibile dall’aiuto indispensabile di Silvio Lega, così come essenziale fu l’azione svolta dall’amico Leo Pellegrino in precedenza e anche dopo), mi auguro che Teofilo non mi collochi tra coloro che sarebbero tiepidi o, peggio, contrari a quel progetto. Faccio presente che, dopo quel consiglio nazionale autoconvocato e successiva apertura del tesseramento (anno 2012), si ebbe il rinnovo della tessera da parte di 1748 soci che, grazie all’ordinanza del giudice Romano, costituiscono la base associativa legittima della DC. Il nostro partito è un’ associazione senza personalità giuridica, come tale soggetta alle norme del proprio statuto ( quello del 1992)  e a quelle del codice civile. Immediatamente partì l’azione dei “sabotatori seriali”: chi, interessato soprattutto alla questione del patrimonio immobiliare miseramente e illegittimamente dilapidato da alcuni sciagurati; altri, agenti su mandato di burattinai non estranei alle indecenti manovre della fine del partito. 

Dalla segreteria Fontana siamo giunti a quella di Renato Grassi assistendo alla nascita per partenogenesi di numerose altre DC, come ha ben rappresentato il collega Gabriele Maestri nel suo recente articolo: “ Scudo (in)crociato, ecco perché tutti i tentativi di rifare la DC falliscono”. Un periodo travagliato della nostra Demodissea (1993-2020), che ho descritto nel mio recente libro con ampia documentazione di avvenimenti, documenti, personaggi di quella lunga e dolorosa stagione che anche Teofilo, credo ricordi bene.

Come si sta concludendo quella stagione? Senza avvisaglie di ricomposizione, ma con sacrosante decisioni degli organi di disciplina interni (probiviri) o con i numerosi contenziosi tuttora aperti in tribunale. Il più importante dei quali sarà la decisione sul ricorso presentato dai soliti noti contro l’ordinanza del giudice Romano, ossia l’autorizzazione da lui concessa alla convocazione dell’assemblea dei soci del 2018, nella quale abbiamo eletto segretario della DC, Renato Grassi. Decisione che è rinviata, credo e salvo altri rinvii, entro il mese di Luglio prossimo. E, intanto, la politica italiana va avanti senza che noi si tocchi palla….

Non so, caro Teofilo, chi stia difendendo meglio la nostra tradizione e cultura, in queste condizioni: chi intende sventolare un simbolo che, se anche ci appartiene legittimamente, non è nella nostra disponibilità elettorale, ma in quella di Cesa e accoliti, o chi si pone il problema di come riportare concretamente nelle istituzioni la nostra cultura politica? Poiché alla fine, proprio questo è il compito della politica e dei partiti: rappresentare nelle istituzioni il punto di equilibrio degli interessi e dei valori che, per noi DC e Popolari, sono quelli dei ceti medi produttivi ( agricoltori, artigiani, commercianti, professionisti, piccoli e medi imprenditori) e delle classi popolari (operai, pensionati, cassaintegrati, esodati, disoccupati)  con quelli dei giovani e delle donne e delle persone in condizioni di diversa abilità. Questo è il tema da cui partire nella nostra riflessione che, per quanto mi riguarda, da diverso tempo tento di svolgerlo, convinto come sono che da soli non si va da nessuna parte. Lo dico all’amico Infante, anche lui ex DC, che guida il suo partito “ Insieme”, contraddicendo ciò che l’avvincente avverbio connota, dato che, anziché aprirsi alla collaborazione, intende proporsi come l’autoreferenziale rifugio per tutti, vittima, io credo, del suo orgoglio narcisistico, che non tiene conto nemmeno delle difficoltà presenti all’interno del suo stesso movimento. E anche noi DC, il partito cui mi onoro di appartenere (considerato che mi sono iscritto alla DC nel 1962 ( avevo diciassette anni) e ho rinnovata la tessera sino al 1992-93 e l’ho ripresa nel 2012 e rinnovata poche settimane fa per il 2021) da soli non andiamo da nessuna parte. Ho più volte scritto che se rimanesse l’attuale legge elettorale maggioritaria, i voti potenzialmente disponibili dei DC e Popolari si dividerebbero in tre parti: a destra, a sinistra o nell’astensione; se fosse introdotta una legge di tipo proporzionale sarebbe necessario superare lo sbarramento ( 3 o 4%), ossia servirebbe il massimo di unità della nostra area politico culturale.

Le esperienze fatte sin qui di corse elettorali in solitaria hanno registrato cifre di consenso da prefisso telefonico, a meno che non si avveri la profezia dell’amico Tarolli che, per il suo movimento prevede un ottimistico 5-10%, forte dell’entusiasmo del prof Zamagni, grande e stimato economista, meno affidabile come sondaggista elettorale. Ecco perché, nonostante le insufficienze e i rilievi anche da Teofilo sottolineati, continuo a credere che la DC debba concorrere al progetto della Federazione Popolare dei DC, che potrà e dovrà svilupparsi, alla fine, con chi sarà disponibile a partire proprio dalle prossime elezioni in sede locale.

Caro Teofilo, come ho replicato ad altri amici, anche loro preoccupati della grave situazione che stiamo vivendo: dividerci a suo tempo è stato doloroso e ….facile, ricomporci sarà molto più difficile e complesso, ma dovremmo usare il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà, come ci avrebbe suggerito il mio grande maestro, Carlo Donat Cattin, tenendo sempre presente, accanto ai nostri desideri, ciò che accade veramente nella realtà effettuale.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 24 Giugno 2021

 

 

 

 

 

 

 


Prima tappa importante

 

Prima tappa importante del progetto di ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale quella vissuta ieri a Roma. Dopo molto tempo si sono incontrati i rappresentanti dei diversi partiti dell’area DC con gli amici di Insieme e Rete Bianca, uniti attorno alle indicazioni del “manifesto Zamagni”. Promosso dalla Federazione Popolare dei DC, il tema del convegno era stimolante: La nuova visione del Centro politico, una nuova …… Camaldoli.

Il riferimento storico era all’incontro del Luglio 1943, nel quale i cattolici impegnati nella clandestinità politica formularono i fondamentali della politica economica e sociale dai quali De Gasperi-Demofilo, qualche mese dopo, deriverà le “ idee ricostruttive della DC”.

Molto approfondita la lectio tenuta dal sen Ortensio Zecchino proprio sul tema: da Sturzo in poi, con la dimostrazione di quanto degli insegnamenti sturziani  fu recepito nella DC di De Gasperi, impegnato a dialogare con gli ex  popolari, da un lato,  e con i dossettiani, dall’altro, in una non sempre facile opera di mediazione. Insegnamenti quelli di don Luigi Sturzo che, ha sostenuto Zecchino, appaiono quanto mai ancora attuali nell’odierna situazione politica italiana.

Ampio il dibattito svoltosi nel dialogo tra Giorgio Merlo e Vitaliano Gemelli, così come gli approfondimenti sui temi economici della tavola rotonda condotta dall’On Luisa Santolini, con la partecipazione in remoto del prof Ettore Gotti Tedeschi, che ha affrontato i temi strategici del nostro tempo, tra i valori dell’etica e quelli dell’economia, tra la denatalità e la crescita economica e la risposta che compete ai cattolici in Italia e nel mondo.

Tre le indicazioni, alla fine, emerse dal convegno: quella dell’On Paolo Cirino Pomicino, di rompere ogni altro indugio e procedere speditamente alla formazione del soggetto politico nuovo di centro, il partito, strumento indispensabile per la nostra ricomposizione; quella dell’on Gianfranco Rotondi, che ha annunciato la formazione del movimento “ Verde è Popolare”, per l’allargamento del centro della politica italiana; quella dell’On Lorenzo Cesa, che, confermando la su adesione al progetto di ricomposizione, propone l’apertura dell’UDC a quanti intendono partecipare all’annunciato prossimo congresso nazionale del suo partito.

L’on Gargani, in un dialogo svolto con Rotondi e Cesa, coordinato dal prof Antonino Giannone, ha annunciato la formazione, da farsi in settimana, di un comitato ristretto per concordare le regole necessarie per percorrere le tappe indispensabili per la realizzazione del progetto. Nella tavola rotonda finale, da me coordinata, ho evidenziato la netta scelta di campo operata sia dalla federazione popolare dc, che dalla stessa DC storica guidata da Renato Grassi, di alternatività alla destra nazionalista e populista, come nella migliore tradizione popolare e degasperiana, e la distinzione e la distanza da una sinistra senza identità.  Ho ribadito, altresì, l’opportunità di non premettere la scelta delle alleanze, fattore inevitabilmente divisivo, come lo fu in tutta la storia dei popolari e dei DC, ma di ricercare, intanto, l’unità sui contenuti del programma del partito. Ho anche chiarito che è inaccettabile per noi DC l’indicazione di una sorta di fusione per incorporazione di tutti nell’UDC, come proposto dall’On Cesa, il cui partito, quasi ogni giorno, si dichiara interessato a far parte della federazione della destra italiana, in netta alternativa alle indicazioni espresse da tutti gli altri amici intervenuti. Sia Lucio D’Ubaldo, Ivo Tarolli, Renato Grassi e Mario Tassone, infatti, hanno ben chiarito che debba trattarsi, in ogni caso, di un soggetto politico nuovo, ampio, plurale, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, alternativo alla destra nazionalista e populista, distinto e distante dalla sinistra senza identità, impegnato a difendere e attuare integralmente la Costituzione a partire dall’art. 49 sulla democrazia interna dei partiti. Un tema ripreso dagli interventi di Pasquale Tucciariello a nome degli amici del centro studi Leone XIII della Basilicata e da Dedoni di Oristano, i quali hanno sollecitato la Federazione Popolare dei DC e tutti gli altri movimenti a superare ritardi e rinvii non più  comprensibili e sostenibili in periferia.

Forti i richiami ai temi del prevalere, nell’età della globalizzazione, della finanza sull’economia reale e sulla politica, negli interventi dell’On Paolo Cirino Pomicino, Raffaele Bonanni e Giorgio Merlo e sulla necessità di rappresentare gli interessi dei ceti medi produttivi e delle classi popolari, oggi largamente senza rappresentanza e molti dei quali facenti parte dei tanti renitenti al voto.

Assai interessante l’intervento di Nino Gemelli sui nuovi sistemi della comunicazione oggi in atto nella politica e tra i giovani, e la sua proposta per il sistema di comunicazione e di scelta delle candidature per il nuovo soggetto politico. L’On Gemelli, in particolare, con riferimento al simbolo da adottare si è così espresso: “ penso che dipenda dalle adesioni che si avranno a tale proposta; infatti se l’UDC volesse aderire, si potrebbe usare il simbolo dello “scudo crociato”; se l’UDC non intenderà aderire, allora si potrà adottare il simbolo che il collega Gargani ha registrato sia in Italia che in Unione Europea, a meno che non si intenda adottare il simbolo che ha ideato il collega Rotondi, che vorrebbe evidenziare la svolta ecologista del nostro raggruppamento”.

Molto applaudito, infine, l’intervento di Maria Fida Moro che, con tanta passione, ha assicurato il suo impegno a sostegno del progetto. Ora attendiamo gli sviluppi e le altre tappe: la formazione del comitato preparatorio annunciato da Gargani  e gli adempimenti statutari che competono ai diversi partiti e movimenti interessati; i tre incontri con i mondi vitali del Nord, Centro e Sud, nei quali invitare tutti gli aderenti e simpatizzanti delle diverse formazioni d’area, al fine di costruire dal basso, partendo dai bisogni e dalle attese reali della gente, il programma economico e sociale del nuovo centro della politica italiana ispirato dai valori della dottrina sociale cristiana. Solo dopo si potranno condividere le regole per la convocazione di un’assemblea costituente del soggetto politico nuovo di centro, che ieri ha percorso la sua prima tappa. Imminente banco di prova: le prossime elezioni amministrative nelle grandi città e per il rinnovo del consiglio regionale della Calabria.   Una buona notizia è giunta dall’amico Vincenzo Speziali, che ha confermato l’impegno assunto con Mario Tassone e gli amici della Federazione Popolare Dc per una lista unitaria di tutta l’area in quella regione. Ci auguriamo che analoghe iniziative si possano realizzare a Roma e nelle altre città italiane interessate dal voto amministrativo d’autunno.

 

Ettore Bonalberti

Roma, 20 Giugno 2021

 

 

Il nostro collabooratore esperto di politica estera che si presenta con lo pseudonimo di "Orizzonte" ci ha inviato l'allegata nota utile alla comprensione dell'oggi e dei rapporti internazionali.

Da un recentissimo saggio un contributo alla comprensione dell’oggi e dei rapporti internazionali

di Orizzonte

 

C’è un interessante saggio, appena uscito in libreria (Marzo 2021, editore Piemme), che può aiutarci a meglio comprendere le dinamiche dei rapporti internazionali attuali, al di là di una visione strettamente focalizzata su singole aree geografiche.

Sto parlando di “Vulnerabili: come la pandemia sta cambiando la politica e il mondo” del professor Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica.

La constatazione iniziale è che questa tragica pandemia ci ha fatto riscoprire completamente fragili come esseri umani viventi. Tutto lo sforzo da Nietzsche in poi, ma, forse, da ancor prima, con Comte ed il positivismo (1800), di elevare l’uomo a dominatore senza limite non solo della realtà naturale, ma anche di se stesso, attraverso il potenziamento della tecnica utilizzata dalla scienza, è stato terremotato (dei rischi della tecnica, intesa lato sensu, ne hanno parlato più volte Heidegger, Severino e Cacciari in illuminanti saggi). Improvvisamente ci siamo trovati smarriti dinanzi a ricercatori medici e biologi che non avevano né conoscenze, né risposte da dare immediatamente per salvare vite umane.

Il dire semplicisticamente che si ha fiducia nella scienza non basta, occorre anche aggiungere che la scienza procede per gradi e per errori, proprio perché umana e richiede il tempo necessario a fare ricerche e sperimentare farmaci. Chi pensava di vivere in un Eden nel quale ci fosse sempre pronta la soluzione razionale immediata scientifica ad ogni problema si è dovuto ricredere. Non è così.

Parsi, però, va oltre e si spinge a dire che noi umani siamo diventati le catene di informazioni, denaro e merci, pensate per le cose e non per le persone stesse. Questa osservazione acuta e veritiera (che apre uno squarcio sulla globalizzazione così veloce attuata grazie anche alla rete web) imporrebbe riflessioni più filosofiche antropologiche, che (le ormai abusate e insufficienti) economiche, su che cosa noi vorremmo che fosse il nostro sistema di vita, la nostra società, le relazioni fra i nostri simili.

La creazione di “catene del valore” concepite soltanto per abbattere i costi e per vendere più prodotti, accrescendo legittimi profitti, si è scontrata con il limite di un virus che è stato combattuto, nonostante il progresso, con sistemi ancora di 400 anni fa: col distanziamento sociale, con il confinamento in casa, con la interruzione di rapporti fisici umani, con il crollo dei consumi che ha innescato una caduta del Pil mondiale e di quello italiano, nel 2020, pari a 10 punti.

Anche in tal caso, forse, dovremmo porci una semplice, quanto banale (eppure in 16 mesi di cose dette in estenuanti conversari televisivi non l’ho mai ascoltata), domanda: è possibile un mondo concepito economicamente solo sulla domanda di beni (consumismo di massa) per cui quando questa cessa improvvisamente, per eventi imprevisti, ci ritrova alla fame, con aziende che chiudono, gente che perde salario e lavoro, crollo degli investimenti, sfiducia e tutte le nefaste conseguenze che abbiamo sotto agli occhi?

Non è una impalcatura che la storia recente e l’esperienza ci hanno già insegnato essere troppo fragile?

Non l’abbiamo compreso con la crisi del 1929, con quella del 2008-2010?

Pare di no. Tutti continuano a dare per scontato che questa architettura, del tutto in bilico, debba continuare.

Chi, se non politici veri e colti possono, con l’aiuto anche di neuroscienziati e filosofi (sì, proprio di filosofi e studiosi del cervello e delle sue ancora ignote dinamiche che creano paure, riflessi condizionati - che incidono sul comportamento in economia - e non solo di economisti! Perché occorre gente che sappia fare collegamenti interdisciplinari, che abbia la capacità di analizzare, ma anche di astrarsi dall’oggetto della ricerca e di inventarsi nuovi rapporti sociali, nuovi modi per essere comunità. Gente flessibile e creativa e conoscitrice dell’uomo in se stesso, prima ancora che come homo oeconomicus) elaborare alternative a questa?

Abbiamo bisogno di grandi intellettuali in politica, oggi più di 40 anni fa! Il tecnicismo specialistico è utilissimo in certe applicazioni pratiche, ma incapace di emergere al di sopra del tema trattato. Occorre uno sguardo creativo d’insieme, una riprogettazione politica, con la “P” maiuscola. Leggiamoci la settima lettera di Platone rivolta a Dionisio II di Siracusa. Necessitiamo di quel ruolo così antico e così moderno (pensiamo a Rousseau, a Tocqueville) in questa fase storica.

Ebbene, ritornando al saggio, l’autore, criticando lo smantellamento del sistema sanitario pubblico, che ci ha privato di quella assistenza così agognata in questi mesi e così universale e, così, diciamolo pure, civile rispetto a stati che non ce l’hanno, afferma che “Questo modello fondato su una ricerca del profitto e della efficienza a qualunque costo, la cui forza sembrava in grado di macinare qualunque opposizione, si è dimostrato vulnerabile proprio a partire dal fattore critico per definizione, quello umano. Il sistema in cui la competizione è tra chi nella produzione apporta danaro, organizzazione e comando e chi apporta lavoro, tempo e fatica si è incagliato proprio quando un virus sconosciuto ha intaccato non le reti informatiche, ma quelle biologiche degli esseri umani”.

Parsi si augura che al centro vada rimesso l’uomo con la sua dignità e la sua protezione e questo auspicio pienamente condivisibile non può non implicare aspetti valoriali e filosofici che stanno a monte dell’economia, nella consapevolezza che l’economia è un aspetto del comportamento umano, uno solo, uno dei tanti e che quando si cerca di riprogettare una convivenza, ideando nuovi modi di essa, l’economia ne risulterà necessariamente riplasmata.

Fino alla esplosione della pandemia si era imposta, scrive il docente, “in maniera egemonica una visione asfittica del liberalismo che sempre più ha teso a presentarlo …come una ideologia volta a giustificare la superiorità assoluta e definitiva del mercato su qualunque altra forma di organizzazione della società. Non sono bastate le crisi finanziarie…perché mentre si parlava di concorrenza, mercato e libertà si adottavano misure a favore dell’oligopolio, degli operatori più forti nel mercato e delle concentrazioni finanziarie”.

Da ciò traluce l’esigenza di governare l’iper globalizzazione (che, comunque, con la sempre più aspra contesa fra Usa e Cina non potrà più espandersi come prima, salvo determinare la caduta dell’egemonia americana, il che causerebbe, come effetto immediato, la caduta del valore del dollaro), riportando il controllo di essa in capo ai governi democraticamente eletti.

L’illusione che il mercato globale (associato alla rivoluzione informatica) espungesse le tensioni proprie della dimensione del potere politico si è rivelata tale, dal momento che, come ben noto agli studiosi di antitrust (ma sarebbe bastato conoscere Karl Schmitt), all’interno del mercato emergono sempre raggruppamenti che, per forza acquisita, possono sconfinare da esso e rendersi oligarchia imperante sulla società.

Il tema è ben noto da tempo immemore nella filosofia e nella storia della Grecia antica: pensiamo a Crizia ed al regime dei Trenta tiranni (400 A.C.). Per questo sostengo la necessità di riscoprire la filosofia anche come agire politico, pratico, per nulla esclusivamente speculativo, che tratta alla radice i temi grandi della esistenza umana. Senza comprenderli, non possiamo riprogettare la società, poiché saremmo ciechi dinanzi a questo compito, prigionieri del solo nozionismo tecnico specialistico. La grande Politica è sguardo d’insieme, visione generale.

Parsi evoca tre diversi scenari internazionali futuri che chiama, simbolicamente, : Restaurazione, fine dell’Impero Romano d’occidente e Rinascimento.

Restaurazione. Il riferimento è al famoso Congresso di Vienna del 1815 (la storia è ingrediente sempre necessario in chi si occupa di politica estera) che riorganizzò l’ordine europeo dopo i mutamenti della rivoluzione del 1789 - 1799 e l’ascesa e caduta di Napoleone I.

Ci si illudeva di ritornare al mondo di prima. Così non fu. Sbocciò un cigno nero: i moti davvero liberali (che di economico nulla avevano, ma di anelito alla libertà politica tutto) che sconvolsero quei piani e diedero i natali all’Italia nel 1861 e alla Germania unificata nel 1871 (dopo una sconfitta pesantissima inflitta alla Francia).Seguendo questo scenario, si dovrebbe riprendere la globalizzazione, anche se in forme assai più ridotte; la Cina e gli Usa continuerebbero ad oscillare fra cooperazioni interessate in aspetti economici e finanziari ed ostilità crescente, invece, sul piano del dominio territoriale. Pechino dovrà rinunciare ad alcune parti della sua via della seta ed incrementare i consumi nazionali per diminuire la dipendenza dalle esportazioni verso Usa, India e UE. La UE resterà a dominanza tedesca, anche senza Frau Merkel, con orientamenti più spiccatamente indipendenti nel dialogo con Cina e Russia.

Fine dell’impero Romano d’occidente. Parliamo della data ufficiale: il 476 d.c. deposizione di Romolo Augustolo da parte di Odoacre. La deglobalizzazione potrebbe accentuarsi, se la risposta al virus non sarà tempestiva con terapie efficaci e vaccini sufficienti. La paura potrebbe estendersi (entrano in gioco prepotentemente aspetti di psicologia sociale che condizionano la economia), il consumo rallentare, le relazioni sociali farsi diffidenti, alterando il comportamento di milioni di persone, con caduta di tanti in depressione. Gli Usa vedrebbero ridimensionato il proprio potere, e sarebbero maggiormente rinserrati al loro interno, con ricostituzione di rapporti internazionali più demarcati per aree di influenza con gli altri stati. In questo contesto la UE “cesserebbe concretamente di esistere, travolta dalla sua lentezza” ad elaborare una sua politica comune.

Infine, il terzo scenario: quello del Rinascimento. Gli stati provvedono finalmente a regolare la globalizzazione, a ridurne gli effetti negativi all’interno dei paesi europei (la maggiore crescita di ricchezza da essa derivante ha investito i cinesi, gli indiani, non gli europei o gli americani), gli Usa rientrano nella attività anche di tipo etico politico promuovendo i valori universali e risviluppando una egemonia in grado di arginare tentativi autoritari.

Si riprogetta una forma di mercato di tipo diverso da quello attuale, con elementi di perequazione, rilancio della classe media, stato sociale efficientato, impulso alla ricerca di base. Il debito contratto per il Next Generation Future EU, secondo l’autore, dovrebbe diventare perenne, irredimibile, per non generare speculazioni sui mercati internazionali ed andrebbe collocato in una istituzione nuova, da creare nella Unione, mettendolo bene al riparo da instabili oscillazioni .A quel punto gli stati dovrebbero preoccuparsi solo di rimborsare gli interessi.

Una siffatta proposta fu avanzata dal grande economista inglese Keynes (forse il più importante di tutto il novecento ed il cui indirizzo politico le banche centrali stanno attualmente adottando, esattamente come accadde nel 1929 e nel 2008-2010) nel suo poco letto “Le conseguenze economiche della pace”, scritto nel 1920, dopo avere partecipato alle trattative di pace seguite alla fine della prima guerra mondiale.

Egli propose di cancellare i debiti di guerra fra le potenze vincitrici (in particolare, gli Usa, creditori verso Gran Bretagna, Francia ed Italia), debiti che oneravano anche Roma. Con le dovute differenze è un po' la situazione che potrebbe manifestarsi adesso con il grande prestito concesso all’Italia. Cento anni fa John Maynard Keynes scriveva che “sarebbe forse esagerato dire che per gli alleati europei è impossibile pagare il capitale e gli interessi da essi dovuti per questi debiti, ma costringerli a farlo significherebbe certamente imporre a loro un onere schiacciante. E’ prevedibile che essi tenterebbero di continuo di evadere o eludere il pagamento e questi tentativi sarebbero una fonte costante di malanimo e attriti internazionali per molti anni a venire. Una nazione debitrice non ama il suo creditore ed è vano aspettarsi sentimenti amichevoli da parte di Italia, Francia e Russia verso il nostro paese o verso l’America , se il loro futuro sviluppo sarà soffocato per un lungo periodo dal tributo annuo che devono versarci…se invece questi grossi debiti vengono condonati, si darà stimolo alla solidarietà e alla sincera amicizia delle nazioni”.

Non fu ascoltato e tutti sappiamo cosa accadde con la nascita dei movimenti di revanche in Germania, determinati proprio dall’impoverimento della popolazione. Un monito anche per l’oggi ?

 

 

 

 



Prima la nostra Camaldoli, poi la costituente di centro

 

La proposta fatta dall’amico Mario Tassone di un’assemblea costituente di tutti gli amici DC, oltre che a essere pienamente condivisa, costituisce anche uno degli obiettivi che ci siamo posti come Federazione Popolare DC. In questi giorni la DC guidata da Renato Grassi, cui mi onoro di appartenere, è impegnata nel tesseramento 2021, che darà diritto di partecipare al prossimo XX Congresso nazionale annunciato per l’autunno prossimo. Analogo impegno è quello degli amici di “Insieme”, guidati da Giancarlo Infante, con riferimento a quanti si riconoscono nelle proposte del “Manifesto Zamagni”.

Tutto ciò che va nella direzione della ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale in Italia non può che essere salutato positivamente. Essenziale, tuttavia, sarà superare l’antico vizio italico secondo cui: tutti vogliono coordinare e nessuno vuole essere coordinato. Analogamente sarà bene por fine alla tragicomica sequela di “se-dicenti segretari” di fantomatiche democrazie cristiane, espressioni di malcelate ambizioni di qualche “ultimo giapponese”, o, peggio, delle manovre di vecchi arnesi dell’ultima DC, non estranei alle indegne pratiche illegali che accompagnarono miseramente la fine ingloriosa e per certi versi fraudolenta del patrimonio immobiliare del partito.

Permane, come sempre fu nella storia politica del cattolicesimo italiano, la distinzione tra coloro che si ritengono gli eredi legittimi del pensiero degasperiano e moroteo di “ un partito di centro che guarda a sinistra” e quelli che, avendo partecipato in forme più o meno dirette all’esperienza berlusconiana, continuano a rivolgere il loro interesse a destra.

Da parte mia, considero più efficiente ed efficace puntare verso un soggetto politico nuovo di centro, più volte connotato come: democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato dalla dottrina sociale cristiana e dai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori. Un centro alternativo alla destra nazionalista e populista, oggi a trazione di Fratelli d’Italia e della Lega, e distinto e distante dalla sinistra senza identità. Per questo è indispensabile non porre preliminarmente la questione delle alleanze, oltre tutto nell’incertezza sulla legge elettorale, maggioritaria o proporzionale, che alla fine sarà scelta per le prossime elezioni nazionali. E’ evidente che, premessa indispensabile per la nostra ricomposizione politica è e sarà l’adozione della legge elettorale proporzionale, poiché, con qualunque altro tipo di legge maggioritaria, il voto della nostra area si dividerebbe a destra e a sinistra, con una percentuale elevata di renitenti al voto.

Ecco perché con la Federazione Popolare DC, sul modello di quanto fecero i democratico cristiani nel 1943 con l’incontro programmatico di Camaldoli, abbiamo deciso di organizzare il nostro seminario per il programma: “ La nuova “visione” del centro politico- Una nuova….Camaldoli”, che si terrà il prossimo 19 Giugno a Roma.

Riteniamo, infatti, che sia indispensabile confrontarci sul programma; sulla proposta, cioè, che, come DC e Popolari, intendiamo offrire agli italiani per corrispondere alle attese soprattutto dei ceti medi produttivi e delle classi popolari, quelle che Giorgio La Pira definiva: “ le attese della povera gente”.

Sarà l’avvio di una riflessione, che dovrà continuare negli incontri da organizzare nelle sedi territoriali regionali per ascoltare “ i mondi vitali” delle diverse realtà, raccogliere le loro proposte alle quali la politica dei DC e Popolari intende dare risposta. Solo dopo queste verifiche, a mio avviso, si potrà organizzare con metodo democratico condiviso tra tutte le diverse espressioni d’area, oggi riconducibili essenzialmente a quelle della Federazione Popolare DC e degli amici di Insieme e Rete bianca, un’assemblea costituente del soggetto politico nuovo di centro. Una costituente nella quale, oltre al programma, si deciderà la linea politica del partito e si sceglierà la classe dirigente incaricata di guidarlo, nella quale ampio spazio sarà affidato ai giovani e alle donne per un’autentica rinascita politica del cattolicesimo democratico e cristiano sociale.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 9 Giugno 2021

Ora al centro ritroviamoci noi, tutti insieme

 

Ci proviamo dal 2012, con il costante impegno per la ricomposizione politica della DC  con Gianni Fontana e Renato Grassi e, dal 2019, con la nascita della Federazione Popolare DC presieduta dall’amico Peppino Gargani. E’ stato il ventennio della diaspora DC, che ho ampiamente descritto nel mio: DEMODISSEA, la Democrazia cristiana nella lunga stagione della diaspora (1993-2020) –Edizioni Il Mio Libro (https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/562226/demodissea/

 Ci hanno provato, senza riuscirci,  gli amici Rotondi e Tabacci a  costituire un gruppo parlamentare di Popolari a sostegno del  governo Conti 2. Il primo, Gianfranco Rotondi, con il proposito di mettere insieme ex DC, esponenti di Forza Italia e dei Verdi, come sperimentato a St Vincent nel Novembre 2020. Il secondo, Bruno Tabacci, più orientato a sinistra, con gli amici del Centro democratico più Europa. Da parte sua il governatore Toti, staccatosi dal Cavaliere, di cui fu uno degli ultimi eredi predestinati, dopo avere dato vita al movimento “ Cambiamo”, nei giorni scorsi ha raccolto l’invito del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, per avviare il progetto di un nuovo gruppo parlamentare dei “moderati”: “ Coraggio Italia”.

C’è, dunque, un tentativo affannoso di occupare uno spazio al centro dello schieramento politico italiano, dopo la crisi progressiva e forse inarrestabile di Forza Italia. Quello che fu un movimento-partito aziendale capace di ereditare larga parte della crisi del quadripartito moderato della prima repubblica, trova adesso in alcune frazioni di Forza Italia, Cambiamo di Toti e amici di Quagliariello ( “ Idea” con Carlo Giovanardi), già  con la supervisione e controllo del “parmesan della politica”, Brugnaro, la sua sostituzione con lo strumento, “ Coraggio Italia”, col quale si tenta di prolungare la funzione di rappresentanza dei moderati già assicurata dal Cavaliere.

Servivano le risorse finanziarie e molti speravano/sollecitavano Urbano Cairo, sin qui in surplace. Ha colto, invece, al balzo l’opportunità, Brugnaro, che, da tempo, aspira a un ruolo politico più ampio di quello di sindaco della città Serenissima. Imposto già il suo colore elettorale, rosa fucsia, Brugnaro si appresta a trasferire nel nuovo partito i metodi sbrigativi aziendali già sperimentati a Venezia con i suoi assessori e collaboratori.

Deputati e senatori quasi certi della difficile, se non sicura prossima rielezione, hanno prontamente adempiuto a quella che, nel Veneto, chiamiamo la regola dell’articolo quinto: “chi  che gà i schei el gà sempre vinto” ( chi ha i soldi ha sempre vinto) e, così,  il gruppo-partito neo fucsia di Brugnaro, Toti e Quagliariello si è con rapidità realizzato con il rassicurante titolo di “Coraggio Italia”.

Se la politica è l’arte con cui si tenta di dare risposte a livello istituzionale agli interessi e ai valori prevalenti in un dato contesto storico politico, culturale  e sociale, a me pare che in questa fase dominata a livello globale dal finanz-capitalismo, gli interessi e i valori del terzo stato produttivo e di quelli popolari, molto difficilmente potranno essere rappresentati da questa nuova compagine politica. In tutta la nostra storia nazionale, dall’unità d’Italia in poi, senza il contributo decisivo delle componenti di area democratico popolare e cristiano sociale, ispirate dalla dottrina sociale della Chiesa, il nostro Paese ha conosciuto solo crisi e difficoltà.

Il PPI di Sturzo prima e la DC di De Gasperi, Fanfani e Moro poi, sono stati gli straordinari strumenti politico partitici che hanno permesso a vaste masse popolari e dei ceti medi produttivi laiche e cattoliche di assumere il ruolo di classe dirigente, alla fine dello stato liberale prima e, dopo,  in tutto il dopoguerra e per oltre quarant’anni.

Ecco perché dal 2011-12 ho rivolto il mio impegno, da un lato, a promuovere e concorrere al progetto di rilancio della DC, partito mai giuridicamente sciolto, e dal 2019 ad avviare con la Federazione Popolare DC, quello della ricomposizione politica della più vasta area cattolico democratico popolare e cristiano sociale italiana.

Sono convinto, infatti, che in questa fase storico politica dominata dal superamento del NOMA ( Non Overlapping Magisteria), in cui la finanza detta i fini, subordinando ad essa l’economia reale e la stessa politica, solo un partito ispirato dalla dottrina sociale cristiana, oggi espressa, soprattutto, dalle encicliche “Laudato SI”, come bene ha inteso Rotondi, e “Fratelli Tutti” annunciante la buona politica ( capitolo quinto), possa offrire una nuova speranza ai ceti medi e alle classi popolari italiane. Dispiace che agli sforzi portati avanti dagli amici Grassi della DC e Gargani della Federazione Popolare, resistano ancora, per la DC, i comportamenti assurdi e autolesionisti di alcuni sabotatori seriali impenitenti e, probabilmente, telecomandati da qualche vecchio DC già impegnato nella spartizione del de cuius mai morto; per la Federazione Popolare dal solito Cesa che, al dunque, subisce nell’UDC il dominio del padovano De Poli, già accolito forzista di Galan, oggi di Ghedini e di Zaia, giungendo a considerare “interessante” la proposta di Salvini di unità di tutte le destre in Europa. Ho ricordato a Cesa che  i DC e i Popolari italiani sono per un centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, alternativo alle destre populiste e nazionaliste e distinto e distante da una sinistra senza identità. Questo il progetto della DC e della Federazione Popolare che concreteremo sul piano del programma con la prossima “Camaldoli 2021”e, in seguito, con un’assemblea costituente nazionale del nuovo soggetto politico di centro come quello descritto. Spetta agli amici di “Insieme”, guidati da Infante e Tarolli e a quanti si ritrovano  sulle linee indicate dal “manifesto Zamagni”, come “Rete bianca” degli amici D’Ubaldo e Merlo, raccogliere il nostro invito. Noi, come tutti loro, da soli, non ce la possiamo fare, ma tutti insieme, invece, saremo capaci da cattolici democratici popolari e cristiano sociali di offrire ai ceti medi produttivi e alle classi popolari una nuova e sicura rappresentanza politica.

 

Ettore Bonalberti

 

Venezia, 1 Giugno 2021



Pubblichiamo un interessante articolo di politica estera redatto da un amico con lo pseudonimo di: orizzonte.


LO STATO ESISTE ANCORA. PRIMI PASSI DI POLITICA ESTERA ITALIANA NELL’ERA BIDEN.

di orizzonte

 

Scrive un raffinato e colto scienziato della politica, come Gianfranco Miglio (in Genesi e trasformazioni del termine-concetto “Stato”, editrice Morcelliana, 2007, pag. 45 e ss) che il punto di partenza del concetto di Stato risiede nel vocabolo latino status, sostantivo verbale del verbo “stare”, che deriva dalla radice indo germanica “st”, madre di una grande quantità di termini d’uso comune, ma soprattutto giuridici, sociali e politici delle lingue indoeuropee.

In questa derivazione etimologica cogliamo due significati: stare e porre.

Con il primo si indica un quid di durevole, che non cambia, che non viene meno: ciò che sta; con il secondo si designa, invece, l’azione, volontaria, tesa a fare in modo che qualcosa non si muova e divenga stabile.

In tempi attuali questa rimembranza appare non inutile (in filosofia, divagando un po', Heidegger enuncia il movimento/accadimento dell’ente declinato in “esserci”. Cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, Mondadori, 2016).

Il frullatore mediatico giornalistico utilizza, spesso, a sproposito lemmi il cui sotteso concetto non è sempre dotato di nitore definitorio, poiché non se ne conosce l’origine semantica.

L’autore, a tale proposito, sottolinea come questa distinzione vada a fondare la separazione fra il momento puramente conoscitivo, e il momento invece operativo, che consiste di scelte schiettamente valoriali intorno a cui la comunità, stanziata su di un territorio, si riconosce.

In altre parole, stare implica una constatazione circa l’esistenza di regole non modificabili, mentre porre richiama l’esplicita volontà di inserire in quell’universo umano, che ne è privo, proprio delle norme dotate di stabilità.

I latini, però, non definirono la nozione di status come “sistema politico”, preferendo ad esso attribuire il nome di res publica.

E, sino almeno al basso Medioevo, scrive Miglio, non sembra siano esistite particolari testimonianze scritte di quel vocabolo.

Lo Stato, come lo intendiamo noi, è sempre chiamato ora come Res publica, ora come Regnum, ora come Civitas, ora come Sacrum Imperium (e, più in generale, come Christiana Respublica).

La nozione moderna del concetto di Stato si affaccia con il XIII secolo d.c. e coincide con una notevole serie di trasformazioni sociali concatenate fra loro, come l’incremento demografico, la crescita delle città (specialmente a Nord), la migrazione dalle campagne verso i nuovi centri urbani, la moltiplicazione delle relazioni interpersonali a cui fanno seguito nuovi bisogni ed il trapasso dalla sola economia agricola a quella artigianale e mercantile. Si affermano nuovi ceti non nobiliari che costituiranno il nerbo di quella operosa classe borghese che verrà affermandosi nei secoli futuri.

La necessità di rivedere antiche consuetudini feudali impone, quindi, la definizione, con carattere di stabilità, di nuove disposizioni che tengano conto delle mutate esigenze sociali.

L’arbitrio dell’autorità regia nel definire le controversie diviene, così, troppo aleatoria. Occorre, anche attingendo al diritto romano, costruire un edificio di leggi che consentano la prevedibilità di ciò che è lecito e di ciò che non lo è.

Nel 1088 nasce lo “Studium” dell’Università di Bologna, primo ateneo dell’Europa occidentale, incentrato sulla facoltà di giurisprudenza per formare i tecnici imperiali.

Fra il 1250 ed il 1350 altri centri di formazione accademica si costituiscono ad Oxford (1167), a Cambridge (1209), a Padova (1222), a Napoli (1224).

Ma è con il 1400 che il concetto ed il vocabolo “Stato” iniziano a prendere il significato odierno. Uno studioso olandese, Hans de Vries, compie un’analisi dell’opera il Principe e del Discorso sopra il riformare lo stato di Firenze, giungendo a concludere che con quel termine il politologo fiorentino Machiavelli designa un gruppo ristretto di uomini che si dedicano all’esercizio del potere politico.

Questa breve digressione serve, innanzitutto, a farci comprendere come le relazioni internazionali attuali siano incentrate sui rapporti fra le entità che chiamiamo stati, attenendo, le stesse, molto chiaramente, alla loro storia politica sin dal loro sorgere. Di ciò si fa bene interprete lo storico Ennio di Nolfo nell’introduzione (pag. X) al suo noto, ben documentato e ponderoso (quasi 1400 pagine) volume di “Storia delle relazioni internazionali 1918-1992”, edito da Laterza.

Nello stesso senso si esprime anche H. Kissinger nel suo “Ordine mondiale” (pag. 8 e 9 edito da Mondadori), nel quale il celebre statista e diplomatico americano afferma come i principii della pace di Westfalia (1648), che pose fine alle guerre del trent’anni, costituiscano ancor oggi l’impalcatura su cui si reggono le relazioni statuali, ossia: indipendenza nazionale, interesse nazionale, non ingerenza negli affari altrui (il principio di sovranità, a dire il vero, in certi contesti organizzativi sovranazionali è assai più sfumato - forse in modo più giuridico, che sostanziale- e meno cogente in virtù di trattati conclusi ad hoc. Si pensi agli artt. 21 e seguenti del TUE, concernenti la politica estera dell’Unione, nonché quella di difesa e di sicurezza. Sul punto, però, ad una attenta disamina del comportamento delle cancellerie dei vari Paesi, è difficile negare come, al contrario di magniloquenti proclami, ciascuna di esse difenda fondamentalmente il proprio tornaconto anche a discapito delle altre).

La nuova amministrazione americana ha impresso una decisa svolta nelle relazioni internazionali rispetto alla precedente.

Il gruppo ristretto di consiglieri del presidente proviene dai ranghi molto ben rodati dei vari apparati deputati a plasmare la politica estera di potenza degli Usa: dal Dipartimento di stato, all’intelligence militare e civile (con le sue articolazioni tecnologiche, pensiamo alla NSA), al Pentagono, all’industria militare (vero e proprio volano per le innovazioni tecnologiche anche nel segmento civile con l’agenzia DARPA - Agenzia militare per la ricerca avanzata che ha avuto il ruolo di motore nella creazione di Internet e di tutte le sue applicazioni di cui si sono, poi, avvalsi gli imprenditori civili- ed a questo modello anche l’Italia potrebbe ispirarsi, specialmente nel momento attuale di spinta tecnologica verso i segmenti della intelligenza artificiale, delle energie nuove, dei nuovi materiali, della fusione nucleare, ma anche della sanità, con le ricerche sui virus e sulle neuroscienze. I politici più avveduti ci dovrebbero pensare. Una Agenzia italiana, gestita da una struttura con poco personale, ma molto qualificato, della Difesa, strettamente collegata all’Istituto Italiano di tecnologia, all’Enea, al CNR, all’INFN, all’Accademia dei Lincei, ai più avanzati Politecnici e migliori facoltà universitarie scientifiche, sarebbe estremamente utile in una prospettiva lungimirante. I brevetti ottenuti resterebbero di proprietà di tutti noi, cioè dello stato, secondo le norme sulle invenzioni di servizio. Sarebbe un eccellente modo anche di incrementare la ricerca di base).

Dal segretario di stato Blinken, a Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale, a L. Austin, ministro della difesa ed ex capo degli stati maggiori congiunti, sono tutte persone che hanno precedentemente e con successo operato nei settori di attività che loro sono stati assegnati odiernamente e sono ben stimate nelle articolazioni burocratiche che dirigono.

Senza dimenticare che lo stesso presidente Biden, avvocato, ha una lunga carriera sia da vice presidente, che da senatore come capo della commissione “Esteri” che già di per sé gli garantisce relazioni personali e conoscenza dei temi internazionali di amplissimo respiro ed esperienza.

Per un Paese come il nostro, inserito nella Nato e nella UE, la postura assunta nei temi geopolitici dagli Usa va sempre attentamente seguita.

E, su questo aspetto, possiamo dire, innanzitutto, che Washington ha inasprito le relazioni con Pechino, suo concorrente nel dominio globale, su diversi fronti.

Il primo di essi riguarda (in questo, per il vero, ricambiato dalla nuova prospettiva di autonomia economica cinese, incentrata su alta tecnologia, IA e robotica sospinta da industria di stato e dalla domanda di consumo sempre più interna e meno dipendente da quella estera) la forte riduzione della interdipendenza commerciale e tecnologica fra Usa e Cina, volta a tagliare le cosiddette catene  del valore. Con l’ ordine esecutivo la presidenza punta a ridurre la dipendenza del sistema industriale americano dalla fornitura di materiali cruciali per esso: dai semiconduttori, alle batterie per auto elettriche, alle terre rare (i 17 elementi chimici della tavola periodica necessari per produrre micro chips, magneti, catalizzatori, cavi di fibra ottica per le comunicazioni di cui la Cina è il primo esportatore al mondo), tutte componenti indispensabili per l’industria militare, dell’auto, della informatica, delle telecomunicazioni e della sanità statunitense.

In questo quadro, si auspica un’azione sinergica con Taiwan (non a caso destinataria di aiuti militari sempre più consistenti e difesa dalle mire di riunificazione alla Repubblica popolare), Corea del sud e Giappone, al fine di potenziare la produzione di semiconduttori di cui l’isola di Formosa è leader, specialmente di quelli di dimensioni piccolissime sino a 5 nanometri.

Il secondo mira a costruire un fronte di contenimento cinese includendovi non soltanto i tre stati asiatici menzionati, ma anche (e questa è la novità) l’India e richiedendo alla stessa Nato un certo riorientamento strategico sul versante del Pacifico, specialmente delle sue componenti aeronavali.

 Il tema dell’aiuto vaccinale a New Delhi ben si inscrive in questa prospettiva, così i recenti scontri armati alla frontiera fra Cina e India.

Anche l’Australia, che pure ha intensi scambi di materie prime con Pechino, si sta riorientando e ricompattando all’interno del cd. QUAD ( Quadrilateral security dialogue fra Usa, Giappone, India e Australia).

Gli Usa, dopo il grande freddo di Trump, hanno pienamente ripreso i cordoni di comando dell’alleanza atlantica per a) riconfermare la centralità dell’Europa nella esigenza che la stessa resti in “area americana” b) evitare il formarsi di binomi (che da economici possano scivolare verso quelli geopolitici) fra Germania e Russia e/o Germania e Cina, tali da frantumare l’area della UE c) apprestare una rinnovata linea di demarcazione con la Russia (che, però, mantiene verso la Cina sia interessi economici, che molte diffidenze in materia di confini. Questi ultimi corrono per oltre 4.000 km e, lo ricordiamo, nel 1969, furono oggetto di scontro militare fra i due stati sul fiume Ussuri di demarcazione. E’, davvero, credibile un solido legame fra Cina e Russia o, piuttosto, quest’ultima preferirebbe un migliore rapporto con gli Usa in cambio di accordi di sicurezza ai suoi confini, collaborazioni economiche più intense, interscambio commerciale di materie prime contro high tech americana?).

Nel nuovo confronto fra Usa e Cina il Mediterraneo acquisisce la centralità di specchio d’acqua di congiunzione fra Atlantico e, via Suez, Pacifico, il che porta ad emersione l’importanza di Roma in uno scenario oramai affollato, in cui altri attori si sono aggiunti (a quelli preesistenti di Francia e  Inghilterra), come la Turchia, la Russia (per il vero esistente da anni con l’appoggio della Siria, a cui si è aggiunta la sua forte presenza militare in Libia), Israele, l’Egitto ,la Cina e l’Algeria.

Il blocco del canale egiziano a causa della porta container mastodontica “Ever given” da 220.000 tonnellate, lunga 400 metri, ha evidenziato vistosamente quanto sia cruciale quella via d’acqua per il commercio mondiale.

L’Italia, con l’attuale governo, sembra prendere finalmente coscienza della necessità di rafforzare i legami economici, politici e di difesa con la Libia, assumendosi maggiore responsabilità agli occhi di Washington. Non a caso il nostro Premier l’ha scelta come prima visita all’estero, speriamo foriera dell’inizio di un più marcato dialogo e presenza italiana nella consapevolezza che quel territorio rappresenta per Roma una sponda fondamentale per motivi petroliferi, ma anche strategici, in quanto orientata geograficamente verso la Penisola.

In politica estera non esistono vuoti pneumatici, allorquando un potere si ritira o si dissolve, un altro vi subentra (è il tema che riguarda adesso lo sganciamento dall’Afghanistan). Una Libia priva di guida sufficiente (l’errore di non avere previsto un serio piano di ricostruzione dopo la caduta di Gheddafi resta ancora la principale pecca) ha favorito l’insediamento militare di Russia e Turchia, che hanno oscurato il ruolo della Francia ed hanno dato vita ad una alleanza/rivalità che in questo quadrante le vede su fronti opposti, ma che sul Bosforo alterna competizione a concordia potenzialmente duratura. La stessa condizione sembra affacciarsi anche nei Balcani.

Non a caso, Atene è divenuta il nuovo centrale avamposto americano per il contenimento cinese, ma anche per il monitoraggio stretto su Ankara.

Di particolare utilità e spessore appaiono le missioni italiane a Gibuti e in Mali, assediato dagli integralisti jihadisti.

Esse possono dare consistenza all’esigenza di proteggere i flussi mercantili, anche italiani, verso l’indo pacifico, in alleanza con la flotta americana e proiettare stabilità in centro Africa, utile ad incoraggiare lo sviluppo economico di quei territori, impedendo la crescita di terrorismo, povertà, e, favorendone l’industrializzazione, determinare la nascita di classi medie di consumatori, aprendo ai prodotti italiani nuovi mercati di sbocco e materie prime necessarie alla transizione ecologica (pensiamo al nickel, ad esempio, necessario per le batterie delle auto elettriche del futuro).

In questa prospettiva si inquadra anche il riavvicinamento fra Italia e Francia (ormai prossime alla firma del trattato del Quirinale, in riequilibrio rispetto all’asse franco tedesco) che tocca aspetti della innovazione tecnologica, delle cooperazioni navali, pur constatando alcune divergenze su Libia e su operazioni industriali in Italia.

Il mondo post pandemia dovrà essere affrontato in un mutato quadro generale, nel quale l’abilità sarà quella di cogliere rapidamente il vantaggio sui concorrenti, dimostrando la volontà di impegnarsi con tutte le componenti del sistema Paese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 


Ripartiamo dal basso

 

Come attivati dallo stesso input sono giunte oggi due note: la prima di Giorgio Merlo, pubblicata su “Il domani d’Italia”: E se resta il maggioritario? E l’altra di Gianfranco Rotondi, con una lettera inviata ad alcuni amici della Federazione Popolare DC. Sono le realistiche prese di posizione di due amici, entrambi eredi della grande tradizione politica della sinistra politica e  sociale vissuta alla scuola di Sullo, Gerardo Bianco per Rotondi e per entrambi a quella di Forze Nuove di Carlo Donat Cattin. Merlo fiutata l’aria che tira,dopo il pronunciamento del segretario del PD, Enrico Letta, per una legge maggioritaria, quella del Mattarellum, conclude ccosì: sia che rimanga il rosatellum in vigore, sia che si adotti un’altra legge maggioritaria come quella indicata da Letta, è evidente che, salvo correre per la testimonianza agli elettori dell’area DC e popolare non resterà che verificare la compatibilità politica e programmatica con i due schieramenti che saranno probabilmente in campo. Una sfida che, a suo parere, andrebbe vissuta fino in fondo, proprio perché il ruolo di una componente terza come quella di ispirazione cattolico democratica potrebbe risultare decisiva,.

 

Rotondi, con il realismo politico che lo contraddistingue, con la sua lettera carica di amarezza prende atto delle difficoltà sin qui incontrate per il decollo del progetto politico della Federazione Popolare DC, così come quello della formazione di un gruppo parlamentare democristiano insieme agli amici del Centro democratico di Tabacci e ai Verdi, nel segno dell’enciclica di Papa Francesco sulla difesa del creato. Scrive Rotondi: “I due progetti sono fermi. L’Udc non ha formulato alcuna proposta di un congresso straordinario di rifondazione, anzi nel corso della sfortunata degenza dell’on. Cesa il presidente di quel partito ha partecipato a tutte le riunioni del centrodestra chiudendo di fatto la strada a una scelta centrale di riaggregazione. Per analoghi motivi di schieramento l’on. Tabacci ha rinunciato a condividere con noi la formazione di un gruppo parlamentare, ritenendo prioritario lo schieramento nel centrosinistra. Ancora una volta le alleanze prevalgono sulla identità. Io resto persuaso della possibilità di creare al centro una rinnovata presenza dei cattolici, senza escludere alleanze, ma avendo la disponibilità anzitutto interiore di poter rinunciare ad esse e correre da soli alle elezioni politiche. Ritengo che l’orizzonte ambientalista possa essere una nuova missione programmatica tale da giustificare l’azzardo di un nuovo partito espressione dei cattolici democratici. Riflettiamo assieme sulla possibilità di un nuovo esordio, sapendo peró che la strada è in salita e prima di intraprenderla dobbiamo interrogarci seriamente e serenamente sulla effettiva volontà di provarci”.

 

Confesso che da St Vincent del novembre scorso avevo sperato anch’io che i due progetti, quello partitico della riunificazione dei partiti della federazione democristiana sotto lo scudo crociato, attraverso un allargamento dell’UDC e quella della formazione di un gruppo parlamentare democratico cristiano e popolare andassero a buon fine. Preso atto della realtà effettuale, tuttavia, prima di gettare la spugna, credo si debba tentare di ripartire dal basso. E’ evidente che è finito il tempo per quegli amici che da 25 anni fanno giochetti personali  fuori da ogni logica politica capace di riunire tutti in unico partito. Qualcuno continua nel ruolo di paggio servente del Cavaliere e qualcun altro di reggicoda prima di Renzi, Zingaretti e ora, anche se non ancora sicuro, di Letta.  Ecco perché si tratta di voltare pagina e di ripartire dal basso. Basta con i tentativi di recuperare Cesa, incapace di  sottrarsi ai condizionamenti pelosi di De Poli sempre al seguito di Taiani come un cagnolino di compagnia. Si tratta, invece, di verificare concretamente sui territori se esistono le condizioni per presentare liste unitarie dei democratici cristiani e popolari alle prossime elezioni amministrative. A Torino l’amico Carmagnola molto coraggiosamente sta portando avanti la buona battaglia dei DC torinesi, come in altri comuni del Piemonte e, analogamente, dovremmo fare nelle altre grandi città: Roma, Milano, Napoli, Bologna, nella Regione Calabria e in tutti i comuni grandi e piccoli  dove sia possibile. Dove non siamo riusciti con i vecchi leader ormai consunti e condizionati da troppi vincoli, soprattutto preoccupati della personale sopravvivenza, cerchiamo che siano le forze di una nuova leva di dirigenti locali ad assumere il testimone della nostra migliore tradizione politica e culturale. Ripartiamo dai comuni, là dove nacque e si consolidò l’esperienza politico  amministrativa dei cattolici democratici e cristiano sociali e se una classe dirigente ormai vecchia e stantia di destra e di sinistra, pensa di rifugiarsi nel maggioritario per consolidare un bipolarismo incapace di offrire reale governabilità al Paese, riparta dal basso una presenza dei cattolici per una nuova speranza nel segno della “migliore politica” (capitolo quinto dell’enciclica “Fratelli Tutti”).

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 4 Maggio 2021

 

Pandemia e orientamenti elettorali

 

Chi saranno i futuri elettori del Movimento Cinque Stelle, si chiede Giorgio Merlo nel suo interessante articolo pubblicato oggi su “Il Domani d’Italia”, aggiungendo: “… sino ad oggi – e  per molti anni – questo partito si è caratterizzato per alcuni elementi costitutivi che provo a  sintetizzare brevemente: partito populista, anti politico, demagogico, antiparlamentare, alfiere  della “democrazia diretta”, radicalmente anti sistema, “uno vale uno”, “contro la casta”,  oppositore delle grandi opere, sostenitore del “doppio mandato e stop”, contro le alleanze con gli  odiati partiti del passato, senza una cultura politica perché tutte le culture politiche del passato  erano da radere al suolo, contro il “professionismo” dei politici e, infine, per una classe dirigente  che ripudiava alla radice il modello dei partiti tradizionali”. 

 

Provo a offrire qualche indicazione, sulla base della mia “teoria dei quattro stati” (un’interpretazione euristica della realtà sociale italiana), partendo proprio dalle parole di Merlo attribuite al M5S che, per la verità, corrispondono a sentimenti e opinioni  diffuse tra molti cittadini, elettrici ed elettori italiani, oggi come nel 2018. Quelle stesse elettrici ed elettori che attribuirono al M5S oltre il 32 % dei voti, che in tal modo diventò il gruppo di maggioranza relativa alla Camera e al Senato.

 

Secondo la mia teoria, “la casta”, oggi come allora, non dovrebbe mutare di molto i propri comportamenti elettorali, sostanzialmente stabili nel confermare fiducia ai partiti che ne garantiscono la funzione e la vantaggiosa sopravvivenza. Più complessa la situazione dei “diversamente tutelati”, che subiscono le conseguenze delle scelte che, pandemia e condizionamenti europei sul recovery fund, impongono alle scelte del governo. Difficile stabilire cosa accadrà con le annunciate riforme della pubblica amministrazione, della giustizia, del fisco  e della previdenza sociale. Riforme per adesso solo annunciate in stringate indicazioni inserite nel progetto di PNRR all’esame velocissimo dello stesso, tra oggi e domani, nelle aule parlamentari. Provvedimenti che si concreteranno solo con l’approvazione delle leggi di modifica e relativi decreti attuativi .

 

E’ “il terzo stato produttivo”, ossia l’asse portante del sistema economico e sociale del Paese, quello nel quale si potranno avere le scosse più rilevanti sul piano elettorale. Piccole e medie imprese, liberi professionisti e partite IVA, sono le categorie che hanno subito le più gravi conseguenze dagli stop and go  e dai lockdown che hanno determinato la chiusura di molte attività mettendo a rischio, con i redditi degli interessati, le stesse prossime riaperture.

 

Il “quarto non stato”, a parte i percettori e gli utilizzatori del lavoro nero anch’essi vittime, per mafia, camorra, ndrangheta, la pandemia ha moltiplicato le occasioni di profitto a danno delle categorie del terzo stato produttivo. Situazione, dunque, nel complesso, a mio parere ancor più difficile che nel 2018, quella che si prospetta per le prossime  elezioni politiche. Il M5S non potrà più contare sulla condizione di “statu nascenti” del tempo dei “vaffa”, scontando  quella attuale di partito di governo a tutto tondo; prima giallo verde, poi giallo rosso e adesso, di maggioranza relativa del governo Draghi. Conte riuscirà a portare il movimento fuori dalla difficile situazione creatasi con lo scontro aperto con Casaleggio Jr. e la piattaforma Rousseau e dopo il caso dell’ultima esternazione boomerang di Beppe Grillo sulla grave vicenda del figlio? Questo è il problema difficile che è chiamato a risolvere “l’avvocato del popolo”. Certo, se il timore dei diversamente tutelati e la rabbia del terzo stato produttivo non trovassero più rifugio nel populismo d’antan dei grillini, il voto di queste elettrici ed elettori o finirà alla destra estrema della Meloni e di Salvini o nell’astensione dal voto. Una ragione in più per offrire una nuova speranza alla politica italiana, che potrà venire solo da una rinnovata offerta politica di centro, ispirata dai valori del popolarismo dei cattolici democratici e cristiano sociali, se saranno capaci di presentarsi finalmente uniti.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 26 Aprile 2021

 


Il Covid ci ha portato via un altro amico

 

 

Il Covid ci ha portato via un altro amico: Silvio Lega. Senza il suo aiuto nel 2011-2012 non si sarebbe potuto procedere all’autoconvocazione del consiglio nazionale della DC, del partito, cioè, “ mai giuridicamente sciolto”.

Già vicesegretario della DC nazionale e uno dei più intelligenti e preparati dirigenti del partito, ci eravamo conosciuti sin dal movimento giovanile.  Lui uno dei pochi “dorotei” presenti nella dirigenza nazionale, era molto legato all’On Bisaglia e divenimmo subito amici.

Da solo, quando iniziai la raccolta delle firme dei consiglieri nazionali del partito per l’autoconvocazione, non ce l’avrei mai fatta, ma col suo determinante contributo il Consiglio nazional si poté svolgere, con l’elezione alla presidenza della cara On Ombretta Fumagalli Carulli, anche lei recentemente scomparsa.

Silvio lo ricorderemo tutti noi Democratici Cristiani, perché se si è potuto svolgere il tesseramento anno 2012, gli iscritti del quale sono oggi, a tutti gli effetti giuridici, gli eredi legittimi della DC storica, lo dobbiamo in larga parte a lui.

Resterà in tutti noi il ricordo della sua fervida intelligenza politica, la ferma convinzione sui principi fondanti della democrazia liberale e una passione civile conservata intatta dagli anni delle sue prime esperienze politiche nella DC.

Anche per questo continueremo a batterci per gli stessi valori con i quali abbiamo testimoniato con Silvio la comune appartenenza alla grande famiglia democratico cristiana.

 

Ettore Bonalberti

24 Aprile 2021

18 aprile 1948

73 anni fa il Popolo italiano scelse la DC di De Gasperi alla guida dell'Italia e il Paese poté così vivere, col progresso sociale ed economico, una lunga stagione di pace e di libertà. Noi eredi della lunga tradizione democratico cristiana siamo impegnati a riportare in campo la nostra cultura politica ispirati dalla dottrina sociale cristiana.

18 Aprile 2021

La forza degli orientamenti ideali

 

Viviamo una fase politica caratterizzata da partiti che, in larga misura, sono molti distanti da quanto indicato dall’art.49 della Costituzione in materia dei democrazia interna.

Lo sfascio dei partiti della Prima Repubblica (1948-1993) e l’avvento del partito-azienda berlusconiano sino al partito etero diretto del M5S della Terza Repubblica, dopo la lunga stagione forza-leghista della seconda, segna il suo limite nella crisi della politica, dopo le soluzioni trasformistiche dei governi giallo verde-Conte 1 e giallo rosa-Conte 2, e la formazione del governo Draghi “senza vincoli di formula politica”.

 

Trattasi di un momento nel quale si assiste a un tentativo di riposizionamento delle forze politiche, interessate da processi di riassestamento delle loro leadership, tanto nel PD, come nel M5S e nella stessa Lega. Discorso a parte per la destra estrema di Fratelli d’Italia saldamente ancorata alla leadership dell’On Giorgia Meloni.

 

Analogo processo è da diverso tempo avviato nell’area politica cattolico democratica e cristiano sociale italiana, nella quale si assiste a un grande fermento nei diversi movimenti, gruppi, associazioni che costituiscono il retroterra sociale e culturale di quest’area, mentre sul piano più propriamente politico e partitico, più avanzato è il progetto di ricomposizione avviato dalla Federazione Popolare dei DC e dagli amici raccolti attorno al manifesto Zamagni: Insieme, Rete bianca e Costruire insieme.

 

Di fronte al dominio esercitato a livello globale, almeno sul fronte occidentale, dal turbo capitalismo finanziario, le uniche due culture che in questo momento si affermano come alternative, sono quelle espresse dagli orientamenti pastorali della dottrina sociale cristiana e quelle ecologiste che trovano la loro traduzione politico partitica nei diversi movimenti Verdi presenti in Europa, specie in Germania e Francia. Diffusa e importante è anche la tradizione verde italiana, seppur frastagliata nelle sue diverse espressioni; originalissima negli orientamenti espressi sin dagli anni’80 da Alexander Langer, Gianfranco Amendola ed Enrico Falqui, i primi tre eurodeputati verdi, insieme a quelle vissute dagli amici fratelli Boato della mia città di Venezia : dallo scomparso Stefano, a Marco e a Michele. Di più antica derivazione quella politica cattolica democratica e cristiano sociale, che affonda le sue origini nella dottrina sociale cristiana: dalla Rerum Novarum, prima enciclica che, con Papa Leone XIII affrontò i temi connessi alla prima rivoluzione industriale, che ispirò la formazione del PPI di Sturzo; alla Quadragesimo Anno e le successive giovannee ( Mater et Magistra e  Pacem in terris) e paolina ( Populorm progressio) e a quella di Papa San Giovanni Paolo II: Centesimus Annus. Quest’ultima è la prima che affronta i temi collegati al fenomeno della globalizzazione; temi che sono più direttamente oggetto delle analisi e degli orientamenti pastorali della “Caritas in veritate” di Papa Benedetto XVI e “Laudato Si” e “Fratelli tutti” di Papa Francesco.

 

Ecco perché, oggi come nel passato, spetta a  noi, eredi del cattolicesimo politico democratico e cristiano sociale, il dovere di tradurre nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali indicati, soprattutto, dalle due ultime encicliche, che, accanto alla cultura dell’area ecologista-verde, costituiscono le interpretazioni più avanzate del pensiero critico rispetto alla storture presenti nell’età del turbo capitalismo finanziario. Un capitalismo che ha rovesciato, come sostiene il prof Zamagni, il principio del NOMA ( Non Overlapping Magisteria). Un rovesciamento che ha determinato l’egemonia-dominio della finanza sull’economia reale e la subordinazione, fino a un ruolo del tutto subordinato e ancillare della politica, con la riduzione della stessa democrazia e un ectoplasma, sempre più privo di significato e di ruolo autonomo prevalente.

Molto opportunamente l’amico Gianfranco Rotondi, nel Novembre scorso, ha organizzato a St Vincent un seminario nel quale ha chiamato a confrontarsi una serie di esponenti rappresentanti delle culture democratiche, popolari, ecologiste, liberali  e riformiste, sui temi indicati dalla “Laudato SI”. Credo si debba proprio ripartire da lì, tanto sul piano degli incontri possibili tra i diversi movimenti e gruppi delle diverse aree politiche in sede locale, quanto a livello dei  parlamentari che si richiamano a queste stesse culture, interessati a dar vita a un gruppo parlamentare di centro, alternativo alla destra populista e nazionalista e distinto e distante da una sinistra senza più identità. A livello locale si potrebbero sperimentare, sin dalle prossime elezioni amministrative, liste unitarie civiche, così come a livello parlamentare un rinnovato centro come auspicato. Al deserto delle culture politiche degli attuali partiti, l’avvio di un progetto popolare, ecologista, liberale e riformista, sostenuto dagli orientamenti ideali descritti, rappresenterebbe un bel salto in avanti per la politica, corrispondente alle attese di una vasta platea di cittadini, elettrici ed elettori dell’Italia, al Nord come al Sud del Paese.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 16 Aprile 2021

 

 

Prima il programma

 

Giorgio Merlo nei suoi interessanti interventi sul progetto di costruzione del soggetto politico nuovo di centro, nel suo ultimo articolo su “Il Domani d’Italia” (Cattolici e “centro”. Ora serve una “costituente”), propone un’assemblea costituente per superare la frammentazione politica esistente nell’area cattolico democratica e cristiano sociale.

Ho scritto all’autore che è del tutto condivisibile l’idea del superamento della diaspora di un’area nella quale “ tutti vogliono coordinare, ma nessuno vuol essere coordinato”, pensando all’assemblea costituente come lo strumento utile per tale progetto. Tuttavia, per non fallire nell’impresa, a me sembra sia indispensabile partire prima dal programma con cui ci si dovrà necessariamente confrontare, come sostengo con la mia recente indicazione della Camaldoli di programma 2021. E continuavo nella mia replica a Merlo: un'assemblea costituente che si indicesse come propone, mi pare,  anche INSIEME, il partito guidato da Giancarlo Infante, senza un accordo sul programma, finirebbe col dividerci prima ancora di cominciare sul tema delle alleanze, che, tra l'altro, saranno condizionate se non del tutto imposte, ahimè, dalla legge elettorale che, alla fine, sarà scelta. In questa fase di ricomposizione della nostra area serve affermare che il centro di ispirazione DC e popolare dovrà essere: " alternativo alla destra nazionalista e populista e distinto e distante dalla sinistra senza identità". Trovata l'intesa sul programma, ossia sulla mediazione realistica e storicamente attualizzata tra gli interessi e i valori che si intendono rappresentare, va da sé che ci si potrà alleare con chi, trovando consonanza col nostro programma, intende difendere e attuare integralmente la Costituzione, che è il programma più avanzato possibile, soprattutto per rispondere, come direbbe Giorgio La Pira " alle attese della povera gente" e non solo,  ma anche a  quelle del terzo stato produttivo architrave del sistema democratico.

Nel mio precedente articolo “ Il nostro impegno politico” ho evidenziato le priorità che emergono nell’Italia del dopo pandemia: la ricostruzione della sanità pubblica, la digitalizzazione del Paese, l’edilizia scolastica, la conversione energetica, la sicurezza idrogeologica del territorio e, prima di ogni altra cosa: la ripresa economica e dell’occupazione. Per ciascuna di queste emergenze ho abbozzato alcune idee da discutere e approfondire nella nostra Camaldoli 2021.

Certamente, mentre saremo sicuramente uniti sul piano dei valori, si tratterà di condividere le politiche economiche coerenti con i principi di riferimento della dottrina sociale cristiana, così come espressi nelle  ultime encicliche sociali: Laudato SI e Fratelli tutti.

Anche noi, come fecero i padri fondatori della DC nel 1943 ( prima il codice di Camaldoli, poi le idee ricostruttive della DC, di Demofilo/ De Gasperi), prima dovremo ritrovarci uniti sul programma di ispirazione democratica e popolare per il Paese e dopo, solo dopo, ci ritroveremo in un’assemblea costituente per la ricomposizione politica della nostra area. La Federazione Popolare DC è pronta per attivare questa tappa preliminare insieme agli amici raccolti attorno al manifesto Zamagni: Insieme, Costruire insieme, Rete bianca.

Dopo questa tappa programmatica ci sarà il primo impegno elettorale con le elezioni amministrative di autunno, nelle quali sarebbe auspicabile la presentazione di liste unitarie sotto lo stesso nome e simbolo di candidati dell’area cattolico democratica e cristiano sociale. Entro l’anno, infine, l’assemblea costituente, da indire con regole condivise per prepararci alla scadenza elettorale che potrebbe cadere subito dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. E noi a quella data dovremo essere pronti.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 9 Aprile 2021

 


IL NOSTRO IMPEGNO POLITICO

945.000 posti di lavoro in meno rispetto al 2020, così rileva l’ISTAT ieri, dopo 12 mesi dall’inizio della pandemia. Su quasi un milione di posti persi, 218 mila si riferiscono a dipendenti stabili (i cassaintegrati fanno di parte di questa cifra), 372 mila a dipendenti precari, mentre gli altri 355 mila sono lavoratori autonomi. Come ho commentato a caldo ieri, la pandemia colpisce soprattutto i più fragili tra i diversamente tutelati e il terzo stato produttivo. Grave la situazione dei bilanci comunali che, a fatica, potranno essere redatti alla fine dell’anno, mentre si tagliano pesantemente gli interventi di natura sociale proprio nel momento in cui la loro domanda è in crescita esponenziale. Ieri si sono svolte in diverse città molte manifestazioni di protesta di commercianti, ambulanti e ristoratori che sono fermi da oltre un anno e non ne possono più. Non vogliono le “ridicole elemosine” dei ristori che, peraltro, tardano ancora, ma chiedono soltanto di poter lavorare. Sembra emergere un dato grave espresso in uno striscione: “ il tempo della pazienza è finito”. E’ il “terzo stato produttivo” con i giovani e le donne i più colpiti dalla pandemia rispetto alla “casta”, ai “diversamente tutelati” e al “quarto non stato”, per utilizzare le categorie della mia “teoria dei quattro stati” in cui euristicamente suddivido la realtà sociale italiana. . Se continua così corriamo davvero il rischio di passare dalla crisi alla rivolta sociale. Ciò può accadere se la crisi del terzo stato produttivo, ossia l’architrave che tiene in piedi il sistema, sia dal punto di vista produttivo che fiscale, raggiunge il punto nel quale implode senza possibilità di ripresa.

Questa è la grave situazione che il governo Draghi si trova a dover affrontare e non a caso il superamento della pandemia (piano vaccinazioni) e la gestione dei fondi del recovery plan, sono i due obiettivi strategici assegnati “al governo senza formula politica” e, di fatto, delle larghe intese. I problemi da risolvere con estrema urgenza riguardano: la ricostruzione della sanità pubblica, la digitalizzazione del Paese, l’edilizia scolastica, la conversione energetica, la sicurezza idrogeologica del territorio.

Quanto alla sanità pubblica, i limiti e le contraddizioni emerse nella gestione della crisi pandemica e le conflittualità permanenti sperimentate tra decisioni del governo centrale e dei  presidenti di alcune regioni ( i cosiddetti “ governatori”) rendono indispensabile rivedere quell’insensata modifica del Titolo V della Costituzione, che ha determinato l’introduzione di alcune materie “concorrenti”, come la sanità, fattore di continua conflittualità, oggetto frequente di esami e sentenze in sede di Corte Costituzionale dei contenziosi tra lo Stato e le Regioni. La materia della sanità, poi, essendo quella che incide per quasi l’80% sulle risorse dei bilanci regionali, è evidente che sia quella nella quale si eserciti uno dei più forti interessi dei “governatori”. Nel post pandemia questo tema dovrà essere affrontato insieme a quello più generale dell’assetto regionale che, come scrivo da anni, non può più reggere la realtà di venti regioni, alcune delle quali a statuto speciale, espressione di situazioni post belliche assolutamente diverse da quelle attuali del Paese. Credo che un riordino nel senso di una Repubblica federale dotata di un forte potere centrale e il coordinamento di cinque, sei macro regioni, sia il modello su cui, come indicato a suo tempo dal prof Miglio, dalla  Fondazione Agnelli e da diversi DdL depositati in Parlamento, anche la DC e i Popolari dovranno esprimersi.

Sulla digitalizzazione del Paese, una delle priorità indicate dall’EU Next Generation fund,  con urgenza va risolto e superato il collo di bottiglia della banda larga e si impongono decise politiche di sostegno alle categorie più deboli per quanto attiene il cosiddetto digital divide; ossia il divario tra chi ha accesso e chi non lo ha ad Internet, per ragioni economico sociali e culturali. Le recenti scelte fatte dal ministro Brunetta col bando per le nuove assunzioni di giovani specializzati nelle materie informatiche possono garantire un miglioramento dell’attività della PA, mentre si dovranno favorire anche le aziende private al Sud come al Nord, soprattutto quelle più piccole  e medie, per aiutarle nel salto di qualità indispensabile per reggere il confronto sempre più difficile a livello dei mercati europei e internazionali. La conversione energetica per noi DC e Popolari, alla luce di quanto indicatoci dalla dottrina sociale della Chiesa con l’enciclica “ Laudato Si” di Papa Francesco, deve costituire uno dei capisaldi della nostra politica economica. Ciò comporterà l’esigenza di adottare politiche economiche fondate sul rispetto del NOMA (Non Overlapping Magisteria), ponendo l’etica a fondamento delle scelte della politica, garantendo il primato alla stessa nel definire gli orientamenti strategici ai quali subordinare l’economia reale e la finanza, superando l’attuale situazione del turbo capitalismo finanziario che ha finito col subordinare alla finanza l’economia reale e a ridurre la politica a un ruolo ancillare alla logica prevalente del profitto dei grandi poteri finanziari internazionali.

Sull’edilizia scolastica come sulla sicurezza idrogeologica del territorio, DC e Popolari dovranno rovesciare l’aforisma di Leo Longanesi secondo cui: “ L’Italia e un paese di inaugurazioni e non di manutenzioni”, avviando finalmente un piano urgente per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, con il loro adattamento alle nuove esigenze poste dalla pandemia, e un piano straordinario per la sicurezza idrogeologica, dal quale potranno derivare occasioni importanti per l’occupazione di giovani e meno giovani esperti nelle diverse discipline competenti nella materia. Alla base di tale programma, prioritaria in maniera assoluta è, in ogni caso, la ripresa dell’economia e quindi dell’occupazione, se vogliamo evitare che queste prime avvisaglie di malcontento sociale sfocino nella rivolta senza controllo.Ce la farà Draghi? Non possiamo che augurarcelo, mentre tutti noi, DC e Popolari dobbiamo compiere ogni sforzo per ricomporre politicamente l’area dei cattolici democratici e cristiano sociali italiani.

Ettore Bonalberti

Venezia, 7 Aprile 2021

La voce del giornale

 

Quando riapre una testata giornalistica è sempre una festa. Quando a riaprire, è la testata storica del tuo partito, come il Popolo, è una gioia. Ringrazio Mons Stenico che è riuscito nell’impresa, ridando vita al nostro quotidiano fondato nel 1923 che, da cartaceo, assume adesso la nuova veste on line. Ho utilizzato le mie mailing list per annunciare a tutti gli amici DC che si è ridato fiato alla nostra voce e adesso attendiamo di aprire un fecondo dialogo tra tutti i soci che intendono concorrere a rendere viva la discussione tra di noi. Il giornale del partito, infatti, serve se, com’ è stato nella migliore tradizione democratico cristiana, non si riduce al ruolo di servizio esclusivo di questo o quella persona, fatta salva, ovviamente, la sua funzione preminente di organo ufficiale della segreteria nazionale e con essa, della direzione e del consiglio nazionale espressi dalla volontà degli iscritti all’ultimo congresso. Esso, invece, deve diventare la palestra del dibattito e del confronto politico libero e aperto tra tutti i soci. Spetta al direttore responsabile garantire il rispetto delle regole proprie di un partito democratico secondo quanto stabilito dall’art. 49 della Costituzione.

Credo che tra di noi sia univoca  la volontà di riattivare politicamente la Democrazia cristiana, un partito mai giuridicamente sciolto, come ha definitivamente sancito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n.25999 del 23.12.2010, quella da cui è partita la lunga stagione (2012-2021) della diaspora democratico cristiana. Ho scritto di questa triste vicenda nel mio ultimo libro: DEMODISSEA: La democrazia cristiana nella stagione della diaspora –considerazioni sul periodo 1993-2020 (https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/562226/demodissea/) . Ho raccolto cronologicamente gli avvenimenti, riportato integralmente i documenti ufficiali e i risultati dei consessi istituzionali democraticamente svoltisi, evidenziando l’azione permanente dei cosiddetti “sabotatori seriali”, quelli che, dal 2012 ( anno di svolgimento del XIX Congresso nazionale del partito, poi annullato dai ricorsi in tribunale), hanno tentato in tutti i modi di ostacolare il progetto di ricomposizione politica della Democrazia Cristiana. Come nel 2012, su indicazione dell’amico On Publio Fiori, con Silvio Lega ci accingemmo a raccogliere le firme dei consiglieri nazionali DC per l’auto convocazione del consiglio e, quindi, del congresso, così con Renato Grassi e amici, dopo l’ondivaga e confusa  gestione del partito di Gianni Fontana, abbiamo continuato nella nostra iniziativa sino al ri-celebrato Congresso dell’Ottobre 2018 che ci ha portato all’attuale segreteria di Renato Grassi. Sino al pronunciamento definitivo del tribunale di Roma sull’ennesimo ricorso dei soliti sabotatori, cui si sono aggiunti alcuni improvvisati interpreti dediti all’autoproclamazione tragicomica di legittima eredità, resta il fatto ineccepibile che:

a)    il congresso dell’Ottobre 2018 è tuttora valido;

b)   gli iscritti che rinnovarono la loro adesione alla DC nel 2012 sono a tutti gli effetti e per riconoscimento del giudice Romano, gli unici eredi legittimi della DC storica.

Queste sono le premesse in base alle quali, se esisteranno le condizioni da parte di tutti, si dovrà ripartire per tentare di por fine alla diaspora insensata e suicida.

Vigendo questa situazione, con la speranza che si possa definitivamente superare e risolvere, con Grassi, Alessi, Giannone e altri,  sono stato tra quelli che più hanno spinto per concorrere all’avvio della Federazione Popolare DC. Essa oggi è guidata dall’amico Peppino Gargani e associa una cinquantina di partiti, associazioni, movimenti e gruppi. Rilevante la raggiunta intesa tra DC, UDC ,NCDU ,Rinascita Cristiana, premessa indispensabile per superare il contenzioso insolubile del simbolo dello scudo crociato. Simbolo che é di proprietà degli eredi legittimi ( i soci del 2012) ma, di fatto, almeno sin qui, nella disponibilità elettorale dell’UDC. Pure importante l’azione portata avanti dal prof Giannone con il Comitato tecnico scientifico della Fondazione DC ( già Fondazione Fiorentino Sullo) dal quale stanno emergendo importanti contributi da tradurre politicamente sul piano istituzionale.

L’obiettivo che ci siamo posti unitariamente come Federazione Popolare è di concorrere alla costruzione di un soggetto politico nuovo di centro: laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman. Un partito alternativo alla destra populista e sovranista e  distinto e distante dalla sinistra senza identità. Prima tappa, sarà quella di ritrovarci tutti insieme in un’unica lista e con lo stesso simbolo alle prossime elezioni amministrative di Settembre-Ottobre. Sarà quello il  banco di prova per l’unità elettorale alle prossime elezioni politiche per le quali sarà indispensabile che venga approvata una legge elettorale, che noi vorremmo alla tedesca, con sbarramento al 3-4 %, con preferenze e sfiducia costruttiva. Stavolta non saranno più tollerabili né tollerate le giravolta patite nel 2018.

Un partito quello ipotizzato che dovrà ricomporre la più ampia area cattolico democratica e cristiano sociale, ossia anche quella parte importante raccolta attorno al manifesto Zamagni costituita dagli amici di INSIEME, Rete Bianca, Costruire Insieme. Al riguardo ho indicato come prioritaria la celebrazione della nostra Camaldoli 2021, ossia un momento importante di riflessione e di analisi programmatica, per definire le risposte da dare da DC e da Popolari alle “attese della povera gente “. Le attese, cioè, del terzo stato produttivo e delle classi popolari prostrate dopo oltre un anno di crisi pandemica dalle drammatiche ricadute sanitarie ed economico sociali

Solo dopo aver raggiunto l’intesa sul piano programmatico, si potrà organizzare insieme un’assemblea costituente del soggetto politico nuovo  nella quale, col programma si decideranno le alleanze e la nuova classe dirigente. Temi e proposte da approfondire e sulle quali decidere nel nostro annunciato prossimo congresso nazionale .

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 4 Aprile 2021

 

 

 

Una battaglia autentica per la democrazia e la libertà.

 

Nel 2018 con Giuseppe Gargani, Follini, Mastella, Tarolli, Tassone, Giannone, Gemelli, Marinacci,Mario Mauro e altri organizzammo il comitato dei Popolari per il NO, con il quale abbiamo concorso alla vittoria referendaria contro il tentativo di “deforma costituzionale” del trio Renzi-Boschi-Verdini.

Nei giorni scorsi ho proposto a Gargani e agli amici della Federazione Popolare DC di attivare il Comitato dei Popolari per l’attuazione degli articoli 48 e 49 della Costituzione che, dalla  fine della Prima Repubblica, sono sostanzialmente disattesi.

 

Sono due articoli fondamentali per la vita democratica del Paese che, da una parte, assiste al prevalere della finanza sull’economia reale e sulla politica, al tempo della globalizzazione e del rovesciamento del NOMA ( Non Overlapping Magisteria), come lucidamente esposto dal prof Zamagni nei suoi diversi interventi accademici ( vedi la nota del 12 Giugno 2018 sul testo della Congregazione per la dottrina della Fede:” Oeconomicae et Pecuniarae Quaestiones”) e, dall’altra, alla nascita di partiti e movimenti etero guidati e/o leaderistici senza alcuna “democrazia interna” come costituzionalmente richiesto dall’art.49.

 

Sul tema contro il sistema elettorale maggioritario e a favore del proporzionale sono in questi giorni intervenuti lo stesso Gargani con un articolo su Il Dubbio del 26 Marzo 2021 e all’indomani Raffaele Bonanni su Il Domani d’Italia. Proporzionalista da sempre, come lo fummo tutti noi della sinistra sociale DC di Forze Nuove insieme a Bodrato, Bianco e pochi altri, al tempo dell’infausto referendum di Mario Segni, concausa finale della scomparsa politica della DC, ho più volte esposto le ragioni storico politiche a favore di questa scelta.

 

La nostra storia unitaria nazionale per come si è svolta in parallelo con lo sviluppo del capitalismo nostrano, concentrato nel tempo e nello spazio, ha assunto caratteri e modi molto più simili a quella della Germania e indiscutibilmente diversi da quella della Francia e dell’Inghilterra,  Paesi dalle più antiche e consolidate tradizioni di uno stato centrale forte. Cavour da una parte e Bismarck dall’altra, seppero compiere autentici miracoli politico istituzionali guidando i processi di formazione unitaria dei rispettivi Paesi. Una delle ragioni per cui anche sul piano istituzionale l’Italia dovrebbe guardare molto di più al sistema di uno stato federale come la Germania che non a quello centralistico di Francia o Inghilterra, non a caso sostenuti da leggi elettorali di tipo maggioritario, seppur in un Paese presidenzialista come quello d’Oltralpe e repubblicano parlamentare come il Regno unito.

Non bastassero queste ragioni d’ordine storico politico, è dall’applicazione corretta dell’art 48 della nostra Costituzione che dovremmo partire a sostegno di una legge elettorale proporzionale.  L’art 48 afferma: “ il voto è personale ed uguale, libero e segreto”. Personale vuol dire che il voto dovrà essere sempre dato personalmente e non potrà mai essere delegato. Uguale, è una qualificazione che esclude qualsiasi tipo di legge “maggioritaria” sia nel testo che negli effetti politici sui numeri assegnati in Parlamento ai partiti con premi di maggioranza. Libero è una qualifica che obbliga a impedire qualsiasi condizionalità sia morale che fisica sui votanti e quindi anche con i Capilista, i listini bloccati, le pluri-candidature che hanno effetti distorsivi sui candidati assegnati in Parlamento. Si entra in Parlamento, dunque, solo se sei stato votato dal popolo votante e non per scelta delle segreterie dei Partiti. Segreto, infine, significa che deve essere sempre garantita la segretezza del voto sia quando si vota sia nello spoglio dei risultati elettorali.

Molte di queste norme tassative del dettato costituzionale sono state disattese in questa lunga stagione della Demodissea post DC. E’ tempo che ci si mobiliti per chiedere una legge elettorale rispondente a queste prescrizioni, una legge che non potrà che essere di tipo proporzionale che da sempre indico come simile a quella tedesca, con uno sbarramento opportuno, ma tale da non impedire la rappresentanza delle diverse culture e aggregazioni di interessi sociali ed economici presenti in Italia, e l’introduzione della sfiducia costruttiva a garanzia della continuità degli esecutivi e per rendere più difficile l’oltraggiosa transumanza cui abbiamo assistito negli ultimi vent’anni. Analoga iniziativa politica dovremo assumere tutti noi Popolari, sia di estrazione  cattolico democratica che cristiano sociale, a difesa e per la completa attuazione dell’art 49 (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”) affinché si possa concorrere “con metodo democratico” e non per volontà di un dominus proprietario o di un gruppo di potere esterno incontrollato e incontrollabile, come sta avvenendo in alcune delle formazioni partitiche che da più o meno lungo tempo sono sulla scena politica italiana. Una battaglia autentica per la democrazia e la libertà.

 

Ettore Bonalberti

27 Marzo 2021


Venezia covid free: vogliamo provarci?

 

Ho sentito alcune voci autorevoli dell’amministrazione comunale che intendono impegnarsi a realizzare una Venezia covid free. Un progetto ambizioso e non impossibile se si seguissero alcune indicazione che l’amico Prof Giampiero Ravagnan, già professore ordinario di microbiologia a Cà Foscari, ci ha trasmesso.

Sono appena partite le celebrazioni del centenario della nascita della nostra città unica e preziosa al mondo; un evento eccezionale per un luogo straordinario,  non solo carico di simbolismi ma anche di effetti sanitari, socio-economici:   mettere questo luogo in grado di riprendere le normali attività facendone un luogo sicuro dal COVID 19  in grado di accogliere  persone già vaccinate da tutto il mondo.

Il problema da risolvere è quello logistico e del personale e deve essere la Municipalità a farsene carico mettendo a disposizione i luoghi per la somministrazione dei vaccini, oltre a  potenziare la funzione delle farmacie con gazebi negli spazi pubblici.

La Municipalità  deve chiedere al Commissario Governativo di fornire  direttamente la disponibilità delle dosi di vaccino - oltre a quelle già destinate a strutture sanitarie e persone fragili- per una  copertura vaccinale di tutti le persone addette a servizi pubblici e privati. e la popolazione attiva

Venezia ha un’ emergenza socio economica che si può scongiurare solo con una campagna di vaccinazione di massa in tempi brevi.

Per  medici vaccinatori volontari che vengono da fuori offrire una settimana a Venezia , ospiti degli alberghi, con una tessera gratuita per visitare tutti i  Musei Civici.

La Regione ha oggi in disponibilità 150.000 dosi e  altre ne verranno ai primi di Aprile.

In due mesi  si può vaccinare tutta la popolazione, ridare  piena attività a scuole ed Università ed organizzare  la gestione di un turismo sicuro  con il previsto passaporto vaccinale europeo  e quindi   Venezia la prima Città che si organizza ad accogliere il turismo "vaccinato  creando anche un indotto economico nei Territorio regionale. Vogliamo provarci?

 

Ettore Bonalberti

Direttivo Federazione Popolare DC

Coordinatore think tank Veneto pensa

Venezia, 27 Marzo 2021

 


La nostra idea di Partito

 

In questi anni, nei quali si è svolta la DEMODISSEA democratico cristiana (1993-2020), ho più volte indicato alcune proposte per la ricomposizione dell’area cattolico democratica e cristiano sociale in Italia. Sollecitato da alcuni amici, ho cercato di riassumere in una scheda l’idea di un progetto di partito politico di centro: laico, democratico, popolare, liberale e riformista. Questa la mia indicazione:

Un partito di centro ampio e plurale: laico, democratico, popolare, liberale e riformista, europeista, ispirato dai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman; alternativo alla destra populista e sovranista, distinto e distante dalla sinistra senza identità, disponibile alla collaborazione con quanti sono interessati alla difesa e integrale attuazione della Costituzione. Un partito che fonda le sue radici sui sei pilastri essenziali quelli indicati nella Mission della Fondazione culturale Democrazia Cristiana ex Fiorentino Sullo :

 

             Umanesimo integrale: al centro, Persona e Dignità;

Dottrina Sociale della Chiesa, con le Encicliche dei Pontefici, dalla Rerum Novarum di Leone XIII°, alla Populorum Progressio di Paolo VI°, alla Laborem Exercens di Giovanni Paolo II°, alla Caritas in Veritate di Benedetto XVI°, alla Evangelii Gaudium e alla Laudato Si’ di Papa Francesco;

Popolarismo e Personalismo. I Testimoni che hanno fatto diventare nel 1987 l’Italia la V^ Potenza industriale nel mondo;

Ecologia integrale ed Etica ecologica, con il riferimento ai contenuti della Enciclica Laudato Sì;

Costituzione della Repubblica Italiana;

CEDU (Carta Europea dei Diritti Umani)  

 

E che assume il codice etico del decalogo sturziano, ossia le dieci regole del buon politico secondo don Luigi Sturzo:

– essere sincero e onesto;
– promettere poco e realizzare molto;
– se ami molto il denaro non fare il politico;
– non andare contro la legge per un presunto vantaggio politico;
– non circondarti di adulatori, fanno male all’anima ed eccitano la vanità;
– se pensi di essere indispensabile, farai molti errori;
– spesso il no è più utile del si;
– occorre avere pazienza e non disperare mai;
– i tuoi collaboratori al governo siano degli amici mai dei favoriti;
– ascolta le donne che fanno politica, sono più sagge degli uomini;
– è una buona abitudine fare ogni sera l’esame di coscienza.

N.B.: guai se incominciassimo a dividerci sulle alleanze. Quelle locali le decidano pure gli interessati e sarebbe inopportuno e in parte ridicolo entrare nel merito. A livello nazionale, invece, dobbiamo partire da un serio confronto programmatico ( Camaldoli 2021) e dopo, solo dopo, in un'assemblea costituente ad hoc decidere Insieme con chi eventualmente allearci. Scelta possibile con un sistema proporzionale, mentre se passasse, come ahimè temo, quello maggioritario, la nostra divisione sarebbe inevitabile secondo il trilemma: una parte a destra sotto il dominio della Lega, una parte a sinistra sotto quello del PD-M5S e una terza......a casa renitente al voto. La nascita di un gruppo parlamentare popolare sarebbe oltremodo utile per favorire la scelta di una legge elettorale proporzionale.


Ettore Bonalberti

Venezia, 24 Marzo 2021


Commenti all'editoriale



Una prima replica al mio articolo del prof Antonino Giannone che pubblico, ringraziando Tonino per il suo contributo:

 

Grazie Ettore, 
per aver riportato 6 Pilastri della cultura nell’era digitale di un Cristiano impegnato in Politica, di un laico e cattolico democratico, richiamando la Mission della Fondazione culturale di riferimento del futuro Partito. In questo modo chiunque sa apprezzare, in  sintesi, la Visione e la strategia politica, così come avviene positivamente da decenni in Germania con il Partito di maggioranza relativa la CDU e la Fondazione Adenauer di riferimento culturale. 
In questo modo si conferma la necessità per un Progetto politico  di avere un’ampia cultura di riferimento, di avere un luogo, un’ampia partecipazione di esperti della società e di vissuto sociale per sviluppare Think Thank, Formazione per i Millennials e la classe dirigente, esame di proposte di leggi, in pratica una cultura prepolitica che sappia alimentare il Partito e di non affidarlo a leader di turno, senza competenza e cultura, che  spesso hanno proposto slogan di un populismo di maniera al quale , purtroppo, è stato abituato il popolo italiano negli ultimi 30 anni
Buon Cammino a tutti
Antonino Giannone, 
- Prof. Leadership and Ethics
- Presidente Comitato Scientifico Fondazione Democrazia Cristiana ex Fiorentino Sullo 

Un secondo commento della Prof. Elisabetta Campus:

Gent.mo Ettore
Buongiorno. Ho letto il tuo allegato e suggerirei qualche ammodernamento per evidenziarne la contemporaneità. 
La enciclica del Papà Francesco che ci riguarda più direttamente, come soggetto politico, è la Fratelli tutti. Il capitolo V si intitola La migliore politica. Partirei dall’ ultima e andrei  a ritroso.

Io sulla Fratelli Tutti  ho fatto un ciclo di incontri web e ho predisposto le relative slide. Lo possiamo replicare a beneficio di questo gruppo in progress verso Camaldoli 2. 
A questo proposito partirei proprio dal contattare i Camaldolesi benedettini, con un ciclo di incontri web in preparazione dell’evento nel 2021 fine anno, in presenza da loro in numero ristretto ovviamente ma on line per consentire a tutti di seguire i lavori. 
Poiché Camaldoli 2 è un processo costituente i lavori preparatori sono le fondamenta dell’incontro, quindi partirei da qui, sul web come so fare sulle piattaforme. 

Nella tua bozza hai messo la carta europea dei diritti dell’uomo ma non la carta costituzionale della Europa unita.  Certo quella che c’è non è andata avanti, ed infondo è stato un bene, l’Europa dei popoli è un traguardo politico a cui si deve lavorare, se no siamo alla solo Europa degli Stati. 

  Buona giornata 
Elisabetta


Letta, i DC e i Popolari

 

L’elezione plebiscitaria di Enrico Letta alla guida del Partito Democratico smentisce l’aforisma del mio maestro Carlo Donat Cattin: “ è sempre il cane che muove la coda”, riferendosi a quei DC che avevano tentato al suo tempo di entrare nel PCI .No, stavolta, con Letta, come ha lucidamente osservato Gianfranco Rotondi, è avvenuto il contrario: la vecchia sinistra DC, soprattutto quella della Base e morotea, col pupillo di Andreatta e dell’AREL, ha assunto il comando di quello che fu il partito di Togliatti, Longo e Berlinguer, squassato dal gioco al massacro di correnti e consorterie che hanno indotto l’ex segretario Zingaretti a “vergognarsi” del suo partito. Pur dimenticando il ruolo giocato da Franco Marini, già capo della mia corrente DC di Forze Nuove, nella nascita del PD, Letta è la dimostrazione palese che, alla fine, per rimettere ordine, “l’amalgama riuscita male”( D’Alema) di quel partito, ancora a un ex DC ha dovuto affidarsi, come già fece con la segreteria di passaggio di Dario Franceschini, dopo l’uscita di Veltroni, il ministro che anche stavolta è stato uno dei player al caminetto dei democratici.

 

Ho seguito in streaming il discorso di Letta di domenica scorsa, trovando integra la sua formazione cattolico democratica, condita dai riferimenti ala dottrina sociale di Papa Francesco, ai concetti della sussidiarietà e della solidarietà, sino all’annuncio di una proposta politica per la compartecipazione dei lavoratori nella gestione delle aziende. Un richiamo a teorie care alla scuola storica economico sociale di matrice fanfaniana e a molti di noi della sinistra sociale DC. Credo che molte idee del programma esposte da Letta siano del tutto compatibili con molte delle nostre che, dal seminario di Sant’Anselmo (2013) e di Camaldoli (2017), come DC guidati da Gianni Fontana, avevamo esposto per porle alla base del patrimonio programmatico della nostra area politico culturale. Netta l’alternativa alla destra populista e  nazionalista come quella anche da noi DC e componenti della Federazione Popolare DC sempre condivisa. Importante l’impegno a superare la formazione delle liste elettorali di “nominati” dai capi partito, come la volontà di dare pratica attuazione all’art.49 della Costituzione in materia di democrazia interna dei partiti, e il superamento, nei limiti costituzionali, del fenomeno indecente del trasformismo parlamentare che, in questa terza repubblica, ha assunto i caratteri patologici di una vera e propria transumanza permanente per interessi esclusivamente personali.

 

Meno accettabile la precisazione fatta domenica sera alla sua prima intervista TV, a “Che tempo che fa” di Fabio Fazio, circa la sua preferenza per sistemi elettorali maggioritari, al massimo temperati nella versione del “mattarellum”, invenzione di fine corsa DC, dell’allora politico a tutto tondo, Sergio Mattarella. Su questo punto, nonostante la differenza immediatamente accentuata con la proposta dello jus soli con la Lega, l’indicazione del neo segretario PD fa il paio con l’interesse concomitante di Matteo Salvini per un sistema forzatamente bipolare, che veda come protagonisti assoluti: la Lega a destra e il PD a sinistra.  L’esperienza fatta in questi anni dal 1993 al 2005, poi sostituita dal “porcellum” e dal tuttora vigente “rosatellum”, ha dimostrato la velleità di dare garanzia di stabilità al sistema politico in forza di una legge elettorale maggioritaria. L’esperienza storico politica italiana, per le modalità dello sviluppo capitalistico nel nostro Paese, e dello stesso processo di unità nazionale, molto più simile a quella della Germania che della Francia e agli antipodi di quella inglese, suggerisce di adottare il proporzionale per definire esattamente natura e consistenza delle forze politiche e culturali in campo. In una fase nella quale, grazie al governo Draghi, stiamo assistendo alla scomposizione e, in taluni casi, al superamento di molti attori della lunga stagione post democristiana, noi DC e Popolari crediamo sia necessario tornare al proporzionale con sbarramento al 4-5%, le preferenze e con l’istituto della sfiducia costruttiva, con il quale, come accade in Germania, è possibile arginare i rischi di ingovernabilità, che nemmeno il maggioritario nelle diverse versioni tentate, è riuscito a realizzare. Serve, in ogni caso, accelerare il processo avviato di ricomposizione della nostra area sociale,  culturale e politica, premessa indispensabile per avviare dal centro e in periferia un confronto serio con le altre forze politiche, a partire da quelle che, come noi, intendono difendere e attuare integralmente la Costituzione repubblicana. La guida di Enrico Letta del PD costituisce una garanzia di un confronto politico possibile per il bene del nostro Paese.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 15 Marzo 2021

 



Per un gruppo parlamentare nuovo di centro

 

Concorriamo alla costruzione del partito nuovo di centro. Consapevoli che il centro esiste se è un partito. L’ho scritto mille volte, specie negli ultimi mesi e, adesso, approfittiamo della tregua concessa dal governo Draghi, per dare consistenza politica al progetto. Da diverso tempo la Federazione Popolare DC , da un lato, e il gruppo degli amici raccolti attorno al “manifesto Zamagni” (in particolare “Insieme” di Giancarlo Infante e “Rete Bianca” di D’Ubaldo, Dellai e Merlo) sono impegnati nel tentativo di aggregare associazioni, movimenti e gruppi presenti a livello territoriale locale. Un tentativo tanto più efficiente ed efficace se, anche a livello parlamentare, fosse sostenuto dalla nascita di un gruppo parlamentare di centro: laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, ispirato dai valori dell’umanesimo cristiano, declinati per il nostro tempo dalla “ Laudato SI” di Papa Francesco, come si era anticipato nel Novembre scorso, all’incontro di St Vincent organizzato dall’amico On Gianfranco Rotondi.

 

Draghi, con grande sensibilità, ha chiamato a far parte del governo, quale sottosegretario alla presidenza del consiglio, con la delega a  coordinatore della politica economica, l’ On Bruno Tabacci, che considero una delle migliori espressioni del cattolicesimo politico democratico presenti nel Parlamento, unitamente a Gian Franco Rotondi, il quale non ha mai rinunciato a professare la sua origine culturale e politica democratico cristiana, pur collocandosi all’interno del partito di Forza Italia. Un partito inserito a pieno titolo nel PPE,  grazie alle sollecitazioni a suo tempo portate avanti da Sandro Fontana e don Gianni Baget Bozzo, su Silvio Berlusconi. Nel deserto delle culture politiche oggi presente in Italia, e nel fallimento conclamato dei partiti che hanno caratterizzato la lunga stagione seguita alla fine politica della DC, ciò che serve al Paese é il riemergere di quel grande fiume carsico della cultura cattolico democratica e cristiano sociale, oscurata dalla lunga stagione suicida della diaspora post democristiana (1993-2020).

 

Come ha lucidamente sostenuto Lorenzo Dellai, si tratta di favorire la ricomposizione di quanti sul piano locale si rifanno a quella lunga tradizione politica, costruendo, sin dalle prossime elezioni amministrative, liste unitarie in grado di riportare nelle istituzioni la cultura del popolarismo. Un processo che, a mio parere, andrebbe ancor più facilitato se anche a livello parlamentare nascesse un gruppo di centro nuovo come quello indicato. Due deputati come Tabacci, da un lato, e Rotondi, dall’altro, sarebbero i più qualificati esponenti e leader di tale progetto. Una prospettiva, d’altra parte, essenziale, per respingere le insorgenti nostalgie di leggi elettorali maggioritarie che, dopo le attuali gravi crisi del M5S e del PD, stanno prendendo corpo. Solo una legge elettorale proporzionale alla tedesca, con sbarramento, preferenze e sfiducia costruttiva, infatti, potrebbe favorire una diversa dislocazione delle forze politiche rispetto a quel bipolarismo forzato e innaturale della nostra storia nazionale, che ha segnato la lunga stagione della seconda repubblica, sino al suo epilogo finale nell’attuale “governo del presidente e dell’emergenza nazionale”.

Certo, per costruire un tale gruppo parlamentare servirebbe una ventina di deputati coraggiosi, i quali, ritrovandosi sui valori del popolarismo e dell’europeismo, potrebbero indicare anche alla periferia un riferimento strategico su alcuni punti programmatici in grado di offrire una nuova speranza all’Italia. Una speranza ai ceti medi produttivi e alle classi popolari da troppo tempo frustrati dalle illusorie offerte dei sovranismi e populismi di diversa estrazione, i quali, senza una rinnovata offerta della cultura del popolarismo, potrebbero rifugiarsi, come è accaduto in un’altra fase tragica della nostra storia, nell’estremismo della destra o nella rassegnata diserzione politica ed elettorale.

Tabacci e Rotondi riusciranno nell’impresa? Toccherà anche agli amici Gargani, Infante e D’Ubaldo, favorire il progetto, sostenendolo con una proposta politico programmatica unitaria all’altezza dei bisogni dell’Italia.

 

Ettore Bonalberti

 

Venezia, 9 Marzo 2021

Cambiamo il passo

 

Il M5S in forte scomposizione e il PD in fibrillazione precongressuale; la destra divisa tra governisti e opposizione meloniana: è quanto sta verificandosi dopo l’avvenuta formazione  del governo Draghi. Uno tsunami delle e tra le forze politiche della cosiddetta “terza Repubblica”. L’alleanza PD-M5S del governo Conte 2, fallita dopo la mancata operazione dei “responsabili” e con le fratture aperte nei due partiti, sembra naufragare e la chiamata in campo del possibile federatore, il prof Giuseppe Conte, al massimo potrà funzionare come collante della disastrata formazione grillina. Anche la speranza di un Conte ascrivibile alla tradizione politica cattolico democratica  e popolare coltivata da alcuni amici dopo l’incontro novembrino a St Vincent, sembra svanire, e solo l’incarico affidato all’On Bruno Tabacci, erede della migliore tradizione marcoriana della DC lombarda, costituisce la  sicura presenza governativa della nostra cultura popolare.

 

Il progetto da qualche tempo avviato della ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale, ossia della cultura politica che ha attraversato l’intera storia repubblicana nazionale, di cui il Paese avrebbe una grande necessità, assume adesso l’esigenza di una forte accelerazione. Qualche amico propone di ripartire dai territori dove esistono realtà associative disponibili all’impegno politico amministrativo sin dai prossimi rinnovi dei consigli comunali. Trattasi di un’ipotesi ragionevole, ancor più efficace se accompagnata dal riavvicinamento delle esperienze maturate a livello nazionale. Realtà associative come quelle della Federazione Popolare dei DC, di Insieme e Rete Bianca, le quali hanno facilitato la ricomposizione di partiti, movimenti, associazioni e gruppi dell’area cattolico democratica e cristiano sociale, potrebbero costituire, se unite, il catalizzatore indispensabile per ricomporre anche a livello territoriale la più ampia unità dei cattolici democratici e cristiano sociali.

 

Un’unità ampia e plurale, aperta alla partecipazione di altre realtà politico culturali di ispirazione democratico liberale e riformista, che condividendo i valori dell’umanesimo cristiano, sono interessate alla difesa e all’integrale attuazione della Costituzione repubblicana e alla costruzione del nuovo centro della politica italiana. Anche a livello parlamentare gli amici Rotondi e Tabacci potrebbero /dovrebbero facilitare la nascita di un gruppo ispirato ai valori del popolarismo, nel quale potrebbero confluire diversi parlamentari che lo tsunami in atto ha reso orfani delle loro appartenenze e/o che stanno riscoprendo gli antichi valori democratici e popolari. Un gruppo largo di parlamentari moderati provenienti dal centro-destra e dal centro-sinistra. L’appello dell’amico Rotondi a Berlusconi per dar vita al Partito Popolare in Italia, si inserisce in tale prospettiva.

 

 Tali iniziative, avviate tanto a livello centrale che territoriale, favorirebbero quella ricomposizione politica dell’area di ispirazione popolare da sperimentare sia nelle elezioni amministrative locali che in quella politico nazionale, che si terrà, in ogni caso, dopo l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. L’annunciato impegno della Federazione popolare DC per l’incontro di programma che si potrebbe denominare: “ La nuova “visione” del centro politico. Una nuova …….”Camaldoli”, potrebbe rappresentare l’occasione per facilitare l’unità di quanti condividono i sei pilastri della cultura per ricostruire la polis e ridare un amalgama al popolo italiano. Sono i sei pilastri assunti come punti di riferimento e di studio dal comitato tecnico scientifico della Fondazione DC coordinato dall’amico prof Giannone:

 

      Umanesimo integrale: al centro, Persona e Dignità; 

      Dottrina Sociale della Chiesa, con le Encicliche dei Pontefici, dalla Rerum Novarum di Leone XIII°, alla Populorum Progressio di Paolo VI°, alla Laborem Exercens di Giovanni Paolo II°, alla Caritas in Veritate di Benedetto XVI°, alla Evangelii Gaudium e alle Laudato Si’ e Fratelli tutti di Papa Francesco;

      Popolarismo e Personalismo. I Testimoni che hanno fatto diventare nel 1987 l’Italia la VI^ Potenza industriale nel mondo;

      Ecologia integrale ed Etica ecologica, con il riferimento ai contenuti della Enciclica Laudato Sì;

      Costituzione della Repubblica Italiana;

      CEDU (Carta Europea dei Diritti Umani)  

 

Credo che su tali premesse da sviluppare e tradurre politicamente nella realtà italiana, si possa e debba finalmente ricomporre la nostra unità. Servirà però, un deciso cambiamento di passo dopo la lunga surplace di questi mesi.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 27 Febbraio 2021


Alla ricerca del “federatore”

 

Puntuale e rigorosa come al solito l’analisi politica dell’amico Giorgio Merlo su “ Il Domani d’Italia” con il suo articolo: Il centro e il “federatore”.( http://www.ildomaniditalia.eu/il-centro-e-il-federatore/).

Condividendo l’idea che con il decollo del governo Draghi e col trasformismo che raggiunge il momento più alto della sua espressione parlamentare e, probabilmente anche la sua fine precipitosa, la geografia politica sia destinata a cambiare. Prova ne siano lo smottamento in atto nel M5S, le tensioni precongressuali  e mai sopite nel PD, la divisione intervenuta persino nel voto di fiducia nella sinistra di LEU, compresa la rottura dell’intesa tattica se non strategica della destra, anch’io ritengo sia giunto il tempo per una forza politica di centro, nella quale non potrà mancare l’apporto di una componente possibilmente unificata della nostra area politico culturale, quella, cioè, dei cattolici democratici e cristiano sociali.

Quanto al “federatore”, mi permetto di ricordare a Merlo l’insegnamento del nostro compianto amico e maestro, Carlo Donat Cattin: i capi non si scelgono a tavolino, ma si impongono nel dialogo e nel confronto anche duro della politica. Ecco perché, continuo a indicare in una Camaldoli 2021, ossia in un luogo di dibattito per definire un programma politico per l’Italia, l’occasione per un confronto franco e severo, anticipatore di un’assemblea costituente del soggetto politico nuovo di centro di cui Giorgio Merlo scrive.

Sino a oggi l’unica risposta positiva è giunta dalla Federazione Popolare DC, mentre INSIEME continua per la sua strada in autonomia e Rete Bianca  a me pare, sia ancora ferma sul che fare?

Non esistono, allo stato degli atti, figure di leadership né carismatiche, né popolari e neppure potenti, volendo utilizzare gli ideal typus weberiani, in grado di assumere quella figura di “federatore” cui Merlo fa riferimento. Solo dal dialogo e dal confronto programmatico e politico  sapremo individuare la personalità che, alla fine, si imporrà e che democraticamente eleggeremo in sede di Assemblea costituente. Si attendono risposte.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 21 Febbraio 2021

E adesso, che facciamo?

 

A St Vincent, nel Novembre scorso, avevamo sostenuto l’idea di Gianfranco Rotondi di un confronto tra esponenti di diverse culture politiche accomunati dalla condivisione dei principi indicati da Papa Francesco nella “Laudato SI”. Era il tentativo di far decollare una ricomposizione al centro di amici e movimenti presenti in Parlamento, progetto a sostegno del quale aveva inviato un indirizzo di saluto anche il presidente del consiglio in carica Giuseppe Conte. Con la crisi irresponsabilmente aperta in piena crisi pandemica da Renzi, quel tentativo valdostano è continuato per cercare di riunire diversi parlamentari in un gruppo di cosiddetti “responsabili” a sostegno della maggioranza di governo, ma, alla prova del voto, è fallito. Il Conte 2 ha ottenuto la maggioranza relativa sia alla Camera che al Senato, ma sono mancati i voti necessari per la maggioranza assoluta in una delle due camere. Il Presidente Mattarella, anziché rinviare alle Camere il governo Conte 2 non sfiduciato per la prova definitiva che, probabilmente a quel punto, avrebbe potuto sortire esito positivo, ha preferito affidare l’incarico a Mario Draghi, come una delle ultime preziose risorse della Repubblica.

 

Due amici democratici cristiani da sempre, come Bruno Tabacci e Gianfranco Rotondi, hanno svolto una combattiva azione per tentare di costruire il gruppo dei responsabili, ma, alla fine, ha prevalso il “particulare” dei diversi parlamentari contattati, timorosi di trovarsi senza riferimenti e di restare esclusi dal carro del vincitore sicuro, quello dell’ex direttore generale di Banca d’Italia e della BCE. Ho espresso le mie riserve sulla genesi del governo Draghi con l’ultimo editoriale sul sito www.alefpopolaritaliani.it : mandanti e sicari, rinviando un giudizio di merito sulle scelte concrete che il governo a maggioranza parlamentare bulgara compirà. Un giudizio meditato soprattutto per comprendere come tali scelte saranno fatte, a vantaggio di chi e per che cosa. Il linguaggio asciutto e sintetico delle dichiarazioni programmatiche di Draghi é del tutto condivisibile nella descrizione delle priorità da affrontare: lotta alla pandemia, crisi economica e sociale, riforma burocratica, del fisco e della magistratura, tutte riunite nella strategia di una visione di sviluppo eco-sostenibile; ora, però si tratterà di vedere come questi obiettivi enunciati si concreteranno nelle decisioni che su queste materie il governo assumerà.

 

Sul piano politico, quest’ultimo atto compiuto, alla fine di una stagione dominata dal trasformismo, elemento dominante di un Parlamento che, dopo il voto del 16 Marzo 2018, ha visto la nascita di tre diverse maggioranze: giallo verde ( Conte 1), giallo rossa (Conte 2) e, adesso, dell’unità emergenziale, è caratterizzato dall’opposizione esplicita della destra di Giorgia Meloni che si distingue da Lega e Forza Italia e dallo smottamento che il SI a Draghi ha determinato nell’estrema sinistra di LEU e, soprattutto, nel gruppo di maggioranza relativa del M5S. Anche l’annunciato inter gruppo parlamentare PD-M5S-LEU, che avrebbe dovuto garantire il mantenimento dell’alleanza che aveva retto il governo Conte 2, in previsione sia delle prossime elezioni regionali e amministrative locali, che dell’attività da svolgere in Parlamento a sostegno del governo Draghi, dopo i primi entusiasmi, sconta le difficoltà apparse subito nel PD e, soprattutto, il rischio di scissione sempre più probabile del M5S. Matteo Renzi, con la sua fidata Elena Boschi, plaude al  successo per aver fatto fuori Conte e favorito la guida di Draghi, ma la sua azione di rottura è resa ancora più devastante dal processo di scomposizione e frantumazione apertosi in tutto lo schieramento politico.

 

In tale situazione si ripresenta ancor più urgentemente il tema del nostro, che fare? Il card. Camillo Ruini nell’odierna intervista al Corsera, in occasione dei suoi 90 anni, conferma quanto già a suo tempo dichiarò sul NO al partito cattolico, esprimendo, peraltro, un giudizio positivo sul governo Draghi. Quel NO al partito cattolico, infatti, l’aveva già pronunciato nell’Ottobre e Novembre 2020, aprendo a Salvini  e a Meloni se solo “avessero sciolto il loro nodo sull’Europa”. Insomma un’apertura a destra, come già aveva fatto, realisticamente, al tempo dei governi presieduti da Berlusconi. Sul ruinismo e sulla sua idea di una presenza dei cattolici diffusa in tutti i partiti, progetto rivelatosi fallimentari con la riduzione della presenza cattolica all’irrilevanza , ho scritto ampiamente nel capitolo secondo del mio ultimo libro:

Demodissea, la democrazia cristiana nella stagione della diaspora (1993-2020) (https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/562226/demodissea/) e, come scrissi, quella idea del cardinale Ruini, non sembra smarcarsi dall’originaria impostazione anti dossettiana e anti prodiana mai venuta meno. Da parte nostra, DC e popolari, ritengo invece che, preso atto della scelta che sembra portare Conte più nel ruolo del federatore della coalizione PD-M5S-LEU che di partecipante attivo alla ricomposizione del centro, si debba perseguire l’impegno che, tanto noi della Federazione Popolare DC quanto gli amici raccolti attorno al manifesto Zamagni (Insieme e Rete Bianca), stiamo sviluppando per la ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale. L’avvio di un gruppo parlamentare unitario di quest’area sarebbe oltremodo utile, non solo in quella sede, facendo uscire i parlamentari UDC dalla condizione di sudditanza ambigua e inefficace all’egemonia/dominio in dissoluzione di Forza Italia e della Lega, ma anche, come accordo elettorale per le prossime elezioni amministrative locali e regionali.

 

Nella recente riunione del comitato di garanzia della Federazione Popolare DC, accanto a  questa proposta da tutti condivisa, ossia di presentarci tutti uniti in una lista dei DC e Popolari alle prossime elezioni amministrative locali, abbiamo anche concordato sull’opportunità di organizzare ad Aprile la nostra Camaldoli di programma 2021, insieme a quanti dell’area cattolico democratica e cristiano sociale italiana sono interessati ad offrire al Paese la nostra proposta di programma per una nuova speranza per l’Italia. Solo dopo quel confronto programmatico, decidendo insieme il percorso, si potrà organizzare una grande assemblea costituente del soggetto politico nuovo di centro ampio e plurale, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, ispirato dai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori DC, alternativo alla sinistra e alla destra populista e sovranista. Certo, attenti al sistema elettorale che alla fine sarà adottato, preoccupati dal risorgere di mai sopite velleità maggioritarie e presidenzialiste, impegnati a sostenere un sistema proporzionale alla tedesca, tanto più necessario dopo l’avvenuta riduzione del numero dei parlamentari e per conservare la democrazia rappresentativa come prevista dagli articoli della Costituzione repubblicana insieme ai caratteri propri della nostra Repubblica parlamentare.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 19 Febbraio 2021

 

 

 

 

 

Mandanti e sicari

 

Sarà anche vero che Renzi è un “catto boy scout” e che Draghi è un “catto banchiere” ( Massimo Fini su Il Fatto Quotidiano di Domenica 14 Febbraio) e che dal combinato disposto è scattata l’operazione contro Conte: mettere le mani sui fondi della UE. Si sa la politica, come l’economia, deve decidere come allocare le risorse in genere scarse ( ma non è il caso del recovery fund, l’aiuto più consistente offerto all’Italia dopo il Piano Marshall) tra usi e bisogni alternativi. Ed è per questo che mi sono chiesto sin dall’inizio dell’operazione Renzi: a vantaggio di chi e per che cosa? Ricordo che nel 2016, al tempo del referendum costituzionale, Renzi lo promosse dopo che JP Morgan definì la nostra Costituzione “ troppo socialista”. Noi Popolari ci organizzamo nel comitato dei Popolari per il NO contro la “deforma costituzionale renziana”, ideata dai tre noti costituzionalisti toscani: Renzi, Boschi, Verdini.


Perduta la partita Renzi ci aveva assicurato che avrebbe posto fine al suo impegno politico, invece, non solo ha continuato a svolgere “lectio magistralis” a vari club e gruppi finanziari internazionali, sino alla sua ultima contestata performance in terra araba, ma ha continuato nella sua azione di “sfasciacarrozze” già consumata nel PD e, adesso contro il governo giallo rosa di Conte. Goffredo Bettini ha scritto al riguardo, l’8 Gennaio su Il Fatto quotidiano: "Dunque Renzi è il “sicario”, non il “mandante” da inquadrare invece nel crogiolo dei poteri della società affluente, nel blocco impeditivo, nella trincea extra strong che in Conte vedeva l’ostruzione, l’interdizione, l’estraneità e dunque la pericolosità di chi - entrato in politica per caso – iniziava pericolosamente a prenderci gusto. I “mandanti” si salveranno, “il sicario no”. Resterà con la soddisfazione di aver sfregiato Conte ma con più niente in mano.“Ha una così cattiva reputazione che nessuno mai gli depositerà nelle mani un grammo di fiducia. Io lo vedo perso nella sua disperante condizione di non avere un futuro. E chi ne è privo non ha storia da narrare o progetto da scoprire, ha da pestare i piedi solo nella cronaca minuta, l’oggi è già ieri, già dimenticato”.


Non sappiamo se veramente Renzi abbia agito da “sicario” su indicazione di qualche mandante più o meno occulto, sappiamo però che il mondo e' sempre stato diviso in due:  gli abramitici da una parte e i non  abramitici dall'altra, cioè gli atei dall'altra.

Quindi da una parte gli abramitici, ossia i cattolici, i cristiani ortodossi, gli ebrei, i maomettiani,   con le loro salde regole: non truffare,  non manipolare,  non rubare; dall'altra parte invece i cosiddetti  “arianisti”, da  “arianesimo” che  significa materialismo, che corrisponde esattamente a quella fascia di terra che va dalla Germania orientale,  passa dalla Cecenia  e giunge alla Georgia, Azerbajan e Iran. In passato si chiamavano Goti,  Ostrogoti i così detti barbari,  contrapposti all' impero delle regole, contrapposti all' impero cattolico- ebraico Romano, con le sue regole dettate dal Codice Civile e Penale  che furono  promulgati  dal primo imperatore romano,  Augusto Ottaviano.  Nel tempo i barbari si  sono poi  chiamati  luterani per la  parte che  riguarda la  Germania orientale,  evangelici nella parte che invece riguarda Cecenia, Georgia,  Azerbaijan. I luterani tedeschi orientali pensano che l'uomo non possa essere giudicato dall'uomo, ma solo da Dio,  ma poiché sono atei,  nessuno in Terra li può giudicare,  per cui possono truffare, manipolare, rubare.


 I luterani  tedesco orientali  oggi hanno il  nome delle grandi multinazionali finanziarie delle 7 grandi  famiglie luterane tedesco orientali:  Rothschild,  Rockefeller,  Bush,  Clinton,  Warburg,  Johnson e J.P. Morgan, che con i loro fondi speculatori (hedge fund)  Vanguard, State Street, Fidelity, Franklin Templeton, hanno il controllo  in Italia delle banche,  della farmacologia,  dell'energia, delle telecomunicazione, della grande industria alimentare,  fondamentale quest'ultima per ammalarti di cancro,  dal momento che le loro industrie sono le uniche produttrici mondiali,  oltre che di vaccini anche di preparati chemioterapici.


Che questi signori siano del tutto estranei e disinterassati ai fondi per l’Italia previsti dal Next Generation UE, in larga parte interessati/bili ai settori industriali di loro competenza, ci sembra alquanto improbabile. Chi possano essere “i sicari” politici di questi ipotetici mandanti, solo tra qualche tempo saremo in grado, forse, di riconoscerli. Basterà seguire il flusso e le destinazioni del denaro e capiremo a vantaggio di chi e per che cosa.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 14 Febbraio 2021

 

 

 

 

Non c’è più tempo da perdere

 

Alla fine Giuseppe Conte ha scelto. Ha deciso di assumere la guida della coalizione giallo rosa che lo ha sostenuto al governo. Un’alleanza che si propone come il gruppo politico di contrasto a quello sovranista nazionalista a guidai Salvini e Meloni.

Con un sistema elettorale come quello attuale, il rosatellum, quel patto giallorosa sarebbe pronto ad affrontare lo scontro con la destra anti europea italiana, salvo che il nascente governo Draghi, non favorisca quel rimescolamento delle carte, ultimo frutto imprevisto del dominante trasformismo della terza repubblica.


Alcune ipotesi che erano emerse sulla possibilità di una convergenza di Conte sulle posizioni dell’area cattolico democratica e cristiano sociale, dopo il discorso dal predellino di Palazzo Chigi, sono inevitabilmente sfumate e, dunque, si ripropone ancor più urgente che mai il nostro: che fare? Se non vogliamo morire come l’asino di Buridano nella mancata scelta tra i due blocchi destra-sinistra è necessaria la nostra unità.


A me pare, infatti, che una lettura senza pregiudizi della realtà effettuale imponga a tutti noi, Federazione Popolare DC, amici del manifesto Zamagni di Insieme e Rete bianca, con tutte le diverse associazioni, movimenti, gruppi e persone della vasta area cattolica democratica e popolare, una decisione non più rinviabile: l’unità, ossia la necessità inderogabile della nostra ricomposizione politica. Un’alleanza europeista sarebbe zoppa, infatti, senza la presenza della componente popolare erede dei padri fondatori DC dell’Unione europea: De Gasperi, Adenauer, Monnet e Schuman.


Questa è l’indispensabile premessa per riportare in campo la nostra migliore cultura politica, mentre altrettanto necessaria sarà l’approvazione di una legge elettorale proporzionale alla tedesca, con preferenze e sfiducia costruttiva, ossia la conditio sine qua non per garantirci una rappresentanza istituzionale pari al nostro effettivo consenso nel Paese.

Ecco perché sarebbe utile la convocazione di un webinar tra il direttivo della Federazione Popolare DC e degli amici di Insieme e Rete Bianca, per decidere come procedere nelle due tappe che considererei opportune per il progetto: l’organizzazione di una Camaldoli programmatica 2021, nella quale definire il programma politico, economico e sociale dei DC e Popolari per il Paese e un’assemblea costituente del soggetto politico nuovo di centro ampio e plurale, come definito nel patto costitutivo della Federazione e negli atti degli amici del manifesto Zamagni.


Programma e condivisa strategia politica sono le condizioni indispensabili per la scelta di una classe dirigente nuova e credibile e di una leadership carismatica che s’imporrà dal necessario confronto libero e democratico. Le risorse umane al riguardo esistono e non mancheranno , così come grande è il tesoro di documenti, proposte e indicazioni che, ad esempio, la nostra amata DC ha saputo produrre dai seminari del convento di Sant’Anselmo (2013) e di Camaldoli (2017) da cui ripartire.

Auguriamo al governo Draghi di nascere e di sviluppare la sua azione positiva sui punti strategici indicati dal presidente Mattarella; prudenti, tuttavia,  ricordando le infelici esperienze vissute dopo l’incontro dei maggiorenti sul panfilo “ Britannia” e le decisioni che seguirono nel 1992 con il decreto Amato-Barucci, che portò alla privatizzazione di Banca d’Italia.


A Gargani, Grassi, Tassone, Rotondi e agli amici dell’UDC da un lato, come a Infante e D’Ubaldo, Merlo, Tarolli, Tabacci e amici, dall’altra, il compito di rompere gli indugi e di convocare urgentemente l’avvio del processo di unificazione politica dei cattolici democratici e cristiano sociali italiani.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 5 Febbraio 2021



Una crisi irresponsabile

 

A Davos i potenti della Terra discutono del Gran Reset della politica economica dell’Occidente prendendosela con i mercati immobiliari e l’ossessione della proprietà della casa che, secondo lor signori, mina la crescita, l’equità e la fede pubblica nel capitalismo. Sono gli stessi potenti che, secondo quanto acutamente ha evidenziato il prof Zamagni, nell’età della globalizzazione hanno rovesciato il principio del NOMA ( Non Overlapping Magisteria), ponendo la finanza al vertice della piramide, ai cui fini vengono subordinate l’economia reale e la stessa politica, con le gravi disfunzioni e ingiustizie denunciate quasi in via solitaria dalle ultime encicliche sociali della Chiesa cattolica.

 

In questo scenario geopolitico caratterizzato dalla crescente egemonia cinese sino al predominio del secolo asiatico, dalla crisi politica degli USA sfociata nell’assalto al Capitol di Washington e dall’aperta contestazione a Putin in Russia, con una pandemia che a oggi ha causato a livello mondiale oltre 100 milioni di casi con oltre due milioni di morti ( dati OMS del 29 Gennaio 2021), impegnati in Italia ad assumere decisioni importanti sul piano interno ed europeo, Matteo Renzi ha aperto irresponsabilmente una crisi di governo che rischia di trascinare il Paese in una situazione gravissima sul piano interno e internazionale.

 

Il governo dell’Italia non può essere sottoposto al ricatto continuo del senatore di Scandicci, un uomo inaffidabile sin da quando, adolescente, i suoi compagni di gioco lo chiamavano “ il Bomba”, tanto che ricorrere alle catilinarie ciceroniane dell’ “Usque tandem Renzi abutere patientiam nostram?” ci sembra quanto mai opportuno. Non so, nel momento in cui scrivo, come evolverà e come si risolverà la crisi di governo, anche se, personalmente, ritengo che non sia pensabile la partecipazione a una rinnovata maggioranza  governativa di un partito capeggiato da un signore che, dopo avere aperto una crisi universalmente giudicata pretestuosa, si è fatto consacrare come lobbista internazionale dalla casa regnante dell’Arabia Saudita, retta da un dittatore mandante dell’esecrato omicidio Khashoggi, così come nel 2016 volle il referendum, fortunatamente rivelatosi per lui suicida, a sostegno di una “deforma costituzionale” ispirata dai potenti della JP Morgan, per i quali la Costituzione italiana “sarebbe troppo socialista”. Certo uno sbocco della crisi in elezioni politiche anticipate non sarebbe da augurarsi, ma non per il timore, come generalmente si sostiene, che le vincerebbe la destra a dominanza salviniana e della Meloni, quanto piuttosto per le condizioni oggettive di debolezza in cui versa il Paese a rischio di una crisi sociale al limite della rivolta istituzionale.

 

Nella nostra “teoria dei quattro stati”, nella condizione che la pandemia ci sta imponendo, le uniche realtà che la stanno sfangando senza problemi sono: la casta con quelli dei diversamente tutelati, protetti da stipendi pubblici assicurati, e quelli del “quarto non Stato”, in larga parte rappresentato da organizzazioni illegali come mafia, ndrangheta, camorra che, nella situazione attuale, trovano le occasioni opportune per lucrare sulla disperazione del terzo stato produttivo. E’ proprio la condizione disperata del terzo stato produttivo (PMI, operai, artigiani, commercianti, partite IVA, liberi professionisti), quello che produce il reddito reale del Paese, che sta soffiando verso una rivolta, prima come rivoluzione fiscale passiva, sino ad assumere modalità del tutto imprevedibili. Dalla rivoluzione fiscale passiva, unita alle minori entrate già dovute ai diversi tagli e rinvii di tasse decisi dal governo, potrebbe derivare una difficoltà di cassa tale da mettere in crisi anche le pensioni e gli stipendi dei quasi 3,5 milioni di dipendenti pubblici ( dati ISTAT relativi all’anno 2018).

 

Pizzerie, ristoranti, bar e negozi di abbigliamento,  non stanno già più pagando  gli affitti,  i proprietari stanno facendo gli sfratti, ma poi nessuno  troverà da affittare in questa situazione , hanno tasse da pagare sugli immobili, saranno costretti a svenderli,  i mutuatari non stanno più pagando i mutui prima casa e le banche stanno già facendo gli sfratti da pignoramento immobiliare; a questo punto arrivano le multinazionali tedesco orientali  dei Rothschild,  Rockefeller, Morgan  che se li  comprano a bassissimo prezzo, se non prima gli emissari  della criminalità organizzata italiana e straniere. Ecco perché mi auguro una soluzione rapida e solida di governo che ci permetta di non perdere l’affidabilità tanto faticosamente riconquistata da Conte con Gualtieri, Gentiloni e Sassoli in Europa, per giungere serenamente ad adottare un recovery plan coerente con gli obiettivi indicati dalla UE; all’elezione del Presidente della Repubblica e, dopo, solo dopo, alla verifica elettorale con una legge proporzionale con sbarramento e sfiducia costruttiva in grado di dare corretta rappresentanza reale alle diverse componenti politico culturali presenti nel Paese, compresa la nostra di area cattolica democratica e cristiano sociale, spero finalmente unitariamente rappresentata.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF (www.alefpopolaritaliani.it)

Direttivo Federazione Popolare DC

 

Venezia, 30 Gennaio 2021

 

 

 


Ora o mai più

 

Nella situazione politica, istituzionale, economica e sociale del Paese, aggravata da una pandemia che non sembra dare tregua, Matteo Renzi ha scelto la strada di una crisi  che ci auguriamo possa essere superata, almeno nei suoi pericolosissimi effetti immediati. Ieri il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nel suo intervento alla Camera, ha offerto la legge elettorale proporzionale, che costituisce la precondizione indispensabile per la rinascita di un centro politico ampio e plurale che è l’obiettivo che, anche come Federazione Popolare dei DC, ci proponiamo. Il nostro progetto ha molte affinità con quello che gli amici raccolti attorno al “Manifesto Zamagni”: Insieme, Rete Bianca e altri movimenti e associazioni stanno perseguendo; ossia la ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale italiana. Un progetto che ha già visto alcune importanti riconciliazioni tra partiti, movimenti, associazioni e gruppi tanto nella Federazione Popolare DC che tra gli amici del Manifesto Zamagni.

 

L’esigenza di ricostruire un centro politico ampio e plurale, democratico, popolare, riformista e europeista, ispirato dai valori dell’umanesimo cristiano, alternativo alla sinistra e alla destra sovranista e populista, impegnato nella difesa e integrale attuazione della Costituzione e a inverare nella città dell’uomo gli orientamenti della dottrina sociale della Chiesa, è presente in entrambi i due raggruppamenti di cui sopra. Anche Gianfranco Rotondi, con l’iniziativa assunta a St Vincent nel Novembre scorso, ha evidenziato l’opportunità di avviare un progetto di ricomposizione dell’area cattolica, popolare, liberale e riformista, sui valori e i principi  dell’enciclica “Laudato SI” di Papa Francesco.

 

Nel momento in cui scrivo si sta svolgendo al Senato il dibattito sull’apertura della crisi, dopo che ieri il Presidente Conte aveva ottenuto la maggioranza assoluta dei voti della Camera dei Deputati, tra i quali quello dell’On Polverini di Forza Italia; prima e probabilmente non ultima dissociazione di alcuni parlamentari dal partito del Cavaliere. E’ stata quella di ieri un’occasione assai utile nella quale avevo sperato che gli amici dell’UDC esprimessero la loro autonomia di giudizio rispetto a un centro destra a trazione salviniana e della Meloni, lontano mille miglia dalle scelte di quel partito inserito, con Forza Italia, a pieno tiolo nel PPE.

 

L’amico Hermann Teusch, della CSU bavarese, membro della Federazione Popolare DC, aveva anche lui sollecitato un voto di fiducia a Conte, sottolineando che era ed è anche questa l’aspettativa degli amici CDU e CSU tedeschi che, con la Merkel e la Van der Layen hanno favorito l’apertura di credito all’Italia con i fondi della next generation EU e non comprendono la rottura irresponsabile provocata dal senatore di Scandicci. Ieri, però, per l’UDC, assumendo il ruolo di dominus, il sen De Poli, ha confermato la ferma determinazione di quel partito nel rimanere nel centro destra; conferma ribadita stamane dalla sen. Binetti a poche ore dal voto. Se così sarà, l’UDC perderà l’occasione storica di favorire quel progetto di ricostruzione di un gruppo parlamentare di centro democratico, popolare, liberale e riformista, cui ha fatto cenno Conte nel suo intervento. Un progetto che  anche l’On Bruno Tabacci ha sostenuto ieri, con un discorso nel quale, molto opportunamente, ha ricordato la ricorrenza del 18 Gennaio, data di nascita del Partito Popolare Italiano. Se, com’è assai probabile, oggi al Senato, Conte non otterrà la maggioranza assoluta, ma la maggioranza relativa, meglio se sostenuta da qualche cifra efficace, si aprirà una trattativa per la formazione del nuovo governo. Sarà importante vedere se il progetto di un gruppo parlamentare di centro ampio e plurale nascerà in Parlamento, ma ancor di più lo sarà avviare un immediato percorso di ricomposizione della nostra area politico culturale tra la Federazione Popolare dei DC e gli amici di Rete Bianca e  Insieme e con tutti coloro interessati a riportare in campo il cattolicesimo politico. Essenziale sarà non anteporre questioni pregiudiziali di schieramento, inevitabilmente divisivi, consapevoli che un centro democratico ampio e plurale, come quello indicato, potrà nascere solo se autonomo e indipendente. Certo la precondizione sarà l’adozione di una legge elettorale proporzionale alla tedesca, con sbarramento e sfiducia costruttiva. Di qui la necessità di favorire l’adozione di questa legge come indicato da Conte. Rimanesse il rosatellum, il nostro progetto non potrebbe decollare, poiché, in una scelta obbligata bipolare, la nostra area sarebbe immediatamente lacerata tra l’opzione di destra e quella di sinistra, con ampi margini di astensione come è avvenuto dopo la suicida scelta del maggioritario al tempo del referendum Segni….

 

Prima è indispensabile organizzare insieme una Camaldoli 2021 per condividere con le migliori espressioni dell’intellighenzia cattolica italiana, il programma dei DC e Popolari per l’Italia. Un programma per la piena attuazione della carta costituzionale e con politiche economiche in grado di corrispondere agli interessi dei ceti medi produttivi e delle classi popolari. A seguire, una grande assemblea costituente nazionale del soggetto politico nuovo,  dalla quale emergerà una classe dirigente di giovani competenti, dotati di grande passione civile e impegnati ad assumere il codice etico del decalogo sturziano alla base dei loro comportamenti politici e amministrativi. Avanti, dunque, da “Liberi e Forti” con quanti sono disponibili per questo formidabile impegno.

 

Venezia, 19 Gennaio 2021

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( www.alefpopolaritaliani.it)

Direttivo Federazione Popolare DC

 

 

 


Siamo pronti per il nuovo centro alternativo


Ottima e totalmente condivisa la riflessione dell’amico Raffaele Bonanni pubblicato sulla rivista “ Formiche”: “Un centro alternativo è possibile”. In una fase storica dominata dal turbo capitalismo finanziario, che induce a una progressiva proletarizzazione dei ceti medi produttivi, ossia la base della democrazia nel mondo occidentale, quando i loro interessi sono connessi con quelli delle classi popolari; col prevalere di un’anomia morale, culturale e politico istituzionale assai diffusa, come scrive Bonanni: “ si afferma la convinzione che la cultura ispirata dalla Dottrina Sociale della Chiesa, sia decisiva proprio in frangenti speciali come quelli che viviamo oggi per fronteggiare le esigenze dell’economia e della coesione sociale”.

Il richiamo a superare le attuali frammentazioni, conseguenza della lunga stagione della diaspora post DC (1993-2020) per diventare “il collante, la garanzia per la costituzione di una area politica coesa e plurale, che sappia essere alternativa credibile alla sinistra come alla destra” è quanto anche noi componenti della Federazione Popolare DC intendiamo perseguire, convinti come siamo che all’Italia serva la presenza di un’area cattolico democratica e popolare ispirata dalla dottrina sociale cristiana. Bonanni è ben consapevole che per evitare ciò che è accaduto, sin qui, ossia “ presenze piccole e strumentali alla ricerca di albergo a sinistra o a destra”, la condizione indispensabile sarà l’adozione da parte del parlamento della legge elettorale proporzionale, senza la quale, permanendo l’attuale “rosatellum” ( cosa, ahimè, non da escludersi) quella fallimentare tattica opportunistica e di poco respiro continuerà a perpetuarsi, riducendo il ruolo dei cattolici all’irrilevanza vissuta nella cosiddetta seconda e sino all’attuale terza Repubblica.

Credo, però, che sia molto ampia e diffusa la consapevolezza della necessità di uscire da questa condizione per concorrere, come abbiamo condiviso nel nostro patto federativo, a costruire un soggetto politico nuovo di centro: democratico, popolare, riformista, europeista, ispirato dalla DSC, alternativo alla sinistra e alla destra nazionalista e populista, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori. Un centro d’ispirazione popolare e democratico cristiana, aperto alla collaborazione con quanti condividono il progetto della difesa e integrale attuazione della costituzione repubblicana. Questo è uno degli obiettivi perseguiti anche dagli amici che, con diverse sensibilità e modi organizzativi, hanno aderito al “manifesto Zamagni”, tra i quali, gli amici di “Costruire Insieme” che, con Tarolli, Bonanni e altri abbiamo concorso a realizzare.

Ora è tempo di ricomposizione, tanto più necessaria, per affrontare i rilevanti problemi che la pandemia ha prodotto e continuerà a produrre anche nell’anno nuovo. Sull’esempio fornitoci dai padri fondatori della DC, De Gasperi-Demofilo, con le sue “idee ricostruttive della Democrazia cristiana” (26 Luglio 1943), che accompagnarono la redazione del documento programmatico da parte di un gruppo di intellettuali di fede cattolica ( il Codice di Camaldoli- Luglio 1943) anche tutti noi, Federazione Popolare DC e amici riuniti attorno al Manifesto Zamagni, insieme alla vasta e articolata realtà politico culturale cattolico democratica e cristiano sociale, dovremmo incontrarci nella Camaldoli 2021, per definire la proposta di un programma popolare per il Paese e per l’Europa. Concordato il programma, si potrà organizzare una grande assemblea costituente del soggetto politico nuovo da affidare a una rinnovata classe dirigente di giovani appassionati, pronti a inverare nella “città dell’uomo” gli orientamenti pastorali della dottrina sociale cristiana.

Ettore Bonalberti-Venezia,

31.12.2020


Pubblichiamo un articolo dell'amico Fabio Polettini, che ringraziamo, sulla politica estera italiana nel Mediterraneo


                                                 IL MEDITERRANEO E L’ITALIA


Si è da pochi giorni conclusa a Roma la conferenza sul Mediterraneo, nella sua sesta edizione, promossa da Ministero degli esteri e dall’ISPI.

Numerosi e cruciali i temi trattati. Fra di essi: la sicurezza, l’immigrazione, l’energia, l’economia verde, il ruolo dell’Europa.

Il posizionamento del nostro Stato nella parte occidentale del mare Mediterraneo da sempre lo pone al centro degli snodi e dei corridoi mercantili, viari, energetici e di sicurezza fra Africa, continente europeo, Medio Oriente, e, verso est, Balcani, penisola anatolica e terre del Caucaso.


Sino alla fine della guerra fredda l’Italia era principalmente vista come antemurale verso la possibile minaccia terrestre proveniente dal patto di Varsavia attraverso la soglia giuliana e, come, soggetto di supporto alla VI flotta americana, nei confronti del naviglio russo acquartierato nel Mar Nero, ristretto, però, in un bacino saldamente “sigillato” dai Dardanelli in una Turchia fermamente inserita nel dispositivo della Nato.

In altre parole, prima di irrompere nel mare nostrum, in caso di crisi bellica e, pur considerando gli approdi sicuri della Siria, i sovietici avrebbero dovuto vedersela con una prima barriera naturale molto munita negli stessi stretti turchi; solo dopo averla valicata si sarebbero confrontati col naviglio della Nato, italiano compreso.


In questo quadro, la supremazia talassocratica degli Stati Uniti, secondo i tutt’ora insuperati principii insegnati da Alfred Thayer Mahan (autore del celebre trattato sul Potere navale, The influence of the sea power upon history 1660-1783, secondo il quale il potere marittimo è caratterizzato dalla quota di commercio internazionale detenuta, dalla disponibilità di una grande flotta commerciale e militare e da una vasta rete di approdi presso terzi stati in rapporto di affari), era in grado di spegnere ogni rivalità rivierasca dei paesi che si affacciano sullo specchio acquatico di casa nostra e di consentire la libera navigazione sotto la protezione della bandiera a stelle e strisce.


Dal 2012, però, le cose sono andate mutando in modo davvero significativo.

Numerosi sono stati i fattori che vi hanno contribuito, rimescolando i rapporti di forza geopolitici e geoeconomici e facendo riemergere la centralità di questo mare in cui noi siamo pienamente immersi con quasi 7.500 km di costa e due isole rilevantissime come la Sicilia e, Pantelleria, collocate in posizione chiave nel canale di Sicilia. Quadro, questo, che era stato per lungo tempo marginalizzato, a favore di una visione quasi esclusivamente terragna che considerava l’Italia soltanto come un’appendice dello zoccolo continentale collocato a nord delle Alpi.


Complice, in questa falsa prospettiva, da un lato, l’esigenza di presidiare la porta di Gorizia negli anni del confronto con l’Urss; dall’altro, una visione quasi esclusivamente economicistica concernente i rapporti commerciali e industriali che ci legano alle economie d’Oltralpe (ma, da sempre, la strategia di una nazione non può mai prescindere dalla posizione geografica in cui si viene a trovare, pena il fallimento di essa, la perdita della propria autonomia, la rovina del benessere dei suoi cives. Per una trattazione sulle implicazioni geografiche si veda Jean, Guerra, strategia e sicurezza, pag. 129 e ss., Laterza, 1997. “La geopolitica classica si fonda sui due presupposti di base della scuola realista: l’anarchia internazionale e il primato della politica estera. Il primo rimanda all’idea che i rapporti internazionali siano dominati da una conflittualità intrinseca allo stesso concetto di politica e di sovranità degli Stati, assoluta almeno sotto il profilo formale. Il secondo postula che lo stesso ordinamento e la politica estera dello Stato siano organizzati sulla base dei suoi imperativi di sicurezza, del suo senso dello spazio, della sua collocazione geografica e delle esigenze della sua economia e demografia…” Jean, Geopolitica del mondo contemporaneo, pag.4, Laterza, 2012).


In estrema sintesi, elementi causativi del nuovo disequilibrio sono stati: 1) la detronizzazione di Gheddafi (non seguita da una doverosa politica di ricostruzione dello Stato libico) che ha dato la stura alla piena competizione delle fazioni interne, supportate da altri Stati interessati alle ricche risorse energetiche contenute nel sottosuolo, ma anche a precostituirsi influenza rilevante in una posizione avanzata nella parte occidentale del mare sia nei confronti della profondità africana (area in cui sono concentrate risorse naturali cruciali, ma anche zona in crescita economica), che verso l’Europa del sud, 2) il progressivo sganciamento degli Usa, riorientati verso la competizione economica, militare e geopolitica con la Cina (decisa circa 10 anni fa dall’amministrazione Obama e ben resocontata anche nel volume di E. Luttwak, Il risveglio del drago, Rizzoli, 2012 ), con correlativa perdita di peso navale nello scacchiere, 3) l’incremento ingente delle merci cinesi vendute alla UE e transitanti per il raddoppiato canale di Suez provenienti dall’oceano indiano- mar cinese meridionale (la Germania è il primo partner commerciale dell’ex celeste impero. Dopo la crisi dell’economica del 2008-2010 Berlino ha rivolto le proprie esportazioni verso l’Asia, compensando la perdita delle vendite nei mercati europei), 4) la questione siriana, con l’accresciutissimo ruolo turco, proiettato verso le antiche direttrici ottomane dell’interno siriaco, della Libia (vecchia colonia strappata da noi con la guerra italo turca del 1911 e 1912), dei Balcani e del Caucaso (ne è chiara dimostrazione l’attuale conflitto per il Nagorno Karabakh, ai confini dell’Azerbaijan, ricchissimo di gas e petrolio e da cui si diparte il gasdotto TAP che approda in Puglia per rifornirci), 5) i giacimenti di gas naturale scoperti al largo dell’Egitto (giacimento Zhor, in cui il nostro Eni gioca un ruolo preponderante) e di Israele, Libano, ANP, Cipro, Grecia, destinati a rendere autosufficienti per molti anni il primo ed il secondo di questi stati ed a convogliare ulteriormente, mediante il gasdotto “Eastmed”, la materia prima (il gas) all’Italia, attraverso Cipro e la Grecia (quest’anno è stato creato il forum diplomatico per la gestione di queste preziose risorse fra Italia, Grecia, Cipro, Israele, ANP e Giordania), condotta in concorrenza col progetto turco-russo “Turkstream”(che congiunge la Russia alla Turchia e, tramite quest’ultima,  alla Bulgaria e alla Serbia).


Per poter comprendere l’importanza di una visione strategica nazionale (da definire con certezza sin da subito, essendo imperativo diplomatico ineludibile per potere mantenere il proprio benessere e la propria indipendenza politica democratica) nel quadro dei nuovi assetti occorre, dopo avere dato un’occhiata alla carta geografica, avere presente che cosa rappresenti per noi il commercio marittimo ed il sistema infrastrutturale dei porti italiani.

L’economia del mare si compone di fattori manifatturieri (fra di essi spicca la cantieristica), logistici (anche di stoccaggio) e del terziario avanzato. In altre parole, il  segmento industriale delle grandi imprese, delle piccole e medie appare strettamente collegato ai servizi ancillari necessari per potere veicolare via nave la produzione nazionale destinata all’esportazione.

Privo di molte risorse naturali (eccezion fatta per una quota minoritaria di idrocarburi) il nostro Paese si mostra come operatore nella trasformazione, a cui spetta la lavorazione di materie prime e semilavorati in moltissimi settori (dalla chimica, all’automobile, al tessile, all’agroalimentare, alla farmaceutica, all’aerospazio, al comparto digitale e medico), ma anche come poderoso importatore di carbone, petrolio, gas, metalli e minerali.

Il vettore marittimo del trasporto via nave costituisce il mezzo principale per la movimentazione delle merci con l’estero, superiore a quello stradale e ferroviario (del resto, la capacità di carico delle moderne navi porta containers è enormemente superiore a quella di un pure attrezzato treno cargo. Si parla di imbarcazioni da quasi 24.000 Teu. Il Teu è la misura standard del volume del container).

Il sistema dei porti attrezzati garantisce (collegato con strade e ferrovie) la necessaria rete nodale per esportare ed importare; da qui la particolare attenzione che deve esservi riposta dall’Autorità di Governo sia per il suo efficientamento, che per il suo controllo-vigilanza.


Al momento, i primi porti per volume di transito risultano essere, nell’ordine, quello di Trieste (che gode di particolari agevolazioni in materia di extraterritorialità doganale. Ricordiamo anche che questo vanta fondali particolarmente profondi in grado di accogliere in rada le navi da carico di ultima generazione, determinandone la competitività rispetto ad infrastrutture che non hanno queste caratteristiche), di fondazione antica per volontà asburgica (nel 1700), quello di Genova, quello di Livorno e, ultimo, quello di Gioia Tauro (dobbiamo aggiungere quello di Taranto per la presenza della fondamentale base militare della nostra Marina).

Le cinque regioni a maggiore vocazione produttiva ed internazionale (anche la Puglia, sta, però, crescendo vieppiù negli ultimi anni), vale a dire Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, hanno nel sistema portuale ligure (Genova- Vado Ligure) il loro attuale centro principale di esportazione.

Via mare transitano, infatti, il 57% delle nostre importazioni ed il 44% del nostro export.

A seguito dell’interscambio crescente fra UE e Cina e del raddoppio della capacità di navigazione del canale di Suez, il Mediterraneo ha visto riprendere la sua centralità economica, dal momento che le navi cariche di prodotti asiatici, partendo dal Mar giallo, transitando per il Pacifico e l’oceano indiano, attraversano il Mar Rosso-Suez e sboccano a Porto Said. Da qui raggiungono in alto Adriatico Trieste o Genova e possono essere trasportate sia verso i mercati europei occidentali, che centrali e nordici.

La via acquatica, infatti, rappresenta il secondo braccio (il primo è quello terrestre) del sistema delle nuove “vie della seta” (cui l’Italia ha formalmente aderito nel Marzo del 2019, con notevole disagio degli Usa, preoccupati di cambiamenti di fronte rispetto all’alleanza che data da oltre 70 anni) per volume di transito, che fanno capo, nel mare Nostrum, nel porto del Pireo, ristrutturato e gestito dalla compagnia cinese Cosco.


Ultimamente, l’interesse straniero si è andato molto accentrando sullo scalo di Trieste (luogo di sbarco ed imbarco di merci da e per l’Asia-Cina mediante la porta egiziana di Suez), dove, la società pubblica tedesca Hamburger Hafen und Logistik AG (HHLA), che gestisce il porto di Amburgo (uno dei terminal più importanti e grandi del mondo) si è aggiudicata la commessa di un grande investimento per il suo raddoppio, battendo la concorrenza cinese di China Merchants.

Nel porto ex austriaco (balzato agli onori della cronaca americana meno di un anno fa – il 18 Marzo 2019- grazie ad un articolo di Jason Horowitz sul New York Times dal preoccupato titolo “A forgotten italian Port could become a chinese gateway to Europe”. La città giuliana è anche vicina e collegata alle basi americane di Aviano e Vicenza, dunque imprescindibile snodo logistico per il dispositivo della Nato) le petroliere già ora recano greggio destinato, con un oleodotto (Il TAL), a rifornire la Germania (e le sue raffinerie di Baviera e Baden-Wurttemberg) per oltre un terzo del suo fabbisogno nazionale.


A questo si aggiungerebbero le future navi giganti per lo sbarco dei prodotti dall’Asia e diretti ai ricchi mercati europei del Nord e centrali mediante le autostrade e le linee ferroviarie tedesche ed austriache.

Ma i mari (Mediterraneo ed Adriatico compresi) oggi sono fondamentali anche per i lunghissimi cavi internet sottomarini che collegano fra loro i continenti ed attraverso i quali corrono una miriade di informazioni sensibili. Poterne garantire la sicurezza dalle intrusioni è, ovviamente, un imperativo aziendale e di difesa anche del nostro Stato.

Il nostro bacino marino è diventato un quadrante di nuovo strategico perché consente alle flotte commerciali e militari il raggiungimento dell’oceano Atlantico attraverso Gibilterra e dell’oceano Indiano-Pacifico (oggi terreno di scontro geopolitico di eccellenza fra Cina, India, Usa ed suoi alleati) attraverso il canale di Suez.


In più, la scoperta dei giacimenti di idrocarburi e la nuova proiezione turca nell’Egeo, nei Balcani, in Siria ed in Libia, in estensione degli interessi di Ankara (cui ha fatto da contraltare l’aumento della presenza russa a Tartus, Humaymin ed in Cirenaica, per garantirsi l’accesso al Mar Rosso, al Golfo Persico ed all’oceano Indiano), unitamente all’ingresso (per la prima volta) di naviglio militare della Repubblica popolare cinese nel mar caldo, impongono all’Italia una definizione rapida del proprio interesse nazionale (nel quadro di una chiara pianificazione della propria dottrina navale) che si è incominciata a declinare, sia pure con grande ritardo rispetto agli Stati che si affacciano sul Mediterraneo (l’Algeria, la Grecia, la Turchia, l’Egitto le hanno già definite ed in molti casi sino in prossimità delle acque italiane) mediante la istituzione delle nostre ZEE (zone economiche esclusive, previste dalla Convenzione sul diritto del Mare di Montego Bay del 10 dicembre 1982, ratificata dall’Italia con legge n. 689/1994 e che possono estendersi non oltre le 200 miglia dalle linee di base da cui è misurato il bacino del mare territoriale ed entro le quali lo Stato costiero esercita il controllo e lo sfruttamento delle risorse naturali, biologiche, minerali, potendo adoperarsi per la creazione di installazioni ed infrastrutture anche di ricerca scientifica, pur in regime di libera navigazione, di sorvolo e di posa di cavi sottomarini).

Considerando che oggi la politica di sicurezza è divenuta funzionale al servizio del sistema economico globalizzato (Cfr. Jean, Manuale di studi strategici, Franco Angeli, pag. 308)  e che, come ci insegna recentemente il teorico dello “smart power” americano J.S. Nye (autore del famoso saggio omonimo, edito da Laterza per l’Italia, pag.259), obiettivo degli Usa è quello di “scongiurare l’emergere di potenze egemoni ostili in Asia o in Europa”, mantenendo l’equilibrio di potenza ( anche per ribilanciare la propria più decisa azione in Asia), Roma dovrà presto fare delle scelte e negoziare la propria posizione concentrandosi soprattutto sul quadrante marittimo in cui, per geografia, economia  e storia, si trova immerso in una posizione ridiventata cruciale per i nuovi assetti del dopo guerra fredda e, conseguentemente, avendo della carte da giocare in più rispetto ai nuovi e vecchi protagonisti dell’antico mare latino.


Fabio Polettini

Milano, 27 Dicembre 2020



Miopia renziana

 

E’ dal tempo dell’indizione del referendum sulla deforma costituzionale, anno 2016, che provo un netto dissenso dall’azione politica di Matteo Renzi. Come da adolescente, anche adesso che è un leader politico, Renzi continua con quella spocchia per cui i suoi coetanei l’avevano soprannominato “ il Bomba”. Forte del numero di parlamentari da lui scelti e nominati al tempo in cui controllava il PD, da novello Ghino di Tacco, non passo giorno senza che faccia sentire la sua presenza diretta o per interposta persona con i vari Rosato, Bellanova, Boschi.

 

La corda è stata tirata ormai al limite della tenuta e alla prossima verifica di bilancio o qualche settimana dopo sembra destinata a spezzarsi. L’iniziativa, però, a quel punto l’assumerebbe lo stesso presidente Conte il quale, dopo la verifica parlamentare, se negativa si dimetterebbe e la strada per le elezioni anticipate sarebbe inevitabile. Ipotizzare, infatti, come sembra fare l’ex boy scout toscano, un altro governo di larghe convergenze potrebbe rientrare negli schemi già sperimentati del trasformismo su cui è nata e si sta sviluppando questa terza repubblica, ma, alla disinvoltura più larga dei parlamentari esiste un limite, rafforzato dalla volontà manifestata sia dal PD sia da una parte rilevante della destra di andare al voto. Tutto normale si direbbe per i cultori delle regole costituzionali, ma una situazione assai più complicata se osservassimo le cose dal punto di vista della nostra parte politica, tuttora variegata e alla ricerca di un ubi consistam.

 

Elezioni anticipate prima del voto per l’elezione della presidenza della Repubblica per noi cattolici democratici e cristiano sociali vorrebbero dire, doverci assoggettare un’altra volta alle regole di un sistema maggioritario, come il “rosatellum”, che ci costringerebbe a scegliere tra una coalizione di destra e una di sinistra. Una prospettiva lontanissima da quell’idea di centro democratico, popolare, riformista, europeista, ispirato dai valori dell’umanesimo cristiano, alternativo alla destra populista e sovranista e alla sinistra. Un progetto che, come in tutta la storia dei Popolari e della DC, ha potuto svilupparsi e prevalere grazie al sistema elettorale proporzionale.  Un sistema che, non a caso è quello in vigore nella Germania federale la cui evoluzione storica, istituzionale ed economico capitalistica è assai simile a quella italiana. Vale per Renzi il proverbio della “gatta frettolosa fa i gattini ciechi”, giacché, come ha lucidamente avvertito il ministro Dario Franceschini, se si spezza la corda, si andrà a votare col “rosatellum” nel quale il manipolo di Italia viva, stimato oggi sul 2-3%, non troverebbe casa né a destra né a sinistra. Sarebbe un boomerang terribile e il fallimento di una strategia molto miope.

 

Una tale situazione sarebbe gravissima anche per noi DC non pentiti  e Popolari. La vecchia irrisolta questione dello scontro tra preambolisti e anti preambolisti si è conservata intatta, pur con diverse motivazioni ed espressioni, tra quelli che hanno fatto l’esperienza del centro destra e quelli che, vissuta l’infelice fase all’interno del PD, ne sono usciti alla ricerca di un centro che va oltre per la sua natura “extraparlamentare”( D’Ubaldo). In sostanza il confronto attuale è quello tra gli amici che la Federazione Popolare dei DC sta progressivamente riunificando e coloro che si sono ritrovati attorno al Manifesto Zamagni.

 

Come nella migliore tradizione politica e culturale della DC ho suggerito l’opportunità di confrontarci prima sul programma per non dividerci su una pregiudiziale delle alleanze, coda velenosa della vecchia dicotomia che ci separò nell’ultima stagione democratico cristiana.

Come la DC si consolidò sulla base delle “idee ricostruttive” (De Gasperi-Demofilo-Il Popolo 12 novembre 1943) e sul documento programmatico del Codice di Camaldoli (Luglio 1943), credo sarebbe necessario un serio confronto di programma in una nuova Camaldoli 2021, premessa essenziale per organizzare una grande assemblea di ricomposizione politica dell’area cattolica democratica e cristiano sociale. Per far questo, però, di tutto avremmo bisogno fuorché di elezioni anticipate. Men che meno di un sistema elettorale maggioritario, come quello vigente del “rosatellum”, in base al quale di fronte all’inevitabile scontro Conte-Salvini, ossia tra europeisti e sovranisti populisti, la divisione sarebbe netta anche nella nostra area. La Federazione popolare DC insieme  agli amici raccolti attorno al manifesto Zamagni nelle loro diverse espressioni, sulla scelta europeista alternativa al sovranismo e populismo sono stati netti e devono, semmai, approfondire le ragioni programmatiche per la loro ricomposizione. Una ricomposizione che per avvenire richiede inevitabilmente una legge elettorale proporzionale, per l’approvazione della quale serve il tempo necessario. Un tempo che la miopia renziana rischia di bruciare con effetti suicidi inevitabili per lui e anche per noi.

 

Ettore Bonalberti

Venezia

21 Dicembre 2020

Una tappa importante

 

C’eravamo lasciati con l’accordo federativo di concorrere tutti insiemi alla nascita del soggetto politico nuovo, col quale porre fine alla lunga e dolorosa diaspora post democristiana e alla ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale. Lorenzo Cesa ieri, col presidente del Consiglio nazionale dell’UDC, sen Antonio De Poli, ha riunito in webinar, oltre 130 persone, i consiglieri nazionali del partito e alcuni “osservatori partecipanti”, tra i quali: Giuseppe Gargani, Mario Tassone, Gianfranco Rotondi, Antonino Giannone, Filiberto Palumbo e il sottoscritto. Ho potuto partecipare così, dopo molti anni di confronto, talora assai critico, con molte persone a me sconosciute, ritrovando intatti interessi e valori come quelli a cui tutti ci sentiamo legati, ossia quelli della migliore tradizione popolare e democratico cristiana.

 

Ottima la relazione di Cesa che, partendo da un’analisi attenta dei dati economici sociali della grave crisi in cui versa l’Italia, squassata dagli effetti drammatici della pandemia, si trova nella necessità di riconfermare la scelta storica della DC: l’unità dell’Europa senza se e senza ma, distinti e distanti da ogni assurda velleità nazionalista propria dei populismi e sovranismi che agitano fantasmi senza senso. Il segretario dell’UDC ha colto l’importanza della suggestione di St Vincent, affermando l’opportunità di concorrere alla costruzione di un soggetto politico nuovo che, accanto alla ricomposizione democratico cristiana e popolare, possa allargarsi a componenti ambientaliste e riformiste nel segno degli orientamenti definiti da Papa Francesco con l’enciclica Laudato SI. Un passaggio sottolineato anche nell’intervento della sen.Paola Binetti, che ha ricordato il fatto nuovo della formazione dell’intergruppo ambientale parlamentare, nucleo originario foriero di ulteriori sviluppi al centro.

 

Quella della ricostruzione di un centro democratico, popolare, liberale e riformista è stata la cifra emersa in tutti gli oltre trenta interventi dei consiglieri nazionali. Interventi appassionati di vecchi e nuovi esponenti  democratici cristiani espressione di diverse realtà territoriali e istituzionali del nostro Paese. Cesa è stato chiarissimo nella scelta della legge elettorale proporzionale con preferenze e nella volontà di superare le ultime difficoltà con quanti sono interessati a compiere un passo insieme per la ricomposizione politica della nostra area sociale e culturale. Obiettivo: riportare al voto quel 30% di renitenti che non si riconoscono più nell’attuale assetto e dare finalmente rappresentanza ai quei ceti medi produttivi, partite IVA e alle classi popolari sin qui prive di una loro espressione sul piano politico e istituzionale.

 

Forte è stata la consapevolezza di aprire una fase nuova nella quale riportare in campo l’unità di tutti i Liberi e Forti. Impegnativa la parola d’ordine offerta: generosità, ossia la disponibilità da parte di tutti e di ciascuno a fare un passo indietro per farne uno più avanti, col superamento delle vecchie appartenenze sin qui divisive per far nascere il soggetto politico nuovo di centro, collegato alla migliore tradizione democratico cristiana e popolare e a quella del PPE.

 

Decisivo l’impegno, come ci era già stato assicurato nella Federazione Popolare, di concorrere nell’organizzazione di un congresso di fondazione del soggetto politico nuovo nella prossima primavera, con l’immediata formazione di un comitato di garanzia congressuale rappresentativo di tutte le componenti disponibili per il progetto. Superamento, dunque, delle  “bandierine di parte e delle piccole appartenenze”, per concorrere tutti insieme all’avvio del soggetto politico nuovo. Unanime l’approvazione della relazione del segretario e significativi gli interventi degli “osservatori partecipanti”, componenti del direttivo della Federazione Popolare DC. L’On Gianfranco Rotondi, apprezzando i contenuti e le proposte di Cesa, ha confermato il suo impegno per un partito politico nuovo, distinto e distante da una destra italiana che non corrisponde più ai caratteri di un’area politica compatibile con la nostra tradizione democratico cristiana. “ Diciamo si al congresso di fondazione, per mettere al centro la nostra bandiera con l’affermazione dei nostri valori “, ha concluso l’On Rotondi.

 

Mario Tassone ha evidenziato che, quella avviata dalla Federazione Popolare Dc e confermata dalla relazione di Cesa, sia probabilmente l’ultima occasione per la ricomposizione politica dei democratici cristiani. Netta è stata l’affermazione che si tratta di costruire un soggetto politico nuovo e non di un allargamento di vecchie casematte. In una situazione del Paese caratterizzato da un’afasia culturale e politico istituzionale come quella attuale dell’Italia, serve recuperare una storia antica, ha continuato Tassone, offrendo i nostri principi e valori a una società che vive la forte delusione di una destra sovranista e populista e della stessa incomprensibile mutevolezza di Forza Italia.

 

Giuseppe Gargani, presidente della Federazione Popolare DC, ha reso omaggio al coraggio di Cesa che con la sua relazione ha segnato, finalmente, il superamento della diaspora. Si è tornati finalmente a discutere, ha continuato Gargani, ed è emersa nettamente la volontà di concorrere alla costruzione del centro, alternativo sia alla destra che alla sinistra, in grado di raccogliere, come si è avviato già con la Federazione Popolare, tutte le diverse frazioni della nostra area politica. Sì, dunque, all’apertura di “ un tempio” nel quale rendere partecipi gli italiani di una nuova speranza. Sì alla formazione del comitato dei garanti con tutti i partiti che condividono i nostri valori. Partiamo sin da domani, ha concluso Gargani, per costruire un partito democratico, collegiale, europeista, inserito e pieno titolo nel PPE, attraverso un congresso che sarà il congresso di tutti i DC e Popolari italiani; un partito in grado di offrire all’Italia un’identità che attualmente non c’è.

 

Sono intervenuto anch’io, sollecitato da un dibattito intenso e partecipato e con la netta sensazione di sentirmi a casa tra amici. Ho ripresentato il valore del superamento della diaspora suicida, della scelta della legge elettorale proporzionale con preferenze e della riconferma europeista e ho detto anch’io si al comitato di garanzia congressuale indicato da Cesa. Ho anche proposto la necessità di una Camaldoli 2021, che dovrebbe precedere il congresso di fondazione del soggetto politico nuovo, al fine di approfondire il nostro confronto e per offrire all’Italia il programma dei DC e Popolari per il superamento della gravissima situazione post pandemica. Un programma in grado di intercettare i bisogni reali dei ceti medi produttivi e delle classi popolari  secondo gli insegnamenti della dottrina sociale cristiana.

 

Credo che con il Consiglio nazionale dell’UDC si sia compiuto una tappa importante nel progetto di ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale, cui ne seguiranno sicuramente altre. Obiettivo: presentarci uniti nella stessa lista e con lo stesso simbolo alle elezioni amministrative di  primavera, quale positiva premessa della nostra unità alle prossime elezioni politiche nazionali.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 15 Dicembre 2020

 

 

 

 

Andare oltre l’attuale surplace

 

E’ in atto un intenso dibattito al centro della politica italiana e, in particolare, nell’area politica di ispirazione popolare. I recenti interventi di D’Ubaldo, Dellai, Merlo, Galbiati e Tabacci, completano un quadro caratterizzato dal confronto interno ai popolari, mentre permane il lungo contenzioso tra i presunti eredi della DC impegnati nel tentativo di dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione n.25099  del 23.12.2010, secondo cui: “ la DC non è mai stata sciolta”.

Trattasi di un contenzioso senza fine alimentato da alcuni “sabotatori seriali” che sono giunti a produrre congressi fantasma, segretari e presidenti farlocchi e con alcuni dispensatori abituali di incarichi a destra e a manca su è giù per l’Italia. Insomma siamo in presenza di una ventina di sedicenti democrazie cristiane in perenne lotta tra di loro, mentre l’unico percorso legittimo sin qui attivato è quello avviato nel 2011, insieme a Silvio Lega e a Sergio Bindi, che portò alla celebrazione del XIX Congresso nazionale della DC, con l’elezione di Gianni Fontana alla segreteria del partito. Coloro che, tra gli iscritti DC dell’ultimo tesseramento valido del partito storico (1992), nel 2012 decisero di rinnovare l’adesione al partito, costituiscono tuttora l’unica base legittima per dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione.

Ho riassunto ciò che è accaduto in questi, quasi vent’anni nel mio ultimo libro: DEMODISSEA, la democrazia cristiana nella stagione della diaspora(19932020)

(https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/562226/demodissea/)

A conclusione del libro rilevo che quel lungo travaglio si sta faticosamente ricomponendo grazie alle iniziative assunte, da un lato, dalla Federazione Popolare dei DC e, dall’altro, dai diversi movimenti che si sono raccolti attorno al “ Manifesto Zamagni”, come quelli di Insieme, Rete Bianca, Politica insieme.

Credo, come ho scritto anche recentemente, che sia quanti intendono procedere con lo sguardo rivolto all’indietro, che quelli che intendono andare ben oltre proponendo la suggestione del “centro extraparlamentare”, siano tutti accomunati dall’idea che sia opportuno concorrere alla ricomposizione politica dell’area cattolica popolare, anche se non sono ancora definiti concretamente i tempi e i modi di tale progetto.

Incomprensibile a me appare, tuttavia, quella sorta di idiosincrasia che emerge leggendo alcuni articoli di amici quando trattano della DC; quasi che la damnatio memoriae cui la storia di quel nostro glorioso partito è stata condannata dalla vulgata corrente, debba ancora permanere e con la persecuzione di alcuni che, proprio dalla DC, debbono larga parte della loro esperienza politico amministrativa.

Vorrei confermare a questi interpreti del “nuovismo popolare” che, se veramente si intende ricomporre politicamente  l’area cattolico democratica e cristiano sociale, dovremmo tutti impegnarci solidalmente, rifuggendo da quella infausta regola aurea secondo cui: tutti vorrebbero coordinare, ma nessuno intende essere coordinato. Esaminiamo le cose nella loro realtà effettuale. La Federazione Popolare dei DC assume come pilastri culturali della sua azione politica: l’umanesimo integrale, la Dottrina sociale della Chiesa, il Popolarismo e il Personalismo, l’Ecologia integrale ed etica ecologica, la Costituzione repubblicana e la CEDU ( Carta Europea Diritti Umani). C’è qualcuno, anche tra quelli che si considerano tra i più ortodossi interpreti del pensiero popolare, che può dichiararsi contrario a queste indicazioni? Nella Federazione Popolare DC, che costituisce il più organico tentativo di ricomposizione dell’area ex DC, è condivisa l’idea che non si tratta di ridare vita alla DC, “un cristallo prezioso che è andato in  frantumi” per dirla con Bodrato, e non potrà mai più essere ricomposto, e il progetto che si propone è quello della costruzione di un soggetto politico nuovo ampio, plurale di centro: democratico, popolare, riformista, europeista, ispirato dalla DSC, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai valori dei padri fondatori DC, alternativo alla sinistra e alla destra populista e sovranista. A St Vincent, il tentativo avviato dall’On Rotondi, a me pare un esempio positivo possibile in grado di favorire il percorso. La strada che personalmente ho indicato, quella di un serio confronto programmatico da realizzarsi attraverso una “Camaldoli 2021”, per offrire all’Italia il programma dei DC e Popolari all’altezza dei bisogni di un Paese squassato da una delle vicende più gravi di tutta la storia repubblicana, a me pare sia quella più idonea per superare l’attuale condizione di surplace improduttivo, mentre tutto intorno la politica italiana nei e tra i partiti si muove confusamente senza riferimenti culturali e politici condivisi. Dopo Camaldoli 2021 si dovrebbe organizzare una grande assemblea costituente del soggetto politico nuovo, definendo col programma, le alleanze conseguenti e l’elezione di una classe dirigente credibile per competenza e serietà, in linea con “il decalogo sturziano” del buon politico.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( www.alefpopolaritaliani.it)

Venezia, 9 Dicembre 2020

 

 

Partiamo dal programma

 

Giorgio Merlo, nel suo ultimo articolo su “Il Domani d’Italia”:“ Con il centro si vince, ma non in Italia”, lamenta che molti si richiamano alla “politica di centro”, ma nessuno vuol essere definito “partito di centro”. Per la verità a definirsi tale, per molto tempo e tuttora, ci ha pensato e ci pensa Forza Italia, che, sullo stimolo dei compianti Sandro Fontana e don Gianni Baget Bozzo, consiglieri del Cavaliere, spinsero Berlusconi ad aderire al PPE. Un ruolo che, tuttora, il presidente di Forza Italia svolge con efficacia, sia a livello europeo che in Italia, come ha dimostrato nella recente scelta del voto unitario sullo scostamento di bilancio, nel quale Berlusconi è riuscito e convincere i riluttanti  soci del centro destra, Salvini e Meloni.

 

Anche noi “ DC non pentiti”, ma non per questo dominati dal sentimento regressivo della nostalgia, da molto tempo ci proponiamo di concorrere alla costruzione di un soggetto politico nuovo di centro: ampio, plurale, democratico, popolare, riformista, ispirato dai valori dell’umanesimo cristiano e dalla  DSC (Dottrina Sociale Cristiana), inserito a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori DC: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman. Un progetto che, anche gli amici raccolti attorno al manifesto Zamagni, pur con declinazioni differenti anche al loro interno, si propongono di perseguire. E’ vero, permane una sorta d’idiosincrasia da parte di qualcuno, anche solo a sentire citare la Democrazia Cristiana, ma l’elemento unificante resta la volontà di ricomporre politicamente la vasta e articolata  area cattolico democratica e cristiano sociale italiana.

 

Merlo termina con accenti pessimistici la sua nota, che in parte anch’io condivido, avendo sperimentato nei giorni scorsi, l’arroccamento di qualche amico nella difesa della vecchia casa, mentre, fortunatamente, la stragrande maggioranza dei soci della Federazione Popolare dei DC ha votato (due sole astensioni) un documento con cui si intende procedere alla costruzione del soggetto politico nuovo su indicato.

 

Come fare per costruire il partito nuovo di centro? Partiamo dal programma. Credo, infatti, che, accanto alla volontà di un gruppo culturalmente e credibilmente riconosciuto, forte dei principi che la dottrina sociale cristiana ha saputo indicarci, da San Giovanni XXIII in poi, sino alle due ultime encicliche di Papa Francesco: Laudato SI e Fratelli tutti, serva proprio ripartire da lì e da quanto, ad esempio, è stato avanzato nella recentissima tre giorni di Assisi, il convegno sull’Economy of Francesco. Un primo tentativo è stato compiuto a St Vincent all’inizio di Ottobre, dove, sull’esempio degli antichi incontri politici di Donat Cattin, Gianfranco Rotondi ha saputo raccogliere esponenti di diverse realtà politico parlamentari interessate dai principi e dai valori della Laudato SI.

 

E’ necessario partire da un’analisi realistica della situazione creatasi nell’età della globalizzazione nella quale il turbo capitalismo o finanz capitalismo la fa da padrone rovesciando, come lucidamente ci ha insegnato Zamagni, il NOMA ( Non Overlapping Magisteria) con la finanza che detta i fini, subordinando a essa l’economia reale e la stessa politica. Il 50 % degli elettori italiani che da diverso tempo si astiene dal voto è l’espressione di un disagio e di una disaffezione soprattutto presente nel terzo stato produttivo ( piccole e medie industrie, commercianti, artigiani, professionisti e classi popolari) considerato che, solo la casta e una parte dei diversamente tutelati ( quella con posto e retribuzione garantita) con l’anti Stato ( mafia, camorra, n’drangheta e tutte le attività illegali sottratte a diverso titolo e modalità al controllo dello Stato) anche in questa situazione drammatica della pandemia continuano a essere garantiti e/o, in alcuni casi tra gli ultimi citati, ancor meglio in grado di sfruttare le opportunità che si offrono per i loro malaffari.

 

In questa realtà serve dare una risposta credibile con la proposta di politiche all’altezza dei bisogni e delle attese della gente. Ecco perché agli amici della Federazione Popolare DC, il 25 Novembre scorso, ho proposto di preparare con gli amici raccolti attorno al manifesto Zamagni, una Camaldoli 2021; ossia l’occasione di un confronto approfondito sui temi programmatici che i cattolici democratici e i cristiano sociali possono e debbono offrire al Paese.  Al di là delle nostalgie del passato o delle divisioni ideologiche aprioristiche legate al tema delle alleanze, serve incontrarsi sul programma. Un gruppo on line aperto, che potremmo denominare: Camaldoli 2021, nel quale raccogliere idee, proposte, suggerimenti per un programma di ispirazione popolare, potrebbe costituire lo strumento utile per preparare al meglio l’incontro di Camaldoli prima e, subito dopo, un’Assemblea costituente del soggetto politico nuovo di centro popolare, democratico e riformista, all’altezza dei bisogni e delle attese degli elettori italiani . Le migliori intelligenze della cultura cattolica dovrebbero essere coinvolte, come seppe fare a suo tempo la DC da Camaldoli ai convegni di San Pellegrino e di Lucca.

 

Ettore Bonalberti

Comitato direttivo Federazione Popolare DC

Venezia, 28 Novembre 2020

 


Assemblea della Federazione Popolare DC- webinar 25 Novembre 2020

 

Un altro passo avanti nel progetto di ricomposizione dell’area cattolico democratica e cristiano sociale. Si è svolto Mercoledì scorso per via telematica l’assemblea della Federazione Popolare dei DC che, sentita la relazione del Presidente, On Giuseppe Gargani, ha approvato ad amplissima maggioranza, con sole due astensioni, il documento allegato. Con l’adesione di Lorenzo Cesa, Mario Tassone, Gianfranco Rotondi, Alberto Alessi, i partiti che fanno parte della Federazione Popolare assumeranno le loro decisioni conseguenti negli organi statutari, mentre da parte mia ho indicato l’esigenza di una Camaldoli 2021, un incontro sul programma dei DC e Popolari per l’Italia in preparazione di un’Assemblea Costituente del soggetto politico nuovo di centro democratico, popolare, riformista, inserito a pieno titolo nel PPE, da tenersi entro il mese di Marzo 2021.

 

Cordiali saluti

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( www.alefpopolaritaliani.it)

Venezia, 27 Novembre 2020

 

DOCUMENTO APPROVATO DALL’ASSEMBLEA DELLA FEDERAZIONE POPOLARE DEI DEMOCRATICI CRISTIANI IN DATA 25 NOVEMBRE 2020

La Federazione Popolare dei Democratici Cristiani riunita a Roma il 25 novembre 2020

ritiene che i partiti e le associazione che compongono la Federazione dal novembre 2019 hanno con un approfondito dibattito maturato in questi mesi un riferimento a comuni valori e a eguali finalità politiche, e quindi hanno creato le condizioni favorevoli per costituire un soggetto politico nuovo con un’identità precisa che fa riferimento alla democrazia rappresentativa, al popolarismo, al personalismo, allUmanesimo Integrale, alla Dottrina Sociale della Chiesa e alla Carta Europea dei Diritti Umani.

consapevole che nella lunga fase della ricostruzione democratica del paese dal dopoguerra il centro politico ha garantito la libertà e la “rappresentanza” e ha individuato le strategie per costituire il baricentro democratico del paese e operare per il bene comune

consapevole che il centro di cui ha bisogno l’Italia è in ombra e politicamente marginale dagli anni 90, ed è difficile da costituire in un periodo di massima personalizzazione della politica;

ritiene che è necessario quindi operare in controtendenza per intercettare una domanda di impegno politico e culturale che pure esiste nel paese e per risvegliare la passione politica che l’individualismo ha mortificato

consapevole che con le recenti elezioni regionali si è accentuato l’isolamento dei partiti e si è esaltato un nuovo sovranismo e un più pericoloso populismo in capo ai “governatori“

conferma che un soggetto politico che si vuol definire di centrosi ispira al “popolarismo“, unica cultura attuale, moderna, rispetto alle altre ideologie che hanno dominato nel 900 ma che si sono estinte o sono state contestate tragicamente;

rileva che un’area di Centro per la sua ragione d’essere è alternativa alla destra e alla sinistra e portatrice di una idea e di un progetto per il paese, questo sì capace di sconfiggere l’individualismo e il populismo

decide di dar vita ad un soggetto politico nuovo di ispirazione “popolare” collegato strettamente al PPE

attende che i partiti e le associazioni che hanno partecipato alla Federazione e che hanno approvato la scelta fatta provvedano a far ratificare la decisione dagli organi competenti in modo da essere presenti con una lista unica alla prossima campagna elettorale.

prende atto della convocazione del consiglio nazionale da parte dell’UDC per il 10 dicembre p.v. finalizzato a dare avvio alla una nuova fase costituente;

decide di partecipare ad una riunione successiva entro la metà di dicembre per definire gli adempimenti necessari a costituire il soggetto politico nuovo con un comitato rappresentativo di tutte le componenti, per rendere concreta e rapida la nuova fase.

 


Dopo l’economia di Francesco

 

Si è trattato di un evento straordinario, che ha coinvolto giovani di 115 Paesi di tutti i continenti impegnati ad approfondire le dodici sezioni-“villaggi” in cui era programmata questa edizione dell’”Economy of Francesco”. Coordinata dal Prof Luigino Bruni che, con Stefano Zamagni, è uno dei promotori e fondatori della SEC, la Scuola di Economia Civile, la tre giorni è stata seguita da migliaia di persone che, impossibilitate a poter essere fisicamente presenti per le norme anti Covid, hanno dato vita a uno degli avvenimenti telematici più importanti sui temi economico-sociali a livello mondiale. Come ha rilevato Papa Francesco nel suo saluto conclusivo, questa prima edizione ha rappresentato l’affermazione del valore della cultura del dialogo e dell’incontro contro quella dello scarto, tema assai caro al pontefice argentino. E’ apparso nettamente in tutte le relazioni, le tavole rotonde, le testimonianze provenienti da tutto il mondo, l’emergere di una nuova mentalità culturale; un’idea di economia che non può più limitarsi ad assumere il profitto come esclusiva unità di misura. Il ritorno, dunque, di quell’idea che il prof Zamagni da tempo sostiene, ossia: la riaffermazione del primato dell’etica e della politica, alle quali devono essere subordinate la finanza e l’economia, un primato drammaticamente rovesciato nell’età della globalizzazione e del finanz-capitalismo.

 

Ho seguito con intensa partecipazione ad alcuni dibattiti della tre giorni e mi è parso chiaro come la dottrina sociale della Chiesa avviata nel secolo scorso da Papa San Giovanni XXIII (Pacem in Terris), Papa San Paolo VI ( Populorum progressio), Papa San Giovanni Paolo II ( Centesimus Annus), Papa Benedetto XVI ( Caritas in veritate) e Papa Francesco con le due ultime sue encicliche ( Laudato SI e Fratelli tutti), rappresenti oggi l’alternativa pressoché unica e organica a quella del turbo capitalismo. Si comprende, in tal modo, la ragione dei tanti attacchi che, da ambienti ben noti dell’establishment dominante, sono mossi contro la Chiesa di Papa Francesco, purtroppo trovando anche alcuni adepti tra qualche chierico e laico della stessa Chiesa. Dire No al profitto come unica unità di misura dell’economia non vuol dire rifugiarsi, come ha detto il Papa, a formule palliative di tipo filantropico o di capitalismo compassionevole, ma di assumere il valore della dignità dei poveri come centrale di ogni politica coerente con la dottrina sociale della Chiesa; ossia politiche orientate a garantire con la risposta “ alle attese della povera gente”, per dirla con il beato Giorgio La Pira, una maggiore giustizia sociale.

 

Di qui discende quello che Papa Francesco ha definito “il Patto di Assisi”, ossia la volontà di osare e di assumere il rischio di politiche fondate su modelli di sviluppo inclusivi e sostenibili rispettosi del creato e della persona, di tutte le persone. E’, dunque, il tempo di diventare protagonisti partecipanti,  insieme  ai poveri e agli esclusi. Non basta più affermare il “tutto per il popolo”, ma di operare “insieme al popolo”, tutto il popolo. La riaffermazione, insomma, di quello “sviluppo umano integrale” che è l’essenza della Dottrina Sociale Cristiana. Una politica e un’economia al servizio della vita umana. L’impegno che discende, quindi, dal patto di Assisi è di operare per ridurre le diseguaglianze, assumendo quest’obiettivo come “una buona notizia da profetizzare e attuare”. Papa Francesco ci ha invitati, citando il Vangelo di Matteo 10,16, a essere: “prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”, consapevoli delle difficoltà e degli ostacoli che incontreremo nel perseguire questo modello di solidarietà internazionale alternativo a quello dominante. Non ci sono scorciatoie, ci ha ricordato Papa Francesco, ma si tratta di operare come lievito nella società, all’interno della quale non possiamo ridurci al ruolo di spettatori passivi, ma di operatori impegnati a  sporcarci le mani”. Dobbiamo essere consapevoli, ci ha ricordato il Santo Padre, che da questa crisi non si uscirà uguali a prima; possiamo uscirne peggio o meglio di prima. Noi cattolici democratici e cristiano sociali, che intendiamo tradurre nella “città dell’uomo” gli orientamenti della DSC, riconfermati e vieppiù sviluppati in questa tappa di Assisi, dovremo necessariamente ripartire da questi obiettivi, ossia a essere impegnati nella costruzione di un modo nuovo di fare la storia, dotandoci di un immaginario costruttivo in cui è essenziale il valore della solidarietà organica propria di una comunità ampia e plurale, nella convinzione che da soli non si va da nessuna parte e non si costruiscono ponti, a cominciare da quelli indispensabili del nostro stesso impegno politico nella società italiana ed europea.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF (www.alefpopolaritaliani.it)

Venezia, 23 Novembre 2020

 


Ce la faremo?

 

Ci siamo impegnati in molti, da quel maggio 2011, quando l’amico On Publio Fiori, mi informò della sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010 secondo cui :“la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”, per tentare di dare pratica attuazione alla stessa. Il tentativo, cioè, di ricostruire politicamente la DC. Un ricordo speciale va a Silvio Lega, senza il quale, da solo, non sarei mai stato in grado di raccogliere la firma del 10% dei consiglieri nazionali della DC, di diritto tuttora in carica, quelli eletti dall’ultimo congresso nazionale della DC (Febbraio 1989), quorum necessario a norma di statuto per l’auto convocazione del Consiglio, e a Sergio Bindi con il quale, dopo che  Lega aveva rifiutato di candidarsi alla segreteria del partito, proponemmo Gianni Fontana a quell’incarico, votato poi all’unanimità dal XIX Congresso nazionale del 2012.

 

Ho scritto l’ultimo libro : DEMODISSEA, la democrazia cristiana nella stagione della diaspora (1993-2020) https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/562226/demodissea/, nel quale ripercorro tutte le tappe, gli avvenimenti e riporto i documenti, le note sugli attori protagonisti della martoriata vicenda, soprattutto dal 2012 al 2020, tuttora aperta. Termino il libro con la speranza che finalmente si possa giungere alla ricomposizione dell’area cattolica democratica e cristiano sociale, riuscendo a mettere insieme le due realtà più importanti che stanno tentando di riaggregare molte significative rappresentanze di essa, ossia: la Federazione Popolare dei DC e i gruppi raccolti attorno al Manifesto Zamagni.

 

Dopo tante battaglie, pur condividendo l’idea di Guido Bodrato secondo cui: la DC è come un cristallo finito in frantumi, che non si può ricomporre, resto nella mia casa che ho contribuito a costruire: la DC  guidata da Renato Grassi, non ispirato dalla nostalgia, sentimento nobile seppur regressivo in politica, ma dalla consapevolezza che anche nuovi esperimenti isolati, ciascuno da solo, non vanno da nessuna parte. O riusciamo a mettere insieme la Federazione popolare dei DC e la vasta area che si ritrova attorno al manifesto Zamagni, oppure la “Demodissea democristiana” è destinata a continuare, fallendo l’obiettivo che dovrebbe essere comune a tutti i DC non pentiti: creare le condizioni  politico organizzative necessarie e utili in previsione della prossima scadenza elettorale delle elezioni politiche. Elezioni che potrebbero svolgersi a scadenza naturale (2023) o anticipata, subito dopo la prossima elezione del Presidente della Repubblica (2021)

 

Certo, molto dipenderà, non solo dalla nostra volontà di superare le attuali frammentazioni, ma anche dalla legge elettorale che alla fine sarà adottata. Permanesse l’attuale “rosatellum” per l’oggettiva incapacità delle forze parlamentari di trovare un diverso sistema, è evidente che saremmo obbligati a scegliere nel trilemma: M5S, centro sinistra a guida PD o centro destra a guida Lega. In tal caso la diaspora DC sancirebbe la definitiva frantumazione. Molte cose stanno accadendo a destra come a sinistra e, soprattutto, al centro degli schieramenti alle quali sarà opportuno prestare le dovute attenzioni.

 

Se, come ci auguriamo, fosse adottato, invece, il sistema proporzionale alla tedesca, con sbarramento al 4-5%, preferenze e istituto della sfiducia costruttiva, in quel caso la riunificazione dell’area sarebbe indispensabile, anche solo al fine di evitare risultati con cifre da prefisso telefonico. So bene che permangono tra di noi divisioni tra quanti vedono l’orizzonte orientato a sinistra e altri, più a destra, ma è stato così in tutta la storia politica dei cattolici italiani.

 

Oggi il nostro impegno è di tentare di tradurre nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali della dottrina sociale della Chiesa, specialmente gli ultimi indicati dalle encicliche di Papa Francesco: Laudato Si e Fratelli tutti. Molte le indicazioni di queste possibili traduzioni sono venute dall’incontro dei giovani riuniti telematicamente nel grande convegno universale di Assisi: l’Economia di Francesco.

 

Prima di discutere delle alleanze, come nella migliore tradizione sturziana e degasperiana, e della stessa storia della DC di Fanfani, Moro e della guida della terza generazione da Piccoli, a De Mita e Forlani, confrontiamoci sul programma e dopo, solo dopo, in una grande assemblea costituente di tutti i DC e i Popolari potremo decidere su: programma, alleanze e classe dirigente. Da parte mia  sto redigendo alcune note di programma per di DC e i Popolari del XXI secolo, quale modesto personale contributo che possa concorrere a un confronto costruttivo, che si potrebbe organizzare in una Camaldoli 2021, in preparazione dell’assemblea costituente del nuovo soggetto politico di ispirazione cattolico democratica e cristiano sociale, da avviare prima delle prossime elezioni politiche.

 

Ettore Bonalberti

Direzione nazionale DC

Comitato provvisorio Federazione Popolare DC

Venezia, 21 Novembre 2020

 

 

 

Pubblichiamo un articolo dell'amico Fabio Polettini che inizia la sua collaborazione con la nostra rivista on line.



         Italia: interesse nazionale e lineamenti di politica estera nei prossimi anni



Apriamo queste brevi riflessioni con il rimando a tre testi classici della politica e con le lungimiranti anticipazioni di uno studioso americano di affari esteri, già consulente del Dipartimento di stato.

Primo autore: il diplomatico e gesuita Giovanni Botero, segretario di Carlo Borromeo, che nel 1500 scrisse “La ragion di Stato” (lettura consigliata, edita da Donzelli editore).

L’opera, poco conosciuta ai più, si ricollega certamente al “Principe” di Machiavelli, ma ne amplia e raffina alcune prospettive e, soprattutto, ne definisce l”ubi consistam” nei suoi tratti ontologici essenziali.

Per Botero “Ragion di Stato si è notizia de’ mezzi atti a fondare, conservare e ampliare un dominio. Egli è vero che, sebbene assolutamente parlando, ella si stende alle tre parti suddette, nondimeno pare che più strettamente abbracci la conservazione che l’altre…””.

Per questo coltissimo ed abile uomo di Chiesa, ma anche di Stato, la conservazione del potere è più difficile della sua conquista ed i possibili nemici (Stati, oggi, ma anche organizzazioni terroristiche armate) vanno tenuti distanti dal territorio nazionale, per impedir loro di nuocere ai suoi abitanti.

E, quanto alla politica estera, ci dice che “Presupponiamo che la ragione della sicurezza consiste in tener il nemico e l’pericolo lontano da casa nostra, perché la vicinanza del male è gran parte d’esso male,,”.

Secondo autore: Hans Morgentau, accademico di grandissima influenza negli Usa, ebreo di origine tedesca e teorico del realismo nelle relazioni internazionali.

Il suo saggio, “L’ uomo scientifico versus la politica di potenza” (Editrice Ideazione), ci offre una acuta analisi di come il razionalismo dei nostri tempi e la pretesa di governare i rapporti fra Paesi esclusivamente secundum rationem sia fallace.

Le scienze sociali sono assai difficilmente esauribili nella metodologia di quelle propriamente fisiche. L’errore che spesso si fa consiste proprio nel non tenere in dovuto conto le manifestazioni della forza e della volontà di potenza (Nietzsche ne parla ma in una visione prevalentemente antropologica e tesa a fare dell’uomo il demiurgo di una trasvalutazione dei valori della antica tradizione. Si vedano “Così parlò Zarathustra”, “Ecce homo”, “Umano troppo umano” ”Volontà di potenza”).

Terzo autore: Carl Schmitt, allievo di Max Weber, giurista, studioso di dottrina dello Stato e politologo di fama del Novecento .

In una sua silloge, apparsa per “Il Mulino” dal titolo “Le categorie del politico”, troviamo scritto che”….Il fenomeno del politico può essere compreso  solo mediante il riferimento  alla possibilità reale del raggruppamento amico-nemico e mantiene perciò un significato solo  finché tale distinzione  sussiste realmente fra gli uomini  o quanto meno è realmente possibile”.

Con questa affermazione Schmitt fonda l’essenza dell’agire politico, fatto di contrapposizioni, anche nette; di dialettica, anche dura; di lotta fra visioni dell’organizzazione della società al suo interno e di possibile scontro armato fra Stati nell’agone internazionale.

Anch’egli, quindi, appartiene, come Botero, Machiavelli, Morgentau alla scuola del realismo che si contrappone alla visione, oggi ancora dominante, positivista di irreggimentare l’ambito della politica entro regole razionali e di trarre, per induzione, dal settore in questione, leggi scientifiche e deterministiche. Proprio ciò che Karl Popper criticò di Marx in “Miseria dello storicismo”.  

Quarto autore: Robert Kagan, professore di Relazioni Internazionali, assistente di H. Clinton e di J. Kerry, membro della nota Brookings Institution.

Il testo che fu pubblicato nel lontano 2008 col titolo “Il ritorno della storia e la fine dei sogni” ci offerse, con tempismo straordinario, la possibilità di ricalibrare il modo di fare politica estera dopo qualche irenismo utopistico al quale ci eravamo abbandonati a partire dal 1991, anno di dissoluzione dell’Urss.

Scrive Kagan:” Il mondo è tornato a essere normale. Gli anni seguiti alla fine della guerra fredda avevano generato l’impressione che fosse sorto un nuovo tipo di ordinamento internazionale  caratterizzato dalla scomparsa degli stati nazione o dalla loro crescita  comune, dalla soluzione dei contrasti ideologici, dalla mescolanza delle culture e da commerci e comunicazioni  sempre più liberi…..Ma era solo un miraggio. Il mondo non si è trasformato. quasi ovunque, lo stato nazione mantiene intatta la sua forza, e lo stesso vale per le ambizioni nazionalistiche, le passioni e le rivalità fra popoli che hanno determinato il corso della storia. E’ riemersa anche l’antica rivalità fra liberismo e autocrazia e le grandi potenze del pianeta si schierano in un campo o nell’altro a seconda della forma di governo che le connota...”.

Per trovare conferma a tutte queste tesi, dobbiamo citare l’attuale contesa Usa-Cina, non più solo commerciale, ma anche, ormai, militare (pensiamo a Taiwan)? O quella fra Turchia e Grecia per il Mediterraneo orientale custode di risorse energetiche? O quella fra Cina e India per i confini in Ladakh? O, ancora, quella fra Russia, Turchia, Francia ed Egitto per il possesso delle ricche sabbie libiche ricolme di idrocarburi e per il controllo del mare che vi si affaccia, con connesse posizioni di controllo sulle vie d’acqua?

E’ evidente che i fatti si sono incaricati di dimostrare che il realismo nelle relazioni fra gli Stati continua ad essere il parametro più adottato, a volte mascherato da più nobili principii, ma costantemente sottostante ad essi.

La stessa libertà dei mari fu voluta da Londra essenzialmente per favorire, nel 1800, i commerci fra la Gran Bretagna ed il proprio Impero coloniale, poi sostituito da quello americano. Oggi viene rivendicata dalla Cina per consentire l’esportazione dei propri beni, altrimenti costretti alla tortuosa e vulnerabile via terrestre che attraversa molteplici Paesi nel nome di quella che è chiamata “Via della seta”.

Quanto detto ci serve per avere chiaro che qualsiasi elaborazione di interesse nazionale (certamente da riscoprire, qualora se lo si fosse smarrito nei meandri di ideologismi, il più delle volte a vantaggio di altri interessi nazionali, non del nostro) deve partire da alcune linee di fondo che poggiano su tre piani: la posizione geografica dell’Italia (la geopolitica spiega bene le opportunità, ma anche i limiti derivanti dalla collocazione spaziale del Paese nel consesso internazionale), lo sviluppo dei fattori di benessere per i propri cittadini (economici, ma anche sociali, tecnologici, scientifici, sanitari, culturali, di prestigio nazionale), l’affinità politico-ideologica con gli altri Stati, che può influenzare le nostre dinamiche interne.

Circa il primo dei succitati aspetti, non v’è dubbio che la posizione della Penisola si collochi nell’asse Nord-Sud come punto di cerniera cruciale per l’accesso all’Africa, continente ricco non solo di materie prime, ma anche di una sempre più numerosa popolazione con capacità di spesa interessante per le merci italiane.

Al tempo stesso ci poniamo come area necessaria e più prossima al continente nero per chi volesse determinarne dall’esterno, in modo più agevole, l’evoluzione e per chi volesse creare un baluardo a pericolosi insediamenti che da quella zona potrebbero direttamente minacciarci o minacciare anche gli Stati dell’Europa centrale e occidentale, qualora cadessimo sotto controllo altrui.

Nondimeno, la rilevanza nostra risiede anche negli intrecci sottomarini di gasdotti e di cavi di TLC che interconnettono nord e sud del mondo.

La Sicilia rappresenta, poi, col suo canale, una formidabile postazione di diniego al transito sia verso il Mediterraneo orientale, che verso l’oceano atlantico via Gibilterra, andando a costituire un cruciale punto di appoggio in grado di influenzare il passaggio di merci trasferite da Suez e di idrocarburi scoperti recentemente nella parte est del mediterraneo.

Insomma, senza Italia non si controlla agevolmente il Nord Africa, non si difendono i Paesi europei a nord del nostro, ma, al tempo stesso, con noi, questi possono estendere la loro sfera di influenza verso l’Africa, L’Egeo, Suez e Gibilterra (cioè l’oceano atlantico).

E’0vvio che Usa, Cina, Francia e Germania ci ritengano fondamentali.

Gli Usa più degli altri, al fine di mantenere un contenimento verso Cina e Germania (ormai riemersa pienamente come attrice geopolitica di gran peso) soprattutto.

Teniamone conto di questa crucialità nel trattare con potenze alleate e non.

In tale prospettiva (al fine di mantenere pervie le vie marittime indispensabili alla nostra sicurezza ed economia mercantile. 491 milioni di tonnellate di merci veicolate nei porti italiani nel 2018, secondo l’Osservatorio Permanente di commercio marittimo) una marcata accentuazione ed un potenziamento della Marina Militare nella sua componente subacquea (con unità a propulsione nucleare), di superficie (eventualmente con una nuova portaerei a propulsione nucleare), aerea ed anfibia si pone come ineludibile entro breve tempo, al fine di poter fronteggiare le nuove incognite e/o posture aggressive esercitate verso la nostra Penisola.

Occorre un serio piano di difesa nazionale contro aggressivi batteriologici-virali (la pandemia ci ha mostrato quanti danni ci possano essere arrecati con un semplice virus), chimici e nucleari che possono essere rivolti contro di noi anche con vettori aerei o missilistici.

Seconda determinante: il benessere dei cittadini italiani.

Oggi il commercio italiano e la sua industria (privata, ma anche di Stato) hanno cooperazioni commerciali protese prevalentemente verso l’area della UE e verso gli Usa. Sta crescendo l’interscambio con Cina e India. Quest’ultima può costituire una interessante piattaforma per aprire un nuovo gigantesco mercato ai prodotti italiani in un contesto fortemente etnicizzato ma molto culturalmente vicino agli standard culturali e tecnologici inglesi, nonché una base di appoggio per ricollocare aziende fuori dal contesto cinese in sintonia con la posizione americana.

Nel futuro avremo bisogno di entrare nei segmenti dell’Intelligenza artificiale, della digitalizzazione avanzata, senza trascurare la ricerca biomedica, farmaceutica, sul nucleare a fusione, sulla distribuzione di energia per auto elettriche, sull’aerospazio, continuando a supportare la creatività italiana in Moda, Design e cibo.

Sarà opportuno, sul piano interno, assicurarsi che i profitti accumulati dai privati in queste nuove aree ricadano anche a favore di iniziative sociali come sostegni per le fasce povere, più case popolari, assistenza sanitaria territoriale molto più organizzata e concreta (che passa per l’aumento consistente dei salari di medici ospedalieri e di medicina generale, degli infermieri, per la ricerca di base biologica, per la creazione di studi di medici con specialisti del SSN e infermieri di prossimità, in grado di fare, presso la loro struttura, esami di primo livello, sgravando gli ospedali), servizi pubblici efficienti e a basso costo per tutti, istruzione pubblica quasi gratuita per tutti, ma ancorata a criteri di merito per insegnanti (a cui vanno elevati gli stipendi) e studenti (Ritorno del latino, come materia a scelta, non obbligatoria, dalla prima media. I neurolinguisti hanno certificato il grande ruolo giocato dall’analisi logica per lo sviluppo cognitivo, a torto quasi espunta dalla riforma Fanfani nel lontano 1962).

Terzo parametro: l’affinità politico ideologica.

In quest’ottica se è vero che la politica estera ha conosciuto e conosce casi di alleanze fra democrazie liberali e Stati totalitari (Atene e Sparta; Inghilterra, Francia, Usa con l’Urss, solo per citare i più noti a tutti), tuttavia, la possibilità di lavorare con Paesi che accettino i nostri stessi principii liberal democratici e di tutela dei diritti umani ci agevola nel trovare comuni denominatori e moltiplica il consenso delle masse al nostro interno.

Il legame con gli Usa, a cui chiedere patrocinio per la Libia (ma dimostrando a) di avere la volontà di farsene carico anche in modo diretto e b) di aumentare la spesa militare per poter dare il nostro contributo alla Nato ed alla nostra stessa difesa, carentissima in molti settori)  e per meglio bilanciare la nostra posizione in seno alla UE, andrà perseguito, rafforzando anche interessi comuni con Israele e Inghilterra sia nello scacchiere mediterraneo che in quello africano.

Noi pensiamo che la nuova amministrazione Biden potrà essere l’occasione per rilanciare in modo più stretto e nel reciproco interesse (facendo anche presente all’alleato il pernicioso intervento in Libia che ha portato ad un vuoto di ordinamento e legalità foriero di crisi migratoria, di spese accresciute e di minaccia diretta agli affari italiani) il legame fra Roma e Washington.

Ma, tutto ciò necessita di una precisa volontà politica.


Fabio Polettini

 

 


 Ancora un passo avanti e due indietro

 

Parafrasando il titolo di uno dei più celebri libri di Lenin: Un passo avanti e due indietro, potremmo connotare così la situazione interna alla Federazione Popolare dei DC.

Fatto il passo avanti nel Novembre scorso con la sottoscrizione dell’atto notarile costitutivo della Federazione, nel momento in cui l’On Gargani, presidente della Federazione ci invita a compiere gli atti successivi indicati nello statuto, Cesa, Rotondi e adesso anche Grassi decidono di fare due passi indietro. L’On Cesa, condizionato dal suo collega De Poli, fermo nel tentativo di continuare a lucrare la rendita di posizione ereditata da Casini, relativa all’utilizzo elettorale in esclusiva dello scudo crociato; l’On Rotondi, “ il miglior fico del bigoncio”, interessato dopo St Vincent a promuovere il nuovo centro democratico e liberale, ispirato dai valori della Laudato SI; Renato Grassi, fermo nella difesa della DC che, dal 2012, abbiamo cercato di ricomporre sul piano politico, dopo che la Cassazione aveva deciso in via definitiva che il partito non era mai stato giuridicamente sciolto, ma aperto a sperimentare un work in progress con gli amici della Federazione Popolare.  Più decisamente orientati ad andare avanti con l’indicazione di Gargani, l’amico Tassone e il sottoscritto.

 

Com’è noto della tormentata vicenda della diaspora ho scritto degli  avvenimenti, riportato i documenti approvati e ricordato le vicissitudini dolorose, nel mio recente : DEMODISSEA, la democrazia cristiana nella stagione della diaspora (1993-2020) https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/562226/demodissea/

Nella conclusione del mio libro ho scritto : “Nella lunga stagione 2012-2020 nella quale ho evidenziato l’evoluzione dei rapporti tra i fermenti provenienti dall’area cattolica, a partire dalla gerarchia e nelle realtà di alcune delle organizzazioni più importanti di natura sociale e culturale, molto più intenso è stato ciò che è accaduto e accade nei movimenti, gruppi e partiti più direttamente coinvolti nell’azione politica. Un succedersi di scadenze, incontri e sottoscrizione di documenti che da “osservatore partecipante” ho seguito e che ho provato a descrivere grazie alle note editoriali che ho redatto in quegli anni.  E’ il riassunto di una sequela di tentativi di scomposizione e ricomposizione dai risultati alterni e non ancora conclusi, anche se il rischio della deriva sin qui dominante nazionalista e populista della destra, sta favorendo il processo di ricomposizione dell’area cattolica e popolare a partire proprio da quella ex democratico  cristiana. I più significativi contributi sono quelli offerti dal movimento “Costruire Insieme” e dalla Confederazione di Sovranità popolare, esperienze politico culturali alle quali ho l’onore di partecipare, anch’esse accomunate dalla volontà di ricomporre la più vasta unità popolare attorno alla difesa e attuazione integrale della Costituzione, in alternativa alle logiche nazionaliste e populiste sin qui dominanti. Queste unitamente agli amici di “Politica Insieme” e della “Rete Bianca”, raccolti attorno al “Manifesto Zamagni”, stanno tentando di costruire la cosiddetta “Parte bianca”. Il mio augurio è che con noi della Federazione Popolare DC si possa finalmente ricomporre la frantumazione politica della diaspora DC e cattolico popolare”.

 

Sono convinto che questa sia la strada da percorrere da quanti sono realmente interessati alla ricomposizione dell’area cattolico democratica e cristiano sociale, al fine di riportare in campo e nelle istituzioni quanto di meglio la nostra tradizione e cultura politica è ancora in grado di esprimere. E lo dovremmo fare non per un rimpianto del passato, ma per l’esigenza, da un lato, di tradurre nella città dell’uomo le indicazioni pastorali delle ultime encicliche sociali di Papa Francesco ( Laudato SI e Fratelli tutti) in questa difficilissima e contraddittoria età della globalizzazione e, dall’altra, per ridare speranza e rappresentanza politica a quei ceti  medi produttivi e classi popolari che sono larga parte di quel 50% di elettori renitenti al voto. Agli amici della DC con i quali ho condiviso gli anni difficili dei tentativi di ricomposizione politica, mi permetto di ricordare quanto l’amico Guido Bodrato ha lucidamente descritto sulla DC: un cristallo fragile si è frantumato in mille pezzi e non sarà più possibile ricomporlo.

Ecco perché, mi auguro che prevalga il buon senso e si concorra tutti insieme a costruire il soggetto politico nuovo di cui la realtà dell’area cattolica italiana ha bisogno, convinto come sono della validità dell’aforisma di Thomas Alva Edison: “ le idee senza la loro esecuzione sono allucinazioni”. Il Paese, oggi, non ha bisogno di allucinazioni, ma di risposte concrete ai bisogni dei ceti medi produttivi e delle classi popolari. Senza la ricomposizione degli interessi e dei valori di queste due parti fondamentali del sistema Italia, si aprirebbe la strada all’avventura di drammatiche scelte autoritarie. 

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 7 Novembre 2020

 

 

UN GOVERNO DI UNITA’ NAZIONALE

 

Con la teoria dei quattro stati da me elaborata alcuni anni fa, suddividevo, euristicamente, il sistema Italia in quattro stati: la casta, i diversamente tutelati, il terzo stato produttivo e il quarto non Stato.

Insieme a quella teoria descrivevo una condizione diffusa di anomia, intesa sociologicamente come quella di un’assenza di norme, di differenza tra i mezzi nella disponibilità di molte persone e i fini che la società indicava e indica come obiettivi, e l’affievolirsi del ruolo dei corpi intermedi in una società sempre più caratterizzata dalla disintermediazione, favorita anche da alcune errate politiche degli ultimi  governi.

La pandemia in corso, che sta assumendo i toni ancor più virulenti della seconda ondata, come sta incidendo sui quattro stati del sistema Italia?

La casta e gli appartenenti alle categorie medio alte dei diversamente tutelati, con stipendi, pensioni e emolumenti sin qui garantiti, sono i ceti che risentono meno degli effetti economici e finanziari del virus. Effetti che diventano pesantissimi, sino al disastro, per quelli meno tutelati e per il terzo stato produttivo, ossia per il motore che tiene in piedi con l’economia reale e il sistema fiscale collegato tutto il sistema.

Unico settore che sta approfittando e in alcune casi e realtà territoriali in maniera consistente è il quarto non Stato, rappresentato non solo dal lavoro nero, anch’esso oggi in una crisi terribile, ma dalla criminalità organizzata della mafia, ndrangheta e camorra, che è in grado di subentrare facilmente nelle numerose attività che rischiano la chiusura e il fallimento.

Se qualche anno fa la condizione di anomia da me denunciata era il segnale di un male crescente a livello sociale, causa di frustrazione, ossia di insoddisfazioni derivanti dal mancato raggiungimento di obiettivi, con la pandemia sta esplodendo in episodi di autentica rivolta sociale, come è avvenuto nei giorni scorsi a Napoli e a Roma e potrebbero ripetersi in altre parti d’Italia.

Se poi, com’è accaduto a Napoli, insieme alle categorie produttive e ai meno tutelati, si aggiungono elementi espressione di gruppi sovversivi organizzati, la situazione può andare fuori controllo. Guai se il governo interpretasse tali episodi come fenomeni di semplice, seppur grave, sicurezza pubblica. Siamo di fronte a un malessere sociale e politico più serio che la condizione della pandemia e dei provvedimenti necessari adottati portano con sé.

Ciò che più preoccupa, accanto alla condizione drammatica di alcuni ceti sociali meno tutelati ( disoccupati, cassaintegrati, esodati, operatori dei piccoli traffici illeciti imposti dalla necessità della sopravvivenza, come in molte situazioni tipo quelle di Napoli) è la crisi che sta colpendo il terzo stato produttivo. Quello formato dai piccoli e medi imprenditori, artigiani, commercianti, agricoltori, professionisti, propulsori dell’economia reale da cui trae le risorse essenziali il sistema fiscale su cui regge il Paese.

Se entra in crisi, come sta avvenendo, l’architrave del sistema Italia, il terzo stato produttivo, non saranno più scaramucce di piazza, ma un’autentica rivolta sociale dagli esiti imprevedibili. Intervenire a sostegno delle categorie più deboli e dell’economia reale del terzo stato produttivo, insieme al rafforzamento di tutte le misure sanitarie e strutturali, dal sistema dei trasporti alla scuola, è il compito straordinario cui è chiamato il governo. E’ tempo di assumere una responsabilità unitaria di tutte le forze politiche e sociali, consapevoli che si tratta di affrontare un impegno tra i più difficili vissuti in tutta la storia repubblicana dopo la fine della seconda guerra mondiale.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF (www.alefpopolaritaliani.it)

Venezia, 26 Ottobre 2020

 


La Federazione Popolare DC per San Pellegrino 2-0

 

In un’intervista rilasciata a www.formiche.net , il 5 ottobre scorso, l’On Paolo Cirino Pomicino ha sostenuto l’esigenza per la politica italiana e, in particolare per i diversi movimenti di ex DC collocati al centro, di un conclave modello San Pellegrino 1961, guardando alla Cdu che governa in Germania.  Questa l’idea dell’ex ministro DC: “una nuova offerta di centro non è la semplice messa insieme tout court di nani politici, che invece dovrebbero fare una sorta di Convegno di San Pellegrino, come nel 1961, e discutere per tre giorni a quali culture fanno riferimento. Il vantaggio sarebbe doppio: eliminerebbe il personalismo esasperato e recupererebbe il valore della cultura politica”.

 

Riflettendo sulle conclusioni del Convegno di St Vincent (9-10-11 Ottobre scorsi) organizzato dall’amico On Gianfranco Rotondi e tenendo presenti i movimenti in atto per la ricomposizione dell’area cattolico democratica e cristiano sociale ( Rete Italia, Costruire Insieme, Politica insieme, costituitesi in partito: INSIEME, il 4 Ottobre scorso; il movimento partito della Famiglia e altri) credo sarebbe utile e opportuno che la Federazione Popolare dei DC, che riunisce i diversi partiti che si rifanno alla DC storica e le decine e decine di associazioni, movimenti e gruppi dell’area politica cattolico popolare che hanno condiviso il patto federativo, raccogliesse la proposta dell’On Pomicino e  indicesse un Convegno di San Pellegrino 2.0, recuperando la felice intuizione che la DC seppe realizzare nel triennio 1961-62-63.

I tre convegni tenutisi a S. Pellegrino in quegli anni, mostrarono, insieme con una forte vivacità̀ culturale, la presa di coscienza, da parte di larghi strati della D.C. di fondamentali connotati della società̀ industriale avanzata: la preminenza della funzione esercitata dalla cultura; il ruolo centrale nell'ambito della politica economica, esercitabile dalla programmazione, la quale muoveva dalla presa d’atto dell'incapacità del meccanismo di mercato a garantire uno sviluppo ordinato dell'economia; la rilevanza del partito politico come struttura socio-istituzionale portante delle moderne democrazie di massa.

 

Assai importante, al riguardo, l’intervento di Luigi Granelli al primo convegno di San Pellegrino (13-16 Settembre 1961): “I tempi richiedono una politica nuova”,  con il quale il deputato milanese richiedeva una più incisiva “azione di governo per superare gli squilibri economici e integrare l’espansione del benessere con una profonda riforma delle strutture statuali allo scopo di dare una concreta dimensione allo stato delle libertà”. Eravamo alla vigilia del Congresso nazionale DC di Napoli (27-31 Gennaio 1062) nel quale Aldo Moro guiderà il partito alla scelta del centro-sinistra. Rilevante la relazione tenuta dal prof Achille Ardigò 
allo stesso convegno di San Pellegrino (1961)  sul tema: “ Classi sociali e sintesi politica” nel quale è continuo il richiamo all’enciclica giovannea, “Mater et Magistra” (15 Maggio 1961).  Disse Ardigò, come riportato nel saggio dell’Istituto De Gasperi-Bologna-Relazione al I° Convegno Nazionale di Studio della Democrazia Cristiana, San Pellegrino, 13 - 16 settembre 1961, in Atti, Edizioni 5 Lune – Roma1962: Questo convegno viene «poco dopo l'Enciclica « Mater et Magistra ››: esso vive, deve vivere, nella luce di quell'augusto insegnamento. A dei cattolici democratici, che si richiamino - non per convenienza di facciata, ma per intima fiducia - alla missione universale della Chiesa docente che può dare, essa sola, fini e valori primari all'umanità - è concesso sperare a livello adeguato, con responsabile azione politica, di poter mettere ordine nei rapporti tra società civile e Stato. Se prescindessimo dall'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa, nella sua più recente comprensione e orientazione della tendenza in atto nella vita dei popoli, se prescindessimo dai valori ordinativi espressi nella « Mater et Magistra››, non potremmo andare molto più in là dei razionalisti, dei positivisti, degli empirici e degli storici - marxisti o non - che ricercano, invano, l'ordine dei valori per lo sviluppo armonico della società, a partire dall'esperienza meramente fenomenica del passato e con la sola leva della razionalizzazione scientifica. Invano essi cercano tale ordine perché, nonostante il grande apporto e merito della razionalizzazione econometrica, sociologica, psicologica, giuridica, storiografica, la scienza sociale rinvia e non può non altrove rinviare, per i valori ed i fini, che diano le prospettive liberanti del futuro.

 Era questa la straordinaria capacità di un partito di sintonizzarsi sui temi più importanti della società italiana e di interpretarli alla luce dei valori di riferimento essenziali della dottrina sociale cristiana appena riconfermati da Papa Giovanni XXIII.

Come non comprendere che questo è l’insegnamento che ci viene dai nostri padri fondatori, ossia, saper cogliere i bisogni e la condizione di disagio e di smarrimento della società italiana, aggravati in questa stagione di drammatica pandemia, interpretandoli laicamente sulla base dei principi e delle indicazioni pastorali illuminanti di Papa Francesco. Le due ultime encicliche: Laudato Si e Fratelli tutti, siano dunque, le bussole del nostro orientamento da cui trarre le scelte delle politiche economico sociali e istituzionali da realizzare nella “città dell’uomo”.

Questo è stato il tentativo positivo messo in atto a St Vincent e questo dovrebbe essere l’oggetto di un “San Pellegrino 2.0” che, secondo quanto egregiamente scritto dall’amico, On Giorgio Merlo nel suo ultimo libro: Politica, competenza e classe dirigente, dovrebbe approfondire questi temi mettendo insieme in un dialogo e confronto fecondi gli esponenti dei diversi tentativi di ricomposizione politica dell’area cattolico popolare.

Ancora una volta, infatti, spetta a noi cattolici democratici e cristiano sociali, nell’età della globalizzazione e del dominio dei poteri forti del turbo capitalismo finanziario, ripartire dalla nostra cultura politica per tentare di superare la morta gora dei partiti personalistici e populisti oggi prevalenti in Italia e per dar vita a un soggetto politico nuovo di centro, democratico, popolare, riformista e liberale, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori, impegnato a difendere e attuare integralmente la Costituzione repubblicana.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 17 Ottobre 2020

 

 

 

Commento finale a St Vincent 2020

 

Se l’obiettivo era quello indicato dall’amico Rotondi di " un percorso che inizia e non si propone di dar vita a un partito, piuttosto a un’area trasversale capace di contendere coi sovranisti e la sinistra alle prossime elezioni politiche “, l’incontro di St Vincent 2020 ha raggiunto il suo scopo. Come nella migliore tradizione degli incontri di Forze Nuove, la corrente della sinistra sociale della DC guidata da Carlo Donat Cattin, St Vincent anche in questa edizione organizzata dalla Fondazione Fiorentino Sullo-Democrazia Cristiana, resa più complicata dalla pandemia in atto ( ottima l’organizzazione per la sicurezza nello svolgimento dei lavori) ha offerto l’opportunità di intervenire a tutti i partiti presenti in Parlamento per discutere il tema: “Laudato SI, la Politica cristiana dal bianco al verde”. Che il tema dell’ambiente, dei cambiamenti climatici, delle decisioni assunte dall’Unione europea con il recovery fund per sostenere progetti di green economy siano tra quelli prioritari dell’agenda politica è ben noto; meno prevedibile che gli orientamenti pastorali dell’enciclica pontificia potessero diventare il riferimento per la nuova stagione politica del Paese.

 

E’ servita l’intelligenza e l’intuizione politica di Gianfranco Rotondi, anche lui un “ DC non pentito”, per raccogliere attorno a questo messaggio gli esponenti dei diversi partiti e l’interesse del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e di Silvio Berlusconi, programmati come partecipanti al convegno, alla fine, presenti con l’invio di due documenti di generica, seppur affettuosa, adesione ai propositi della Fondazione e il riconoscimento del ruolo svolto da Rotondi e dal cattolicesimo politico nella vicenda nazionale. Chi si attendeva indicazioni operative concrete per l’avvio del progetto di un nuovo centro ampio e plurale sulla base della convergenza tra la cultura cattolico democratica e  quella ambientalista diffusa tra diverse realtà partitiche, non può che costatare le difficoltà per realizzare tale progetto. Una difficoltà emersa già dalle diverse valutazioni espresse nel merito tra i due esponenti più autorevoli dei Verdi: l’On Bonelli, intervenuto nella giornata di apertura, e l’On Pecoraro Scanio presente negli ultimi due giorni  a St Vincent.

 

Da “osservatore partecipante” l'impressione finale che ho colto a St Vincent è la verifica della scomposizione oggettiva in atto in tutti i gruppi e partiti, mentre sul progetto di ricomposizione mi è parso cogliere contraddizioni, timidezze e comprensibili difese d'ufficio delle vecchie appartenenze. Né dalla Gelmini, né da Brunetta, tanto per citare alcuni fra gli esponenti più in vista di Forza Italia, sicuramente in linea con il messaggio riduttivo del Cavaliere, sono venute disponibilità al cambiamento, al di là di quella ovvia al dialogo, e solo il sen Schifani, anche in base alle recenti delusioni elettorali siciliane, ha rivolto alcune critiche all’attuale posizione di Forza Italia all’interno del centro-destra. Incomprensibile, poi, la netta indicazione della sen. Prestigiacomo per la legge elettorale maggioritaria e per il bipolarismo. Una scelta che condannerebbe Forza Italia al ruolo, già in atto da tempo, di retroguardia sino all'irrilevanza all’interno del centro destra a trazione del duo Salvini-Meloni. Una scelta, infine, nettamente alternativa ai propositi del progetto del convegno. Insomma, se Rotondi attendeva il semaforo verde dagli amici del suo partito, al massimo ha visto accendersi una luce gialla, in attesa di fatti nuovi e diversi. A me pare che ciò che realisticamente potrebbe sortire dal confronto apertosi è la formazione di un inter gruppo parlamentare, di cui ha dato l’annuncio l’On Cesa nel suo intervento, impegnato a portare avanti proposte e progetti coerenti con la green economy e con le indicazioni più generali da tutti condivise espresse dalla Laudato SI.

Tutto ciò è molto interessante per una migliore sintonia dei partiti dell’opposizione in sede parlamentare, ma ben poca o nulla cosa quanto all’avvio di un progetto di ricomposizione al centro come ci si augurava potesse sortire dal convegno autunnale di St Vincent.

 

L’altra attesa, specie da parte di noi “ DC non pentiti”, era quella di verificare se da St Vincent potesse uscire qualche fatto nuovo per la ricomposizione dell’area politico culturale cattolico democratica e cristiano sociale, senza la quale la traduzione politica nella “città dell’uomo” degli orientamenti pastorali delle due ultime encicliche pontificie, “dal bianco al verde” rischia  d’ implodere in una reazione, priva di un catalizzatore, senza prospettive. Insieme al lavoro quanto mai opportuno e utile sul piano parlamentare, infatti, occorre procedere senza ulteriori indugi a federare nell'unità possibile quanto si sta da varie parti faticosamente tentando di ricomporre all'interno della nostra area L’assenza di Buttiglione dalla tavola rotonda finale, mi auguro non sia stata dovuta all’ennesimo voltafaccia del Cavaliere, analogo a quelli che il politico filosofo ha ricordato nell’intervista di Tommaso Labate sul Corsera ( “ Berlusconi mi tradì più di una volta”), nella convinzione  che anche stavolta, Berlusconi confermasse, come anche a me è parso dalla lettura del suo messaggio a Rotondi e  al convegno, il suo costante atteggiamento di perpetuazione di un regno, il suo partito, in realtà, oramai giunto alla consunzione.

Se si eccettua la partecipazione dell’amico On Mario Tassone, che è intervenuto a nome della Federazione Popolare dei DC, e quella del sottoscritto, con la presentazione del libro sulla lunga stagione della diaspora democristiana (1993-2020)-DEMODISSEA, questo tema è risultato del tutto assente, anche per la mancata tavola rotonda che avevo auspicato potesse essere organizzata tra i diversi esponenti dei tentativi in atto di tale ricomposizione. Quelli degli amici raccolti attorno al manifesto Zamagni, che hanno il 4 ottobre dato vita al partito INSIEME, quelli della Federazione Popolare dei DC che il 20 Ottobre prossimo si organizzeranno in partito e gli amici del Popolo della Famiglia. Unica nota molto positiva, la presenza di Don Gianni Fusco, “assistente spirituale” degli amici di “ Insieme”, intervenuto in una delle tavole rotonde e diacono celebrante alla Messa di Domenica 11 ottobre, nella Chiesa arcipretale di St Vincent. E’ questo, mi auguro, il segnale di un’attenzione nuova da parte della CEI e della gerarchia cattolica assolutamente nuovo e importante.

 

La mancata opportunità di un confronto tutto interno alla nostra area, tuttavia, è solo rinviata, dato che, come ho già scritto nelle note sui primi due giorni di St Vincent, se si vuol far decollare la politica cristiana, come Rotondi si propone, “la politica cristiana dal bianco al verde”, non basta, anche se utile e  opportuno, l’avvio di un inter gruppo parlamentare, ma parallelamente si deve prima dire basta al suicidio della diaspora post DC; porre fine alle residue assurde divisioni e procedere senza indugi all’avvio del soggetto politico nuovo ampio e plurale nel quale, però, sarà essenziale (sistema elettorale proporzionale permettendo) la presenza di una forte e compatta realtà cattolico democratica e cristiano sociale.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 12 Ottobre 2020

 

 

Seconda giornata a St Vincent- Il seme è stato gettato

 

Il convegno di St Vincent 2020 è il primo incontro politico vissuto con presenza fisica delle persone durante la pandemia da corona virus e il primo di questo primo ventennio del XXI secolo, nel quale uomini di buona volontà si incontrano a discutere sollecitati da un’enciclica pontificia.

Titolo del convegno è infatti : LAUDATO SI, LA POLITICA CRISTIANA DAL BIANCO AL VERDE.

In tutti gli interventi dei numerosi relatori intervenuti, esponenti di tutti i partiti presenti in parlamento, il riferimento all’enciclica di Papa Francesco, “Laudato SI”,, è stato spesso accompagnato a quello dell’ultima, “Fratelli Tutti”, firmata dal sommo pontefice ad Assisi il 3 ottobre scorso, considerata un autentico manifesto programmatico di orientamento essenziale per tutti gli uomini di buona volontà.

 

D’altronde, come ho evidenziato nel mio intervento di presentazione del libro DEMODISSEA, la democrazia cristiana nella lunga stagione della diaspora DC (1993-2020),  già nel secolo XIX i popolari nacquero sulla base dell’impegno profuso da don Luigi Sturzo nel tradurre sul piano politico e istituzionale l’enciclica “Rerum Novarum”, così come nel 1943, all’atto della fondazione della DC gli uomini della prima generazione democratico cristiana, intesero attuare le indicazioni della “Quadragesimo anno” di papa Pio XI . L’obiettivo è quanto mai ambizioso e consiste nel compiere, come ha indicato Rotondi: " un percorso che inizia e non si propone di dar vita a un partito, piuttosto a un’area trasversale capace di contendere coi sovranisti e la sinistra alle prossime elezioni politiche “.

 

E’ evidente che attivare “una politica cristiana dal bianco al verde”, comporta accertare l’esatta disponibilità da parte delle diverse forze politiche, tutte in preda a una fase di forte scomposizione, per un progetto che, almeno per noi dell’area cattolico democratica e cristiano sociale, impone ritrovarsi su programmi, interessi e valori compatibili con i principi dell’umanesimo cristiano.

 

Una cauta apertura si è riscontrata da parte dei Verdi, soprattutto nell’intervento dell’ On Bonelli, mentre qualche difficoltà mi è sembrato di vedere nel discorso pronunciato oggi dall’On Pecoraro Scanio, più incline a rivendicare il suo ruolo di fondatore del movimento partito dei Verdi nel 1983-84, sino a definirsi l’autentico responsabile in positivo  della rivoluzione avviata da ministro dell’agricoltura per quel settore economico in Italia.  

Difficoltà replicate nell’intervento della sen Stefania Prestigiacomo, (Forza Italia) che ha voluto confermare la sua netta scelta a favore della legge elettorale maggioritaria e di un sistema politico bipartitico, perpetuando il quale, però, sarebbe ovvia l’impossibilità di realizzazione del disegno ambizioso dell’amico Rotondi.

 

Anche nel messaggio pervenuto dal Cavaliere, letto in aula da Rotondi, al di là del riconoscimento mai venuto meno del ruolo di coerente testimonianza democratico cristiana dell’On Rotondi, nessuna apertura ho potuto intravedere verso soluzioni di movimento aperte all’avvio di un soggetto politico nuovo di centro democratico e popolare. Un progetto che, in ogni caso, per potersi avviare reclama due condizioni essenziali: l’approvazione di una legge elettorale proporzionale con preferenze e sfiducia costruttiva e la ricomposizione delle diverse esperienze esistenti dell’area cattolica interessate ad alcune significative realtà. Ricorderemo quelle dei gruppi e associazioni raccolti attorno al manifesto Zamagni, i quali hanno dato vita nei giorni scorsi al nuovo partito di INSIEME; quelle della Federazione  Popolare dei DC, che il prossimo 20 Ottobre si trasformerà in partito e quella sin qui caratterizzata dalla difesa strenua dei valori identitari, degli amici del Popolo della Famiglia.

 

Tutti processi di parziali ricomposizioni, necessarie ma insufficienti, ciascuna da sola, a dar vita a quella massa critica in grado di rappresentare un blocco sociale e culturale, anch’esso frammentato nella lunga stagione della diaspora, in grado si superare la condizione di irrilevanza sin qui vissuta tanto sul fronte di destra che di sinistra. Por fine alla diaspora e alla dolorosa “demodissea”, alla cerca di un’isola felice, l’Itaka agognata del movimento dei cattolici è l’agognata prospettiva, che, dopo le due ultime encicliche pontificie, non potrà più permettere percorsi auto referenziali di singole personalità, gruppi o partitini.

 

Dalle tavole rotonde di questa seconda giornata credo si possa dire che è confermata la fase di  progressiva scomposizione delle attuali forze politiche e la comune condivisione che gli orientamenti essenziali indicati dalle ultime encicliche pontificie possono costituire il collante di una possibile costruzione di un soggetto politico centrale di cui il Paese avrebbe bisogno, con lo sfaldamento progressivo del M5S, il dibattito apertosi nel partito dominante del centro destra, la Lega, e una sinistra ancora in crisi di identità.

 

Si attende quello che l’amico on Giorgio Merlo ha indicato come “il federatore”, indispensabile per far scattare, come un catalizzatore, questa reazione chimica. Ci auguriamo che dagli interventi di domani, quello annunciato e atteso del presidente del consiglio, Giuseppe Conte e quello finale dell’On Gianfranco Rotondi, se ne possa sapere di più. Il seme, in ogni caso, a St Vincent è stato gettato.

 

Ettore Bonalberti

St Vincent, 10  Ottobre 2020

 

 


La prima giornata di St Vincent

 

Pronti a sfidare il Covid 19 e nonostante alcuni forfait di relatori e invitati meno temerari, oltre cento persone provenienti da varie parti d’Italia si sono riunite a St Vincent per discutere del tema: “Laudato SI, la Politica cristiana dal bianco al verde. L’enciclica di Papa Francesco assunta come elemento propulsore e unificante di un rinnovato impegno politico nel XXI secolo. Un’enciclica straordinaria dal punto di vista etico, dell’ecologia integrale e ispiratrice della dottrina sociale per l’umanità che, come ha recitato il Pontefice nella preghiera per la pandemia in San Pietro il 27 Marzo 2020: si è resa conto di “trovarsi nella stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma allo stesso tempo importanti e necessari. Tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confrontarci a vicenda.   Su questa barca ci siamo tutti, tutti”.

 

Come ai tempi migliori degli incontri di St Vincent, quelli organizzati dal compianto Carlo Donat Cattin per la sinistra sociale della DC, Gianfranco Rotondi ha pensato di partire dalla più sconvolgente realtà odierna per riflettere sulle possibili traduzioni operative sul piano politico, economico e sociale alla luce della dottrina sociale cristiana.

 

Impegno raccolto dai partecipanti alla numerosa tavola rotonda del primo pomeriggio sul tema: Laudato SI, cinque anni dopo, la cura del creato, nuova frontiera dell’impegno politico dei cattolici. Importanti le indicazioni dei relatori  esperti nelle diverse materie, dalla teologia, all’economia e finanza, dall’esperienza svolta da alcuni imprenditori direttamente sul campo, al ruolo che la politica può e intende assumere in questa fase straordinaria della vicenda umana in Italia e nel mondo.

 

L’On Angelo Bonelli, coordinatore del movimento partito dei Verdi italiani, di formazione cattolica e studi compiuti presso i Gesuiti, ha saputo cogliere la dimensione etica, l’ecologia integrale e i principi di un’etica ecologica  dell’enciclica di Papa Francesco, considerata uno dei documenti più importanti del nostro secolo sul piano della dottrina sociale, indicatrice della necessità di assumere comportanti individuali e collettivi, accanto a scelte politiche e istituzionali fondate sul valore dell’equilibrio e della sostenibilità tra gli umani e il creato.

 

All’apertura del confronto al dialogo espressa da Bonelli una prima importante risposta è giunta dall’On Giorgio Merlo, cattolico democratico e cristiano sociale, uno degli allievi prediletti di Donat Cattin, che proprio qui a St Vincent, conobbe negli anni’80, quel giovane irpino, Rotondi, allievo dell’On Gerardo Bianco, che da diverso tempo continua l’esperienza formativa e politico culturale dello scomparso leader piemontese. Ascoltando l’intervento appassionato dell’On Merlo non potuto evidenziare a Rotondi al quale, a debita distanza di sicurezza, stavo seduto accanto, che da quella scuola forzanovista sono usciti “allievi” di forte caratura. Merlo ha indicato ai cattolici l’esigenza di tradurre nella “città dell’uomo” le indicazioni pastorali dell’enciclica “Laudato Si” e dell’ultima “Fratelli tutti”, secondo un soggetto politico nuovo e centrale (come “centrale” era stata la connotazione che Bonelli aveva dato al fenomeno dei Grünen tedeschi, vincenti in Germania, leader nel länder del Baden Württenberg), che assuma i caratteri diversi dai tentativi fallimentari sino ad ora compiuti con risposte di tipo nostalgico o identario, entrambe insufficienti a far decollare un progetto di rinnovamento all’altezza dei bisogni della società italiana nel tempo della globalizzazione e per i problemi drammatici che la pandemia pone all’intera umanità.

A conclusione dei lavori il presidente del comitato scientifico della fondazione Sullo-DC, prof Antonino Giannone ha presentato un‘ottima sintesi raccolta in alcune schede dalle quali emerge la necessità di assumere un rigorosa responsabilità etica e sociale, economica e culturale se vogliamo salvare la Terra dal disastro dell’aumento della temperatura globale, decidendo, finalmente, quale tipo di  mondo vogliamo trasmettere a chi verrà dopo di noi, in un secolo in cui assisteremo non a cento anni di progresso, ma, più probabilmente a 20.000 anni di progresso.

Emergerà davvero una politica cristiana dal bianco al verde? Lo accerteremo meglio nel prosieguo del dibattito tra oggi e domani.

 

Ettore Bonalberti

St Vincent, 10 Ottobre 2020

 


Tutti al centro

 

Grande è il movimento al centro e, soprattutto, nella nostra area politica di riferimento. Si è mosso per primo il movimento raccolto attorno al “Manifesto  Zamagni” che ieri, 4 ottobre, si è costituito in partito, assumendo il nome di INSIEME, corrispondente a quanto, da socio fondatore, suggerii al gruppo guidato da Tarolli, “Costruire Insieme”, ricordando l’associazione politico culturale veneta, INSIEME, nata nel 2008 a Venezia, il cui sito: www.insiemeweb.net è da me diretto. Ho augurato un sincero benvenuto a questo partito, considerato che: “tutto ciò che va nella direzione della ricomposizione dell'area politica cattolico democratica e cristiano sociale va salutato positivamente”.

 

Seguirà tra pochi giorni il convegno di St Vincent (9-10-11 Ottobre) dove Gianfranco Rotondi, commentando l’avvio di INSIEME, ha dichiarato:” Cercheremo di dialogare, ma il nostro progetto a Saint Vincent, venerdì prossimo, si darà un orizzonte più ampio del segmento neo dc che fin qui abbiamo rappresentato. Serve una nuova iniziativa politica capace di dare compimento alle domande che il Santo Padre pone a laici e cattolici". Quello che partirà da Saint Vincent "è un percorso che inizia e non si propone di dar vita a un partito, piuttosto a un’area trasversale capace di contendere coi sovranisti e la sinistra alle prossime elezioni politiche - prosegue Rotondi - Se il tentativo nascerà’ e crescerà, naturalmente Zamagni sarà un interlocutore ma allo stato non sappiamo che accoglienza avranno le nostre ipotesi".

 

La preoccupazione espressa dall’amico Lucio D’Ubaldo su Il Domani d’Italia (www.ildomaniditalia.eu - “ Il Centro, tra Conte e Zamagni”)  per l’annunciata partecipazione a St Vincent del presidente del consiglio, Giuseppe Conte, foriera “dell’ennesima invenzione di un partito personale” espressione del peggior trasformismo politico rispetto a quello stesso depretisiano avviato nel 1861, mi sembra eccessiva. Considero da qualche tempo Conte una risorsa e non una criticità e tanto più emergerà il collegamento della sua formazione culturale e sensibilità politica alla nostra, ogni passo compiuto nel segno della collaborazione io credo sarà positivo.

 

Il 20 Ottobre, terzo tassello, è convocata l’assemblea generale della Federazione Popolare dei DC, coordinata dall’On Giuseppe Gargani, per decidere la sua trasformazione in partito, nel quale confluiranno i soci delle oltre quaranta associazioni, movimenti e gruppi che hanno condiviso il patto federativo.

 

All’interno di Rete Bianca (una delle parti raccolte attorno al manifesto Zamagni),poi,va ricordata l’esperienza di “Base Italia”, evocatrice di quella che fu per decenni la corrente di sinistra politica della DC, mentre continua, dopo quasi dieci anni, l’impegno dei “DC non pentiti”, sotto la guida di Renato Grassi nel tentativo di ricostruzione politica della DC (www.democraziacristiana.cloud), partito “mai sciolto giuridicamente”. Un percorso ricco di passione e, ahimè, lastricato di infelici e sciagurate controversie giudiziarie che hanno attraversato tutta la lunga stagione della diaspora DC, da me ampiamente analizzata nel recente libro: DEMODISSEA.

 

Giustamente Giorgio Merlo, nel suo ultimo editoriale su “ Il Domani d’Italia” (“ Cattolici, serve un federatore”)(www.ildomaniditalia.eu), scrivendo che finalmente qualcosa si muove nell’area politica cattolica, auspica l’avvento di un “federatore”, capace di condurre all’unità questo vasto fermento presente al centro. Ovviamente la conditio sine qua non perché il progetto possa avanzare è l’adozione per le prossime elezioni politiche di una legge elettorale proporzionale, senza la quale, permanendo il “rosatellum” o un’altra legge maggioritaria, nessuna unione al centro sarebbe possibile. Va, in ogni caso, tenuto presente il ruolo frenante, se non distruttivo, di quella stupida italica regola aurea per la quale: tutti vogliono coordinare, ma nessuno vuol essere coordinato. Personalmente, democristiano da sempre e che resterà tale sino alla fine, vedo con molto interesse il progetto di una più vasta unione al centro ipotizzata da Rotondi, e mi auguro che, dopo St Vincent, si possa avviare un dialogo per federare le diverse iniziative e, soprattutto, che qualcosa di nuovo si muova anche a livello parlamentare dove, come ha scritto anche la sen. Paola Binetti è in atto “ un grande fermento”. Si tratta di concorrere tutti insieme a ricomporre in un grande mosaico i diversi tasselli che si stanno organizzando in quest’autunno ricco di interessanti cantieri politico culturali. E’ importante rammentare che la nuova leadership cattolico democratica e cristiano sociale del soggetto politico nuovo di centro in costruzione, non si potrà decidere dall’alto (metodo top down), ma seguendo un corretta procedura bottom up, dal basso verso l’alto; dopo che, anche grazie alla spinta di un gruppo parlamentare coeso in fieri, partendo dalle realtà territoriali locali, si potrà organizzare una grande assemblea costituente di un vasto movimento ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano capace di rappresentare, come nella migliore storia della DC, e con una rinnovata classe dirigente, gli interessi del terzo stato produttivo e delle classi popolari, oggi prive di una rappresentanza politica e largamente rifugiatesi nell’astensionismo e nel rifiuto dei riti del tristissimo teatrino di questa ormai esausta terza repubblica.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 5 Ottobre 2020

 



Riceviamo e volentieri pubblichiamo la notizia di questo evento di Saint Vincent dove la corrente dei Democristiani di Carlo Donat Cattin aveva la tradizione di riunirsi dopo l’estate per fare il punto sulla situazione politica”


Saint Vincent 9-10-11 Ottobre: Gianfranco Rotondi, Presidente della Fondazione Democrazia Cristiana, presenta un’anticipazione sul Convegno di Saint Vincent:

LAUDATO SÌ: LA POLITICA CRISTIANA DAL BIANCO AL VERDE

“La mia Dc ha avuto respiro perché aveva alle spalle Silvio Berlusconi, leader del Ppe, e Fi e il Pdl con percentuali simili a quelle della vecchia Dc.

Eravamo lievito in una torta grande dell’elettorato.

Oggi Fi è alle percentuali della mia Dc, noi in proporzione stiamo un po’ meglio,ma è un riavvicinamento in discesa dei numeri.

Serve una nuova proposta politica dei cattolici,e a Saint Vincent proveremo a gettare le basi,con molta umiltà e senza avere francamente soluzioni già ideate

Ci auguriamo che a Saint Vincent, con il contributo di numerosi Intellettuali e Politici che parteciperanno alla Tavola Rotonda sulla Laudato Sì e al dibattito sulla Politica, (Annamaria Bernini, Paola Binetti, Angelo Bonelli, Ettore Bonalberti, Vito Bonsignore, Renato Brunetta, , Rocco Buttiglione, Lorenzo Cesa, Gerardo Maria Cinelli, Achille Colombo Clerici, Marco Frittella, Don Gianni Giacomelli, Guido Crosetto, Antonino Giannone, Virginia Kaladich, Roberto La Galla, Giuseppe Lavitola, Ubaldo Livolsi, Lucia Lo Palo, Biagio Maimone, Davide Maraffino, Giorgio Merlo, Rossella Panzeri, Alfonso Pecoraro Scanio, Alfonso Puorro, Saverio Romano, Ettore Rosato, Vincenzo Sanasi d’Arpe, Christian Solinas, Renato Schifani, Bruno Tabacci, Mario Tassone, Claudio Vivona, concluderà Maria Stella Gelmini) si avvierà un Work in Progress per concorrere, a breve, alla realizzazione di un Polo di Centro Moderato, di Cattolici, di Popolari, di Democratici Cristiani, di Liberali e di Amici dell’Associazionismo Sociale e di Volontariato per riequilibrare il sistema politico attuale dei due poli estremi  di Sinistra e di Destra, per poter Costruire Insieme il Futuro del Paese, con il Piano del Recovery Fund, come seppe fare la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi, con il Piano Marshall.

Dopo un decennio l’Italia raggiunse il traguardo di VI^ Potenza Industriale.

Il Convegno che si svolgerà a Saint Vincent nei giorni 9-11 Ottobre è organizzato dalla Fondazione Fiorentino Sullo Democrazia Cristiana e da La Discussione^

 

 

 

 

Vogliamo smetterla con gli esperimenti e costruire l’unità possibile?

 

Caro Giorgio, è proprio vero quello che tu scrivi oggi su Il domani d’Italia: “troppi esperimenti cancellano il patrimonio”. In realtà, allo stato degli atti, i tentativi più interessanti di ricomposizione dell’area  cattolico democratica e cristiano sociale, dopo la lunga stagione della diaspora (1994-2020) di cui ho scritto nel mio recente libro DEMODISSEA, sono quelli della Federazione Popolare DC e dei diversi movimenti raccolti attorno al manifesto Zamagni: Rete Bianca, Politica Insieme e Costruire Insieme. Nel mio libro termino proprio, come peraltro sollecito da qualche tempo, che serve impegnarsi a costruire, innanzi tutto, l’unità possibile tra questi due importanti processi-progetto di ricomposizione, facilitata dalla condivisione dell’esigenza di costruire un soggetto politico nuovo di centro, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, inserito a pieno tiolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori, alternativo al populismo e al sovranismo della destra a dominanza salviniana e della Meloni e alla sinistra senza identità.

 

Qualcuno continua a mantenere, per la verità con assai scarsa se non nulla attendibilità e coerenza, una sorta d’idiosincrasia verso tutto ciò che richiama alla DC, di cui pure è un figlio legittimo, arrogandosi come un finto avatar l’identità di un artificioso nuovismo rispetto a coetanei additati come il vecchio deteriore e impresentabile. Condividendo l’idea che a tutti noi della quarta generazione DC competa nient’altro che il ruolo di dare dei buoni consigli, tenendo conto che non siamo nemmeno più in condizione di offrire dei cattivi esempi, dovremmo impegnarci a far crescere una nuova generazione di popolari pronti a tradurre nella città dell’uomo gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa.

 

Ciò che con il prof Zamagni da qualche tempo descrivo come il superamento del NOMA ( Non Overlapping Magisteria), ossia il rovesciamento del rapporto tra etica, politica ed economia, con la finanza che la fa da padrone subordinando al ruolo ancillare e servente l’economia reale e la stessa politica ( insomma quello che oggi connotiamo come turbo capitalismo finanziario) è stato ampiamente descritto e definito ( quasi in maniera solitaria) dalle encicliche sociali della Chiesa Cattolica: dalla Centesimus Annus di Papa San Giovanni Paolo II, alla Caritas in veritate di Papa Benedetto XVI e alla Laudato SI di Papa Francesco.

 

Tutto ciò assegna a noi popolari un compito straordinario e non più eludibile, anche tenendo  presente che, nella cultura cosiddetta “liberal”, difficilmente si può trovare un’interpretazione altrettanto rigorosa e critica. Difficoltà di un confronto teorico da un lato, per assenza di interlocutori con testi aggiornati ( siamo ancora fermi a Keynes da un lato o alle tesi monetariste di Milton Friedman dall'altro) e assenza/criticità di interpreti politico partitici dei due campi ( intendo quello cattolico democratico e quello liberal riformista) sono le condizioni effettuali difficili nelle quali ci troviamo a operare. Tutti noi dovremmo essere  impegnati a concorrere alla ricomposizione della nostra area politico culturale già democratico cristiana e popolare, e a St Vincent con l’On Rotondi, ritengo si tenterà proprio di favorire un processo di costruzione di un soggetto politico nuovo di centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, come quello che descrivo ampiamente come un mantra nel mio libro.

 

Senza la replica dell’incontro storico tra cattolicesimo politico e riformismo liberale, repubblicano e socialista, come nelle migliori stagioni della nostra storia, in Italia non c’è futuro. Premessa indispensabile perché ciò possa avvenire è il tipo di legge elettorale che alla fine sarà utilizzata alle prossime elezioni politiche. L’idea di un centro politico, infatti, deve fare i conti con la legge elettorale: senza la proporzionale, meglio alla tedesca, con preferenze e sfiducia costruttiva, permanendo il “rosatellum” o altra formula maggioritaria, nessun centro ( tanto meno quello di area cattolica) potrà nascere, dato che il bipolarismo forzato che il maggioritario tende a realizzare, ci porterebbe alla divisione vissuta dal 1994 in poi tra coloro che resteranno con la destra a dominanza prima berlusconiana e oggi salviniana-meloniana e gli altri, con la sinistra guidata dal PD.

Credo sia l’ora di dire stop alle divisioni e di impegnarci tutti alla costruzione dell’unità possibile.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 29 Settembre 2020

 

 

Ricordo di Ferdinando Ranzato

 

Ci ha lasciato Nando Ranzato, un amico e un fratello di tante battaglie politiche e sociali. Ci siamo conosciuti alla fine degli anni’70 e, da allora, sono stati più di cinquant’anni di una comune esperienza politica da democratici cristiani attivi, sino alla fine politica del partito (1994) e, poi, da “ DC non pentiti”, ultimi dei mohicani  sempre legati ai valori dei cristiano democratici e cristiano sociali.

 

Con Nando scompare una delle personalità più generose da me conosciute all’interno della DC veneziana, sempre pronta ad aiutare chi si fosse rivolto a lui per qualunque necessità, e sul piano della totale disponibilità gratuita e immediata. Scelto a capo della segreteria dell’On  Gianfranco Rocelli, fu una delle colonne portanti della nostra corrente di sinistra sociale DC ( Forze Nuove) a Venezia, sia nelle frequenti occasioni di impegni congressuali, che nell’attività di governo, nella quale l’On. Rocelli lo ebbe come fedele addetto di segreteria nei diversi ministeri da Rocelli gestiti da sottosegretario.

 

Molto positiva, poi, la nostra comune esperienza vissuta nell’amministrazione provinciale di Venezia, nella giunta della quale, Nando Ranzato assunse il ruolo di assessore prima, e, in seguito, di presidente dell’Istituto di Santa Maria della Pietà. In qualunque ruolo e funzione ricoperte, Nando seppe sempre esprimere il meglio della propria innata generosità e competenza, ispirate dai valori della solidarietà e sussidiarietà che lo portarono, anche sul piano sociale, a ricoprire per molti anni la presidenza del Movimento Cristiano Lavoratori provinciale e regionale. La dimostrazione  di un impegno politico, sociale e culturale sempre coerente sino alla fine.

 

Caro Nando non sentirò più la tua voce sempre pronta a rispondere alla chiamata e per affrontare i diversi impegni ai quali la politica o la testimonianza civile ci sollecitava. Una tristissima malattia ti aveva colpito, distruggendo progressivamente la tua forza e volontà di vivere sino alla morte. Tutti noi che ti abbiamo voluto bene piangiamo la tua scomparsa, orfani di un amico e di un fratello di cui sentiremo dolorosamente la mancanza. Preghiamo per la tua anima bella e resterai per sempre nel nostro ricordo. Sino alla fine.

 

Ettore Bonalberti

 

Venezia, 28 Settembre 2020

 

 




Quell’idea di Bisaglia

 

Eravamo agli inizi degli anni’80 e nella DC veneta non ci si capacitava del fenomeno leghista che, da alcuni anni, era apparso in molte realtà della fascia pedemontana, quella in cui la DC aveva sempre ottenuto consensi  con oltre il 50 % dei votanti. Responsabile dell’ufficio programma del partito regionale e direttore del giornale “ Il Popolo del Veneto”, organizzai il primo incontro informale tra DC e Liga veneta, con i fondatori  Achille Tramarin e Franco Rocchetta nella sede regionale padovana del partito. Erano due giovani appassionati della storia e della lingua veneta, che mi offrirono una lezione della storia risorgimentale e del plebiscito con cui il Veneto fu annesso all’Italia, totalmente alternativa a quella da tutti noi studiata nei corsi regolari della scuola italiana. Accanto a questa rivendicazione della lingua, della storia e dell’autonomia territoriale del Veneto, giungeva forte e chiara la voce del leader nazionale leghista, Umberto Bossi che, invece, parlava esplicitamente di ”secessione della Padania” e di guerra a “ Roma ladrona”. Un tema, quest’ultimo, che toccava la sensibilità e il portafoglio di quel ceto medio produttivo su cui la DC veneta aveva raccolto largamente il consenso, ma che era stanco di un sempre più stretto controllo dopo decenni di grande libertà fiscale. Con Bisaglia e il segretario regionale Francesco Guidolin decidemmo di costituire un gruppo di studio, di cui assunsi il coordinamento, con gli amici Proff. Enrico Berti, Ulderico Bernardi e Ferruccio Bresolin, per tentare di comprendere le ragioni principali che stavano alla base del nuovo orientamento elettorale dei veneti.

Da quel gruppo di lavoro emersero chiaramente le ragioni culturali e strutturali di quella nuova realtà politica: difesa della storia della Serenissima e della lingua popolare veneta, valore dell’autonomia locale e sofferenza patita per un’imposizione e controllo fiscale insopportabile dopo anni di “allegra fiscalità” e, soprattutto, sfiducia in un partito, forte nel consenso territoriale, ma debole nella rappresentanza governativa centrale nella quale poter far valere le ragioni del “popolo veneto”. Fu allora che il sen Antonio Bisaglia avanzò l’idea di un’organizzazione su base diversa e federale della DC, con la DC veneta che avrebbe potuto assumere le caratteristiche proprie della CSU bavarese, quella con cui Carlo Bernini teneva ottimi rapporti con il Presidente Franz Josef Strauss.

Ho fatto questa digressione storica per rilevare come l’idea di un “partito veneto”, in qualche maniera distinto e distante da quello centrale, fosse maturata, almeno tra i vertici della DC, quarant’anni fa. I travolgenti risultati nelle ultime elezioni regionali, che hanno assegnato al presidente Luca Zaia un’affermazione plebiscitaria che non ha eguali nella storia politica regionale veneta, m’inducono a riprendere questa riflessione su quell’idea di Bisaglia, che già alcuni anni fa con l’amico Domenico Menorello tentammo di riprendere in un seminario organizzato ad hoc con Flavio Tosi, allora sindaco leghista di Verona, astro nascente del partito guidato dal “Senatur”.

Mi ha favorevolmente colpito la risposta data a caldo da Zaia, a un giornalista che lo intervistava, chiedendogli come avrebbe potuto conciliare la pretesa di autonomia veneta con il superamento del divario esistente tra Nord e Sud. Zaia ha  risposto prontamente ripetendo una frase di don Lugi Sturzo: sono unitario, ma federalista impenitente.

Alla fine, come ho sempre creduto ragionando sul caso veneto della Lega, è emerso il riferimento valoriale e culturale alle radici cristiano sociali di larga parte del personale politico dirigente di questo partito. Radici che, come nella DC, sono ben piantate sui valori dell’autonomia, della solidarietà e della sussidiarietà, ossia nella centralità della persona e dei gruppi intermedi, propri della dottrina sociale cristiana.

Una cultura che, oltre alla tradizione sturziana e degasperiana e di tutta la storia della DC veneta, è stata confermata anche da noi popolari e DC veneti quando, negli anni scorsi, sempre con l’amico Menorello e l’avv. Ivone Cacciavillani, giurista e storico cultore della nostra migliore tradizione storico politica, abbiamo avanzato l’idea della macroregione del Nord-Est o Triveneto, sul modello istituzionale indicato dal compianto prof Miglio, già docente alla Cattolica di Milano. Tenuto presente che nel voto regionale, in assenza di una nostra lista e, dunque, senza alcun punto di riferimento di diretta espressione cattolico democratica e cristiano sociale, i nostri elettori sono rimasti liberi di esprimere il loro voto secondo coscienza, ritengo, che la maggior parte di essi abbiano votato largamente per la  lista Zaia.

Al di là di questa che, allo stato degli atti, potrebbe essere solo un’ ipotesi di studio, dal voto emerge un fatto politico di straordinario valore: il Veneto si è affidato alla persona di Zaia, ancor più che al suo partito, per il buon governo dimostrato e, soprattutto, per la sua volontà di autonomia, che resta una delle colonne portanti della nostra stessa cultura politica.

Di qui il ritorno di quel vecchio progetto del sen. Antonio Bisaglia,  enunciato poco prima della sua prematura scomparsa. L’idea di una DC ridisegnata sul modello autonomistico della CSU bavarese. Un partito, cioè, forte dei suoi valori di riferimento e collegato strettamente alla sua realtà territoriale. Convinto come sono della diversità esistente tra l’impostazione politico culturale di Zaia e quella di Salvini (come ho scritto in un  mio recente articolo  della Lega”), dopo aver condiviso col Presidente leghista del consiglio regionale, Ciambetti  e i referenti provinciali della Lega nelle sette province venete, la comune adesione ai valori costituzionali, battendoci insieme per il NO alla “deforma costituzionale renziana”,  ritengo che oggi il Veneto rappresenti una straordinaria risorsa per il Paese e con l’affermazione elettorale di Zaia si potrebbe sviluppare proprio qui un’esperienza politico culturale speciale sul modello della CSU bavarese, con un governatore di importanza e autorevolezza pari a quella del capo del governo nazionale. La vasta area cattolico democratica e cristiano sociale, oggi senza rappresentanza politica e istituzionale in regione e a livello centrale, potrebbe ritrovarsi ampiamente in un progetto politico di tale portata. Perché non provare a tradurre nella realtà questa che fu l’idea di Bisaglia?

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)

Venezia, 23 Settembre 2020

 

 

 

Due giovani candidati  Popolari per il Comune di Venezia

 

La Federazione Popolare dei DC veneti per il rinnovo del consiglio comunale di Venezia sostiene la lista “ Venezia è tua” per Baretta Sindaco. E’ una scelta derivante dalla delusione vissuta, dopo che nel 2015 avevamo sostenuto la lista dell’amico Renato Boraso, già democratico cristiano, oggi divenuto organico nella lista fucsia del sindaco uscente. Un sindaco che, durante tutta la passata amministrazione, non ci ha degnato di alcuna attenzione non rispondendo mai alle nostre richieste su temi importanti della cultura e della promozione della città e senza attivare alcuna iniziativa tra quelle indicate nella nostra “ Idea di Venezia”, la proposta programmatica della Lista Boraso, disattesa subito dopo il voto.

Abbiamo fatto una scelta a sostegno della candidatura di due giovani veneziani: Clark Manwar e Giuseppe Vadalà. Siamo convinti, infatti, che la politica e l’amministrazione della nostra città, abbia bisogno di “vino nuovo in otri nuovi” e i due candidati della nostra Federazione possiedono queste caratteristiche.

Clark Manwar, nato a Dhaka (Bangladesh), ma cittadino italiano, è l’esempio della perfetta integrazione nella nostra comunità sino a diventare un imprenditore nel settore alberghiero nel centro storico di Venezia.

Su di lui crediamo si possano ritrovare molti esponenti del terzo stato produttivo turistico alberghiero e gli amici italiani delle vaste comunità di immigrati di cui  i Popolari intendono favorire l’integrazione, secondo quello spirito di apertura al mondo che è iscritto nella migliore storia della Serenissima.

Giuseppe Vadalà, dal canto suo, opera da molti anni nel settore dell’immobiliare e dell’intermediazione come consulente Real Estate. E’ membro benemerito dell’Accademia Costantina e dell’Associzione nazionale Carabinieri . Una garanzia di serietà professionale e di profonda conoscenza dei  temi urbanistici di Venezia.

Due risorse giovani e  qualificate in grado di garantire tanta passione civile e amore per la nostra città, impegnate a tradurre sul piano amministrativo i valori dei Popolari e gli interessi dei ceti medi produttivi e delle classi popolari.

 

Ettore Bonalberti e Pasquale Ruga

Federazione Popolare dei DC di Venezia

 

Venezia, 8 Settembre 2020

 



Le alleanze non sono un pallottoliere, ma serve un centro nuovo

 

E’ vero, come sostiene Merlo nel suo articolo su Il Domani d’Italia che “le alleanze non sono un pallottoliere” tanto a sinistra quanto a destra degli schieramenti. E lo sono soprattutto per il PD, sin qui necessitato a un’alleanza con “il vero partito populista, antiparlamentare, demagogico e qualunquista della politica italiana”, che è il M5S. Se, però a destra ogni questione dirimente tra Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, alla vigilia di ogni scadenza elettorale, è risolta disinvoltamente con la formazione di liste unitarie, è a sinistra che, perdurando il sistema elettorale del “rosatellum”, al PD non resta che l’alleanza forzata e innaturale con il M5S o l’isolamento minoritario nelle istituzioni.

 

Se a destra, con facilità, si superano questioni strategiche di fondo sul piano degli schieramenti europei, tra Forza Italia, componente non irrilevante del PPE, Fratelli d’Italia tra i conservatori europei, e la Lega unita alla destra estrema con i partiti anti europei e dell’area Visegrad, è nell’area del centro sinistra che il PD non riesce a sottrarsi all’abbraccio soffocante e innaturale col M5S, per la semplice ragione che un centro democratico, popolare, liberale e riformista non esiste. E non esisterà mai, permanendo un sistema elettorale che dal “mattarellum” al “rosatellum” ha sempre puntato a facilitare un bipolarismo forzato che non rientra nella storia e nella cultura politica italiana. I partiti di programma nati col Partito socialista italiano e con il PPI tra il XIX e il XX secolo poterono superare la lunga stagione del trasformismo depretisiano e giolittiano, grazie all’introduzione del suffragio allargato e del sistema proporzionale; un sistema che permise ai partiti del patto costituzionale di garantire l’assetto democratico pluralista del Paese sino alla fine della Prima Repubblica (1947-1993).

 

Ecco perché continuiamo a sostenere la scelta del sistema elettorale tedesco ( il “germanicus”): proporzionale con preferenze, sbarramento al 4-5% e sfiducia costruttiva; un sistema, cioè, in grado di garantire, con la rappresentazione reale delle forze in campo, la governabilità del Paese. Si vedrà, dopo il prossimo voto referendario, se questa sarà la scelta che, almeno sin qui, da Di Maio a Renzi sembra essere sostenuta, mentre nel PD continuano le antiche chimere delle elezioni a doppio turno alla francese. Ennesimo tentativo di piegare in senso forzatamente bipolare una realtà più composita come quella italiana di interessi e di valori che, solo il proporzionale è in grado di rappresentare, così come avviene in Germania, la cui evoluzione storico politica e persino socio economica e istituzionale è assai più simile a quella italiana. Oltre e ancor prima,però, della scelta del sistema elettorale esiste, quello dell’incapacità sin qui colpevolmente sperimentata di dare concreta espressione a quell’area politico culturale cattolico democratica e cristiano sociale senza la quale resta esclusa dalle istituzioni la componente che, storicamente, insieme alle culture di ispirazione laica, liberale, repubblicana, socialista riformista e comunista, ha saputo garantire, con l’avvento del patto costituzionale la democrazia della nostra Repubblica.

 

Con chi si potrebbe alleare un PD, permanendo questo vuoto di rappresentanza politica del centro di ispirazione cattolica e popolare, se non con chi, dal 2018, il M5S, rappresenta come ben ha descritto Merlo  le istanze della protesta e del populismo qualunquista e antiparlamentare presente  pesantemente almeno in quel 50% di elettori che continuano a votare? Ecco perché il tema torna alla questione che nel mio ultimo saggio, che intendo presentare al prossimo convegno di St Vincent (9-10-11 Ottobre) intitolato: “ DOMODISSEA- Il travaglio di un “Don Chisciotte” nella lunga stagione della diaspora DC (1993-2020)” ho esaminato in tutti i suoi passaggi. La storia di traversie, di avvenimenti infausti e ingloriosi, che, ahimè, ci hanno perseguitato e non sono ancora cessati dalle elezioni politiche del 2018, alle europee del 2019 e persino alle prossime regionali settembrine. Da “medico scalzo” e senza alcuna autorità se non quella di un anonimo “osservatore partecipante” senza ambizioni, ho fatto appello diverse volte agli amici della Federazione Popolare DC, cui appartengo, e a quelli raccolti attorno al “manifesto Zamagni”: Rete bianca, Politica Insieme e Costruire Insieme, affinché si possano incontrare e trovare le convergenze per l’unità possibile di tutta l’area cattolico democratica e cristiano sociale. Sino a oggi nessuna risposta. Mi auguro che il prossimo Convegno di St Vincent (9-10-11 Ottobre) felicemente programmato dall’amico Rotondi  ( proprio in quella sede valdostana, molti anni fa, esordì da giovane esponente DC avellinese amico di Sullo e di Gerardo Bianco), sia proprio l’occasione per un tale avvio di unità.

 

Solo se sapremo concorrere alla nascita di  un soggetto politico nuovo che, come un mantra, continuo a definire: popolare, liberale, riformista, europeista, ispirato dai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori DC, alternativo alla deriva nazionalista e populista a dominanza salviniana e alla sinistra comunista; un soggetto impegnato ad attuare integralmente la Costituzione con politiche fondate sui principi dell’economia civile e su quelli della solidarietà e sussidiarietà, si potrà dare risposta reale all’esigenza posta dall’amico Merlo. Non si giocheranno più le alleanze sul piano del pallottoliere, ma su scelte fondate sulla rappresentazione reale di interessi e valori che, attualmente, gonfiano la rete dei renitenti al voto. Gli interessi e i valori, soprattutto, dei ceti medi produttivi e delle classi popolari, quelli ai quali la DC seppe sempre garantire storicamente la più alta mediazione sul piano politico e istituzionale. E dovremo non solo superare i limiti che hanno sin qui impedito di costruire la nostra unità, ma anche dei segnali di disponibilità provenienti sia da Forza Italia che nello stesso M5S e nel PD. Solo se nasce un centro nuovo finisce il tempo del pallottoliere.

 

Ettore Bonalberti

Federazione Popolare DC

Venezia, 7 Settembre 2020

 

 

Ho commentato un articolo assai critico di Dino Bertocco pubblicato su www-geecco.it ( 21 Settembre: “Un Veneto senza guida”) con la nota: “Della Lega veneta”, che allego. E' la testimonianza di un democratico cristiano veneto che conobbe i protagonisti originari della Liga veneta, Achille Tramarin e Franco Rocchetta, e che distingue nettamente la Lega del Veneto oggi sotto la leadership di Luca Zaia da quella muscolare di Salvini.


Della Lega veneta

 

Caro Dino ho letto con interesse il tuo j’accuse profetico post elettorale del voto veneto di Settembre. Il medesimo interesse con cui seguo il tuo appassionato impegno per un coinvolgimento diretto civico,  sin qui risultato scarso se non inesistente.

Confesso che larga parte della tua diagnosi sul caso del dominio di Zaia nella politica veneta è condivisibile, anche se, a mio parere, insufficiente per collocare nella giusta dimensione storico politica la realtà  della Lega veneta sorta agli inizi degli anni’80.

Quando da responsabile del programma della DC veneta ebbi i primi contatti con Achille Tramarin e Franco Rocchetta, antesignani di un fenomeno politico allo “statu nascenti”, che dovette ben presto fare i conti e soccombere nei confronti della Lega lombarda guidata da Umberto Bossi, sino al sacrificio successivo dello stesso Comencini, dal gruppo di studio che la DC pensò di istruire ( composto, tra gli altri, dagli amici prof. Ulderico Bernardi, il compianto prof. Ferrucio Bresolin, dal prof. Enrico Berti e dal sottoscritto) compresi che si trattava di un progetto politico culturale che originava dalle radici profonde del tessuto popolare della nostra terra. Basta ricordare come, senza risorse e con una comunicazione basata sull’utilizzo di manifesti murali fatti a mano o da scritte improvvisate sui muri o sui cavalcavia autostradali, quel movimento spontaneo finisse col penetrare progressivamente nei nostri comuni, soprattutto quelli della fascia pedemontana veneta, anche in quelli nei quali la DC segnava punte di consenso elettorale oltre il 50-60%.  Si trattò del più vasto smottamento del consenso democratico cristiano di tutta la storia repubblicana.

Non si può, dunque, analizzare il fenomeno leghista veneto se non si riconosce quest’origine autenticamente popolare, radicata nell’autonomismo locale che è stata la cifra anche della condizione di egemonia vissuta dalla DC veneta dal 1947-48 e per quasi cinquant’anni.

Certo un movimento-partito quello della Lega, che non si alimentava della nostra cultura cattolico democratica e cristiano sociale, ma, in origine, sull’idea del valore dell’antica supremazia Serenissima e, poi, su quelli bossiani della “Padania”, come terra promessa distinta e distante da “Roma ladrona” da cui ci si augurava il distacco, anche quando il ministero degli Interni, espressione massima del valore dello Stato unitario, fu affidato alla guida del segretario pro tempore leghista, Roberto Maroni.

Questo carattere popolare forte del valore dell’autonomismo locale è sempre stato alla base della Lega veneta che, proprio dal consenso e dal potere assunto democraticamente negli enti locali, ha saputo costruire la sua egemonia, sino al dominio attuale del potere di Luca Zaia.

Intatti i valori di riferimento essenziali della democrazia parlamentare e costituzionali, come furono egregiamente dimostrati dalla netta scelta compiuta dalla Lega a favore del NO nel referendum contro la “deforma costituzionale” renziana. Non dimenticherò mai l’apporto straordinario che il presidente Ciambetti, con i più autorevoli esponenti leghisti delle sette province venete, assicurò al nostro comitato dei Popolari per il NO. Un accordo anche con i riformisti di sinistra che seppe garantire la netta vittoria del NO nel Veneto a quel voto referendario del 4 dicembre 2016.

Certo il passaggio dalla guida forza leghista a conduzione Galan della Regione a quella lega-forzista di Zaia è un momento politico amministrativo delicatissimo, cui tu da tempo dedichi la giusta attenzione. Il tempo degli “homini novis” che ebbero in gran dispitto quelli che, come molti di noi, erano stati e sono espressione della sempre più rivalutata Prima Repubblica. Homini novis, e pure qualche donna, czarina della prima ora, i quali procedettero alle purghe di tipo staliniano di cui fui personalmente vittima.

Credo, insomma, che tutti questi elementi andrebbero considerati, insieme a quelli più fortemente critici da te evidenziati, se sulla Lega veneta vogliamo svolgere una riflessione più

rigorosa, sia sul piano storico che su quello politico culturale.

Quanto al voto di Settembre e lo faccio non come previsione a futura memoria,  ma come realistica costatazione di un dato effettuale, ciò che credo andrebbe evidenziato sia: da un lato, l’ennesimo reiterato tentativo lombardo messo in campo stavolta da Salvini, di stoppare il voto alla lista Zaia per impedirne il sorpasso su quella ufficiale della Lega, riconfermando l’antica volontà di supremazia lombarda su quella veneta. Una supremazia che, stavolta,  rischia di mettere in gioco la stessa leadership di un partito non più padano, ma nazionale, tra “il Tecoppa meneghino” e la figura più moderata e istituzionale di Zaia. Dall’altra, la realtà di una competizione dov’è totalmente scomparsa la presenza di una forza organizzata dell’area cattolico democratica e cristiano sociale.  Di ciò ho scritto nel saggio che presenterò a St Vincent, al convegno che si terrà il 9-10-11 Ottobre p.v. che ho titolato: DEMODISSEA, Il travaglio di “Don Chisciotte” nella lunga stagione della diaspora DC (1993-2020).

 

Ettore Bonalberti

Federazione Popolare DC

 

Venezia, 5 Settembre 2020

 

 



Referendum e conseguenze del voto

 

A poche settimane dal referendum sul taglio dei parlamentari si moltiplicano le prese di posizione a favore del SI e del NO. Un tema che ha diviso anche la vasta schiera dei costituzionalisti, la stragrande maggioranza dei quali ha espresso  motivate ragioni di ordine costituzionale a sostegno del NO, mentre il prof Vittorio Onida, ex presidente della Consulta, si è caratterizzato come una voce fuori del coro con l’articolo pubblicato su Repubblica.

Quanto a me, come gli amici della Federazione Popolare DC, voterò NO condividendo le ragioni indicate con chiarezza dall’amico Follini nel suo articolo pubblicato sulla rivista “Formiche” (“Vi spiego i tre difetti del referendum”) e da autorevoli amici come D’Ubaldo, Davicino, Dellai su “Il domani d’Italia”.

 

Questa infelice verifica referendaria, com’è noto, rappresenta uno dei fiori all’occhiello della strategia del M5S, coerente con la loro idea di “democrazia diretta”, sostanzialmente sostituita nella prassi quotidiana di quel partito che, piattaforma Rousseau più o meno scevra da condizionamenti, resta eterodiretto dall’esterno, vuoi per il ruolo dominante del fondatore Beppe Grillo che da quello molto più pressante e costoso della Casaleggio e C. Di qui l’impegno del M5S a sostenere le ragioni del SI, con il leader di turno Di Maio che è giunto ad affermare: L’establishment è per il NO, gli italiani per il SI”. Il giovanotto di Pomigliano, assurto miracolosamente al ruolo di ministro degli esteri, sembra dimenticare che il M5S fa parte a pieno titolo della nuova dirigenza al governo, anche se, ahinoi, con molte incompetenze e contraddizioni.

 

E’ evidente che, se vincesse il SI, il M5S assumerebbe il risultato come la dimostrazione del valore della loro tesi suffragata dal consenso popolare. Sappiamo bene che, dopo la lunga narrazione populistica avviata dopo la fine della prima repubblica, con  Berlusconi, Bossi sino a Renzi e al M5S, esista una netta propensione anti casta e anti politica pronta a sostenere le ragioni del SI. A tale condizione oggettiva si aggiunge l’ambigua e difficile posizione del PD diviso tra coloro che, come Bonaccini e Del Rio sono per il SI, coerentemente con la posizione che il partito in passato ha sempre avuto sul taglio dei parlamentari e con un occhio vigile sulla tenuta del governo, e quelli che, come Orfini e molti della base, sono schierati, invece, a favore del NO. Zingaretti, incerto sul da farsi, affida alla già convocata direzione nazionale il compito di sciogliere il nodo, chiedendo all’alleato di governo di rispettare gli accordi: il PD potrà votare SI solo se congiuntamente si approverà una nuova legge elettorale e la modifica dei regolamenti parlamentari.

 

Il voto settembrino, che riguarda alcune importanti realtà regionali e comunali, appesantito da quello referendario, rischia così di assumere connotazioni politiche rilevanti, tali da riversare i propri effetti sulla tenuta del governo Conte 2, tenendo anche conto della difficile situazione economica, sociale del Paese, squassato dalla crisi pandemica. Un autunno che si annuncia particolarmente caldo e dagli esiti sociali e politici imprevedibili.

 

Se tentassimo di valutare ciò che comporterà l’esito del voto, anche rispetto ai tempi e ai modi in cui stiamo faticosamente cercando di concorrere a ricomporre politicamente l’area cattolico  democratica e cristiano sociale, mi sembra che si potrebbe concludere così:

a)    una crisi di governo con elezioni anticipate è l’ultima delle situazioni per noi auspicabili avendo necessità di più tempo disponibile;

b)   se vincesse il SI, sarebbe necessario por mano alla nuova legge elettorale e alla modifica dei collegi elettorali, posto che assai difficilmente potranno farsi tali approvazioni in parlamento prima del 20 settembre come richiesto da Zingaretti. Una spinta, dunque, al prolungamento della vita del governo.

c)     Se vincesse il NO, difficile prevedere le conseguenze sul governo, dopo una sconfessione evidente della strategia istituzionale grillina. Una crisi possibile che potrebbe condurre o a un nuovo governo, magari guidato dalla seconda carica dello Stato con il compito di indire nuove elezioni, o direttamente a elezioni anticipate .

 

Se è vero che la tenuta del governo è molto legata alla scadenza e successiva elezione del Presidente della Repubblica, termine ultimo di garanzia per la sopravvivenza della maggioranza rosso verde, è altrettanto evidente che il nostro progetto è molto collegato al tipo di legge elettorale che alla fine, prima o dopo il voto settembrino, sarà scelto per le prossime elezioni politiche. Rimanesse l’attuale “rosatellum”, il nostro progetto sarebbe destinato al naufragio, con un bipolarismo forzato tra centro destra a dominanza salviniana e centro sinistra a dominanza PD e M5S, che finirebbe col dividere le già frammentate parti di area cattolico popolare. Come nella migliore tradizione sturziana e degasperiana noi possiamo costruire il soggetto politico nuovo di centro ispirato dai valori della dottrina sociale cristiana, solo se sarà adottata la legge elettorale proporzionale, meglio se “alla tedesca”, con preferenze e sbarramento al 4-5% e introduzione dell’istituto della sfiducia costruttiva. Una legge in grado di garantire, con il massimo di rappresentanza delle reali forze in campo, la stabilità di governo.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 26 Agosto 2020

E’ poco il tempo, usiamolo per l’unità

 

Le scelte autolesioniste del M5S nelle Marche e in Puglia fanno emergere una spaccatura nella maggioranza di governo che, se punita dal voto di Settembre, potrà avere conseguenze letali per il Conte 2. Non che si giunga necessariamente al voto anticipato, ma sicuramente a un governo a probabile guida della seconda carica dello Stato per preparare le elezioni nella primavera 2021.

 

Lasciando al PD e al M5S il compito di meditare sulle loro decisioni, è in casa nostra che dovremmo seriamente riflettere e accelerare il processo avviato con la Federazione Popolare DC di ricomposizione dell’area cattolico democratica e cristiano sociale italiana. Un progetto che interessa anche agli amici raccolti attorno al “manifesto Zamagni”, ossia quelli di Rete Bianca, Costruire Insieme e Politica Insieme, con i quali sarà indispensabile trovare un’intesa politico programmatica unitaria.

 

Nel mio ultimo editoriale ho scritto: né col centrodestra né a sinistra, convinto che, prima delle alleanze, serve costruire l’unità al centro per costruire il soggetto politico nuovo in grado di superare il tripolarismo: Destra-M5S-PD, dimostratosi in grado produrre solo governi di necessità sostenuti  dal trasformismo parlamentare. E’ evidente che il soggetto politico nuovo di centro potrà nascere solo se la legge elettorale, che alla fine sarà adottata per le prossime elezioni politiche, sarà di tipo proporzionale; meglio se “alla tedesca”, con sbarramento al 4-5% e introduzione dell’istituto della sfiducia costruttiva, col quale si garantiranno una rappresentanza reale delle forze in campo e, insieme, la stabilità dell’esecutivo. In caso di legge maggioritaria, invece, anche il vasto fiume carsico dell’area cattolico democratica e cristiano sociale,  sollecitato dall’esigenza di sopravvivenza dei pochi parlamentari uscenti, non potrà che dividersi tra quanti si accaseranno nella coalizione di centro destra a dominanza salviniana o in quelle di sinistra a dominanza  PD o M5S.

 

Premessa per un confronto serio con le diverse anime a sostegno del manifesto Zamagni sarà la condivisione di una proposta di programma per l’Italia che, partendo dai problemi urgenti del post pandemia, sappia offrire risposte adeguate ai ceti medi produttivi e alle classi popolari, supportate dai principi della dottrina sociale cristiana: personalismo, solidarietà e sussidiarietà.

 

Non siamo riusciti anche questa volta a realizzare nelle diverse realtà regionali interessate al voto di Settembre i propositi che avevamo indicato nell’assemblea della Federazione del 2 Luglio scorso. Guai se, però, non fossimo in grado di rimuovere gli ostacoli, soprattutto di tipo personale dei soliti noti, che si sono dimostrati macigni fin qui insuperabili, e ci limitassimo a gridare agli ennesimi “tradimenti” come quelli alle politiche del 2018 e alle europee del 2019.

 

Dopo il voto del referendum sul taglio dei parlamentari, ultimo attacco al sistema della democrazia rappresentativa e parlamentare portato avanti dai fautori della cosiddetta illusoria “democrazia diretta” e dell’utopica “decrescita felice”, voto nel quale noi Popolari e DC voteremo NO, il parlamento, nel caso prevalesse il SI,  sarebbe inevitabilmente impegnato,, alla modifica dei collegi elettorali e alla scelta della nuova legge elettorale.

 

Un tempo, mi auguro, sufficiente per permettere alla Federazione Popolare DC e alle componenti del Manifesto Zamagni di trovare l’ubi consistam, indispensabile per realizzare il progetto del soggetto politico nuovo di un centro popolare, democratico, popolare, liberale , riformista, europeista, ispirato dai valori dell’umanesimo cristiano. Un centro nuovo inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori, alternativo alla destra nazionalista e populista a dominanza salviniana e alla sinistra senza più identità. Il tempo davanti a noi è molto poco, ma guai se non lo utilizzassimo al meglio per la nostra unità.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 21 Agosto 2020

 

 

 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo l'articolo del Prof Giuseppe Pace sulla situazione scolastica del Veneto



A settembre in Veneto la scuola è peggio di prima senza scuole libere o con l’autonomia.


Prof. Giuseppe Pace V.Seg. Prov. Partito Pensionati Padova con delega al decentramento regionale per la scuola.


In Germania ed altri Paesi d’oltralpe, la scuola è regionalizzata da decenni e molti servizi pubblici vengono erogati con più elevata qualità dei nostri. Da noi, soprattutto non pochi docenti, non vogliono cambiare il servizio e la qualità della scuola statale e non capisco bene il movente. Se il loro timore fosse inerente la perdita o riduzione dell’imparzialità del docente regionalizzato, lo capirei e condividerei. Invece hanno paura del demonio del privato e preferiscono lo stato padronale, che li massifica, li sottopaga ma non ne controlla la qualità. A mio parere, ma anche di tanti miei connazionali e residenti in Veneto, la scuola bisogna affidarla alla libertà d’impresa, tipica dell’ambiente non collettivista, viceversa c’è  lo statalismo padronale? Credo di si. E’ su questa base concettuale che bisogna iniziare o meno la regionalizzazione del sistema scolastico, non altro. Bisogna mettere in competizione sana le scuole e le università statali e libere. A queste seconde, bisogna dare dignità di essere sullo stesso piano di partenza. La Regione paghi le rette-in tutto o in parte a seconda del reddito e le capacità dei discenti- a chi si iscrive e riscrive non alle scuole di stato, ma alle scuole regionalizzate. Queste ultime se medie superiori devono costare molto di più dei circa 100 euro soltanto d’iscrizione. Chi controllerà le scuole libere? L’utenza. Le scuole libere non devono essere solo confessionali, come oggi in gran parte. Le Università libere devono garantire prestiti agli iscritti che lo chiedono, da restituire nei primi anni di lavoro, la Regione se ne fa garante con le banche. Sia pure con un margine d’approssimazione minimo, se dividiamo gli oltre 50 miliardi annui spesi dallo Stato per garantire la scuola a circa 8 milioni di studenti, ne risulta che ogni studente costa al contribuente italiano più di 6mila euro, pari a 500 euro mensili, tolto il periodo delle vacanze. Per la Regione è facile fare il conto di quanto può chiedere per il servizio che poi dovrà regolamentare a distanza, non da vicino come una sorta di nuovi feudi elettorali di personale scolastico (75 mila in Veneto, con stipendi regionalizzati dunque più elevati) ma lasciare libertà di gestione a genitori e studenti maggiorenni che controlleranno la libertà di scelta del docente, della presidenza con contratti brevi, del comitato di gestione (dove ci potranno essere, sia a livello provinciale che regionale, anche due prof. universitari di area umanistica e tecnico-scientifica in veste di osservatori delle presidenze e un Magistrato che garantisca la legalità). Nelle aule dei saperi, in Regione Veneto, a settembre, devono entrare 586 mila discenti e oltre 110 mila studenti iscritti nei 4 atenei veneti con prevalenza nella storica università di Padova che ha superato, da sola, i 70 mila iscritti. Il servizio scuola italiana costa più di 50 miliardi annui al contribuente tartassato dallo Stato, l’imposizione fiscale è oltre il 44%, e l’ attuale Governo, a me pare, esuberi di potere con i continui decreti del Premier e le minacce di carcerare chi non ottempera la prevenzione obbligata per la pandemia del ministro Speranza. Bisognerebbe ribadire sia a Conte dei 5Stelle che a Speranza, della Sinistra più a Sinistra del Pd, che la nostra Repubblica è basata su tre poteri: parlamentare, governativo e della Magistratura che applica le leggi e sanziona i cittadini disonesti, fossero anche parlamentari, premier e ministri. Uno studente costa allo Stato, fino alla maturità liceale, oltre 100 mila euro, nel Veneto con il 65% di scuole non statali fino a 6 anni, invece, lo Stato risparmia 500 milioni l’anno. La Ministro dell’Istruzione dice: “Vogliamo fare scuola anche fuori dalla scuola: portiamo gli studenti nei cinema, nei teatri, nei musei, facciamo in modo che respirino la cultura di cui hanno bisogno. Portiamo anche i più piccoli al parco quando il tempo lo consente a fare lezione”. E per farlo, ha detto la ministra, “è chiaro che abbiamo bisogno di più spazi”. Conte dice: ”vogliamo una scola più sicura, moderna e inclusiva”, parole di circostanza prive di contenuto reale. I media incensano i nostri peggiori politici e oscurano i migliori in nome del popolo sovrano che li ha delegati con il voto. Vogliamo leggere anche altri media superpartes e per il popolo reale e non solo i media chiaramente orientati sull’elettorato di centrosinistra. Gli oltre 50 miliardi spesi annualmente per aprire le aule a 8 milioni di studenti e a 800 mila docenti non bastano più per mantenere l’attuale sistema statale e statalista di uno Stato vassallo che tratta il cittadino ancora come un suddito imponendo una scuola pubblica ad oltre il 90% dei suoi sudditi pecoroni. Secondo i media nazionali servono altri miliardi fino al 4,5% del Pil come in altri paesi europei. Così scrivono valenti opinionisti dell’intellighenzia di moda corrente, ma nemmeno una parola per marcare le differenze di qualità dei diversi sistemi scolastici esistenti in Francia, Olanda, Svezia, Gran Bretagna e Germania. In nessun Paese c’è il primato, incontrato, di una scuola che vieta i diritti basilari degli studenti come il poter scegliere il docente disciplinare come si sceglie il medico generico della mutua o lo specialista. In Veneto la scuola dell’infanzia fino a 6 anni è per il 65% privata o libera (afferma l’animatrice dell’Associazione “Veneto Vivo”), quella obbligatoria e medie superiori era al 17% non statale, poi ridottasi a circa 10% con la crisi del 2008 e col covid19. Nel 2017 più di 2 milioni di veneti hanno deciso di dare il loro sì al referendum che la chiedeva. Nonostante questo, tutto appare ancora confuso e poco chiaro, dice anche “Veneto Vivo” che aggiunge: ”Ma cosa significa davvero l’autonomia? Cosa manca per attuarla? Perché desta così tanto dibattito”, direi soprattutto per la scuola? Le nuove disposizioni del Ministero dell’Istruzione sono riuscite a far rimanere tutti scontenti. A cominciare dai docenti, passando per i dirigenti scolastici, quinti il personale delle scuole, e per finire ai genitori. Sulla ripartenza delle lezioni, infatti, i conti non tornano e così anche nel prossimo anno scolastico la didattica a distanza sarà inevitabile, questo lo scrive come se fosse un male. E non pochi dei media secolarizzati, o indifferenti ai diritti degli studenti, gli danno man forte scrivendo: ”Difficile appare dunque il reperimento degli spazi per creare nuovi ambienti didattici, con gli enti comunali e le Province che dovranno fornire alle stesse istituzioni scolastiche altre strutture, come musei, parchi o addirittura ville all’aperto. Inoltre, se gli ambienti aumentano, occorrerà aumentare anche il numero dei docenti”. Un editoriale di Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera lancia un’idea controcorrente che la classe dirigente privata deve smettere di lamentarsi e assumersi le proprie responsabilità pubbliche. In pratica, auspica che una decina di grandi capitalisti italiani illuminati – la borghesia – si prenda la responsabilità di rilanciare il Paese dopo una crisi che dura dal 2008 da cui non si riesce a uscire. Nel discorso di de Bortoli è implicita una critica a quel capitalismo assistito italiano che, più che prendersi responsabilità, sa solo chiedere soldi allo Stato. Nello specifico afferma che questi 10 capitalisti, grandi borghesi, dovrebbero intervenire prioritariamente nell’istruzione che nel nostro Paese è carente. Dare semplicemente più soldi alla scuola e all’università, come si è sempre fatto sia pure con elemosina, nelle condizioni in cui sono non avrebbe effetti positivi. Andrebbero a vantaggio di persone che godono di rendite di posizione più o meno modeste e non sono disposte a cambiare nulla. Lo si è visto con il rifiuto delle innovazioni timidamente introdotte con la “Buona Scuola” qualche anno fa. Se si aumentano i finanziamenti alla scuola, i sindacati faranno di tutto perché siano semplicemente aumentati gli stipendi e stabilizzate le posizioni di quasi un milione di insegnanti in una struttura rigida e inefficace. Se si aumentano i fondi all’università, da una parte succederebbe lo stesso, dall’altra non ne beneficerebbe sostanzialmente nemmeno la ricerca la cui qualità non può migliorare con soli più soldi. Per non parlare del clientelismo e di un sistema di valutazione autoreferenziale e burocratizzato. De Bortoli fa una proposta sollecitando alla responsabilità sociale della grande impresa che nel lungo termine comporta vantaggi anche economici. Più di qualcuno teme che non si renda conto che sta chiedendo a un asino di andare al galoppo. La scuola ripartirà peggio di prima? Ci sono tutti i presupposti più la paura pandemica. In Veneto lo scorso anno scolastico qualcosa di più si è fatto: almeno il 10% degli studenti ha potuto recarsi a scuola e non tutti in vacanza come nelle altre regioni italiche. “Purtroppo non è stato possibile concedere a ragazzi e insegnanti di ritrovarsi in classe nemmeno per un giorno, a fine anno scolastico. Ma così si rischia di arrivare impreparati anche a settembre”. Su questi presupposti l’assessore regionale all’istruzione e alla formazione, ha convocato il tavolo regionale per progettare la ripartenza della scuola. Obiettivo del confronto, che ha coinvolto Ufficio scolastico regionale, Anci, Upi, organizzazioni sindacali, Associazione nazionale presidi, FormaVeneto, Associazione dei genitori delle scuole cattoliche, Assessorato regionale alla sanità e al sociale e Assessorato regionale ai trasporti, è la costituzione di un coordinamento operativo regionale che elabori “linee guida” per il rientro in classe a settembre dei circa 700 mila utenti di scuola e università, in 28 mila classi.

 

 

Né col centro destra né a sinistra

 

L’avvicinamento strategico di PD e M5S è stato oggetto di alcuni interessanti commenti politici ferragostani. Natale Forlani, con la sua rigorosa analisi socio politica, ha scritto un’interessante nota con cui si chiede se l’alleanza organica PD-M5S sia una naturale evoluzione o un progetto contro natura, considerate le molte contraddizioni che hanno attraversato e attraversano i due partiti. E’ seguita una nota ANSA della sen. Paola Binetti, UDC, inserita organicamente nell’area del centro destra, con la quale la senatrice romana prende atto che: “ Il mondo politico torna a strutturarsi in senso bipolare e l'appello all'unita' rilanciato ieri da Berlusconi al Centro-destra è la risposta concreta al bisogno di alleanza Pd-M5S, reso possibile dalla conferma della Piattaforma Rousseau.” Quella nota continua così: “ Nel Centro-Destra la sfida per l’unità richiama prepotentemente il bisogno di ricreare un asse più orientato al centro. E' necessario offrire al Paese una visione politica che abbia almeno queste tre dimensioni: liberale in economia, socialmente competente nell'arte del buon governo, laicamente cattolica nei valori che propone".

A questa affermazione della Binetti replica con grande lucidità Giancarlo Infante con la nota odierna pubblicata su www.politicainsieme.com  : “ Liberiamoci della logica del “bipolarismo” e puntiamo su nuovi equilibri politici”.

Quanto indicato da Infante rientra a pieno titolo nel dibattito sin qui appena avviato anche nella Federazione Popolare dei DC, dove, alle posizioni di Cesa e della Binetti filo centro destra, sono presenti altre idee, come quelle che da tempo vado sostenendo, che partono dalla premessa dell’esigenza di ricercare l’unità tra i sottoscrittori del patto federativo e di quanti si ritrovano sulle posizioni del “manifesto Zamagni”. Senza o contro l’unità delle componenti che si richiamano alla cultura politica cattolico democratica e cristiano sociale, non può nascere, infatti, un “soggetto politico nuovo” connotato come: democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, ispirato dai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori, alternativo alla deriva nazionalista e populista a dominanza salviniana e della Meloni, e alla sinistra senza più identità.

Un centro che potrà e dovrà nascere se, come ci auguriamo, dopo il voto settembrino delle regionali e quello referendario, si potrà scegliere una legge elettorale proporzionale, che è la conditio sine qua non per superare il bipolarismo forzato e muscolare che ci portiamo dietro dall’infausto referendum Segni del 1991.

Un centro che potrà nascere, altresì, non solo in linea con le questioni aperte a livello internazionale esposte da Infante, dal Mediterraneo al quadro più generale europeo e occidentale, ma se sarà capace di indicare soluzioni di politica economica all’altezza delle due grandi questioni presenti nella realtà italiana: quella del divario Nord-Sud, che si esprime nelle cosiddette questioni: meridionale e settentrionale, e quella, non meno complessa, generazionale, con tutte le implicazioni di carattere economico, sociale, previdenziale che questa comporta. Né l’equilibrio forzato del governo giallo-verde, né quello in atto giallo-rosso, seppur rafforzato dall’annunciato patto strategico PD-M5S, tutto da verificare, sono le soluzioni politiche e istituzionali in grado di affrontare i temi suddetti.

Serve il ritorno in campo della migliore cultura cattolico democratica e cristiano sociale ispirata dalle ultime encicliche sociali di Papa Benedetto XVI e Papa Francesco; un ritorno che reclama come non più rinviabile l’unità dei due tentativi di ricomposizione politica organizzativa più importanti, quello della Federazione Popolare DC e degli amici di Rete Bianca, Politica Insieme e Costruire Insieme, con le molte associazioni, movimenti e gruppi di area cattolica che essi sono riusciti sin qui ad associare. Dividerci adesso, come auspica la Binetti, tra sostenitori del centro-destra o, come fanno altri, di questa sinistra, sarebbe non solo sbagliato politicamente, ma un autentico suicidio politico.

Mi auguro che a Ottobre, a St Vincent, con l’amico Rotondi di questo progetto se ne possa discutere con tutti gli attori interessati.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 17 agosto 2020

 

 

Oltre il “particulare” dei soliti noti

 

La difficile strada della ricomposizione dell’area politica cattolico democratica e cristiano sociale, devastata dalla lunga stagione suicida della diaspora (1993-2020), è resa ancor più complicata dalle prossime scelte elettorali regionali e locali.

Succede a ogni scadenza di voto. Fu così nel 2018 (elezioni politiche) e nel 2019 (elezioni europee): dopo tanti seminari, incontri, documenti sottoscritti, giunti alla formazione delle liste hanno sempre finito col prevalere gli interessi e le ambizioni di pochi, alcuni dei quali prenotati da sempre alla salvaguardia del personale “particulare”, rispetto al progetto più generale dell’unità politica dell’area cattolica e popolare.

Dimentichi degli insegnamenti degasperiani, morotei e fanfaniani, abbiamo dato priorità alle formule di alleanza rispetto alla ricerca dell’unità sul programma, scontata la condivisione sui valori di riferimento essenziali.

E tale prevalente scelta di schieramento sui contenuti si sta replicando, non solo nella diversa valutazione sostenuta da alcuni esponenti della Federazione popolare DC e tra quelli raccolti attorno al “manifesto Zamagni”, ma, nel caso della Federazione Popolare, anche all’interno di essa.

Tali divaricazioni discendono in larga parte dai condizionamenti esercitati dalle diverse leggi  elettorali regionali, le quali, quasi tutte prescrivono pesanti impegni di raccolta delle firme a liste non collegate con partiti o gruppi consiliari uscenti, accanto a quelli più generali di orientamento aperto alla sinistra o alla destra. Questi ultimi, sono derivazioni antiche, collegate anche a quella che fu la divisione scaturita nella DC del dopo Moro, all’interno della sinistra sociale e politica tra preambolisti e anti preambolisti. Una divisione dura a morire, anche in una fase storico politica come l’attuale, dove il permanere di essa appare del tutto anacronistica e insensata.

Fermo restando l’esigenza di rendere più espliciti oggi i concetti di destra e di sinistra, tema altre volte da me affrontato, per il quale suggerirei di assumere come attuale nella sua permanente validità la concezione espressa da Norberto Bobbio (“ i partiti di sinistra si distinguono di solito dai partiti di destra e dai partiti conservatori proprio perché vogliono trasformare la società. I conservatori sono quelli che vogliono conservare quello che c'è: i partiti di sinistra vogliono trasformare. Per trasformare bisogna farlo in base a principi, in base a degli ideali che giustifichino la trasformazione: bisogna giustificare la trasformazione. La differenza fra il conservatore e il riformatore è che il conservatore non ha bisogno di giustificare la conservazione, invece colui che vuole riformare la società deve giustificare, deve giustificare perché la vuole; e non può giustificarlo se non ricorrendo a dei grandi principi: e questo è Giustizia e Libertà”) credo che, per quanto più direttamente ci riguarda, sarebbe molto utile rifarci, come altre volte suggerito, a ciò che la Federazione popolare dei DC ha scritto nel patto federativo, e a quanto è contenuto nel “manifesto Zamagni”, cui si rifanno i movimenti di “Rete bianca”, “ Politica Insieme “ e “ Costruire Insieme”.

Una lettura non ideologica, ossia socialmente condizionata, dei due documenti, mostra l’esistenza maggioritaria di elementi condivisi e unificanti rispetto a quelli contrastanti  e divisivi . Ho tentato, sin qui senza riscontri efficaci, di proporre come elemento unificante progettuale quello della costruzione di un soggetto politico nuovo di centro, ampio, plurale, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori, alternativo alla deriva nazionalista e populista a dominanza salviniana e meloniana, e alla sinistra senza più identità. E’ evidente che per condividere tale obiettivo è indispensabile redigere una proposta di programma politico ed economico sociale per il Paese, sostenuto dai principi fondanti della dottrina sociale cristiana: personalismo, solidarismo e sussidiarietà.

Ecco perché per approfondire questi due temi, da diverso tempo sollecito un incontro tra i dirigenti della Federazione popolare DC e degli amici raccolti attorno al “Manifesto Zamagni”; un incontro da tenersi entro il mese di Agosto-Settembre, che serva a superare gli ultimi ostacoli ancora esistenti, frutto, nella maggior parte dei casi, del prevalere di quei comportamenti di alcuni, “soliti noti,” più interessati al proprio “particulare” che al progetto più generale di ricomposizione del centro politico nuovo, di cui l’Italia ha assoluta necessità.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 10 Agosto 2020

 

 

 

 

Ritorno al progetto  della macroregione triveneta


Alla vigilia del voto regionale di Settembre un tema di confronto serio con la Lega veneta e il Presidente Zaia è quello dell’autonomia regionale, su cui partito della Lega e governatore si sono molto impegnati sino a promuovere e largamente a vincere il referendum popolare del 22 Ottobre 2017. Dopo quella data, e pur alla presenza di un governo a forte partecipazione leghista come quello giallo-verde, nessun passo avanti è stato compiuto e Luca Zaia, in costante crescita di consenso nei sondaggi, sul tema sembra molto isolato anche nella Lega. Cambiata, infatti, la pelle del partito che, dall’impostazione padana originaria di Bossi, con una forte crescita di consenso, Salvini l’ha connotata sempre più come quella di un partito nazionale a tutto tondo, temi come la “secessione del Nord” o quelli dell’ ”autonomia differenziata” sembrano scomparsi dal vocabolario ufficiale leghista.


Dopo i ripetuti conflitti istituzionali emersi durante la crisi della pandemia, nella quale tutti i limiti e le contraddizioni delle modifiche costituzionali al Titolo V sono esplosi nella congerie di competenze esclusive e concorrenti tra Stato e Regioni, si è riaperto il dibattito sull’autonomia regionale. Un tema ripreso autorevolmente dal Presidente Mattarella nel recente incontro con i presidenti delle regioni italiane, durante quale il Capo dello Stato ha confermato essere “l’autonomia delle Regioni il fondamento della democrazia”.

Da democratico cristiano e popolare con l’amico Domenico Menorello e l’assistenza autorevole dell’avv. Ivone Cacciavillani, negli anni scorsi avevamo proposto la tesi della macroregione triveneta come soluzione al caso dell’autonomia veneta e per il superamento del differenziale non più tollerabile di competenze, risorse e funzioni, tra le regioni del Nord-Est già facenti parte della gloriosa Repubblica Serenissima. Quel progetto del Triveneto o macroregione del Nord-Est, gli amici della Federazione Popolare dei DC intendono ripresentarlo come uno dei temi su cui orientare la strategia politica regionale per i prossimi cinque anni. Un ruolo essenziale competerà alla Lega che, in questa fase storico-politica, guida con la Regione, larga parte delle realtà comunali venete, parti fondamentali per l’esercizio dell’art 132 della Costituzione che è lo strumento a suo tempo indicato per raggiungere l’obiettivo dell’autonomia della macroregione triveneta o del Nord-Est. Scrivevo il 16 Febbraio 2019 una nota che ripropongo dato che, credo, mantenga una  sua attualità: L’introduzione delle “materie concorrenti” tra Stato e Regioni,  ha dato vita a una serie infinita di contenziosi, mentre permane la situazione non più sostenibile delle differenze esistenti tra Regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario, che, vanamente, almeno sin qui,  noi popolari veneti abbiamo tentato di superare. Se alcune tra le regioni trainanti dello sviluppo italiano: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sono giunte a proporre la via d’uscita, prevista in Costituzione, di un’autonomia differenziata, è perché l’attuale assetto istituzionale del nostro Paese non regge più, aggravato dalla condizione complessiva di anomia politico istituzionale ed economico sociale in cui versa l’Italia. Credo si debba partire da quest’oggettiva constatazione di crisi del nostro sistema istituzionale, resa ancor più difficile dalla situazione critica all’interno dell’Unione europea e nei nuovi assetti e rapporti internazionali; questi ultimi in continua modificazione nell’età della globalizzazione.


 Ricordo al riguardo che, nel Febbraio 1997, sono usciti per la collana "il nocciolo" di Laterza, due saggi sull'Europa, che meritano la nostra attenzione. Il primo, in ristampa dopo la prima edizione del 1996, di Piero Bassetti ("L'Italia si é rotta? Un federalismo per l'Europa" )  ed il secondo, in prima edizione 1997, di Ralf Dahrendorf ("Perché l'Europa? Riflessioni di un europeista scettico") che affrontavano, da due diverse prospettive,  il tema dell'Europa 

Bassetti é, per quelli della mia generazione, il non dimenticato paladino del regionalismo degli anni '70, il primo Presidente della giunta regionale della Lombardia, il sommo teorico italiano del “glocalismo” (presidente della fondazione Globus et Locus). Ralf Dahrendorf, di origine tedesca, essendo nato ad Amburgo, è stato sino al 1983, il direttore della prestigiosa London School of economics, ed è stato membro della Camera dei Lords inglese e già Commissario inglese dell'Unione europea. E’ morto a Colonia il 17 Giugno 2009. Essi rappresentano, tuttora, due voci autorevoli di una stessa generazione di uomini politici e di cultura, le quali esprimono due diverse concezioni dell'Europa e del federalismo, dopo sessant’anni dalla nascita della CEE . Il primo, kennedianamente un "ottimista senza illusioni", preoccupato della pericolosissima china cui é giunta l'Italia collassata nella sua struttura statuale ed al limite del rischio della secessione, ritiene che: " se il Paese si rompe sotto la pressione  europea, usiamo proprio la colla europea per aggiustarlo e farcelo entrare politicamente unito". Per Bassetti, insomma, la difesa dell'Unità nazionale ed il superamento del rischio secessione può solo avvenire attraverso la Costituzione europea. Ma andare in Europa uniti per Bassetti "non vuol necessariamente dire volere cavare dall'Europa una sola cosa da fare, noi, tutti insieme secondo il classico approccio da governo centrale. Andare nell'Europa pluralista con un'Italia pluralista vuol dire poter chiedere cose diverse alle diverse realtà del Paese facendolo però insieme e con una visione di insieme".

       E' netta in Bassetti l'idea del superamento della concezione dello Stato nazionale così come ereditata dal Risorgimento e, dunque, la consapevolezza che "una nuova politica di Unità nazionale dovrà essere costruita non attorno a una rivendicazione di indipendenza e separazione dagli altri Stati europei come all'epoca del Risorgimento, ma, al contrario, deve essere tesa a inserire in Europa gli interessi globali del nostro Paese, partendo dalle sue differenze e articolazioni, nel tentativo di far giocare tali differenze come un surplus geopolitico che l'Europa ha in passato sempre mostrato di apprezzare." Sfiducia totale nella tradizionale concezione dello Stato nazionale così come concretamente si é realizzato in Italia, e totale adesione all'idea di un'Europa delle Regioni in cui il collante fondamentale dovrebbe essere costituito dal "sistema delle imprese". Superamento della vecchia idea del Principe-Stato e centralità dell'impresa "la quale non rappresenta più solo l'unità elementare di produzione, ma é anche il principale motore dell'innovazione". Non più, dunque,  un sistema fondato sull'alleanza tra Stati e superamento del centro come momento unificante dei particolarismi, quanto la realizzazione di un sistema a rete tra realtà regionali dell'Europa, istituzionali e d'impresa, che realizzano un nuovo patto federativo per il prossimo secolo, quale unico vero antidoto possibile contro i rischi non effimeri di disintegrazione socio politica del nostro Paese. Questo tema è stato ripreso con la stessa determinazione e nuovi accenti da Piero Bassetti, grazie a un articolo pubblicato su “ Il Foglio”, Mercoledì 13 Febbraio a firma di Maurizio Crippa, intitolato: “Il Risorgimento. Parte due”.  Da esso emerge come il voto del 4 marzo  2018 abbia rivelato l’esistenza di due Italie difficilmente riconducibili e interpretabili da una cultura unitaria e condivisa e da una gestione dello stato di tipo centralizzato. La mancata unità nazionale su basi federaliste secondo la concezione di Carlo Cattaneo con l’alleanza tra borghesia del Nord , monarchia sabauda ed esercito, ha fatto nascere uno Stato, ma non ha risolto il problema lucidamente posto da Massimo D’Azeglio: “fatta l’Italia, facciamo gli italiani”. Di qui l’espressione di Bassetti della fine del primo risorgimento, proponendo una seria riflessione sulle riforme istituzionali possibili e compatibili e la riproposizione di  una lettura del caso Italia  secondo la stessa idea del prof Miglio : macroregioni e selezione di una nuova classe dirigente dal basso, partendo dalle realtà locali, considerando insufficiente e inadeguata la stessa soluzione dell’autonomia differenziata richiesta dalle tre regioni del Nord (Lombardia, Veneto, Emilia e Romagna) che è  alla firma del governo. 

                        

Totalmente diversa la posizione espressa da Ralf Dahrendorf, che in quel saggio si autodefinì "un europeista scettico" e che nello stesso espose, sostanzialmente assai bene, la posizione prevalente degli inglesi, già allora, in materia di costruzione europea. Teorico inflessibile dello Stato nazionale da lui ampiamente difeso contro le ricorrenti utopie dei federalismi regionali (v. il suo bel saggio su Micromega ,n.5/94,pagg.61-73) per Lord Dahrendorf: "la peggiore delle  prospettive é la cosiddetta Europa delle regioni, in cui unità sub nazionali omogenee, e quindi intolleranti, si uniscono con una formazione sovrannazionale  retorica e debole. Contro una prospettiva del genere , lo Stato nazionale eterogeneo é l'unico bastione". 

Ne risulta una concezione totalmente opposta a quella di Bassetti,  che si basa su un'idea pessimistica delle realtà territoriali regionali portatrici, nella visione di Dahrendorf, di intrinseci rischi di frantumazione degli Stati, unici garanti delle regole di libertà per i cittadini. Insomma per Dahrendorf il binomio"società e democrazia" è più importante di "Europa e democrazia", mentre non manca il timore, così diffuso in molta parte della cultura anglosassone ed europea, espresso dal seguente interrogativo: "non può essere forse che in bocca tedesca "Europa" sia in realtà la parola in codice per il nuovo nazionalismo tedesco?".

Tutto il suo saggio é permeato da approfondite riflessioni in ordine ai rischi, se non addirittura all'inutilità, di considerare l'Unione monetaria che, come dibattito sull’euro, é oggi al centro del dibattito politico, economico e finanziario in molti  Paesi europei, Italia in testa, come il tema essenziale per la costruzione europea. Per Dahrendorf non solo tale questione non serve a risolvere i grandi problemi storico-politici presenti all'attualità dell'Europa di oggi, ma, probabilmente potrebbe contribuire a ritardarne addirittura la soluzione, riducendosi alla costruzione di un mero "francomarco" a netta egemonia tedesca. Una profezia che si è in larga parte auto adempiuta. Insomma per Dahrendorf non vale la pena di morire per Maastricht, mentre più saggio sarebbe puntare alla costruzione di una più stretta unione delle nazioni europee, "partendo dall'Unione europea così come esiste realmente nella sua attuale articolazione di Stati nazionali." Ridotte così al "nocciolo" le tesi dei due autori  alla fine del secolo scorso, credo siano tuttora di grande interesse nell'attuale dibattito apertosi in Italia e nell'Unione europea.


Qualche anno dopo la pubblicazione di quel saggio (1997), nel 2014, l’allora primo ministro francese, Manuel Valls, propose  di "ridurre della metà il numero delle regioni" entro il 2017 e di sopprimere i consigli dipartimentali (province) "entro il 2021".Le Regioni francesi sarebbero passate dalle attuali 22 a 12, con un risparmio di spesa  annuo previsto tra i 12 e i 15 miliardi di €: una robustissima riduzione di spesa pubblica. Quello stesso anno Beppe Grillo, il leader del M5S, il 7 Marzo sul suo blog definiva l’Italia: "un’arlecchinata di popoli, di lingue, di tradizioni che non ha più alcuna ragione di stare insieme" e per questo insisteva sull’urgenza di dividere il territorio nazionale in macroregioni.

Quella  iniziata nel 1861, scriveva Grillo, è “una storia brutale, la cui memoria non ci porta a gonfiare il petto, ma ad abbassare la testa. Percorsa  da atti terroristici inauditi per una democrazia assistiti premurosamente dai servizi deviati (?) dello  Stato. Quale Stato? La parola ‘Stato’ di fronte alla quale ci si alzava in piedi e si salutava la bandiera è diventata un ignobile raccoglitore di interessi privati gestito dalle maitresse dei partiti”. E se domani, proseguiva il post, “i Veneti, i Friulani, i Triestini, i Siciliani, i Sardi, i Lombardi non sentissero più alcuna necessità di rimanere all’interno di un incubo dove la democrazia è scomparsa, un signore di novant’anni decide le sorti della Nazione e un imbarazzante venditore di pentole si atteggia a presidente del Consiglio, massacrata di tasse, di burocrazia che ti spinge a fuggire all’estero o a suicidarti, senza sovranità monetaria, territoriale, fiscale, con le imprese che muoiono come mosche”. Secondo Grillo per fare funzionare l’Italia, che “non può essere gestita da Roma da partiti autoreferenziali e inconcludenti”, “è necessario decentralizzare poteri e funzioni a livello di macroregioni, recuperando l’identità di Stati millenari, come la Repubblica di Venezia o il Regno delle due Sicilie. E se domani fosse troppo tardi? Se ci fosse un referendum per l’annessione della Lombardia alla Svizzera, dell’autonomia della Sardegna o del congiungimento della Valle d’Aosta e dellAlto Adige alla Francia e allAustria? Ci sarebbe un plebiscito  per andarsene”.

Considerazioni cui replicò Matteo Salvini così: “Non vorrei che essendo in difficoltà, Grillo inseguisse la Lega”. Ma se da lui non ci saranno “solo parole” fra M5S e Carroccio “sarà una battaglia comune”. “Se è coerente – disse Salvini – Grillo sosterrà subito il referendum per l’indipendenza del Veneto e quando in Lombardia chiederemo lo statuto speciale ci sosterrà”. Per questo Salvini si aspettava che “non rimanessero solo parole, perché a parole i grillini erano contro l’immigrazione clandestina e poi hanno votato contro il reato, a parole erano contro l’euro poi è rimasta solo la Lega: se non saranno solo parole sarà una battaglia comune – concludeva – perché è certo che se mettiamo insieme le forze da questo punto di vista non ce n’è per nessuno”.


Parole profetiche pronunciate dai due leader quattro anni prima del “contratto di governo” giallo verde, anche se, oggi, continuavo in quel mio articolo,  giunti alla vigilia della firma degli accordi sottoscritti dalla ministra Stefani con i tre governatori di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, i grillini si stanno tirando indietro, preoccupati di offrire all’alleato-competitor di governo, Salvini, un vantaggio sicuro rispetto alla prossima scadenza elettorale per il rinnovo del parlamento europeo. Ho citato queste idee di Grillo e di Salvini datate 2014, per evidenziare come i temi dell’autonomia regionale possano assumere nel tempo forme e declinazioni diverse, così come l’abbiamo sperimentato anche noi popolari veneti che, dalla fine del 2015, abbiamo avviato una grande campagna per la nascita della macroregione del Nord Est o del Triveneto, secondo le vie previste dalla Costituzione. Sostenitori della tesi del  prof Miglio, da anni, infatti,  proponiamo in Italia  il passaggio dalle attuali 20 regioni a 5- 6 macroregioni. 


Proprio alla fine del 2015 e per tutto il 2016 e 2017, con molti autorevoli amici veneti, abbiamo condiviso l’idea della macroregione del Nord-Est, convinti che:esiste, ed è costituzionalmente previsto, un meccanismo, mai esplorato, per arrivare alla macroregione “speciale” triveneta, con Trentino e Friuli Venezia Giulia, omogenee per cultura, storia, caratteristiche economiche e tessuto sociale, a costo “zero” per lo Stato. Attraverso, cioè, l’applicazione dell’art. 132, comma 1, della Costituzione, ovvero promuovendo la richiesta di fusione delle tre regioni venete da parte di tanti consigli comunali quanti rappresentino 1/3 della popolazione complessiva (circa metà del Veneto), si determinerebbe la convocazione di un referendum, che, se avesse esito positivo obbligherebbe le camere a discutere una legge costituzionale di accorpamento del Triveneto.


Fondere due regioni speciali con una ordinaria comporterà necessariamente la creazione di una macroregione speciale, in cui vi sarà una diversa modulazione, anche mantenendole invariate, delle attuali risorse dello Stato per il medesimo territorio, altresì potendo l’itero triveneto beneficiare della autonomia fiscale ora riconosciuta solo a TTAA e FVA. Inoltre, sul piano strategico una macroregione del nordest, cuore e crocevia degli assi nord/sud ed est/ovest dell’Europa, appare uno straordinario strumento di attrazione di investimenti, nonché di interlocuzione autorevole con le istituzioni italiane ed europee a immediato beneficio della crescita dell’intero territorio. La proposta potrebbe nascere da alcuni Sindaci di importanti città venete, sotto l’egida di autorevoli riferimenti veneti nel mondo del diritto, delle professioni, dell’economia, della cultura, dell’editoria.


Quella nostra indicazione, ahimè, non fu raccolta dalle forze politiche presenti nel Consiglio regionale del Veneto e cadde tra i “ wishful thinkings” (pensieri vaghi) impotenti e insoddisfatti. Peccato, perché sarebbero bastati i pronunciamenti dei consigli comunali dei sette comuni capoluoghi del Veneto per far scattare quel referendum. La Lega e il Presidente Zaia, con la maggioranza del consiglio regionale veneto, hanno deciso diversamente, proponendo la strada di un referendum consultivo che  ha ottenuto il via libera dalla Corte Costituzionale. La forte partecipazione al referendum svoltosi  il 22 Ottobre 2017 e un voto pressoché plebiscitario a sostegno di una maggiore autonomia della nostra Regione, sono state le precondizioni politiche, nel Veneto e in Lombardia, per aprire un confronto con il governo centrale non più rinviabile. 50 miliardi di fondi versati da Lombardia e Veneto al governo centrale, sottratti dall’imposizione fiscale dei lombardo-veneti sono una cifra enorme non più sostenibile. L’Emilia e Romagna senza referendum optò da subito per l’apertura di una trattativa diretta col governo, sulla  base di  una proposta di accordo votata all’unanimità dal consiglio regionale emiliano. Resta il fatto che nessun passo avanti è stato compiuto dall’esito referendario e dell’autonomia veneta se ne parla solo nel documento che Zaia  giustamente chiede di sottoscrivere ai partiti che intendono sostenerne la candidatura per il terzo mandato.


Va assicurato che, noi DC e Popolari veneti, non intendiamo sottrarci ai doveri della solidarietà a favore delle regioni italiane meno fortunate, ma onestamente non si possono più accettare gli sprechi e il malgoverno di realtà istituzionali come quelle che reggono la sanità campana o laziale e lo sfregio a ogni logica elementare di buona amministrazione cui è stata condotta la Regione Sicilia. Da molto tempo sosteniamo, con l’insegnamento del compianto prof. Miglio, l’idea di un’Italia federale organizzata sulla  base di cinque o sei macroregioni, ma, ahimè, sin qui le nostre sono state inutili “grida nel deserto”, in un Paese centralista che non si rende conto, così com’è attualmente organizzato, di essere destinato al fallimento.

La nostra proposta non intendeva e non chiede di ridurre il grado di autonomia conquistato dalle consorelle realtà regionali friulane e trentino-altoatesine, ma, semmai, di aumentare quello ora garantito al Veneto come regione a statuto ordinario. E lo facciamo indicando in Venezia e nella migliore tradizione storico  politica della Repubblica Serenissima, il punto di riferimento centrale della nostra proposta. Nessuna velleità scissionistica, ma il riconoscimento di una specifica autonomia nel quadro di ciò che prevede la nostra Costituzione repubblicana.


Che esista una questione settentrionale, lo ha ben descritto l’amico Achille Colombo Clerici in un suo recente saggio,  che ripropone quanto da lui esposto in una conferenza tenuta a Zurigo all’Istituto svizzero per i rapporti culturali ed economici  con l’Italia nel giugno 2008.In estrema sintesi Colombo Clerici fa presente quanto segue: Se la questione meridionale italiana da quasi un secolo è al centro del dibattito storiografico e politico nel nostro Paese, scarsa attenzione viene data alla questione lombarda che si inserisce, più in generale, nella questione settentrionale, il cui confine è tracciato dal perimetro delle cosiddette regioni a residuo fiscale negativo: cioè di quelle regioni che allo Stato danno in tasse più di quanto ricevono in servizi.


Si delinea un'area geografica comprendente le regioni del Nord, un'area entro la quale si riscontra una certa omogeneità storico cultural-sociale ed economica. Anche se dobbiamo dire che, grazie a Milano, la Lombardia è la Regione che più assomiglia a uno stato autonomo, nel quale esiste in modo inequivocabile un vero riconoscibile polo di potere socio-economico-amministrativo a reggerne la vita. La questione settentrionale potrebbe oggi, per grandi linee, affacciarsi nei termini problematici del compito e della responsabilità, maturati sul piano storico, delle Regioni del Nord di tenere agganciato il Paese al mondo internazionale, mentre le risorse per consentire questo compito non sono per niente definite. Anzi, non se ne parla nemmeno. L’assistenzialismo centralistico verso le regioni del Sud ha dato luogo a ingenti trasferimenti finanziari alle famiglie senza la contestuale creazione di nuovi posti di lavoro. Si è in tal modo sviluppato un modello di società dei consumi senza una corrispondente produzione.  Lo Stato Italiano ha sottratto ingenti risorse finanziarie agli investimenti in infrastrutture di servizio, tanto al Nord, quanto al Sud; dove peraltro gli investimenti realizzati non hanno dato i risultati ipotizzati.



La soluzione? Alcuni sostengono un’idea più avanzata sul piano del “federalismo”, soprattutto in campo fiscale; altri più sfumatamente parlano di “regionalismo”, in aderenza sostanzialmente all’idea di una maggiore autonomia dell’ente locale. Ma poi inevitabilmente nelle risposte degli uni e degli altri emergono tutte le tematiche del dibattito generale: dai principi di interdipendenza, di sussidiarietà, di solidarietà, al policentrismo ed al cosmopolitismo. Il tutto inquadrato in un sistema che sia in grado di conciliare le esigenze di autogoverno–partecipazione locale, con la salvaguardia del principio di unità-solidarietà nazionale. Temi da declinare oggi con la disponibilità di risorse consistenti messe a disposizione dell’Unione europea all’Italia per la crisi post pandemica.


La strada da noi indicata della macroregione triveneta è nelle mani di chi governerà il Veneto nella prossima legislatura regionale e nella maggioranza della popolazione rappresentata nei comuni veneti. Vogliamo tentare di percorrerla insieme?

Ettore  Bonalberti

Comitato provvisorio Federazione Popolare dei DC

Venezia, 6 Agosto 2020

 

 

La questione morale, quali rimedi?

 

Ottimo l’articolo di Giorgio Merlo sul “ritorno della questione morale” scritto sulla rivista www.ildomaniditalia.eu  . Nel merito proporrei alcune idee: attuare finalmente per tutti i partiti l’art. 49 della Costituzione e selezionare la classe dirigente “ con metodo democratico” sulla base dell’accettazione da parte degli interessati di due codici etici essenziali. Il primo, l’epitaffio pronunciato da Pericle dopo i primi morti della guerra del Peloponneso, citati da Tucidide che riporto:

 

"Noi abbiamo una forma di governo che non guarda con invidia le costituzioni dei vicini, e non solo non imitiamo altri, ma anzi siamo noi stessi di esempio a qualcuno. Quanto al nome, essa è chiamata democrazia, poichè è amministrata non già per il bene di poche persone, bensì di una cerchia più vasta: di fronte alle leggi, però, tutti, nelle private controversie, godono di uguale trattamento; e secondo la considerazione di cui uno gode, poichè in qualche campo si distingue, non tanto per il suo partito, quanto per il suo merito viene preferito nelle cariche pubbliche; nè, d'altra parte, la povertà, se uno è in grado di fare qualcosa di utile alla città, gli è di impedimento per l'oscura sua posizione sociale.

 Come in piena libertà viviamo nella vita pubblica così in quel vicendevole sorvegliarsi che si verifica nelle azioni di ogni giorno, noi non ci sentiamo urtati se uno si comporta a suo gradimento, nè gli infliggiamo con il nostro corruccio una molestia che, se non è un castigo vero e proprio, è pur sempre qualche cosa di poco gradito.

 Noi che serenamente trattiamo i nostri affari privati, quando si tratta degli interessi pubblici abbiamo un'incredibile paura di scendere nell'illegalità: siamo obbedienti a quanti si succedono al governo, ossequienti alle leggi e tra esse in modo speciale a quelle che sono a tutela di chi subisce ingiustizia e a quelle che, pur non trovandosi scritte in alcuna tavola, portano per universale consenso il disonore a chi non le rispetta."........

  

(TUCIDIDE:"La guerra del Peloponneso")

 

(Dal discorso funebre di Pericle per la celebrazione dei primi caduti della guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta- fatto in Atene durante i primi anni della guerra (431-429 a.C.)

 

Il secondo, molto più vicino a noi, e scritto con la chiarezza e semplicità disarmanti di don Luigi Sturzo, che definirei: il “decalogo sturziano del buon politico”, che recita così:

-  essere sincero e onesto;
– promettere poco e realizzare molto;
– se ami molto il denaro non fare il politico;
– non andare contro la legge per un presunto vantaggio politico;
– non circondarti di adulatori, fanno male all’anima ed eccitano la vanità;
– se pensi di essere indispensabile, farai molti errori;
– spesso il no è più utile del si;
– occorre avere pazienza e non disperare mai;
– i tuoi collaboratori al governo siano degli amici mai dei favoriti;
– ascolta le donne che fanno politica, sono più sagge degli uomini;
– è una buona abitudine fare ogni sera l’esame di coscienza.

Assumiamo questi codici etico culturali  e costruiamo partendo da essi il programma dei cattolici democratici e dei cristiano sociali del 2000.

Ettore Bonalberti

1 Agosto 2020

RICORDO DI DINO DE POLI


Dino De Poli ci ha lasciati e con lui scompare una delle figure più importanti della DC trevigiana e veneta. Leader della corrente di Base, fin dalla fine degni anni’60 ho potuto godere dei suoi insegnamenti culturali e politici. Ammiratori entrambi di Gianni Brera, era per me piacevole seguire Dino che scriveva sull’agenzia basista RADAR, edizione veneta, con lo stile del grande giornalista pavese, introducendo per la politica neologismi espressione della sua grande cultura umanistica e delle genti venete. Nei suoi interventi nel comitato regionale della DC mi colpivano i costanti riferimenti di natura etica e della migliore cultura della tradizione cattolico democratica. I toni che egli usava, anche nei dibattiti più accesi, erano sempre accompagnati da una piacevole e convincente ironia, che non trascendeva mai oltre i limiti della pur franca dialettica politica.

A Treviso, nella DC, rappresentò il capofila di un’autentica scuola che produsse alcune delle più autorevoli figure, come quella di Carlo Bernini, futuro presidente della Regione Veneto e di Piero Pignata che assunse la guida del Movimento giovanile della DC.

Ci fu una lunga stagione di democratica alternativa della sinistra DC ai dorotei, anche qui temperata nei toni, che Dino sintetizzò nella celebre frase: “ Sior Toni ( Bisaglia) paron, a nu le pene a ti al capon”, cui seguì l’ultima di aperta collaborazione, che portò alla presidenza della regione del suo ex allievo Bernini.

Anche dopo la fine politica della DC ( 1993), assunto in quegli anni il ruolo che svolse con estrema capacità della Presidenza di Cassa Marca, Dino De Poli mi offrì sempre generosamente i suoi preziosi suggerimenti, mantenendo ben distinta la sua nuova funzione dalla quale derivarono tante iniziative preziose sul piano culturale e degli interventi ambientali che, grazie alla sua sensibilità, potemmo avviare anche in campo forestale e ambientale.

Treviso e il Veneto con la scomparsa di Dino De Poli perdono una delle ultime figure della grande storia democratico cristiana; una storia che era il risultato di una combinazione di interessi e valori di un blocco sociale che è stato alla base della rinascita di una Regione da terra di emigrazione a terra di sviluppo e di relazione aperta al mondo. Un mondo nel quale De Poli volle soprattutto evidenziare con dovizia il ruolo svolto dall’umanesimo latino.

Caro Dino, mi mancheranno i tuoi consigli ora che il Signore ti ha chiamato a sé. Adesso troverai in Paradiso gli amici di un tempo: Marcora, Donat Cattin, Bisaglia, Degan, Tina Anselmi, Marino Corder, Bepi Marton, Toni Marta e i veneziani: Gagliardi ( indimenticabile il tuo discorso funebre sulla bara dell’amico vittima di un drammatico incidente stradale) e Zanini, con i quali continuerai a discutere con la compostezza e l’ironia di un tempo di cose più preziose. Grazie per il tuo insegnamento e per i valori che mi hai indicato, tra i quali l’orgoglio di essere un democratico cristiano.

 

ETTORE BONALBERTI

 

22 Luglio 2020

Il dialogo è aperto

 

Ringrazio l’amico Giancarlo Infante per l’attenzione prestata al mio articolo: “ Alla ricerca del centro perduto” e alla rivista “ Il domani d’Italia” che ci permette di sviluppare un dialogo tra le diverse componenti dell’area politica cattolico popolare.

 

E’ vero che non possiedo molte informazioni sugli sviluppi nei e tra i diversi gruppi che si ritrovano attorno alle linee indicate nel “manifesto Zamagni”, anche se del gruppo “Costruire Insieme” sono stato uno dei soci fondatori e con “ Rete bianca” mantengo ottimi rapporti consolidati da un’antica amicizia con Giorgio Merlo e una positiva interlocuzione con Lucio D’Ubaldo. Mi era sembrato che l’idea di ritrovarsi in un luogo comune di appartenenza identificato come “parte bianca” fosse uno degli obiettivi di questi amici.  Apprendo ora da Infante che si sta lavorando “all’organizzazione di un’Assemblea costituente cui parteciperà gente nuova” confortati dalla circostanza che, anche se “ ci manca un leader”, “ crediamo in una leadership allargata”.

 

Il punto di difficoltà nei rapporti con la Federazione Popolare dei DC , secondo Infante, sarebbe nell’impegno annunciato di andare  verso le elezioni regionali pensando a liste che finiranno per schierarsi in alcune regioni nel centrodestra  o in altre a sinistra. Scottati dalle precedenti esperienze fallimentari delle politiche del 2018 e delle europee del 2019, per il prevalere dei particolarismi dei soliti noti, non nascondo che anche in questa tornata elettorale regionale non manchino le difficoltà, tanto sono complicate le traduzioni di accordi assunti nella Federazione al vaglio delle realtà concrete territoriali, condizionate non solo dalle diverse leggi elettorali regionali, ma dalle cristallizzate casematte delle diverse esperienze di appartenenza.

 

Ottimo l’augurio di Infante  secondo cui: “La vera “federazione” che abbiamo in mente di realizzare è quella della ricostruzione nella società del raccordo con e tra le tante espressioni vitali del tessuto civile, imprenditoriale, del mondo del lavoro, di chi lavora nel digitale e nel campo della formazione scolastica e universitaria. Realtà oggi comunque operanti, ma in completa disconnessione con le forze che compongono l’attuale quadro politico. Non ci si può presentare al loro cospetto con accordi precostituiti e con metodi definitivamente seppelliti nel corso del crepuscolo di precedenti esperienze vissute in politica dai cattolici.”

 

Ho appena terminato di scrivere il mio ultimo saggio: “ Sarò sempre democristiano- Il travaglio di “ Don Chisciotte” nella lunga stagione della diaspora DC ( 1993-2020)”, nel quale descrivo le tante iniziative assunte nei ventisette anni della diaspora suicida e, se gli amici del “manifesto Zamagni” compissero il miracolo annunciato da Infante non potrei che esserne soddisfatto. Mi si consenta, però, di essere un po’ più scettico visti i precedenti e, come lo sono per le prossime esperienze elettorali regionali, altrettanto lo sono per l’idea di un’assemblea costituente capace di superare miracolosamente quanto sin qui è disgregato e che un tempo costituiva il blocco sociale e culturale a sostegno della DC.

 

Credo che, come ho scritto nella mia “ Lettera agli amici del manifesto Zamagni” del Gennaio scorso, sarebbe opportuno facessimo nostro il messaggio inviato da Papa Francesco al cardinale Peter K.A. Turkson: “ Dialogare è difficile, bisogna essere pronti a dare e anche a ricevere, a non partire dal presupposto che l’altro sbaglia ma, a partire dalle nostre differenze, cercare, senza negoziare, il bene di tutti e, trovato infine un accordo, mantenerlo fermamente”-

 

In quella lettera oltre a evidenziare le ragioni convergenti tra le due più importanti, se non esclusive, iniziative politiche in atto, ho cercato di offrire alcune indicazioni programmatiche dalle quali si potrebbe partire se vogliamo presentare una proposta al Paese, in un momento drammatico come quello che stiamo vivendo, ispirato ai valori della Dottrina sociale cristiana.

Credo, inoltre, che quella lettera (che mi permetto di rinviare agli amici di Politica Insieme), possa costituire un’opportunità di dialogo e di confronto positivo libero da condizionamenti ideologici basati su apriorismi socialmente e culturalmente condizionati.

 

Infine, a Infante, vorrei fraternamente suggerire che nessuno di noi intende porsi come i riciclati buoni per tutte le ore e comune è la volontà di consegnare il testimone della nostra migliore tradizione politica a una nuova classe dirigente. Un rischio da evitare è quello che corriamo quando abbiamo la presunzione di rappresentare “ l’usato sicuro di garanzia”, oppure quando, da consumati arnesi della prima repubblica, pretendiamo di porci come “ il nuovo che avanza”. Un po’ più di umiltà e di tolleranza sia sempre alla base dei nostri rapporti e, se “il Domani d’Italia” vorrà porsi come strumento per questo dialogo, mi auguro che altri, più autorevoli amici, intervengano accomunati tutti dall’obiettivo di concorrere insieme alla ricomposizione politica dell’area cattolico democratica e cristiano sociale di cui il Paese avrebbe grande necessità.

 

Ettore Bonalberti

Comitato provvisorio Federazione Popolare dei DC

Venezia, 20 Luglio 2020

 

 

 

 

Alla ricerca del centro perduto

 

Aveva iniziato Berlusconi nel Novembre scorso, quando annunciò l’avvio dell’esperimento di “ Altra Italia”, una federazione di forze moderate e centriste. Il progetto era ed è strettamente collegato al tipo di legge elettorale con cui, alla fine, si andrà a votare alle prossime elezioni politiche. La scelta compiuta in quei mesi dell’azzeramento dei coordinatori di Forza Italia, provocò la scissione di Giovanni Toti e le ire di Mara Carfagna, e la fibrillazione costante e progressiva dei gruppi parlamentari e in periferia di quel partito.

 

Si era così avviato un processo di ricomposizione dell’area centrale al quale anche noi “ DC non pentiti” siamo da molto tempo interessati, tanto da esserci battuti per ricomporre i diversi partiti, associazioni, movimenti e gruppi nella Federazione Popolare dei DC, costituita con atto notarile nello stesso mese di Novembre 2019. Nella recente assemblea della Federazione tenutasi il 2 Luglio, si è unanimemente concordato sia il nome e il simbolo della Federazione, sia di presentarci con liste unitarie alle elezioni regionali e comunali di Settembre, con lo scudo crociato e il nome di “Unione Democratici Cristiani”.

 

In parallelo i gruppi de la “ Rete bianca”, “Costruire Insieme” e “Politica Insieme”, che avevano condiviso “il manifesto Zamagni”, sono interessati a dar vita a la “Parte bianca” . Trattasi di due progetti, il nostro e il loro, che contengono molti elementi in comune, non solo per il riferimento alle medesime radici politico culturali di ispirazione popolare e democratico cristiana e alla netta alternatività alla deriva nazionalista sovranista e antieuropea del duo Salvini-Meloni, ma dalla volontà di attuare integralmente la Costituzione repubblicana e di adottare politiche economico e sociali ispirate dalla dottrina sociale cristiana. Un tema quest’ultimo divenuto tanto più decisivo dopo che il governo giallo-rosso sta portando all’approvazione finale il progetto di legge Zan-Scalfarotto sul contrasto all’”omotransfobia”, contro cui l’opposizione del mondo cattolico è intransigente e totale.

 

Il gap, tuttavia, tra le aspirazioni etico culturali e politiche dell’area cattolica, unita nella difesa dei “valori non negoziabili”, e la concreta realtà organizzativa della stessa, tuttora in preda alle conseguenze della suicida diaspora democratico cristiana( 1994-2020), rende palese la condizione di assoluta minoranza dei cattolici in un Paese dominato dalla cultura ispirata dai principi del relativismo etico, e di irrilevanza sul piano politico istituzionale. Una condizione che, non vigesse la “maledizione di Moro”, pronunciata dal leader pugliese dal carcere delle BR sui suoi successori, accompagnata, ahimè, dalle molte stupidità di noi indegni suoi eredi, dovrebbe immediatamente impegnarci nella ricomposizione politica di un’area di centro laica, democratica, popolare, liberale, riformista, europeista, inserita a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori, unita nell’attuazione piena della Carta costituzionale.

 

Non sarà, infatti, Di Maio con la sua annunciata volontà di “fare il partito dei moderati” , ossia il progetto di una svolta politica netta rispetto all'anno scorso, quando volava in Francia per incontrare i leader dei gilet gialli in compagnia di Alessandro Di Battista. Un’esperienza politica, quella di Di Maio e del M5S, sorta dalla cultura grillina del “vaffa…”, che non può essere quella su cui può nascere un centro politico credibile a livello nazionale ed europeo. Una sede quest’ultima dove sono ben presenti le grandi culture: popolare, socialista e liberale, che furono alla base della fondazione dell’Unione Europea.

 

L’Italia ha bisogno di ritrovare un partito di ispirazione cristiana impegnato a tradurre nella “città dell’uomo” le indicazioni delle ultime encicliche sociali della Chiesa cattolica, che rappresentano la risposta più approfondita e avanzata ai grandi problemi della globalizzazione. Ecco perché rivolgo un nuovo pressante appello agli amici della “parte bianca” affinché si compia un passo importante nella direzione dell’unità con la Federazione Popolare dei DC, premessa indispensabile per dar vita, prima delle prossime elezioni politiche, al soggetto politico nuovo con cui presentarci INSIEME alla scadenza elettorale.

 

Ettore Bonalberti

 

Comitato provvisorio Federazione Popolare dei DC

Venezia, 16 Luglio 2020

 

Con lo sguardo in avanti

 

Io continuo a pensare che abbia ragione Zingaretti”, scrive l’amico Giorgio Merlo su Il Domani d’Italia, con accenti che sembrano più quelli di un membro di quel partito che di un “osservatore partecipante”. Uscito con gli amici ex popolari dal PD, soprattutto a seguito della sbandata della leadership renziana, Giorgio Merlo ha concorso alla nascita de “ la Rete Bianca” che, con gli amici di Costruire Insieme e Politica Insieme, si ritrova attorno alle indicazioni politico-culturali del “ manifesto Zamagni”.

Trattasi di un progetto che ha suscitato grande interesse non solo al sottoscritto, ma anche a molti amici che partecipano al progetto della Federazione popolare dei DC.


Sono più volte intervenuto evidenziando come tra le indicazioni del nostro patto federativo e quelle del “ manifesto Zamagni” non ci siano differenze strategiche incompatibili, non sottacendo il peso di quella pregiudiziale assai ben reiterata, soprattutto negli interventi dell’On Dellai, di “un partito di centro che guarda a sinistra”. Una pregiudiziale che si vorrebbe far risalire a una dichiarazione resa da De Gasperi, con riferimento alla DC, in un contesto incomparabilmente diverso  da  quello che stiamo vivendo oggi.


Da parte nostra, come Federazione popolare dei DC, abbiamo nettamente e unitariamente condiviso la scelta per un nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, riformista, europeista, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da ricondurre ai principi dei padri fondatori, alternativo alla deriva nazionalista e populista a dominanza salviniana e alla sinistra radicale e senza identità.

Passi avanti sulla strada di una possibile ricomposizione, prima di tutto al centro, tra noi della Federazione Popolare dei DC e gli amici della cosiddetta “parte bianca”, almeno sino ad oggi, non mi sembrano che se ne siano compiuti di significativi.


Anche la nota di Merlo sembra ancora sintonizzata verso il PD che, se non è più il proprio partito, appare come l’interlocutore privilegiato se non esclusivo del suo ( e debbo ritenere anche degli amici di “rete bianca”)  interesse politico.

Cerchiamo, dunque, di valutare come stiano esattamente le cose allo stato degli atti.

Esiste una maggioranza di governo giallo rossa, frutto dell’emergenza seguita alla crisi salviniana del Papeete (agosto 2019), ossia di una coalizione di altrettanta necessità di governo, quella giallo-verde, risultante dal voto del 4 Marzo 2018 che non aveva indicato una maggioranza autonoma vincente.


In tal modo si è perpetuata una situazione parlamentare in cui, come nell’intera seconda repubblica, domina un trasformismo politico parlamentare mai visto prima, nemmeno ai tempi di De Pretis e di Giolitti. Una transumanza permanente di deputati e senatori, in gran parte “nominati” dai capi di partiti, molti dei quali senza storia e cultura politica, quando non addirittura etero guidati da una società commerciale srl come il M5S,  il partito premiato dal voto maggioritario relativo dei votanti nel 2018.

Come ha ben evidenziato Giorgio Merlo, trattasi di una maggioranza “anomala e innaturale” quella tra PD e M5S, nella quale, tra l’altro, farebbe parte a mezzo servizio e più con la funzione di sabotatore seriale, il partito dello scasso e dell’incasso di Matteo Renzi.

Qui cari amici della “rete bianca” non si tratta di un’alleanza nella quale il M5S, preoccupato soprattutto di non squagliarsi, litiga sulle cose da fare al governo e non intende concorrere a consolidarsi sul territorio, ma di un ircocervo di partiti e partitini che, come nel caso del prossimo voto in Puglia, finiscono tafazzianamente di concorrere al loro suicidio politico.


In Puglia stiamo assistendo, infatti, al “capolavoro” de “ il Bomba” che, pur di fare del male al presidente PD Emiliano, presenta niente di meno che il candidato Ivan Scalfarotto, uno degli esponenti più autorevoli di quella cultura alternativa ai valori non negoziabili dei cattolici ai quali Renzi e la Boschi, in molte occasioni, hanno pure assicurato di fare riferimento.

Unico risultato concreto sarà quello di aprire un’autostrada al centro destra e al mio caro amico Raffaele Fitto, che avrà così modo di rivalersi delle sconfitte patite nella sua amata terra pugliese.


Chiedo a voi amici della “rete bianca” se, perseguendo questa pregiudiziale a favore di “un centro che guarda a sinistra” finite col dover accettare questa condizione permanente di ricatto tra le necessità dell’emergenza e quello più indigesto del partito renziano, non sarebbe ora di ripensare globalmente la vostra strategia?

Noi della Federazione popolare dei DC intendiamo collegarci al PPE, voi della “rete bianca”, che vi considerate eredi della tradizione popolare dei cattolici democratici, potete restare ancorati a un PD che, nella migliore delle ipotesi vi riporterebbe in seno al PSE a livello europeo, e, intanto, al  costante ricatto renziano sino a giungere all’offerta di quello stravagante  coniglio magico, estratto all’ultima ora del candidato Scalfarotto catapultato sconsideratamente nella terra di Aldo Moro?


Ritengo che meglio, molto meglio sarebbe costruire insieme un grande centro politico con riferimento alla migliore tradizione dei cattolici democratici e dei cristiano sociali, nettamente distinto e distante dalla destra nazionalista e populista e dalla sinistra senza più identità, direttamente collegato al PPE, disponibili tutti a collaborare sia in campo nazionale e locale con quanti sono interessati a un grande progetto riformatore: l’attuazione completa della carta costituzionale. E non si potrebbe sperimentare questa iniziativa proprio partendo  dalle prossime elezioni regionali e locali assumendo tutti, finalmente, uno sguardo volto in avanti?

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF (www.alefpopolaritaliani.it )

 

Venezia, 25 Giugno 2020

 

Adelante amigos, con juicio !

 

Ho seguito con interesse il dibattito svoltosi ieri in streaming tra gli amici D’Ubaldo e Follini sul tema: “Ci manca la DC? “. L’impressione ricevuta è quella di un disincanto che, in Follini sfocia in una sorta di pessimismo dissolvente, sino all’idea che nulla può essere compiuto da questa generazione ex DC, appesantita dai tanti errori commessi, i più importanti dei quali sono stati:

a)    il non aver saputo adempiere il disegno moroteo del compimento della democrazia in Italia, ossia la garanzia dell’alternanza col superamento della conventio ad excludendum verso il PCI;

b)   il peccato originale del debito pubblico che, partito negli anni’80, certo con la complicità di molti, ebbe nella DC uno dei responsabili più diretti.

 

Di qui l’idea che solo da una rinascita dal basso, dalle diverse realtà territoriali di una nuova classe dirigente potrà esserci una rinascita. Più ottimistica la visione di Lucio D’Ubaldo il quale, analizzate le ragioni del fallimento dell’esperienza da entrambi vissuta nel PD, soprattutto a causa del “populismo di potere o di governo” renziano, durante la segreteria del giovane fiorentino, ritiene che si potrebbe avviare un nuovo percorso a partire dai rinnovi delle prossime elezioni nelle grandi città, come quelle di Roma, purché si tratti, ha ricordato D’Ubaldo, di una rinascita di “ un partito dalle robuste radici sociali, dotato di un forte senso delle istituzioni”; un partito in grado di intercettare e inverare nella politica le grandi novità espresse dagli orientamenti della dottrina sociale cristiana di Papa Francesco.

 

Diverso anche il giudizio sul caso del presidente del consiglio Conte che, per Follini, non si potrà mai considerare un campione della rinascita del pensiero cattolico democratico. Un politico che è stato capace di passare senza indugi da un’alleanza con la Lega a quella del PD con estrema disinvoltura, ha sostenuto Follini, è incomparabilmente diverso della storia della DC che, per passare dall’alleanza con i liberali a quella di centro sinistra col PSI, ci mise dieci anni. Più possibilista D’Ubaldo che riconosce all’avvocato fiorentino la formazione cattolico sociale, alla quale, però, andrebbe associata anche una capacità innovativa e di  forte discontinuità, ricordando l’intuizione degasperiana all’atto della fondazione della DC in casa Falck, con Malvestiti e gli amici neoguelfi lombardi, dove anziché perpetuare il vecchio PPI decisero la costruzione del nuovo partito.

 

In entrambi, infine,  e nemmeno malcelata o sotto traccia, permane l’irrisolta polemica verso quella scelta del “preambolo che, nel Febbraio 1980 mise fine al disegno moroteo della “solidarietà nazionale”. Con Sandro Fontana e Emerenzio Barbieri, ho avuto l’onore di essere accanto a Carlo Donat Cattin la mattina del 16 Febbraio di quell’anno, quando sul vecchio altare sconsacrato del convento della Minerva a Roma, il leader di Forze Nuove scrisse il testo del preambolo. Il documento che determinò il  cambiamento strategico di quel Congresso e permise di riannodare i fili del rapporto con i socialisti della linea craxiana, risultata vincente in quel partito. Sono passati quarant’anni e il giudizio sul “preambolo” divide tuttora gli storici e soprattutto i cattolici impegnati in politica. Secondo  quella sinistra democristiana che si richiamava alla corrente di  “Base”(De Mita, Galloni, Martinazzoli) fu l’inizio del via alla presidenza Craxi con tutte le conseguenze negative che portarono alla liquidazione della prima Repubblica. Al contrario, per la sinistra sociale della DC, ossia la nostra di Forze Nuove, come per Forlani e Piccoli, fu la fine di quella “solidarietà nazionale” che rischiava di rendere subalterno il partito dei cattolici alla “egemonia gramsciana” ed alla forza organizzativa e alla macchina elettorale dei comunisti.

 

A me pare che continuare a perpetuare quella divisione non faciliti alcun progetto di ricomposizione dell’area  cattolico democratica e cristiano sociale. Ha ragione Guido Bodrato, secondo la citazione dell’amico Merlo, secondo cui: la “Dc era come un vetro infrangibile. Quando si è rotto è andato in mille frantumi e, pertanto, non è più ricomponibile”. Una difficoltà di ricomposizione che è resa ancor più complicata dalla vasta e complessa realtà politico sociale e culturale cattolica, dove, secondo l’infausta regola aurea italica: “ tutti vorrebbero coordinare, ma nessuno vuol essere coordinato”. Nel saggio che ho appena concluso sul travaglio politico del cattolicesimo italiano, approfondisco le ragioni di queste difficoltà, tanto sul piano della situazione interna alla Chiesa e alla CEI, quanto nell’insieme delle realtà sociali e politico culturali di quel grande fiume carsico dell’area cattolica. A Follini e a D’Ubaldo, come agli altri amici che a diverso titolo si ritrovano sulle indicazioni strategiche del “manifesto Zamagni” e intendono costruite la cosiddetta “parte bianca”, ricordo quanto ebbi modo di scrivere loro nel Gennaio di quest’anno: “Vorrei che facessimo nostro il messaggio inviato da Papa Francesco al cardinale Peter K.A. Turkson: “ Dialogare è difficile, bisogna essere pronti a dare e anche a ricevere, a non partire dal presupposto che l’altro sbaglia ma, a partire dalle nostre differenze, cercare, senza negoziare, il bene di tutti e, trovato infine un accordo, mantenerlo fermamente”-

Ho letto attentamente il nostro patto federativo e il manifesto Zamagni e sono convinto che non esistano motivi di scontro o di contrapposizione tra di noi. Proveniamo tutti dalla stessa esperienza politico della DC storica, nella quale il momento di divisione e più serio scontro fu quello che divise i “ preambolisti” dell’accordo con i socialisti, come noi di Forze Nuove, e gli anti preambolisti, per il confronto e l’alleanza con il PCI, dell’area ZAC. Una divisione che si è protratta oltre la fine politica della DC (1994) e che, temo, permanga in qualcuno di noi.

Non esistono più le condizioni al tempo del preambolo ed è netta la scelta fatta anche dalla Federazione Popolare dei DC di “alternativa alla deriva nazionalista e populista a dominanza salvinian-meloniana”. A me sembra che sia questo il presupposto strategico che ci può unire, ma, aggiungo, che, con il sistema elettorale proporzionale, che sembra e/o speriamo sarà adottato, sia del tutto fuori luogo discutere sulle alleanze, prima ancora di esserci confrontati sui contenuti di un possibile programma di governo per il partito dei cattolici democratici e cristiano sociali. Prima, allora,  impegniamoci alla costruzione del partito che non potrà che essere un partito di centro, democratico, popolare, riformista, europeista, inserito a pieno titolo nel PPE, alternativo alla deriva nazionalista di destra, poi, e solo dopo, concordato il programma, affronteremo il tema delle alleanze che, data la premessa strategica condivisa, si svilupperà con le forze riformatrici che intendono con noi attuare la principale delle riforme: la difesa e l’attuazione integrale della Costituzione”.  Adelante, dunque, amigos, con juicio!

 

Ettore Bonalberti

Comitato provvisorio Federazione Popolare dei DC

Venezia, 11 Giugno 2020

 

 

 

 



Crisi sociale e crisi di sistema

 

In soli due mesi di pandemia:  + 300.000  disoccupati e + 750.000 inattivi, persone cioè che non cercano nemmeno più un’occupazione e, tra poco, ci sarà il via libera ai licenziamenti per ora bloccati. Dalla crisi sanitaria ci infiliamo in una crisi sociale dai caratteri simili a quella del secondo dopoguerra. Già nel Giugno dell’anno scorso avevo scritto di questo tema che, con la pandemia non ancora conclusa, si sta terribilmente aggravando. Quando sarà finita l’emergenza, infatti, i governi di tutto il mondo dovranno affrontare il tema drammatico del disagio sociale. Un disagio tanto più grave in Italia che, accanto ai fenomeni di natura sociale ed economica, dovrà affrontare anche quelli di ordine istituzionale. Dopo il potere legislativo e quello esecutivo, con quanto è accaduto nel CSM e nella magistratura, siamo alla crisi di sistema.

 

Il Legislativo vive la condizione malferma di un parlamento espressione di una metà dell’elettorato e risultato di una legge elettorale incapace di garantire una maggioranza stabile di governo. L’esecutivo, come quello sorto dopo il voto del 4 Marzo 2018, figlio  della situazione di cui sopra, sostanzialmente era l’espressione di un “contratto necessitato”, che ha comportato l’avvio di un’alleanza di tipo trasformistico tra due partiti, M5S e Lega, portatori di interessi e di valori diversi e per molti aspetti alternativi. Un’alleanza andata in crisi nell’agosto scorso, sostituita da quella rosso-verde M5S-PD-LeU-ItaliaViva, anch’essa espressione di una condizione politica di emergenza e di necessità.

 

Lo sfascio che sta vivendo il CSM, infine, è il segnale drammatico di una crisi della giustizia con la quale appare in tutta la sua evidenza, la crisi di sistema dell’Italia. Si aggiunga (risultato delle politiche maldestre del governo giallo verde) il più forte isolamento internazionale patito dall’Italia nell’Europa, della cui Unione il nostro Paese è socio fondatore, per una politica estera ondivaga tra le rituali ubbidienze alle tradizionali alleanze occidentali e le pericolose aperture leghiste verso la Russia di Putin e pentastellate verso la Cina di Xi Jinping. Un isolamento che, solo con le nomine successive, dopo le elezioni europee, alla presidenza del Parlamento europeo di Sassoli e nella Commissione UE di Gentiloni e la paziente azione svolta dal premier Conte, si è potuto superare in Europa.

 

Anche sul fronte degli enti locali, dopo l’infausto riforma del Titolo V° della Costituzione, si vive con forti  e diverse preoccupazioni l’irrisolto tema della  maggiore autonomia delle regioni del Nord e dell’eterna questione meridionale. Continua la crisi strutturale dei bilanci di molti comuni italiani,  la confusa situazione della chiusura-non chiusura delle province con tutti i problemi di attribuzione delle competenze tra le stesse province, i  comuni capoluogo  e le città metropolitane nate, sin qui, solo sulla carta . Una  situazione di difficoltà e di crisi evidenziatasi ancor di più nella complessa gestione sanitaria della pandemia, con la confusione derivata dalle competenze esclusive e concorrenti tra Stato e Regioni. Ha sopperito sin qui la volontà di collaborazione che, tanto i responsabili dei governi regionali che la presidenza del Consiglio hanno saputo mettere in campo, pur con qualche distinguo e voglia di protagonismo, soprattutto per taluni, in funzione pre elettorale.

 

Se osserviamo anche la condizione della società civile, utilizzando la mia teoria euristica dei quattro stati: la casta, i diversamente tutelati, il terzo stato produttivo, il quarto non stato, ciò che emerge è il prevalere di una condizione di anomia morale, culturale, sociale, economica e finanziaria, caratterizzata dal prevalere di una scarsissima solidarietà di tipo meccanico funzionale, dal venir meno delle comunità, da una diffusa condizione di frustrazione premessa di possibili fenomeni di rivolta sociale, sin qui sotto traccia.

Al dramma sanitario vissuto dal Paese, si aggiungono le prospettive per alcuni versi ancora più ampie delle ricadute economiche e sociali. Il disagio sociale è caratterizzato da un’accentuazione sia delle diseguaglianze territoriali, che quelle tra i cittadini con l’ulteriore erosione del ceto medio e la divaricazione più severa tra ricchi e poveri. Il disagio sociale rischia contemporaneamente di ampliare il bacino di reclutamento della criminalità e di accentuare le spinte separatiste delle aree più sviluppate del Paese. Parimenti si stanno rafforzando le tendenze di forte contestazione alle politiche comunitarie, fino a un potenziale allontanamento dall’Unione europea, alimentate da culture sovraniste che, proprio nel dramma della pandemia, hanno rivelato la loro sostanziale inconsistenza e incompetenza di fronte a fenomeni globali che reclamano soluzioni di forte cooperazione internazionale. Se non si riprende il terzo stato produttivo già provato prima del Covid19 e adesso totalmente in ginocchio, la crisi rischia di diventare irreversibile.

 

Quali sono oggi gli interessi e i valori prevalenti? Interessi “particulari”, innanzi tutto,  e “bene comune” ridotto a un oggetto misterioso per lo più dimenticato. Sul piano dei valori sono più diffusi quelli di natura egoistica, di esclusione e di chiusura alla comprensione e all’ascolto. Di qui la riduzione della politica a slogans di immediata e facile comprensione, con la comunicazione prevalente e diffusa dei social media e la politica ridotta a tweet e a scambi spesso irripetibili su facebook e instagram. La pandemia ha fatto, tuttavia, riscoprire valori di solidarietà e comunità di straordinario impatto sociale. Immediata la reazione di segno contrario quella emersa dalla manifestazione della destra e dei “pappalardini” del 2 Giugno a Roma.

 

Col venir meno dei  riferimenti politico  culturali  tradizionali, quelli che sono stati alla base della nascita della Repubblica e del patto costituzionale, nell’attuale deserto delle culture politiche, lo strumento essenziale per offrire la soluzione storico politica all’ esigenza dell’equilibrio tra interessi e valori, ossia al ruolo proprio  della politica, risulta inesistente e/o incapace di dare risposte,  si ricorre a sporadici e occasionali mezzucci, più in linea con le tecniche di propaganda che con soluzioni e proposte di ampio respiro e di lungo periodo.

 

In questa condizione di crisi di sistema, la maggioranza giallo rossa al governo, ahimè, con la crisi della sinistra e l’assenza di un centro democratico, popolare e liberale credibile, sembra non avere alternative concrete; salvo quella  di un’alleanza di estrema destra, tra Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia con la Lega,  a netta dominanza salviniana. Una maggioranza quest’ultima che, se prevalesse, darebbe, dopo settant’anni di vita della Repubblica, la guida del Paese alla destra estrema e porterebbe al più grave isolamento dell’Italia in Europa.

 

Per uscire da questa grave crisi di sistema servirebbe un profondo mutamento spirituale e culturale, prima ancora che politico e organizzativo, senza il quale, temo, sarebbe impossibile affrontare le tre questioni essenziali del caso italiano:

a)     la questione antropologica, che attiene ai valori fondamentali della vita:

b)    la questione ambientale, su cui si gioca il destino dell’umanità e del pianeta                       Terra;

c)      la questione del nostro stare insieme nell’Unione europea, collegato al tema della sovranità monetaria e della sovranità popolare da cui dipendono tutte le altre riforme per garantire lavoro, pace e sicurezza al nostro Paese e alla quale sono strettamente connesse tutte le gravi conseguenze economiche e sociali post pandemiche.

 

Quanto al primo tema si tratta di testimoniare e tradurre sul piano istituzionale le indicazioni della dottrina sociale cristiana: dall’”Humanae Vitae” di San Papa Paolo VI a quelle di Papa Francesco. Quanto al tema ambientale, si tratta di impegnarci a tradurre sul piano politico istituzionale quanto indicato da Papa Francesco nella sua straordinaria enciclica “ Laudato Si”. Insomma serve rimettere in campo la cultura del popolarismo, unica in grado di offrire risposte convincenti ispirate dai valori della solidarietà e della sussidiarietà nell’età della globalizzazione.

 

Sul terzo tema, come vado scrivendo da molto tempo, si tratta di ripristinare la legge bancaria del 1936: tornare al controllo pubblico di Banca d’Italia e, nell’Unione europea, della BCE e reintrodurre la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria. I provvedimenti suddetti sono necessari per una ripresa di sovranità monetaria e popolare, pur nel rispetto dei limiti consentiti dalla nostra appartenenza all’UE e sarebbero in linea con la migliore tradizione della DC in materia di politica bancaria e finanziaria da essa sostenuta con Guido Carli, sino all’infausto decreto Barucci-Amato del 1992, che determinò il superamento della legge bancaria del 1936.

 

Il sottosegretario al ministero del Tesoro e finanze, On Alessio Villarosa, che ben conosce questi temi, potrebbe/dovrebbe farsi carico urgentemente di queste indicazioni, trascinando il M5S dalla fase delle proteste a quello delle proposte di riforma reali per il bene del Paese. Senza questa riforma di struttura finanziaria, anche “il Piano di rinascita” annunciato ieri dal premier Conte rischia, altrimenti, di tradursi nell’ennesimo libro dei sogni.

 

Ettore Bonalberti

4 Giugno 2020

 


Una legge regionale scandalosa

 

Tutti pensavamo che la pandemia ci avrebbe insegnato qualcosa  e, invece, quelli della “casta” ancora una volta sono tornati all’antico, oltrepassando il segno della decenza. Il consiglio regionale della Calabria, su proposta del consigliere UDC, Giuseppe Graziano, sottoscritta da tutti i capigruppo dei partiti presenti in quel consesso, ha approvato in novanta secondi netti, all’unanimità, una legge che “aggiusta” quella del vitalizio semplicemente cambiandole il nome. Non si tratta più di “vitalizio”, ma di “pensione”. La precedente legge stabiliva che per avere diritto al vitalizio necessitavano cinque anni di servizio e sessant’anni per ottenere quel “diritto”. Con l’”aggiustatina” introdotta, tutti i partiti e tutti i consiglieri regionali presenti hanno deciso, con una velocità più forte di quella della luce, che anche i consiglieri più sfortunati che non riuscissero a completare i cinque anni del mandato a causa di un accidente legale, annullamento dell’elezione dal Tar o per qualunque altra causa, come quella di una cattiva congiuntura politica (legislatura sciolta anticipatamente o, peggio, una sciagura giudiziaria, compreso il caso di un arresto improvviso) potranno godere  di quel “diritto”- privilegio.

 

Insomma mentre tutto il Paese, e la Calabria in particolare, stanno soffrendo le pene di una pandemia che riduce molta parte dei “diversamente tutelati” alla fame e alla disoccupazione, quelli della “casta” si muovono senza ritegno a consolidare i loro privilegi. E pensare che un carissimo amico ci  aveva parlato della signora Santelli come di una brava persona degna di ogni considerazione. Mi chiedo: come ha potuto tacere la guida del governo calabrese e di fatto a condividere questa iniziativa assunta da un consigliere UDC, il quale ha deciso di assumere in prima persona questa immonda iniziativa, immediatamente sostenuta da tutti i capigruppo dei partiti presenti in Consiglio regionale?

 

Patetico poi il tentativo dell’ex candidato del centro sinistra alla presidenza di giunta, Callipo, di giustificarsi ex post, sostenendo che non aveva ben compreso cosa gli avessero fatto firmare. Se si osserva il video su youtube di quella  seduta tragicomica, al fianco del presidente che invita il primo firmatario, Graziano, a illustrare il provvedimento, quest’ultimo risponde con un lapidario: “ la norma si illustra da sé”. Una signora alla destra del presidente sorride maliziosa e soddisfatta di come stanno procedendo le cose, senza alcuna voce critica di dissenso. Quando si tratta di votare un proprio privilegio ( “ non si sa mai”), il particulare guicciardiniano prevale sempre sull’ideale del “bene comune”.

 

E che dire di un UDC, erede del partito di Sturzo e di De Gasperi, che pubblicamente dimostra di operare esattamente al contrario dell’insegnamento di quei nobili padri: servendosi della politica per fini personali e non per servire la politica ? Noi democratici cristiani, componenti della Federazione popolare dei DC, denunciamo pubblicamente questo comportamento oltraggioso dell’istituzione regionale calabrese e offensivo della condizione che sta vivendo l’intera comunità della Calabria e italiana: da quella della vasta area dei “diversamente tutelati” a quella dei terzo stato produttivo. Si rimedi immediatamente, annullando questa legge oscena e l’elettorato calabrese si ricordi di quanti, maggioranza di centro destra e minoranza PD-M5S , si sono resi responsabili di questo scempio politico  amministrativo.

 

Ettore Bonalberti

Pasquale Ruga

Componenti della Federazione Popolare dei DC

Venezia, 31 Maggio 2020

 



Il miglior “fico del bigoncio”….. del governo

 

Ci sono amici dell’area DC che, novelli Farinata, sembrano tenere “in gran dispitto”  il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, quasi ancor di più del suo governo giallo rosso. Forti delle ricorrenti note del prof Cassese l’accusano di ogni nefandezza costituzionale per aver assunto “ pieni poteri” in questa fase delicata della pandemia da Corona virus 19. E’ vero, ci sono state limitazioni di molte nostre libertà e assunto decisioni mai sperimentate prima nella storia repubblicana, atteso che “ l’avvocato degli italiani” ha dovuto interpretare un ruolo nelle condizioni che non erano mai accadute ad alcuno dei suoi predecessori dal 1948 in poi.

 

Da parte mia continuo a considerare Giuseppe Conte, catapultato dal M5S alla guida di due governi, quello giallo verde prima e quello attuale con il PD di Zingaretti, Italia Viva di Renzi e la LeU di Speranza e Bersani, come “ il miglior fico del bigoncio” del governo; un superlativo relativo e non assoluto che, pure, ci starebbe se rapportassimo l’avvocato fiorentino con i Casalino, Azzolina, Patuanelli e il fortunato “Giggino da Pomigliano d’arco”.

 

A me pare, e non solo a me, ma alla maggioranza degli italiani secondo i sondaggi, che il Presidente del Consiglio abbia sin qui svolto con estrema diligenza il suo ruolo. Ieri, tra l’altro, con il provvedimento varato  per la seconda fase pandemica, ha, di fatto, introdotto nella costituzione materiale del Paese quella autonomia differenziata regionale auspicata da tanto tempo anche anche da molti  di noi “ DC non pentiti”. A parte il solito dissenziente De Luca.

 

Certo, sui rapporti Stato-Regioni qualcosa si dovrà pur rivedere, dopo l’esperienza di questi ultimi mesi; soprattutto le criticità verificate a seguito della pasticciata riforma del Titolo V tra competenze concorrenti ed esclusive, causa di continui contenziosi, che, durante la pandemia, si sono potuti risolvere solo grazie alla continua mediazione tra Presidenza del Consiglio e governatori delle Regioni.

 

Qualche amico DC mi accusa di una malcelata simpatia verso il politico fiorentino, pari almeno alla mia avversione più volte espressa nei confronti del suo concittadino, sen Renzi, croce e delizia del governo rosso verde.

 

Confesso che, prima di pensare al caso di Giuseppe Conte, sono preoccupato e impegnato a concorrere al processo di ricomposizione dell’area cattolico democratica  e cristiano sociale. Un progetto che, con alcuni amici, perseguiamo, con enormi difficoltà, disillusioni e cadute dal 2011 ad oggi.

 

Conte ha dimostrato capacità di guida e di mediazione politica migliori di quelle di diversi suoi predecessori a Palazzo Chigi e, in ogni caso, se nell’Unione europea abbiamo ottenuto alcune delle disponibilità offerteci, come quelle del superamento dei vincoli di bilancio, del MES soft e senza condizioni, del recovery fund in corso di contrattazione, molto si deve al lavoro discreto e puntuale svolto da Conte con Gualtieri, Gentiloni e Sassoli.

 

Mi chiedo cosa sarebbe accaduto all’Italia qualora a capo del governo ci fosse stato il duo di destra Salvini-Melloni, anti europeisti omogenei alle posizioni estremiste dell’ungherese Orban e dei leader di governo polacchi?

 

E’ la domanda, sin qui senza risposta che, alle critiche dei mie amici DC “ duri e puri”, rivolgo a loro, insieme all’indicazione di una loro proposta politica alternativa credibile al governo Conte.  Al di là di un ricorso immediato, ancorché alquanto improbabile alle urne, magari unificate con quelle dei prossimi rinnovi regionali, cosa prospettano di diverso e alternativo?

 

Elezioni anticipate nella situazione pandemica tuttora in corso, con un debito pubblico che sfiorerà il 160% del PIL e le conseguenti tensioni sul piano economico e sociale, ritengo siano alquanto improbabili a brevissimo tempo.

 

Di una cosa, però, sono certo: in assenza di una modifica della legge elettorale, che sarà assai difficile possa essere approvata in tempo utile, permanendo l’attuale rosatellum, quindi con alleanze pre elettorali obbligate, in uno scontro probabile Conte-Salvini, da che parte staranno gli esponenti dell’area politica cattolico democratica e cristiano sociale?

 

Personalmente  resto fedele a quanto abbiamo condiviso e sottoscritto nel patto della Federazione popolare dei DC e, cioè, che: si debba con urgenza costruire un nuovo centro politico cristiano democratico, popolare, liberale e riformista, come il naturale argine alle posizioni radicaleggianti di sinistra e alle posizioni sovraniste e populiste, per affermare i valori democratici e liberali”.

 

Senza precipitare le cose, intanto impegniamoci a ricomporre l’area politico culturale di nostro riferimento, e dopo, solo dopo, ci porremo il tema delle alleanze.  Accordi che, in ogni caso, si faranno con quanti saranno interessati a difendere e attuare integralmente la Costituzione. Non so se Giuseppe Conte, finita questa sua seconda esperienza di capo del governo, deciderà di continuare il suo impegno nella vita politica, ma, se così fosse: chi vivrà vedrà e se son rose, fioriranno.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 18 Maggio 2020




ll 16 Maggio 1970  veniva approvata la Legge n.281 “ Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario”  (GU n.127 del 22.5.1970). Domani cade, dunque, il 50° anniversario dell’avvio delle Regioni a statuto ordinario. Come Democrazia Cristiana del Veneto avremmo voluto organizzare un seminario ad hoc per ricordare il ruolo svolto dalla DC a livello nazionale e regionale per tale obiettivo. La pandemia ha impedito che si potesse svolgere questo evento. Colgo l’occasione per editare due riflessioni svolte sul tema dall’amico sen Paolo Giaretta, già sindaco di Padova, e dal sottoscritto. Lo dobbiamo al ricordo di quanti ci hanno lasciato e a coloro che, ancora tra di noi, di quella lunga e vitale stagione politica furono attori protagonisti degni della nostra massima stima.

 

Buona lettura

 

Ettore Bonalberti

 

 

Una idea di popolo veneto: la scommessa regionalistica della Democrazia Cristiana

Paolo Giaretta

 

Cinquant’anni dalla nascita delle Regioni. Cinquant’anni sono molti. E la pandemia impedisce di celebrare adeguatamente questo anniversario. Probabilmente con qualche sollievo per chi avrebbe dovuto paragonare quella stagione realmente creativa alla presente.

Quando il 7 e 8 giugno 1970 i veneti si recano alle urne per la prima volta per eleggere il Consiglio Regionale non hanno incertezze. Si affidano in massa alla Democrazia cristiana. Sono 1.287.167 gli elettori che segnano sulla scheda lo scudo crociato. La maggioranza assoluta, per la precisione il 51,9%, con la punta massima del 64,2% della provincia di Vicenza, la “sacrestia d’Italia” come veniva definita, e con quattro province su sette in cui la DC supera la soglia del 50%. Nessun altro partito da allora ad oggi ha superato questo livello di consenso.

Rinvio una analisi più dettagliata ad un mio saggio in corso di pubblicazione in un volume curato dal prof. Filiberto Agostini, dedicato ad Angelo Tomelleri, primo presidente della Regione Veneto. Qui desidero evidenziare due aspetti:

-       l’attuazione della riforma regionale, rimasta inattuata per 22 anni è una consapevole risposta politica elaborata dalla DC, con presidente del Consiglio il veneto Mariano Rumor, di fronte ad un passaggio arduo per il nostro paese, che vedeva forti tensioni sociali, problemi economici, l’emergere del terrorismo come deviazione della lotta politica;

-       la DC veneta visse questa attuazione come una occasione importante per una elaborazione culturale e politica coerente con i propri valori e una spiccata visione autonomistica dei rapporti istituzionali, come già ha ricordato nel suo contributo Ettore Bonalberti.

 

Il disegno di una risposta riformatrice alle tensioni sociali

Dobbiamo riandare con la memoria all’esordio di quel decennio degli anni Settanta per capire la difficoltà nel reggere il timone del Governo. L’autunno caldo lascia in eredità una elevata conflittualità sociale, l’inflazione erode il potere d’acquisto (il bilancio del 1974 è una inflazione al 25%), si affaccia drammaticamente la strategia della tensione. Nel 1969 l’esordio con la strage di Piazza Fontana il 12 dicembre. L’eversione nera colpisce ancora: dalla rivolta di Reggio Calabria (1970), al tentato colpo di stato di Junio Valerio Borghese (1971), alla bomba alla Questura di Milano con quattro morti (1973), alla bomba di Brescia in piazza della Loggia (maggio 1974, con 8 vittime), fino all’attentato dell’agosto successivo al treno Italicus (12 vittime). Si sviluppa il terrorismo rosso: nel Veneto le BR colpiscono a Padova il 17 giugno 1974, assassinando Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci nella sede del Movimento Sociale; poche settimane dopo, il 4 settembre, sempre a Padova viene assassinato l’agente della Polizia Stradale Antonio Niedda. Lo abbiamo dimenticato, ma il Veneto deve fare i conti in quegli anni con una diffusa attività criminale dell’eversione rossa e nera.

 I governi di centrosinistra organizzano una risposta alle rivendicazioni operaie e studentesche con nuovi strumenti legislativi (lo Statuto dei lavoratori), con una politica di espansione della spesa pubblica, con un uso attivo delle Partecipazioni Statali per difendere i livelli occupazionali, con provvedimenti sociali, con l’introduzione delle pensioni minime e di un trattamento pensionistico più generoso, l’attuazione delle Regioni, norme sul referendum, la riforma sanitaria, il divorzio ed il nuovo diritto di famiglia, l’abbassamento a 18 anni del diritto di voto, ecc.

 

Il regionalismo per aprire una nuova fase nella vita pubblica italiana

L’attuazione della riforma regionale è parte di una consapevole risposta politica. Lo afferma chiaramente il presidente del Consiglio Mariano Rumor a chiusura del dibattito parlamentare alla vigilia del primo voto sulle istituzioni regionali: “La riforma corrisponde ad un impegno essenzialmente rivolto ad ampliare ed arricchire la vita democratica e quindi a creare le condizioni per una libera espressione di ceti e forze non partecipanti per decenni alla responsabilità della vita sociale e politica del paese…[le regioni dovranno costituirsi] in modo da non essere punti di disarticolazione e di ritardo nel rapporto tra il cittadino e le istituzioni pubbliche, ma elementi di raccordo, premesse per un generale riordinamento dello Stato e degli enti locali…questa grande riforma istituzionale e civile chiede la continuità dell'azione di Governo, e il legame tra politica di programmazione e politica delle istituzioni, di cui ho parlato, costituisce veramente l'occasione per realizzare un nuovo tipo di efficienza dell'azione pubblica” .

Due punti molto discussi e non condivisi da tutti: allargamento della base democratica e valore delle autonomie. Allargamento della base democratica voleva dire consentire al Pci di amministrare le regioni rosse, non era una scelta da poco. Ma vi era alla base una capacità lungimirante di lettura della società italiana. Valore delle autonomie era lo sviluppo coerente di un pensiero che era stato alla base del disegno sturziano di rientro dei cattolici nella vita pubblica italiana, contro impostazione centralistiche.

 

L’autogoverno del popolo veneto: un ambizioso disegno

La Dc veneta forte di un largo mandato che era politico, sociale e culturale non si limita ad una applicazione burocratica della riforma regionale. La prepara per tempo con il Comitato regionale per la programmazione economica del Veneto presieduta dal prof. Innocenzo Gasparini, in cui coinvolge tutto il sistema delle autonomie e delle rappresentanze sociali. Ne è un prodotto eccellente il primo Piano di Sviluppo economico regionale 1966-1970 che costruisce per la prima volta una rappresentazione del Veneto e della sua struttura economica sociale: sono le idee, anche contestate, di un Veneto policentrico, di una moderna infrastrutturazione, ecc. Un impianto culturale con cui non riuscì per molti anni a misurarsi il principale partito di opposizione, il Pci, attardato su analisi insufficienti.

È frutto di un solido impianto culturale la redazione dello Statuto. Mi limito anch’io a sottolineare la portata dell’art. 2 dello Statuto regionale: “L'autogoverno del popolo veneto si attua in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia”. È l’unico statuo regionale che introduce il concetto di autogoverno legato alla realtà di un popolo. Nulla a che fare naturalmente con gli schematismi di “prima i Veneti”. E’ un filone di pensiero legato al personalismo comunitario, all’autonomismo sturziano, ecc.

 

Non solo amministrazione del potere

Come riesce la Democrazia cristiana a mantenere fino a metà degli anni ’80 sostanzialmente intatto un ampio consenso in una società così rapidamente mutata e soggetta ad un processo di secolarizzazione intenso?

Innanzitutto il capitale sociale accumulato per decenni che non viene eroso con la stessa velocità con cui si realizza il cambiamento antropologico. Pur in un contesto diverso, con aspettative differenziate, con stili di vita cambiati, resta il fatto che nella società veneta degli anni ’70 vi è una base valoriale ancora condivisa (il valore della famiglia, della piccola comunità, lo spirito di iniziativa, ecc.) e restano intatti i luoghi in cui si forma prevalentemente il vissuto sociale dei veneti: i patronati, le società sportive, le scuole materne, le sagre, le casse rurali, ecc. tutta una rete di comunità che conserva l’imprinting cattolico e riconduce sul piano politico al consenso verso la Democrazia cristiana

Ancora per tutti gli anni ’70 è vigorosa l’attività di formazione dei quadri dirigenti, con una organizzazione piramidale che parte dai corsi zonali, a quelli provinciali, regionali, fino a quelli nazionali alla scuola della Camilluccia (l’equivalente della scuola nazionale del Pci alle Frattocchie). Uno strumento per formare quadri nuovi, selezionare i migliori, costruire orientamenti e competenze da condividere nel territorio.

Naturalmente c’è un controllo capillare del potere che giustifica il permanere di un consenso elevato. Ancora nel decennio’70 la Dc veneta mantiene ruoli di assoluto rilievo nel governo nazionale. Sono 5 i governi presieduti in quelle legislature da Mariano Rumor, con presenze significative di ministri veneti in dicasteri decisivi. Nel periodo 1968 - 1979 si succedono ben quattordici governi guidati sempre da un esponente della Dc, di cui cinque sono i governi di Mariano Rumor, che del resto era stato potente segretario nazionale della Dc tra il 1964 e il 1969; per 44 volte un dicastero è occupato da un ministro veneto e per 45 volte da un sottosegretario di stato.

A ciò va aggiunto il presidio di altri settori importanti nella intermediazione degli interessi e nella formazione degli orientamenti dell’opinione pubblica, pensiamo al settore creditizio con banche popolari, casse rurali, banche di origine cattolica, o al ruolo svolto dal quotidiano Il Gazzettino, con il sostanziale monopolio dell’informazione fino alla fine del decennio e la presenza massiccia dei settimanali diocesani, che pur con un progressivo distacco comunque ancora fiancheggiavano il mondo democristiano.

Bisogna però aggiungere altro: Sindaci, amministratori, consiglieri regionali, parlamentari non erano espressione autoreferenziale del mondo politico democristiano in senso stretto, ma provenivano largamente dai mondi vitali in cui si organizzava la società veneta. Tutta la fase di fondazione della Regione, del reclutamento dei quadri, della costruzione dei rapporti con il territorio, con le organizzazioni sociali, con le altre istituzioni viene gestita e mediata esclusivamente dalla Democrazia cristiana. Presidenze del Consiglio regionale e delle Commissioni Consiliari sono pure affidate ad esponenti democristiani. Del resto basta scorrere l’elenco dei componenti del gruppo consiliare regionale della Dc nelle prime due legislature per rilevare una robusta presenza tra gli eletti di esponenti dei ceti produttivi, del mondo agricolo, dell’artigianato, del commercio, del sindacato accanto ad esperienze maturate nell’amministrazione locale. E la gestione degli assessorati rilevanti per la gestione dei settori economici viene affidata ad esponenti di quei mondi.

Questo impianto culturale prima che organizzativo, valoriale prima che di controllo del potere consente alla Dc veneta di durare a lungo. Ancora nelle ultime elezioni regionali in cui si presenta il simbolo della Dc, quelle del 1990, i democristiani si attestano al 42,3%

 

Bisaglia aveva capito cosa si preparava

Tuttavia le crepe di un sistema così robusto partono da lontano. Non sempre le premesse culturali hanno saputo tradursi in azione politica. E naturalmente ritardi, pigrizie, convenienze hanno appesantito un disegno riformatore. A partire dalla elefantiasi regionale, in contrasto con il disegno iniziale di una Regione leggera, più dedita alla programmazione che alla amministrazione.

E’ significativo leggere oggi la lunga intervista che Antonio Bisaglia rilasciò nel 1975 a Giampaolo Pansa, allora inviato di punta di Repubblica. Con giudizi preoccupati e lucidi sulla situazione nazionale: “La Dc, restando al governo per trent’anni, si era convinta che non esistesse una alternativa a sé stessa (e forse qualche democristiano è ancora convinto di questo, io no) […] ad un certo momento la Dc e i democristiani hanno incominciato a pensare di essere insostituibili: noi invece siamo sostituibili”; con una analisi crudele sulla crisi del centrosinistra: “in certi momenti il centro sinistra sembra un morto che viene portato in giro affermando che è vivo. E tutti stiamo a questo gioco […] il paese ha una immagine stanca di noi, e l’immagine della Dc ha stancato il paese”.

È interessante soprattutto la collocazione che Bisaglia vede per la Dc nel nuovo contesto di un paese laicizzato: “La Dc ha vissuto per un lungo periodo avendo una sorta di rappresentanza istituzionale del mondo cattolico. Il mondo cattolico era la nostra polizza di assicurazione […] Oggi non esiste più una polizza di assicurazione, oggi la Dc è un partito che si guadagna il consenso e lo perde a seconda della sua credibilità. Quindi quando io parlo di rifondare la Dc credo che sia possibile ridare una credibilità ad una Dc che sia capace di interpretare la società nei suoi limiti e governarla”. Appare chiara la nuova dimensione che Bisaglia intravede per il partito, pensando anche al suo Veneto: “credo che la Dc sia un partito popolare, di ceti medi, e quindi anche di interessi, non solo di valori […] sono prevalentemente gli interessi del ceto medio e dei lavoratori dipendenti. Questa è la fascia sociale naturale per la Dc. L’impiegato, l’artigiano, il coltivatore diretto, l’insegnante, il libero professionista, il commerciante, l’assicuratore e poi il piccolo e medio imprenditore industriale”.

C’è una domanda di Pansa: “e se i ceti medi dovessero cambiare, e accettassero quello che a voi sembra un capovolgimento di valori?” ed una risposta di Bisaglia senza incertezze: “vuol dire che abbiamo esaurito il nostro ruolo. Un partito non è eterno, la fede è eterna, la Chiesa per me, ma un partito no. Uno deve pensarci prima”.

Di Bisaglia abbiamo l’immagine di un uomo di potere. E certamente lo fu. E tuttavia come si vede c’era una capacità acuto di leggere i fenomeni sociali e di pensare a possibili risposte.

 

Una delle tante eredità di una stagione riformatrice

Oggi la sanità è tornata al centro della agenda politica. Si discute sulle diversità del modello veneto e di quello lombardo. Possiamo evidenziare due fatti. Non è un caso che fu una donna, la veneta Tina Anselmi, a portare in porto come ministro della sanità la riforma, non senza critiche e resistenze. Ma appunto guardando lontano: un servizio universale, con una partnership tra lo Stato e le autonomie regionali. Siamo nel 1978, tanti vani discorsi odierni sul federalismo, anch’essi schiacciati sulla propaganda del presente, appaiono meschini di fronte alla incisività di un vero disegno riformatore quale fu quello della sanità italiana: universalismo e federalismo. Nei fatti non a parole.

Il Veneto ha affrontato meglio la pandemia per tanti motivi. Non è casuale. Qui non c’è stata la privatizzazione selvaggia che ha caratterizzato la politica sanitaria lombarda, e c’è stato un altro aspetto. In Veneto fin dall’inizio grazie agli assessori democristiani alla sanità e alle politiche sociali che si sono succeduti, da Antonio Prezioso, a Gianbattista Melotto, a Francesco Guidolin vi è sempre stata una stretta integrazione tra le politiche sociali e quelle sanitarie, i presidi territoriali e quelli ospedalieri. Un lascito prezioso in questo tempo disagiato, è stata la risorsa consolidata che ha consentito di gestire meglio la pandemia. Da non dimenticare

 

 

 

 

1970-2020: cinquant’anni delle Regioni a statuto ordinario

Ettore Bonalberti

 

Il 16 Maggio 1970, veniva approvata la Legge n.281 “ Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario”  (GU n.127 del 22.5.1970) . Il 16 Maggio prossimo cade, dunque, il cinquantesimo anniversario dell’avvento delle Regioni a statuto ordinario.

 

Da una sollecitazione dell’avv. Ivone Cacciavillani, il 3 Gennaio scorso, con un gruppo di amici veneti “DC non pentiti”, avevamo concordato di organizzare un seminario di studio, con il quale intendevamo approfondire il ruolo svolto dalla DC veneta nella costruzione istituzionale e nella gestione del potere regionale nei primi venticinque anni di governo (1970-1995).

 

La pandemia in corso, con tutte le sue restrizioni, ci impedisce di realizzare quell’idea che riprenderemo nel prossimo autunno, Covid19 permettendo.

 

Sarà compito dell’attuale governo regionale, con le sue competenze istituzionali, trovare tempi e modi per ricordare quest’anniversario, anche tenendo presente che i venticinque anni succeduti alla guida della  DC ( 1975-2020) sono stati quelli caratterizzati dal “quindicennio forzaleghista” di Giancarlo Galan ( 1995-2010) e dal “decennio legaforzista” di Luca Zaia (2010-2020) vigente.

 

Ecco perché, in assenza del nostro seminario alla data rituale, credo sia opportuno esporre alcune considerazioni su quanto la DC veneta ha saputo apportare all’opera di avvio e di costruzione della  nostra realtà istituzionale, al fine di non perdere la memoria di ciò che è e siamo stati, e per consegnare alle nuove generazioni il testimone della nostra tradizione politica e culturale.

 

Dopo ben ventidue anni dal 1948, solo nel 1970, il terzo governo presieduto dal vicentino DC Mariano Rumor, con il senatore DC veneziano  Eugenio Gatto, ministro incaricato per l’attuazione delle regioni a statuto ordinario,  si dava pratica attuazione alle norme del  dettato costituzionale in materia di autonomia regionale; norme  che, in sede costituente, erano state sostenute soprattutto dai parlamentari democratico cristiani.

 

L’avv. Cacciavillani, nell’introduzione del suo recente saggio “ Un nuovo Veneto”, scrive: “Tra le quindici Regioni Italiane a “statuto ordinario” riconosciute dalla Costituzione del 1948, la Regione Veneto ha talune peculiarità qualificanti; a cominciare dal suo stesso Statuto approvato dal Parlamento Nazionale con legge 22 maggio 1971, n. 340, del seguente testuale tenore: “l’autogoverno del popolo veneto si attua in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia”. Ben superfluo ricordare che la formula “autogoverno del popolo veneto” -e prima ancora l’individuazione a livello legislativo- dell’individualità del “popolo veneto, pur nel più vasto contesto del popolo italiano, sono peculiarità specialissime della Regione Veneto nel quadro delle altre Regioni italiane (a tacere ovviamente delle cinque a statuto speciale), anche se purtroppo i suoi stessi Amministratori non hanno mai dato l’impressione di essersene accorti. “

 

Non posso che concordare con la lucida impietosa conclusione di Cacciavillani, considerando che avevamo tutti condiviso e sperato di attivare un’istituzione che avrebbe dovuto “programmare e controllare”, fedeli alla nostra migliore tradizione autonomistica che, come ci ricordava il compianto Antonio Mazzarolli, era ed è fondata sul principio di sussidiarietà verticale e orizzontale, assegnando il compito della gestione all’ente territoriale  più vicino ai bisogni del cittadino: al Comune in via sussidiaria, e ai corpi intermedi, mentre alla Regione sarebbe dovuto spettare quello esclusivo della programmazione e del controllo. Come siano andate diversamente  le cose è sotto gli occhi di tutti.

Alla fine degli anni’60 e in preparazione dell’avvento della nuova Regione, nella DC e nei gruppi, correnti e movimenti che ne caratterizzavano la sua vita politica,  ferveva un serio dibattito al quale, come ci ha ricordato Cristiano Zironi, partecipò tra i primi, la fondazione della Associazione Veneta di Studi Regionali, di cui il ministro Luigi Gui fu presidente e Zironi segretario generale. Si organizzarono alcuni convegni di un certo spessore e la pubblicazione dei loro atti in volumetti ancor oggi reperibili in qualche biblioteca privata. E, infine, la pubblicazione del periodico “Veneto Nuovo”, diretto dallo stesso Zironi e da Lucio Casotto.

La A.V.S.R. , soprattutto,  cercò di promuovere la conoscenza e le funzioni del nuovo istituto regionale, con il coinvolgimento di molti amici prestigiosi a livello nazionale, come Feliciano Benvenuti, Petrilli, Erminero, De Marzi, Romanato,  e locale, molti dei quali poi divenuti consiglieri o assessori regionali: per tutti i padovani Prezioso e Zoccarato, Rampi e Gasperini.I convegni della associazione riguardarono varie tematiche, come “Europa e Regioni”, “Agricoltura e Regione”, “Sanità e Regione”.

La DC alle prime elezioni regionali del 7-8 Giugno 1970 ottenne il 51,98% dei voti e 28 Consiglieri regionali su 50, ossia, la maggioranza assoluta, con il diritto-dovere di formulare l’asse portante dello statuto regionale. Fu affidato all’amico Marino Cortese il compito di presiedere la Commissione regionale per lo statuto. Egli fu coadiuvato da un gruppo di esperti, tra i quali, essenziale fu il ruolo svolto dall’avv. Feliciano Benvenuti.

Molto intenso anche il dibattito all’interno del partito regionale, alle prese sia con le nuove norme statutarie della Regione che con il primo documento di programmazione economica ( “ Il Veneto terra di relazioni”). Un  documento che, ricordo, ci impegnò in varie sedute del comitato regionale, nelle quali discutevamo le bozze di quel programma, tra  le quali, la grande incompiuta del progetto di “ Venezia Sud”, caldeggiato da Toni Bisaglia e portato avanti con grande determinazione dal segretario regionale della DC, Giovanni Bisson. Un progetto  ostacolato dagli amici della sinistra sociale e politica del partito. Come scrive Paolo Giaretta nel suo bel saggio” Identità e rappresentanza politica nel Veneto del secondo Novecento” (contributo di Giaretta al libro: “ Il Veneto nel secondo Novecento”-Politica e Istituzioni- autore Filiberto Agostini e altri- Edizione Franco Angeli-2015) : “ risale al periodo immediatamente antecedente l’avvio dell’esperienza regionale con le elezioni del 1970 il primo tentativo di offrire una lettura coerente dell’economia e della società veneta, delle sue prospettive e quindi dei suoi aspetti identitari, attraverso la predisposizione del “Piano di Sviluppo Economico Regionale1966/1970”[1] ad opera del Comitato Regionale per la programmazione Economica del Veneto. Il Comitato, composto dai rappresentanti delle principali istituzioni locali venete affida ad un gruppo di lavoro coordinato dal prof. Innocenzo Gasperini la redazione del Piano, che costituirà una prima chiave di lettura delle necessità del Veneto per guidare la sua evoluzione e si incominciò a teorizzare quel concetto di un Veneto policentrico che era espressione insieme di un pensiero interpretativo originale (appunto per costruire una nuova narrazione identitaria) ma anche dell’incapacità della politica, infragilita da molteplici localismi, di dare un ordine ed una gerarchia ai territori “. Trattasi di un contributo destinato a caratterizzare l’intera politica economica veneta nella lunga gestione del potere DC.

Il permanente vivace e talora duro scontro tra la maggioranza dorotea ( Rumor-Bisaglia) e la sinistra interna ( morotei, Forze Nuove, basisti) con il gruppo fanfaniano, forte soprattutto nella DC di Treviso, guidati dal sen Fabbri e dall’On Corder quasi sempre  in maggioranza con i dorotei (almeno a livello regionale), caratterizzerà tutta la lunga stagione di egemonia-dominio del potere DC nel Veneto. Una stagione che vide quattro giunte presiedute da Angelo Tomelleri, con la breve parentesi della Giunta Feltrin nella prima legislatura ( 1970-1975); due giunte Tomelleri nella seconda Legislatura (1975-1980), la lunga e ininterrotta stagione della giunta di Carlo Bernini nella terza legislatura ( 1980-1985), sino ai quattro anni della quarta legislatura ( dal 30 Luglio 1985 all’8 agosto 1989), con il subentro, alla fine della quarta, del presidente Franco Cremonese.

Sarà la Quinta legislatura (1990-1995) quella che accompagnerà la stagione del declino progressivo dell’egemonia DC, nel Veneto come in Italia, con il susseguirsi di crisi: dalla Giunta Cremonese a quelle presiedute da Franco Frigo, Giuseppe Pupillo e l’ultima a guida democratico cristiana di Aldo Bottin.

Un’analisi dettagliata sulle vicende regionali è quella scritta da Filiberto Agostini nel suo saggio: “ La Regione del Veneto a quarant’anni dalla sua istituzione-Storia, politica, diritto”, edita da Franco-Angeli-2013, ma a me preme evidenziare il contributo offerto dalla DC sul piano della valorizzazione del principio dell’autonomia che, soprattutto con Carlo Bernini  si esprimerà nel modo più significativo.

Ricordo per diretta esperienza e responsabilità di conduzione che, nel 1985, alla vigilia delle elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale, quelle che portarono all’elezione di Carlo Bernini alla guida del governo regionale, quale incaricato del programma del partito, con il segretario regionale della DC, Francesco Guidolin, avviammo una straordinaria campagna elettorale sotto il motto: VENETO E DC INSIEME. In un libretto, che conservo gelosamente nella mia biblioteca : INCONTRO VENETO E DC- “ Programma” E’ un patto che si rinnova, a firma congiunta con il segretario Guidolin scrivevamo: “Dopo oltre quaranta incontri con “ i mondi vitali” della società veneta e le due convenzioni programmatiche con i protagonisti dello  sviluppo economico, sociale, produttivo e culturale del Veneto, il comitato regionale del partito, nella riunione del 9 Marzo 1985 svoltasi a Rovigo nella forma di una convenzione aperta a tutte le realtà esterne, ha approvato all’unanimità il programma allegato”. Seguivano le indicazioni di programma che, dopo le elezioni del 12-13 Maggio 1985 (nelle quali la DC raccolse  il 45,91 % dei voti e l’elezione di 30 Consiglieri regionali - la metà esatta dei  60 componenti del Consiglio), furono quelle che caratterizzarono la stagione berniniana, considerata sino ad oggi la migliore stagione politica di tutta la storia regionale del Veneto.

Chiusa quell’esperienza subentrò il decennio forzaleghista a guida di Giancarlo Galan, la cui ingloriosa fine politica (caso MOSE) ha segnato una delle pagine più vergognose della lunga storia politica veneta. Resta il decennio legaforzista di Luca Zaia, che sarà campito degli storici analizzare, mentre da parte mia, lascio solo ai veneti, almeno a quelli che hanno avuto la possibilità di farne esperienza,  di mettere a confronto i primi venticinque anni di guida regionale veneta della DC e i restanti venticinque alternati tra leadership forzista prima e l’attuale della Lega.

Nel Settembre 1995, con la DC già finita politicamente da oltre tre anni (Assemblea costituente DC verso il PPI del 26 Luglio 1993 a Roma) per conto del gruppo consiliare regionale del CDU (Cristiani Democratici Uniti) ho redatto una raccolta di saggi ed articoli sul tema: Federalismo o stato Regionale. ( copia di quel documento lo conservo nel mio archivio e dovrebbe trovarsi anche nella biblioteca del consiglio regionale).

Nel 1992 il dibattito sul regionalismo e il federalismo nel nostro Paese, sebbene fosse iniziato molti anni prima, e, per la verità con esiti concreti assai limitati, aveva assunto un'intensità forte tra quasi tutte le forze politiche.

 

Alla stagione del centralismo sembrava, infatti, che fosse finalmente subentrata quella in cui avrebbe dovuto prevalere la consapevolezza di una ristrutturazione in senso federalista del nostro sistema politico, quale precondizione indispensabile per qualsiasi riforma veramente innovativa del Paese.

 

Insomma la "Grande riforma" di cui si parlò alla metà degli anni '80, in un quadro politico, come quello di avvio dei ‘90, profondamente mutato, sembrava dovesse assumere sempre più le sembianze del cambiamento istituzionale del Paese, nel senso di un riequilibrio delle competenze, funzioni e risorse tra Stato e autonomie locali, tra Regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario, e tra le stesse Regioni e le autonomie locali rappresentate dalle Province, Comuni, Comunità montane.

 

Ora come allora, almeno tra i cultori dell’autonomia, il tema dirimente era quello che divideva i sostenitori di uno Stato Federale da quelli che proponevano uno Stato Regionale. Oggi, ahimè, coloro che un tempo furono fautori di uno Stato Federale alla Miglio, sotto la leadership di Matteo Salvini, sono i propugnatori delle tesi più radicali sovraniste e nazionaliste, in linea con quelle scioviniste alla Orban, leader ungherese e delle destre estreme europee, ben lontane da quelle che il vecchio leader Umberto Bossi proponeva al suo movimento ancora in via di consolidamento.

 

Durante la guida politica regionale di Carlo Bernini prese corpo e si diffuse anche a livello europeo l'idea innovativa dell'"Europa delle Regioni", quale risposta di fine secolo al superamento dei vecchi stati nazionali derivati dalle rivoluzioni del XVIII e XIX secolo e, dopo il crollo del muro di Berlino e del precario equilibrio EST-OVEST garantito da quasi quarant'anni di guerra fredda, il ritorno dei fantasmi nazionalistici e localistici più tradizionali; origini di guerre e di violenze che continuavano a insanguinare molte parti dell'Europa centro-orientale e meridionale, in quegli ultimi anni che ci separavano dalla fine del secondo millennio.

 

La Giunta regionale Bernini e il gruppo consigliare DC del Veneto sviluppava, tanto a livello regionale che a quello nazionale ed internazionale un’intensa iniziativa politica.

AlpeAdria, da un lato, che assunse un ruolo sempre più efficace e attivo tanto da far assurgere il presidente del Veneto alla guida della Conferenza dei presidenti delle regioni d'Europa, e le proposte di legge che si susseguirono sul tema del nuovo regionalismo, furono le tappe più rilevanti di questa intensa stagione politica.

Ricorderemo, in proposito, che la prima proposta di legge statale da trasmettere al parlamento nazionale, ai sensi dell'art.121 della Costituzione, fu quella approvata all'unanimità dal Consiglio regionale, nella seduta del 26 Marzo 1985, su iniziativa della Giunta regionale relativa a:" revisione degli artt. 116,117,118,119,129 e 133 della Costituzione". Relatore fu il consigliere Camillo Cimenti, rappresentante della DC in prima Commissione. Trattavasi, come recita il titolo, di un primo serio tentativo di riforma costituzionale teso a riaffermare il nuovo regionalismo, alla luce dei risultati negativi sino allora verificatisi nel rapporto Stato-Regioni. Tentativo, in ogni caso, naufragato nell'impotenza complessiva di un Parlamento incapace, dalla commissione Bozzi in poi, di affrontare e risolvere anche le più timide proposte e che finirà con il dimostrare tutta la propria impotenza, financo sul piano della riforma elettorale. Infatti, solo dopo il referendum del Giugno'93 si giungerà a quella pasticciata soluzione del matarrellum, ossia la nuova legge elettorale, vera pietra tombale semi-aperta della Prima Repubblica.

Naturalmente ogni ritardo e ogni successivo indugio sul piano del nuovo regionalismo, finiva con l'ingrossare le fila, in termini di consenso e la stessa credibilità delle proposte neo federaliste, ancorché disordinate e provocatorie e per molti versi velleitarie della Liga Veneta; dapprima assai confuse, sul piano di un  autonomismo spinto di una auspicata  "Repubblica Veneta", e, quindi, sempre meglio precisate sino alla proposta di legge statale d'iniziativa del Consigliere dell'Union del Popolo Veneto (gruppo leghista staccatosi dalla casa madre di Rocchetta) Ettore BEGGIATO, dal significativo titolo: "Statuto speciale della regione Autonoma del Veneto", presentata alla presidenza del Consiglio il 18 Giugno 1990.

 

Volendo esaminare le proposte che si sono succedute in quel tempo in Consiglio regionale, vorremmo evidenziare come il 23 Febbraio 1990 la Giunta regionale del Veneto presentava in Consiglio l'ennesima proposta di legge statale, da trasmettere al Parlamento nazionale ai sensi dell'art.121 della Costituzione, intitolata: "Nuove norme sull'ordinamento delle regioni a statuto ordinario".

Era, anche questo, un tentativo di riorganizzazione complessiva dei rapporti Stato-Regione che, tenendo conto delle difficoltà sino ad allora riscontrate in sede parlamentare, puntava al raggiungimento di un possibile compromesso tra il neocentralismo imperante e le sacrosante ragioni di autonomia proprie delle realtà regionali.

E di lì a pochi mesi, il 25 Gennaio 1991, sempre su iniziativa della Giunta Regionale, veniva presentata una nuova proposta di legge statale di pari titolo: "Nuove norme sull'ordinamento delle regioni a statuto ordinario"

Ed ancora il Consigliere Beggiato il 2 Gennaio 1992 presentava in Consiglio regionale  la sua seconda proposta di legge statale, questa volta intitolata significativamente: "Costituzione della Repubblica Federale Italiana".

Appare qui in tutta evidenza la distinzione politico-culturale tra le posizioni espresse dalla DC e dalla maggioranza sostanzialmente del vecchio centro-sinistra raccolta attorno ad essa e che puntava a un profondo rinnovamento del regionalismo che avrebbe dovuto regolare in maniera diversa e più rispettosa dell'autonomia le Regioni e gli enti locali, specie per quanto concerne l'autonomia finanziaria e fiscale, e quella del variegato movimento leghista che, almeno nella sua espressione  più culturalmente approfondita, poneva sino in fondo la questione del riordinamento in senso federale dello Stato.

Alcuni mesi più tardi, proprio Ettore Beggiato, nel frattempo nominato assessore nella Giunta di ampie convergenze guidata dal Presidente Pupillo, pubblicava un saggio indicativo del gruppo “Union del Popolo Veneto”, dal titolo: "L’idea federalista nel Veneto", nel quale, accanto alla riproposta di alcuni dei più autorevoli scritti in materia federalista da parte di autori veneti, da Daniele Manin a Nicolo Tommaseo, Eugenio Alberi, Alberto Mario, Ferruccio Macola, era inserito  il testo del progetto di costituzione federalista di Silvio Trentin del 1943.

 

 Sarà proprio nel nuovo clima di diffusa condivisione dei temi concernenti il nuovo regionalismo che prenderà corpo l'iniziativa, questa volta di quasi tutte le forze politiche presenti in Consiglio regionale,  della nuova proposta di legge statale di iniziativa regionale, presentata in Consiglio, primo firmatario il Presidente del Consiglio regionale Carraro, con i consiglieri Prà (DC), Tanzarella (PDS), Corazzin (DC), Rossi (Verdi), Veronese (Capogruppo DC), Vanni (PDS), Crema (PSI), Boato (Verdi), Frigo(DC), Vesce (Antiproibizionisti), Ceccarelli (Indipendente di sinistra), Belcaro (PDS) e Berlato (Caccia e Pesca) relativa a :"MODIFICA DI NORME COSTITUZIONALI CONCERNENTI L'ORDINAMENTO DSELLE REGIONI".

 

Esaurita la stagione dell'egemonia politico-culturale della DC veneta da un lato, e con una Liga veneta più impegnata sul piano del consolidamento del consenso elettorale che dell'elaborazione sistematica di concreti progetti di legge (eccezion fatta per l'ala dissidente rappresentata da Beggiato con la sua Union del Popolo Veneto) questo documento-proposta di larghissima maggioranza consiliare rappresenta quanto di più condiviso sia stato espresso in quella Legislatura regionale.

 

Venute meno le funzioni dirigenti dei due più autorevoli esponenti, rispettivamente della DC veneta e del PSI veneto degli anni '80, Bernini e De Michelis, toccò infatti al Consiglio regionale ed al suo presidente Umberto Carraro riprendere e portare avanti la battaglia del nuovo regionalismo che, da almeno dieci anni era stato uno dei vessilli caratterizzanti l'azione della DC veneta. E quella proposta che seguiva un documento di intenti votato dal Consiglio regionale del Veneto il 20 Dicembre 1991, frutto, altresì, del dibattito che si era sviluppato in sede dell'Assise nazionale dei Consigli regionali tenutasi a Venezia nell'ottobre del 1991 (proprio su iniziativa del Consiglio regionale del Veneto) veniva approvata a larghissima maggioranza (38 presenti e 36 votanti- con 31 voti favorevoli, 5 contrari e due astenuti) il 23 Luglio 1992.

 

Era uno degli ultimi atti solenni di decisione politica assunti in sede consiliare cui, non corrispose, purtroppo analoga capacità di iniziativa e decisione di un Parlamento che, appena ricostituitosi dopo le elezioni anticipate del Maggio 1992, travolto dal ciclone di Tangentopoli e dal Referendum sulla legge elettorale, doveva naufragare di lì a pochi mesi e con lui, la stessa commissione De Mita che, riprendendo ed aggiornando il lavoro della precedente commissione presieduta dall'On Bozzi, non seppe produrre atti significativi e giuridicamente cogenti sul piano legislativo.

 

E dopo il voto del 1994 comincia un'altra storia con nuovi e diversi protagonisti politici.

Al crepuscolo della precedente legislatura, sarà il Consigliere regionale antiproibizionista Emilio Vesce a presentare una nuova proposta di legge statale di "parziale revisione costituzionale dell'ordinamento regionale". Era il 14 Ottobre 1993.

Dopo pochi mesi ci sarebbero state le elezioni del Marzo'94 e la fine di un'intera stagione della cosiddetta Prima Repubblica. E dopo il voto del 1994 comincia un'altra storia con nuovi e diversi protagonisti politici.

 

Di cosa sia stato prodotto dopo quella data, dalla pasticciata riforma del Titolo V  parte II della Costituzione(Legge cost. 3 del 2001), i cui limiti e contraddizioni tra competenze esclusive e concorrenti di Stato e Regioni sono venuti tutti alla luce durante la vigente drammatica esperienza della pandemia, non ci sono tracce significative sino alle recenti iniziative delle giunte presiedute da Luca Zaia. Con gli amici popolari del Veneto confortati dalla competenza giuridica costituzionale e amministrativa dell’Avv. Caciavillani e dell’On Domenico Menorello avanzammo, invano, la proposta della macroregione del Nord-Est, con cui intendevamo attribuire al Veneto le stesse competenze e funzioni delle confinanti regioni a statuto speciale del Friuli V.Giulia e Trentino Alto Adige, mentre i ripetuti e sin qui inefficaci tentativi portati avanti dal Presidente Zaia, costituiscono materia dell’attuale dibattito politico che esula dagli obiettivi che, come democratici cristiani veneti, vorremmo assegnare al prossimo seminario  al quale , in ogni caso, non intendiamo rinunciare.

Lo dobbiamo al ricordo di quanti ci hanno lasciato e a coloro che, ancora tra di noi, di quella lunga e vitale stagione politica furono attori protagonisti degni della nostra massima stima.

Una cosa è certa: l’attuale assetto istituzionale dell’Italia non può continuare e una seria riforma ispirata dal progetto del prof Miglio di un Paese federale dal forte potere centrale e strutturato localmente da cinque o al massimo sei macroregioni potrebbe essere la soluzione percorribile anche da noi democratici cristiani e popolari, purché ispirata ai valori della sussidiarietà e solidarietà da sempre a fondamento della nostra visione autonomistica della società e dello Stato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Comitato Regionale per la programmazione economica del Veneto, Piano di sviluppo economico regionale 1966/1970, Feltre 1968





E’ finito il tempo delle divisioni, ora serve l’unità

 

E’ vero quanto scrive l’amico Merlo “ non di sole messe si vive” e per i cattolici è tempo di tradurre sul piano operativo il tema della loro partecipazione attiva alla politica in Italia e in Europa.

 

Basta seguire la messa mattutina a Santa Marta di Papa Francesco, per ricevere dalle sue omelie la costante esortazione a tradurre nella nostra vita e “nella città dell’uomo”, gli insegnamenti evangelici e della dottrina sociale cristiana.

 

Vorrei confermare a Merlo che, tranne qualche bizzarro personaggio che ama autoproclamarsi a giorni alterni segretario di questa o quella DC, noi che abbiamo deciso di riunirci nella Federazione popolare dei Democratici Cristiani, intendiamo costruire un nuovo centro politico cristiano democratico, popolare, liberale e riformista, come il naturale argine alle posizioni radicaleggianti di sinistra e alle posizioni sovraniste e populiste, per affermare i valori democratici e liberali. Ci proponiamo di avviare un processo culturale di coinvolgimento territoriale, che abbia come obiettivo rendere possibile la formazione di una grande area, ricca che si faccia carico di esperienze e tradizioni diverse e che condivida l'urgenza di partecipare alla competizione politica; pertanto ci impegniamo, sin da subito, a cercare le opportune intese, da proporre già alle prossime elezioni comunali, provinciali e regionali.

 

Aver federato esperienze come quelle della DC, ricostituitasi politicamente dal 2012 in poi, oggi guidata da Renato Grassi, con l’UDC di Cesa, il NCDU di Tassone, il movimento raccolto attorno all’On Rotondi, e oltre trenta associazioni, movimenti e gruppi di area cattolica e popolare, credo rappresenti oggi il più importante sforzo organizzativo di ricomposizione dell’area cattolica e popolare, il cui coordinamento l’abbiamo affidato a Giuseppe Gargani, esponente di rilievo e trait d’union tra la terza e la quarta generazione DC.

 

A questa nostra iniziativa si accompagnano parallelamente quelle degli amici, come voi di Rete Bianca, raccolti attorno al manifesto Zamagni, quelli di Costruire Insieme e di Politica Insieme, interessati a dar  vita alla “ Cosa Bianca”.

 

Questo è ciò che realisticamente si sta costruendo con molta fatica all’interno della vasta e articolata galassia dell’area cattolica e popolare, nella quale, come accade di norma tra gli italiani: tutti vogliono coordinare e nessuno vuol essere coordinato.

 

Condividendo con Merlo che: “non deve ritornare il tema stantio e anche un po’ datato sull’ennesimo partitino cattolico che campeggia un giorno su qualche giornale e poi, puntualmente, si scioglie come neve al sole. La vera sfida, semmai, consiste nel coraggio di riproporre una cultura politica, un sistema di valori e una classe dirigente – che esiste, basta solo farla emergere – che sono ancora in grado di dare un contributo di qualità politica e programmatica e di risorsa etica alquanto decisivi per la stessa tenuta democratica e sociale del nostro sistema”, aggiungo che non si debba nemmeno ogni volta ripartire da zero.

 

Meglio sarà cercare di far maturare i processi realmente in atto, come quelli da me descritti, consapevoli che il ritorno sul piano politico istituzionale della cultura cattolico democratica e cristiano sociali, alla quale tutti quei movimenti citati fanno riferimento, è indispensabile per concorrere alla costruzione della nuovo vivere civile sociale, politico e istituzionale del dopo pandemia. Un mondo nuovo che: o sarà fondato sui principi della solidarietà e della sussidiarietà  propri della dottrina sociale cristiana, o non sarà.

 

E questo processo lo dovremo far maturare fedeli al monito di Alcide De Gasperi: solo se saremo uniti saremo forti, solo se saremo forti saremo liberi“. In questo tempo di crisi e di drammatica pandemia, non possiamo più dividerci, ma, come ci ha ammonito Papa Francesco stamattina,  operare tutti per l’ unità.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF

Direzione nazionale DC

Comitato provvisorio della Federazione popolare dei DC

 

Venezia, 2 Maggio 2020

 

 


Alternativa di governo o rimpasto?

 

L’opposizione di Salvini-Meloni continua perdurante e inefficace nella contestazione dell’operato del premier Conte in questa delicatissima fase pandemica, mentre scricchiolii sempre più forti si sentono nella maggioranza di governo .

 

Con l’ intervento di ieri di Matteo Renzi al Senato, che ha chiamato infelicemente a supporto delle sue tesi persino “ i morti di Brescia e Bergamo”,  il giovane leader annuncia il suo ultimatum al governo, dopo che nei giorni scorsi aveva incassato con profitto le nomine in diversi enti e strutture statali.

 

Mentre si è in guerra non si cambia la linea di comando, abbiamo scritto ripetutamente in questi giorni, e vale il principio: “right or wrong my country”. Certo, se nella fase 1 di piena emergenza tale regola era valida in assoluto., ora che si devono affrontare con le questioni sanitarie ( il controllo dovrà rimanere rigoroso) quelle non meno gravi dell’economia, è fisiologico che la politica riprenda il suo normale corso.

 

La figura del “giovin signore fiorentino  fortemente ridimensionata dall’esito del referendum del 4 Dicembre 2016, che ne determinò il crollo politico, non migliora con le costanti docce fredde  che Matteo Renzi promuove, prima nel suo ex partito, il PD, e, adesso, con il suo permanente stare con una gamba dentro e una fuori del governo.

 

Forte di una rappresentanza parlamentare, decisiva al Senato, sproporzionata rispetto al peso reale che i sondaggi oggi assegnano al suo partito “ Italia viva”, l’ex boy scout di Rignano sull’Arno si permette un’azione di costante sabotaggio al governo di cui fa  parte,  destinata a sviluppi del tutto imprevedibili del quadro politico nazionale.

 

Berlusconi che, dopo tanti anni di vita politica, ha saputo aggiungere alle sue doti di esperto navigatore imprenditoriale quelle di un politico smaliziato nelle questioni interne e internazionali, con un partito in rapida decadenza, coglie l’occasione della distruttiva azione renziana, per sottrarsi dal pesante condizionamento del duo Salvini-Meloni nel  centro destra, e inviare segnali di fumo al premier Conte.

 

Crisi di governo per un’alternativa a Conte o rimpasto è il tema che sembra profilarsi per questa seconda fase della pandemia, nella quale si dovranno affrontare temi di natura economica, finanziaria e sociali di estrema rilevanza; insieme alle verificate necessità di riforma anche sul piano istituzionale, come quelle del rapporto Stato-regioni e politico amministrative: riforma burocratica e semplificazione delle procedure ai diversi livelli.

 

Non credo alla possibilità di elezioni anticipate a breve, atteso che non sarebbero nell’interesse degli attuali partiti di maggioranza; in primis M5S e Italia Viva, né all’idea di un governo di unità nazionale a guida di Draghi, come indicato da taluni ( come potrebbe funzionare un governo da Zingaretti a Salvini, con PD, M5S, Lega, FI, FdI ?), mentre mi sembra più probabile un possibile rimpasto di governo con l’ingresso a pieno titolo nell’esecutivo di alcuni esponenti di Forza Italia.

 

La partecipazione importante di quel partito e di Berlusconi e Taiani in primis nel PPE, offrirebbe altre e più solide garanzie a quel ruolo che l’Italia dovrà svolgere in seno all’Unione europea, oggi sostenute soprattutto dal PD con gli esponenti di punta Sassoli, Gentiloni e Gualtieri.

Anche gli amici ex DC presenti al Senato con quello che, a mio parere, è “ il miglior fico del bigoncio”, Gianfranco Rotondi, non stanno a guardare e da tempo puntano le loro fiches sul premier Conte, al quale il loro aiuto potrebbe risultare, con quello di Forza Italia, indispensabile.

 

Viviamo una fase delicatissima sul piano economico e sociale, nella quale lo stipendio ai dipendenti pubblici e il pagamento delle pensioni è un problema reale che potrebbe diventare drammaticamente serio. Tutte le categorie colpite dagli effetti economici della pandemia chiedono soldi al governo. Venendo meno le entrate fiscali programmate e permanendo i costi fissi della PA, senza una Banca centrale prestatore di ultima istanza che può emettere denaro e con un’Unione europea altrettanto priva di tale strumento ( cosa che invece funziona perfettamente negli USA dotati, inoltre, di un’ottima Costituzione federale), come si potrà evitare un’assai probabile rivolta sociale dei ceti e delle classi più toccate dalla pandemia? Pensare di aprire una crisi di governo in queste condizioni o, peggio, rischiare di consegnare il governo del Paese a una deriva di destra nazionalista, populista e anti europea, sarebbe suicida.

 

Mai come in queste condizioni servirà invece il massimo di compattezza interno possibile e la capacità di contrattare nell’Unione europea le più opportune soluzioni per corrispondere con rapidità, efficienza ed efficacia alle questioni economiche e sociali create dal Covid 19.

 

Un possibile rimpasto di governo a me pare, dunque, più probabile all’orizzonte, con il governo che potrebbe liberarsi in tal modo del permanente ricatto renziano.  Un passaggio che, altresì, offrirebbe anche a noi “ DC non pentiti” e membri della Federazione popolare dei DC di assumere, dall’assemblea convocata il prossimo 20 maggio, le più opportune iniziative per preparare il Partito del popolo italiano e dei democratici cristiani alle prossime scadenze elettorali.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 1 Maggio 2020

 

 

 


Ricordo  di Marino Cortese

 

E’ morto  il sen Marino Cortese, uno dei leader della sinistra DC veneziana. Scompare con lui la persona che la Democrazia Cristiana veneta volle alla guida della Commissione per lo statuto regionale, alla quale dedicò le migliori energie, con l’aiuto del Prof Feliciano Benvenuti.

 

Nacque dalla loro collaborazione uno Statuto che l’avv. Ivone Cacciavillani, nell’introduzione del suo recente saggio “ Un nuovo Veneto”, definisce così : “Tra le quindici Regioni Italiane a “statuto ordinario” riconosciute dalla Costituzione del 1948, la Regione Veneto ha talune peculiarità qualificanti; a cominciare dal suo stesso Statuto approvato dal Parlamento Nazionale con legge 22 maggio 1971, n. 340, del seguente testuale tenore: “l’autogoverno del popolo veneto si attua in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia”. Ben superfluo ricordare che la formula “autogoverno del popolo veneto” -e prima ancora l’individuazione a livello legislativo- dell’individualità del “popolo veneto, pur nel più vasto contesto del popolo italiano, sono peculiarità specialissime della Regione Veneto nel quadro delle altre Regioni italiane (a tacere ovviamente delle cinque a statuto speciale), anche se purtroppo i suoi stessi Amministratori non hanno mai dato l’impressione di essersene accorti”. Questo dello Statuto è certamente uno dei più preziosi lasciti della lunga esperienza politica vissuta da Cortese nella nostra Regione.

 

Con Vincenzo Gagliardi, Alfeo Zanini, Giorgio Longo, Luigi Tartari, Gianfranco Rocelli e  Mariano Baldo, Marino Cortese rappresentò per molti della mia generazione un punto di riferimento politico culturale importante della nostra formazione politica. Una cultura che in Marino Cortese era il risultato della sua formazione giovanile nell’azione cattolica prima e nell’Intesa universitaria, di cui fu dirigente nazionale e dalla sua precocissima iscrizione al Movimento giovanile della DC.

 

Quante battaglie democratiche abbiamo compiuto insieme all’interno del comitato regionale della DC, per molti anni nella stessa corrente della sinistra sociale di Forze Nuove a fianco di Carlo Donat Cattin, e, poi, su posizioni diverse; dopo la scelta del preambolo e la sua collocazione a fianco di Guido Bodrato nella cosiddetta “area Zaccagnini”.

 

Il confronto talora duro e serrato fu sempre caratterizzato dal grande rispetto nei confronti di un amico competente, serio e culturalmente onesto, fermissimo nelle sue convinzioni, che seppe sempre difendere con estrema determinazione. Il suo linguaggio calmo, misurato, mai oltre le righe, lo rendeva autorevole e degno di rispetto da parte di amici e avversari politici. Competente nelle materie istituzionali e in quelle economiche, dopo la sua lunga esperienza di ricercatore, contribuì alla stesura di quel Piano di programmazione economica del Veneto redatto sotto la guida dal Presidente Carlo Bernini, che connotammo come quello del “ Veneto terra di relazione”.

 

La politica veneziana, veneta e italiana perde con Marino un altro esponente di quella Prima Repubblica dalla quale molti insegnamenti si dovrebbero trarre, in una fase nella quale molte delle dirigenze nazionali e locali sono caratterizzate da scarsissima cultura e tanta incompetenza. Caro Marino ti ricorderemo nelle nostre preghiere conservando una preziosa memoria del lungo tratto di strada compiuto insieme.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 28 Aprile 2020


Giovanni di Turi ci ha lasciati

 

Giovanni Di Turi ci ha lasciati. Perdiamo uno degli amici più generosi e sinceri fra quanti, “ DC non pentiti” veneziani, avevano in cuore l’amore per i valori fondanti della dottrina scoiale cristiana e ferma la volontà di concorrere alla ricomposizione dell’unità dei cattolici democratici e cristiano sociali a Venezia, nel Veneto e in Italia.

 

Da sempre impegnato nel sociale, Giovanni è stato uno dei primi a Mestre a rendersi conto del fenomeno importante dell’immigrazione e, forte della sua esperienza acquisita nel settore della cooperazione, aveva dato vita a numerose associazioni e movimenti di immigrati per i quali ha svolto una preziosa attività di raccordo tra i bisogni delle persone e le diverse autorità istituzionali.

 

Egli ha sempre considerato l’attività nel sociale come la precondizione indispensabile per dare significato all’impegno sul piano politico e amministrativo.

 

Una competenza straordinaria nel settore amministrativo della pubblica amministrazione, acquisito negli anni della sua attività  professionale pubblica e privata, la dimostrò quando, predisponendo il programma dei popolari veneziani nell’ultima campagna elettorale per il rinnovo del consiglio comunale di Venezia, seppe predisporre un’analitica e rigorosa analisi delle aziende municipalizzate o a diversa partecipazione comunale; una delle posizioni di rendita del consenso alle amministrazioni di sinistra succedutesi negli ultimi decenni a Venezia.

 

Quante volte bussò agli assessorati competenti per ottenere la concessione di un luogo disponibile, quale sede per lo svolgimento delle attività delle sue numerose associazioni no profit. Mai una risposta positiva da un’amministrazione comunale dimostratasi sempre sorda alle richieste di un uomo buono, mite,  ma inflessibile nella fedeltà ai valori cristiani su cui aveva informato tutta la sua vita.

 

A ogni sollecitazione fattagli per la ricostruzione politica dell’area popolare e democratico cristiana, sin dal 2012, Giovanni ha sempre risposto di SI, sino alla sua ultima conferma di adesione alla Federazione popolare dei DC.

 

Veramente Giovanni Di Turi è stato una figura esemplare di “democristiano non pentito,” che è vissuto per tutta la sua vita nell’Italia del dopoguerra, da fedele interprete, nel campo sociale e nell’impegno politico, della migliore tradizione sturziana e degasperiana.

 

Personalmente perdo un amico al quale ricorrevo ogni volta che sentivo l’esigenza di una parola di sostegno e di conforto, sempre pronto a richiamarmi al dovere della testimonianza senza tentennamenti.

 

Grazie Giovanni per i tuoi insegnamenti e per il tuo  esemplare stile di vita. Tutti noi DC e popolari veneziani ti siamo riconoscenti.

 

 Il Signore   riceva la tua anima candida tra le sue braccia misericordiose e sul tuo corpo ti sia lieve la terra.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF

Direzione nazionale DC

Componente comitato provvisorio della Federazione Popolare dei DC

Venezia, 22 Aprile 2020

 

LETTERA APERTA AGLI AMICI DELLA FEDERAZIONE POPOLARE DEI DC


Cari amici,

in queste settimane di  doverosa clausura domestica ho cercato di analizzare lo stato dell’arte della nostra Federazione popolare dei DC. A me sembra che, al di là della netta disponibilità espressa dagli amici Gargani, Grassi, Tassone e Rotondi e di molti responsabili di movimenti e associazioni che hanno condiviso il nostro patto federativo, permangano le perplessità e i distinguo di Cesa e  di alcuni dei suoi amici dell’UDC, i quali, forti della loro attuale disponibilità nell’utilizzo del simbolo dello scudo crociato, vorrebbero che quanto sin qui concordato, si concludesse semplicemente con l’ingresso di tutti nel loro partito.

Un ‘operazione fuori della realtà che non tiene conto:

a)    delle pendenze esistenti nel merito della proprietà e gestione dello scudo crociato, di cui noi DC rivendichiamo a pieno la titolarità;

b)   dell’esigenza di dar vita a un nuovo soggetto politico, risultato della partecipazione di tutti i firmatari del patto, così come indicato nel documento sottoscritto.

 

Ho sperimentato direttamente l’impraticabilità di un accordo con gli amici  UDC, o meglio con colui che ne rivendica la rappresentanza nel Veneto, il sen Antonio De Poli, il quale, sollecitato a incontrarsi ben prima dello scoppio della pandemia, non ha ritenuto nemmeno opportuno rispondere.

 

E’ evidente che, il permanere di De Poli in un’area molto più affine a ciò che rimane di Forza Italia ( fu uno dei più fedeli alleati di  governo di Giancarlo Galan, colui che si è reso   responsabile del più grave scandalo politico della storia veneta- caso MOSE)  e il suo probabilmente oggettivo peso interno all’UDC nazionale, si combina con le riluttanze di Cesa ad assumere finalmente una posizione autonoma dal centro destra a guida salviniana. Tutto ciò costituisce un vulnus gravissimo al nostro progetto politico.

 

Noi intendiamo concorrere alla ricomposizione dell’area cattolico democratica e cristiano sociale e intendiamo farlo avviando un nuovo soggetto politico: laico, democratico, popolare, riformista, europeista, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori, alternativo alla deriva nazionalista populista a dominanza salviniana, e alla sinistra senza identità, pronti a collaborare con quanti intendono attuare integralmente la Costituzione repubblicana. Un progetto che vorremmo sviluppare insieme anche ad altri amici, come quelli impegnati attorno al manifesto Zamagni  alla Rete Bianca e  Costruire Insieme.

 

Un soggetto politico ampio, plurale e nuovo. Non ci interessa  con quale nome e  simbolo ci presenteremo; nome che, col simbolo e il programma politico,  decideremo insieme nella prossima assemblea costituente nella quale si dovrà dare ampio spazio ai giovani e a una nuova classe dirigente che assuma la guida del nostro progetto politico. Un’assemblea che, come più volte discusso, dovrebbe essere preceduta da incontri a livello regionale e provinciale tra i rappresentanti di tutti i sottoscrittori del patto federativo.

 

A Cesa chiediamo ancora una volta se è disponibile a varcare il Rubicone per costruire insieme a tutti noi il nuovo soggetto politico.

Noi tutti ci auguriamo di sì, ma, se ciò non fosse possibile, non potremo più aspettare, ma dovremo procedere inevitabilmente  con chi ci sta, corrispondendo così,   anche alle attese che, come ci assicura l’amico Hermann Teusch, sono presenti negli organi dirigenti della CDU e della CSU tedesca, pronti a collaborare con il nuovo soggetto politico aderente al PPE per concorrere tutti Insieme a offrire una risposta ai gravissimi problemi dell’Europa post pandemia. Una risposta  ispirata ai valori della migliore tradizione cristiano sociale e popolare europea.

 

Cordiali saluti

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( www.alefpopolaritaliani.it )

 

Venezia, 17 Aprile 2020

 

 





A proposito di Conte e del compromesso all’eurogruppo

 

Il compromesso raggiunto Giovedì scorso dall’Eurogruppo ha suscitato molte polemiche non solo fra maggioranza e opposizione, ma anche tra  alcuni nostri amici, specie in relazione al giudizio che personalmente ho espresso sull’operato del Presidente del consiglio, Giuseppe Conte.

 

Quanto a quest’ultimo, mi limito a ripetere: chi vivrà vedrà. Reputo Giuseppe Conte, l’avvocato fiorentino catapultato dal M5S a guidare un esecutivo che si è trovato ad affrontare una situazione mai accaduta prima in tutta la storia repubblicana, come quello che, almeno a  me, appare il migliore tra quanti calcano in questo momento la scena politica italiana.

 

Certo si tratta non di un superlativo assoluto, ma relativo, e anche chi non condivide il mio giudizio, sino  ad oggi non ha saputo proporre altra soluzione che quella di Draghi; ottima risorsa repubblicana, legata, come  lo è stato già Mario Monti, con i poteri finanziari che controllano, con le banche centrali dei Paesi europei, la stessa BCE. Chi come me, e spero anche tutti noi della Federazione popolare dei DC, si batte per il ripristino del NOMA ( Non overlapping Magisteria) ossia alla politica che guida il progetto, con l’economia reale e la finanza a supporto, e, dunque,  concretamente, al controllo pubblico di Banca d’Italia e della BCE e alla netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria ( Legge Glass-Steagall USA e Legge bancaria italiana del 1936 abrogata, ahimè, dal decreto Barucci-Amato del  1992) sarebbe come cadere dalla padella nelle brace.

 

Al di là, tuttavia, di questo giudizio del tutto mio personale e opinabilissimo, resta  il fatto che mentre si combatte questa guerra impari col virus, il comandante alla guida non si cambia, anche se, come nell’ultima intervista televisiva si è fatto prendere dall’irritazione per le accuse false e infamanti che da giorni gli erano state rivolte da Salvini e dalla Meloni.

 

“ Right or wrong my country”  ( “ Giusto o sbagliato è il mio Paese”) dicono gli americani e anche noi in questa drammatica fase dovremmo seguirne il principio.

 

Nel merito della vicenda europea dobbiamo invece evidenziare quanto segue:

 

Dopo giorni di tensione, dibattiti e scontri, dall'Eurogruppo escono due buoni risultati che dobbiamo valorizzare e che nessuna astiosa propaganda potrà negare.
In primo luogo c’è il varo di un ventaglio di iniziative mai viste prima per quantità di risorse attivate: fino a 500 miliardi, dal Programma per la disoccupazione (SURE) ai Fondi BEI e al Fondo salva-stati SENZA CONDIZIONI per le spese dirette e indirette della sanità;
In secondo luogo, ed è la vera novità, la decisione di un Piano per la ripresa (RECOVERY PLAN) per altri 500 miliardi da sostenere con nuovi strumenti finanziari.
Questo era ed è il nostro obiettivo: un "Piano per la ricostruzione" che veda lo sforzo congiunto di tutta l'Europa. Ora questa proposta è stata messa sul tavolo del prossimo Consiglio europeo e lì Italia, Francia e Spagna e gli altri paesi favorevoli dovranno battersi per renderlo effettivo rapidamente.
Ed è chiaro a tutti, anche a quei paesi che non li hanno voluti nominare espressamente, che questi nuovi strumenti finanziari non potranno che essere dei BOND, o garantiti dal bilancio europeo rafforzato o dai singoli Stati, ma comunque EMISSIONI DI DEBITO COMUNE, indispensabili per mobilitare i finanziamenti che saranno necessari a tutti gli Stati europei per superare il rischio di recessione.

 

Oggi anche Der Spiegel invita la cancelliera Merkel a cambiare registro sugli eurobond, considerati lo strumento inevitabile se si vuol salvare l’Unione europea.

Confidiamo che Angela Merkel sappia essere all’altezza del suo mentore Helmut Khol e fedele alla migliore tradizione della CDU e CSU tedesca. Unica condizione per preservare il ruolo di guida del Partito Popolare europeo. Non scattasse questo elementare principio di solidarietà sarebbe la fine dell’Unione e le conseguenze sarebbero ancor più tragiche per tutti.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF (www.alefpopolaritaliani.it)

Direzione nazionale DC

Componente del comitato provvisorio della Federazione popolare dei DC

 

Venezia, 12 Aprile 2020


Un’idea per niente stravagante

il domani è ancora tutto da costruire e da scrivere”:  conclude così il suo articolo l’amico Giorgio Merlo su: “ Conte, la DC e i cattolici”, denunciando “  la simpatica iscrizione d’ufficio, da parte di alcuni commentatori ed opinionisti, del premier Conte alla tradizione della DC ”.

Osservazione intelligente che proviene da un membro di “ Rete  bianca” che, da quanto ho potuto capire sino ad oggi, firmando il Manifesto Zamagni, è anch’essa un’associazione/movimento alla ricerca di un nuovo soggetto politico, in grado di inverare nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali della dottrina sociale cristiana.

Se non ho mal compreso, gli amici di “Rete bianca”, rifuggono da ogni tentativo, come quello che abbiamo portato avanti e su cui ancora stiamo impegnandoci, noi che partecipiamo alla Federazione popolare dei DC, spinti dalla volontà di concorrere alla ricomposizione dell’area cattolico democratica e cristiano sociale del Paese, partecipante al progetto di costruzione del nuovo soggetto politico.

Continuare, però, ad attribuire a noi della Federazione l’idea anacronistica di “voler rifare la DC” non è solo un errore, ma anche un insulto alla nostra intelligenza, essendo tutti noi ben consapevoli dell’impossibilità di far tornare in vita ciò che storicamente e politicamente si è concluso, nonostante le modalità di quella chiusura, tuttora sottoposte alla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010, secondo cui: “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”.

Fa poi specie che queste obiezioni siano portate avanti da chi ha già sperimentato altre casematte dei partiti, da cui non molto tempo fa ha deciso di uscire, stanco della confusione imperante in un soggetto politico come il PD, nato da una miscela rivelatasi impossibile di culture politiche, trasformatosi in un ircocervo privo di un’identità definita e riconoscibile.

Siamo tutti d’accordo che un nuovo soggetto politico, come scrive Merlo, debba avere  come ingredienti costitutivi il pensiero, la cultura, il progetto e il programma. Oltre ad una classe dirigente. “ Quanto al pensiero e alla cultura, abbiamo più volte evidenziato che vale per tutti noi, non solo quanto abbiamo conservato della migliore tradizione popolare e della DC, ma, soprattutto, quanto ci è indicato dalla dottrina sociale cristiana, con le ultime encicliche pontificie, che sono una delle letture più approfondite di quest’età della globalizzazione e del dominio del turbo capitalismo finanziario.

Per il progetto, se assumessimo, come più volte scritto, la difesa e l’attuazione integrale della Costituzione, ritengo che ogni altra residua polemica  sul “guardare a sinistra”, come partito di centro, dovrebbe essere razionalmente superata, assunta  l’alternatività alla deriva nazionalista e populista alla base tanto del Manifesto Zamagni che del patto della Federazione Popolare dei DC.

A quel punto sorge il problema della classe dirigente. Sono sempre contrariato ogni volta che vecchi arnesi della politica della Prima Repubblica, come molti o quasi tutti di noi siamo, si ergono a giudici implacabili di amici che in quella stagione, furono esponenti di rilievo spesso alla pari di coloro che oggi assumono il ruolo di giustizieri. La verità è che quasi nessuno della nostra generazione, la quarta della DC, ha più i titoli e l’attendibilità di porsi come espressioni credibili di leadership di un nuovo soggetto politico, per il quale serve una nuova classe dirigente.

Concordato il programma, spetterà all’assemblea costituente del nuovo soggetto politico decidere il gruppo dirigente che, ci auguriamo sia composto soprattutto da una nuova generazione di leader politici.

Credo, tuttavia, che non sia blasfemo ritenere che in un nuovo soggetto politico di centro: laico, democratico, popolare, riformista, europeista, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori, alternativo alla deriva nazionalista e populista, e alla sinistra senza identità,  una persona come Giuseppe Conte, possa svolgere un ruolo positivo, come sembra emergere anche dal giudizio che molti cittadini ed elettori stanno esprimendo nei confronti di questo giovane avvocato fiorentino, catapultato in politica e costretto ad affrontare problemi mai affrontati prima d’ora da alcun leader della Repubblica, dal tempo di De Gasperi. Un capo di governo, che, nella “debolezza” complessiva,  tranne qualche eccezione,  dei componenti del governo, appare ogni giorno di più come “ il miglior fico del bigoncio”.

Nessuno vuole iscriverlo alla storia gloriosa e/o sic et simpliciter alla tradizione della DC, operazione illogica e impossibile, ma ritenerlo adeguato a concorrere con tutti noi nella costruzione di un nuovo soggetto politico del tipo di quello connotato, a me sembra un’idea per niente stravagante, anzi da coltivare con attenzione.

Ettore Bonalberti 

Venezia, 4 Aprile 2020

 


Il popolarismo è la proposta per una nuova speranza del Paese

 

Confesso che ho sempre letto gli editoriali del prof Angelo Panebianco con  molto interesse e frequente condivisione della sua coerente posizione laico liberale, ma non posso esimermi dal contestare la caduta laicistica della sua ultima nota sul Corriere del 27 Marzo scorso.

 

Ragionando sulle prospettive del “dopoguerra” della pandemia del Coronavirus, Panebianco evidenzia nella “zavorra burocratica e nell’ideologia pauperista” le “magagne” che contrasteranno l’auspicata ripresa. Tra le zavorre dell’ideologia pauperista Panebianco, riproponendo una tesi cara a un vecchio liberalismo d’antan, colloca le “ pulsioni di un certo cattolicesimo politico”.

 

E’ una tesi che ogni tanto ritorna, come ci insegnava il compianto Sandro Fontana, quella secondo cui i cattolici hanno rappresentato una sorta di incidente della storia, che avrebbe impedito il libero dispiegarsi delle idee liberali che, da Cavour e Minghetti, si infransero con la fine dell’età giolittiana e l’avvento del fascismo.

 

Mal sopportarono quei laicisti alla fine della seconda guerra mondiale: “L’avvento di De Gasperi” ( titolo dell’ultimo saggio di Leo Valiani), ossia dell’assunzione da parte del partito espressione dell’unità politica dei cattolici democratici e dei cristiano sociali, della guida dell’Italia.

 

Lucio D’Ubaldo con un bell’articolo sulla rivista on line “Formiche”, ha replicato con molto equilibrio ed efficacia, rivendicando il ruolo che i cattolici democratici hanno esercitato con la DC negli oltre quarant’anni di egemonia politica in Italia.

 

Da parte mia, tra gli eredi della migliore tradizione cristiano sociale, quella che da Miglioli, Pastore, Labor  e Donat Cattin, ha costituito la componente storica della sinistra sociale della Democrazia Cristiana, rivendico interamente il ruolo che abbiamo svolto nella difesa del lavoro e  dei lavoratori in particolare, in conformità ai principi di solidarietà e sussidiarietà della dottrina sociale cristiana, cui abbiamo ispirato la nostra  azione politica. Non a caso lo statuto dei lavoratori è frutto dell’impegno del socialista Brodolini prima e di Carlo Donat Cattin.

 

Vorrei chiedere al prof Panebianco, anche alla luce di quanto stiamo verificando in questi giorni di drammatica pandemia, che ha mostrato tutti limiti e gli errori accumulati in molti anni della politica italiana, come pensa possa essere  ricostruito un nuovo credibile assetto del sistema italiano, nell’attuale deserto delle culture politiche?

 

Nell’età della globalizzazione, quella in cui, come scrive il Prof Zamagni, è stato rovesciato il principio del NOMA ( Non Overlapping Magisteria) e la finanza è diventata il fine subordinando ad essa l’economia reale e la politica, ridotte al ruolo ancillare ed esecutivo  della finanza che persegue un unico obiettivo : il profitto, quale pensa possa essere la risposta ai problemi drammatici che ci troveremo ad affrontare all’indomani di questa tragica guerra pandemica?

 

Fallita l’utopia di una cultura liberista che, nella realtà presente è sfociata nel trionfo del turbo capitalismo finanziario; distrutta l’antitesi utopica e profetica del comunismo, alla fine ridottosi nelle attuali formule dittatoriali cinesi e autoritarie delle oligarchie russe, la risposta più avanzata e credibile ancora una volta ai problemi della globalizzazione viene dalla dottrina sociale cristiana. Come per i nostri padri: Sturzo, De Gasperi, La Pira, Moro, Fanfani, Donat Cattin e Marcora e molti altri, furono la “ Rerum Novarum” di Leone XIII e la “ Quadragesimo Anno” di Pio XI, le stelle polari della loro azione politica, così per la nostra generazione formata dal Concilio Vaticano II, dalle encicliche giovannee ( Mater et Magistra e Pacem in Terris) e di San Paolo VI ( Humanae Vitae e Populorum Progressio),  così ancora per noi e per le nuove generazioni dei cattolici, viene ancora dalla dottrina sociale della Chiesa il supporto per inverare nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali in essa indicati.

 

Nell’attuale deserto delle culture politiche, mentre altri navigano a vista senza orientamento, la nostra bussola che ci indica la strada, la troviamo negli insegnamenti degli ultimi pontefici. Dalla Centesimus Annus di San Papa Giovanni Paolo II, alla Caritas in veritate di Benedetto XVI, alle ultime: Evangelii Gaudium e  Laudato Si di Papa Francesco.

 

Condivido la constatazione dell’assenza di un centro oggi in Italia e, come ripeto da qualche tempo,  anche per noi eredi della sinistra sociale DC l’obiettivo è il come tradurre i principi della dottrina sociale cristiana nella realtà politica  e istituzionale, al fine di realizzare quell’equilibrio tra interessi e valori, che è il compito primo della politica, “ la più alta forma di carità” secondo il Santo Padre Paolo VI.

 

Tanto nella Federazione Popolare dei DC, che tra gli amici raccolti attorno al Manifesto Zamagni; tra quelli di Costruire Insieme e quelli di Politica Insieme, oltre alle numerose associazioni, gruppi e movimenti della vasta galassia cattolico popolare, credo sia comune la volontà di concorrere alla costruzione di un nuovo soggetto politico di centro:  laico, democratico, popolare, riformista, europeista, ispirato ai valori della dottrina sociale cristiana, inserita a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori DC e popolari: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman, alternativo alla deriva nazionalista e populista e alla sinistra senza identità. Massima disponibilità a collaborare con chi assuma come programma: la difesa e la completa attuazione della carta costituzionale, compresi quanti di area liberale e riformista si riconoscono crocianamente nei  valori dell’umanesimo cristiano.

 

E questo è l’obiettivo che la mia generazione intende consegnare ai giovani dell’area cattolica, che intendano assumere il testimone della migliore tradizione politica e culturale del popolarismo italiano, offrendosi come nuova classe dirigente credibile al Paese per una nuova speranza.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 30 Marzo 2020

 

 

E’ finita la tregua?

 

Ruyard Kipling  sul carattere degli italiani scriveva: Un italiano: un bel tipo. Due italiani: un litigio. Tre italiani: tre commissioni costituenti”. Scoppiata la pandemia, in realtà, il comportamento di tutto il Paese è stato encomiabile, così come continua ad esserlo, non solo al fronte ospedaliero, dove operano persone al limite del sacrificio estremo, ma anche da parte della stragrande maggioranza della popolazione.

 

Anche le forze politiche, per quasi un mese, hanno dimostrato un elevato senso di appartenenza, sforzandosi di assumere comportamenti di forte unità di intenti rispetto all’avversario comune, rappresentato da un nemico subdolo, largamente sconosciuto, sfuggente e capace di colpire in silenzio senza possibilità di catturarlo.

 

Viviamo una condizione già istituzionalmente precaria, con una maggioranza frutto del trasformismo politico che ha caratterizzato tutta la legislatura, dopo il voto dell’ 4 Marzo 2018, vista l‘impossibilità di costruire un governo espressione del voto popolare. Una condizione  aggravata dalla “crisi del Papeete” aperta da Salvini, da cui si è usciti con una diversa coalizione di governo, l’attuale giallo-rossa a guida dello stesso presidente del Consiglio Conte, votato dal parlamento, al di fuori di una legittimazione di voto popolare che, per il suo ruolo, come è noto, non è previsto dalla nostra carta costituzionale.

 

Era prevedibile che, dopo un mese di informali e ufficiali comunicazioni e  incontri tra il capo del governo e il trio del centro-destra Salvini-Meloni-Berlusconi/Taiani, alla fine qualcosa si sarebbe incrinato; anche per la pressione che al governo veniva dai governatori delle Regioni del Nord a guida leghista, come quelle di Lombardia, Veneto e Friuli V.Giulia , insieme alle restanti regioni padane, quali il Piemonte e l’Emilia Romagna, ossia quelle più colpite dal virus pandemico.

 

Non sono mancati nel governo: ritardi, irresponsabili fughe di notizie e un sistema di comunicazione complessivamente inefficiente, che hanno raggiunto il culmine l’altra notte con la dichiarazione alla TV resa da Conte sul decreto in atto da oggi, sulla chiusura in campo nazionale delle attività produttive non collegate/bili ai quattro grandi settori strategici del Paese: agro-alimentare, farmaceutico-sanitario, energia e trasporti. I settori che ci garantiscono di non mettere a terra completamente l’Italia. Una comunicazione anticipata su facebook, ripresa da un canale TV straniero, riversata in Italia, prima ancora che il decreto fosse stato formalmente redatto nella sua versione definitiva.

 

Matteo Salvini, d’altronde, che da ministro si era reso responsabile con i suoi atteggiamenti e comportamenti del più grave isolamento dell’Italia in campo europeo, sin dai primi provvedimenti del governo , smessa  la felpa di circostanza, ora sempre in abito scuro, camicia e cravatta, da aspirante premier, abbandonati i toni truculenti d’antan, è diventato “ il signor più uno”. Qualunque cosa decida il governo, lui ne spara sempre una  più grossa.

 

Per diversi giorni, i suoi colleghi di partito  Fontana e Zaia, quotidianamente consultati dal governo centrale, si sono comportati in linea con le decisioni di Roma, ma giunti a dover assumere le posizioni più drastiche, come da loro da sempre richieste, qualcosa si è rotto, e da questo momento rischiamo di corrispondere ai giudizi sopra citati di Kipling sugli italiani.

 

Sta avvenendo anche tra di noi DC e Popolari, all’interno dei quali, riemergono le posizioni storiche di contrapposizione tra sostenitori di politiche di centro-destra e/o di centro-sinistra.

Sin dall’inizio avevo sperato che prevalesse il buon senso e tutti rispettassimo quell’elementare regola della guerra: in corsa non si cambia il conducente, invitando gli amici a stringerci attorno al governo secondo il principio: “right or wrong my country”, mettendo innanzi tutto davanti a noi, l’esigenza di combattere insieme contro il subdolo e inafferrabile  nemico comune, rinviando alla fine della pandemia, il ritorno alla normale dialettica politica.

 

Quando si devono assumere, come accade adesso in Italia e per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, provvedimenti restrittivi delle libertà personali e persino inerenti alla sopravvivenza di intere filiere produttive, tenendo presenti, da un lato, le sacrosante ragioni di sicurezza invocate da  sindacati per i lavoratori, e, dall’altra, le altrettanto comprensibili ragioni indicate dagli imprenditori, è ovvio che risulti quanto mai difficile realizzare sintesi ragionevoli e condivise da tutti.

 

Se poi, come accade oggi, assistiamo a una divergenza di decisioni tra decreto nazionale valido per tutto il Paese e decreto regionale lombardo, rivendicato da Fontana come prevalente per il suo territorio, è evidente che è l’intero assetto istituzionale dell’Italia che è messo in discussione. Il tutto aggravato dal conflitto di competenze introdotto dalla pasticciata modifica del Titolo V della Costituzione  tra materie di competenza esclusiva e concorrente tra Stato e Regioni.

 

Si aggiunga che al conflitto apertosi tra Stato e Regione Lombardia è aperto quello tra governo e opposizione, che, in queste ore, ha richiesto udienza al presidente della Repubblica rivendicando, da un lato doverosamente, il mantenimento dell’apertura illimitata del Parlamento, luogo del confronto e del controllo democratico dell’azione di governo, e, dall’altro, un coinvolgimento diretto della stessa opposizione nelle decisioni del governo.

 

Non sono mancati coloro  che hanno chiesto un cambio della guida di governo, con l’affidamento della stessa a una coalizione unitaria di emergenza a Mario Draghi, come garanzia di maggiore efficienza ed efficacia anche sul piano internazionale.

 

A parte le difficoltà, anche solo temporali, che un cambio di governo richiederebbe, pur sfrondando le procedure dai liturgici passaggi della prassi costituzionale, io credo che quanto il governo Conte ha saputo sin qui acquisire dall’Unione europea (stante anche lo sviluppo della pandemia in tutto il continente)  ossia: fine del fiscal compact, possibilità di superare i vincoli di bilancio e, in attesa che la riunione di oggi dei vertici economico finanziari dell’UE decidano sul possibile utilizzo del MES e/o emissione di corona bond e dopo quanto ha già deciso la BCE ( “ whatever it takes”), non credo si possa pretendere di più.  Mario Draghi, semmai, servirebbe come commissario straordinario dell’UE nella gestione della crisi economica connessa alla pandemia.

 

In sintesi: resto dell’idea che mentre si è in guerra non si debba cambiare la linea di comando. Al governo e a Conte, in particolare, andrebbe consigliato di cambiare registro e  consulenti  in materia di comunicazione.  Andrebbe poi ricercata, nell’oggettiva difficoltà del pasticcio istituzionale esistente, l’unità di intenti della prima ora tra Stato e Regioni, garantendo nel contempo, come assicurato dai presidenti Casellati e Fico, il funzionamento normale delle Camere, mentre a noi cittadini il dovere di rispettare, come stiamo facendo da un mese, tutte le prescrizioni del governo.

 

Infine, rivolgo un invito l’ennesimo appello a tutti noi DC e Popolari italiani, a ritrovare il massimo di unità, tentando di dar vita a un soggetto politico nuovo di centro democratico, popolare, riformista, europeista, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno tiolo nel PPE, alternativo alla deriva nazionalista e populista e alla sinistra senza identità.

 

A noi DC e Popolari, come nel 1945-48, con De Gasperi, furono quelli che garantirono a un Paese distrutto dalla guerra la guida per la ricostruzione, così, dopo le macerie che ci lascerà questa pandemia, spetterà il compito di concorrere a offrire al Paese una nuova speranza

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF

Direzione nazionale DC

Comitato provvisorio Federazione popolare DC

Venezia, 23 Marzo 2020

 

 

 

 

Perché l’area padana?

 

A un mese dallo scoppio della pandemia nel nostro Paese e ancora lontani dal raggiungimento del picco della diffusione del contagio, alla luce dei dati annunciati dal bollettino quotidiano della protezione civile, sorge spontanea una domanda: perché il virus è attecchito e si è propagato con straordinaria virulenza nell’area padana? Perché, soprattutto, la mortalità ha assunto in aree come quella bergamasca e bresciana valori elevatissimi quali non si sono riscontrati nella Cina e Corea del Sud?

 

Al primo quesito, sconosciuto il paziente zero del virus, irrisolto il rebus se sia ascrivibile a qualche uomo d’affari lombardo proveniente da un viaggio nella Cina o da un contatto di qualche operatore lombardo con qualcuno contagiato  della Baviera, dove si presume sia iniziata la diffusione del virus in Europa, sarà compito di future indagini fornire una risposta che  lasciamo alla competenza degli specialisti.

 

Quanto all’elevatissima diffusione in zone come quella bergamasca e bresciana, se è ragionevole pensare che sia legato alla particolare conformazione di quelle aree, caratterizzate da un continuum di città e paesi senza quasi soluzione di continuità, ricche di un tessuto socio economico e produttivo tra i più dotati nel mondo di piccole e medie imprese, ciò che lascia interdetti è l’elevata mortalità che in esse si riscontra, tanto che, da due giorni, abbiamo superato il numero dei morti denunciati in Cina e nella Corea del Sud.

 

Controllo sistematico della mobilità dei cinesi, ridotti da un regime autoritario alla condizione di distretto militarizzato a Hubei e nella città di Whuan, o grazie all’utilizzo di un’ applicazione informatica in dotazione alle autorità in Cina come nella più democratica Corea del Sud, in grado di controllare l’esatta posizione di ogni cittadino rispetto ai potenziali “untori”;  ossia condizioni assolutamente lontane da quelle praticabili e concretamente sin qui gradualmente attivate nell’ Italia democratica, a partire proprio dalle prime “zone  rosse” del contagio, penso che, tuttavia,  non siano ragioni sufficienti a spiegare il divario nel tasso di letalità del virus dall’estremo oriente alla Padania.

 

Valgono certamente le ragioni di una popolazione più vecchia presente in Italia rispetto alla Cina e alla Corea, con evidenti condizioni di salute peggiori degli anziani rispetto ai giovani; considerato che la percentuale più alta di deceduti è da noi nella fascia 65 anni in su , rispetto a quella dei 45 anni nelle aree orientali. Credo, però, che nell’area padana si debba tener conto anche della variabile inquinamento ambientale.

 

Non so se la cremazione immediata dei deceduti sia dovuta a ragioni oggettive sanitarie per eliminare del tutto il virus o, molto più praticamente, per le difficoltà di sepolture normali nei cimiteri e in assenza delle normali cerimonie funebri, certo è che, con quelle cremazioni si rende impossibile effettuare le autopsie solo dalle quali si potrebbero accertare le cause vere o prevalenti di quei decessi.

 

Le mancate autopsie e le conseguenti possibili errate attribuzioni delle cause di morte portano ad aumentare in maniera elevata il grado di letalità del  corona virus.

 

Si muore, com’ è appurato dagli esperti sanitari,  per mancanza di ossigenazione, accertato che uno degli effetti del virus è di intaccare i tessuti dei bronchi e dei polmoni provocando delle polmoniti virali che richiedono il ricovero in terapie intensive e l’utilizzo di apparecchiature speciali di forzata ventilazione e ossigenazione controllata. Apparecchi di cui, almeno sin qui, solo una o poche ditte in Italia sono in grado di produrre e viste le chiusure autarchiche che ciascun Paese sta facendo delle proprie aziende produttrici di questi strumenti.

 

In questo momento, posto che vi saranno  decine di migliaia di  persone ricoverate con terapia intensiva negli ospedali italiani, che comprendono  non solo i circa 3.000 intubati , ma anche tutti coloro che hanno avuto necessità di maschera facciale per l'ossigeno, che é un apparecchio mobile  che viene portato al letto del paziente con difficolta respiratorie, sappiamo che alla data del 19 marzo, dato del Ministero della Salute, solo 2.498  di queste decine di migliaia sono  anche positivi al tampone.

 

Questo proverebbe  inequivocabilmente che tutti questi ricoveri in terapia intensiva sono dovuti in prevalenza all'inquinamento ambientale. Suona molto strano poi che chi muoia  in terapia intensiva venga subito cremato. La cremazione, come detto, impedisce di effettuare la autopsia  per accertare che non avesse invece i polmoni corrosi dallo smog. E' necessario pertanto che le autorità  accertino quante persone sono ricoverate oggi in Italia non  positivi al tampone, ma con difficolta respiratorie e tosse secca;  ogni eccedenza proverebbe che si tratta di ricoveri per inquinamento ambientale. Credo che il tema delle immediate cremazioni dei cadaveri e delle mancate autopsie dovrebbe essere posto all’attenzione delle autorità competenti e non solo e non certo per mere esigenze statistiche.

 

Dati Arpa Lombardia: da 11 anni  PM 10 e benzyl sono oltre il doppio della  soglia limite  da ottobre a gennaio, con picco dell' oltre soglia a febbraio, guarda caso che coincide con il picco dei ricoveri in terapia intensiva. Studi dell'Istituto Italiano Tumori sono chiarissimi nel merito: dopo 10 anni di esposizione al catrame (respirato dall'aria inquinata da gas di scarico delle auto e degli inceneritori) i sintomi sono tosse secca persistente, febbre alta e dispnea (difficolta respiratoria), insomma gli stessi   imputati al coronavirus.  Temo che corona virus e inquinamento ambientale concorrano a determinare l’alta mortalità nella pandemia che sta sconvolgendo la vita dell’area più produttiva dell’Italia.

 

In conclusione: dobbiamo certamente osservare scrupolosamente le regole che governo e autorità locali ci impongono e combattere in tal modo il flagello virale di questo inizio secolo, ma anche riconsiderare seriamente le cause di un inquinamento ambientale di cui solo noi uomini, con i nostri comportamenti personali e sociali, siamo responsabili.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF

 

Venezia, 21 Marzo 2020


Lettera agli amici DC e Popolari

Cari amici,

quanto sta avvenendo ci impone una riflessione seria e approfondita non solo su ciò che é avvenuto e stiamo vivendo, ma anche su ciò che si dovrà affrontare quando la pandemia sarà stata superata.  Di positivo c’é la constatazione  che un microscopico virus ha messo in crisi il mondo con tutte le sue false certezze. La nostra gente ha reagito bene e sono riemersi i valori della solidarietà organica propri di una comunità.

Dovremo analizzare bene questa nuova situazione e interpretarla alla luce della dottrina sociale cristiana per proporre soluzioni adeguate interne e internazionali, degne della nostra migliore tradizione politico culturale. Intanto però concorriamo seriamente alla ricomposizione dell’area cattolico democratica e cristiano sociale, premessa indispensabile per un ritorno del nostro pensiero politico nelle istituzioni. Certo servono nuovi chierici perché noi siamo ormai dei celebranti "vecchi e stantii" ( come direbbe Carlo Donat Cattin). Una lettura dell’attuale “realtà effettuale” alla luce della dottrina sociale cristiana comporta di tornare alle coordinate essenziali del nostro pensiero: dall’Humanae Vitae, alla Populorum Progrexio, dalla  Centesimus Annus, alla Caritas in veritate sino alle ultime di Papa Francesco: Evangelii gaudium e Laudato si.

Una cosa é certa, la pandemia ha distrutto ogni residua velleità sovranista e nazionalista, imponendo una visione inevitabilmente universalista del mondo. Da soli, come singole nazioni o continenti, di fronte a una pandemia non si va da nessuna parte e si rischia di assumere posizioni contraddittorie e divergenti, come quelle sino a ieri propagandate nel Regno Unito o negli stessi USA che, alla fine, hanno dovuto arrendersi alla realtà dei fatti.

Certo servirà un profondo riesame della governance mondiale a partire dall’ONU e dagli organismi ad essa collegati. Così come una profonda riforma si dovrà realizzare nel nostro continente all’interno dell’Unione europea, che dovrà sottrarsi all’attuale condizionamento dei poteri finanziari internazionali che controllano Banche centrali e BCE. L’annunciata fine del fiscal compact ( illegittimo in quanto contrastante con i Trattati europei) e il superamento della follia dell’obbligo del pareggio  di bilancio scritto in Costituzione ( frutto avvelenato del governo Monti) sono i primi passi di una riforma della governance e delle politiche economiche europee da armonizzare nei diversi Paesi per un’Europa federale degli stati, con poteri decisivi deliberanti affidati a un Parlamento europeo, unico istituto europeo di diretta elezione popolare.

Anche in Italia dovremo accelerare il progetto-processo della ricomposizione dell’area cattolico democratica e cristiano sociale per non lasciare le istituzioni nelle mani di improvvisati gestori, espressione della peggiore cultura qualunquistica come quella derivata dal “vaffa…” o da una sinistra senza più identità, o a una deriva nazionalista e populista, promotrice solo di divisioni interne e internazionali e di una destra nazionalista lontana da quali valori di solidarietà organica che sono riemersi prepotentemente in questi giorni di dolore e di sofferenza.

Mai come oggi é apparsa in tutta la sua verità la crisi di sistema dell’Italia: abbiamo da molti, troppi anni trascurato sanità, ricerca scientifica, cultura, scuola, università; materie che assumeranno priorità immediata. Anche la costruzione Stato-Regioni, aggravata dalla pasticciata riforma del Titolo V dovrà essere ripensata. Continuo a credere a una soluzione come quella indicata a suo tempo dal prof Miglio di un’Italia federale con forte potere centrale organizzata in quattro o cinque macro regioni. Valuto positivamente la ripresa di un rapporto di fattiva collaborazione tra sindacati dei lavoratori e associazioni degli imprenditori e credo necessario ripristinare quel corretto rapporto tra i diversi livelli di rappresentanza dei corpi sociali intermedi secondo i principi di solidarietà e sussidiarietà indicati dalla nostra cultura cattolica.

Insomma è un’ampia agenda politica, economica e sociale, nella quale, dopo questa splendida esperienza offerta dal volontariato italiano, il tema di una nuova politica per il terzo settore si imporrà per non lasciare alla solita capacità di improvvisazione italica il compito di affrontare le emergenze.

Guai se da quanto ci sta accadendo non sapessimo derivarne gli insegnamenti doverosi e pensassimo di tornare ai riti di prima nei quali le stravaganti improvvisazioni dei Renzi o dei Salvini, hanno finito con l' occupare la scena politica.E’ un compito che dovremo affrontare noi “DC non pentiti” per primi insieme a tuti gli altri amici che sono impegnati sul medesimo obiettivo, sperando che nuovi attori giovani sappiano assumere quel ruolo di protagonisti, che non spetta più a noi vecchi, che dovremo svolgere solo il compito di traghettatori e consiglieri generosi e disinteressati, scevri di qualsivoglia residua e anacronistica ambizione personale.

Mi auguro che vogliate partecipare a questo confronto e, intanto, con l’aiuto di Nostro Signore, speriamo che la pandemia finisca presto.

Un caro saluto 
Ettore Bonalberti
Venezia, 18 Marzo 2020



Pubblichiamo la lettera pubblicata su Avvenire del 16 Marzo a firma di Francesco Ognibene

 

Coronavirus. Associazioni e parlamentari cattolici: noi col Papa, vicini ai vescovi


lunedì 16 marzo 2020

 

E' una lettera aperta che esprime piena adesione ai gesti e alle parole di Francesco e appoggio alle difficili scelte dei vescovi italiani quella diffusa da 37 realtà associative e 17 politici.

È una “lettera aperta” di “semplici fedeli legati da una traccia di amicizia operosa nella Fede cristiana, impegnati in opere sociali o in un reciproco aiuto per il bene comune” quella che, con la firma di 37 associazioni cattoliche e di 17 parlamentari (in carica o ex), esprime piena unità al Papa e sostegno ai vescovi italiani per le difficili (e non sempre comprese) scelte che hanno dovuto assumere in questa emergenza per il coronavirus.

“Nella grave prova di questi giorni percossi dal contagio virale – si legge nel documento, intitolato ‘Perché sia accolta anche l’emergenza dello spirito’ - desideriamo umilmente esprimere, con ancora maggiori verità e struggimento, gratitudine e sequela al Santo Padre e alla Chiesa”. A nome proprio o delle sigle associative di differente sensibilità e fronte di impegno, i firmatari affermano che sono anzitutto di “grande aiuto il gesto di offerta dell’Italia alla Madonna del Divino Amore che papa Francesco ha voluto compiere l’11 marzo e il suo pellegrinaggio del 15 marzo per le vie di Roma per pregare la Salus Populi Romani e il Crocefisso della chiesa di San Marcello al Corso, indicandoci la possibilità di una adeguata - seppur vertiginosa- posizione umana per stare di fronte alle drammatiche circostanze attraverso cui il Mistero ci provoca”.

Evocando l’impegno di molte realtà e personalità firmatarie contro il suicidio assistito, sfociato nei mesi scorsi in iniziative e documenti pubblici, il testo ricorda che la faticosa e spesso dolorosa esperienza della crisi che stiamo attraversando richiama l’attenzione di tutti sul “valore fondamentale della vita e di quel suo senso costitutivo di appartenenza di cui ora percepiamo la mancanza fisica, ma di cui dovremmo sempre stupirci come un ‘miracolo, un effetto esclusivo della Grazia’ (Albert Camus, Il primo uomo)”.

Ma promotori e sostenitori della presa di posizione pubblica, particolarmente significativa mentre non cessano le uscite polemiche di personaggi anche assai noti nel mondo cattolico contro la presunta arrendevolezza della Chiesa alle disposizioni sanitarie delle autorità pubbliche, vogliono anche dirsi esplicitamente “vicini ai Vescovi italiani, che hanno testimoniato una non scontata assunzione di responsabilità per sostenere la lotta contro la pandemia, accettando il sacrificio più grande, la rinuncia cioè alla condivisione dell’Eucarestia, quel Gesto che rende possibile il cammino stesso della ‘nuova creatura’ rifatta dalla potenza di Dio. E ciò affinché il Sistema sanitario nazionale regga e rifugga da quella ‘globalizzazione dell’indifferenza’ da cui ci ha messo in guardia papa Francesco, ove la singola persona può divenire secondaria nell’enorme e necessario sforzo di salvare la tenuta complessiva”.

È la dimostrazione della piena consapevolezza di larga parte della base cattolica verso decisioni difficili. Che impongono duri scarifici ma che guardano all’interesse collettivo, alla salute di tutti, mostrando che la Chiesa è pronta a fare sempre la sua parte per la costruzione della città dell’uomo specie in momenti tanto angosciosi: “Dobbiamo scongiurare ogni - seppur inconsapevole - selezione dei malati, perché praticare criteri di esclusione di persone dalle cure solo per considerazioni probabilistiche -per esempio in base all’età - significherebbe considerare la vita dei più vulnerabili meno degna, escludendo nei loro confronti ogni forma di solidarietà”.

L’impegno spirituale non è secondario, anzi: “Per educarci a questa sensibilità – scrivono ancora i firmatari -, soprattutto nei drammatici momenti che viviamo, inviteremo tutti al ‘Rosario per il Paese’ convocato dalla Cei il prossimo 19 marzo e guardiamo ogni giorno con gratitudine al commovente esempio di dono di sé sia di tanti medici e infermieri sia di pastori e sacerdoti, che nelle comunità territoriali cercano - nel più rigoroso rispetto degli standard di sicurezza indicati – ‘i migliori mezzi per aiutare’ i più deboli (papa Francesco), specie coraggiosamente amministrando il conforto dei sacramenti ai malati o portando l’Eucarestia ‘a quanti sono impediti di partecipare alla celebrazione’ (Canone 918) o proponendo forme di preghiera e di vicinanza ‘a uno a uno’, anche usando mezzi telefonici e web, con ciò dando prova - per ricorrere alle categorie del Dpcm 8.3.20 - di quanto l’uomo abbia ‘necessità’ spirituali al pari di quelle materiali. Cosicché la distanza fisica cui siamo costretti non abbia a significare rottura delle relazioni e dell’appartenenza”.

L’impegno associativo, sociale e politico maturato su diverse frontiere fa sentire tutti quelli che hanno dato vita all’appello “impegnati a comprendere e accogliere quanto ci viene e ci verrà chiesto per la salute pubblica. Siamo quindi incoraggiati da questi esempi – conclude la lettera - a dare anche noi voce e coscienza pubbliche a un’emergenza parallela a quella specificatamente sanitaria, che deve diventare sempre più centrale nell’affrontare i giorni che ancora ci aspettano: l’emergenza dello spirito, spirito che, in ciascuno senza distinzione alcuna e soprattutto nella fragilità, nella malattia e ancor più nel morire, implora di non essere ‘lasciati soli’ (papa Francesco)”.


Per aderire alla lettera aperta: info@polispropersona.com

Ecco l’elenco dei firmatari, in ordine alfabetico.

Mirco Agerde (Movimento Regina dell’amore), Arturo Alberti (Ass. Il Crocevia), Stefano Bani (Forum Cultura Pace e Vita Ets), Dino Barbarossa, Andrea Mazzi (Comunità’ Papa Giovanni XXIII), Roberto Bettuolo (Ass. L’albero), Paola Binetti (senatrice, XVIII), Ettore Bonalberti (Ass. Liberi E Forti), Maurizio Borra (Ass. FamigliaSI), Paolo Botti (Ass. Amici di Lazzaro), Antonio Buonfiglio (deputato, XVI), Tonino Cantelmi (Aippc – Ass. Italiana Psicologi E Psichiatri Cattolici), Marina Casini (MPV - Movimento Per La Vita Italiano), Anna Catenaro (Avvocatura In Missione), Jacopo Coghe (Ass. Pro Vita & Famiglia), Alessandro Comola, Augusto Bagnoli e Giancarlo Infante (Ass. Politicainsieme), Marco D’Agostini (Ass. naz. Pier Giorgio Frassati), Fabio De Lillo (Ass. Cuore Azzurro), Stefano De Lillo (senatore, XVI), Emmanuele Di Leo (Ass. Steadfast Onlus), Lucio D’Ubaldo (Ass. Rete Bianca), Giovanni Falcone (deputato, XVII), Marco Ferrini (Centro internazionale Giovanni Paolo II e per il magistero sociale della Chiesa), Elena Fruganti (Ass. Esserci), Benedetto Fucci (deputato, XVII), Giovanni Gut (MCL-Movimento Cristiano Lavoratori), Sara Fumagalli (Ass. Umanitaria Padana), don Gianni Fusco (Confederazione internazionale del clero), Massimo Gandolfini (Ass. Family Day- Difendiamo I Nostri Figli), Gianluigi Gigli (deputato, XVII), Marco Invernizzi (Alleanza Cattolica), Antonella Luberti (Ass. Cerchiamo il Tuo volto), Diego Marchiori (Ass. Vivere Salendo), Mario Mauro (senatore, XVII), Domenico Menorello (deputato, XVII, Osservatorio parlamentare «Vera lex?»), Giorgio Merlo (deputato, XVI), Francesco Napolitano (Ass. Risveglio ), Alessandro Pagano (deputato, XVIII), Antonio Palmieri (deputato, XVIII) Riccardo Pedrizzi (deputato, XVI, Presidente Comitato scientifico UCID), Maurizio Perfetti (Collatio.it), Simone Pillon (senatore, XVIII), Giovanni Pirone (Ass. Etica & Democrazia), Massimo Polledri (deputato, XVI), Gaetano Quagliariello (senatore, XVIII), Carlo Ranucci (Ass. Convergenza cristiana 3.0), Eugenia Roccella (deputato, XVII), Gianluca Rospi (deputato, XVIII), Maurizio Sacconi (senatore XVII), Luisa Santolini (deputato XVI), Ivo Tarolli (senatore, XIV; Ass. Costruire Insieme), Olimpia Tarzia (Movimento Per: Politica; Etica, Responsabilità), Giorgio Zabeo (Circoli insieme), Germano Zanini (Ass. Rete Popolare), Peppino Zola (Ass. Nonni 2.0)

 

Non siamo ancora al picco

 

Hubei è una provincia centrale della Repubblica Popolare cinese di circa 60 milioni di abitanti e la città - prefettura  di Wuhan, capoluogo di Hubei, ha una popolazione di poco più di 11 milioni di abitanti.

 

Trattasi dunque di un campione numericamente simile al dato della popolazione italiana (60 milioni) e a quello delle due Regioni italiani più colpite : Lombardia e Veneto con poco meno di 13 milioni di abitanti.

 

 La Cina ha registrato una sensibile diminuzione del numero di nuovi casi. Ieri, infatti, ha registrato  22 nuovi decessi da coronavirus, livello più basso mai registrato dall'inizio della raccolta dei dati sull'epidemia avviata a gennaio. Negli ultimi aggiornamenti, la Commissione sanitaria nazionale (Nhc) ha riferito che i contagi aggiuntivi si sono attestati a 40, tutti nell'Hubei, la provincia epicentro della crisi, mentre nessuno, per il secondo giorno di fila, nel resto del Paese. I contagi sono saliti e 80.735, i morti a 3.119 e i guariti saliti al 72%, pari a 58.600 (+1.535 solo ieri). Infine, altri 4 casi di infezioni importate, per totali 67.

 

In Italia, invece, l’andamento della pandemia è in crescita e sembra ancora lontano il picco della curva di distribuzione normale. Stasera la protezione civile, alle ore 18, ha comunicato un incremento dei casi del 25% rispetto alla giornata di Domenica 8 Marzo e la curva della distribuzione normale appare tuttora in crescente salita.

 

In Cina, però, dalla mezzanotte del 12 febbraio nel distretto di Zhangwan a Shiyan è vietato per chiunque uscire di casa. Nella provincia di Hubei, dove si trova la città focolaio dell'epidemia di coronavirus, Wuhan, come nel resto nelle zone colpite del Paese, tutti gli edifici devono rimanere completamente chiusi per ridurre i movimenti delle persone e quindi i rischi di contagio. I quartieri, riferiscono i residenti, sono sorvegliati da guardie. "Non ha un grande impatto sulla nostra vita, tranne per il fatto che non ci è permesso uscire", dichiara un'abitante dell'area Xu Min. Secondo le autorità i comitati di vicinato locali distribuiscono i generi di prima necessità a orari prestabiliti e a prezzi fissi e aiutano i residenti ad acquistare medicinali se sono strettamente necessari.

 

La “guerra del popolo al coronavirus” in Cina passa anche dall’intelligenza artificiale. Dal 2017 il paese ha sensibilmente aumentato gli investimenti nelle tecnologie sanitarie, soprattutto in campo diagnostico. Da una piattaforma condivisa di imaging medico a un robot intelligente (qualificato dall’ordine dei medici cinese), sono diverse le tecnologie che sono state messe in atto per contenere l’epidemia. Tra gli altri, un software che sta aiutando grandi città come Shenzhen e Chongqing a prevedere i numeri del contagio con un grado di accuratezza di oltre il 90%.

 

In Italia, invece, come abbiamo visto dai documenti televisivi sulla movida ai Navigli di Milano o nelle vie di Napoli, continua  incontrollato l’assembramento di persone, nel totale disinteresse dei giovani dell’aperitivo, convinti di essere immuni dal contagio. I decreti del governo sembrano essere assunti come le “ grida manzoniane” al tempo della peste a Milano.

 

I nostri ospedali, dove operano instancabilmente i medici  e gli infermieri, le sale attrezzate per le cure di rianimazione, specie in Lombardia (la regione sin qui più colpita dal virus) sono al limite della capacità operativa. Si rischia davvero che il numero dei casi dei contagiati positivi con gravi sintomatologie respiratorie, non possa essere più sopportato dal sistema sanitario costretto a scegliere, come in guerra, tra chi salvare e chi lasciar morire . Unico rimedio, in assenza di farmaci e in attesa del vaccino, osservare da parte di ciascuno di noi  scrupolosamente le indicazioni previste dai decreti del governo, riducendo ai minimi le possibilità di contatto tra le persone.

 

Sino ad oggi la reazione della gente, specie nelle zone più colpite, è stata di grande responsabilità civica, mentre, soprattutto nella fascia giovanile, tanto al Nord che al Sud, sembra meno diffusa la consapevolezza della gravità e serietà della situazione. Guai se prevalessero i nostri peggiori caratteri che ci facevano apparire agli occhi di Winston Churchill, come quelli di “un popolo che perde le partite di calcio come se fossero delle guerre e perde le guerre come se fossero delle partite di calcio”.

 

Non sono mancati episodi di confusa e contraddittoria comunicazione da parte di alcuni responsabili delle autorità centrali e regionali, causa della fuga precipitosa da Milano e dalla Lombardia, di molti cittadini meridionali, verso le loro regioni nella notte di Sabato scorso; potenziali diffusori-amplificatori  del contagio del virus.

 

Qualche amico aveva già sollecitato la richiesta di dimissioni del governo, alla quale ho eccepito col detto veneziano: “  xe pezo el tacon del buso”.  Dovremmo tutti avere consapevolezza che siamo in guerra contro un nemico imprevedibile e che sfugge ai nostri controlli e della necessità che tutti i cittadini  assumano comportamenti responsabili. Guai cambiare il comando mentre si combatte. Ora serve unità e responsabilità. Ci sarà tempo per dividerci, ma ora combattiamo tutti INSIEME.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 9 Marzo 2020

 

 

 


Da Avellino il primo passo per l’unità dei DC e i Popolari

 

Sabato 7 Marzo p.v. si terrà al Centro congressi di Summonte  (Avellino) un incontro dei DC e Popolari campani sul tema: “ Il centro politico: un nuovo inizio”. Organizzato dalla Federazione popolare dei DC e dalla Fondazione Democrazia Cristiana, il convegno sarà l’occasione per riunire tutti i democratici cristiani e i popolari dei diversi partiti, associazioni, movimenti e gruppi che hanno condiviso il patto della Federazione popolare dei DC.

 

Giuseppe Gargani, coordinatore della Federazione, presenterà il suo libro:

L’identità politica-Condizione per la Democrazia”, cui seguirà un dibattito nel quale interverranno : Antonino Giannone, presidente del CTS della Fondazione, Hermann Teusch, componente della CSU, Carmine Mocerino, Giuseppe Gargani, Renato Grassi, Lorenzo Cesa, Stefano Caldoro e Gianfranco Rotondi.

 

Com’è scritto nel programma-invito: la Federazione Popolare dei Democratici Cristiani intende superare la diaspora e le divisioni che hanno compromesso in Italia una presenza culturale e politica dei Cattolici laici e dei Democratici Cristiani e intende costruire un’alternativa sia alla nuova destra, che si è sviluppata nei tempi più recenti, sia alla sinistra in crisi di identità.

Il populismo e il sovranismo si sono affermati per la mancanza di riferimenti valoriali che sono propri del popolarismo, della Dottrina Sociale della Chiesa, dei principi della Costituzione e della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

L’obiettivo è la ricomposizione dell’area popolare laica e riformista, con i valori ai quali si ispira, per partecipare attivamente alle prossime competizioni elettorali .

 

Parte, quindi, dalla Campania il primo di una serie di incontri e seminari di studio e di confronto con tutte le realtà interessate dalle prossime elezioni regionali e amministrative della primavera, con i quali si intende favorire la ricomposizione delle diverse componenti dell’area cattolico democratica e cristiano sociale.

 

La costituzione, con atto notarile e statuto, della Federazione Popolare dei Democratici Cristiani alla quale hanno aderito partiti (UDC- NCDU- DC e Associazioni e Movimenti d’ispirazione Cristiana) ha l’obiettivo, infatti, di superare la diaspora e le divisioni che hanno compromesso in Italia una presenza culturale e politica dei Cattolici laici e dei Democratici Cristiani. 
In pratica s’intende costruire nel panorama politico italiano, un’alternativa sia alla nuova destra, che si è sviluppata nei tempi più recenti, sia alla sinistra in crisi di identità
Per realizzare quest’obiettivo: la ricomposizione dell’area popolare laica e riformista, in un unico soggetto politico che possa utilizzare il logo storico della Democrazia Cristiana, attualizzato ai riferimenti della casa comune dei Popolari del PPE, crediamo sarebbe opportuno che il Comitato di coordinamento della Federazione Popolare dei Democratici Cristiani  affiancasse la Direzione dell’UDC, per redigere un regolamento di convocazione di un’Assemblea Costituente da approvare in sede congressuale dell'UDC e degli altri Partiti della Federazione. Tutto ciò con l’obiettivo di partecipare attivamente alle elezioni politiche nazionali con un unico soggetto politico e con lo stesso simbolo. Nel frattempo per le competizioni  elettorali regionali i partiti e le associazioni della Federazione dovrebbero designare il proprio delegato che con gli altri definiranno la migliore composizione e scelta di candidati per la lista unica  più consona a quella Regione. 

 

Ci auguriamo che da Avellino giunga un segnale forte a favore dell’unità di tutti i DC e i Popolari italiani, anche per favorire la ricomposizione in realtà come la nostra del Veneto, nella quale, è mancata sin qui una risposta all’offerta di dialogo da noi DC inviata  al maggior esponente dell’UDC locale, il sen Antonio De Poli.

 

Ritengo che la firma fatta dall’amico Lorenzo Cesa, leader dell’UDC, al patto costitutivo della Federazione popolare, costituisca titolo impegnativo per tutto il suo partito  nelle diverse realtà territoriali italiane, compresa quella del Veneto. Una realtà  che, per tradizione e storia politica, ha rappresentato e può ancora rappresentare un fattore importante per la ricomposizione dell’area cattolico popolare.

 

Il nostro impegno, infine, non è solo rivolto all’interno dell’area dell’ex diaspora DC, ma anche verso gli amici che hanno aderito al “ manifesto Zamagni” con i quali intendiamo sviluppare un dialogo proficuo e costruttivo per dar vita a un nuovo soggetto politico unitario di centro: laico, democratico, popolare, riformista, europeista, ispirato dalla dottrina sociale cristiana, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman, alternativo alla destra nazionalista e populista e alla sinistra senza identità.

 

Ettore Bonalberti

 

Venezia, 4 Marzo 2020

 

 

 

La rivista " Il domani d'Italia" (www.ildomaniditalia.eu) ha positivamente avviato il dibattito sulla ricomposizione dell'area  DC e popolare. Al commento della rivista sul mio articolo : " Oltre  la pregiudiziale vecchia e stantia", rispondo con la nota seguente da me inviata all'amico sen Lucio D'Ubaldo, direttore della rivista " Il domani dtalia":


Partiamo dal programma

 

Caro Lucio,

sono molto contento che la rivista da te diretta abbia avviato questo sereno confronto al quale mi auguro possano partecipare altre voci delle nostre due esperienze politiche, convinto come sono che quelle avviate  dagli amici della Federazione popolare dei DC e dagli amici de “ il Manifesto Zamagni” siano, non solo le più importanti attivate sin qui, ma anche quelle che dovranno trovare un momento di sintesi se, come entrambe sostengono, sono interessate alla ricomposizione dell’area cattolico democratica e cristiano sociale.

 

Confesso di aver usato due attributi forti : “vecchia e stantia”, volendo commentare il vostro reiterato richiamo alla frase degasperiana, spesso citata a sostegno dell’apertura all’alleanza dei DC con la sinistra.

 

A quel “vecchia e stantia” sono legato dal 1964, essendo state  due parole scolpite nella mia memoria. Parole assai contrastate dai numerosi dorotei che affollavano il palazzo dei congressi di Roma, al congresso della DC, quelle  che Carlo Donat Cattin pronunciò in avvio del suo intervento in opposizione alla relazione del segretario politico dell’epoca, Mariano Rumor.

 

Ero diciannovenne, iscritto già da quattro anni alla DC, partecipante per la prima volta da semplice spettatore a un congresso del partito. Fu il mio battesimo democristiano che, proprio in quel congresso in cui il partito vide nascere le correnti. La  sinistra politica della Base, con Forze sociali e il Movimento Giovanile DC avviarono l’esperienza di Forze Nuove e quella fu la mia corrente per sempre.

 

L’ho, mi auguro, degnamente rappresentata per oltre cinquant’anni: nel consiglio nazionale del MG DC prima e in  quello del partito, poi e sino alla traumatica seduta del 18 Gennaio 1994 che  decretò la fine politica della DC.

 

Vorrei ricordare che l’espressione degasperiana da voi citata fu pronunciata dal leader trentino in un discorso a Predazzo (val di Fiemme), dove il "guardare a sinistra" non era inteso come alleanze con i partiti di sinistra (De Gasperi fu sempre un centrista, e a sinistra aveva il fronte social-comunista sottomesso all'URSS), ma come un indirizzo politico di attenzione ai ceti popolari e alla giustizia sociale. Utilizzarlo in un contesto storico politico molto diverso mi sembra anacronistico e improprio. Quanto poi alla coerenza andreottiana da te citata su tale scelta, credo che non avrai dimenticato le altalenanti incursioni del nostro Giulio a destra ( governo con Malagodi) e le disinvolte acquisizioni di voti in area missina, sino alla colpevole azione dei franchi tiratori contro l’elezione di Arnaldo Forlani alla presidenza della Repubblica, col bel risultato del settennato Scalfaro di dolorosa memoria per tutti noi.

 

Se vogliamo progredire nel dialogo, continuo a pensare che, come nella migliore tradizione DC, dovremmo partire dai contenuti e non dalle alleanze, facilitati dalla premessa comune e condivisa della nostra alternatività alla deriva nazionalista e populista a dominanza salviniana e meloniana. Le basi del popolarismo non stanno nella scelta pregiudiziale a sinistra, semmai, nell’assumere come ho proposto alla Federazione popolare dei DC, gli undici principi sturziani alla base del comportamento dei cattolici che intendono “servire la politica e non servirsi della politica”, insieme alla volontà di tradurre nella “città dell’uomo” gli orientamenti pastorali della dottrina sociale della Chiesa.

 

Questo e non altro è ciò che fece Sturzo rispetto ai principi indicati dalla Rerum Novarum di Leone XIII e questo è quello che dovremmo fare noi, se vogliamo tradurre in politica le indicazioni pastorali delle ultime encicliche sociali della Chiesa: dalla Centesimus Annus, alla Caritas in veritate e alle ultime di Papa Francesco: Evangelii Gaudium e Laudato Si.

 

Nella “Lettera agli amici del Manifesto Zamagni” che mi auguro tu possa esaminare, ho indicato alcune proposte sui tre temi prioritari della politica italiana ed europea.

 

Credo che sulla questione antropologica esistano le maggiori difficoltà della nostra possibile mediazione politica tra i nostri valori non negoziabili e il laicismo radicale prevalente nel PD, come ha potuto sperimentare il prof Zamagni nel caso delle recenti elezioni regionali emiliano romagnole  e con la successiva formazione di quella giunta regionale..

 

In quel caso, ad esempio, meglio sarebbe stato se avessimo potuto presentare una lista unitaria di ispirazione popolare e di centro, aperta alla collaborazione con chi proponesse soluzioni programmatiche coerenti con i nostri valori e con gli interessi dei ceti popolari e produttivi che intendiamo rappresentare. E’ evidente che, fatte le scelte di schieramento citate, anch’io, in assenza di una tale lista, avrei sostenuto, come voi amici de la rete Bianca avete fatto, Bonaccini in alternativa alla Borgonzoni.

 

Analogamente, sulla questione ambientale, ho avanzato alcune idee che, a mio parere, potrebbero costituire una valida traduzione sul piano politico istituzionale delle indicazioni pastorali della Laudato SI; così come sulla questione, a mio parere, principale e dirimente di una reale collocazione riformatrice e progressista, in materia di rapporti tra sovranità monetaria e sovranità popolare e di come stare in Europa in alternativa al prevalere del dominio dei poteri finanziari, ho indicato una serie di riforme, la più importante delle quali è il ritorno al controllo pubblico di Banca d’Italia e la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria.

 

Perché non ci confrontiamo su questi temi e solo dopo aver raggiunto una condivisione tra noi ci apriamo alla collaborazione con chi intende condividere con noi la nostra proposta?

 

Infine, caro Lucio, continuare a proporre come premessa l’idea di “un centro che muove verso sinistra”, posto che entrambi non intendiamo volgere lo sguardo a destra, da parte di chi, come voi, quell’esperienza l’ha già vissuta dall’interno del PD, non ti sembra quanto meno contraddittorio e una sorta di autolesionismo masochista? Continuo a pensare che meglio, molto meglio, sia costruire prima un rinnovato e forte centro ispirato ai valori del popolarismo e dopo, solo dopo, porci il tema delle alleanze.

 

Tutto ciò, poi, in stretta relazione con la legge elettorale che, alla fine, il Parlamento adotterà, che, sia nel caso fosse di tipo proporzionale, o, peggio, di un permanente maggioritario, richiederà la presenza di un centro popolare forte, pronto alle collaborazioni possibili per non cadere nella iugulatoria dicotomia del bipolarismo: Salvini o Zingaretti.  Servirà un centro popolare che per essere tale richiede che le nostre energie e sin qui scarse risorse siano congiunte, come nella migliore tradizione della DC, secondo l’insegnamento di De Gasperi: “ solo se saremo uniti saremo forti, sole se saremo forti saremo liberi”.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 22 Febbraio 2020

 



Agli amici della rivista “ Il Domani d’Italia” che il 15 Febbraio scorso hanno correttamente riportato il comunicato della Federazione Popolare dei DC ( sotto il titolo:"Fine della diaspora DC?") redatto a seguito dell’assemblea generale dei soci del 13 Febbraio, facendolo precedere da questo preambolo:


Riportiamo questo comunicato della Federazione dei democratici cristiani apponendo un punto interrogativo al titolo originale.
Non è in discussione la buona volontà dei proponenti, ma la logica della proposta. In realtà, la diaspora non si supera mettendo insieme chi stava già insieme, ricomponendo le forme un po’ frastagliate di una comune appartenenza al centro-destra.
Se si volesse fare sul serio, il progetto neo-centrista dovrebbe muovere da un riesame severo del lungo ciclo berlusconiano, portando alla luce la prima necessità di questa operazione anti-diaspora: rimettere in auge il richiamo di De Gasperi al “partito di centro che muove verso sinistra”.
Ciò significa pertanto che la chiusura a destra – in primis contro Salvini – non deve limitarsi a un auspicio astratto e sfuggente.
Fuori da un contesto politico chiaro, ogni proclama di rinascita della Dc s’inabissa nel maremagnum di ambigue pretese.
Il testo del comunicato non rimuove nessuna delle obiezioni qui sollevate.

Ho inviato la seguente nota:

Oltre la pregiudiziale vecchia e stantia

 

Matteo Renzi ha svolto il suo compitino da Bruno Vespa, ieri sera  a Porta a Porta.

Risultato: continua la doccia scozzese sul governo Conte e via al rilancio di una vecchia tesi di

Mariotto Segni: l’elezione diretta del premier, sul modello di quella dei sindaci.

 

Immediata risposta negativa di Salvini che sa bene come sarebbe difficile per lui, in quel caso

prevalere. Del tutto impervia, poi, quella strada, sarebbe anche per il giovane leader di “Italia Viva”, molto più attrattivo alla sua pattuglia di transumanti parlamentari che alla più ampia platea degli elettori.

 

La proposta di modifica costituzionale indicata, oltre a tutto, richiederebbe tempi talmente lunghi, di fatto incompatibili con quelli che il presidente Conte si augura per la sua compagine in costante surplace, ossia, fino alla scadenza naturale della legislatura nel 2023.

 

Sino a oggi è rimasta ferma anche l’idea di dar vita a un gruppo parlamentare di centro interessato a far sopravvivere Conte, foriero di possibili evoluzioni dello scenario politico italiano. Un progetto al quale anche molti DC e popolari sarebbero interessati.

 

I due processi politici più rilevanti nell’area vasta del cattolicesimo politico democratico e cristiano sociale sono quelli dell’avviata Federazione popolare dei DC, che vede come protagonisti gli amici Gargani, Cesa, Rotondi, Grassi, Tassone e Paola Binetti con i responsabili di oltre quaranta associazioni, movimenti e gruppi dell’area cattolica, e  degli amici che hanno condiviso “il manifesto Zamagni”, tra i quali, quelli già facenti parte del PD, oggi riuniti nella “Rete bianca”, coordinata dall’amico Lucio D’Ubaldo.

 

Sulle colonne de “ Il domani d’Italia” è aperto il confronto tra queste due aree, con gli amici del “manifesto Zamagni” che continuano a esprimere una pregiudiziale di schieramento nei confronti della Federazione popolare DC, con la riproposizione del loro riferimento degasperiano al “partito di centro che muove verso sinistra”.

 

A parte l’evidente contraddizione di questi amici che, proprio sulla base dell’infelice esperienza vissuta, prima nel PD, hanno deciso di uscire da quel partito, avendo patito sulla propria pelle la condizione di assoluta irrilevanza in quell’ambito, hanno, poi, ricevuto la controprova nelle recenti elezioni regionali emiliano romagnole, come ha immediatamente sottolineato il prof Zamagni, dopo quel voto e l’elezione della nuova giunta Bonaccini, con la sua intervista del 16 Febbraio a “ Il resto del Carlino”-

 

Il prof. Zamagni, dopo quell’infelice esperienza, propone ai cattolici nel 2021 di “correre da soli”. Replicare come fa la redazione de “ Il domani d’Italia” a Zamagni, liquidando quell’intervista come “ uno sconfinamento nell’improvvisazione”, a me pare , sia la conferma semmai della posizione contraddittoria degli amici della rivista.

 

Vorrei fare alcune domande all’amico D’Ubaldo, sperando che ci consentano di chiarire meglio le nostre rispettive posizioni e di aprirci a un confronto che possa favorire il processo di ricomposizione dell’area cattolico democratica e cristiano sociale che, credo, sia negli obiettivi reciproci.

 

Con due precedenti note: la “ Lettera agli amici del manifesto Zamagni” del 23 Gennaio scorso, senza risposta, e “Commento a una nota di Lucio D’Ubaldo” del 27 Gennaio correttamente riportata dalla rivista, avevo indicato alcune proposte di programma sulle quali ritenevo e ritengo fosse e sia prioritario confrontarci, prima di anteporre le questioni di schieramento come pregiudiziali, considerato, poi, che su queste, è ben netta la posizione della Federazione popolare di  alternativa alla deriva nazionalista e populista a trazione salviniana-meloniana.

 

Come ho avuto modo di chiarire con l’amico Giorgio Merlo, che nella sua ultima nota pubblicata sulla rivista, sembra riaprire un discorso rivolto soprattutto agli amici del Partito Democratico: “Nessuno di noi é tanto sciocco dal pensare di riproporre la DC ( fatto ovviamente storico compiuto e non riproducibile come un qualsiasi artifatto)  e come ho avuto modo di esprimere più volte, non è un sentimento nostalgico che guida la nostra iniziativa, ma la consapevolezza che tra la deriva nazionalista a dominanza salviniana e una sinistra che ha perduto ogni identità culturale, nell’età della globalizzazione è solo dal popolarismo, ossia da una cultura politica ispirata dalla dottrina sociale della Chiesa, che può venire l’indicazione di valori e principi in grado di offrire una nuova speranza al terzo stato produttivo e ai ceti popolari. Questa è semmai la funzione storica del partito dei cattolici democratici e  cristiano sociali, ossia, proprio quella di aver saputo saldare gli interessi e i valori di questi ceti sociali e popolari.

Mi auguro che anche voi de “ la rete Bianca”, come ho ribadito a Merlo, non vogliate liquidare il nostro tentativo, che pone fine a una lunga e suicida stagione della diaspora DC, a una mera operazione nostalgica di un progetto senza futuro. A partire dalle prossime elezioni regionali e locali noi presenteremo liste unitarie in ciascuna sede interessata e verificheremo con una rinnovata classe dirigente, se esiste ancora uno spazio politico per un partito di centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, inserito a pieno titolo nel PPE, alternativo alla destra nazionalista e populista e alla sinistra senza identità.

 

Prima ricostruiamo insieme un centro credibile di ispirazione cattolico democratica e cristiano sociale, espressione della migliore cultura del popolarismo; confrontiamoci sui contenuti di programma sulle tre grandi questioni del nostro tempo: antropologica, ambientale, della sovranità monetaria e popolare e sul nostro modo di restare nell’Unione europea nell’età della globalizzazione ( proposte analiticamente evidenziate nella mia lettera del 23 Gennaio scorso), e dopo, solo dopo, discuteremo di alleanze che si faranno con coloro che considereremo più omogeni ai nostri valori e agli interessi che intendiamo rappresentare.

 

Continuare con la formula pregiudiziale, “vecchia e stantia” del “partito di centro che muove verso sinistra”, non ci aiuta a far passi avanti, nel comune nobile tentativo di riportare il popolarismo sulla scena politica italiana, dopo la lunga, tormentata, disastrosa stagione della diaspora.

 

Ettore Bonalberti

 

Componente del comitato provvisorio della Federazione popolare dei DC

 

 Venezia, 20 Febbraio 2020

 

 

 

 

GLI ONOREVOLI  GARGANI, CESA, GRASSI, ROTONDI, TASSONE HANNO PARTECIPATO ALLA RIUNIONE DEL 13 FEBBRAIO DELLA FEDERAZIONE DEI DEMOCRATICI CRISTIANI CHE HA APPROVATO ALL’UNANIMITÀ IL SEGUENTE COMUNICATO:

 

“RINASCE IL CENTRO POLITICO FINE DELLA DIASPORA”

I Partiti e le Associazioni che hanno sottoscritto l’Atto Costitutivo della  “Federazione Popolare dei Democratici Cristiani” si sono riuniti a Roma il per dar vita in maniera concreta ed effettiva ad una fase costituente, consapevoli di essere punto di riferimento culturale e politico per tutti quelli che si ispirano ai valori del popolarismo, italiano ed europeo, e all’umanesimo cristiano. Questa assunzione di comune responsabilità pone fine alla diaspora politica che è seguita alla crisi dei partiti degli anni ‘90 e garantisce un impegno unitario e rinnovato.
A tal fine la Federazione decide di adottare un logo e un simbolo comuni che sarà presentato alla stampa nei prossimi giorni, per essere utilizzato nelle prossime competizioni elettorali ed essere individuato unitariamente in una lista unica con proposte che costituiscono la sintesi delle varie espressioni presenti anche in periferia.
È stato detto e constatato che negli ultimi anni le “estreme“ hanno consenso ma non sono in grado di governare e il “centro“ che ha vocazione di governo è debole, e ha quindi bisogno di essere rafforzato e allargato.  Per questo l’ impegno della federazione è quello di rafforzare questa area centrale invitando tutti quelli che si riconoscono nella  comune linea politica a mettere da parte il personalismo che ha avvilito la politica e far prevalere la collegialità che rappresenta forza culturale e organizzativa.
 È urgente questo nostro impegno perché la crisi sociale come conseguenza anche della crisi economica sta alterando le fondamenta della democrazia e indebolendo l’unità politica e istituzionale del nostro paese, e quindi la cultura popolare rappresenta l’unico argine contro il populismo e l’estremismo di qualunque tendenza

 Per poter caratterizzare e rappresentare ancor più la nostra funzione siamo in attesa di una legge elettorale proporzionale che rispetti il pluralismo e ristabilisca il principio costituzionale della “rappresentanza” e favorisca la crescita di una nuova classe dirigente.

Roma, 14 Febbraio 2020



Commento a una nota di Lucio D’Ubaldo

 

Caro Lucio,

ho letto la tua ultima nota su “ Il Domani d’Italia” e sul sito internet Formiche.net ( “Dove muove il centro?) nella quale, commentando l’intervento di Lillo Mannino al convegno romano della Federazione Popolare dei DC e della Fondazione DC del 18 Gennaio scorso, scrivi: Purtroppo anche il discorso di Mannino può prestare il fianco ad un’ambiguità di fondo: “Ora credo che noi ci si debba rivolgere – ha infatti detto l’ex ministro – al mondo rappresentato dalla Lega per superare la Lega. Questa la funzione di un nuovo Partito popolare”. In realtà è un’affermazione assai sfuggente. Come avverrebbe questo superamento? Con chi e perché? Per tenere la Lega all’opposizione o per farne ex novo, dopo un eventuale suo ridimensionamento, l’alleato irrinunciabile?

 

Presente a quel convegno confesso che, onestamente, non ricordo un passaggio della relazione Mannino come da te citato,  ma, posto che mi fosse sfuggito, non vedo dove stia la contraddizione anche per un partito che, come anche tu continui a richiamare dovrà essere in linea con la tradizione degasperiana di “ un partito di centro che guarda a sinistra”.

 

Ti ricordo che la Federazione popolare dei DC nel patto federativo, condiviso anche da Mannino, ha scritto: i firmatari “ ritengono che nel ricordo di un monito a tutti noto di Alcide De Gasperi “ solo se saremo uniti saremo forti, solo se saremo forti saremo liberi“, si debba con urgenza costruire un nuovo centro politico cristiano democratico, popolare, liberale e riformista, come il naturale argine alle posizioni radicaleggianti di sinistra e alle posizioni sovraniste e populiste, per affermare i valori democratici e liberali”.

 

A me pare che continuare a ricercare un distinguo tra voi e noi, discendenti dalla stessa tradizione DC, poiché condividiamo la stessa premessa di alternatività alla deriva nazionalista e populista a dominanza salviniana, non serva a promuovere quella ricomposizione politica che la nostra area cattolico  democratica e cristiano sociale richiede. Tanto più in una fase come quella che si sta mostrando, dopo il voto di domenica scorsa in Emilia e in Calabria, nel quale si sta riconfermando una tendenza al bipolarismo, sempre più rappresentato dal prevalere dei due maggiori partiti quali il PD e la Lega salviniana.

 

Un bipolarismo che potrebbe far coincidere l’interesse del PD e della Lega ad abbandonare la scelta per il sistema elettorale proporzionale e a optare per un ritorno al mattarellum o alla conservazione dello stesso rosatellum. Una scelta che, se avvenisse, costringerebbe tutti a una inevitabile decisione: di qua col PD o di là con la Lega, tertium non datur. Una scelta obbligata non solo per un eventuale partito unitario dei popolari,  ma anche per gli spezzoni ex PD di Renzi e Calenda.

 

Sarebbe una situazione quanto meno “stravagante”, non credi?, specie per chi come voi, amici della Rete Bianca, avete da poco compiuto la scelta di uscire dal PD per le diverse ragioni addotte e riconducibili alle difficoltà sin qui riscontrate per una permanenza non effimera o ancillare in quel partito.

 

Quanto alle alleanze, stante la premessa che anche noi della Federazione popolare abbiamo condiviso e da me su riportata, credo che le conseguenze sarebbero quelle che vi ho già ampiamente esposte nella mia recente lettera, alla quale non ho ricevuto sin qui riscontro.

 

Faccio riferimento a quella lettera nella quale ho avanzato diverse proposte di natura programmatica, convinto come sono che, al di là e prima ancora del sistema delle alleanze, il nostro confronto dovrebbe svilupparsi sulle tre  grandi questioni urgenti della politica interna e internazionale:

 

1)  la questione antropologica;

2)  la questione ambientale;

3) la questione della sovranità monetaria e della sovranità popolare e il nostro modo di

restare nell’Unione europea nell’età della globalizzazione .

 

Questo dovrebbe essere il terreno su cui incontrarci per tentare di costruire un nuovo soggetto politico di ispirazione cattolico democratica, popolare e cristiano sociale capace di farci uscire dall’irrilevanza nella quale siamo finiti, dopo la lunga stagione della diaspora ex DC.

 

Noi della Federazione popolare siamo pronti e attendiamo fiduciosamente una vostra risposta: chiara sul piano delle alleanze e costruttiva su quello dei contenuti.

 

Un caro saluto

Ettore Bonalberti

Direzione nazionale DC

Comitato provvisorio Federazione popolare dei DC

Venezia, 27 Gennaio 2020

 

 

 

 

 

Lettera agli amici del “ manifesto Zamagni”

 

Il dialogo apertosi con l’amico Giorgio Merlo de “ La rete Bianca” con gli ultimi due interventi su “ Il Domani d’Italia”, ci permette di sviluppare un confronto a più ampio raggio tra chi, come me, partecipa al progetto della Federazione popolare dei DC e gli amici che hanno sottoscritto il “ manifesto Zamagni”.

 

Vorrei che facessimo nostro il messaggio inviato da Papa Francesco al cardinale Peter K.A. Turkson: “ Dialogare è difficile, bisogna essere pronti a dare e anche a ricevere, a non partire dal presupposto che l’altro sbaglia ma, a partire dalle nostre differenze, cercare, senza negoziare, il bene di tutti e, trovato infine un accordo, mantenerlo fermamente”-

 

Ho letto attentamente il nostro patto federativo e il manifesto Zamagni e sono convinto che non esistono motivi di scontro o di contrapposizione tra di noi. Proveniamo tutti dalla stessa esperienza politico della DC storica, nella quale il momento di divisione e più serio scontro fu quello che divise i “ preambolisti” dell’accordo con i socialisti, come noi di Forze Nuove, e gli anti preambolisti, per il confronto e l’alleanza con il PCI, dell’area ZAC. Una divisione che si è protratta oltre la fine politica della DC (1994) e che, temo, permanga in qualcuno di noi.

 

Giorgio Merlo, compagno di molte battaglie forzanoviste, sino alla divisione lacerante sul tema di cui sopra, torna sul concetto degasperiano di “un partito di centro che guarda a sinistra”, che, onestamente, rischia, di essere fuorviante nella stagione politica che stiamo vivendo.

 

Non esistono più le condizioni al tempo del preambolo ed è netta la scelta fatta anche dalla Federazione Popolare dei DC di “alternativa alla deriva nazionalista e populista a dominanza salvinian-meloniana”. A me sembra che sia questo il presupposto strategico che ci può unire, ma, aggiungo, che, con il sistema elettorale proporzionale, che sembra sarà adottato, sia del tutto fuori luogo discutere sulle alleanze, prima ancora di esserci confrontati sui contenuti di un possibile programma di governo per il partito dei cattolici democratici e cristiano sociali.

 

Come ho scritto nel mio precedente articolo, prima impegniamoci alla costruzione del partito che non potrà che essere un partito di centro, democratico, popolare, riformista, europeista, inserito a pieno titolo nel PPE, alternativo alla deriva nazionalista di destra, poi, e solo dopo, concordato il programma, affronteremo il tema delle alleanze che, data la premessa strategica condivisa, si svilupperà con le forze riformatrici che intendono con noi attuare la principale delle riforme: la difesa e l’attuazione integrale della Costituzione. Per far questo, però, è indispensabile confrontarci sul piano programmatico.

 

Al riguardo mi permetto inviarvi alcune note di programma che ho redatto per gli amici della Federazione popolare dei DC e che mi auguro possano costituire elementi utili a un confronto costruttivo tra di noi. Mi dispiace per la prolissità della proposta, ma, credo, sia opportuno confrontarci a tutto campo.

 

Tre sono le questioni rilevanti del nostro tempo:

1)   la questione antropologica

2)   la questione ambientale

3)   la questione della sovranità monetaria e della sovranità popolare e il nostro modo di restare nell’Unione europea nell’età della globalizzazione

 

Quattro i capisaldi di programma: la difesa della persona e della  famiglia e dei “valori non negoziabili”, la garanzia della sanità efficiente, la salvaguardia delle pensioni e del risparmio familiare. A essi vanno aggiunti: la sicurezza e il riconoscimento del valore delle autonomie locali, precondizioni indispensabili per superare  le due grandi fratture determinatesi nel Paese: quella territoriale tra Nord e Sud  e quella generazionale, che costituiscono i fattori di rischio per la stessa  unità dell’Italia.

 

Per ridare fiducia al 50% degli elettori renitenti al voto si deve ricomporre la saldatura tra classi popolari e ceti medi produttivi, che è stata distrutta da una politica subordinata agli interessi dei poteri finanziari dominanti, di cui il trasformismo politico attuale è indiretta e colpevole espressione.

 

Sulla questione antropologica intendiamo riaffermare nella fedeltà alla dottrina sociale cristiana ( dall’Humanae Vitae di san Paolo VI in poi)  il valore della persona umana dal concepimento alla morte naturale e l’inseparabilità dei principi non negoziabili in materia di aborto, fecondazione artificiale, fine vita, convinti come siamo da cattolici che vita e famiglia sono indissolubilmente legati: simul stabunt, simul cadent.

 

Su quella ambientale siamo impegnati a tradurre nella “città dell’uomo” le indicazioni pastorali della “ Laudato SI”  nella consapevolezza che: cambiamenti climatici, perdita biodiversità, crisi economica, stanno determinando il futuro dell’umanità, dopo la crescita. La crisi in corso imporrà cambiamenti alle nostre vite. Molte cose saranno necessarie per adattarsi e preparare un futuro vivibile, ma tutto sarà inutile, se non saremo capaci di salvaguardare il funzionamento della biosfera. Anche la lotta al cambiamento climatico non può prescindere dalla protezione della biosfera, un campo in cui anche azioni di livello locale e nazionale, possono dare risultati rapidi e consistenti. Una civiltà senza petrolio è difficile, ma senza biodiversità, fertilità e acqua dolce, la stessa vita umana è impossibile.

 

Il nostro impegno sarà di attivare politiche tese a ribaltare l’idea di un’Italia “ paese di inaugurazioni e non di manutenzioni”, proponendo una grande piano nazionale di difesa idrogeologica capace di coinvolgere tecnici  e ditte specializzate, giovani e anziani, servizi territoriali di protezione civile a salvaguardia della montagna, delle foreste, delle nostre coste.

 

Premessa indispensabile del nostro documento di programma è il testo del patto/statuto costitutivo della Federazione Popolare dei DC che riportiamo integralmente:

 

I sottoscritti

 

consapevoli della particolare situazione politica che attraversa il paese dopo la costituzione di un governo di emergenza tra due gruppi politici non omogenei il PD e cinque stelle e della esigenza di superare il “nazionalismo” e l’antieuropeismo che si erano affermati dopo le elezioni del 2018;

 consapevoli che la scomposizione dell’ attuale assetto politico possa portare alla costituzione di nuovi soggetti politici capaci di superare le incertezze e le patologie che abbiamo patito in questi anni;

consapevoli che la novità in Italia e in altri paesi europei vi è la presenza di una destra eversiva e xenofoba che si è sviluppata per la crisi del centro e della sinistra;

 consapevoli che per queste ragioni è urgente superare le attuali formazioni politiche che si richiamano alle posizioni di centro politico per una nuova aggregazione e quindi un nuovo soggetto politico

 

RITENGONO

che nel ricordo di un monito a tutti noto di Alcide De Gasperi “ solo se saremo uniti saremo forti, solo se saremo forti saremo liberi“, si debba con urgenza costruire un nuovo centro politico cristiano democratico, popolare, liberale e riformista, come il naturale argine alle posizioni radicaleggianti di sinistra e alle posizioni sovraniste e populiste, per affermare i valori democratici e liberali;

invitano tutti coloro che si riconoscono in questi principi e in questi valori ad aderire al costituendo “Polo di Centro” per dar vita con urgenza ad un patto federativo e per seguire una comune linea politica che sarà indicata dagli organi della federazione;

propongono di avviare un processo culturale di coinvolgimento territoriale, che abbia come obiettivo rendere possibile la formazione di una grande area, ricca che si faccia carico di esperienze e tradizioni diverse e che condivida l'urgenza di partecipare alla competizione politica; pertanto si impegnano, sin da subito , a cercare le opportune intese, da proporre già alle prossime elezioni comunali, provinciali e regionali.

propongono che le associazioni e i partiti politici, che aderiscono alla federazione, possano conservare per intanto la loro attuale individualità giuridica e politica, restando vincolati dal comune impegno a rispettare le norme contenute nel patto federativo e da quelle che saranno approvate dai costituenti organi della Federazione;

propongono che le singole associazioni e singoli partiti politici siano rappresentati, all’interno della federazione, dai propri segretari politici e responsabili delle associazioni, o loro delegati, capaci di esprimere, in seno all’organismo comune, la volontà del proprio gruppo;

propongono in occasione della prima riunione del consiglio della federazione, che i singoli aderenti esprimano la loro proposta per la formazione di un simbolo unitario da adottare a maggioranza qualificata e da presentare alle prossime elezioni comunali regionali e nazionali nel quale tutti si possano riconoscere;

auspicano che venga approvata una legge elettorale proporzionale unica legge democratica, che chiuderebbe la lunga fase di transizione che ebbe inizio negli anni 90 con la legge cosiddetta “mattarellum”, e che oggi impone di ridare identità ai gruppi politici e protagonismo all’elettore.

 

UN PROGETTO DI VALORI

Il nostro progetto nasce su cinque punti che devono essere i caposaldi del programma e delle azioni che andremo a proporre, condividere e a compiere sul territorio :

1.     La nostra Costituzione repubblicana, carta di principi e di valori da salvaguardare con fedeltà, non chiusi aprioristicamente a ogni eventuale possibilità di affinamento, ma lontani da quella frenesia inconsulta che ha portato a rivedere negli anni recenti il suo Titolo V, con una superficialità che testimonia, accanto a intenzioni illusorie, l’inadeguatezza di una classe politica incapace di cogliere la grandezza dei padri costituenti e di custodirla migliorandola: anche attraverso una nuova fase costituente che, riteniamo necessaria per adeguare la sua seconda parte ai profondi cambiamenti intervenuti sul piano istituzionale europeo e nazionale, ribadendo le motivazioni che abbiamo sostenuto nell’azione del comitato dei Popolari per il NO nel referendum contro la “deforma costituzionale renziana”.

2. Uno Stato snello e partecipato, efficiente sul piano nazionale, arricchito da autonomie territoriali in chiave di sussidiarietà e non di dissociazione pseudofederalista; garantito da un inter controllo democratico senza retoriche di
autonomismo fine a se stesso, spesso corrotto non meno di quanto esso stesso
abbia rimproverato allo Stato centrale; e, quasi sempre, colpevolmente incapace di utilizzare persino le cospicue risorse economiche messe a sua disposizione
dall’Europa.

3. La valorizzazione permanente e dinamica dell’immenso patrimonio culturale e
ambientale affidatole dai padri e dalla Provvidenza: almeno la metà dei beni culturali di cui l’umanità dispone è incredibilmente concentrata nel nostro Paese, e questo solo fatto costituisce per noi “una missione nella missione” e quasi una vocazione profetica.

4. Una cura gelosa della culla in cui nascono e si formano le nuove generazioni, cioè la famiglia, attraverso la dedizione di uno Stato solerte nel favorirne solidità e serenità, soprattutto con gli strumenti propri della sua missione formativa, dell’attivo supporto alle generazioni che declinano, affinché tale fisiologico crepuscolo non diventi mai emarginazione né accantoni il tesoro della esperienza che si trasmette; uno Stato che sappia garantire la sicurezza di un lavoro dignitoso per tutte le persone che raggiungono l’età adulta e si apprestano ad assumere, della famiglia, la responsabilità più diretta.

5. Il governo sagace di un’ economia che ha oggettivamente potenzialità enormi,
e che anche nella presente crisi conferma di possedere nella creatività dei singoli e
nel tessuto della piccola e media impresa la sua linfa più vitale.

Con quali linee di orientamento pensiamo sia articolabile un simile progetto?

Realizzare le riforme se servono e in quanto servono, ma non le adoriamo come idoli, e le sottoponiamo costantemente a verifica perché restino effettivamente al servizio dei valori che le ispirano.
Preferiamo parlare piuttosto di “gestione evolutiva” trasparente e condivisa, capace cioè di governare dinamicamente le esigenze di miglioramento permanente delle cose, senza rinviare ai tempi spesso deresponsabilizzanti di maturazione delle “riforme”: queste, quando davvero occorrono, devono essere consapevoli, ponderate, impegnative di coerente attuazione, e non mito autoreferenziale.

Vogliamo, un partito giuridicamente riconosciuto, persona giuridica e perciò sottoposto a controllo pubblico nella sua trasparenza di gestione. In realtà i partiti politici operanti oggi hanno, via via, ignorato questo spirito costituzionale per accentuare invece elementi crescenti di chiusura oligarchica, ben poco democratica e partecipativa. Contro le forme attuali degenerative di partiti etero guidati affermiamo la necessità della non più rinviabile attuazione dell’art.49 della Costituzione da sollecitare con una forte iniziativa popolare.

Le ombre della corruzione e del clientelismo, quasi i partiti stessi e i loro uomini fossero appunto fini e non mezzi, hanno realizzato, da ultimo, quel nefasto distacco dei cittadini dalla politica che oggi enfatizza la sua gravità attraverso una legge elettorale che chiude del tutto i partiti dentro se stessi quali forme autoreferenziali di gestione del potere.

Con quale metodo pensiamo dunque di lavorare?

I punti di partenza per noi sono certi: la Costituzione, la cittadinanza, la persona.

IL FONDAMENTO DEL LAVORO - LA DIGNITA’ DELL’IMPRESA - LA SOLIDARIETA’ DELL’ECONOMIA

Subito dopo la cittadinanza, è il lavoro a costituire prioritario fondamento della
repubblica. Tale lo definisce la carta costituzionale, e si riferisce al lavoro in tutte le sue forme, dipendente o autonomo o imprenditoriale che sia, manuale o intellettuale. Non sono invece fondamento della repubblica la rendita, né l’attività speculativa. Siamo qui in un campo che, fin dal medioevo, la Chiesa ha chiarissimamente presente. La pura rendita e la pura speculazione sono un male, sono illecite moralmente, e per noi questo principio comporta conseguenze coerenti sul piano delle politiche attive, anche di redistribuzione reddituale e, ad esempio, di carico fiscale.
La ricchezza nazionale resta essenzialmente frutto del lavoro e il lavoro, diritto e
dovere dell’uomo, è, per la Democrazia Cristiana, oggetto privilegiato di ogni politica economica. Per tale motivo un punto caratterizzante il nostro “progetto per l’Italia” non può non essere costituito dalla revisione dell’istituto del collocamento, che ci pare da trasformare in istituto dell’accompagnamento attivo nel lavoro.
Né vuol dire, questo, che il mercato del lavoro debba essere governato dal solo collocamento pubblico; tutt’altro: esso si accompagna liberamente al movimento spontaneo della domanda e della offerta che sul mercato si confrontano: il collocamento pubblico opera invece, attivamente, su richiesta dei singoli lavoratori che vogliano ricorrervi. Il fatto è che non c’è dignità della persona se non viene attuato per essa il diritto a un lavoro riconosciuto, remunerato e produttivo.
Vi è un ulteriore profilo di giustizia distributiva, e alla fine anche di efficienza
economica, che non ci sembra più possibile trascurare. Una visione distorta del libero mercato, storicamente prevalente in tutto il mondo, riguarda la totale inesistenza di limiti alle più atroci disparità reddituali generate all’interno delle stesse imprese.
Prevalgono anche in Italia, sia pure in dimensioni complessivamente meno abnormi, parametri esasperati fino all’iniquità, e assolutamente ingiustificabili da tutti i punti di vista, compresa una reale efficienza economica di lungo andare delle imprese medesime e del sistema.
Noi non assumeremo come nostro programma l’idea, che pure ci viene da uno dei massimi maestri di economia dell’impresa efficiente e a un tempo equa, e cioè Adriano Olivetti, laddove affermava che tra lui, massimo vertice della sua azienda, e l’ultimo dei suoi operai, il divario di reddito equo reputava essere da uno a cinque. Nel mondo assistiamo a rapporti inconcepibili, persino di uno a quattrocento e oltre, e in Italia non mancano forbici di uno a cinquanta e oltre, ci sentiamo in mezzo a una situazione alla lunga insostenibile, per la quale assumiamo un duplice chiaro riferimento: da un lato il principio che i parametri retributivi siano parte di una politica trasparente e perciò siano noti pubblicamente; dall’altro che venga, con gradualità, ma con inizio immediato, stabilito un primo limite: ad esempio, che non possa essere superata la forbice di uno a venticinque.
Costruire un’ economia sociale e civile di mercato che passo dopo passo, anno dopo anno, sarà in grado di creare le condizioni di serenità per calibrare con il consenso sociale più ampio la misura equa, senza mai far pensare che puntiamo a logiche di egualitarismo puro e semplice. Si evidenzia che stiamo parlando di reddito personale, non di reddito d’impresa,
sul quale andranno invece considerate con intelligente accortezza le dimensioni legate alle  esigenze di espansione e innovazione più proprie della impresa stessa, che del resto sono benedette per tutti: lavoratori ed azionisti, persone e comunità. In particolare attraverso una riduzione dell’attuale pressione tributaria per abbattere il cuneo fiscale e stimolare ricerca e investimenti.

La Democrazia Cristiana unita è comunque contraria, nello stesso tempo e per lo stesso
spirito, anche a forme di garanzia del reddito che siano scisse da una corrispondente responsabilità di lavoro produttivo. Non cassa integrazione, dunque, e neanche gli istituti innovativi definiti in tal senso dal “reddito di cittadinanza”, ma piuttosto lavori utili in logica sostanzialmente e modernamente keynesiana, si intendono per lavori utili gli investimenti in tutto ciò che possa essere bene comune effettivo.
Nulla dunque ha da vedere, tutto questo approccio, con forme di assistenzialismo, verso le quali nutriamo sostanziali dubbi tutte le volte che esse vogliano supplire a una politica di giusta reciprocità fra cittadino e comunità. La dignità del lavoro, espressione di una sostanziale parità nella cittadinanza responsabile, potrà in tal modo accompagnarsi anche con una sostanziale parità di condizione fiscale e previdenziale senza distinzioni fra categorie: come senza distinzioni ci pare debba essere, in linea di tendenza, il diritto ad accedere a tutto il campo del lavoro, compreso quello delle libere professioni, attraverso meccanismi semplificati e trasparenti rispetto a prassi ancora piuttosto chiuse e per alcuni aspetti vetuste.
Certo è comunque l’impresa che, per la consistenza oggettiva della sua dimensione produttrice di ricchezza complessiva, resta il soggetto centrale per l’ elaborazione di una attiva politica del lavoro. Inestimabile valore di una economia dinamica e partecipata, l’impresa deve essere, in questo senso, non solo protetta ma sostenuta e incentivata nel suo naturale impulso di sviluppo. Punto cardine di una tale politica ci sembra lo snellimento della burocrazia relativa alle autorizzazioni e ai controlli.
Se questo è il lato normativo-burocratico della vita d’impresa, sul versante economico ve n’è uno non meno pregnante: l’impresa si sostiene e cresce con il duplice strumento dell’auto investimento e del credito bancario, come è noto. Anche sulla politica creditizia finalizzata allo sviluppo d’impresa vi è un particolare elemento centrale nella cultura democratico-cristiana, che mentre non può, secondo noi, essere trascurato: è quello costituito dalla idea del risparmio collettivo (dei lavoratori ma anche degli utenti).
Come è evidente dalle riflessioni che stiamo dipanando, non possiamo nascondere
il nostro interesse privilegiato per la diffusione di politiche favorevoli ai modelli di partecipazione dei lavoratori nell’impresa, conformemente alla costante tradizione, ancora una volta, della Dottrina Sociale della Chiesa, ma anche a tantissime esperienze consolidate nei paesi più avanzati d’Europa, e al dettato dell’articolo 46 della nostra Costituzione.
A tale riconoscimento del fattore lavoro fa riscontro il dovere ugualmente stringente del lavoratore, di adempiere con senso di responsabilità il proprio ruolo produttivo. Ed è evidente, in questo quadro, come anche l’esperienza sindacale costituisca un valore imprescindibile delle politiche del lavoro, quando naturalmente si tratti di sindacalismo libero e pluralistico, come quello realizzatosi tipicamente nella esperienza della Cisl italiana e ormai caratteristico di tutto il nostro sindacalismo confederale.
E’ questa dinamica che consente alla legge stessa di farsi carico con maggiore competenza di quella garanzia di reddito vitale di dignità per ogni cittadino e per ogni famiglia, che è da sempre nelle nostre aspirazioni. Non si tratta

di una richiesta avulsa dalle condizioni concrete della ricchezza prodotta dal Paese: nessun paese può infatti
distribuire più ricchezza di quella che produce. Si tratta invece di un’azione costantemente attenta a calibrare il triplice contestuale strumento della politica occupazionale, della forbice massima fra redditi di lavoro, della partecipazione dei lavoratori dell’impresa.

Vissuta con tale orizzonte, l’economia complessiva è veramente “amministrazione
della casa comune” finalizzata al “bene comune”: che del resto può assumere diversificate gerarchie in funzione della natura di ogni singolo bene e di ogni singola persona. Vi sono ad esempio dei beni la cui natura appare anche al buon senso come collettiva o pubblica e perciò dotata di una legittima aspettativa di fruizione sostanzialmente paritaria da parte dei cittadini: tali sono ad esempio l’acqua, l’ambiente, la sicurezza. Tali beni sono essenziali e primari per la qualità della vita e per essi la presenza della mano pubblica, sia essa quella dello Stato o quella degli enti intermedi, non può non essere diversa da quella riservata a tutti gli altri beni, lasciati all’autoregolazione semplice del mercato.
Questa parola, chiara e ferma, ci è doverosa per il ristabilimento di una visione che
è stata resa ambigua e infine controproducente da una tendenza superficiale di questi lunghi venti anni e oltre, favorevole a una semplicistica linea di privatizzazioni, condotta con indiscriminatezza pari a quella che a suo tempo aveva presieduto agli eccessi opposti delle statalizzazioni, o regionalizzazioni, o municipalizzazioni.
Il concetto che dobbiamo piuttosto avere sempre presente è quello della distinzione chiara fra privatizzazione e liberalizzazione: quando si tratta di beni primari liberalizzare è tendenzialmente un bene, privatizzare è tendenzialmente un male. La liberalizzazione salvaguarda e stimola anche l’intervento privato, la semplice privatizzazione può tendere a generare monopoli a fini di lucro, tanto più negativi quanto più riguardino beni appunto essenziali e primari per la dignità della persona.

ISTITUZIONI: LO STATO SNELLO PER LA PARTECIPAZIONE SOCIALE

Oggi è essenziale sul piano burocratico che il concetto di “Stato snello” compia passi coraggiosi. E’ infatti valutazione condivisa senza incertezze che il nostro apparato- Stato abbia raggiunto una dimensione elefantiaca fonte a un tempo di sprechi e di inefficienze in alcuni casi intollerabili.

La ragione profonda che presiede a queste considerazioni è semplicemente, ancora
una volta, quella che concepisce lo Stato come la organizzazione con la missione di servire la persona e la comunità ai fini della loro crescente autorealizzazione (art. 2 della Costituzione). Ed è questa chiave interpretativa che illumina anche le politiche relative alle articolazioni intermedie non territoriali attraverso le quali si svolge la vita sociale. Per questo  la Dc tutela la costituzione e la partecipazione dei cittadini a forme associative e imprenditive nel campo del lavoro come nei campi della cultura, dei servizi, delle iniziative di cittadinanza, delle tutele dei diritti, e così via: con l’obiettivo di realizzare quel vivace reticolo di vita sociale che possa andare a coprire la più vasta area possibile della domanda di servizi avanzata dai cittadini in questi settori. È nella cultura personalistica e comunitaria, connaturata con la storia del nostro partito, l’incoraggiamento attivo di quel “terzo settore”, che può costituire la grande “infrastruttura sociale” nella quale possono trovare risposta meno burocratica e più densa di motivazioni e calore umano le domande e i bisogni meno considerati e protetti dalle istituzioni.
Un approccio solidaristico che si esplicita anche in senso geopolitico, con l’Europa che resta un riferimento che ci aiuta a tenere largo ed aperto l’orizzonte, ed anche un forte laboratorio di buone pratiche. Un’Europa che oggi pone la necessità di un ritorno allo spirito dei suoi padri fondatori, affinché sia di nuovo, innanzitutto, un ideale di fraternità con l’economia che segue. Un approccio globale e solidaristico l’Europa deve rivolgere anche verso il Mediterraneo . Il mare delle tre religioni monoteiste, civiltà antiche che, intersecandosi, e non ignorandosi, hanno dato al mondo gran parte della civiltà che oggi lo unisce.

PASSATO, PRESENTE, FUTURO: IL POPOLARISMO CHE VIVE

Le considerazioni svolte sollecitano la politica, i partiti ad una tensione morale e
culturale superiore a quella attuale, e che possa alimentare anche le loro modalità interne di organizzazione e di democrazia partecipativa.
Anche il problema del finanziamento dei partiti si pone ormai con evidente urgenza morale. Nacque nel cuore degli anni 1970 con l’obiettivo dichiarato di consentire ai partiti di “non essere costretti a farsi corrompere”, come si disse allora. L’intenzione era buona, ma l’esito non fu felice ed è venuto peggiorando nel tempo.
E’ saggio tornare al puro e semplice sistema di “nessun finanziamento” che deriva dall’ esborso di denaro pubblico, ma si deve assicurare una normativa semplice, trasparente e facilitata, attraverso la quale ogni cittadino possa liberamente partecipare al finanziamento del partito nel cui programma si riconosce.


Sul tema dell’immigrazione che ha costituito uno degli elementi su cui si è consolidata la deriva nazionalista la nostra posizione da assumere è quella indicata lucidamente dall’amico Natale Forlani, ex segretario CISL:

Manifesto per una buona politica per l’immigrazione

 

LA NOSTRA NAZIONE E’ DIVENTATA UN  GRANDE PAESE DI ACCOGLIENZA DEGLI IMMIGRATI

 

Nel corso dei venti anni recenti l’ Italia , superando  i  5 mln di immigrati residenti , è diventato il terzo paese per numero di cittadini di origine straniera accolti nell’ambito delle nazioni aderenti alla Unione Europea.

Una popolazione composita  , distribuita su numerosissime comunità di origine con caratteristiche eterogenee  per estrazione : linguistica , culturale e religiosa .  Frutto  di una crescita rapida ,  concentrata soprattutto negli anni 2000 , e che si sta incrementando anche  in ragione  del consolidamento territoriale delle singole comunità di origine,   e dei nuclei familiari di appartenenza , e per effetto di una forte natalità e delle  ricongiunzioni familiari .

NEL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO

Gli immigrati rappresentano circa il 12% della popolazione attiva , l’ 11% di quella occupata  , il 15% di quella in cerca di lavoro .

 Sono in larghissima parte ,  circa il 90%,  lavoratori  dipendenti   impiegati in lavori manuali ed esecutivi , territorialmente concentrati nel nord e  nel centro Italia , con un peso rilevante  nel lavoro domestico , nelle costruzioni ,  nell’agricoltura  e assai  significativo nell’industria manifatturiera  nei settori  alberghiero e della ristorazione  ,   nelle fasce più giovani della popolazione attiva , con una particolare incidenza in quella degli  under 30.

La crescita della occupazione immigrata , che ha superato la cifra dei 2,4 milioni di unità lavorative ( distinte in circa 1,6 mln di extracomunitari  e 800 ml comunitari ) è stata costante anche durante gli  anni della crisi economica  compensando , in modo significativo , la rilevante perdita di occupati italiani.

Secondo le stime dell’ Istat,  tra il 2007 e il 2014  , a fronte di una diminuzione  di circa 1,5 mln di occupati autoctoni , il numero degli immigrati occupati si è incrementato di oltre 850 ml unità. Un fortissimo contributo alla crescita dell’occupazione immigrata è stato offerto dalla libera circolazione dei lavoratori neo comunitari, in particolare quella per i lavoratori rumeni , e dall ‘aumento dell’occupazione femminile nel settore dei servizi per le famiglie. 

Nel contempo è aumentato  sensibilmente anche  il numero degli immigrati cerca di lavoro , che ha raggiunto il picco delle 450ml unità , e quello delle persone inattive , attualmente stimate in 1,2 mln di persone  come conseguenza  del  rilevante incremento della popolazione residente ( circa il 40% ) , e di quella in età di lavoro, nel periodo preso in considerazione ,  per effetto di nuove nascite e di ricongiunzioni familiari  e per via del contributo significativo offerto dall incremento dei cittadini neo comunitari favoriti dal regime di libera circolazione .

La crescita concomitante della occupazione , della disoccupazione e della inattività degli immigrati in Italia , rappresenta un caso unico nel panorama dei grandi paesi di accoglienza europei.

 Come diretta conseguenza, il tasso di occupazione è diminuito di oltre il 10%  per la componente dei cittadini extracomunitari , e del  7% per quella dei neo  comunitari.

Nonostante la significativa ripresa dell’occupazione avvenuta nei tre anni recenti , alimentata soprattutto dalla crescita degli occupati italiani , la crisi economica ha prodotto effetti negativi   sui salari dei lavoratori immigrati ,  e sul reddito delle famiglie di riferimento . La media dei salari è diminuita  del 20% .  L’ incidenza dei nuclei familiari senza redditi da lavoro o da pensione ,sul totale dei gruppi di riferimento,  è di entità doppia  rispetto a quella dei nuclei familiari composti da italiani (  14 % rispetto al 7% )  con punte  superiori al 20% per le comunità di origine tunisina , marocchina , pakistana e egiziana.

ABBIAMO BISOGNO  DI PIU’ IMMIGRATI ?

Molte fonti , anche autorevoli , sostengono l’esigenza di programmare annualmente un flusso d’ingresso di nuovi immigrati    per la doppia finalità  di rigenerare la popolazione attiva italiana , destinata a comprimersi per via dell’invecchiamento della popolazione e della diminuzione delle nascite , e  per rendere sostenibile  ,con la crescita degli occupati immigrati , il finanziamento delle prestazioni sociali ,a partire da quelle pensionistiche .

La decrescita demografica , e il contributo degli occupati di origine straniera al finanziamento delle prestazioni sociali sono elementi oggettivi della realtà italiana  .

 Ma  i dati disponibili , quelli  relativi alle tendenze del mercato del  lavoro e del reddito degli immigrati, e quelli forniti dall’osservatorio statistico dell’Inps  , che palesano  una concentrazione dei  contribuenti nelle fasce  esenti dal prelievo fiscale e nei settori a bassa contribuzione previdenziale ,  mettono in evidenza un drammatico problema di sostenibilità della immigrazione residente  ed ,  in particolare,  di quella di origine extra comunitaria .

Nonostante la ripresa dell’economia  e dell’occupazione  , rimane l’esigenza di riassorbire un bacino di circa 3 mln di disoccupati ,  tra i quali vengono ricompresi circa   430 ml immigrati  e buona parte dei 2, 4 mln di giovani che non studiano e non lavorano , composto in prevalenza da persone con bassa qualificazione .

Giova ricordare che il tasso di occupazione della popolazione italiana, attualmente al 58%, è assai distante dalle medie europee e lontano dal garantire livelli di sostenibilità per il sistema delle prestazioni sociali.

Pur ritenendo fondata la relazione esistente tra la crescita degli occupati immigrati e la scarsa propensione dei giovani italiani a svolgere determinate mansioni , risulta altrettanto difficile negare come la crescita di una popolazione scarsamente remunerata  , e che  in molti ambiti settoriali e territoriali sconfina con il lavoro sommerso  , finisca essa stessa per ostacolare una rivalutazione del lavoro manuale e un cambiamento delle aspettative delle persone in cerca di lavoro. 

Queste  dinamiche   contributo in modo significativo  alla bassa crescita dei  salari e dei livelli di produttività che caratterizza l’economia italiana .

 

I NUOVI FLUSSI D’INGRESSO DI  MIGRANTI   IRREGOLARI  :  FENOMENO STRUTTURALE  O IL  PRODOTTO DI POLITICHE INADEGUATE  ?

Dal secondo semestre 2014 ha preso corpo un sistematico flusso di ingresso di immigrati irregolari in Italia proveniente , in grande prevalenza , dal territorio libico .

La natura di questi flussi migratori  ,  rimane costantemente caratterizzata da una grande prevalenza di emigranti per motivi economici ,provenienti in grande prevalenza dai paesi del centro africa e del sud sahara ,   e che ,da una narrazione di parte , viene erroneamente identificata con i profughi in fuga da conflitti bellici .

Un flusso di  migranti irregolari   in buona parte  non identificati   e che ,  soprattutto nel corso del 2014 e 2015 , sono  rifluiti , verso altre nazioni del centro nord  Europa . 

I numeri , più delle parole , danno evidenza della quantità e della qualità del fenomeno : oltre 550 ml persone sbarcate nel territorio italiani , di cui solo 170 ml presenti nelle strutture di accoglienza , circa 200 ml domande di asilo .  Tra quelle che hanno ottenuto un riscontro dalle commissioni di esame ,  solo meno del 10% ha ottenuto tale riconoscimento . Un ulteriore 30% hanno ricevuto un  permesso per motivi umanitari o di protezione sussidiaria   , mentre il  60% sono state  respinte  per totale insussistenza di requisiti di protezione internazionale .

La scelta di effettuare a ridosso delle acque territoriali libiche le operazioni di salvataggio in mare , operata dal governo in carica nella seconda parte del 2014, ha oggettivamente favorito la crescita   di una rilevante bolla di emigranti per motivi economici nel territorio libico , senza peraltro ridurre il numero dei  decessi in mare  . Per i trafficanti di uomini era  diventata una consuetudine  caricare numeri abnormi di persone in modo improvvisato e su mezzi sempre meno adeguati.

 I ritardi delle Istituzioni Europee in materia di politiche per l’immigrazione  , legati alle indisponibilità di alcuni paesi a farsi carico delle nuove emergenze sono evidenti  .  Ma , altrettanto , è difficile negare che la distanza tra la rappresentazione  dei fenomeni , offerta anche dalle nostre  Autorità di governo, e le dinamiche reali  ,  abbia seriamente compromesso la credibilità e  l’autorevolezza delle proposte italiane .

Nonostante il  cambiamento di approccio culturale e politico  , operato dal governo in carica , Italia si ritrova ad aver cumulato una notevole mole di ritardi , di approccio culturale , nella revisione delle procedure di identificazione e espulsione , nelle modalità di gestione dell’accoglienza e di integrazione dei migranti  che hanno ottenuto il permesso di soggiorno per motivi di protezione internazionale , sul versante degli accordi internazionali  con i paesi di origine dei migranti .

Questi ritardi hanno  riflessi  economici  e sociali che vanno ben oltre i costi dedicati alla accoglienza dei migranti irregolari .  Essi sono visibili nel degrado delle periferie urbane laddove si concentrano nuclei di immigrati con e senza permesso di soggiorno , nell’aumento del lavoro sommerso , nella crescente concorrenza nell’accesso alle misure assistenziali , che sono dotate di risorse limitate e che , con tutta probabilità , arriverà al culmine nell’occasione della emanazione dei bandi per l’accesso alle prestazioni economiche rivolte al contrasto della povertà.

 

AIUTARLI A CASA LORO ?  MOLTI ITALIANI LO STANNO GIA’ FACENDO

Nel mentre si è aperto uno stucchevole dibattito politico sulla opportunità di aiutare le popolazioni nei paesi poveri , o in via di sviluppo,  nell’ambito di uno scambio con i paesi di origine dei migranti che preveda un  reciproco controllo sugli esodi irregolari.

In una parte significativa del ceto politico, la migrazione viene letta come fenomeno ineluttabile e come via privilegiata per contrastare l ‘impoverimento delle popolazioni  , per attenuare gli effetti dell’incremento demografico del continente africano , e compensare quelli legati all ’invecchiamento della popolazione nei paesi europei.

Le migrazioni possono certamente rispondere alle aspettative delle persone che aspirano ad un destino migliore , dare un contributo allo sviluppo dei paesi di origine tramite le rimesse dei migranti e le esperienze di lavoro  per quelli che rientrano , ed , altrettanto , a contenere il declino demografico dei paesi sviluppati .

  Ma autorevoli studi internazionali dimostrano che l’uscita dalle condizioni di povertà assoluta  di circa 1 mld di persone , nel corso degli ultimi venti anni ,  è avvenuta per effetto dello sviluppo locale dei paesi emergenti , che il contributo delle rimesse  non di rado è compensato in negativo da un esodo di risorse umane fondamentale per la crescita di un ceto  medio produttivo, che i tassi di natalità dei migranti si adeguano rapidamente a quelli delle popolazioni dei paesi di accoglienza.

Nel contempo vengono sottovalutate le iniziative promosse nei paesi poveri e in via di sviluppo , da importanti ordini religiosi negli ambiti della formazione professionale, della sanità e della assistenza  , le iniziative di gruppi e associazioni  volte a promuovere progetti di sviluppo locale , le adozioni a distanza delle famiglie  , stimate , per l’Italia ,in oltre un milione di erogazioni  l’anno da parte delle famiglie .

Iniziative corpose ma che non riscontrano l’attenzione di  istituzioni ,prevalentemente assorbite  nel promuovere programmi di cooperazione onerosi e di dubbia efficacia riservati a gruppi ristretti di  organizzazioni non governative , e che , diversamente potrebbero  diventare il perno di una nuova politica di cooperazione internazionale sostenuta anche dalle istituzioni Europee

LA CITTADINANZA DEVE ESSERE IL RISULTATO DI UN PERCORSO DI INTEGRAZIONE

Un ramo del Parlamento ha recentemente approvato il testo di un disegno di legge che si propone di riconoscere il diritto di cittadinanza ai minori stranieri residenti , nati in Italia o ricongiunti , che abbiano portato a compimento ameno un  ciclo scolastico , con la finalità , a detta dei sostenitori , di rimediare una discriminazione nei confronti dei loro coetanei italiani, in quanto attualmente  costretti ad avanzare questa richiesta al raggiungimento della maggiore età.

E’ doveroso evidenziare  che i minori stranieri , accompagnati e non, beneficiano già degli stessi diritti sociali ed economici dei minori italiani e che alcuni diritti collegati alla acquisizione della cittadinanza , come quello di voto e di libera circolazione verso altri paesi , non sono disponibili per l’intera platea dei minori.

Tutto questo premesso , va altrettanto ricordato che nell’ordinamento italiano la richiesta della cittadinanza al raggiungimento della maggiore età , è un’opzione subordinata rispetto alla possibilità del minore di avere anticipatamente il riconoscimento  , come conseguenza della acquisizione della cittadinanza da parte di un genitore, dopo 10 anni di regolare residenza nel nostro paese.

Infatti oltre il 40% dei delle nuove cittadinanze rilasciate nel corso del 2015 e 2016 , circa 380ml complessive , è stato assegnato a minori stranieri .

Sul piano pratico l’effetto della innovazione normativa proposta non è significativo.  I dieci anni di regolare soggiorno del genitore di solito coincidono con i tempi della frequenza dei  cicli scolastici da parte dei figli.

Ma è sconvolgente dal punto di vista culturale . Non solo si sottrae ai genitori il  diritto -dovere e la responsabilità di guidare i figli nel percorso di educazione e formazione, ma tende a produrre una singolare scomposizione dei nuclei familiari con effetti indesiderabili . Si pensi ad esempio alle possibili implicazioni sulle scelte delle famiglie riguardanti  la loro mobilità e ad un possibile rientro nei paesi di origine , dato che bel 64 paesi , da cui provengono la metà dei migranti residenti in Italia , non ammettono la doppia cittadinanza.

Pertanto , se si ritiene opportuno operare una manutenzione di una legge che sta comunque producendo buoni risultati , al fine di accelerare i tempi di acquisizione della cittadinanza  la via migliore è quella di premiare le persone e i nuclei familiari sulla base di una valutazione dei comportamenti attuati in ambito civile , scolastico e lavorativo. In questo modo si produrrebbero anche nuovi stimoli per accelerare i percorsi di integrazione.

PER UNA BUONA POLITICA DELL’IMMIGRAZIONE :  ALCUNE PREMESSE CULTURALI 

La natura di flussi migratori è cambiata radicalmente parallelamente alla rapida integrazione dei sistemi produttivi su scala globale e ai mutamenti tecnologici  nel campo della comunicazione e dei trasporti che hanno accelerato l’accesso alle informazioni e gli spostamenti delle persone.

In forte crescita sono i flussi migratori all’interno dei paesi sviluppati e tra questi con quelli in rapido sviluppo  nell’ambito dei quali una particolare incidenza è stata prodotta dalla libera circolazione dei cittadini dei paesi aderenti alla UE.  Nuove dinamiche  che concorrono  alla rapida formazione di un mercato del lavoro internazionale sulla spinta della internazionalizzazione delle imprese e dall’esigenza di formare adeguatamente le risorse umane per presidiare mercati , tecnologie e organizzazioni produttive .

E’ in questo ambito che si stanno formando le classi dirigenti , e quelli che potremmo definire  “i ceti esperti “ fondamentali per assicurare lo sviluppo economico e sociale di ogni territorio , anche attraverso la capacità di attrarre risorse umane qualificate analogamente a quanto avviene nel movimento dei capitali e delle imprese . Questa evoluzione ci interroga sul posizionamento del nostro paese , sulla sua capacità di attrarre risorse umane qualificate , e di garantire ai nostri giovani la possibilità di fare esperienze formative e lavorative in altri paesi in condizione di reciprocità  con gli stessi.

Le migrazioni dai paesi poveri , o in via di sviluppo , verso quelli più sviluppati continueranno ad avere un peso rilevante sui flussi migratori , ma rimane importante contingentarle , per motivi si sostenibilità generale e delle stesse persone coinvolte , agli effettivi  fabbisogni  del mercato del lavoro locale.

Pertanto è doveroso mantenere la distinzione  tra i doveri di accoglienza verso i profughi , sulla base del diritto internazionale e degli effettivi requisiti delle persone , e i migranti per motivi economici  per i quali gli stati devono mantenere la prerogativa di autorizzare gli ingressi , e il mantenimento della residenza in ragione delle opportunità di inserimento nel mercato del lavoro e di sostenibilità del reddito delle persone e dei nuclei familiari.

Infine  è doveroso porsi il problema di come concorrere al potenziamento delle iniziative delle istituzioni internazionali  per rafforzare gli interventi verso le persone in fuga da conflitti bellici o da gravi calamità naturali , in forte aumento, e che per la stragrande parte rifluiscono verso i paesi limitrofi altrettanto poveri.

Questi flussi migratori sono estremamente  diversificati al loro interno  , come  diverse sono le possibili soluzioni che vanno ponderate al fine di  valorizzarne  le potenzialità e di limitare i costi sociali , adottando analisi corrette e  avendo una chiara percezione del posizionamento del proprio Paese nelle dinamiche migratorie.

Consideriamo un grave errore approcciare questi problemi  con  gli  atteggiamenti  semplicistici , pro o contro i migranti  , che purtroppo  stanno dominando la scena politica .

 

 

 

LE INNOVAZIONI POSSIBILI

Nella consapevolezza che , per le ragioni evidenziate , sia necessario innovare profondamente le politiche per l’immigrazione sinora adottate in Italia e in Europa , vogliamo indicare quelli che , a nostro avviso , dovrebbero essere i capisaldi di una nuova politica sul tema.

REVISIONE DELLE MODALITA’ DI AUTORIZZAZIONE  DEGLI INGRESSI PER MOTIVI DI LAVORO

L ‘attuale  sistema di programmazione annuale degli ingressi per profili generici, ormai obsoleto e inutilizzabile ,va sostituito con uno più flessibile , basato sul rilascio alle imprese o ad intermediari accreditati, di una pre autorizzazione per la selezione di personale qualificato , previa verifica della  effettiva carenza di offerta disponibile nel territorio. Tale pre autorizzazione  deve essere  trasformabile in un permesso di soggiorno  provvisorio per motivi di  lavoro ,dopo l’accertamento delle condizioni di sussistenza della qualifica professionale , l’assenza di reati a carico , l ‘iscrizione a un corso per l’apprendimento della lingua italiana, la disponibilità di una abitazione.

CONDIZIONE DI PERMANENZA NEL TERRITORIO ITALIANO E DI RICONGIUNGIMENTO PER I FAMILIARI

Mantenimento del requisito minimo di reddito ovvero  obbligo di partecipare ai programmi di reinserimento lavorativo per i disoccupati . Verifica delle condizioni di apprendimento della lingua e della partecipazione ai percorsi scolastici obbligatori da parte dei figli . Definizione di un programma rivolto a contrastare i livelli di impoverimento dei nuclei familiari rigorosamente ancorato all’inserimento lavorativo e alla frequenza scolastica dei figli.

 

ACCELERAZIONE DELLE PROCEDURE E DEI TEMPI DI ACQUISIZIONE DELLA CITTADINANZA ITALIANA

Definizione di criteri , che possono dar luogo anche a punteggi, che consentano di anticipare i tempi di acquisizione della cittadinanza ( con un minimo di permanenza di 8 anni per almeno un genitore) , anche per figli nati in Italia o ricongiunti, sulla base della valutazione dei comportamenti delle persone e dei nuclei familiari negli ambiti : civile, scolastico, lavorativo.

POLITICHE PER L’ACCOGLIENZA DEI PROFUGHI ,  IN ITALIA E IN EUROPA , E DI SOSTEGNO AI PROGRAMMI DI COOPERAZIONE

-       Promuovere la costituzione di una forte  Polizia di Frontiera Europea , da impegnare nelle aree di elevata criticità dei flussi irregolari d’ingresso di migranti , sulla base di decisioni assunte nell’ambito del Consiglio dei Ministri della UE .  l’azione della Polizia di frontiera UE dovrà caratterizzarsi come supporto organico agli Stati aderenti più esposti nelle attività di contrasto, identificazione , espulsione dei migranti che non hanno i requisiti di protezione , trasferimento degli stessi in altri territori UE ;

-       Predisposizione di piani di distribuzione dei migranti che hanno il requisito di protezione, nell’ambito dei paesi aderenti alla UE verificando le condizioni di sostenibilità dei mercati del lavoro locali e finanziando i programmi di integrazione;

-       Definizione di un programma pluriennale di sostegno alla definizione di accordi bilaterali o multilaterali tra paesi aderenti con quelli di origine dei flussi migratori . Inserimento , nelle linee di intervento dei fondi sociali , dei programmi di sostegno alla mobilità circolare dei migranti per favorire esperienze formative e di lavoro con la prospettiva del rientro nei paesi di origine;

-       Revisione delle modalità e dei tempi di gestione dei ricorsi avversi ai pronunciamenti negativi delle commissioni di esame delle richieste di protezione internazionale,. Istituzione di un ramo della magistratura dedicata alla gestione di tali ricorsi , e riduzione , sino all’annullamento dei rimborsi per gli avvocati d’ ufficio nel caso di ricorsi palesemente infondati;

-       Istituzione di un albo dei soggetti accreditati a partecipare ai bandi per la gestione dei centri di accoglienza e di una attività di ispettorato permanente per la verifica delle attività svolte;

-       Distribuzione concordata con le regioni e con gli enti locali dei migranti che hanno richiesto il permesso di asilo ;

-       Definizione di un programma nazionale  di inserimento lavorativo , cofinanziato con fondi europei , nazionali e  regionali , per i profughi riconosciuti ,  basato su  un codice dei diritti e dei doveri del migrante , e avvalendosi delle agenzie del lavoro accreditate per sviluppare progetti di inserimento personalizzati remunerati sulla base dei risultati ottenuti;

-       Mobilitazione delle risorse nazionali destinate al sostegno dei programmi di cooperazione per la finalità di potenziare gli interventi delle associazioni , delle imprese , delle famiglie  nei paesi in via di sviluppo ritenuti di interesse strategico per l’Italia.

La Questione meridionale oggi

 

Il quadro che emerge dalle anticipazioni del rapporto Svimez (Associazione per lo Sviluppo Industriale del Mezzogiorno) segna una tendenza di abbandono del Mezzogiorno, dove la ripresa dei flussi migratori è “la vera emergenza meridionale, che negli ultimi anni si è via via allargata anche al resto del Paese”. Negativa anche la proiezione del Pil per il Sud che “nel 2019 calerà dello 0,3% mentre il resto del paese crescerà dello 0,3% aumentando la divaricazione che, “all’interno di un paese fermo porta il Mezzogiorno in recessione. Un paese spaccato, un Sud svuotato dall’emigrazione di migliaia di giovani e laureati.

 

Il rapporto della Svimez, già nel 2015  riportava all’onore delle cronache i problemi, le forti insufficienze, i ritardi e le specificità che affliggono il Sud Italia.

Al momento dell’unificazione politica, infatti, le necessità di bilancio spinsero il Governo a preferire tra i vari ordinamenti fiscali il più redditizio, e, il più gravoso: quello del Regno di Sardegna, esteso da un giorno all’altro a tutta l’Italia, in aperto contrasto, specialmente, con quello del Regno di Napoli che, d’un tratto, si trovò a passare da un’imposizione fiscale leggera, ad una insopportabilmente pesante. Dogane leggere e tasse pesanti dunque, tutto il contrario di quello che serviva alla fragile e povera economia meridionale.

L’unificazione fu considerata, dunque, alla stregua di un affare coloniale, con l’esplicita alleanza tra il capitale degli invasori e il patrimonio dei possidenti colonizzati. Alleanza che continuerà purtroppo sotto altre forme e con altri protagonisti anche negli anni della Repubblica.

Ma ciò che emerge con assoluta chiarezza dal dopoguerra ad oggi (ma si potrebbe tranquillamente dire dall’unità ad oggi) è il fatto che le sorti del nostro Mezzogiorno sono sì indissolubilmente intrecciate con quelle del paese, ma che, paradossalmente, del Mezzogiorno non si tiene conto a sufficienza quando si prendono le grandi decisioni nazionali: dalla scelta europea, all’abolizione delle gabbie salariali, dello statuto dei lavoratori, all’ingresso nello Sme, a Maastricht. In altri termini, le scelte strategiche di modernizzazione del paese finiscono, immancabilmente, per trasformarsi in insopportabili forzature per l’economia del Sud, in mancanza di un’adeguata società civile.

 

Tra le tante Italia esistenti, due normalmente, sono quelle che vengono messe a confronto: il Mezzogiorno e il Centro Nord, e sono, entrambe, due mere invenzioni statistiche, con forti disomogeneità al loro interno. Ebbene, nonostante la semplificazione e l’appiattimento delle medie queste due «Italie», dopo oltre quarant’anni di intervento straordinario e a centotrentacinque dall’unificazione, sono ancora molto distanti, quasi due mondi, con molto poco in comune.

9

 Se le diversità esistono e sembrano persistenti, tuttavia dal dopoguerra ad oggi molto è anche cambiato: il Pil per abitante è più che quadruplicato; l’incidenza degli occupati in agricoltura discesa dal 56% al 15%. E anche se l’incidenza degli occupati nell’industria in senso stretto è rimasta ferma al 13%, gli addetti alle unità locali superiori alle cento unità sono triplicati e la produttività media è oggi otto volte quella del 1951.

10

 La rete stradale è più che raddoppiata, e la sua qualità è enormemente migliorata. La disponibilità giornaliera di acqua per abitante è passata da ottanta a trecentoquaranta litri. Il numero di abitanti per stanza è diminuito da quasi due a meno di uno. Sono scomparse le abitazioni prive di servizi igienici e di elettricità, La mortalità infantile è scesa da ottanta a dieci per mille nati vivi. Gli scritti alla scuola dell’obbligo che, nel 1951 erano il 70% degli obbligati, oggi sono il 100%. Gli iscritti alla secondaria superiore, che nel 1951 erano meno del 10% dei ragazzi di quattordici diciotto anni, oggi sono il 60% (Cafiero, 1992); in quasi ogni provincia del Sud oggi esiste una sede universitaria.

11

 Traguardi importanti, ma non sufficienti a spezzare la patologica dipendenza economica dell’area, dai consumi tendenzialmente convergenti con il Nord, ma supportati da attività economiche in gran parte protette dalla concorrenza nazionale e internazionale e condizionate da appalti e forniture assegnati, più o meno legalmente, con criteri diversi da quelli del confronto concorrenziale. Area, dicevamo, la cui domanda è soddisfatta da un ingente ammontare di importazioni nette, finanziate in gran parte attraverso l’eccedenza della spesa pubblica sui prelievi, e con un patologico eccesso di risparmio non impiegato in loco, a causa dell’inefficienza del sistema bancario locale e, al solito, della mancanza di buona imprenditorialità.

12

 Certo il Sud consuma di più di quanto produce, ma questo era vero anche per il passato. Ma perché ora la cosa sembra insopportabile a tanta parte dell’opinione pubblica? Forse perché per molti anni i ritorni che il Nord ha tratto dalla spesa pubblica a favore del Mezzogiorno sono stati superiori ai maggiori oneri fiscali sostenuti per finanziarla.

13

 Ma quando il processo di integrazione europea ha reso i vincoli finanziari più stringenti e più acute le esigenze di investimenti intensivi a difesa della competitività delle nostre produzioni la dipendenza economica del Mezzogiorno è divenuta sempre meno sostenibile per il resto del paese . Ecco perché il Nord non accetta più né la politica meridionalistica, ormai considerata come una spesa peggio che improduttiva, né il meridionalismo, che tale politica richiede: e sembra talvolta disposto a rifiutare la stessa unità nazionale, pur di sottrarsi all’onere della politica meridionalistica”.

14

 Minor prodotto pro capite (intorno al 60% di quello del Centro Nord), fragilità delle strutture produttive (nel Sud è localizzato solo il 15% della capacità produttiva manifatturiera del paese), con prevalenza invece di settori non concorrenziali e maturi, carenza endemica di infrastrutture, malavita organizzata dilagante, bassa qualità della vita, ma consumi tendenzialmente più vicini al resto del paese all’80%, con conseguente dipendenza economica in ragione della minor ricchezza prodotta, dipendenza finanziata dai trasferimenti e dalla spesa pubblica in disavanzo: questi, come abbiamo visto, i caratteri fondamentali del sottosviluppo e dell’arretratezza del Sud.

15

Ma dal quadro, per capirci qualcosa, manca ancora dell’altro: manca la ricostruzione analitica dei modelli di riproduzione perversa del capitale umano nel suo ciclo di vita (individuale e sociale), mancano le ragioni della persistenza del sottosviluppo, dell’arretratezza e della dipendenza e, perché no, le ragioni del piagnonismo e del vittimismo.

16

 Per troppo tempo si è concentrata genericamente l’attenzione sulla disoccupazione meridionale, sui suoi livelli e sulle sue dinamiche, senza mettere in relazione questo pur grave fenomeno con la qualità dell’occupazione e con il tipo di regole del vivere associato prevalenti nella società meridionale. Forse, solo mettendo insieme capitale umano e regolatori sociali, sarà possibile individuare i codici genetici che riproducono e perpetuano il sottosviluppo al Sud, nonostante gli sforzi di investimento compiuti dal dopoguerra ad oggi.

17

 Il fatto che il mercato del lavoro nel Sud non funzioni, o funzioni male, con disoccupazione al triplo rispetto al resto del paese, con una gran quantità di lavoro sommersa e irregolare, non è solo il prodotto dello scarso sviluppo economico, ma anche e soprattutto la reazione della società meridionale a un insieme di regole (salariali e contrattuali) e di vincoli non coerenti con quanto ritenuto naturalmente accettabile dagli agenti che operano nell’area (datori di lavoro lavoratori, istituzioni). Il mercato del lavoro, più degli altri mercati, deve essere considerato una vera e propria istituzione sociale.

18

Ne segue che il funzionamento del mercato del lavoro potrebbe sostanzialmente diversificarsi da un luogo all’altro; società diverse potrebbero imporre norme differenti a datori di lavoro, lavoratori occupati, lavoratori disoccupati ed altri.  Il Sud ha bisogno di ben altro: certamente ha bisogno di colmare il suo gap infrastrutturale, ma anche questa strategia da sola non basterebbe. Servono, assieme agli investimenti, interventi di lungo periodo che plasmino i regolatori, sociali alle specifiche esigenze dell’area e politiche che migliorino, armonizzandolo, l’intero ciclo di vita del capitale umano: la scuola e la formazione professionale, la transizione scuola- formazione-lavoro, il lavoro, le carriere, il welfare.

20

Ridefinire i regolatori sociali vuol dire intervenire direttamente nella società civile e nella qualità della vita: in quel complesso, cioè, di norme, comportamenti, culture, abilità, intelligenze, specializzazioni, propensioni che sono alla base di qualsiasi processo di sviluppo economico e di qualsiasi equilibrio sociale. Per troppo tempo si è ritenuta la società civile come un semplice prodotto degli investimenti infrastrutturali e produttivi, nonché dell’imposizione, burocratica e dall’alto, di regole da applicare: i fatti, nel nostro Sud, hanno dimostrato che ciò era una pia illusione.

21

 Al Sud la scuola è cattiva e si studia male e, di conseguenza i tassi di abbandono, nella fascia dell’obbligo, si collocano su punte pari a più di tre volte quelli del Centro Nord.

22

 Ebbene, il quadro che emerge da questa semplice analisi statistica sul funzionamento della scuola nel Sud è del tutto sconfortante: sprechi, inefficienze, carenze, scarsa qualità finiscono per produrre un capitale umano in gran parte inutilizzabile. La lezione che se ne ricava e fin troppo chiara: in una realtà come quella meridionale l’elemento strutturalmente distorsivo è rappresentato da una troppo debole e, spesso, inesistente società civile, incapace di comportamenti realmente cooperativi. Da questa debolezza derivano, poi, inesorabilmente e cumulativamente tutti gli altri circuiti perversi.

23

 La cooperazione volontaria e più facile all’interno di una comunità che ha ereditato una provvista di “capitale sociale” in forma di norme di reciprocità e reti di impegno civico. Se le norme di reciprocità e le reti di impegno civico di cui parla il sociologo Putnam nel suo libro (che ha destato non poche polemiche tra gli studiosi di casa nostra) sulle tradizioni civiche delle regioni italiane altro non sono che il prodotto della società civile, il quesito che ci si deve porre è perché il nostro Sud mostri, al riguardo, storicamente e strutturalmente tanta inadeguatezza.

24

 A questo punto, come nei buoni romanzi d’appendice, occorre, sempre seguendo Putnam, fare qualche passo indietro e precisamente a quella «..fusione di elementi di burocrazia greca e di feudalismo normanno, integrati in uno stato unitario..» che fu il tratto caratteristico del genio di governo di Federico II.

25

 Tutta la vita economica e sociale veniva regolata dal centro e dall’alto e non dall’ interno e dal basso come nel Nord della penisola. E tutto ciò avveniva in un delicato momento di passaggio, in cui, cioè, cominciavano a manifestarsi, soprattutto in Italia del Nord, originali forme di governo autonomo, come risposta alla violenza e all’anarchia che regnavano endemiche nell’Europa medioevale.

26

 Ambedue i sistemi avevano, in qualche modo, posto sotto controllo la questione sociale per eccellenza nel Medioevo: l’ordine pubblico.

 Le due soluzioni, quella gerarchica al Sud e quella cooperativa al Nord, furono, di fatto, quanto a benessere collettivo, equivalenti fino al tredicesimo secolo.

27

 L’assolutismo di Federico II, efficiente, al suo tempo, nel risolvere i problemi dell’azione collettiva, si trasformò ben presto nell’autocrazia diffusa dei baroni. L’autoritarismo delle istituzioni politiche fu aggravato da una struttura sociale storicamente organizzata in modo verticale, avente in se le asimmetrie del potere, lo sfruttamento e la sottomissione, in contrasto con la tradizione  del Nord imperniata  sulle associazioni legate tra loro a formare una rete di rapporti orizzontali, una catena di solidarietà sociale tra uguali.

28

L’abisso tra sudditi e signori era reso più drammatico nel Mezzogiorno dal fatto che tutte le dinastie che si succedettero furono straniere. Dal 1504 al 1860 tutta l’Italia a Sud degli stati pontifici si trovò sotto il dominio degli Asburgo e dei Borboni i quali  seminarono con sistematicità la sfiducia e la discordia tra cittadini, distruggendo tutti i legami di solidarietà orizzontale, allo scopo di rimanere a capo di un ordine gerarchico basato sullo sfruttamento e il servilismo”.

29

 Ora, come abbiamo visto, la perdita di fiducia reciproca nei rapporti economici e politici altro non è che distruzione di capitale sociale immateriale, distruzione che nel Sud, nel corso dei secoli, ha fortemente indebolito la società civile. Da qui forse la chiave analitica per capire i problemi dì oggi.

30

 

 Nei modelli di crescita endogena, sviluppati di recente nella teoria economica, la chiave del successo di una economia consiste in un circolo virtuoso tra investimento in capitale umano e sviluppo: l’accumulazione fa sì che le produttività del lavoro e del capitale fisico crescano attraverso l’innovazione e il progresso tecnico, e a loro volta le capacità produttive maggiori rendono possibili ulteriori accumuli di capitale umano. Poiché il capitale umano costruisce cultura, ossia un insieme di procedure che risulta mutualmente soddisfacente agli attori economici ingaggiati in transazioni ripetute, l’efficienza del sistema economico aumenta e migliora la qualità della vita.

31

Di conseguenza le transazioni aumentano e ciò dà origine a maggiore e più soddisfacente elaborazione culturale. Una società di successo è caratterizzata da una cultura ricca e varia, da molteplici relazioni, da una forte interazione e da reciproca fiducia”. Quando un sistema, per le ragioni più varie, finisce per accumulare capitale umano in misura insufficiente, rispetto ai propri bisogni, si determina una spirale involutiva fatta di bassa innovazione e progresso tecnico, stagnante produttività dei fattori e crescente dipendenza.

32

 La povertà e la mancanza di sviluppo che ne conseguono inducono la crescita di forme perverse di relazioni sociali ed economiche di tipo parassitario. Vengono così meno i rapporti di fiducia, in un rapporto di retroazione negativa sulla crescita economica.

33

 Un sotto sistema povero di capitale umano non è in grado di usare i regolatori sociali formali progettati per la parte più evoluta del sistema, in cui magari il processo di accumulazione del capitale umano e nella pienezza del suo circuito virtuoso. Si forma dunque uno iato crescente tra astrattezza e inapplicabilità delle regole e crescente fragilità del complessivo tessuto economico e sociale.

34

 Lo stato di diritto viene così distrutto non solo perché “nessuno è in regola”, ma soprattutto perché appare ai più (cittadini e autorità) impossibile (ma anche inutile) “mettersi in regola”. In un processo di delegittimazione crescente di tutte le istituzioni regolative. L’impossibilità (o l’inutilità) di rispettare le leggi si riflette, oltre che sui rapporti sociali, soprattutto sui rapporti economici, in quanto genera incertezza e aumenta i costi di transazione.

35

Siamo nel bel mezzo di un circuito perverso in cui la cronica debolezza dello Stato favorisce la diffusione di istituzioni ombra preposta a ristabilire, in maniera parallela, fiducia e sicurezza non generate né dalle istituzioni formali né dal civismo orizzontale.

La storia della mafia è, dunque, la storia del fallimento nello Stato nel predisporre un sistema certo e credibile di sanzioni in grado di garantire i diritti di proprietà, cosicché si e formata nel tempo una rete (istituzione) privata a sostegno delle relative relazioni di scambio.

36

 “La mafia offriva protezione contro i banditi, i furti nelle campagne, gli abitanti delle città rivali, ma soprattutto contro se stessa”. “L’attività più specificatamente mafiosa consiste nel produrre e vendere una merce molto speciale, intangibile e tuttavia indispensabile nella maggioranza delle transazioni economiche. Invece che produrre automobili, birra, viti e bulloni o libri, produce e vende fiducia”.

37

 Il clientelismo, la mafia, la criminalità organizzata di vario tipo (camorra, ‘ndrangheta, la recente sacra corona unita) altro non sono che le istituzioni parallele de che hanno colmato la patologica assenza di relazioni civili orizzontali di tipo cooperativo, sfruttando a loro vantaggio, progressivamente nel tempo, sia le istituzioni democratiche che le risorse finanziarie incrementali conseguenti al processo di unificazione nazionale prima, e all’intervento straordinario poi.

38

L’aver voluto imporre le stesse regole del Nord evoluto a un Sud quasi privo di società civile ha, di fatto, accentuato e fatto crescere un antistato, con la sua cultura antagonistica. Non sorprende per nulla, quindi, se oggi, a centocinquantanove anni dall’unità d’Italia le cose non siano, come abbiamo visto, granché cambiate, nonostante i pur sensibili miglioramenti economici e infrastrutturali.

39

L’impianto teorico che ha, sino ad ora, guidato le azioni pubbliche tendenti a combattere il sottosviluppo considera gli investimenti e i trasferimenti pubblici come fattore necessario e spesso sufficiente per generare un modo (più o meno endogeno) di investimenti privati, per l’aumento medio di produttività e, in ultima analisi, per il rafforzamento e lo sviluppo della società civile, in un processo virtuoso autopropulsivo. In questa accezione la società civile altro non è che un insieme di norme, valori e relazioni, di singoli capitali umani di network, ovvero dì quelli che potremmo chiamare beni relazionali.

40

 Gli investimenti pubblici hanno l’obiettivo di favorire il funzionamento del sistema economico, in termini di efficienza ed equità, e di indurre l’accumulazione privata. Dagli investimenti pubblici e dai beni pubblici da essi prodotti e dall’accumulazione privata indotta, normalmente si fa derivare il miglioramento, la promozione e lo sviluppo della società civile e, quindi, dei beni relazionali. Dai beni relazionali dovrebbe ripartire, in una sorta di processo circolare, un nuovo impulso per lo sviluppo a carattere sempre più endogeno.

41

Quindi, secondo la ricetta teorica tradizionale, più si spende per beni pubblici, più società civile si formerà, con i relativi beni relazionali.

42

Applicando questo schema teorico-causale al nostro Mezzogiorno, vediamo come nonostante nell’area si sia prodotta, dal dopoguerra ad oggi, una quantità rilevante di beni pubblici,. questa produzione non sia stata in grado di generare il substrato di beni relazionali capace di attivare un processo endogeno di crescita. Diversamente dal caso dei paesi ad economia arretrata in cui, generalmente, si tratta di costruire una cultura dello sviluppo in alternativa ad un debole sistema di reti preesistente, nel Mezzogiorno, come abbiamo visto, un sistema forte di relazionalità (perversa e antagonista) già esisteva.

43

Ebbene, questo sistema si è dimostrato talmente forte e strutturato non solo da non venir per nulla scalfite dall’intervento pubblico, ma anzi dall’avvantaggiarsene come una metastasi che si sviluppa sfruttando le sostanze ricostituenti che vengono somministrate ad un organismo malato.

44

Una prima semplice constatazione: solo un tessuto economico sufficientemente dotato di beni relazionali è in grado di generare al proprio interno le spinte necessarie per il proprio sviluppo: mentre nei contesti sociali caratterizzati da network opposti o antagonisti, queste capacità autopropulsive risultano molto deboli, e non potranno essere semplicemente indotte da meri interventi di produzione di beni pubblici tradizionali.

 

In questi casi potrebbe diventare quindi utile una “produzione diretta” di beni relazionali, proprio per sfuggire al parassitismo del circuito perverso antagonista, in modo tale da superare la soglia critica, necessaria e sufficiente per far crescere virtuosamente un sistema relazionale forte, socialmente condiviso, e tendenzialmente maggioritario. Non più, dunque, sviluppo come semplice effetto di investimenti produttivi e infrastrutture, ma sviluppo come esatta miscela di questi con la necessaria dotazione di società civile.

.      

.        In questo quadro va recuperata la scarsa produttività del Mezzogiorno con alcune misure:

.        1) la ripresa di quel filo spezzato 25 anni fa per infrastrutturare il territorio meridionale abbattendo le diseconomie ambientali che si trasformano in un aumento dei costi aziendali;

.        2) una fiscalità di vantaggio già prevista dalla legislazione europea dal 2005;

.        3) una flessibilità salariale all’ingresso più forte dell’attuale come strumento concordato tra le parti sociali per accentuare le convenienze a investire nel Sud;

.         4) uno sforzo simile a quello che fu fatto 30 anni fa con Falcone e Borsellino per infliggere colpi mortali alla criminalità organizzata. È inutile dire, però, che tutto questo non sarà sufficiente se i politici meridionali non dovessero fare la propria parte per selezionare classe dirigente all’altezza della situazione abbandonando il nefasto familismo e l’autoritarismo dei piccoli ras locali che hanno devastato il panorama politico meridionale impedendo, tra l’altro, l’uso ottimale degli ingenti fondi europei.

.         

 Occorre un piano di sviluppo concreto definendo tempi di intervento e risorse certe tenendo conto che il mercato del lavoro organizzato in funzione della globalizzazione,  al patto di stabilità europeo e considerato che il mercato del lavoro si evolve in direzione della mobilità.
Una mobilità connessa alla qualificazione e  riqualificazione continua.
Non basta la formazione occorre l'aggiornamento. I mestieri e le  professioni si evolvono rapidamente, muoiono e ne nascono altri .Anche i mestieri tradizionali come l'agricoltore non possono fare più a meno delle tecnologie innovative. Il mercato del lavoro si riflette oggi nel cambiamento sociale, prima di chiedere lavoro si deve chiedere qualificazione. La formazione non può essere generica, dev'essere mirata e innovativa.

 Il concetto di disoccupato viene sostituito dal concetto di non qualificato, per chi è qualificato e orientato non sarà disoccupato.

Su questi concetti cambia anche la famiglia e  i rapporti tra uomo e donna. Più istruzione e meno figli consentono alle donne la qualificazione che dà loro  il diritto a un innalzamento sociale.

Questo porta a nuove evoluzioni demografiche  e sociali .In questo quadro dobbiamo collocare ogni previsione e ogni problematica sul futuro degli italiani, degli europei e del mondo arabo.

Negli ultimi anni abbiamo avuto una sostanziale stabilità nel tasso di attività totale della popolazione italiana. Tale stazionarietà a livello aggregato presenta al suo interno una evoluzione che aveva visto prima della crisi crescere l'occupazione femminile rispetto a quella maschile.

Si sono anche innalzati i tassi di scolarità per cui la variazione interessa le classi di età inferiore, lasciando immutata la situazione nelle classi centrali(50anni).
Abbiamo parlato di creare posti di lavoro, ma lo sviluppo è anzitutto capacità di produzione, competitività sui mercati e credibilità tecnologica .

Riguardo al Mezzogiorno accenneremo ad alcuni settori strategici: agricoltura, turismo, terziario avanzato, ma questi sono aspetti particolari, seppure  importanti, di un processo che va letto in termini complessivi.

Sviluppato rispetto a cosa  e a chi? Per questo parliamo di sviluppo italiano nei confronti dell'Europa e di sviluppo Mezzogiorno nei confronti del divario tra Nord e Sud.

Al concetto di sviluppo in termini di quantità(prodotto interno lordo, reddito pro capite, redditi familiari, consumi ecc.)dobbiamo aggiungere i parametri di qualità (l'istruzione , la sanità, la ricerca scientifica, il tempo libero, la produzione culturale e artistica, la vivibilità urbana, ecc. ).

Una popolazione lavorativa in crescita porta con sé fenomeni di sviluppo economico che assumono valenza di sviluppo culturale.

Ma per far crescere il lavoro nel Mezzogiorno, occorre il concorso di nuovi investimenti produttivi insieme alla qualificazione professionale.

Investire quindi in industrie moderne, in servizi.

Da quanto si è detto sul lavoro e  sui cambiamenti del mercato emerge che orientamento, formazione, qualificazione sono le strategie per accedere al mercato.

Flessibilità e mobilità del mercato del lavoro portano forme di part-time, di homework di Job sharing (divisione dei compiti) con un minor costo per unità di prodotto.

L'home-working o il telelavoro, ad esempio abbatterà i costi di trasferimento migliorerà i tempi di lavoro, consentirà una riduzione di carichi.

Lavorare meno lavorare tutti, che era  uno slogan provocatorio degli estremisti, sarà il risultato delle tecnologie avanzate.

La formazione deve quindi cambiare, per struttura, per contenuti ,per metodologie e per finalità .

Oggi dobbiamo includere la formazione nel sistema di imprese, perché la professionalità e il know how sono a pieno titolo tra i  fattori strategici della competitività sui mercati.

Secondo la stima della Svimez  il Sud perderà  nei prossimi 50 anni ben 1,2 milioni di abitanti.

Da parte mia, condivido il “decalogo” proposto da Umberto Minopoli che, intervenendo nel dibattito aperto sul tema dalla rivista on line www.formiche.net scrive:

“Le nenie della Svimez sul Mezzogiorno hanno stufato. Nel Sud si è, sino ad ora, sperimentato, in 70 anni, tutto quello che è consentito da politiche stataliste, burocratiche e straordinarie: incentivi, sgravi fiscali, sovvenzioni, misure speciali ecc. ecc.. Cioè un secolo di meridionalismo. Risultato: il sottosviluppo resta li’ e la Svimez piagnucola col fallimento, la desolazione e l’abbandono del Sud. E se, finalmente, rovesciassimo il paradigma di un secolo di meridionalismo-” piu’ stato nel Sud “- e provassimo l’opposto: “piu’ mercato nel Sud”?

Provatevi ad immaginare alcuni radicali interventi liberalizzanti. Che so?:

 

1) privatizzare la Salerno-Reggio Calabria a condizione che i privati la completino in tempi dovuti.

2) realizzare una grande infrastruttura nel Sud (di quelle che mobilitano risorse umane e capitali privati (se possono essere remunerati da tariffe): il ponte sullo Stretto.

3) realizzare una nuova rete elettrica di trasporto che renda utili gli investimenti inutili e parassitari fatti nelle rinnovabili

4) vendere in concorrenza i diritti dell’alta velocita’ da Salerno a Reggio Calabria e Bari

5) privatizzare le tratte ferroviarie morte interne alla Regioni del Sud e sulla direzione est-ovest. E che cento fiori fioriscano

6) liberalizzare i contratti di lavoro nel Sud copiando dai successi Fiat a Pomigliano, Cassino e Melfi

7) realizzare il progetto banda larga affidandolo ad una societa’ privata di operatori di rete (Enel, Telecom e altri privati) e non ad un ministero.

8) affidare ad una banca o ad un consorzio di esse la gestione dei Fondi Europei lasciando alla Regioni solo un ruolo di indirizzo e definizione degli obiettivi.

9) detassare tutto il detassabile al Sud cominciando dalla fiscalità del lavoro e dell’impresa

10) commissariare la Regione Sicilia e responsabilizzare i governatori del Sud (De Luca, Emiliano ecc) a realizzare obiettivi di sviluppo senza aggravi di spesa pubblica.

Sennò commissariare anche loro. I puristi di sinistra storceranno il naso e definiranno tatcheriano un tale programma. Se ci fosse il coraggio di attuarlo ( arricchendolo con altre decine di possibili proposte aggiuntive) basterebbe una scrollata di spalle ai puristi di sinistra. Che si lamentano sempre e propongono mai.” 

Ecco, aggiungerei, ma lo scrivo da anni non solo per il Sud: un cambiamento radicale della classe politica attuale e la formazione di nuovi soggetti politici ispirati da serie culture, oggi pressoché scomparse, a partire da noi popolari……..

 

Non mancano iniziative che proprio cooperative e società di giovani meridionali hanno attivato come quelle dei sette progetti di start up per far ripartire l’economia del Mezzogiorno, a dimostrazione di una realtà non priva di intelligenti e positive proposte come quelle di SmartIsland, Tripoow, Intertwine, Bookingbility, Ocore, Momo, Macingo.

 

 

Riassumendo:

 

La proposta di programma della  Federazione Popolare dei DC, in definitiva, potrebbe essere riassunta nel seguente “decalogo programmatico”, contenente i proponimenti dei DC riuniti per l’Italia del XXI secolo:

 

1-    La DC unita, coerente con il suo passato di responsabilità nazionale, assume come obiettivo la costruzione dell’Unità politica dell’Europa, da riformare rispetto all’ircocervo tecno burocratico attuale, la tutela della persona umana e la difesa dello Stato di diritto,. In questa fase di oggettiva crisi dell’Unione Europea la DC intende assumere come prioritari gli obiettivi di una revisione di alcuni accordi, come quello sulle competenze del TUE (trattato di fondazione della UE) e del TFUE (trattato di funzionamento della UE)  e il superamento dell’illegittimo fiscal compact, concausa rilevante delle gravi situazioni economico sociali presenti in numerosi Paesi europei e delle spinte sovraniste e anti europee diffuse in varie parti dell’Unione.

 

2-    La DC unita, mette al centro del suo impegno politico e di promozione della cultura civile la PERSONA, perché possa vivere ed operare con tutta la sua dignità e libertà secondo il dettato della Costituzione Italiana.

 

3-    La DC unita, si assume pubblicamente il compito di aprire la strada alla trasparenza gestionale e contabile della sua organizzazione, per dar vita ad una nuova stagione della politica, improntata ad un UMANESIMO SOCIALE che valorizzi la persona umana senza distinzioni di razza o diversità sociale, in attuazione degli orientamenti valoriali della dottrina sociale cristiana che la DC intende tradurre politicamente nella “città dell’uomo” sul piano dell’assoluta autonomia e laica responsabilità.

 

4-    La DC unita, consapevole delle difficoltà che il mondo globalizzato di oggi pone all’individuo per esistere e operare, s’impegna a ricostruire con le opere di previdenza una più sostanziale solidarietà sociale, attraverso la “cooperazione di comunità”, che garantisca a ogni nucleo familiare un lavoro adeguato alle esigenze della dignità civile.

 

 

5-    La DC unita, presente nella società d’oggi, offre la possibilità di stare nel partito alla pari anche ai simpatizzanti che dichiarino interesse al programma; iscrivendosi nella lista degli elettori, con la possibilità di presentare progetti e proteste d’interesse generale.

 

6-    La DC unita, ha come obiettivo fondamentale del programma una decisiva modificazione del meccanismo di localizzazione delle attività produttive del Paese, privilegiando l’intervento straordinario a favore del Mezzogiorno e delle Isole. La promozione della  cultura e la difesa del patrimonio paesaggistico, culturale e ambientale italiano sarà assunto tra le priorità delle politiche economiche del partito, strumenti essenziali per garantire lo sviluppo del turismo tra le grandi opportunità di offerta dell’Italia

 

7-    La DC unita, come nel passato con l’intervento pubblico, dovrà incoraggiare l’installazione di medie e grandi imprese industriali, anche straniere, attraverso agevolazioni fiscali, procedure burocratiche dinamiche e la messa a disposizione dei distretti industriali attrezzati per stimolare gli investimenti privati con un alto grado di efficienza tecnologica e notevoli possibilità di creare nuovi posti di lavoro. Crescita economica e sviluppo dell’occupazione saranno le priorità della politica economica DC finalizzata a saldare, come nella migliore tradizione del partito, gli interessi dei ceti medi produttivi con quelli delle classi popolari, al Nord come al Centro e al Sud del Paese.

 

8-    La DC unita, oltre a ritenere positiva la riduzione del numero dei parlamentari, se accompagnata dai necessari riequilibri previsti dalla Costituzione, ritiene urgente il riordinamento legislativo, amministrativo e organizzativo dello Stato e delle Regioni a statuto speciale, in coerenza con la tradizionale cultura autonomistica dei cattolici democratici e dei cristiano sociali.

 

9-    La DC unita, è consapevole che non esistono miracoli in economia, ma soltanto la possibilità di raggiungere obiettivi concreti attraverso scelte responsabili, e con il coinvolgimento di tutti gli imprenditori appartenenti e operanti nei settori di attività: industriale, artigianale, commerciale agricolo, della cooperazione e delle libere professioni.

 

10-La DC unita, partito di elettori di centro, non può e non vuole rappresentare interessi di nessun genere in particolare,  ma valori. Difendere valori significa operare per una cultura di libero mercato all’insegna della civiltà del lavoro. Essenziale sarà operare per garantire, come sempre ha fatto la DC storica, la mediazione di interessi e valori del ceti medi produttivi  e di quelli popolari diversamente tutelati.

 

Siamo, tuttavia, consapevoli che, mentre sul piano istituzionale possiamo assumere come obiettivo strategico prioritario e irrinunciabile la difesa e l’integrale attuazione della Carta costituzionale(a partire dall’applicazione rigorosa dell’art.49 in materia di organizzazione “ con metodo democratico” della vita interna dei partiti), per poter concorrere alle riforme strutturali sul piano economico e sociale di cui l’Italia ha bisogno è necessario assumere come obiettivo non più rinviabile il ritorno alla legge bancaria del 1936.

 

 Questo significa, da un lato, tornare al controllo pubblico di Banca d’Italia, oggi sottoposto al dominio degli hedge funds  anglo caucasici-kazari, e alla netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria. Nessun’ altra seria riforma economico e sociale sarà possibile se non si ripristineranno le condizioni economico finanziarie precedenti a quelle che il decreto lgs.n.481/1992 Amato-Barucci  annullò sotto la spinta dei poteri finanziari dominanti.*

 

L’unico programma politico che TECNICAMENTE consentirebbe ancora, dopo 25 anni, lo sviluppo dello STATO ITALIANO  e della Sua CLASSE MEDIA (94% della popolazione italiana) e che renderebbe tecnicamente possibile ogni altro obiettivo in qualsiasi altro settore sarebbe il seguente :  

1.    Obbligo di cessione al Tesoro dello Stato italiano  da parte di Telecom Italia Sparkle della proprietà dei cavi sottomarini,  necessari alla comunicazione intranet dei movimenti elettronici del denaro nel sistema bancario italiano (=abolizione della L.58 del 28 Gennaio 1992 e della Legge n. 35 del 29 gennaio 1992)

2.    Controllo Statale  sulla  raccolta del risparmio tra il pubblico mediante compagnie assicurative  statali = abolizione del DPR n. 350/1985 firmato da Sandro Pertini

3.    Obbligo di cessione da parte di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna, Carige e BNL del 51% delle loro azioni al Tesoro dello Stato Italiano  al fine che lo Stato italiano abbia,  con 265 voti su 529, il controllo del 51% di Banca d’Italia (abolizione della L.82 del 7 Febbraio 1992), al fine che Banca d’Italia possa di nuovo dopo 25 anni tornare a vigilare per  impedire truffe sui derivati e su azioni/bond carta straccia, e per impedire anatocismo e usura bancaria.  

4.    Reintroduzione della Legge Bancaria del 1936 (abolizione del decreto legislativo n. 385/1993):

5.    SEPARAZIONE TRA BANCHE DI PRESTITO (loan bank) e BANCHE SPECULATIVE (investment bank) : abolizione del d.lgs n.481/1992 firmato da Giuliano Amato, Barucci e Colombo.

Automatica re-introduzione della contabilità bancaria esistente prima del 31 Luglio 1992 (abolizione del Provvedimento di Banca d’ Italia del 31 Luglio 1992 firmato da Lamberto Dini al fine di fermare l’evasione fiscale verso i fondi speculatori petroliferi kazari proprietari della City of London)  

6.    Divieto di prestare denaro creato con un clic elettronico anziché raccolto tra il pubblico

7.    Riduzione del capitale flottante di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna, Carige, BNL e di ogni altra società italiana strategica quotata in borsa (ENI,…)  dall’attuale 85% del capitale totale, al 15%, al fine di evitare scalate da parte dei fondi speculatori petroliferi kazari.

8.    Divieto di vendite allo scoperto (divieto di short -selling) sia di tipo naked (presa in prestito di titoli inesistenti per es di MPS per farle crollare, le uniche finora vietate dall’UE) e di quelle piene. Divieto in sostanza di ogni tipo di vendita allo scoperto contro titoli di società italiane quotate alla borsa di Milano.

9.    Abolizione del CICR (è l’ufficio di controllo occulto di Banca d’Italia)

10. Conferire il potere ISPETTIVO  sia a Banca d’Italia che alla Consob, in aggiunta a quello di vigilanza  

11. Separare la Consob dal controllo di Banca d’Italia al fine di avere un organo ispettivo indipendente. Possibilità anche per la GDF e per la Polizia di Stato di effettuare ispezioni in materia finanziaria, in materia di borsa.  

12.  Divieto per famiglie, imprese ed enti locali italiani di sottoscrivere derivati sulla valuta(=abolizione del DPR n.556/1987 emesso su proposta del Ministro del Tesoro Giuliano Amato) e derivati sul tasso (=abolizione del D.M. del Tesoro n. 44 del 18  febbraio 1992 firmato  da Mario Draghi)

13. Divieto al Governatore di Banca d’Italia di variare il tasso ufficiale di sconto (abolizione della L.n. 82 del 7 Febbraio 1992) al fine di evitare le truffe sui derivati sul tasso 

14. Divieto di anatocismo nei conti correnti, leasing, mutui, prestiti con cessione del quinto e in ogni altra forma di prestito  

15. Abolizione del piano di ammortamento alla francese, lecito solo il piano di ammortamento all’italiana (quote capitali sempre uguali).  

16. Divieto di usura oggettiva (supero tasso soglia) e divieto di usura soggettiva (supero tasso medio). Introduzione della rilevanza immediatamente penale anche del supero del tasso medio indipendentemente dalla situazione di difficoltà economica-finanziaria del soggetto cliente

17. Abolizione della disciplina fondiaria ex art 38 e seg.  TUB 

18. Riforma del Tribunale delle Esecuzioni immobiliari sulla prima casa e sull’immobile sede dell’attività: divieto di esecuzione immobiliare sulla prima casa e sulla sede dell’attività, obbligo di prolungamento del mutuo, in caso di difficoltà,  ad un tasso massimo pari al tasso d’inflazione. Divieto di neutralizzazione del Fondo Patrimoniale (è una figura giuridica prevista dal 1936 a tutela della famiglia italiana).   

19. Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3 immobili) in soggetti posti in qualsiasi ruolo e funzione del Tribunale addetti all’esecuzioni immobiliari e nella sezione fallimentare.

 Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3 immobili) nell’avvocato e dottore commercialista della curatela fallimentare, dei sequestri immobiliari e quali procuratori per le banche nelle  esecuzioni immobiliari e nel custode  e nel  notaio delle esecuzioni immobiliari

20. Creazione della Procura Nazionale contro i Reati finanziari commessi da soggetti speculatori esteri, con distaccamento in ogni DDA, collegata all’INTERPOL e per la prevenzione di attentati terroristici e jihadisti da parte dei fondi speculatori atti a riottenere il controllo privato delle banche italiane e dell’Ente dell’Energia italiano

21. Obbligo di almeno cinque  Parlamentari di ogni  forza politica di partecipare all’ Assemblea Annuale di Approvazione del Bilancio delle banche italiane azioniste di maggioranza di Banca d’Italia, in quanto vero governo del sistema e termometro della salute del paese

Attraverso queste essenziali riforme l’Italia potrà riprendere quel ruolo che la DC seppe garantirle in passato e uscire dalla grave crisi nella quale una classe dirigente in larga parte incompetente e  orientata su una deriva nazionalista e populista l’ha condotta in gravissimo isolamento politico e strategico europeo e internazionale.

N.B.:

* Da documenti desecretati e da rilievi matematici confermati dal Ministero dell'Economia delle Finanze sull'assetto di controllo delle banche quotate italiane ( risposta del Ministero all’interrogazione parlamentare dell’On Villarosa (M5S) nel Febbraio 2017)  maggiori azioniste di Banca d'Italia con 265 voti su 529, da parte , attraverso le SUB-DELEGHE conferite agli avvocati (avv. Cardarelli, ..) dello studio legale Trevisan di viale Maino –Milano, risultano una decina di fondi petroliferi nonché speculatori finanziari georgiani/ arzebajani di antica origine tedesca (Vanguard, State Street, Northern Trust , Fidelity , Jp Morgan Trust, Black Rock , Bnp Paribas Trust, Franklyn Templeton e il loro fondo immobiliare comune Black Stone, già proprietario di quasi tutti gli outlet village in Italia e di oltre 1 MILIONE di mq di centri logistici sempre in Italia), cd ariani o KAZARI o askenazita-kazari , indagati dal 15 Gennaio 2018 anche dalla Procura di New York e dallo Stato di New York per PROCURATO DISASTRO AMBIENTALE e per avere fermato lo sviluppo dell'energia solare, hedge fund e come tali, unici fondi al mondo autorizzati a compiere amorali , immorali, illegittime VENDITE ALLO SCOPERTO (presa in prestito di titoli di società terze a loro insaputa per venderli al fine di farne crollare la quotazione, per acquistarli a prezzi stracciati ad ogni programmato settennale avvenuto crollo della borsa di Milano, da quando dal 1992/93, abolita purtroppo in Italia la separazione bancaria tra banche di prestito e banche speculative a causa del decreto legislativo n. 481 del 14 Dicembre 1992 firmato da Amato e Barucci, essi imperano , crolli della borsa di Milano infatti avvenuti ogni circa sette anni 1994, 2001, 2008 , 2016, crolli che hanno impoverito circa 20 milioni di piccoli azionisti italiani che hanno perso tutti i loro risparmi ) definiti fondi speculatori anche dal D.M. del Tesoro n. 98/1999.

Trattasi di decreti già emessi , non disegni di legge, decreti che comprovano l'avvento in Italia dal 1992/93 di questi fondi speculatori con sede legale nella City of London , proprietari della City of London, e sede fiscale nel PARADISO FISCALE del Deleware come dimostrato dalla Relazione della SEC (organo di vigilanza della borsa degli Stati Uniti , indipendente dal 2001).

Fondi speculatori che il sito governativo britannico beta.companieshouse.gov.uk ha dimostrato che le società che essi controllano appartengono a TRUSHELFCO, DIKAPPA più un numero delle sette famiglie kazare , georgiane /arzebajane di antica origine tedesca dei Rothshild , J.P. Morgan, Warburg , Walker Bush, Rockfeller, Jeferson Clinton, Johnson, convertiti all'ateismo nel 1820 per poter usufruire senza limiti e remore, con l'invenzione

della trivella, ancora del business del petrolio che era terminato in superficie nel 1400 dopo Cristo in Georgia/Arzebajan decretando la fine dell'impero KAZARO (600 avanti Cristo -1400 dopo Cristo), un impero inspiegabilmente cancellato dagli inventori kazari delle tipografie, dai libri storia occidentali, ma ben presente nei libri di storia dell'Armenia, dell'Ucraina.

 

 

 Venezia, 23 Gennaio 2020

 

 

 

 


 

Per l’unità dei Popolari

 

E’ stata una giornata di grande impegno politico culturale quella svoltasi sabato 18 gennaio 2020,  in occasione del 101 esimo anniversario dell’”appello ai liberi e forti” di Sturzo.In una sala stracolma di rappresentanti di partiti, associazioni, movimenti e gruppi dell’area cattolico democratica e cristiano sociale, Lillo Mannino, accolto calorosamente dall’assemblea, reduce da una sentenza definitivamente assolutoria dopo oltre vent’anni vissuti dolorosamente, ha svolto una magistrale lectio storico politica sul pensiero di Sturzo e sullo sviluppo dell’idea popolare e democratico cristiana dal 1919 sino alla fine politica della DC (1994). Una fine, frutto dei nostri errori e di una ben calcolata strategia internazionale, la cui regia fu definita nell’incontro sul panfilo  “Britannia”, dove si stabilì “la saga dei vincitori e vinti” nel nostro Paese.

 

Oggi la situazione, come ha ricordato l’amico sen  Maurizio Eufemi con la sua nota uscita all’inizio dei lavori alla sala Alessandrina di lungotevere in Sassia a Roma, è caratterizzata da alcuni aspetti simili a quelli presenti al tempo di Sturzo nel 1919. Allora l’Italia era alle prese con i problemi di assetto interno con la crisi del giolittismo, che aveva esaurito la fase del trasformismo parlamentare su cui si era retto per anni, e con le conseguenze drammatiche del conflitto mondiale. Oggi siamo al culmine del più vasto trasformismo parlamentare che ha caratterizzato la stagione decadente della seconda repubblica, nella quale i partiti e i movimenti presenti a livello parlamentare sono espressione della più arida incultura politica. Regna l’incompetenza e l’improvvisazione  che hanno finito col delegittimare la politica, lasciando ampio spazio alla deriva nazionalista e populista a trazione salviniana  e della destra di Fratelli d’Italia.

 

Ecco perché Mannino ha terminato il suo intervento facendo appello ai firmatari del patto federativo popolare dei DC  e a tutti i popolari affinché non si perda l’occasione che abbiamo davanti a noi, specie dopo la sentenza della corte costituzionale di rigetto del referendum richiesto dalla Lega, e la scelta  espressa della maggioranza di governo per il sistema elettorale proporzionale simil tedesco.

 

Invito raccolto immediatamente da Gianfranco Rotondi e da Lorenzo Cesa, reduci dall’accordo appena siglato per le regionali d’Abruzzo, uniti nella scelta condivisa e sottoscritta nel patto federativo per dar vita a un nuovo soggetto politico, ispirato ai valori del popolarismo, alternativo alla deriva nazionalista e populista e alla sinistra radicale.

 

“Il partito del popolo italiano”, è ciò che  ha indicato Rotondi per il nuovo soggetto politico, inserito a pieno titolo nel PPE, che assume il simbolo storico della DC, lo scudo crociato e si propone come luogo della partecipazione politica dei ceti medi e delle classi popolari rimasti sin qui privi di rappresentanza, disgustati della politica urlata e renitente al voto per la quasi metà dell’elettorato italiano.

 

Certo, come hanno detto Renato Grassi, segretario nazionale della DC e da Mario Tassone, segretario nazionale del NCDU, non sarà solo un patto duale a risolvere il caso della diaspora apertasi dal 1994, anche se esso costituisce certamente una condizione necessaria, ma, appunto, non sufficiente. Serve la più ampia partecipazione aperta a quanti si riconoscono negli obietti del patto federativo.

 

Ora si tratta, di ragionare con lo sguardo rivolto in avanti, preoccupati non delle possibilità di sopravvivenza personali di qualcuno, quanto della capacità di offrire una nuova speranza al popolo italiano.

 

A chi temeva che anche dall’incontro della Federazione popolare dei  DC scaturisse l’ennesimo tentativo da aggiungere a quelli sorti consecutivamente negli ultimi vent’anni, tutti destinati al fallimento, dobbiamo assicurare che ora lo sguardo è rivolto al futuro, convinti come siamo che serva riportare in campo la nostra cultura cattolico democratico e cristiano sociale, non per un nostalgico pensiero retro, regressivo e inefficace politicamente, quanto per concorrere a costruire un grande progetto: quello di una politica al servizio e per la partecipazione di una “comunità” fondata sulla solidarietà organica tra persone, gruppi e classi sociali. Si tratta di inverare nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali delle ultime encicliche sociali di Papa san Giovanni Paolo II ( Centesimus Annus) ,  di Benedetto XVI (Caritas in veritate) e di Papa Francesco (Evangelii Gaudium e Laudato SI); gli unici documenti che hanno saputo leggere “ i tempi nuovi” che stiamo vivendo e offrire preziose indicazioni, che spetta ora a noi cattolici impegnati in politica rendere operativi sul piano istituzionale. Sono le encicliche che hanno affrontato le questioni rilevanti del nostro tempo:

 

1)       la questione antropologica e demografica particolarmente grave in Italia;

2)       la questione ambientale;

3)        la realtà nuova, complessa della globalizzazione, che per noi italiani si traduce soprattutto nel tema  della sovranità monetaria e della sovranità popolare e il nostro modo di restare nell’Unione europea, caratterizzata dal dominio della finanza sull’economia reale e sulla politica ridotta a un ruolo subordinato e ancillare ( rovesciamento del NOMA -  Non Overlapping Magisteria,  come l’ha definito il prof  Zamagni).

 

Per fare questo, però, serve l’unità più ampia possibile e, soprattutto, un partito. Serve, insomma, la ricomposizione dell’area politica dei cattolici democratici e dei cristiano sociali. Mettiamo, intanto, subito in rete tutti i nostri siti web per preparare i comitati locali e regionali della Federazione e prepariamo l’assemblea costituente in cui decideremo insieme: nome, simbolo, programma e sceglieremo la nuova classe dirigente del partito.

 

Come un albero antico, possiamo cambiare le foglie conservando però le radici e possiamo avanzare le nostre proposte a misura dei nuovi bisogni delle classi popolari e dei ceti medi, conservando la fedeltà ai nostri principi.

 

E’ un invito che rivolgiamo anche agli amici della “Rete bianca” e a quanti hanno sottoscritto “il manifesto Zamagni”.  Seguiamo da osservatori partecipanti il serio dibattito che si è aperto su “ il domani d’Italia” e desideriamo ricordare che é unanime tra di noi  il giudizio di alternatività alla deriva nazionalista e sovranista della destra italiana, così come anche da noi  sono condivise le indicazioni progettuali offerte dal manifesto Zamagni. Con franchezza evidenziamo che se sono comprensibili, proprio date le premesse, le scelte da voi assunte per le prossime elezioni emiliane e calabresi, del tutto sconcertante, a nostro parere, ci sembra quella di un dibattito che si svolge a senso unico e ripercorre senza soluzione di continuità la già consumata  strada di una corrente popolare interna al PD, di cui, semmai, ci si preoccupa solo del suo possibile sbandamento a sinistra.

 

Cari amici, col voto della Consulta è finita la lunga stagione del maggioritario, che riduceva i cattolici e popolari a un ruolo ancillare nella destra o nella sinistra dei partiti e si torna al proporzionale, stella polare della nostra cultura politica: il tempo del mattarellum, porcellum, italicum, rosatellum, è finito. Ora, come nel 1919 lo fu per Sturzo con risultati straordinari imprevisti, dobbiamo ragionare secondo le regole del sistema proporzionale, con lo sbarramento al 5% e ci auguriamo con le preferenze Non vi sembra una condizione più che sufficiente per mettere insieme tutte le nostre energie e sensibilità, per condividere insieme, sulla base dei nostri comuni principi  ispiratori e la strategica scelta di campo, una proposta politica programmatica all’altezza dei bisogni della società italiana ed europea? Il nuovo partito politico di cattolici, aperto alla partecipazione di altre culture compatibili, non sarà mai monolitico, come non lo furono, né il PPI sturziano, né la DC degasperiana, fanfaniana,   morotea e fino alla fine dello scontro del “preambolo”. Oggi è il tempo per il ritorno in campo della nostra cultura politica. Dopo e solo dopo aver costruito il partito, si porrà la questione delle alleanze, fermi nella nostra alternatività alla destra e alla sinistra radicale.

 

Ettore Bonalberti

Direzione nazionale DC

Comitato provvisorio della Federazione popolare dei DC

Roma, 19 Gennaio 2020

 

 

 

 










 

 




Si parte finalmente

 

Sabato 18 Gennaio prossimo, 101° anniversario dell’”Appello ai Liberi e Forti” di don Luigi Sturzo, tutti i popolari e i democratici cristiani italiani, sono invitati a  partecipare al seminario organizzato dalla Federazione Popolare del Democratici cristiani e dalla Fondazione Democrazia Cristiana, sul tema: “ Popolari 101, un nuovo inizio”.

 

Con la sottoscrizione del patto federativo da parte di oltre quaranta tra gruppi, associazioni e movimenti politico culturali, i rappresentanti dei diversi partiti che hanno caratterizzato la lunga stagione della  diaspora democratico cristiana ( 1994-2019): Cesa, Fiori, Grassi, Rotondi e Tassone, apriranno una nuova stagione per il cattolicesimo democratico e cristiano sociale del nostro Paese.

 

E’ la fine di una suicida lotta apertasi con l’ultimo consiglio nazionale della DC che, proprio il 18 Gennaio 1994, con Mino Martinazzoli, segretario nazionale, decise di sciogliere il partito che aveva governato l’Italia per oltre quarant’anni. Una decisione improvvida e illegittima (dato che doveva, semmai, essere assunta solo da un congresso nazionale) dalla quale prese avvio la lunga stagione della battaglia fra i presunti eredi, cui pose fine la sentenza della suprema Corte di Cassazione a sezioni civili riunite, n.25999, del 23.12. 2010 secondo cui: “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”.

 

Come è scritto nella locandina invito del seminario che si terrà a Roma nella sala Alessandrina di Lungotevere in Sassia, 3 dalle ore 10 alle 13: “ La Federazione punta, per la prima volta dopo tanti anni, a superare la diaspora e le divisioni che hanno compromesso una presenza culturale e politica e a costruire un’alternativa sia alla nuova destra che si è sviluppata nei tempi più recenti che alla sinistra in crisi di identità. Il populismo e il sovranismo si sono affermati per la mancanza di un riferimento valoriale come quello del popolarismo e della Dottrina Sociale della Chiesa che restano un “pensiero forte” legato ai principi della Costituzione, allo Stato di diritto e ai diritti fondamentali dell’uomo.

Il progetto è quello della ricomposizione dell’area popolare laica e riformista aperta alle esperienze e alle forze cristiano sociali che si ispirano alla Costituzione.

L’obiettivo è che la “Federazione Popolare dei Democratici Cristiani “, con i valori ai quali si ispira, possa misurarsi già in tutte le prossime competizioni elettorali “.

 

Con l’avvenuta costituzione della Federazione Popolare è definitivamente superato il contenzioso sul simbolo storico dello scudo crociato e sabato prossimo, sarà annunciato ufficialmente, l’avvio di un progetto per la nascita di un nuovo partito che intende rappresentare la tradizione del cattolicesimo democratico e cristiano sociale e costituirsi nella sezione italiana del PPE.

 

Un comitato provvisorio coordinato dall’On Giuseppe Gargani e di cui fanno parte: Paola Binetti, Ettore Bonalberti, Lorenzo Cesa, Publio Fiori, Giuseppe Gargani, Renato Grassi, Filiberto Palumbo, Gianfranco Rotondi, Mario Tassone, è impegnato a dar vita in tutte le regioni, le province e i comuni italiani, ai comitati della Federazione Popolare, dai quali saranno eletti i delegati all’assemblea costituente che deciderà: programma, nome e simbolo del partito e selezione democratica della classe dirigente. Un partito che “ possa misurarsi già in tutte le prossime competizioni elettorali”.

 

Nel deserto delle culture politiche dell’attuale triste fase politica italiana, il ritorno in campo di un partito ispirato dalla dottrina sociale della Chiesa, ossia della più avanzata lettura della globalizzazione mondiale, se sarà in grado di mobilitare le nuove energie che la società civile ha fatto emergere con significative manifestazioni popolari, sarà un’importante offerta alla domanda di rappresentanza che, soprattutto i ceti medi produttivi e le classi popolari hanno espresso;  dapprima, con l’appoggio a movimenti e partiti oggi in una crisi drammatica, e, poi con l’astensione dal voto, lasciando spazio aperto a una deriva nazionalista e populista che, se prevalesse, porterebbe il Paese, come già avvenuto col governo giallo-verde, al totale isolamento internazionale.

 

Abbiamo combattuto questa battaglia per la ricomposizione politica dell’area cattolico democratico e cristiano sociale sin dal momento della fine politica della DC, e siamo particolarmente lieti che, sabato prossimo, si metta la parola fine alla diaspora DC e si avvii “ un nuovo inizio” al quale invitiamo  a partecipare, soprattutto le nuove generazioni, che intendano realizzare con tutti noi la più profonda delle riforme possibili, ossia l’integrale attuazione della Costituzione repubblicana.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF

Componente del comitato provvisorio della Federazione Popolare dei DC

 

Venezia, 11 Gennaio 2020

 

 

 

 

 

 

 

18 Gennaio 2020: cogliamo l’attimo

 

Nati dall’intuizione di un comico intelligente e dalla strategia di una società di comunicazione, affidato alla guida di un giovane senz’arte né parte, il M5S è ora in balia di un saltimbanco della politica, quel Gianluigi Paragone, che sta creando un movimento di transumanti pentastellati verso la Lega, col rischio di far saltare il governo.

 

Oggi la politica italiana è rappresentata da alcune forze politiche in preda a una grande confusione culturale e strategica, espressione della deriva che si trascina dalla fine della prima repubblica e dalla scomparsa delle culture politiche che furono alla base del patto costituzionale.

 

Una crisi della politica che: nel PD fa i conti con un processo di lunga e complessa trasformazione del vecchio PCI ( PDS,DS, PD), nel quale non si è potuto realizzare quella corretta sintesi tra le aree culturali di provenienza social comunista e democratico cristiana, aggravata dal caso Renzi, alla ricerca di una leadership perduta col suo nuovo partito della secessione. Nella Lega, si è consumato  il passaggio da quella secessionista padana di Bossi, alla nuova realtà di un partito a guida solitaria del conducator Salvini, capace di acquisire consensi dal Nord al Sud dell’Italia; una destra italiana, che si compatta sempre di più attorno a Giorgia Meloni su posizioni estreme nazionaliste e antieuropee e, infine, il M5S che corre velocemente verso la sua dissoluzione.

 

Al centro è rimasta Forza Italia, guidata da una leadership consunta e sempre meno efficace del Cavaliere, in preda a un processo inarrestabile di disgregazione. Alla sinistra estrema sopravvive la LEU, in attesa di  come meglio orientarsi a misura che detterà la nuova o vecchia legge elettorale.

 

Manca in tutta questa rappresentazione l’espressione politico culturale dell’area cattolico democratica  e cristiano sociale che, dopo la lunga stagione della diaspora ( 1994-2019) è ridotta alla condizione di pressoché totale irrilevanza sul piano istituzionale. Unica eccezione, il caso del Presidente Mattarella, punto di riferimento essenziale per la nostra democrazia.

 

Non è un caso se la condizione di anomia vissuta dalla società civile e dal divario esistente tra quest’ultima e la classe dirigente del Paese, abbia preso forma e sostanza rilevante il fenomeno delle “sardine” che riempiono le piazze in tutte le più importanti città italiane. Esse sono sostenute dalla volontà di ritornare a una convivenza civile fondata sulla tolleranza e sulla solidarietà organica propria di una comunità, in alternativa alla condizione di rissa e di scontro permanente indotte dalla deriva nazionalista e populista del duo di destra Salvini-Meloni.

 

L’elemento che meglio caratterizza il caso delle “sardine” è la loro conclamata fedeltà alla Costituzione repubblicana e, al di là dei sei punti programmatici delineati nella loro recente assemblea romana (punti sicuramente condivisibili nella loro elementare semplicità, come fondamentali della convivenza civile e politica) ed  è proprio da questa loro conclamata fede costituzionale repubblicana che bisogna ripartire, per avviare un dialogo costruttivo con una nuova generazione di italiani cui guardare con interesse anche da parte di noi popolari.

 

Tornando alla situazione di casa nostra, due sono le iniziative che meglio esprimono lo stato dell’arte: quella avviata dagli amici che hanno dato vita alla Federazione popolare dei DC, che punta a ricomporre l’unità delle diverse schegge ex democratiche cristiane insieme a numerosi gruppi, associazioni e movimenti dell’area cattolico popolare e quella degli amici che hanno sottoscritto “il Manifesto Zamagni”, nel quale si riconoscono anche tutti gli amici della Federazione popolare DC.

 

Se, da un lato, abbiamo la situazione espressa dai partiti oggi rappresentati in parlamento in preda alle loro convulsioni interne e alla ricerca di un difficile equilibrio attorno a quella che sarà la prossima legge elettorale, e, dall’altro, quella di un’area cattolica e popolare in movimento che punta alla ricomposizione politica, ciò che distingue nettamente tutte le forze in campo e in qualche modo è destinata a ricomporle, è la distinzione profonda che passa tra chi si pone in alternativa sovranista e isolazionista rispetto all’Unione europea e chi, invece, come noi dell’area popolare, si batte per più Europa. Un’Europa certamente da riformare nella sua governance, per farla tornare ai principi e ai valori dei padri fondatori DC: Adenauer, De Gasperi, Monnet, Schuman, ahimè, superati dal prevalere dei valori relativistici propri del “manifesto di Ventotene” che, alla fine, sono quelli che hanno finito col prevalere nell’Unione europea.

 

Contro l’attuale confusione e frammentazione politica serve allora un colpo d’ala delle due parti più importanti di quest’area, entrambe impegnate a inverare nella città dell’uomo i principi della dottrina sociale cristiana che, con le ultime encicliche sociali della Chiesa cattolica, costituiscono la fonte principale di indicazione pastorale e politico culturale in questa complessa fase della globalizzazione. Un’età, quella che stiamo vivendo, dai profondi sconvolgimenti sul piano antropologico, ambientale, economico, finanziario e sociale, che, come in quella della prima rivoluzione industriale, richiede l’impegno dei cattolici sul piano politico e istituzionale, sia in Italia, sia nel resto dell’Europa e del mondo, insieme agli altri uomini di buona volontà che credono nel valore della pace e della giustizia nella libertà.

 

Abbiamo una data importante davanti a noi: 18 Gennaio 2020. Mancano poche settimane alla celebrazione del 101 esimo anniversario dell’”Appello ai Liberi e Forti” di Luigi Sturzo e della nascita del PPI. Ritroviamoci dunque al convento della Minerva, a due passi dal luogo in cui Sturzo redasse il suo appello, e tutti insieme impegniamoci a costruire il Partito Popolare Europeo in Italia, dando fine alla lunga e suicida stagione della diaspora,  per un nuovo inizio e per dare, finalmente, una nuova speranza agli italiani.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)

Venezia, 20 Dicembre 2019



L’ amnesia del M5S

 

Avevo già scritto un editoriale, il 13 Novembre 2017, commentando il ruolo assunto da Pierferdinando Casini che, presiedendo la commissione di inchiesta sulle banche italiane, su “La Stampa” abbandonava il suo tradizionale stile alla “Fasulein” e assumeva quelli del saccente Balanzone, dichiarando perentoriamente: “ L’Italia non diventi terreno di azione della speculazione finanziaria internazionale”.

 

Adesso il M5S, sulla triste vicenda del Banco Popolare di Bari, riprende il tema, criticando anche in questo caso la mancata o insufficiente vigilanza di Banca d’Italia su quell’istituto.

 

Ma come? A seguito di mirato Q-Time ( interrogazione a risposta immediata in commissione 5-10709) della Commissione Finanze, del Mov. Cinque Stelle, formulati proprio dall’On Villarosa con altri ( Villarosa, Alberti, Pesco, Sibilia e Ruocco), allora presidente della Commissione e attualmente sottosegretario del MEF, ricevettero le conferme dal MEF e da Banca d’Italia (Mercoledì 1 marzo 2017, seduta n.751)  che:

 

1) fondi speculatori kazari  controllerebbero le  banche quotate italiane e quindi dal 1992/93 anche Banca d’Italia (risposta del MEF). Vari giornali, tra cui il Fatto Quotidiano, Il Messaggero, hanno riportato la notizia di “Mister 99%”  rappresentante di fondi speculatori stranieri;

2) ” i depositi”, utilizzati per concedere prestiti, dal 1992/93 non derivano più da attività di raccolta tra il pubblico, ma sono virtuali, “creati” digitalmente.  Banca d’Italia, con una dichiarazione epocale (in allegato),  in risposta al Question –Time della Commissione Finanze del Movimento Cinque Stelle, ha infatti confermato che i depositi della clientela non sono veri depositi, ma virtuali ,  creati  ossia da qualcuno con un clic. Questa importante asserzione costituisce implicita conferma da parte di Banca d’Italia che pertanto anche gli  importi del prestiti (dei mutui ipotecari/fondiari,…  ),  accreditati,  a titolo di tali depositi,  dal 1992/93 sui conti correnti degli italiani, sono stati a monte creati con un clic e poi illegittimamente prestati in Italia, illegittimamente in quanto le banche in Italia essendo intermediarie del credito possono solo fungere,  per la Legge italiana,  da intermediarie tra “il denaro raccolto tra il pubblico” ( e non invece creato) e prestito. 

CHI E’ QUEL QUALCUNO CHE CONTROLLA LE BANCHE  ITALIANE QUOTATE E QUINDI  PURTROPPO ANCHE BANCA d’ITALIA, SI PRESUME DAL 1992/93.

Tutte le banche italiane quotate  sono  risultate controllata nel capitale flottante (che costituisce dal 1992/93 circa l’85% del totale capitale delle banche quotate italiane ) da una  decina di fondi speculatori stranieri,  precisamente kazari,  attraverso interposte persone fisiche, in realtà avvocati dello studio legale Trevisan di Milano, delegati di circa 1900 entità finanziarie, che a loro volta è risultato che abbiano sub-delegato  ad essi fondi speculatori.  Pertanto essi fondi speculatori stranieri  controllando si presume sin dal 1992/93  Banca Intesa, Unicredit , Carisbo  Carige e BNL, unitamente alle rappresentate al voto Inps e Generali,  controllerebbero , eseguiti tutti i calcoli di sbarramento al voto, con 265 voti su 529 anche l’organo di vigilanza Bankitalia Spa,  dal 1992/93   illegittimamente, quindi in aperta violazione dell’art. 47 della Costituzione Italiana “la Repubblica controlla il credito”  e la Repubblica non sono certamente una decina di fondi speculatori stranieri, con tutte le conseguenze che sono derivate, essendo venuta improvvisamente  a mancare  la vigilanza bancaria in Italia, in termini di colossali truffe (derivati sul tasso e sulla valuta ),  costi abnormi (CMS per 270 miliardi di euro addebitate oltre ad interessi ) ed  illegittimo prestito di denaro creato con un clic .   Fondi speculatori stranieri controllanti le banche italiane  e pertanto amministratori di fatto responsabili secondo Cass. n. 25432/2012 e n. 19716/2013 , quanto le banca, in solido ed in via principale,   nel risarcimento del danno.

Questa, gentile On Villarosa, è la realtà bancaria e finanziaria italiana che Lei ben conosce e dovreste allora partire proprio da lì, non crede?  Si tratterebbe di assicurare:

1)   il ritorno al controllo pubblico di Banca d’Italia;

2)   il ripristino della legge bancaria del 1936, con la separazione tra banche commerciali o di prestito e banche speculative, ri-appropriandosi in tal modo  della sovranità  monetaria,  sottratta all’Italia nel 1992/93 col d.lgs n. 481 del 14 Dicembre 1992 che abolì di soppiatto, dopo 56 anni, la separazione  bancaria,  decreto emesso da Amato e Barucci e sottratta col Provvedimento di Banca d’Italia del 31 Luglio 1992, emesso da Lamberto Dini, con cui è stata modificata inspiegabilmente all’insaputa di tutti, non essendo,  né una legge , né un decreto legge , né un decreto legislativo, la contabilità di partita doppia del sistema bancario italiano; fatto che avrebbe consentito, a questi fondi speculatori , secondo alcuni autori,  una colossale miliardaria evasione fiscale (circa 1350 miliardi di euro evasi) della quota capitale pagata dagli ignari piccoli  mutuatari italiani, denaro creato da questi fondi speculatori con un clic a Nassau, doc. desecretati dimostrano,  invece che raccolto tra il pubblico in Italia e ad essi ignari  mutuatari italiani  illecitamente prestato a partire dal 1 Gennaio1993. Questa sarebbe la riforma fondamentale da compiere senza la quale ogni altro progetto riformatore sarà vano, ma si sa, andare contro il potere dei fondi speculatori non è nelle corde di una classe dirigente disponibile a galleggiare piuttosto che a governare a sostegno del bene comune.

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF

Direzione nazionale DC

Componente del comitato provvisorio della Federazione popolare DC

Venezia, 17 Dicembre 2019

Dopo il trionfo di Boris Johnson che fare in Italia?

 

Dopo il voto trionfale per Boris Johnson e la riconferma della maggioranza degli inglesi per la Brexit, in Italia, Salvini e la Meloni, la destra nazionalista e populista, hanno immediatamente salutato gaudenti questo risultato. Ora non ci sono più né dubbi né alibi: la Gran Bretagna esce dall’Unione europea e ci saranno conseguenze sia per gli inglesi sia per l’Unione europea.

 

Anche sull’assetto dei partiti italiani s’imporranno scelte non più eludibili, soprattutto in Forza Italia, partito aderente al PPE che, con Berlusconi, segue una strategia di alleanza a destra, proprio insieme ai due partiti nazionalisti e anti europei della Lega salviniana e di Fratelli d’Italia. La distinzione tra partiti europeisti e partiti schierati contro l’Unione europea diverrà sempre più netta e crescerà l’esigenza di un nuovo centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, alternativo alla destra nazionalista e populista e alla sinistra.

 

Un progetto al quale noi “ DC non pentiti” stiamo lavorando, con l’avvenuta formazione della Federazione popolare dei DC e con l’adesione di altri amici popolari al manifesto Zamagni. Comprendiamo che, per esigenze collegate alle leggi elettorali di alcune regioni, gli amici dell’UDC abbiano deciso di collegarsi al nome e simbolo di Forza Italia, superando l’impegno della raccolta delle firme, ma deve essere chiaro che si tratta di una scelta tattica, tale da non pregiudicare la strategia che abbiamo concordato nel patto-statuto della Federazione popolare dei DC. Alla fine dovremo presentare liste della Federazione unita e/o del nuovo soggetto politico di centro che intendiamo concorrere a costruire.

 

Gli amici di Forza Italia, sempre più divisi tra quanti sentono forte l’attrazione a destra, in un’area cioè sempre più a netta dominanza salviniana, e quanti rivendicano la propria autonomia, sarebbe auspicabile si impegnassero, almeno questi ultimi, nella costruzione del nuovo soggetto politico di centro suddetto.

 

Costruire un gruppo parlamentare autonomo di centro dovrebbe essere il primo passo da compiere, come vanno richiedendo alcuni parlamentari di Forza Italia. Un gruppo nettamente schierato sulle posizioni europee del PPE, distinto e distante dagli amici che hanno deciso di allearsi con la Lega. La Federazione popolare dei DC, intanto, assuma come suo obiettivo a breve, il raggiungimento dell’unità con gli amici del manifesto Zamagni, per concorrere a costruire, nei tempi politicamente possibili, il nuovo soggetto politico di centro di cui l’Italia ha bisogno. Ciò porrà fine finalmente alla diaspora politica dell’area popolare e sarà la premessa indispensabile per uscire dall’attuale condizione di irrilevanza politico istituzionale.

 

Sulla riforma  della governance europea abbiamo scritto le nostre idee nel saggio: “ Elezioni europee: la visione dei Liberi e Forti” editato alla vigilia delle recenti elezioni per il Parlamento europeo. Sono due i temi essenziali per indicare una seria proposta riformatrice di ispirazione popolare, europeista e trans nazionale, secondo i principi dei  padri fondatori.

 

Il primo è quello del rapporto da rinegoziare nei trattati, al fine di superare i conflitti rivelatisi insanabili con la nostra Costituzione, specie quando, come nel caso del fiscal compact, quella decisione, nettamente in contrasto con gli stessi trattati liberamente sottoscritti, è stata il frutto di un regolamento di grado normativo inferiore ai trattati, redatto da euro burocrati, con l'avallo irresponsabile anche di nostri autorevoli esponenti di governo. Fatto quest'ultimo ampiamente dimostrato dai saggi del Prof. Giuseppe  Guarino, ahimè, sin qui volutamente e  colpevolmente misconosciuti.

 

Il secondo è il tema della sovranità monetaria che, nei modi in cui si è sin qui realizzata a livello dell'Unione e in quasi tutti i Paesi componenti della stessa, con il controllo de facto della BCE e delle banche centrali dei diversi Paesi da parte degli hedge fund anglo caucasici (kazari), riduce la "sovranità popolare" a un ectoplasma senza sostanza; con le politiche economiche prone al dominio degli interessi dei poteri finanziari, che subordinano ad essi tanto l'economia reale che la politica. In sostanza, annullano de facto la democrazia e le fondamenta stesse su cui si regge il nostro patto costituzionale.

 

Noi non crediamo sia utile né opportuno uscire dall'UE che i nostri padri hanno voluto, ma sappiamo che è assolutamente necessario cambiare rotta se vogliamo che l'Unione europea possa progredire verso un progetto di autentica confederazione di stati e regioni, con un Parlamento eletto a suffragio universale e un governo centrale eletto dallo stesso Parlamento, superando in tal modo l'attuale insostenibile costruzione artificiosa, inefficiente e inefficace, funzionale sin qui solo agli interessi dei poteri finanziari dominanti.

 

Questo, a nostro parere, dovrebbe essere uno degli obiettivi di tutti i Popolari europei che si riconoscono nel PPE e di tutti i democratici che si sentono impegnati nella costruzione dell'unità politica dell'Europa.

 

L’alternativa, altrimenti, sarà la progressiva dissoluzione della stessa Unione. Questa azione riformatrice dell’Unione europea, in ogni caso, non può essere condotta da posizioni isolazioniste  come quella salviniana o della destra estrema, ma all’interno delle grandi forze politiche europee che, per quanto ci riguarda, sono quelle che si riconoscono nel PPE. Avanti, dunque, da “Liberi e Forti”, eredi della migliore tradizione europeista dei padri DC fondatori dell’Unione europea: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 14 Dicembre 2019

 

 

 

 

Una testimonianza significativa

 

Sono molti i commenti ricevuti in questi giorni alla notizia dell’avvenuto battesimo della Federazione popolare dei DC, a dimostrazione che è diffusa nel Paese la speranza che si possa ricomporre l’area politica cattolico democratica e cristiano sociale, dopo la lunga stagione suicida della diaspora. Tra questi, particolarmente gradita e rilevante, è stata la lettera ricevuta dall’amico Sergio Bindi che, con Silvio Lega, concorse largamente al tentativo che mettemmo in atto per dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione, secondo cui la DC “ non è mai stata giuridicamente sciolta”.

 

Sergio Bindi è stato uno dei massimi dirigenti politico organizzativi della DC storica, già portavoce del presidente dell’Internazionale DC e del segretario nazionale del partito, e attualmente è il responsabile  dei Dipartimenti e delle sezioni Territoriali della Fondazione di studi Tonioliani e vice presidente dell’Associazione degli economisti dell’ambiente e del Territorio. Egli, nella nota trasmessami, esprime tutta la sua soddisfazione per l’avvio della Federazione popolare, augurandosi che, con una legge elettorale proporzionale :  i democristiani potrebbero tornare, se la smetteranno realmente di farsi la guerra anche a carte bollate, ad essere determinanti per future maggioranze parlamentari”.

 

Trascrivo in larga parte la sua bella lettera che inizia così:  Credo che, questa volta, sia il Vaticano, sia la maggioranza dei Vescovi italiani, potrebbero guadare con estremo favore al sorgere di un unico movimento politico popolare , che possa dare una prospettiva di voto ai molti che disertano le urne ( oltre il 40% nei sondaggi) e ai moderati  che, disperati votano assurdamente  anche  Salvini o si fanno abbindolare dalla sinistra: Il Vescovo di Assisi, Mons. Domenico Sorrentino, nella prefazione  al libro di Romano Molesti (“ Economia Ambiente e Società- La singolare esperienza di due associazioni e quattro riviste”), presidente della Fondazione di Studi Tonioliani e dell'Associazione  degli Economisti dell'Ambiente e del Territorio, ha scritto cose, a mio avviso estremamente importanti anche perché sta organizzando ,per conto del Papa, ""Economy for Francesco" per il prossimo marzo.

 

Ricordato l'insegnamento del Toniolo  e gli"  espliciti e fervidi accenti" con i quali Molesti rinnova "l'auspicio di un nuovo slancio dell'impegno cattolico nella società. Anche in questo in linea con gli ideali cari al Toniolo", (Papa Francesco richiama i cattolici al dovere di impegnarsi in politica...) Bindi rileva : "in tempi di "diaspora" politica dei cattolici qual è  il nostro in Italia, il prof Molesti avrebbe voluto che , tra le tante realtà e denominazioni che oggi compongono la galassia dei cattolici impegnati, si generasse una nuova collaborazione  ideale e pratica: il volume contiene , su questo tema, qualche nota di amarezza nella constatazione di quanto sia diventato difficile, anche tra fratelli di fede, superare gli interessi di parte in vista del bene comune. Sergio Bindi ricorda come “ in un incontro  di qualche anno fa, che si è svolto ad Assisi ( nostra giornata del nuovo umanesimo) proprio il prof Molesti esprimeva il desiderio  che nuove convergenze potessero rendere  più efficace la presenza  cristiana nel sociale: un auspicio che rimane d'attualità

 

La Fondazione di studi tonioliani, evidenzia Bindi: “prosegue le giornate del nuovo umanesimo; l'ultima s'è tenuta a fine ottobre a Melfi voluta dal locale vescovo ed anche qui si è accennato anche alla testimonianza cristiana nella politica, oltre che  nel sociale , presente addirittura una delegazione (un pulmann e varie auto) giunta dalla nostra sezione campana molto attiva: ebbene monsignore Sorrentino, chiude la prefazione dicendo una cosa importante "l'iniziativa "economy for Francesco" , nella quale papa Francesco  vorrà incontrare ad Assisi nel marzo 2020 giovani economisti ed operatori economici di tutto il mondo , per innescare un processo  di una nuova economia ispirata all'umanesimo della fraternità, potrebbe forse ricreare il clima giusto per la realizzazione di questo auspicio. La storia dirà, ma intanto anche un libro di memorie come questo può essere significativo per gettare un ponte tra passato e futuro." 

 

Aggiunge Bindi: “mi sembrano frasi significative , scritte  da un vescovo che ha guidato la beatificazione del Toniolo, ricorda sempre il "tratto di economia sociale" del beato e che per conto del papa sta organizzando "Economia for Francesco", un evento di livello mondiale al quale saremo presentiConsidera, mi scrive,  che le giornate del nuovo umanesimo  si sono tenute in sedi arcivescovili o, come a Napoli, nelle sale di un santuario mariano, il cui rettore è assistente ecclesiastico della sezione campana della  nostra fondazione, mentre l'anno scorso nel trentino alla "giornata", dedicata all'ambente,  relatore principale  era il cardinale  Re che l'evento aveva voluto . Nell'occasione venne  rilanciata l'esigenza della presenza dei cattolici in politica ( grazie anche agli interventi  di un ex-senatore dc, del compianto Alfredo de Maio, nostro dirigente,  mio e dell'on. Bezzi, organizzatore dell'evento e  nostro responsabile regionale: vi fu vasta eco sui mass media e l'edizione del triveneto del corriere della sera  pubblicò addirittura una pagina  parlando di nuovo impegno dei cattolici in politica” .

 

Prosegue Bindi nella sua lettera,  con queste indicazioni e proposte: “credo sia utile  che tu conosca queste realtà e ne informi gli altri amici: sul territorio  non sono pochi i cattolici  che attendono di potersi impegnare , noi lo registriamo spesso e non é un caso, ad esempio, che nella nostra sezione campana, superattiva, vi siano sindaci, personaggi come lo scienziato Tarro , sacerdoti, molti giovani, vari ex-dc, con il cardinale di Napoli che, in occasione di una nostra giornata del “nuovo umanesimo" ammetteva il fallimento dei corsi di formazione politica  organizzati dal vicariato, ringraziandoci per quel che facciamo e per i molti giovani presenti alle nostre iniziative( compreso un premio per le scuole superiori della regione).Il presidente della sezione campana e responsabile per il mezzogiorno , Francesco Manza è un ex-dirigente del movimento giovanile dc di Torre del Greco, presidente regionale dell'UCSI, consigliere nazionale del Federstampa: all'ultima "giornata del nuovo umanesimo" tra i relatori c'era anche l'allora presidente dell'anticorruzione Cantone, cattolicissimo. 

Mi auguro  che la Federazione possa andare avanti e va ringraziata l' UDC di farne parte , mettendo a disposizione un simbolo che  non può essere contestato e, quindi, tale da evitare  ricorsi giudiziari.

Agli amici ricordo anche che tre iniziative sono importanti sin da ora:

 

la prima : un programma a favore degli anziani dimenticati dagli attuali partiti ( chi ha in casa un anziano incapiente è un dramma), considerando anche che  molti  personaggi con molta esperienza vorrebbero impegnarsi gratuitamente perché  sentono di potersi rendere utili, ma vengono ignorati ( ne ho trovati in Toscana quest'estate a partire da un ex-prefetto, da un ex-big dei Vigili del Fuoco, da un editore .

 

la seconda : mobilitare gli italiani all'estero( 5 milioni e 100 mila con passaporto, 60 milioni di oriundi nelle due Americhe) come fece la Dc nel dopoguerra. Qui c'è subito un'iniziativa da prendere : chi risiede nei Paesi extra UE(quindi Svizzera compresa) alle Europee per votare debbono venire in Italia a differenza delle elezioni politiche e persino dei referendum Così in pochi esprimono il loro voto nonostante il numero dei nostri europarlamentari sia calcolato anche sul numero di questi elettori( oltre due milioni).

 

terza : azione di informazione a tutto campo cattolico , coinvolgendo almeno parte dei 50 mila siti cattolici italiani, sviluppando una costante comunicazione  alle migliaia di santuari esistenti su tutto il territorio, alle congregazioni, alle parrocchie iniziando dai grandi centri  

In particolare, sarebbe opportuno costituire non un movimento anziani  vecchia maniera, ma organizzare nonne e nonni come fece la CDU rivincendo in Germania le elezioni.

 

Insomma una testimonianza, questa di Sergio Bindi, particolarmente importante, con una serie di indicazioni operative concrete che ci stimoleranno a fare ancor di più e meglio nei tempi strettissimi richiesti dalla difficile situazione politica italiana.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 9 Dicembre 2019

 

 

 

 


Battesimo della Federazione Popolare dei DC

 

Si sono riuniti presso il piccolo auditorium “ Aldo Moro” a Roma i rappresentanti delle quaranta associazioni, partiti e  movimenti che nei giorni scorsi avevano sottoscritto l’atto notarile del patto costitutivo della Federazione Popolare dei DC.

Al tavolo della presidenza il comitato provvisorio di coordinamento:  Giuseppe Gargani, Lorenzo Cesa, Renato Grassi, Mario Tassone e Ettore Bonalberti.

Gargani ha aperto la conferenza stampa di presentazione della Federazione, evidenziando che trattasi del battesimo  del progetto federativo, per uscire finalmente dalle catacombe nelle quali la damnatio memoriae aveva sin qui emarginato la cultura politica dei cattolici democratici e dei cristiano sociali  e dalla condizione di irrilevanza patita nella lunga stagione della diaspora . La contemporanea crisi della sinistra e del centro che si riscontra in tutta Europa ha fatto crescere una destra eversiva, pericolosa e anomala; una realtà che non si era mai conosciuta prima in Italia dopo la tragica esperienza fascista.  Una condizione che trova la sua origine nel superamento della legge elettorale proporzionale e l’avvento di partiti di tipo personalistico senza alcuna cultura di riferimento. Manca una cultura del bene comune e prevalgono le tentazioni giustizialiste.

 

Lorenzo Cesa, ha sottolineato il grande lavoro compiuto insieme  e il valore di questa iniziativa federalista nella quale è impegnato insieme ai suoi amici UDC per sviluppare questo progetto che si propone di concorrere alla costruzione del nuovo centro della politica italiana ispirato dai valori della dottrina sociale cristiana. Un centro che, come nella migliore tradizione della DC, si ponga in alternativa con la deriva nazionalista e populista e con la sinistra e che riconfermi la storica adesione all’unione europea voluta dai padri fondatori DC. Un grazie agli amici che hanno reso possibile questo rassemblement che vuol essere aperto all’apporto di quanti intendono concorrere con noi a realizzare il nuovo centro della politica italiana inserito a pieno titolo nel PPE. Come Rotondi ha messo a disposizione della federazione la fondazione DC, quale strumento di approfondimento programmatico e di formazione, così l’UDC è pronta a mettere a disposizione la sua struttura organizzativa senza alcuna velleità di ruoli preminenti, ma nel rispetto della collegialità assunta a metodo democratico come stabilito dalle norme del patto sottoscritto

Mario Tassone ha espresso la sua soddisfazione per una giornata che vorremmo, ha detto, fosse ricordata come una tappa importante nel processo di ricomposizione dell’area politica popolare e democratico cristiana.

 

Renato Grassi ha evidenziato come la federazione segni il raggiungimento di un traguardo che la DC, “ partito mai giuridicamente sciolto”, ha perseguito dal 2012 anno del suo congresso rifondativo, replicato nell’ottobre 2018.

Serve dar vita, ha proseguito Grassi, a una novità nella politica italiana, sapendo intercettare i fermenti che le nuove generazioni impegnate sui temi ambientali o sulla difesa dei valori costituzionali stanno esprimendo in molte piazze italiane. Fermenti e valori ai quali solo la cultura del popolarismo  e della dottrina sociale cristiana  sono in grado di offrire risposte convincenti.

Ettore Bonalberti ha sollecitato la Federazione all’impegno organizzativo sul territorio attivando la formazione di strutture federative nelle regioni, province e comuni italiani, tenendo presente che lo scontro in atto è sempre più quello tra populismo e popolarismo, tra europeisti e anti europeisti. Considerate le difficoltà oggettive e politico culturali della sinistra, solo dal popolarismo aggiornato ai temi dell’età della globalizzazione può venire una risposta alle  attese della povera gente e delle nuove generazioni.

Come un albero antico, ha detto Bonalberti, possiamo cambiare le foglie conservando però le radici e possiamo adattare le nostre proposte  ai nuovi bisogni delle classi popolari e dei ceti medi, conservando la fedeltà ai nostri principi.

Alla discussione seguita sono intervenuti tra gli altri: gli Onn.Eufemi e Gemelli, il prof Giannone coordinatore del comitato scientifico della fondazione DC, che ha confermato la disponibilità a svolgere un positivo ruolo nella formazione e nello scambio culturale con le altre realtà di area cattolica, a partire da quelle che hanno sottoscritto il manifesto Zamagni, sul quale tutta la Federazione popolare dei DC  si riconosce.

Al riguardo molto importante è stata la presenza alla conferenza stampa dell’on Lucio D’Ubaldo, esponente della “rete bianca” il quale, raccogliendo l’invito fattogli dal comitato, ha ricordato che : “siamo in una fase nuova in cui sentiamo il bisogno di discutere fra di noi- serve prima una riflessione comune superando il limite di stare sulla soglia dell’impresa importante- prima di costruire un partito serve capire cosa serve al paese- oggi sulla questione del centro sono gli altri a interrogarci , ma tutti ragionano su questo argomento”..

Si è così aperto un dialogo tra Federazione popolare dei DC e alcune realtà degli amici del manifesto Zamagni  che ci auguriamo possa produrre positivi frutti unitari.

Dopo gli interventi degli amici Gemelli, Rotunno, Moreno, Palumbo, Ferlicchia, Orioli, Copertino, Laganà, Tucciariello, Pezzino, Puja, l’on Gargani ha concluso i lavori con l’augurio che dopo il battesimo si possa finalmente attivare la crescita della federazione per superare definitivamente la dolorosa diaspora post DC dei cattolici.

Massima apertura a costruire in sede locale  nuclei della federazione popolare con altre culture laiche, liberali e riformiste  e nomina dei coordinatori provvisori  della federazione in tutte le realtà locali, per preparare con gli amici soci e simpatizzanti  le liste della federazione alle prossime scadenze elettorali regionali, comunali e in previsione delle elezioni politiche alla data che si terranno.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 4 Dicembre 2019


Dopo il quinto fallimento sulla separazione tra Venezia e Mestre

 

Scrive oggi il Gazzettino: “Un flop il quinto referendum (in 40 anni) per la separazione tra Venezia Mestre: alle 23, ora di chiusura dei seggi, ha votato soltanto il 21,73%  pari a 44.887 cittadini su 206.553 aventi diritto. E' questo il risultato finale dell'affluenza. E' in corso lo scrutinio anche se chiaramente il quorum del 50% più 1 non è stato raggiunto: su 167 sezioni su 256 il Sì è al 63,15% il No al 36,84%. I separatisti hanno già annunciato ricorso. A far pendere l'ago della bilancia per il no alla divisione in due comuni sono stati soprattutto gli abitanti della terraferma, disertando il voto: in terraferma ha votato il 16,35%. Un afflusso più massiccio, ma numericamente meno "pesante", si è avuto in centro storico (32,4%) e nelle isole (28%) della laguna.”

Dopo questo quinto tentativo fallito credo si sia scritta la parola fine al tormentone sulla separazione delle due città.

Serve una riflessione seria sul destino di Venezia città metropolitana alla quale, noi DC non pentiti e popolari veneziani, avevamo contribuito con le proposte sintetizzate nel saggio: “ la nostra idea di Venezia”, che riproponiamo integralmente in allegato e sul quale desidereremmo avviare un confronto con quanti sono interessati al progetto tra i cittadini veneziani e veneti.

Quel saggio era stato la nostra indicazione di voto nelle ultime elezioni amministrative locali,  nelle quali abbiamo sostenuto la candidatura di Brugnaro e la lista civica di Renato Boraso. Da entrambi non abbiamo ricevuto alcuna risposta ciò che noi avevamo evidenziato e, onestamente, siamo profondamente delusi di quanto questa amministrazione ha sin qui realizzato.

Crediamo che vada rilanciata l’idea della città metropolitana, il cui Sindaco dovrà essere eletto direttamente da tutti i cittadini elettori aventi diritto con la creazione di municipalità, compresa quella di Mestre e terraferma, dotate di autonomia amministrativa sul piano della sussidiarietà verticale.

Ai promotori del referendum fallito, spetta il compito di riproporre le loro idee su Venezia e su Mestre e di prepararsi a sostenere nuove classi dirigenti a partire dalle prossime elezioni amministrative, con candidati credibili ai quali noi DC non pentiti e popolari veneziani offriamo “ la nostra idea di Venezia”.

E’ tempo di ricomposizione e di unità della nostra città metropolitana per affrontare e risolvere insieme le sfide straordinarie che la natura, il clima, le colpe e i reati gravi commessi da alcuni politici e la condizione complessiva economica, sociale, culturale e etica, ci impongono in questa fase complessa e difficilissima della nostra storia.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF

Componente del comitato provvisorio della Federazione Popolare dei DC

 

Venezia, 2 Dicembre 2019

 

 

 

La nostra idea di Venezia

 

Con un gruppo di amici di cultura e  tradizione popolare e democratico cristiana, insieme ad altri di cultura laica liberale e riformista, abbiamo dato vita al comitato per la Costituente dei Popolari di Venezia con l’obiettivo di concorrere alla grave crisi morale, prima ancora che culturale, politica ed economico finanziaria che ha così gravemente segnato la nostra città.

 

Con gli amici della Lista civica per Venezia, Mestre e isole abbiamo avviato un percorso con la condivisione delle proposte programmatiche allegate, che sottoporremo alla verifica con i mondi vitali della nostra città e con la scelta del metodo delle “cittadinarie”,  quale strumento per la scelta del candidato Sindaco per Venezia da parte degli elettori veneziani.

 

Il nostro intendimento rimane quello di realizzare le più ampie convergenze su una condivisa proposta programmatica e la scelta delle “cittadinarie” con quanti sono interessati a garantire a Venezia di voltare finalmente pagina, dopo le inqualificabili vicende che hanno portato al commissariamento dell’amministrazione comunale.

 

La guida politica di Venezia negli ultimi vent’anni ha visto ininterrottamente la responsabilità di governi di sinistra con l’aiuto di qualche ininfluente accolito di complemento:

Massimo Cacciari (1993/2000), Paolo Costa ( 2000/2005), ancora Massimo Cacciari ( 2005/2010) ed, infine, Giorgio Orsoni, dal 2010  sino all’arresto (Giugno 2014) e in attesa del processo che tante ambasce sta creando nel PD dopo l’avvenuta incriminazione di alcuni suoi autorevoli esponenti.

 

Dopo oltre vent’anni qual è il lascito di queste giunte ?

Una situazione fallimentare: 881 milioni di € di debito e 47 milioni di € di passivo di bilancio. Qualsiasi impresa  o società privata in tali condizioni porterebbe i libri contabili in tribunale.

 

E’ evidente che questa classe dirigente politica ha fallito e deve essere sostituita da una nuova generazione di politici e amministratori, animati da un’esclusiva volontà e passione civile: mettersi al servizio di una comunità traendo dai principi fondamentali della sussidiarietà e solidarietà le stelle polari del loro impegno.

 

Questo comporta mettere al centro della propria iniziativa la persona e la famiglia, i corpi intermedi ai quali le strutture istituzionali sovra ordinate, a  partire da quelle comunali, devono offrire servizi e risposte nel rispetto delle autonomie di ciascuno.

 

Un rovesciamento totale rispetto a un sistema di potere sin qui incentrato sulla dipendenza pubblica, tra comune e la miriade di imprese ad esso collegate; un sistema di potere e un blocco sociale andato definitivamente e miseramente in crisi.

 

La nostra idea di Venezia si collega alla proposta che i Popolari veneti intendono sviluppare a livello politico con l’istituzione della macro regione del Nord-Est, convinti come siamo che l’Italia non è più in grado di sostenere l’onere di 21 Regioni tra quelle a statuto speciale e a statuto ordinario e, ancor di più, di mantenere le ormai obsolete e non più sopportabili distinzioni di competenze e  funzioni tra le stesse..

 

Intendiamo, sull’insegnamento del compianto prof Miglio, realizzare l’unità del Veneto e delle  Venezie spalmando l’autonomia tra le tre regioni sul modello bavarese, con Venezia come capitale di riferimento e attuando quanto già è previsto nella norma costituzionale.

 

Intendiamo, altresì, considerare la scelta irreversibile di Venezia città metropolitana, nel cui nuovo ruolo anche la pluriennale questione del rapporto tra centro storico e terraferma veneziana di Mestre potrà trovare una più efficace ed efficiente soluzione.

 

Premessa, tuttavia, indispensabile per qualsiasi azione politico  amministrativa sarà quella di procedere a un’attenta verifica dei conti del  Comune e di tutte le partecipate per avere cognizione esatta della situazione amministrativa, contabile e patrimoniale su cui poter assumere le decisioni conseguenti.

 

 

Le priorità che intendiamo assegnare al programma per la nuova amministrazione di Venezia sono le seguenti:

 

1)   OCCUPAZIONE

2)   SICUREZZA DEI CITTADINI E STOP DEGRADO DEL TERRITORIO

3)   SERVIZI SOCIALI E RESIDENZIALITÀ VENEZIANA

4)   CITTA METROPOLITANA

5)   INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

 

 

1) Occupazione

 

Il lavoro non solo per i giovani disoccupati, ma anche per i molti licenziati e cassaintegrati veneziani è la prima priorità cui dare soluzione. [1]

 

Cultura, turismo, portualità e recupero delle attività produttive a Marghera, sono le aree nelle quali anche l’intervento sussidiario dell’ente locale può e deve essere garantito.

 

Quanto alla Cultura è tempo di ripensare globalmente all’idea culturale di Venezia superando le attuali frammentazioni, disorganiche iniziative e assicurando un serio coordinamento ai diversi centri e istituzioni operanti nella città.

 

I Veneziani, vecchi e nuovi, devono riprendere consapevolezza delle attese che il mondo rivolge alla loro città. Un caposaldo di civiltà universale che non può e non deve essere immiserito al ruolo di meta turistica. Quanti hanno il privilegio di abitarci e la somma responsabilità di assumerne il governo, dispongono di un enorme patrimonio di centri culturali: dalle Università agli Istituti (l’Istituto Veneto, l’Ateneo Veneto, tra i maggiori), dalle Accademie agli Enti (La Biennale, la Fenice), alle Fondazioni (Giorgio Cini, Levi, Querini Stampalia, etc.), dall’Archivio di Stato al sistema museale pubblico e privato. Un formidabile complesso vocato alla conoscenza e all’intelligenza creativa, che abbisogna di essere posto in sinergia. La politica culturale cittadina è una straordinaria risorsa, sinora mortificata dalla scarsa considerazione in cui è stata tenuta, con un governo debole e di limitata progettualità (a puro titolo di esempio, si ricordi che Venezia, con la sua altissima qualificazione musicale, non è stata in grado di avviare con continuità e stabilità un Festival della musica barocca veneziana, mentre Salisburgo puntando solo su Mozart, ogni anno richiama folle di appassionati e grandi direttori). La città che è stata il fulcro dell’editoria sacra e profana, raccolta nella Biblioteca Marciana, nell’Archivio di Stato e in altre sedi, avrebbe tutte le carte in regola per proporsi come sede di Mostre annuali del libro in ogni specificazione (libri d’arte, libri di antica e nuova scienza gastronomica, libri tecnici e scientifici etc.). Da tutte queste manifestazioni non effimere verrebbe un beneficio diretto al sistema di accoglienza cittadino,

 

Un calendario condiviso e programmato in grado di spalmare in tutto l’arco dell’anno iniziative mirate di grande valore culturale, funzionale anche a una più efficace distribuzione degli afflussi turistici, oggi concentrati disordinatamente nel periodo Maggio-Settembre con tutte le conseguenze negative che tale concentrazione comporta per la città e per i suoi abitanti

 

Il Comune dovrà favorire e incoraggiare gli imprenditori, partite IVA e i privati cittadini, a utilizzare le leggi sul mecenatismo culturale, che prevedono la deducibilità fiscale delle risorse impegnate a sostegno di attività culturali. sia tramite il FONDO PER IL MECENATISMO RIFERITO ALLA LEGGE 665, sia con l’Art Bonus (Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale e lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo). Il comune, gli enti pubblici di sua pertinenza interessati/bili potranno proporre a tutti gli imprenditori del territorio, la costituzione di una fondazione finalizzata all’utilizzo delle agevolazione fiscali per la tutela dell’arte e della cultura sia per quanto riguarda le opere passate sia a riguardo dell’arte futura.

 

Serve un programma in grado di coinvolgere con la città metropolitana tutto il territorio veneziano dal Tagliamento al Timavo, dall’Adige al Po sino al Mincio. Venezia come punto di riferimento delle Venezie e tra il Nord e il Sud dell’Europa, tra l’Ovest e l’Est del mondo.

 

Nostro impegno sarà rivolto a favorire l’avvio di un Festival mondiale della musica barocca che a Venezia ha avuto alcuni tra i suoi più illustri fondatori, dal Caldara a Vivaldi, per offrire alla città un ruolo analogo a quello assunto a livello mondiale da Salisburgo per la musica mozartiana e di Bayreuth per quella wagneriana.

 

Considerato il ruolo che Venezia ha avuto nei secoli, sia nel settore del commercio di alcuni beni essenziali (sale, zucchero, spezie) che per la divulgazione della grande cucina rinascimentale italiana con la sua attività editoriale dominante in Europa sino al XVIII secolo, si favorirà lo sviluppo di una Mostra permanente a Venezia della cultura dell’alimentazione e della civiltà della tavola, puntando a realizzarne l’avvio con Expo2015, e con il fine di coinvolgere in uno straordinario e affascinante scenario le diverse civiltà della tavola esistenti nei cinque continenti e l’intera filiera agro-alimentare italiana e triveneta in particolare.

 

La presenza  diffusa dell’immagine di Venezia in tutto il mondo, unitamente al prestigio

della nostra ristorazione e della civiltà dell’ospitalità veneta, in ragione delle varie associazioni interessate ed interessabili, potrebbero garantire le migliori possibilità di riuscita e di successo turistico. Una vera e propria sfida culturale tra produttori, conservatori, distributori, albergatori, ristoratori, cuochi, uomini di cultura e d’arte, retta e governata dal piacere di stare a tavola, di stare insieme e dalla volontà di integrare realtà differenti per la promozione del progetto Italia, ma soprattutto veneto.

 

L’Arsenale e l’area risanata di Marghera, insieme a molti beni immobili pubblici , accanto ad attività produttive compatibili potranno divenire sedi di fondaci culturali aperti alla partecipazione di giovani da tutto il mondo e occasioni per l’attivazione di innovative start up dell’arte e della creatività giovanile.

 

L’Arsenale è certamente la struttura , la darsena , il porticciolo turistico potenzialmente più bello, valido ed accogliente di tutto l’Adriatico . E’ perciò che siamo convinti che sia possibile , nell’interesse di Venezia, per rivitalizzare la zona di Castello orientale, per ripopolare l’area della città più precaria dal punto di vista del tessuto umano, riportare all’interno dell’Arsenale soggetti pubblici e soggetti privati attraverso un unico filo conduttore rappresentato dal polo nautico; da un lato si ritiene opportuno concentrarvi tutti gli istituti e le scuole orientate alle professioni marinare, quindi soggetti pubblici , e dall’altro localizzare un importante porto turistico per yacht fino a 80 metri i cui proprietari non hanno certo problemi a pagare quanto verrà loro richiesto, oltre naturalmente una marina per barche meno pretenziose legate alla cantieristica minore .

Le scuole marinare avrebbero una delle sistemazioni più valide esistenti nel Mediterraneo , molto simile , ma migliore , alla sistemazione logistica dell’Accademia Navale di Livorno , mentre la nautica maggiore e minore , si troverebbe ad operare al centro della città ed a ridosso della parte di laguna più bella , compresa fra i bacini di carenaggio , le Vignole , la Certosa , Sant’Elena , Sant’Andrea e la bocca di porto del Lido .

Presso l’Arsenale siamo interessati a sostenere l’idea progetto elaborata dal gen. Giorgio Paternò di ricostruzione del Bucintoro, la splendida galea di Stato dei Dogi veneziani che, tanto nella fase di lavorazione cantieristica che come artifatto di pregio artistico richiamerà visitatori da tutto il mondo.

 

 

Il turismo e le sue problematiche per Venezia

 

Il turismo è una delle attività divenute prevalenti nel bilancio delle attività economiche della città. Esso assume dimensioni crescenti quasi di tipo esponenziale. Se alla metà degli anni’50 Venezia ospitava circa 1,6 milioni di turisti all’anno, ora si sfiorano i 30 milioni.

Fenomeno che non si limita alla sola città storica, ma interessa anche la terraferma, dove si stimano circa 4 milioni di presenze annue.

E’ evidente che una tale situazione del tutto anomala richiederebbe una legislazione speciale e non essere regolata da norme regionali poco adatte alla specificità di Venezia.

Venezia vive di turismo eppure fa fatica a convivere con il turismo, almeno con quello che si è sino a oggi sviluppato in maniera disordinata e senza regole.

La prossima amministrazione comunale in accordo con l’ente regione dovrà porsi seriamente il tema dell’ordinamento e la gestione dei flussi turistici.

Se, da un lato, l’introduzione di un ticket d’ingresso rappresenta una soluzione difficilmente gestibile per una città che già richiede ai suoi visitatori costi non indifferenti, qualche altra soluzione dovrà essere messa in campo per garantire una migliore gestione del flusso turistico con un ticket adeguato per l’accesso ai percorsi museali della citta’ (vedi Parigi- Louvre).

Esso va indirizzato verso zone della città altrettanto degne di essere visitate oltre a Piazza San Marco e al Ponte di Rialto. Un turismo telematico che sceglie per ogni soggiorno a Venezia una specifica località o tema andrebbe messo in opera.

Così come la distribuzione delle diverse attività di promozione artistica e culturale andrebbe programmata per tutto l’anno e non concentrata nel periodo Marzo-Settembre, che è quello in cui si concentra ora la massima confluenza turistica in città. Per il bene della città, per equilibrare i flussi turistici, le mostre vanno fatte nel periodo invernale, contribuendo così all’obiettivo di una miglior vivibilità per i residenti, ma nel contempo offrendo agli operatori del turismo una stagione più ampia con conseguente maggior produttività per gli alberghi, i negozi, i ristoranti.

 

Anzitutto andrà ampiamente pubblicizzata, via Internet e nelle guide cartacee, l’inopportunità di visitare Venezia in questi mesi, nei quali la città è sovrappopolata e non è in grado di dare ai turisti il meglio di sé. Andrà poi predisposta una serie di itinerari che consentano una visita della città che, pur nel breve tempo di un giorno, riesca a distribuire l’afflusso turistico anche nelle zone periferiche del centro storico, con il risultato ulteriore di aiutare l’economia delle zone meno centrali della città.

 

Andrà anche valorizzata una visita “via d’acqua”, riconsiderando quello che è stato chiamato “vaporetto dell’arte”, che solo a Venezia non ha trovato adeguato successo, trasformandone la funzione analogamente a quanto avviene a Parigi, in un itinerario lungo il Canal Grande, la principale via della città, con presentazione in varie lingue dei palazzi che si affacciano lungo il percorso, la loro architettura e la storia delle famiglie e dei personaggi che li hanno abitati. Se tutto questo ha un costo, e certamente lo ha, andrà pagato con una parte del ricavato della tassa di soggiorno, che nel 2013 ha dato all’amministrazione oltre 20 milioni di euro.

 

Va definitivamente risolta la questione delle navi crociera a Venezia impegnandoci da subito allo stop del loro passaggio in bacino San Marco.

Consapevoli dell’importanza che l’attività crocieristica assume per la città ( sono circa 5000 le persone che direttamente e indirettamente sono occupate in tale attività) resta per noi improponibile il passaggio in laguna delle  grandi navi, per l’elementare dovere del rispetto del principio di precauzione nei confronti di una città unica per la sua fragilità strutturale; un sogno reale sospeso tra mare e cielo, riteniamo, quindi, che la crocieristica debba restare a Venezia, ma con soluzioni alternative per raggiungere la Marittima,  come quelle previste dal decreto Passera individuabili in un canale dietro la Giudecca o altra soluzione che superi le verifiche di sostenibilità e compatibilità ambientale, come pure l’ipotesi del canale della Contorta .

 

L’espansione del turismo e della sua monocultura ha determinato, come ovvio, una serie di conseguenze sul piano delle rendite immobiliari, con incrementi crescenti dei valori immobiliari per investimenti speculativi, per l’uso di spazi ricettivi da residenziali a funzioni di affittacamere, bed & breakfast, attività abusive e scomparsa quasi del tutto dei negozi di vicinato.

Anche la terraferma, con la dissennata politica di apertura dei grandi centri commerciali a Marghera, Mestre e Marcon, ha subito una vera e propria desertificazione del centro delle attività commerciali. I luoghi del commercio cambiano le abitudini dei cittadini e penalizzano ovunque i centri storici.

 

Recupero dell’area dell’Arsenale e attuazione del piano di recupero delle isole, degli ex Forti del “campo trincerato” e di Forte Marghera, andranno accompagnati da un riassetto complessivo della governance della città, considerata la quantità di autorità con competenze separate per il bacino San Marco e per il territorio comunale.

Tutte competenze del comune e dei suoi diversi settori amministrativi, della Soprintendenza ai BB.AA. di Venezia e della Regione, della Soprintendenza ai BB, Archeologici, del Magistrato alle Acque, dell’Autorità portuale, della Capitaneria di Porto, dell’ENAC in area portuale, delle FF.SS., ANAS, ENEL, ENI, Agenzia del Territorio, Demanio, Regione Veneto, ASL, Società Autostrade andrebbero coordinate dal Comune-Città Metropolitana salvo quelle di controllo sui BB.AA.

 

 

 

La portualità

 

Il porto di Venezia è  uno dei porti meglio posizionati nel Sud Europa, da oltre cinquant’anni è il primo porto dell’Adriatico. La portualità lagunare cioè i porti di Venezia e Chioggia rappresentano una delle realtà portuali più valide e complesse del Mediterraneo.

Il nodo infrastrutturale di Mestre, già di per sé importante per il Nord – Est, con la caduta della cortina di ferro e con il progressivo inarrestabile allargamento dell’Unione europea a Est,  è diventato snodo primario di distribuzione dei flussi di merci e di uomini sia fra ovest ed est che fra sud e nord. Porto Marghera, oltre ad essere oggi il più importante porto commerciale dell’Adriatico, è l’insediamento della più estesa area chimica d’Italia; il porto passeggeri, che fa capo a Venezia centro storico, è oggi il primo scalo italiano per tale traffico; nella laguna veneta a sud abbiamo una realtà affascinante come la città di Chioggia , una piccola Venezia che ha saputo trattenere i propri abitanti mantenendo quindi tutte le caratteristiche culturali, popolari e caratteriali che Venezia non ha più a causa dell’esodo di una rilevante parte dei suoi abitanti, esodo che i politici che si sono succeduti negli ultimi decenni non hanno saputo gestire e quindi frenare.

Il porto a Venezia e Chioggia non è, in ogni caso, riduttivamente il porto di Venezia e Chioggia, ma un’ infrastruttura basilare per lo sviluppo economico, occupazionale, produttivo e sociale di tutto l’hinterland che sta alle spalle, e l’hinterland della portualità lagunare  interessa e condiziona il Triveneto e tutta la Valle Padana.

I progetti sviluppati in questi anni dall’autorità portuale dovranno essere assunti come momento di verifica della loro compatibilità con le linee strategiche di conservazione e sviluppo della città.

Va garantita la conservazione delle attività della Marittima  con l’utilizzo dei canali alternativi fino al completamento della piattaforma offshore ed al  conseguente riuso delle aree portuali di Marghera con un nuovo PAT condiviso Comune-Autorità Portuale.

Bisogna potenziare il terminal traghetti (autostrada del mare) a Fusina con i servizi di contorno di ospitalità per operatori (alberghi low cost, market, officine) e per passeggeri, così come andranno potenziati i servizi di supporto alla nautica commerciale e turistica nelle acque interne

 

 

Il recupero manifatturiero di Marghera (“free zone”- ZONA FRANCA )

 

Il consiglio comunale di Venezia, nella riunione del 16 giugno 2014 ha approvato la costituzione della newco che gestirà i 110 ettari di Porto Marghera che Syndial (gruppo Eni) ha accettato di cedere. Si tratta di dare pratica attuazione a tale deliberazione.

Da tempo i popolari veneziani hanno indicato l’opportunità di realizzare nell’area di Marghera una “free zone”(zona franca)  in base a quanto previsto dai regolamenti comunitari.

Il Codice doganale comunitario, infatti,  è stato istituito con Regolamento CE n. 450/2008, prevede che gli stati membri possano destinare a zona franca talune parti del territorio nazionale, è stato più volte rinviato nella sua applicazione; l’ultimo rinvio è stato approvato con il Regolamento CE del 10 ottobre 2013 n. 952/2013, che rinvia l’applicazione della Sezione 3 riguardante le Zone Franche alla data del 1 giugno 2016.

La “free zone” è un’area destinata alla promozione del commercio, all’esportazione e all’apertura dell’economia nazionale al mondo esterno. In essa sono ammesse attività industriali, commerciali e dei servizi.

Poiché la Zona Franca costituisce una delle manifestazioni dell’autonomia regionale e la Costituzione italiana prevede queste forme di maggiore autonomia, atteso che il Regolamento comunitario è equiparato, nella gerarchia delle fonti del diritto italiano, alla legge nazionale, l’istituzione di una Zona Franca sul territorio italiano non viola le disposizioni del Regolamento comunitario, che è in vigore dal 10 ottobre 2013.

In tale zona franca intendiamo favorire un nuovo progetto, di natura non industriale, per dare all’area uno sviluppo che consenta di impegnare le forze lavorative presenti nella terraferma veneziana.

Questo non per eliminare le industrie che vi sono: il cantiere navale della Fincantieri è un gioiello di cui la città deve essere fiera ed anche le altre industrie presenti vanno tutelate, pur se inquinanti, sapendo però che non sono loro il futuro.

Le aree di porto Marghera dovranno avere utilizzi ecologicamente compatibili( PMI della green economy. artigianato di produzione e di servizi, terziario avanzato)   con l’essere in gronda lagunare, e quindi non inquinanti, e questi utilizzi dovranno valorizzare le aree in termini economicamente compatibili con l’assunzione da parte degli utilizzatori dei costi di bonifica, posto che l’attuale situazione economica del Paese rende poco probabile che questi costi vengano assunti  totalmente dallo Stato. Un percorso che sarebbe grandemente facilitato con la costituzione della zona franca.

Su questa linea si è mosso il porto di Venezia, acquisendo molte aree da destinare ad una portualità più commerciale che industriale, ma sono state proposte anche altre destinazioni quali il terminal per le Grandi Navi da crociera, la city della PA-TRE-VE, la città metropolitana tra Venezia Padova e Treviso e una destinazione ad area di commercio internazionale, un grande fondaco per la città di Venezia che è nata ed è diventata ricca come città di commercio del mondo medioevale.

Se Porto Marghera non avrà in futuro una destinazione industriale verrà a mancare nel nord est un’area industriale con accesso diretto dal mare. Potrebbe essere ripreso il progetto di molti anni fa di un’area industriale con queste caratteristiche da edificarsi nel basso Veneto (progetto Venezia Sud) , in terreno alluvionale nel quale non vi sarebbero difficoltà per lo scavo di canali portuali con profondità anche rilevante, canali che per la circolazione delle acque potrebbero utilizzare l’acqua del Po.

Sarà anche da valutare se, in un’eventuale nuova portualità del basso Veneto, possa essere collocato un porto commerciale, in via di ipotesi meno costoso come edificazione dell’isola artificiale prevista al largo di Venezia e meno oneroso come gestione, potendosi prevedere lo sbarco diretto delle merci, in particolare container, senza il doppio passaggio nave / isola e isola / terraferma.

 

L’idea progetto della “free zone” riteniamo possa costituire una delle più importanti risposte al tema dell’occupazione a Venezia  e Mestre con l’attivazione di una miriade di PMI defiscalizzate, inserite in un’area servita dai migliori servizi in stretto collegamento con il polo tecnologico di VEGA e tale da rappresentare un’autentica svolta all’ex zona industriale che ha visto scendere gli occupati dagli oltre 30.000 degli anni passati agli attuali 10.000 addetti in continua decrescita.

 

In tale area, realizzata la mappa di tutti i vincoli in essa esistenti e di cui va operata un’intelligente ragionevole semplificazione, e adottate le norme anti burocrazia contenute nella legge Severino 31.12.2012,n.235, si potrebbero immediatamente realizzare:

 

a)    il centro direzionale dei servizi, autentica city, di Venezia –Mestre implementando quanto significativamente VEGA con Condotte ha avviato con il progetto EXPOVenice (padiglione Aquae per EXPO 2015) e sulla base della visione strategica per il waterfront di Marghera, terminale privilegiato per l’economia veneziana e veneta e per il traffico marittimo dell’Oriente verso i Paesi dell’Est europeo;

b)   il casinò del divertimento su cui a più riprese diverse società internazionali hanno dimostrato la volontà di investire;

c)    il palais Lumière, dopo il superamento dell’assurda querelle sulla realizzazione di tale opera, con annessa università della moda, tenendo presente la riconfermata volontà della famiglia Cardin di realizzare l’investimento

 

Il casinò di Venezia

 

Ha rappresentato per anni una delle fonti sicure delle entrate per il Comune di Venezia.

Le precedenti gestioni avevano garantito promozione e sviluppo.

Poi l’inversione di rotta le cui cause principali sono così individuabili:

l’assenza  di una gestione imprenditoriale all’altezza della situazione e l’ingordigia e l’avidità dell’unico azionista.

Va poi evidenziato il fatto nuovo rappresentato dalla comparsa sul mercato del gioco d’azzardo, prima oligopolistico e retto dal quadrumvirato dei casinò di Campione d’Italia, San Remo, St Vincent e Venezia, dello Stato, che ha distribuito su tutto il territorio nazionale centinaia di migliaia di slot machine al fine di far cassa per l’erario.

Ciò comporta l’esigenza di una nuova strategia e di una rinnovata gestione, considerato anche il fallimento del tentativo di offrire il casinò ai privati, dimenticando le due rovinose gestioni

 SAVIAT (1936) e STILE (1963).

Semmai,   si dovrà puntare:”  ad aumentare il capitale sociale di quanto serve per il rilancio dell’azienda e il risanamento dei conti, concedendo ai privati che hanno un qualche interesse professionale ( produttori di attrezzature per il gioco, emittenti televisive, organizzatori di eventi, ecc.) la possibilità di sottoscrivere l’aumento sino al 49%.

Proviamo a immaginare di offrire una parte di questo 49% a quei lavoratori del casinò che hanno a cuore il destino della loro azienda. Molti di loro potrebbero essere interessati a rinunciare al 50% del TFR riducendo di oltre 4 milioni di Euro l’indebitamento della società, a rinunciare al 50% delle mance per i prossimi tre o quattro anni, apportando in questo modo circa 15 milioni di Euro e diventando azionisti della loro azienda. Naturalmente ad una condizione: il management dovrà essere confermato anno per anno dagli azionisti sulla base dei risultati e non scelto con obsolete logiche partitiche.”

 

Questa crediamo sia la strada da perseguire con la prossima amministrazione comunale unitamente al progetto di realizzare con capitali privati il grande casinò del divertimento; un progetto realistico con investitori pronti a intervenire e fonte possibile di una nuova e qualificata occupazione giovanile.

 

2) Sicurezza dei cittadini e STOP AL DEGRADO

 

Un elemento come la sicurezza urbana è divenuto centrale per la crescita,  vivibilità, serenità dei cittadini e la stabilità degli investimenti. Non c‘è dubbio che in Terraferma questa sia peggiorata portando al degrado zone anche centrali faticosamente recuperate a funzioni pubbliche.

Il fenomeno immigratorio che ha interessato fortemente anche la nostra città, ha determinato una profonda trasformazione del tessuto sociale e demografico soprattutto di Mestre e della terraferma, sino a cambiare la stessa composizione della strutture dei servizi e della residenzialità in zone vaste come Via Piave, l’area attorno alla stazione di Mestre, Corso del Popolo ed altri quartieri della città.

Chi vive, anche suo malgrado, in una condizione di irregolarità, clandestinità o anche solo di oggettiva grave difficoltà economica, è più facilmente indotto a comportamenti e atti illegali.

Venezia città accogliente e ospitale, della storica tolleranza, darà spazio alla voglia di fare e di intraprendere dei lavoratori stranieri regolari, ma taglierà ogni possibilità di alibi ai non regolari attraverso il contrasto a:

·      locazioni irregolari di abitazioni e negozi, controllo del rispetto del regolamento di igiene e numero delle persone per appartamento;

·      lavoro in condizioni sommerse;

·      evasione ed elusione fiscale del lavoro e dell’impresa, ma anche attraverso la tutela dei diritti fondamentali, promuovendo:

·      contratti di solidarietà per nuovi veneziani che rischiano di tornare irregolari

·      riconoscimento delle condizioni di asilo a chi ne ha diritto

·      ricongiungimento familiare protetto per chi lo merita

 

Vogliamo perseguire l’obiettivo di fare di Mestre una città aperta e sicura con tolleranza zero verso le illegalità, il coordinamento quotidiano tra polizia municipale e forze dell’ordine; stop all’accattonaggio e al commercio abusivo a Venezia centro storico; rete di telecamere con monitoraggio quotidiano dei punti, aree, piazze e servizi residenziali della città

 

Il Comitato per la sicurezza costituito da tanti cittadini ha svolto un encomiabile ruolo anche di supplenza negli ultimi anni. Se si vuole che le strade tornino a ospitare famiglie e sicurezza, bisogna allargare le occasioni di incontro e favorire il commercio di vicinato, vedere nelle zone più a rischio la presenza permanente di controlli.

Il Comitato “Mestre off Limits” ci ricorda il positivo lavoro da loro svolto con le Istituzioni. Prefetto, Questore e Sindaco hanno intuito che l’interazione produce risultati e che l’azione del super comitato non è “contro” ma a “favore” delle Istituzioni stesse, laddove si rende problematico talvolta il semplice comunicare “cosa si è fatto, cosa si farà” da parte delle Autorità.

Il Comitato ha raccolto 7000 firme, creato  spunti, quali il Dossier Mestre”, puntuale analisi anche fotografica e suddiviso zona per zona, a testimonianza di quanto il degrado cittadino sia esploso praticamente ovunque.

Ulteriore passo, probabilmente unico nel panorama dei comitati cittadini, è stata la definizione di un disegno di legge da presentare ai parlamentari definendo un nuovo reato, “il procurato degrado” atto a colpire con pene rilevanti chi organizza i “racket di sbandati (i cosiddetti barbanera”) e ne trae vantaggi economici enormi.

La fattispecie colpisce altresì gli organizzatori della “via della prostituzione” invogliando con false promesse di lavoro in Italia donne dell’est. Allo studio la creazione di un network, sulla falsariga degli attuali social media, per allertare in tempo reale le Forze dell’Ordine alla presenza di un crimine e fornire dati utili alla re-pressione.

Una più forte dotazione di risorse umane e materiali alle forze dell’ordine e il sostegno all’attività di questi organismi sussidiari andrà sollecitata e garantita dalla prossima amministrazione comunale.

 

 

 

3) Servizi sociali e residenzialità

 

A Venezia da anni esiste un problema “residenzialità” collegata allo spopolamento e snaturamento della stessa nel centro storico, da considerare nell’ambito della situazione dell’intero Comune, terraferma di Mestre e isole dell’Estuario compresi.

Lo spopolamento, infatti, non riguarda solo il centro storico, ma tutto il Comune che ha visto un calo della popolazione dai 274.168 abitanti del 2001 ai 270.884 del 2010.

Il centro storico nel 2001 contava 65.695 residenti che si sono ridotti a 59.621 nel 2010; l’Estuario è passato dai 32.183 residenti del 2001 ai 29.933 del 2010.

I nati nel centro storico nel 2010,  406 e i morti 891; nell’estuario i nati nel 2010, 193 e i morti 448. Un  tasso di natalità in centro storico pari allo 0,68% e di mortalità dell’1,49% e nell’estuario: tasso di natalità allo 0,64% e di mortalità all’1,50%.

Va anche considerato  che negli anni 2006-2010 il saldo immigrati/emigrati nel comune risulta positivo solo per l’apporto di immigrati stranieri e che in relazione al saldo migratorio vi è un rilevante saldo migratorio negativo a favore di altri comuni della provincia di Venezia.

Ciò significa che, al di là del modesto aumento di residenti, a Mestre non trova casa un gran numero di cittadini provenienti dal resto del Comune.

Il tema dell’housing sociale assume anche a Venezia un ruolo importante all’interno di un mutamento profondo dei caratteri sociologici di Venezia e di Mestre:

Venezia ha mutato il suo significato economico tramutandosi da città direttiva a  turistica, Mestre ha perso il suo significato di complemento di attività industriali che ora non ci sono quasi più e non ha raggiunto un superiore livello e l’Estuario ha perso la sua vocazione agricola e di centro marinaro.

In pratica nel suo complesso il Comune di Venezia ha mutato il suo significato economico pur mantenendo il suo assetto territoriale.

Beni immobili a diversa destinazione d’uso con prezzi drogati in centro storico per un’offerta indisponibile per i ceti medi e popolari  e permanendo viva la domanda di edilizia sociale e a canoni compatibili rendono anche a Venezia e Mestre urgente il tema dell’housing sociale.

ATER e Comune di Venezia dispongono di un patrimonio immobiliare pubblico di circa 8000 unità immobiliari. Si tratta di procedere a un’esatta ricognizione della permanenza delle condizioni di bisogno in base alle quali furono a suo tempo compiute le assegnazioni delle case popolari, in conformità a corrette valutazioni degli Indici ISEE (situazione economica di un nucleo familiare, calcolato sulla base  del reddito e di altri parametri socio economici) .

Procedere a offrire l’acquisto delle case a coloro che, essendone assegnatari, sono nelle condizioni e nell’interesse di assumere la proprietà dei beni assegnati per finanziare attraverso la vendita del patrimonio pubblico disponibile  e non strategico, la nuova residenza sociale per i giovani, i nuovi veneziani e gli anziani.

Quanto al tema più generale dei servizi sociali il nostro programma, coerentemente all’azione condotta dai Popolari a livello regionale,  intende impegnare la prossima amministrazione comunale a perseguire i seguenti obiettivi, coerenti con i principi di sussidiarietà e solidarietà cui ispiriamo la nostra attività politico culturale:

Vita: equiparazione con legge regionale dei nascituri ai nati per ogni beneficio regionale e degli enti locali veneti (es. punteggi erp, graduatorie, isee, …)

Famiglia: no tax area per 3 anni dal matrimonio prorogata di un anno per ogni figlio;

Famiglia/scuola: deducibilità completa delle spese per i figli dall’imponibile per tributi regionali e locali;

Famiglia: DARE SUBITO UNA “DOTE” a tutte le famiglie venete, creando il familiare ius aedificandi. Per ogni figlio un credito edilizio, utilizzabile o alienabile vincolando gettito a spese familiari. Così ogni famiglia avrà una vera e propria dote. Si tratta di un esempio di un inedito passaggio culturale da concepire e favorire, passando, cioé, dalla concezione di un “pubblico” che interviene con la spesa a un “pubblico” che sappia liberare risorse e indirizzare il mercato con le “regole”.

Welfare community - SOS sussidiarietà: una nuova legge regionale sui servizi sociali, convertirà i meccanismi di assistenza, attualmente troppo incentrati sulle strutture amministrative regionali e comunali, dalla elargizione di denaro o servizi al supporto di reti relazionali di prossimità alla persona che è in situazioni di disagio, per passare da un welfare della spesa a un welfare delle comunità; si deve, cioè, favorire che il sostegno alle nuove forme di povertà avvenga innanzitutto sostenendo le forme di solidarietà presenti nella società;

Welfare community - allargare il “pubblico”: la legge regionale, pertanto, equipari tout court i servizi alla persona del settore no profit ai servizi pubblici degli enti locali e ciò anche ai fini delle esenzioni dalle tassazioni regionali e locali gravanti sui beni strumentali all’attività;

Welfare community - costi standards: introduzione del meccanismo dei costi standards in tutti i servizi pubblici, specie sociali, sanitari e scolastici per una minor spesa complessiva:

Welfare community -spende chi sceglie! Riduzione della forme di gestione diretta nel pubblico e sostituzione del meccanismo di finanziamento pubblico. Attualmente i flussi finanziari promanano dalla Regione e dal Comune alle strutture, mentre bisogna mettere al centro “chi sceglie”, organizzando, in base ai costi standard”, la spesa per “crediti” e vouchers” che vengano messi direttamente a disposizione delle famiglie, che possono andarli a utilizzare, a loro scelta, nelle strutture sociali, sanitarie, educative, siano esse “regionali” o convenzionate o cooperative, al fine di porre in essere un pluralismo nell’offerta con un nuovo protagonismo di scuole libere e imprese profit e non profit, che consentirà risparmi di spesa, sviluppo occupazionale e miglioramento della qualità

 

Welfare community - cooperazione sociale contro disagio e disoccupazione: riconoscere le vere “gare comunitarie”, cioé considerando specificatamente la cooperazione sociale, anche di nuova costituzione (ad esempio fra ex dipendenti o giovani o overcinquantenni) nella legislazione regionale degli appalti, la cui normativa é allo stato penalizzante in quanto la natura no profit le rende meno competitive sui ribassi.

Risorsa educazione: Investire contro la cultura della sfiducia e, spesso, della disperazione accentuata dalla crisi economica, valorizzando l’offerta educativa e della formazione professionale, attraverso l’esenzione delle istituzioni scolastiche dai tagli e consentendo la piena detraibilità delle rette scolastiche per le scuole paritarie. Realizzare spazi nido all’interno delle aziende partecipate comunali, incentivare la realizzazione di nidi aziendali privati

 

Per le nuove famiglie andrà avviato un programma di aiuti come quelli su indicati e sperimentare asili con orario prolungato fino alle 20 anche per elevare il tasso di occupazione dei giovani

Per i portatori di handicap andrà promossa la formazione e il tutorato al telelavoro e avviato un incubatore di iniziative in telelavoro per valorizzare un potenziale di energie sottostimato

Per l’assistenza agli anziani e favorire un processo di invecchiamento attivo si favoriranno i servizi di aggregazione, socializzazione e assistenza domiciliare; si coinvolgeranno gli anziani disponibili in servizi di pubblica utilità; si potenzieranno le strutture  pubbliche e private del volontariato sociale di sostegno extra ospedaliero per gli anziani non autonomi. Assistenza h24 compresa la somministrazione dei farmaci e del pasto a casa.

 

Stella polare della politica sociale della nuova amministrazione comunale dovrà essere l’assunzione del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale con le istituzioni messe al servizio delle persone e dei gruppi sociali organizzati in un rapporto costruttivo permanente pubblico-privato avendo sempre al centro i bisogni e i diritti della persona.

 

Queste in sintesi le nostre proposte in materia di welfare e famiglia:

 

MINORI e ETA’ EVOLUTIVA

Monitoraggio della spesa finalizzata a contenere i costi e pribilegiare quegli enti gestori che restituiscono un rendiconto “ trasparente”

 

PROMOZIONE DELLA FAMIGLIA

Sostegno con politiche specifiche, contributo alla natalità, sostegno alle scuole materne e asili nido, sostegno economico alle famiglie in difficoltò

 

PROMOZIONE DELLA GENITORIALITA’

Sostegno alle famiglie attraverso il rafforzamento della genitorialità, promuovendo le reti di genitori con particolari attenzioni anche ai genitori separati/divorziati o singoli

 

ANZIANI

Progetto centro storico, isole terraferma assistenza domiciliare e servizi diretti

 

GIOVANI

Sostegno di politiche per la promozione del benessere tra i giovani incentivando le azioni di aggregazione giovanile

 

VENEZIA CITTA’OPEROSA

Le questioni accoglienza migranti va affrontata con l’onestà di concordare quanti migranti la città è in grado di reggere in termini di casa e lavoro e quali strategia siano concretamente possibili per:

a)            accrescere le buone occasioni di lavoro in città

b)            sostenere coloro che intendono andare altrove

c)            accompagnare presso altri territori coloro che rimanendo in città andrebbero ad accrescere le schiere dei disagiati

 

4)Città metropolitana e riordino struttura comunale

 

L’indicazione legislativa per la città metropolitana di Venezia ha posto fine alla lunga e improduttiva querelle sui limiti territoriali di tale scelta avendo definitivamente concluso che in sostituzione dell’Ente Provincia,  i 773 tra sindaci e consiglieri dei Comuni del veneziano che la costituiscono, eleggano la Conferenza Statutaria e il Consiglio Metropolitano per poi passare allo Statuto del nuovo Ente che sarà composto dal Presidente che la legge prevede sarà il Sindaco di Venezia e da 18 membri del Consiglio metropolitano dei Sindaci.

Sarà così definitivamente spezzata l’ambigua dialettica tra Comune di Venezia e Regione del Veneto, che ha portato all’affossamento inglorioso di entrambe le culture partitiche dominanti sulle due rive del Canal Grande, e offerta ai comuni veneziani l’opportunità di concorrere più incisivamente nelle scelte politico amministrative dell’intero territorio.

Per Mestre sarà più agevole risolvere molte delle difficoltà che si sono sin qui frapposte nel rapporto con il centro storico, mentre fondamentale sarà riorganizzare la  complessa macchina  organizzativo burocratica che ha mostrato molti limiti.

La burocrazia, fondamento indispensabile di qualsiasi struttura istituzionale, non può essere nella disponibilità degli interessi della politica, ma deve corrispondere a quei fondamentali principi di efficienza, efficacia,  trasparenza e imparzialità indicati dalla Legge.

Il comune di Venezia conta oggi circa 3000 dipendenti dei quali un migliaio impegnati nelle sei municipalità.

Si tratta di compiere una seria analisi di efficienza ed efficacia di tale allocazione di risorse.

Vanno rivisti gli organici e avviato un processo di riorganizzazione creando un forte e capace ufficio ad hoc che funga anche da interfaccia a Venis Spa, la società informatica del Comune, perché l'ICT è un potente strumento per il re-engeneering di qualunque organizzazione e per migliorare i servizi. Bisogna anche rivedere e snellire le aziende partecipate, oggi oltre 100, spesso refugium peccatorum di trombati o supporter politici. Bisogna inoltre aprire i servizi alla concorrenza e al mercato.

 

Si dovranno operare alcune scelte immediate:

- blocco turn-over (ad esclusione servizi essenziali e L.68);

- riorganizzazione della struttura con valorizzazione della meritocrazia;

- riassetto complessivo delle municipalità e l’istituzione ufficio città metropolitana e analisi preventiva della divisione della  città in due comuni (Venezia isole e Mestre terraferma);

- apertura uffici al pubblico aumentando le fasce orarie compresa l’apertura al sabato degli uffici anagrafe;

- formazione di un tavolo permanente di concertazione con tutte le categorie economiche della città per il rilancio e lo sviluppo di Venezia e Mestre

 

Anche l’assetto istituzionale andrà rivisto con la giunta comunale ridotta a soli 8 assessori  oltre al  Pro Sindaco di Mestre, il cui ruolo è stato colpevolmente soppresso  e al quale andranno affidate le deleghe ai LL.PP e alla riqualificazione del territorio.

Al consiglio della città metropolitana il compito di riorganizzare la rete dei servizi sull’intero territorio razionalizzando quelli esistenti in funzione dei bisogni reali dei cittadini e in un corretto rapporto sussidiario pubblico –privato con ampio utilizzo della rete dei servizi del volontariato e del privato sociale.

 

TRASPARENZA E ETICA DELLA LEGALITA’

1)   Applicare il percorso di trasparenza e l’osservanza del principio di responsabilità su tutti gli atti del comune di Venezia e degli enti pubblici ad esso collegati

2)   Istituzione di un gruppo di lavoro per il controllo sistematico di tutte le gare comunali in corso e di quelle effettuati da almeno cinque anni

3)   Costituzione di parte civile per la richiesta di danni causata dalle ben note vicende: caso MOSE,Consorzio Venezia Nuova, Mantovani….

4)   Istituzione di un ufficio “Etica della legalità” per porre fine ai casi Bertoncello, MOSE, ecc. di concerto con la Procura della Repubblica e la Prefettura

SOCIETA’ PARTECIPATE

1)   Procedere a una profonda ristrutturazione , dopo attenta due diligence di ciascuna realtà aziendale, mediante fusioni per incorporazione, secondo il principio: “Meno aziende, meno psrechi, più economie, migliori servizi per i cittadini”

2)   Riforma dei contratti di servizio tra comune e aziende

3)   Controllo sistematico dei livelli di dirigenza con attenta valutazione su costi, analisi efficacia ed efficienza su tutti i bilanci e Applicazione rigorosa del principio di responsabilità a carico di tutti i dirigenti

4)   ACTV,VERITAS,AVM, e società partecipate tutte: blocco del turn-over assunzioni sui livelli amministrativi ad esclusione L.68 e garanzia dei servizi essenziali, sì alla mobilità interna tra aziende e loro controllate

5)   CASINO’

Fallito il bando per la cessione a privati l’azienda deve tornare alla gestione comunale mediante una profonda ristrutturazione in temi di costi(Efficacia/efficienza) del management e il rilancio degli investimenti strettamente collegati al business della casa da gioco valutando con attenzione le nuove opportunità offerte dalla formula innovativo del casinò del divertimento

 

6)   VEGA

Ristrutturazione secondo le linee indicate per l’area di Marghera e rilancio come sede europea dell’innovazione

 

 

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

 

Con la realizzazione della città metropolitana si potranno assumere iniziative maggiormente coordinate e condivise con le realtà territoriali veneziane facenti parte della nuova realtà amministrativa.

I nodi essenziali del sistema pubblico veneziano sono così riassumibili:

 

A) Metropolitana sub lagunare e di superficie.

 

Abbiamo accolto con totale condivisione le indicazioni fornite dal comitato “Progetto per Venezia” e riteniamo possano e debbano costituire un prezioso vademecum programmatico per la prossima amministrazione comunale.

 

Si rende necessario il collegamento dell’area di Tessera con l’Arsenale, secondo terminal di accesso alla città, in cui devono essere allocati tutti i servizi di informazione ed accoglienza per i turisti per poi raggiungere il Lido con il prolungamento del sistema e successivamente sfruttando la base delle barriere mobili del Mose, connettere a Nord in direzione di Punta Sabbioni e a sud Pellestrina e Chioggia.

 

Ritenendo consolidate per l’Area Aeroportuale le previsioni concernenti la connessione quanto meno con la SFMR (Sistema ferroviario), Tessera diventerebbe il fulcro dei sistemi dei trasporti pubblici verso:

1. L’entroterra Veneto col sistema SFMR

2. Venezia con il sistema sub lagunare e con eventuale estensione alla Stazione Marittima

3. I Lidi del Veneto con il sistema misto sub lagunare e di superficie

4. Il territorio Nazionale col sistema ferroviario ed aereo

 

A integrazione di quanto sopra indicato dovrà essere previsto il prolungamento del tram fino all’Aeroporto al fine di metterlo in connessione con la Città di terraferma.

 

B) Sistema di interconnessione Terraferma-Venezia con l’utilizzo delle vie accesso ora in essere (Ponte della Libertà e Ferrovia).

E’ opportuno realizzare la connessione del Tram con la Stazione Marittima.

Il Tronchetto dovrà assumere prevalentemente la funzione di Isola dei Parcheggi e di interscambio, connesso mediante il peoplemover, con Piazzale Roma.

Piazzale Roma oltre all’utilizzo dei parcheggi pluripiano esistenti dovrà assumere le funzioni di parcheggio dei mezzi pubblici da realizzare all’interno di una struttura coperta estesa a tutto il piazzale; sopra tale struttura potrà essere realizzato un giardino pubblico quale prolungamento dei giardini Papadopoli. Da tale struttura potrà partire il sistema di connessione con il Parco di S.Giuliano  attraverso una pista ciclabile pedonale da realizzarsi con struttura autonoma anche ai fini della sicurezza del Ponte della Libertà.

Come progetto preliminare a suo tempo presentato da Veneto Strade approvato dalla Soprintendenza e accettato dal Comune, soluzione in seguito cassata dall’Amministrazione Comunale la quale ha previsto una soluzione ibrida che non consente la realizzazione di una pista di adeguate dimensioni anche in termini di sicurezza.

 

VENEZIA ARSENALE

 

L’Arsenale dovrebbe configurarsi come secondo Terminal di arrivo a Venezia.

Questa scelta ripristina di fatto un Terminal già esistente fin dalla fine dell’Ottocento lungo le Fondamenta Nuove dove arrivavano tutti i mezzi pubblici di collegamento con la Laguna Nord.

Questo secondo Polo permetterà di riattivare una parte della Città ora poco utilizzata, che servirà come punto di partenza oltre che di arrivo nella Città e come punto di partenza dei percorsi metropolitani per le Isole della Laguna.

Questo secondo Terminal dovrà essere dotato di punti di informazione per i Turisti sulla Storia della Città e sulla scelta, anche regimentata, dei percorsi di visita.

L’Arsenale dovrebbe essere rivalutato costituendo un Museo vivente della Storia della Città della sua Marineria recuperando e incrementando il grande Museo Navale ora poco conosciuto.

Lo specchio acqueo dovrà essere utilizzato come porto Turistico di qualità seguendo l’esempio di Arsenali nel mondo. Parallelamente a quest’ attività potrebbero essere inseriti alcuni Cantieri Navali per imbarcazioni in legno in continuità con la tradizione Storica della Repubblica Veneta ed essere connessi anche con scuole per Maestri d’Ascia.

 

SISTEMA DI VIABILITA’ INTERNA ALLA CITTA’ TERRAFERMIERA E CONNESSIONE CON IL PASSANTE.

Ricordando che il Comune di Venezia non ha mai richiesto in sede di dibattito sul Passante il finanziamento di opere complementari atte a garantire la qualità di vita e di disinquinamento dei centri di Zelarino e Trivignano interessati al traffico in uscita di tale struttura, risulta necessario ed urgente completare tra la strada situata a Nord del nuovo Ospedale ora ferma sulla Rotonda degli Arzeroni, su cui confluirà il Progettato Terraglio Ovest, con il Nuovo casello del Passante Nord di Martellago in fase di completamento.

Questa viabilità costituirà una connessione diretta con l’Ospedale di Mestre, la Tangenziale, Mestre Nord, San Giuliano, Venezia costituendo una circonvallazione Nord bypassando i Centri di Zelarino e Trivignano.

Questa strada di importanza vitale libererà dal traffico i quartieri residenziali del lato Ovest della Terraferma, mettendoli in facile connessione col sistema viabilistico principale.

Vanno, altresì valutate tutte le soluzioni legate alla trasformazione della zona Industriale di Marghera e quella relativa alla creazione della Città Aeroportuale e quadrante di Tessera.

 

IL SISTEMA INSEDIATIVO RESIDENZIALE PRODUTTIVO E TURISTICO

 

La Città Terrafermiera deve riappropriarsi della Laguna e diventare anch’essa parte della Città d’Acqua con la riapertura delle vie d’acqua Storiche.

La causa che ha determinato la cesura tra il Centro Storico e la parte Terrafermiera della Città è stata determinata dalla realizzazione sulla gronda Lagunare:

1) di interventi industriali (vedi Marghera)

2) di attrezzature di servizio (quali Aeroporto)

3) da Vincoli istituiti nella parte non utilizzata.

Tutti questi impedimenti hanno precluso l’utilizzo del Waterfront da parte del cittadini. Contemporaneamente i corsi d’acqua Canal Salso, Marzenego, Osellino, etc. che costituivano un sistema venoso che penetrava nel Territorio e che permetteva la connessione dello stesso con la Laguna, non erano più utilizzati,  ma abbandonati ridotti e tombati.

Anche il Parco San Giuliano, in effetti, risulta connesso solo con la Terraferma essendo venute meno le strutture di integrazione con il Parco Lagunare.

Tale integrazione è ipotizzabile anche per le aree del Waterfront di Marghera che, liberata dalla Chimica e dai Petroli, dopo aver soddisfatto le esigenze cantieristiche del Porto e della Logistica, potranno essere utilizzate con le più svariate attività comprese quelle della nautica da Diporto non escludendo altre attività produttive ad alto valore aggiunto e non inquinanti.

In questa trasformazione dovrà essere posta particolare attenzione alla qualità ambientale ed architettonica dei nuovi insediamenti, ricordando che la qualità del prodotto architettonico attuale è molto bassa nella quasi totalità, non tanto dissimile dal prodotto architettonico degli anni Ottanta.

 

CONNESSIONE TRA MESTRE E MARGHERA

 

Per la Stazione di Mestre deve essere prevista una struttura a ponte atta a coprirla interamente su cui erigere strutture pubbliche, private, parcheggi e aree verdi e costituire un nodo di interscambio dei vari sistemi di trasporto ferro, gomma ed assolvere la funzione da trait-d’union fisico tra i centri di Mestre e Marghera.

Questa area così disegnata dovrebbe assumere le funzioni di centro della Città finalmente unificata.

 

CITTA AEROPORTUALE

 

Nell’area di Tessera esistono e sono proposte una serie di nuove   iniziative quali ampliamento Aeroporto, piano Particolareggiato del Terminal, la previsione del Quadrante di Tessera e lo stadio.

Questi elementi costituiscono un unicum che non può essere trattato singolarmente perché si configurerebbe il pericolo di creare dei doppioni con il risultato di degradare l’iniziativa.

Né si può pensare ad edificazione di tipo Ricettivo Alberghiero in siti casuali, ma si dovrebbe trovare una collocazione in fregio ad uno spazio acqueo su cui si possa affacciare anche il Centro di Tessera.

Ciò si potrà ottenere ampliando la Darsena Aeroportuale per far si che il Centro di Tessera e le strutture ricettive si affaccino sulla Laguna, facendo percepire agli utenti di questi insediamenti le caratteristiche tipiche della Città di Venezia.

Va ricordato che questo affaccio era stato già a suo tempo Progettato per l’Aerostazione Marco Polo.

Le altre attività, oltre a quelle già citate, che andranno a costituire la città aeroportuale quali quadrante di Tessera e stadio, dovranno essere strettamente connesse tra loro con la ferrovia (SFMR) e il sistema di collegamento metropolitano.

Va ricordato che un’ eccessiva forzatura in termini di pesi urbanistici di quest’ area andrebbe probabilmente a toglier la capacità di trasformazione all’area di Marghera.

 

CENTRI ABITATI DI TERRAFERMA

 

Bisogna individuare le aree di trasformazione e le aree di Restauro Urbanistico all’interno dei Centri abitati, consolidati con caratteristiche diverse per ogni località, al fine di consentire una riqualificazione e una trasformazione delle stesse, creando il giusto rapporto tra superficie coperta e spazi pubblici anche, ove necessario, utilizzando lo strumento del premio di cubatura.

 

CITTA’ DELLA SALUTE

 

La nuova struttura ospedaliera dell’Ospedale all’Angelo, la struttura Ospedaliera Centro Nazareth, sono inserite in un sistema di aree libere che possono raggiungere i 100ha. Questo complesso di aree offre una grande occasione per destinarle a strutture di qualità pubbliche e private legate alla Salute, formando, di fatto, un complesso che si potrebbe definire Città della Salute. Queste aree sono facilmente connesse alla Tangenziale al Passante e al sistema Ferroviario e si configurerebbe come un unicum con altissima qualità, occasione unica nel Territorio Veneto in un contesto di ampie aree destinate al verde.

 

SISTEMA DEL BOSCO DI MESTRE

 

E’ impensabile che vi sia una grande percentuale di Aree libere senza un Progetto di sistema unico del Bosco di Mestre. Il Bosco di Mestre dev’essere un sistema continuo di verde aperto alla fruizione dei Cittadini e per questo scopo opportunamente attrezzato e sorvegliato, così come era nell’idea originaria del compianto Gaetano Zorzetto il cui avvio fu effettuato in collaborazione con l’Azienda Regionale delle Foreste del Veneto sulla base di un progetto organico integrato.

In queste aree potrà essere prevista la formazione di Bacini di Laminazione che potranno rappresentare un Plus Valore Ambientale oltre ad assolvere la loro naturale fruizione di raccolta delle acque in caso di eventi eccezionali.

Va valutata l’opportunità di far affacciare queste aree così destinate sulla Gronda Lagunare.

 

CENTRO STORICO

 

Al fine di riavviare il processo di riutilizzazione del Centro Storico ai fini abitativi vanno ripensate tutte le iniziative per rendere la Città facilmente fruibile dagli abitanti intervenendo anche pesantemente sulla Normativa in essere per il Centro Storico che non consente di realizzare trasformazioni compatibili con le richieste del vivere dei Cittadini.

 

LIDO

 

Va ripensato l’utilizzo di questa importante parte del Territorio per poter accogliere tutte quelle proposte che ripropongono la vera funzione di quest’ area nel solco della tradizione di utilizzo, sedimentata nel corso della storia, recuperando quel patrimonio architettonico esistente formatosi a partire dall’inizio del 900 e terminato con la seconda guerra mondiale.

 

PELLESTRINA

 

Bisogna tener conto che l’isola di Pellestrina è stata interessata da due grandi elementi di trasformazione: l’abbandono dell’agricoltura e l’acquisizione della grande spiaggia per cui la grande risorsa dell’isola potrebbe essere un turismo con delle connotazioni particolari supportandola ovviamente con adeguata dotazione di attrezzature e servizi.

Si procederà a un’attenta valorizzazione della tradizione della pesca e della molluschicoltura  lagunare, in particolare nelle isole di Pellestrina e Burano con piattaforme per la logistica dei prodotti ;  certificazione di qualità e di origine dei prodotti delle Valli da Pesca  e delle aree di concessione della venericoltura della Laguna di Venezia  con fidelizzazione  dei  ristoranti  del Territorio  che somministrano  i prodotti  locali con certificato di tracciabilità.

 

MURANO

 

Rilancio del marchio “Vetro di Murano” con fiera internazionale del vetro “VENEZIA VETRO”

 

BURANO

 

Città del merletto e della qualità della vita, rilancio della pesca, della scuola del merletto e nuovi percorsi per un turismo ecosostenibile

 

MESTRE

Tutelare il commercio di vicinato con iniziative specifiche di rilancio e di supporto, Mestre capitale del terziario avanzato

 

VENEZIA

Sede europea per smart island (Isola intelligente)

 

PRO.V.I.VE

 

Il progetto di recupero verde delle isole veneziane è stato a suo tempo sviluppato e presentato al CVN nel quadro degli interventi previsti nella laguna dalla Legge speciale.

Procedere a un’approfondita analisi della situazione esistente in collaborazione con Regione Veneto-Veneto agricoltura –servizi forestali e programmare interventi per la riqualificazione del verde in molte isole oggi lasciate abbandonate garantirebbe un’altra opportunità di offerta naturalistica di grande appeal per una domanda turistica qualificata

 

LAVORI PUBBLICI E MOBILITA’

1)   Sulla base delle linee su indicate è necessario definire subito un piano per la riqualificazione del territorio di terraferma, centro storico e isole, dicendo Stop al degrado diffuso

2)   Stop ZTL a Mestre e T-RED

3)   Subito nuovi Park per rivitalizzare il centro di Mestre riducendo anche le tariffe strisce blu

4)   Avviare il tram solo nella tratta Venezia-Favaro-Marghera

5)    Stop ad altre  progettazioni e ove la gestione si dimostrasse disastrosa valutare la riconversione sulla base di altre esperienze europee

6)   Rilancio della stazione marittima

7)   Nuovo stadio: avviare il quadrante e relativa viabilità (ANAS/COMUNE) con la progettazione del nuovo stadio e sua rtealizzazione mediante accordo di programma pubblico-privato

8)   Legge speciale per Venezia

Costituire un tavolo di concertazione permanente con il governo per garantire la finanziabilità delle opre di risanamento e manutenzione ordinaria per Venezia e le isole

 

La presente Relazione assolutamente non esaustiva tende a rappresentare una serie di problemi che vanno affrontati e risolti coraggiosamente non certamente in termini di Vincoli di Norme e di condizionamenti e paure.

 

 

VENEZIA CAPITALE  E SEDE EUROPEA DELLA GREEN ECONOMY

 

Tale ambizioso traguardo potrà essere perseguito attraverso:

·      tutela e manutenzione qualitativa del nostro patrimonio verde;

·      garanzia per le risorse necessarie per la salvaguardia del Parco Albanese, San Giuliano, del bosco di Mestre e di tutti i parchi cittadini che vanno riattrezzati con aree famiglia e gioco bimbi;

·      recupero del litorale di San Pietro in Volta e Pellestrina con progetti ecosostenibili realizzati con i residenti dell’isola;

·      sostegno delle fonti energetiche rinnovabili sugli immobili comunali e su aree pubbliche

·      Promozione di  Venezia e Mestre a Capitale europea della raccolta differenziata

 

VENEZIA NO SMOKING CITY

 

Un progetto che intendiamo sostenere e sviluppare è quello da noi definito: “VENEZIA NO SMOKING CITY” per la qualità dell’ambiente e della vita-promuovere la mobilità nautica a energia elettrica.

 

Trattasi di un’autentica rivoluzione destinata ad assegnare alla nostra città un ruolo di eccellenza e di leadership a livello internazionale, assolutamente compatibile con la sua unicità urbana strutturale e funzionale.

 

Recenti ricerche sui fattori di rischio della salute dei cittadini hanno dimostrato che l’inquinamento acustico e da fumi della combustione dovuto al traffico aumentano il rischio di infarto e le acuzie delle patologie cardiopolmonari con conseguente aumento della spesa sanitaria valutabile per i Paesi della UE in miliardi di €.  La OMS  ha chiaramente denunciato il potenziale cancerogeno delle emissioni dei motori diesel e a Venezia le emissioni sono ad altezza d’uomo, anzi a pelo d’acqua !

I dati sulle caratteristiche dei sedimenti lagunari ed urbani dimostrano che gli IPA prevalenti sono benzopireni, segno dell’inquinamento da traffico motoristico che rende quindi molto difficile un recupero della qualità ambientale; il traffico motoristico sia pubblico che privato incide quindi in maniera decisiva su un degrado ambientale che ha anche dimostrabili  ripercussione sulla salute dei cittadini e dei turisti.

Le tecnologie di produzione dei sistemi fotovoltaici, di accumulo in batterie innovative e la motorizzazione per autoveicoli è matura e pronta per essere trasferita al comparto della nautica professionale e diportista: Venezia deve cogliere questa sfida e diventare il capofila progettuale ed industriale della trasformazione tecnologica della mobilità nelle Città d’Acqua e negli ecosistemi acquatici  protetti.

L’aumento del costo dei combustibili fossili, ineludibile in un quadro economico internazionale, ed i fondi messi a disposizione dalla UE per il programma EU 20-20-20 rende compatibile ed equilibrato dal punto di vista finanziario un programma  di  motorizzazione elettrica della nautica con zero emissione e zero rumore, incentivando quella privata con incentivi come per le automobili e finanziamenti per il trasporto pubblico.

 

ASPETTI ECONOMICI

 

Il costo unitario del kwh con combustibile fossile è superiore a quello elettrico soprattutto se quest’ultimo viene integrato da produzione con energia fotovoltaica.

Il costo di mezzi nautici a propulsione elettrica non è significativamente superiore ai mezzi tradizionali e con un costo di manutenzione decisamente inferiore, ma è necessario su questi aspetti una evoluzione culturale degli Enti Locali che debbono mettere in essere provvedimenti e procedure regolatorie che favoriscano le scelte imprenditoriali nel passaggio a mezzi elettrici, in una prima fase anche ibridi ( a propulsione mista ): indicare come obbiettivo per  Venezia che entro il 2020 la navigazione in Canal Grande sia permessa solo a mezzi a propulsione elettrica avrebbe un grande effetto di stimolo al rinnovamento anche della flotta pubblica ormai vecchia, rumorosa ed inquinante : COSTEREBBE LO 0,05 % DEL COSTO DEL MOSE

Queste azioni avrebbero anche un effetto positivo sulla cantieristica veneziana che metterebbe in moto un indotto tecnologico per quanto attiene tutte le tecnologie connesse rivolte alle produzioni di componenti per le quali il Veneto certamente ha già competenze e professionalità per sostenere un mercato non solo locale ma internazionale, poiché questo tipo di esigenze tecnologiche ed ambientali sono ormai globali.

 

 

 

 

 

 



[1] L’anno scorso i disoccupati che hanno presentato la cosiddetta Did (dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro) in un Centro per l’impiego della provincia di Venezia sono stati 13.683, dei quali il 48 per cento donne). In totale a fine 2013 i Did accumulati erano 30.241, il numero più alto degli ultimi sei anni e a dir poco allarmante per i problemi sociali che sottintende: dal 2008 al 2013 i disoccupati iscritti ai Cpi veneziani sono cresciuti del 62%, se poi compariamo il numero attuale dei disoccupati iscritti alle liste di chi cerca un lavoro e lo paragoniamo a quelli del 2005 (erano 14.542), scopriamo che sono più che raddoppiati. Anche i valori medi mensili del 2013 pari a 2.520 Did superano le medie mensili degli ultimi sei anni: la media mensile del 2012 è pari a 2.123, mentre negli anni precedenti erano, in ordine decrescente, 2.127, 2.079, 2.118 e 1.557.

La distribuzione dei Did e quindi dei disoccupati che non vogliono essere più tali, nella nostra provincia vede in testa il comune di Venezia-Mestre con il 32% (pari a 9.640 disoccupati in cerca di lavoro); il 22% a San Donà-Jesolo (6.642); il 14% a Portogruaro (4.270); il 12% a Mirano (3.709); l’ 11% a Dolo (3.302) ed il 9% (2.678) nel Cpi di Chioggia-Cavarzere.

I dati a disposizione dei Centri per l’impiego mostrano, inoltre, che il numero dei disoccupati per fasce d’età conferma che il numero maggiore di disoccupati è in piena età lavorativa ma non riesce a trovare un’occupazione. I did rilasciati dai Cpi della provincia di Venezia nel corso del 2013 erano così ripartiti: il 21% delle dichiarazione di immediata disponibilità ad un lavoro ha un’età inferiore ai 25 anni; il 51% è di età compresa tra 25 e 45 anni, mentre la fascia di disoccupati di età superiore a 45 anni raggiunge il 28%.

 

 


Donald Tusk eletto Presidente del PPE


"In nessuna circostanza possiamo dare" la gestione "della sicurezza e dell'ordine ai populisti politici, ai manipolatori e agli autocrati, che portano le persone a credere che la libertà non possa conciliarsi con la sicurezza", ha detto Tusk, dicendosi "profondamente convinto che solo coloro che vogliono e sono in grado di dare alle persone un senso di sicurezza e protezione, preservando le loro libertà e diritti, abbiano il mandato di candidarsi per il potere". Così ha parlato ieri al congresso del PPE a Zagabria , il polacco Donald Tusk, eletto con il 93 % dei voti alla presidenza del Partito Popolare Europeo. Sono parole chiare e condivise da tutti noi Democratici Cristiani italiani che ci rallegriamo per la sua elezione.

Venezia, 21 Novembre 2019


Venezia una città sospesa tra il mare e il cielo

 

Leo Longanesi  scriveva : “ Italia, Paese di inaugurazioni e non di manutenzioni”. Un aforisma che vale quasi sempre per l’Italia, che si tratti di frane, alluvioni o dissesti idrogeologici. Nel caso di Venezia poi, con riferimento al MOSE (Modello Sperimentale Elettromeccanico), é ancora peggio se, dopo molti anni dal suo avvio, non siamo ancora giunti all’inaugurazione, soprattutto a causa di una delle storie più infami di tangenti della storia della nostra Repubblica.

 

E’ incredibile come uomini pesantemente colpiti da quelle vicende, ancora alcuni giorni fa, si dichiarassero al di fuori di ogni responsabilità, dato che sarebbero ” tutte di competenza statale”. Atteggiamenti miserabili assunti da chi, per i loro comportamenti sono stati condannati dalla magistratura, al tempo della  Serenissima Repubblica di Venezia, sarebbero finiti appesi tra Marco e Todaro, le due statue che si ergono sulle colonne della riva di Piazza San Marco.

 

Quell’antica e gloriosa Repubblica è stata un’illuminata istituzione, che ebbe sempre al centro del suo governo, l’attenzione per la fragilità di un ecosistema unico al mondo; quello di una città sospesa tra il mare e il cielo, frutto dell’intelligenza e della operosa creatività umana, capace di curare insieme il delicato equilibrio tra le acque e la montagna, tra la difesa della laguna e il sistema dei boschi della Serenissima. Proprio a Venezia nacquero e si svilupparono gli studi e le discipline scientifiche dei sistemi idraulici e della selvicoltura, assegnati per la parte scientifica all’università di Padova e per la gestione operativa al Magistrato alle acque, la più alta autorità della Repubblica, dopo quella del Doge.

 

Dopo la disastrosa alluvione del 1966, fu Luigi  Zanda, primo eccellente Presidente del Consorzio Venezia Nuova che, nel 1986 m’invitò, nella mia veste di Presidente dell’ICRAM ( Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare) a visitare con una delegazione di tecnici, Leningrado, l’antica San Pietroburgo, una città che frequentemente era anch’essa sottoposta alle incursioni rovinose del fiume Neva, che proprio in quella città sfocia nel Mar Baltico.

 

Viste le imponenti opere in calce struzzo messe in atto dall’allora regime sovietico, si costatò l’improponibilità di un tale sistema per una città come Venezia, e subito dopo si avviarono gli studi scientifici e tecnici che portarono a individuare nel sistema MOSE, una delle possibili soluzioni al tema dell’acqua alta.  E’ stata questa, pur tra tante discussioni e vivaci confronti, la risposta che la politica tentò di dare secondo le indicazioni stabilite dalla legge speciale 798 del 1984, che mirava alla realizzazione dei piani di salvaguardia della Laguna di Venezia, per l’approvazione della quale lavorarono con particolare impegno, l’amico On Gianfranco Rocelli, deputato DC veneziano insieme ai colleghi Piergiovanni Malvestio (DC), Gianni Pellicani (PCI) e Gianni De Michelis (PSI) . Dal 1984 sono trascorsi 35 anni e col MOSE siamo fermi al 93 % della sua realizzazione (audizione alla Camera dello scorso anno, quella del 26 luglio 2018, dove l’ingegner Francesco Ossola, amministratore straordinario del Cnv, aveva dichiarato che “ad oggi, sono completate le opere per una percentuale del 93 per cento ed entro la fine dell’anno saranno depositate tutte le paratoie).

 

Come scrive l’amico prof Giuseppe Pace: “ già nell’ultimo secolo la Laguna e la sua funzionalità sono state profondamente modificate dall’azione umana, che ha contribuito, indirettamente, all’accentuazione del fenomeno. Le altezze di marea sono inoltre soggette a variazioni in rapporto a diversi fattori metereologici. In particolare le maree sono più elevate quando la pressione barometrica subisce un notevole abbassamento e/o in presenza di un forte vento di scirocco o di bora. Le più ampie escursioni di marea si verificano di norma nei periodo di novilunio e plenilunio (sizigie), nei periodi di primo ed ultimo quarto di luna (quadratura) è invece più difficile il verificarsi del fenomeno dell’acqua alta. In ogni caso, per essere informati bene si guardano le previsioni di marea nel sito ufficiale del Comune di Venezia. L’acqua alta è un fenomeno naturale frequente soprattutto nel periodo autunnale-primaverile, quando si combina con il vento di scirocco (vento di sudest, dalla Siria), che, spirando dal canale d’Otranto lungo tutta  la lunghezza del bacino marino, impediscono il regolare deflusso delle acque, o di bora, che ostacolano invece localmente il deflusso delle lagune e dei fiumi del litorale veneto”.

 

Si aggiunga che Venezia come altre città litorali è sottoposta ai due fenomeni dell’eustatismo ( innalzamento del livello del mare) e della subsidenza (progressivo seppur lento  abbassamento  della quota base della città)  che, sommandosi, insieme agli effetti disastrosi dei cambiamenti climatici, rendono drammaticamente incerta se non sicura la scomparsa a tempi “brevi” della città unica al mondo.

 

Allo stato dell’arte e per le conoscenze acquisite dal Consorzio Venezia Nuova, al netto dell’infame sistema delle tangenti che hanno infangato la sua immagine, conoscenze che costituiscono un patrimonio straordinario e per certi aspetti unico, per le scienze idrauliche, biologico marine  ed ecologiche a livello internazionale, vanno concluse le opere che ci permettano di collaudare e sperimentare in campo l’efficienza ed efficace del MOSE, mentre da parte di noi cattolici in primis, e di tutti gli uomini di buona volontà, una rilettura della “Laudato SI” di Papa Francesco, andrebbe fatta, al fine di assumere atteggiamenti e comportamenti personali e sociali, sino a quelli che attengono alle responsabilità politico istituzionali,  che siano rispettosi degli equilibri che la natura reclama.

 

Ettore Bonalberti

Già Presidente ICRAM

Venezia, 18 Novembre 2019

 

 

 

 

 

Giovedi 14 novembre 2019

VIA ALLA FEDERAZIONE POPOLARE DEI DEMOCRATICI CRISTIANI FIRMATO IERI L’ATTO COSTITUTIVO DEL NUOVO POLO DI CENTRO TRA TUTTI GLI EREDI DELLA DC

E’ stato firmato ieri a Roma l’atto costitutivo della FEDERAZIONE POPOLARE DEI DEMOCRATICI CRISTIANI. Per la prima volta i partiti, le associazioni e i movimenti che si ispirano al valore primario dell’umanesimo cristiano si uniscono in un comune progetto politico. Con l’obiettivo di dare vita ad un partito centrista che recuperi la cultura politica e l’identità che sono il presupposto della democrazia.

Il nuovo soggetto politico unitario punta a superare la diaspora e le divisioni che in questi lunghi anni hanno compromesso una presenza culturale e politica nel nostro Paese ed a costituire una vera alternativa all’estremismo di destra e al populismo che si impone per la mancanza di un riferimento valoriale forte come quello del popolarismo.

------------------
Presieduta dall’on Giuseppe GARGANI, l’assemblea ha approvato il documento con cui nasce la federazione di centro sottoscritto dagli on. Lorenzo CESA (UDC), Mario TASSONE (NCDU), Renato GRASSI (DC), Paola BINETTI (Etica e Democrazia), Ettore BONALBERTI (associazione liberi e forti) Maurizio Eufemi (Associazione Democratici Cristiani) unitamente a parlamentari, e 40 rappresentanti di associazioni, movimenti e gruppi dell’area cattolica, del volontariato e della famiglia.
La nuova
formazione si ispira ai valori dell’umanesimo cristiano e vuole inserirsi a pieno titolo nel PPE, in alternativa alla deriva nazionalista e populista.

Nel deserto delle culture politiche che caratterizzano la politica italiana, prende finalmente avvio un progetto di ricomposizione dell’area politica cattolica popolare, aperta alla più ampia collaborazione con le forze disponibili alla difesa e integrale attuazione della Costituzione repubblicana.

I firmatari del documento costituiscono il Comitato provvisorio della Federazione che è aperta all’adesione di movimenti, di associazioni, che si ispirano al popolarismo. Nei prossimi giorni verranno organizzate in tutta Italia iniziative regionali e locali per presentare l’iniziativa e strutturarla sul territorio, mentre i membri promotori lavorano ad un’ASSEMBLEA COSTITUENTE che approverà il programma, il nome, il simbolo e gli organi dirigenti della Federazione a conclusione delle adesioni nazionali e territoriali.

“Solo se saremo uniti saremo forti, solo se saremo forti saremo liberi“ (Alcide De Gasperi)



Al di là delle idiosincrasie democristiane  di alcuni ex DC

 

 

Con il drammatico sviluppo del  caso ILVA la situazione del governo Conti bis, già compromessa dal voto umbro e dalle fibrillazioni interne al M5S, diventa difficilmente sostenibile. Se, come alcuni osservatori ipotizzano, avvenisse la scissione del M5S si andrebbe alla crisi di governo e  a elezioni anticipate al massimo entro Giugno 2020.

 

In tal caso credo che difficilmente si troverà una maggioranza per il cambiamento della legge elettorale, per cui le elezioni si potrebbero/dovrebbero svolgere con le regole vigenti del rosatellum.  Niente proporzionale, dunque, come vorrebbe Matteo Renzi e vorremmo anche noi “ DC non pentiti”, ma  sistema maggioritario con quote limitate proporzionali  e i croupier maggiori PD e Lega a dare le carte.

 

Noi “DC non pentiti” siamo stati e siamo tuttora convinti che il sistema più opportuno per l’Italia sia quello proporzionale alla tedesca, con sbarramento al 4%, premio di maggioranza alla coalizione vincente e introduzione della “sfiducia costruttiva”, quale antidoto al trasformismo e alle transumanze parlamentari.

 

Sappiamo, però, che non è interesse né della Lega, né del PD, un simile sistema e che, le divisioni all’interno del M5S anche su questo campo, non permetteranno di far passare il proporzionale.

 

Sono partito da questa premessa sulla legge elettorale, dato  che dipenderà proprio da essa se e come evolveranno le forze politiche, specie quelle in corso di scomposizione e ricomposizione, come quelle dell’area politica cattolico popolare.

 

Sono due le formazioni in corso di unione in quest’area: quella che punta all’avvio di una Federazione di Centro, partendo dal superamento della diaspora ex DC e quella che taluno ha voluto definire “ il partito cattolico” che si sta riunendo attorno al manifesto Zamagni.

 

Alla vigilia di una competizione elettorale anticipata sempre più probabile, corriamo dunque il rischio di ritrovare ancora quest’area divisa da una contrapposizione fondata su una sorta di idiosincrasia anti DC, di alcuni dei componenti più radicali interni al movimento che si muove attorno  al manifesto Zamagni.

 

Tutto bene per un manifesto di valori assolutamente condivisibile anche da parte di noi “ DC non pentiti”, mentre costatiamo che, come accadde alla vigilia delle ultime elezioni europee, “amici”, come Ivo Tarolli e Giancarlo Infante, continuano nella loro contrapposizione a tutto ciò che si collega alla storia e alla tradizione politica democratico cristiana che pur di quella tradizione sono stati esponenti non secondari nella prima repubblica.

 

Un atteggiamento miope di amici che, come Tarolli, hanno ricevuto molto dalla DC  e che, da ondivago inquieto ha fatto molte esperienze dopo il trascorso democratico cristiano. Nel caso di Infante, accanto a lunga e brillante carriera giornalistica,pesa, invece, un’ assai poco brillante esperienza di collaboratore di un DC molto discusso come Pino Pizza. Che poi Luciano Dellai, intervenendo su “ Il Domani d’Italia” nel dibattito sulle posizioni del cardinale Ruini e di Zamagni, quest’ultimo elevato  al ruolo di cardinale laico di Santa Romana Chiesa, scriva:” Tutto si può dire di questo Manifesto e soprattutto di come è stato maldestramente interpretato nelle prime uscite mediatiche, con l’idea che esso segni già la costituzione di un Partito, frutto di convergenze vecchio stile di spezzoni consunti e nostalgici di antica classe dirigente: se così fosse non avrebbe futuro.”, sembra veramente il caso del “bue che dà del cornuto all’asino”. Ma come? Lorenzo Dellai, già esponente storico della DC trentina, ex sindaco DC di Trento, presidente dell’Amministrazione provinciale trentina, insieme a qualche nostro amico veronese, già ministro della Prima Repubblica, oggi sostenitore del manifesto Zamagni, sarebbero “ i virgulti del nuovo che avanza” rispetto a noi “spezzoni consunti e nostalgici di antica classe dirigente”? Temo piuttosto che siano proprio alcuni di loro  dei “vecchi che avanzano” alla ricerca della perduta verginità politica e, dunque, proprio loro, autentica espressione di “spezzoni consunti e nostalgici di antica classe dirigente ? Varrebbe, dunque, solo per noi come colpa, quello che per loro sarebbe stata un’ innocente infantile esperienza? Totò esclamerebbe senza indugi col suo gesto irriverente: “ ma mi faccia il piacere!!”.

 

Quel che è grave è  che si tenderebbe a contrabbandare questa falsa contrapposizione come quella tra i cattolici liberali e i cattolici democratici e cristiano sociali. Noi, invece, crediamo nella bontà della scelta della Federazione di centro e non troviamo motivi di contrapposizione rispetto agli obiettivi indicati dal manifesto Zamagni.. La Federazione del nuovo Centro  segna, infatti, il superamento della lunga diaspora democristiana e l’avvio di un’esperienza nuova di un centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano e della dottrina sociale della Chiesa, inserito a pieno titolo nel PPE ( o Dellai e amici del manifesto Zamagni pensano ad altre collocazioni europee?), alternativo sia alla deriva nazionalista e populista a guida salvinian-meloniana che alla sinistra comunista ( non è la stessa posizione politica del “partito cattolico” ?! ), aperto alla collaborazione con quanti intendono difendere e attuare integralmente la Costituzione repubblicana  dei padri fondatori ( o gli amici del “partito cattolico” pensano ad altro?).

 

Insomma, al di là, delle paturnie e idiosincrasie DC di qualcuno senza titoli per assegnare voti e formulare giudizi, temiamo che, continuando con quest’assurda ed equivoca divisione, non si faciliti il processo di ricomposizione dell’area politica  popolare, né sul versante dei cattolici democratici, né su quello dei cristiano sociali, con il rischio, diversamente misurabile secondo la legge elettorale che prevarrà, di impedire ancora una volta ai cattolici di area popolare, di uscire dall’irrilevanza in cui sono stati sin qui emarginati e, spesso, dalle loro stesse mani condannati. E non basterà la benedizione di qualche cardinale o vescovo, ancorché emerito, per porre freno a questo straordinario errore di prospettiva politica.

 

Se riuscissimo, finalmente, a superare divisioni, egoismi e velleitarismi anacronistici, credo sarebbe meglio per tutti. Da parte nostra, come esponenti  della Federazione di Centro, siamo disponibili per avviare con urgenza un’azione comune per ritrovare uno spazio politico e istituzionale degno della nostra migliore tradizione politico culturale.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF (www.alefpopolaritaliani.it)

Componente esecutivo provvisorio Federazione di Centro

Venezia, 5 Novembre 2019

 

VIA AL NUOVO POLO DI CENTRO.

SIGLATO A ROMA IL PRIMO PATTO FEDERATIVO TRA TUTTI GLI EREDI DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA

ROTONDI, BINETTI, GARGANI, TASSONE, GRASSI, BONALBERTI, CESA E FIORI ANIMANO IL COMITATO PROVVISORIO CHE LAVORA ALLA PRIMA ASSEMBLEA COSTITUENTE

DELLA FEDERAZIONE CHE SI ISPIRA AI VALORI DELL'UMANESIMO CRISTIANO.

 

 

 

Si è costituita ieri, mercoledì 30 ottobre a Roma presso il Centro studi Leonardo da Vinci la Federazione tra i partiti e i movimenti che si ispirano alla tradizionale popolare della DC: hanno aderito 25 organizzazioni che si sono dati come programma la preparazione di un nuovo soggetto politico unitario per superare la diaspora e le divisioni che in questi lunghi anni hanno compromesso una presenza culturale e politica nel nostro Paese.

 

I firmatari del documento come manifesto politico della federazione, sono consapevoli della particolare situazione politica che attraversa il paese e della presenza di una destra estrema, eversiva e xenofoba che si è sviluppata per la crisi che ha attraversato il centro e la sinistra.

Con l’incontro svoltosi si mette la parola fine alla diaspora democratico cristiana durata oltre venticinque anni.

 

Presieduta dall’on Giuseppe Gargani, l’assemblea ha approvato il documento con cui nasce la federazione di centro sottoscritto dagli on. Lorenzo Cesa (UDC), Mario Tassone (NCDU), Renato Grassi (DC), Gianfranco Rotondi (Forza Italia), Publio Fiori (Rinascita popolare), Paola Binetti (Etica e Democrazia), Ettore Bonalberti (associazione liberi e forti) unitamente a parlamentari, e 25 rappresentanti di associazioni, movimenti e gruppi dell’area cattolica, del volontariato e della famiglia.

La nuova formazione si ispira ai valori dell’umanesimo cristiano e vuole inserirsi a pieno titolo nel PPE, in alternativa alla deriva nazionalista e populista.

 

Nel deserto delle culture politiche che caratterizzano la politica italiana, prende finalmente avvio un progetto di ricomposizione dell’area politica cattolica popolare, aperta alla partecipazione di movimenti, che si ispirano al popolarismo  per la difesa della Costituzione.

 

I firmatari del documento costituiscono il Comitato provvisorio della Federazione. Nei prossimi giorni verranno organizzate in tutta Italia iniziative regionali e locali per presentare l’iniziativa e strutturarla sul territorio, mentre i membri promotori lavorano ad un’Assemblea costituente che approverà il programma, il nome, il simbolo e gli organi dirigenti della Federazione a conclusione delle adesioni nazionali e territoriali.

 

 “Solo se saremo uniti saremo forti, solo se saremo forti saremo liberi“ (Alcide De Gasperi)

 

La sottoscrizione del documento politico da parte dei rappresentanti dei partiti politici che si rifanno alla storia della DC costituisce un fatto importante per chi come noi, “ DC non pentiti”, hanno perseguito sin dal 1994 l’obiettivo della ricomposizione dell’area  politica dei cattolici democratici e dei cristiano sociali. Finisce il tempo della diaspora democratico cristiana e comincia quello della costruzione del nuovo centro della politica italiana. Un ringraziamento speciale agli attori protagonisti e, in particolare, all’amico Gargani che, come per il comitato per il NO al referendum del 1916-17, si è assunto l’onere di favorire tale ricomposizione.

Un grazie, infine, speciale, agli amici Antonino Giannone ( professore di etica e vice presidente ALEF)  e Giuseppe Rotunno ( Civiltà dell’amore) i quali, dopo le elezioni del 4 Marzo 2018 hanno avviato presso  i Missionari del Sacro Cuore a Roma, con un Work in Progress  l’esame della  grave situazione dei Cristiani in Politica ridotti alla subalternità e all’insignificanza..  Ora si apre un’altra pagina nella storia politica dei cattolici italiani, grazie alla ricomposizione dell’unità federativa di tutti gli ex DC impegnati nella costruzione del nuovo centro della politica italiana. Un centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, alternativo alla deriva nazionalista e populista e alla sinistra comunista. Un centro aperto alla collaborazione con quanti intendono difendere e attuare integralmente la Costituzione repubblicana dei padri fondatori, che resta con i principi della dottrina sociale cristiana, la stella polare del nostro programma politico.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 31 Ottobre 2019

 

 

 



Quella stupida italica regola aurea

 

In attesa di conoscere se e quanto reggerà l’attuale coalizione di governo  giallo rossa, l’unica certezza che abbiamo è il permanere di una suicida divisione delle diverse componenti di area politica cattolico popolare ed ex democratico cristiana, anche tra le quali sembra valere quella stupida italica  regola aurea  secondo cui: “ tutti vogliono coordinare e nessuno vuol essere coordinato”.

 

Molto dipenderà da come sarà risolta la questione della legge elettorale. Temo che la speranza renziana di una legge proporzionale sia un sogno che difficilmente troverà realizzazione. Anche noi “ DC non pentiti”, sin dal tempo dell’infausto referendum Segni, desidereremmo una legge proporzionale alla tedesca, con sbarramento al 4%, premio di maggioranza e introduzione della sfiducia costruttiva. Anche questa nostra spirazione, tuttavia, rischia di restare scritta nel libro dei sogni, atteso che, molto più realisticamente, le attuali forze predominanti parlamentari ( M5S, PD e Lega) sono molto più interessate o a conservare il rosatellum modificato, o, in alternativa, a  un maggioritario alla francese a doppio turno.

 

E’ evidente che in quest’ultimo caso, come in quello molto più improbabile di un sistema proporzionale alla tedesca, senza la costruzione di un forte centro di ispirazione popolare, le diverse componenti che a quest’area fanno riferimento sono destinate all’irrilevanza. Quella sin qui sperimentata, tanto da coloro che  decisero a suo tempo l’avventura della margherita prima e del PD poi, sia da coloro che, come gli ex DC senza titolo, hanno tentato la corsa solitaria alle recenti elezioni europee con esiti disastrosi. Vale, oggi come ieri, l’antico insegnamento di Carlo Donat Cattin, secondo cui: “ è sempre il cane che muove la coda” e molti di noi, per troppi anni, siamo stati ridotti al ruolo gregario della coda, sia quando il cane era il sogno liberale del Cavaliere o quello riformista del PD…..

 

Ciò che a me appare insopportabile é il trasformismo che, anche in questa nostra area si sta verificando, se sono vere le notizie che circolano in queste ore, secondo cui, ad esempio,  avversari storici irriducibili per orientamento politico come Lorenzo  Dellai e Ivo Tarolli, trentini ex DC, starebbero per siglare un patto politico sulla base del “manifesto” redatto dal prof Zamagni. Un testo ampio di principi e valori etico  politici del tutto cari anche a tutti noi “ DC non pentiti”. Una premessa, tuttavia,  da cui partire per costruire un organismo politico organizzativo attorno al quale condividere interessi e valori.

 

E’ diffusa una insopportabile idiosincrasia della DC che proprio Ivo Tarolli ebbe modo di manifestare slealmente alla vigilia delle ultime elezioni europee, quando insieme a Mario Mauro, accettò la discriminazione anche di un solo riferimento nella lista alla Democrazia Cristiana, finendo con il  correre in solitaria  con gli esiti da prefisso telefonico di quella sventurata e suicida corsa. Avendo concorso alla nascita del movimento Costruire Insieme ( quell’”Insieme” fu una mia proposta alla fine condivisa dagli amici Tarolli, Marini, Bonanni e soci, con riferimento alla nostra associazione “ Insieme”, nata ancora nel 2008 dei circoli di cui al sito: www.insiemeweb.net), quella discriminazione mi ha fatto particolarmente male.

 

Ancor più triste è costatare come amici della “Rete Bianca”, nati dopo la fallimentare esperienza all’interno del PD renziano prima e zingarettiano attuale, continuino a prefigurare pregiudizialmente una loro collocazione a sinistra, decidendo che in quell’area andrebbero bene gli amici di “Costruire Insieme” e di “Politica Insieme”, mantenendo, invece, una sorta di malcelata idiosincrasia per quegli amici, come noi della DC storica guidata da Renato Grassi e altri di partiti come il CDU, il NCDU, dissidenti di Forza Italia come Rotondi,  che sono impegnati nella costruzione della Federazione di Centro, secondo il documento già sottoscritto da numerosi responsabili di partito, associazioni, movimenti e gruppi dell’area cattolica e popolare.

 

All’amico D’Ubaldo, dopo la notizia del permanere anche da parte di  Rete Bianca della discriminante verso “ i DC non pentiti”,  ho avuto modo di evidenziare la nostra posizione con questa lettera: “ Caro Lucio, se hai letto le mie note ( le trovi tutte le nostro sito: www.alefpopolaritaliani.it) la mia posizione è molto chiara: prima ricostruiamo l’unità dell’area cattolico popolare ampia e plurale come ribaditoti nella precedente mail e poi apriamoci alle alleanze con chi condivide con noi il progetto di difesa e attuazione integrale della Costituzione repubblicana. Netta l’alternativa alla destra nazionalista e populista salvinian-meloniana e alla sinistra comunista. E’ evidente che la collaborazione non potrà che avvenire con le forze che insieme alla DC fecero la Costituzione, che resta il programma politico straordinario e ancora attualissimo tutto o in larghissima parte da realizzare.

E’ evidente che il PD rientra in quest’alleanza; assai più critica la posizione di Renzi e del suo nuovo partito (?!) atteso che Renzi è stato l’esecutore materiale degli ordini dei JP Morgan e degli altri hedge funds anglo caucasici/kazari che vollero il referendum della deforma costituzionale Renzi-Boschi. Noi con il comitato dei Popolari per il NO insieme all’ANPI. a molti PSI ed ex PCI e nel Veneto anche con la Lega di questa regione, abbiamo stravinto a sostegno del NO.

Ora Peppino Gargani, che proposi a presiedere il Comitato dei Popolari per il NO, proprio ieri ha annunciato l’avvio del Comitato dei Popolari per la difesa della democrazia rappresentativa e la prossima settimana nascerà la Federazione di Centro in base al documento che ti ho già spedito.

Questa è la situazione e mi pare, se ho capito ciò che Rete bianca ( nata dalla vostra uscita dal PD) intende fare, che sia del tutto compatibile con i vostri propositi. O mi sono sbagliato? Certo le nostre antiche esperienze, tu nella Base e io in Forze Nuove, ci dovrebbero facilitare il confronto e la collaborazione, ma, soprattutto, sono le condizioni storico politiche dell’Italia  che reclamano il ritorno in campo di un partito o di una federazione ispirata ai valori dell’umanesimo cristiano e della dottrina social cristiana.”

 

Come ha confermato Salvini nei giorni scorsi:“ Il centro destra è superato, nasce la coalizione degli italiani “ anche noi ne siamo ben consapevoli. E’ vero, non esiste più il centro destra a guida del Cavaliere con FI partecipe del PPE, ma una destra estrema egemonizzata da Salvini e dalla Meloni. Contro questa “coalizione degli italiani” serve l’altra Italia del centro democratico popolare e dei riformisti in difesa della Costituzione. Lo abbiamo scritto e proposto in ogni occasione e lo riconfermiamo: tutti coloro che hanno firmato il patto per la Federazione di Centro intendono costruire un centro politico democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, alternativo alla deriva nazionalista e populista a guida salvinian-meloniana e alla sinistra comunista. Un centro che assuma come suo programma la difesa e attuazione integrale della Costituzione, insieme a quanti condividono tale progetto.

 

Vogliamo prendere atto della realtà di queste posizioni e mettere insieme le nostre sin qui scarse forze o vogliamo continuare con i pregiudizi e le aprioristiche e suicide divisioni? C’è una vasta area sociale e politico culturale che non attende altro che l’unità di un nuovo centro, a misura di quanto indicato nel manifesto Zamagni e nel Patto per la Federazione i cui testi alleghiamo. O, invece, siamo così sciocchi e suicidi dal voler rispettare la stupida italica regola aurea  di cui sopra?  Penso che sarebbe bene incontrarci e decidere INSIEME come meglio procedere, atteso che, se non lo faremo noi autonomamente e quanto prima, saremo forse costretti a farlo poi, secondo ciò che ci imporrà la legge elettorale, ma, forse, a quel punto, sarà troppo tardi.

 

Ettore Bonalberti-Presidente ALEF

Venezia, 25 Ottobre 2019

 

 


 

Pubblichiamo il documento per l'avvio della Federazione di Centro

I sottoscritti

consapevoli della particolare situazione politica che attraversa il paese dopo la costituzione di un governo di emergenza tra due gruppi politici non omogenei il PD e cinque stelle e della esigenza di superare il “nazionalismo” e l’antieuropeismo che si erano affermati dopo le elezioni del 2018;

consapevoli che la scomposizione dell’ attuale assetto politico possa portare alla costituzione di nuovi soggetti politici capaci di superare le incertezze e le patologie che abbiamo patito in questi anni;

consapevoli che la novità in Italia e in altri paesi europei vi è la presenza di una destra eversiva e xenofoba che si è sviluppata per la crisi del centro e della sinistra;

consapevoli che per queste ragioni è urgente superare le attuali formazioni politiche che si richiamano alle posizioni di centro politico per una nuova aggregazione e quindi un nuovo soggetto politico

RITENGONO

che nel ricordo di un monito a tutti noto di Alcide De Gasperi “ solo se saremo uniti saremo forti, solo se saremo forti saremo liberi“, si debba con urgenza costruire un nuovo centro politico cristiano democratico, popolare, liberale e riformista, come il naturale argine alle posizioni radicaleggianti di sinistra e alle posizioni sovraniste e populiste, per affermare i valori democratici e liberali;

invitano tutti coloro che si riconoscono in questi principi e in questi valori ad aderire al costituendo “Polo di Centro” per dar vita con urgenza ad un patto federativo e per seguire una comune linea politica che sarà indicata dagli organi della federazione;

propongono che le associazioni e i partiti politici, che aderiscono alla federazione, possano conservare per intanto la loro attuale individualità giuridica e politica, restando vincolati dal comune impegno a rispettare le norme contenute nel patto federativo e da quelle che saranno approvate dai costituenti organi della Federazione;

propongono che le singole associazioni e singoli partiti politici siano rappresentati, all’interno della federazione, dai propri segretari politici e responsabili delle associazioni, o loro delegati, capaci di esprimere, in seno all’organismo comune, la volontà del proprio gruppo;

propongono in occasione della prima riunione del consiglio della federazione, che i singoli aderenti esprimano la loro proposta per la formazione di un simbolo unitario da adottare a maggioranza qualificata e da presentare alle prossime elezioni comunali regionali e nazionali nel quale tutti si possano riconoscere;

auspicano che venga approvata una legge elettorale proporzionale unica legge democratica, che chiuderebbe la lunga fase di transizione che ebbe inizio negli anni 90 con la legge cosiddetta “mattarellum”, e che oggi impone di ridare identità ai gruppi politici e protagonismo all’elettore.

Letto, condiviso e sottoscritto dal 24 /09/2019 al 15/10 /2019

Giuseppe Gargani (DC)
Filiberto Palumbo (ex comp. C.S.M.)
Mario Tassone (NCDU)
Lorenzo Cesa (UDC)
Antonino Giannone (Circoli Insieme)
Renato Grassi (DC)
Gianfranco Rotondi (FI)
Giuseppe Rotunno (Civiltà dell’Amore)
Ettore Bonalberti (ALEF – Associazione Liberi e Forti) Publio Fiori (Rinascita Popolare)
Maurizio Eufemi (Associazione Democratici Cristiani) Mauro Scanu (Iniziativa Cristiana) ........................................ ........................................

N.B.: il documento é aperto alla sottoscrizione di movimenti, associazioni, gruppi e singole persone che ne condividono il contenuto.

Il Manifesto Zamagni



PER LA COSTRUZIONE DI UN SOGGETTO POLITICO “ NUOVO” D’ISPIRAZIONE CRISTIANA E POPOLARE

 

 

      Preambolo

Quello che segue è un Manifesto, e non (ancora) un Programma Politico. Esso mira a definire l’orizzonte entro il quale il nuovo soggetto politico intende muoversi per giungere ad articolare le “ policies” e per chiarire il suo modo di agire.

 

1. La nostra è una stagione straordinaria

Le condizioni dell’Italia richiedono interventi straordinari, nei metodi e nei contenuti.

Le gravi difficoltà sociali, economiche e morali del nostro Paese, analoghe a quelle dei paesi del mondo occidentale, confermano quanto l’opzione riformista sia inadeguata, giacché il nostro tempo è connotato da fenomeni di portata epocale quali quelli della nuova globalizzazione, della quarta rivoluzione industriale, dell’aumento sistemico delle diseguaglianze sociali, degli straordinari flussi migratori, delle questioni ambientali e climatiche, della caduta di valori etici, nelle sfere sia del privato sia del pubblico. Le passioni ideali della solidarietà e della tensione civica sono sostituite da egoismi sociali e dall’individualismo libertario. Non basta allora “ri-formare”, occorre piuttosto “tras-formare”.

La Politica deve tornare a svolgere un ruolo fondamentale per la rigenerazione della vita pubblica, avanzando un nuovo modello di sviluppo inclusivo e solidale che, anche in riferimento alle prospettive indicate dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite con i suoi 17 obiettivi di sviluppo, sia in grado di sconfiggere le povertà e risolvere la complessa equazione che tiene insieme impresa, produzione, lavoro, consumi.

Il lavoro per tutti, da considerare quale primo obiettivo politico; il sistema produttivo da rilanciare, anzitutto nel Mezzogiorno; le Istituzioni, lo Stato e i partiti da riformare; la famiglia e la generazione e l’educazione dei figli da sostenere;  il sistema formativo e la Scuola da rianimare, all’interno di una più generale risposta alla grave condizione giovanile; lo sviluppo equilibrato e sostenibile e la lotta al degrado ambientale sollevano condivise attese, ma al tempo stesso, costituiscono motivi di  un intervento pubblico generoso.

Questi obiettivi trovano fondamento nel riconoscimento della Persona, della sua dignità in tutti gli stadi della vita, dal momento del concepimento fino alla sua conclusione naturale, e della famiglia che resta il primo insostituibile nucleo umano e sociale.

Le relazioni internazionali, soprattutto quelle dell’Europa e del Mediterraneo, cambiano e portano nuove trepidazioni per il mantenimento della Pace, messa a repentaglio dall’indebolimento degli organismi sovranazionali e dall’inaccettabile corsa agli armamenti.

Di fronte a tutti questi problemi, fortemente debilitato appare l’insieme del sistema politico ed istituzionale. Inevitabili le conseguenze sul funzionamento della cosa pubblica, centrale e locale, a partire dalla Giustizia e dall’apparato burocratico. Crescente è l’insoddisfazione da parte dei cittadini sempre più estraniati e distanti, persino dalle urne. Si deve rispondere a queste insoddisfazioni e ridare speranza alla nostra gente. Il centralismo statalista non nuoce solo alla società civile, ma anche al principio dell’autogoverno responsabile dei territori.

Riteniamo che oggi vi siano le condizioni per dare vita ad una nuova forza popolare aperta a credenti e a non credenti attorno ad un progetto politico di rinascita del Paese e dell’Europa. Tale progetto dovrà emergere ed essere precisato tramite il confronto democratico ed il dialogo tra tutte le persone e le forze che si ispirano ai medesimi principi qui sotto enunciati, superando le divisioni ed i personalismi del passato.

 

2. Necessità di ripartire da un “pensiero forte”

Ha scritto Montesquieu: “La corruzione dei governi comincia sempre dalla corruzione dei princìpi”. I princìpi sono indispensabili perché indicano la direzione verso cui andare per realizzare il “bene comune”, inteso come il bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo

Il nuovo soggetto politico contribuirà alla riscoperta di un “pensiero forte” nel riferimento ai principi della Costituzione, del Pensiero sociale della Chiesa e delle varie dichiarazioni sui Diritti dell’uomo.

Molti dei problemi italiani sono dovuti a un sistema bipolare che ha provocato divisioni e divaricazioni nella società, senza assicurare la governabilità, e ha reso più difficile il rapporto degli eletti con i loro elettori e con i territori di riferimento.

C’è dunque da definire un sistema elettorale sostanzialmente proporzionale – con le dovute soglie – capace di ridare viva voce e piena rappresentatività a tutti i settori vitali della società, valorizzando il ruolo del Parlamento e degli organi elettivi ad ogni livello, nel quadro di una forte affermazione della democrazia rappresentativa e partecipata.

Ci ispiriamo al modello di democrazia liberale basato su partecipazione, rappresentatività, equilibrio, volontà di inclusione, realismo, ragionevolezza e concretezza.

 

3. Gli interventi necessari

Ecco le nostre proposte:

3.1) Contrastare quelle forme della politica (populista o sovranista) che umiliano i corpi intermedi della società, privati della capacità di proposta e di indirizzo. Ciò implica il passaggio verso un modello di ordine sociale fondato su Stato, Mercato, Comunità, in cui i corpi intermedi siano valorizzati per le loro proprie specificità.

3.2) Favorire il recupero delle energie vitali della società civile, molte delle quali sono promosse e consolidate dall’esperienza cristiana. Somma di intelligenze, di organismi, di capacità e di punti di vista, devono essere coinvolte il più possibile nei processi di partecipazione da cui scaturiscono idee, progetti e risultati migliori. Deve essere valorizzata e sostenuta quella rete fatta di partecipazione generosa, spontanea e benefica che, parte del più generale volontariato civile, si occupa delle disuguaglianze, dell’aiuto agli ultimi, ma anche della dimensione spirituale e culturale per rispondere alla necessità di curare le relazioni di chi è solo e abbandonato, molto spesso nell’assoluto disinteresse o in sostituzione del pubblico intervento.

Ciò significa anche ripensare il ruolo e l’organizzazione dello Stato, in particolare per quanto riguarda la piena attuazione del Titolo V della Costituzione sul sistema delle Autonomie locali e un riconoscimento delle funzioni proprie del Comune, della Provincia o Città Metropolitana e della Regione.

La presenza dello Stato deve tornare ad essere finalmente orientata verso una funzione di garanzia e di servizio per il cittadino, le famiglie e le organizzazioni intermedie. E’ necessario, così, partire per prima cosa dal ripensare  la Pubblica amministrazione mettendola al servizio delle persone e della Legge, e non il contrario, e correggere tutte le distorsioni che impediscono al cittadino di uscire da una posizione di subalternità.

3.3) La famiglia – da considerarsi come una risorsa oltre che un bene in sé da tutelare – deve vedere riconosciuta la propria essenza e funzione, perché in essa prende forma la vita umana. In essa si articolano le più dirette relazioni interpersonali, si crescono e si formano i figli che un uomo e una donna decidono liberamente di concepire come atto di amore e di fiducia verso il loro futuro e quello dell’intera società. La famiglia è spesso l’ambito in cui si vive anche la conclusione della propria vita e ad essa ci si affida perché possa essere la più naturale e dignitosa possibile. La sollecitudine pubblica verso la famiglia deve diventare, allora, un insieme di impegni che riguardano la valorizzazione della Persona e della coesione sociale, oltre che portare un sostegno all’economia generale.

Nel “deserto” della natalità cui assistiamo, devono essere consentiti il diritto reale alla procreazione, il sostegno lungo l’intero processo educativo dei figli e la funzione di primo presidio di cura delle disabilità e dei tanti disagi fisici e di relazione affrontati, spesso, senza poter contare su aiuti sostanziali. Aiuti sostanziali che, nello spirito dell’art.1 della legge 194, dovrebbero servire a scoraggiare l’aborto e favorire il diritto alla maternità e alla paternità.

3.4) La crisi del sistema economico capitalistico e l’influsso della cosiddetta finanziarizzazione sollecitano a cogliere le trasformazioni in atto e a promuovere nuove politiche industriali, sostenendo i processi di innovazione ed internazionalizzazione in particolare delle PMI, dell’artigianato, dell’agricoltura, dell’agroalimentare e del turismo, e a dirigerci verso un’economia civile di mercato, disegnata dagli art. 41, 42 e 46 della nostra Costituzione, finalizzata alla prosperità inclusiva, cioè non solo a vantaggio di pochi. Solo la costruzione di società “generative” può consentire a ciascuno di raggiungere la propria realizzazione. In esse, infatti, non si umilia quanti sono in difficoltà con provvedimenti di paternalismo di Stato e/o di conservatorismo compassionevole. Si tratta, invece, di attuare politiche che tutelino, in modo congiunto, la persona, la società, la natura, come proclama con vigore la Laudato Sì.

Tutelare la natura significa avviare una transizione ecologica, tecnicamente e finanziariamente possibile, unica prospettiva di sviluppo e di competitività in grado di affermarsi in un’economia in via di ristrutturazione con la “circolarità” e la sostenibilità ambientale delle opere pubbliche, come quelle civili. Si osserva che la prima vera grande opera pubblica da realizzare è il mantenimento continuo di tutte quelle pubbliche.

Da aggiungere il grande potenziale di occasioni di lavoro, ancora non valorizzato appieno, rappresentato dall’immenso campo dei beni culturali.

3.5) La tutela della Persona e della società si concretizza anche nell’adozione di una politica volta alla piena occupazione, con misure volte alla riduzione del costo del lavoro, a favorire il nesso tra remunerazioni e produttività, a rilanciare un piano di investimenti per lo sviluppo dei settori strategici – in grado di assicurare e sostenere le condizioni per la ricchezza di senso della vita di ciascuno, e con il superamento delle attuali scandalose diseguaglianze sia sociali, sia territoriali tra Nord e Sud.

3.6) La riforma del welfare, da lasciare in ogni caso universalista, deve passare dal modello di welfare state al modello del “welfare di comunità”, grazie al quale è l’intera società, non solo lo Stato, a farsi carico del benessere di coloro che in essa vivono, con l’apporto degli enti pubblici, delle imprese e della società civile organizzata attorno alla famiglia. Si tratta dunque di dare ali al principio di sussidiarietà circolare (cfr. l’articolo 118 della Carta Costituzionale).

3.7) L’urgenza di avviare la rigenerazione del comparto Scuola – Università è sotto gli occhi di tutti. Non basta parlare di riqualificazione e/o di riforme di Scuola e Università. E’ l’impianto culturale che va mutato: Scuola e Università devono tornare ad essere luoghi di educazione morale e civica e non solamente di istruzione e/o formazione. Ce lo chiede lo stesso mondo del lavoro che dà oggi alle cosiddette “soft skills” (integrità morale, reputazione, capacità relazionali, di risoluzione dei problemi, resilienza, ecc.) un’importanza almeno pari, se non superiore a quella alle nozioni acquisite. L’obiettivo è quello di giungere ad un “patto educativo” per aprire orizzonti nuovi alla nostra società.

Una particolare attenzione deve essere portata alla libertà di educazione e all’insegnamento scolastico assicurato dalle scuole paritarie, ovviamente garantiti nel quadro nazionale fissato in materia dallo Stato. Anche il sistema educativo dev’essere completamente ripensato dando spazio e favorendo la partecipazione delle realtà sociali, tra queste preminente quella delle famiglie. Il “ patto educativo” di cui sopra deve partire dal coinvolgimento, più ampio di come sia stato assicurato formalmente finora, di quanti non debbono restare estranei alla formazione e alla crescita di bambini, ragazzi e giovani. Possono, invece, portare un contributo fondamentale per assicurare una “ unità d’intenti” necessaria a garantire un sostegno concreto e continuo ai processi formativi dei nostri figli.

3.8) La corruzione non è mai stata contrastata adeguatamente. Questo gravissimo fenomeno, favorito purtroppo da un diffuso mal costume di base, ripropone la presenza e il peso di organizzazioni malavitose da combattere con decisione. Così come deve essere contrastata la presenza di gruppi di pressione più o meno occulti in grado di condizionare la vita dei partiti, la gestione pubblica e, persino, la più generale amministrazione giudiziaria. Al fine di contrastare l’indebita pressione esercitate dalle “ lobbies” sulle procedure di assunzione delle decisioni pubbliche e perché queste siano assunte per il conseguimento dell’interesse generale, si darà corso ad una riforma dei regolamenti parlamentari volta ad invertire il ruolo delle istituzioni e degli interessi. Le istituzioni chiameranno nella sede della formazione delle decisioni gli interessi rappresentativi (senza appesantimento della speditezza delle decisioni). Si otterrà così il risultato dell’imputazione alle forze parlamentari della decisione assunta, sulla quale si potrà esercitare il controllo da parte del corpo elettorale. La corte Costituzionale eserciterà il suo sindacato sul rispetto della procedura di chiamata degli interessi rappresentativi nella sede di formazione della legge. Si porrà mano, finalmente ad una legge sulla rappresentanza dei corpi intermedi.

3.9) L’evasione e l’elusione fiscale hanno raggiunto oramai livelli insopportabili e limitano le possibilità di alleviare il grave peso gravante su imprese, famiglia e ceto medio e di investire in innovazione e formazione. Il carico fiscale deve basarsi su di un adeguato criterio di progressione in grado di garantire l’equità, come richiesto dalla totalità delle principali categorie economiche e sociali. In ogni caso, si deve costituzionalizzare il divieto di ricorso ad ogni tipo di condono, generatore principale della corruzione diffusa nel Paese.

3.10) Gli accordi commerciali e nelle regole della concorrenza, come in quelle degli appalti, devono andare oltre l’idolatria del prezzo minimo come unico criterio. La qualità di una regola economica è riconosciuta, infatti, non solo per la sua capacità di aumentare il benessere del consumatore, ma anche nel promuovere la dignità del lavoro, la tutela della salute, la salvaguardia dell’ambiente.

3.11) L’impegno per una politica estera pro-Europa deve essere volto ad una modifica di non pochi dei punti qualificanti i Trattati, quali l’inserimento della piena occupazione tra gli obiettivi della BCE, il rafforzamento degli strumenti per far fronte agli squilibri intra-Unione, l’allargamento dei poteri decisionali e di controllo del Parlamento Europeo in materia di politica economica e fiscale e di PESC). Si tratta, infatti, di realizzare condizioni effettive di equità tra tutti i paesi e i popoli dell’Unione. Pensiamo all’Europa come avrebbe dovuto essere: libera, aperta, lungimirante, coraggiosa e coesa. Un’Europa dei valori e dei diritti, nella quale è fondamentale essere più presenti, più credibili e più autorevoli. L’Europa deve avere il coraggio di avviare anche politiche comuni ed unitarie in materia fiscale e della difesa. Deve altresì farsi carico del macro fenomeno delle immigrazioni in maniera continua e strategica, anche riprendendo e rafforzando quelle politiche di cooperazione allo sviluppo nelle aree dei paesi emergenti abbandonate nei decenni scorsi. Non possono essere i singoli paesi europei, o gli scontri tra i paesi, a risolvere un problema tanto enorme. La doverosa accoglienza deve tenere conto delle possibilità dello stato di arrivo, deve essere partecipata da tutte le nazione europee e seguita da idonee politiche d’integrazione, assicurando il coinvolgimento dell’intera Europa.

 

3.12) A livello globale, la nuova forza politica dovrà agire per costruire autentiche istituzioni di pace e rivedere gli Statuti delle grandi istituzioni internazionali alla luce del principio del governo dei molti e sulla base del concetto che è “lo sviluppo il nuovo nome della pace”, nella luce di un universalismo affrancato dagli egoismi dei più forti e diretto a raggiungere un progressivo disarmo di tutti gli armamenti, a partire da quelli nucleari. In questo senso riteniamo che: la tratta degli esseri umani debba essere dichiarata crimine contro l’umanità; debba essere rinegoziato l’accordo TRIPS il quale sta determinando una concentrazione della conoscenza, come mai visto nel passato,  causa prima della concentrazione di redditi e di ricchezza; sia necessario operare affinché la scienza e la tecnologia, oltre ad essere sempre più condivise, siano sempre più finalizzate alla crescita di tutti gli esseri umani; occorre dichiarare illegali i contratti di “land grabbing”  (accaparramento delle terre), vera e propria pratica di neocolonialismo. 

 

3.13) Questo progetto “neoumanista” d’ispirazione cristiana deve accogliere la dimensione della trascendenza, orizzontale e verticale. Si tratta, nella stagione attuale di accelerata digitalizzazione, di rispondere alla grande sfida di natura antropologica ed etica rappresentata dalla tesi del superamento della dimensione umana. Si promette di giungere alla creazione di “macchine” dotate, oltre che di intelligenza artificiale, anche di coscienza artificiale. Per quanto si apprezza e si sostiene il progresso scientifico e tecnologico e l’avanzamento dell’high-tech, non si può abdicare alla piena umanità dell’uomo, al rispetto della Persona, del suo ruolo e della sua funzione nella società. Il progresso scientifico e tecnologico non può sostituire l’orizzonte della trascendenza ed essere concepito in alternativa alle le esigenze di una crescita culturale ed intellettuale d’impronta umanistica, oltre che alla complessità di sentimenti e di sensibilità destinate a dare un senso alla vita di tutte le donne e di tutti gli uomini.  

 

4. Estendere le libertà, rafforzare la democrazia, promuovere la solidarità

Con la concordia anche le piccole cose crescono. Riteniamo che il nostro bene e la nostra felicità dipendano non solo dai beni di giustizia, ma pure da quelli di “gratuità”. La grande scarsità di cui oggi soffre la nostra società è proprio quella di questo tipo di beni, assieme a quelli di partecipazione e coinvolgimento sulla base dello spirito di servizio e del disinteresse personale.

La politica rinuncia al proprio ruolo primario, quello di perseguire il bene comune della famiglia umana e scade al livello dello sterile calcolo di interessi contrapposti, se non prende atto di quella scarsità e non provvede a porvi rimedi.

Sovranismi e populismi sono risposte alla paura, non ai problemi che, anzi, alla fine, per esperienza storica, degradano in conflitti armati.

Per questo, siamo aperti a chi desidera estendere le libertà e rafforzare la democrazia e intende ritrovarsi attorno ai principi morali e solidali su cui si basa ogni convivenza civile e si salvaguardano la dignità della Persona, il ruolo della Famiglia, la Giustizia sociale.

Vogliamo, Insieme, portare una voce nuova nella politica italiana ed europea ricercando il massimo della convergenza e della condivisione intorno a progetti realmente in grado di rispondere alle necessità ed alle attese del mondo di oggi.



Forum aperto sulla ricomposizione politica dell'area cattolico popolare


Con il convegno di Avellino ( Lunedì 14 settembre scorso) promosso dal comitato per le celebrazioni di Fiorentino Sullo e dalla Fondazione Sullo, si è compiuto un passo significativo nel processo di ricomposizione dell’area cattolico popolare e degli ex DC.

Ad Avellino erano presenti i massimi dirigenti della  DC irpina e l’incontro è stato onorato dalla partecipazione del presidente del Consiglio, Prof Giuseppe Conte, il quale ha tenuto una lectio magistralis sul ruolo politico dei cattolici nella Costituente e nella politica italiana.

Su quella lectio è intervenuto con un approfondito saggio (“ Il Nuovo Umanesimo di Giuseppe Conte”)  l’amico Prof Antonino Giannone che è stato da noi editato sul nostri sito: www.alefpopolaritaliani.it

Ieri sulle colonne de  “ Il Domani d’Italia”, è intervenuto sul convegno di Avellino, l’amico Giorgio Merlo, dell’associazione “ Rete Bianca”, con l’articolo ( " Conte e la DC") editato da " Il Domani d'Italia", che pubblichiamo.

Si apre così un forum del nostro sito nel quale invitiamo a  intervenire  quanti sono interessati al progetto di ricomposizione politica dell’area cattolico popolare.

 

Conte e la Dc.


di Giorgio Merlo



La visita del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ad Avellino per commemorare e celebrare il centenario di un grande meridionalista democristiano come Fiorentino Sullo, ha avuto tre grandi meriti. Innanzitutto un riconoscimento pubblico ed autorevole – affatto non scontato – del ruolo storico e politico della Democrazia Cristiana. Un partito che ha avuto una responsabilità di governo per quasi cinquant’anni nella vita pubblica del nostro paese e che ha saputo, in quell’arco di tempo, conservare la democrazia, garantire lo sviluppo e accompagnare la crescita italiana. Un ruolo politico, culturale e sociale che, come tutti sanno, e’ stato pesantemente contestato e anche platealmente criminalizzato per molti anni da ampi settori della stampa italiana e da uno stuolo di intellettuali, commentatori e opinionisti che hanno individuato per molti lustri nella Dc la ragione e la causa di tutti i mali della politica italiana.

In secondo luogo, al di là dell’inevitabile colore e goliardia di molti commenti giornalistici, l’intervento di Conte – soprattutto di fronte ad alcuni leader storici della Democrazia Cristiana, a cominciare dal Presidente Ciriaco De Mita – ha fatto emergere, per l’ennesima volta e per chi non lo sapesse ancora, che la Dc era un grande partito anche perché era espressione di una precisa e determinata cultura politica. Del resto, il cattolicesimo democratico, il cattolicesimo sociale e il cattolicesimo popolare non possono essere scambiati come semplici pillole propagandistiche disancorate dalla realtà. La Dc aveva un progetto politico, aveva un progetto di governo, aveva una visione di futuro perché possedeva una cultura di riferimento. Rinnegarla sarebbe semplicemente una miopia politica e una falsità storica. E il riconoscimento ad un leader come Sullo – come quest’anno si è fatto per lo statista piemontese Carlo Donat-Cattin nel centenario della nascita – e’ la conferma che quella cultura ha prodotto un fatto storico. Continuare a nasconderla o a sottovalutarla sarebbe semplicemente un falso storico e politico. In terzo luogo la presenza di Conte ad Avellino ha evidenziato, per chi se ne fosse dimenticato, che la Democrazia Cristiana aveva una qualificata, preparata ed autorevole classe dirigente. A livello nazionale ma anche, e soprattutto, a livello locale. Una classe dirigente che ancora oggi, dopo essere stata contestata, ridicolizzata e dileggiata per molti anni dopo tangentopoli e la fine di quella grande esperienza politica, continua a suscitare attenzione ed interesse per la qualità che sprigionava e per la capacità, nella coerenza dei comportamenti, di indicare la rotta e la bussola da perseguire per il bene dell’intero paese.

Ecco, la visita e l’intervento di Conte ad Avellino hanno confermato questi tre aspetti. E di questo gli va dato atto. Dopodiché, e’ persino scontato sottolineare che non basta una celebrazione del passato per innescare un processo politico del futuro. Soprattutto in una fase politica dominata dal trasformismo  e dalla prassi trasformistica. Dove le alleanze sono il frutto di convenienze giornaliere, dove le appartenenze politiche vengono sacrificate nell’arco di poche settimane per la conservazione del potere e dove, soprattutto, le culture politiche semplicemente non esistono più perché domina il pressapochismo, la superficialità e la leggerezza della classe dirigente.

Insomma, la presenza dei cattolici democratici e popolari continua ad essere indispensabile e necessaria per il nostro paese. Con altre culture e altre esperienze politiche, com’è ovvio. Ma la presenza politica, culturale e programmatica di questo filone ideale non può essere semplicisticamente riproposto attraverso il richiamo della nostalgia o con una piroetta trasformistica. E questo per rispetto della Dc, del suo ruolo politico, della sua cultura politica e della sua autorevole ed irripetibile classe dirigente. Come, appunto, ha detto il Premier ad Avellino.

 

 


Il Nuovo Umanesimo di Giuseppe Conte

 

 

Nel 100^ Anniversario di Fiorentino Sullo, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte spiega l’importanza vitale del cattolicesimo democratico e la sua attualità nella fase politica italiana e lo definisce “Nuovo Umanesimo”. 

 

Ad Avellino nel teatro Gesualdo, davanti a una platea formata da Rappresentanti delle Istituzioni: Sindaco, Presidenti Provincia e Regione; dalla maggior parte dei Sindaci dell’Irpinia; dagli Ex Parlamentari della Democrazia Cristiana che si sono dispersi in tanti anni tra Partiti di Centro Destra e di Centro Sinistra, uniti dopo 25 anni;

dai Vescovi di Avellino e Sant Angelo  dei Lombardi; da autorità civili e militari; da imprenditori e manager di livello nazionale; da centinaia di Studenti delle scuole dove studio’ Fiorentino Sullo, si e’ tenuta la celebrazione del 100^ anniversario della nascita dell’ex Ministro irpino.

 

Sulla figura di Sullo ha parlato Gerardo Bianco, Presidente del Comitato Promotore del centenario della nascita di Sullo, che ne ha esaltato le qualità morali e politiche, nonché la concretezza nel porre al centro la questione del Mezzogiorno per lo sviluppo dell’intero Paese. 

 

Ha poi parlato Gianfranco Rotondi Presidente della Fondazione Sullo, che cambia il suo nome in Fondazione DC, che ha organizzato nei minimi particolari l’evento con grande partecipazione popolare. 

 

Rotondi ha ricordato aneddoti di Sullo: quando dimostrava di essere lo studente con il “dito alzato” grazie alla sua vivacità intellettuale; il suo grande coraggio: quando faceva propaganda per la Democrazia Cristiana, rischiando la propria incolumità con i fascisti del tempo; quando poneva il Mezzogiorno al centro di ogni ipotesi di sviluppo dell’Italia; quando incoraggiava i giovani a servire la politica. 

 

E’ quindi intervenuto il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte con una Lezione per giovani e meno giovani:

“Il ruolo dei Cattolici e dei democristiani nell’Assemblea Costituente”. Conte ha fatto un’analisi del cattolicesimo democratico, decisivo nella fase dell’Assemblea Costituente e nella formulazione dei programmi politici della Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi. Ha citato La Pira con il fine dello Stato; ha parlato del personalismo di Mounier in grado di Riconoscere- Garantire - Promuovere. I diritti della persona: si e’ soffermato sui concetti dell’uomo Integrale. Conte condivide con il personalismo che lo Stato non è il tutto, ma che è l’uomo al vertice e lo Stato al servizio dell’uomo. Di conseguenza il Presidente ha respinto l’idea della cultura orientata a misurare la persona in relazione alla sua produttività e il dominio del neoliberismo sull’uomo e sulla politica. 

L’uomo non è fatto di aspirazione soltanto economica. Massima attenzione alla sopraffazione della Tecnica sull’uomo; della globalizzazione e della info telematica. 

Per riuscire in questi obiettivi, Conte ha sostenuto che serve ricorrere agli insegnamenti delle Encicliche: Rerum Novarum, Quadrigesimus annum, Evangelii Gaudium che ha definito “la Rerum Novarum del XXI secolo”. Conte ha infine citato Aldo Moro e la sua idea della socialità progressiva, e ha lodato la grande intuizione della Democrazia Cristiana di tutelare le classi intermedie, unitamente alla Famiglia, la Scuola e il Lavoro che vanno messi al centro del programma politico, citando gli Art. 1 e Art. 2 e Art.4 della Costituzione. Oggi secondo Conte per rafforzare il recupero dei cittadini alla costruzione della Polis bisogna riproporre la Visione e Concezione dei cattolici costituendi del 1948. “Nella Costituzione tutti i cittadini dovevano sentirsi rappresentati perché la Costituzione è l’anima della polis, custode della vita e ad essa hanno contribuito in modo altamente significativo i costituendi cattolici”.

Ha richiamato così l’importanza del “Codice di Camaldoli” degli intellettuali cattolici; “Le Idee costruttive” (luglio 43) e “La parola ai democratici Cristiani” (dic 43) di A. De Gasperi, unitamente al suo discorso su “Le basi morali della democrazia” tenuto nel 1948 alla Conferenza di Parigi. 

Accanto al valore della laicità espresso da De Gasperi, si affianca il valore promozionale dell’aspetto religioso

 

In questa direzione Conte ha chiarito il convincimento che il Cristiano nel guardare alla Missione di Cristo nella storia deve manifestare la sua piena laicità che dovrebbe ispirare la politica italiana per i prossimi anni. 

Una bella lezione di storia e di etica politica che e’ servita ai giovani e ai numerosi presenti, ma anche a Conte per chiarire, con questo suo intervento, a differenza che in passato, il significato che lui attribuisce al Nuovo Umanesimo, cioè quello di un cattolicesimo democratico adattato nell’era digitale e nella società della globalizzazione perché pone l’uomo al centro con la sua dignità, senza sottrarsi a guardare a Dio. Dunque Conte ha ampiamente risposto alle accuse di Padre Livio e di tanti critici che hanno confuso il Nuovo Umanesimo di Conte con quello del filosofo Edgar Morin che teorizza nella società globale l’Uomo= Dio = Ragione con la definitiva cancellazione del Cristianesimo. 

 

Alla luce di questi riferimenti, Conte ha dunque affermato che politicamente e’ di grande attualità il cattolicesimo democratico anche per affrontare i problemi emergenti del XXI^ secolo: Crisi ambientale, sopraffazione dei popoli più deboli con guerra e distruzioni. Ma cosa resta di questa cultura politica dei cattolici? 

Il Cristianesimo non ammette fughe dalle responsabilità. Dunque il Nuovo Umanesimo ha come nutrimento i valori cattolici perché possa vivificare e soddisfare i bisogni dell’era digitale 

 

“Serve, quindi ai cattolici un sussulto di responsabilità per partecipare alla costruzione della Polis nella società italiana e nella casa comune europea. 

Non sappiamo se servirà un’unità politica o una più rinnovata democrazia dei Cristiani” 

Noi ci sentiamo di concludere che serva una nuova DC per riportare un nuovo umanesimo con la persona al centro senza subire il regresso e la decadenza morale di questi ultimi 25 anni. Conte ha quindi concluso che 

i cattolici sono chiamati a registrare l’attualità dei valori politici declinati da Don Luigi Sturzo con l’Appello ai Liberi e Forti. 

 

Antonino Giannone


 

Prof. Leadership ed Etica - Fellow of ICE Lab Politecnico di Torino

V.Presidente ALEF

 

 


Il de profundis dei sabotatori seriali

 

Guardando il video dell’assemblea di una dozzina di amici DC, illegittimamente convocata dal prof Luciani, Sabato scorso a Roma, , trova conferma l’infausta previsione secondo cui la storia di questi sette anni ( Novembre 2012, data della celebrazione del XIX Congresso nazionale della DC) da tragica si sarebbe conclusa in una  tragicomica farsa finale.

 

Lasciamo a questi amici, già deferiti ai probiviri del partito guidato da Renato Grassi (unica legittima espressione di ciò che rimane della DC storica) il compito di seppellire le loro ultime frustrazioni, mentre continuiamo a sostenere ogni azione positiva verso la ricomposizione dell’area cattolico democratica e cristiano sociale.

 

Sono stato tra i promotori nel 2011, con gli amici: Publio Fiori, Silvio Lega, Sergio Bindi, Calogero Mannino, Paolo Cirino Pomicino, Ugo Grippo, Clelio Darida, Ombretta Fumagalli Carulli e alcuni altri, dell’autoconvocazione del vecchio ultimo consiglio nazionale della DC, con il quale riaprimmo il tesseramento al partito, sulla base del quale il tribunale di Roma ha riconosciuto la legittima continuità storica del partito, e, successivamente,  celebrammo il XX Congresso nazionale (Novembre 2012) con l’elezione di Gianni Fontana alla segretaria nazionale.

 

Fummo immediatamente stoppati dall’azione dei sabotatori, interessati sopra tutto ai temi del patrimonio immobiliare ex DC e abbiamo dovuto combattere sette anni di sofferenze e di lotte continue che, Sabato scorso, hanno vissuto il momento delle comiche finali, con l’annuncio della prossima imminente elezione di un “anti-papa”, del tutto fuori da ogni legittimità politica e statutaria.

 

Miserie di una povera classe dirigente ispirata più dalla frustrazione, che dalla razionalità  politica.  Con queste miserabili azioni e il triste spettacolo offerto sabato scorso,  i sabotatori seriali segnano il loro tragico de profundis politico culturale. Di fatto si sono posti al di fuori della DC, legittimamente riconosciuta dal  tribunale di Roma, i cui organi sono stati eletti nel congresso del 14 Ottobre 2018.

 

Prioritario adesso é dare avvio alla federazione dei DC e Popolari italiani su cui stanno lavorando seriamente gli amici Gargani, Grassi, Cesa, Tassone, Rotondi, con il sottoscritto e con gli amici Eufemi,  Fiori, Rotunno e Giannone. Questi ultimi due, nei prossimi giorni, verificheranno le adesioni di diversi gruppi, movimenti e associazioni dell’area politica cattolica interessati/bili al progetto.

 

Un’iniziativa particolarmente importante è quella assunta dalla “Fondazione Sullo”, oggi “Fondazione DC”, guidata da Gianfranco Rotondi ( “ il miglior fico del bigoncio”, direbbe il compianto Francesco Cossiga), di dar vita a un comitato tecnico scientifico presieduto dall’amico Prof Antonino Giannone, vice presidente ALEF ( Associazione dei Liberi e Forti-www.alefpopolaritaliani.it), che si dedicherà alla formazione della nuova classe dirigente. Un comitato che già vede l’adesione di qualificati esponenti del mondo accademico, scientifico e della società civile.

 

Ci sono altri amici, già democratici cristiani, i quali, usciti dal PD e ritrovatisi nell’associazione “Rete bianca”, stanno tentando di organizzarsi con alcuni gruppi, che sembrano, almeno sin qui, più preoccupati di apparire distinti e distanti dalla storia della DC, assertori di una purezza tutta da dimostrare, rispetto alla quale nutriamo sempre quella giusta prudenza mista allo scetticismo, così presente a Pietro Nenni che sui “duri e puri” formulò una lapidaria sentenza :“A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro... che ti epura.

 

Tra questi, ahimè, ci sono amici che ebbero quasi tutto dalla DC, ma che nelle recenti elezioni europee hanno finito con il vergognarsi del loro stesso passato, sino a porre il veto su una lista unitaria che avesse anche solo il riferimento allo scudo crociato.

 

Sono “ i duri e puri” che sostengono l’idea di un “vino nuovo in otri nuovi”. Bellissima proposta, salvo che, esaminando i curricula di alcuni dei protagonisti scopriamo: quanto agli otri, trattarsi di consumati amici ex DC  ora pentiti, in cerca di un salvifico rilancio, insieme a pseudo giovani rancorosi, alcuni dei quali hanno girovagato, nel ventennio della diaspora DC, di orto in orto senza trovare ristoro. Quanto al vino, infine e per la verità, non abbiamo ancora potuto conoscere e  gustare le novità d’annata.

 

Non disperiamo, tuttavia,  che anche questi amici finiranno con il ravvedersi e, di fronte alla situazione reale della politica nazionale, aderiranno al progetto di nuovo centro che la Federazione dei DC e Popolari intende concorrere a promuovere. Molto dipenderà da come  terminerà la difficile partita della legge elettorale, che influirà largamente sull’evolversi della politica italiana.

 

Quello che noi perseguiamo, in ogni caso, è l’idea di un centro ampio, plurale, che da tempo connotiamo come: democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, alternativo alla deriva nazionalista salvin-meloniana e alla sinistra comunista. Un centro aperto alla collaborazione con tutte le forze disponibili all’impegno per la difesa e la realizzazione integrale della Costituzione.

 

Un passo importante in tale direzione è l’annuncio dato dall’amico Peppino Gargani  secondo cui, Mercoledì prossimo, “il Comitato dei popolari per il NO”, da lui presieduto, con cui conducemmo la nostra battaglia contro la deforma costituzionale renziana, tramuterà la sua ragione sociale nel: “Comitato per la difesa della democrazia rappresentativa”. Di lì si ripartirà con la richiesta, mi auguro, di una proposta di legge di iniziativa popolare per l’attuazione concreta dell’art 49 della Costituzione sulla democrazia dei e nei partiti, premessa indispensabile per una reale democrazia rappresentativa nel nostro Paese.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 14 Ottobre 2019

 

 

 

Avvio della Federazione dei DC e Popolari italiani

 

Con l’On Giuseppe Gargani, Renato Grassi, Mario Tassone, Lorenzo Cesa e Gianfranco Rotondi, abbiamo condiviso e sottoscritto  l’allegato documento con il quale intendiamo costruire la Federazione dei DC e Popolari italiani. Gli amici Antonino Giannone (Vice .presidente ALEF)  e Giuseppe Rotunno ( segretario nazionale dell’associazione Civiltà dell’amore: www.civiltadellamore.org ), stanno promuovendo e raccogliendo le adesioni di numerose associazioni e movimenti dell’area cattolico popolare.

Trattasi di un passo importante per la ricomposizione di quest’area politica, al quale anche ALEF (www.alefpopolaritaliani.it) ha confermato la propria adesione,   e per  la costruzione di un nuovo centro della politica italiana. Un centro democratico, popolare, liberale e riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, alternativo al nazionalismo populista salviniano e della destra estrema, come della sinistra radicale. Un centro aperto alla collaborazione con le culture politiche che intendono difendere e attuare integralmente la Costituzione, in linea con quanto abbiamo sostenuto nel 2016, con il comitato dei Popolari per il NO alla deforma costituzionale renziana.

Sarei lieto se anche tu, condividendo il documento allegato, potessi aderire alla nostra iniziativa  concorrendo a dar vita nella tua realtà territoriale a una presenza operativa della costituenda Federazione.

Se conosci altri amici responsabili di gruppi, movimenti e associazioni interessati/bili al progetto, saremmo lieti se tu potessi renderli informati e  partecipi di questo progetto.

In attesa di una tua cortese risposta, ti saluto cordialmente.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF

Direzione nazionale

 

Venezia, 8 Ottobre 2019

Testo del documeno di adesione:

I sottoscritti

consapevoli della particolare situazione politica che attraversa il paese dopo la costituzione di un governo di emergenza tra due gruppi politici non omogenei il PD e cinque stelle e della esigenza di superare il “nazionalismo” e l’antieuropeismo che si erano affermati dopo le elezioni del 2018;

 consapevoli che la scomposizione dell’ attuale assetto politico possa portare alla costituzione di nuovi soggetti politici capaci di superare le incertezze e le patologie che abbiamo patito in questi anni;

consapevoli che la novità in Italia e in altri paesi europei vi è la presenza di una destra eversiva e xenofoba che si è sviluppata per la crisi del centro e della sinistra;

 consapevoli che per queste ragioni è urgente superare le attuali formazioni politiche che si richiamano alle posizioni di centro politico per una nuova aggregazione e quindi un nuovo soggetto politico

RITENGONO

che nel ricordo di un monito a tutti noto di Alcide De Gasperi “ solo se saremo uniti saremo forti, solo se saremo forti saremo liberi“, si debba con urgenza costruire un nuovo centro politico cristiano democratico, popolare, liberale e riformista, come il naturale argine alle posizioni radicaleggianti di sinistra e alle posizioni sovraniste e populiste, per affermare i valori democratici e liberali;

invitano tutti coloro che si riconoscono in questi principi e in questi valori ad aderire al costituendo “Polo di Centro” per dar vita con urgenza ad un patto federativo e per seguire una comune linea politica che sarà indicata dagli organi della federazione;

propongono che le associazioni e i partiti politici, che aderiscono alla federazione, possano conservare per intanto la loro attuale individualità giuridica e politica, restando vincolati dal comune impegno a rispettare le norme contenute nel patto federativo e da quelle che saranno approvate dai costituenti organi della Federazione;

propongono che le singole associazioni e singoli partiti politici siano rappresentati, all’interno della federazione, dai propri segretari politici e responsabili delle associazioni, o loro delegati, capaci di esprimere, in seno all’organismo comune, la volontà del proprio gruppo;

propongono in occasione della prima riunione del consiglio della federazione, che i singoli aderenti esprimano la loro proposta per la formazione di un simbolo unitario da adottare a maggioranza qualificata e da presentare alle prossime elezioni comunali regionali e nazionali nel quale tutti si possano riconoscere;

auspicano che venga approvata una legge elettorale proporzionale unica legge democratica, che chiuderebbe la lunga fase di transizione che ebbe inizio negli anni 90 con la legge cosiddetta “mattarellum”, e che oggi impone di ridare identità ai gruppi politici e protagonismo all’elettore.

 

Letto, condiviso e sottoscritto

 

Giuseppe Gargani (DC)

Renato Grassi(DC)

Mario Tassone (NCDU)

Lorenzo Cesa (UDC)

Gianfranco Rotondi (FI)

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)

Direzione nazionale DC

Venezia, 5 Ottobre 2019

 


 


Si riprenda la realizzazione del bosco di Mestre

 

«A Venezia, una delle città più resilienti del mondo siamo partiti dal presupposto che la sostenibilità ambientale fa sempre il paio con il tema delle risorse economiche. Vogliamo dimostrare che l’attenzione all’ambiente, non deve essere percepita come un costo per la collettività, ma diventa volano per l’economia circolare. Un esempio per l’Italia e l’Europa che nasce nel cuore produttivo ed industriale di Porto Marghera. Con Eni e Toyota implementiamo una partnership pubblico privata che punta alla ricerca e innovazione a ricaduta produttiva», ha commentato così il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro l'accordo raggiunto . Un’ottima iniziativa del comune e della città metropolitana di Venezia alla qual dovrebbe seguire l’immediata realizzazione dell’antico sogno del compianto Gaetano Zorzetto del “bosco di Mestre”, sin qui avviato solo in minima parte.

 

In molte città si è aperto il dibattito sulla costruzione di “green belts”  (“cinture verdi”) immagazzinatrici  di anidride carbonica e produttrici di ossigeno, strumenti essenziali per un futuro low carbon delle aree urbane. A Venezia questa proposta nacque molti anni fa con il progetto de “ il bosco di Mestre”. Ho svolto una minuziosa ricerca d’archivio nella raccolta integrale delle riviste “ Le Foreste”, pubblicazione periodica bimensile/trimestrale edita dall’ARF del Veneto, della quale avevo la responsabilità di direzione, capo redattore il Dr Mimmo Vita attuale dirigente di Veneto agricoltura.

 

La prima idea di un recupero ambientale con una proposta di intervento in un’area peri-urbana ad Ovest di Mestre è stata ospitata nel numero 2 Marzo-Aprile della rivista “ Le Foreste” nell’anno 1986.Trattasi di un articolo dell’Arch. Stefano Boato con correlatori l’Arch. Giorgio Sarto e il Perito agrario Lorenzo Simoni, nel quale si assume l’obiettivo di “ rafforzare e migliorare il rapporto tra aree periferiche ed urbane di Mestre attraverso un recupero ambientale inteso come elemento di riqualificazione del tessuto urbano esistente…”

 

Più avanti nel saggio si ipotizza un’area di circa 130 Ha i cui limiti fisici erano individuati: ad Ovest da  Via Comboni a Zelarino, a Nord dalla via Castellana, ad Est dalla ferrovia VE-TS, a Sud dalla via Brentola  Forte Gazzera.E si propone di realizzare “ un parco di tipo paesaggistico le cui caratteristiche fondamentali sono date dall’esistenza di grandi zone prative organizzate per la ricreazione ed il tempo libero egli abitanti di Mestre”; da grandi aree boschive (Bosco in città) costituite essenzialmente da essenze tipiche dei boschi della pianura veneta orientale”.

 

Nel n.2  Marzo-Aprile del 1987, della rivista “ Le Foreste” pubblicammo il progetto dell’ARF per il “recupero e la valorizzazione di un terreno di proprietà dell’IACP di Venezia sito in località San Giuliano” all’intermo del quale prevedevamo, tra l’altro, la”costituzione di un bosco planiziale di pianura a quercetum penducolatae con finalità ricreative”, considerato che “ lungo il litorale, nel passato erano presenti boschi di conifere mentre lungo i margini della laguna vi erano boschi costituiti da latifoglie” .Erano le prime idee di quello che, solo qualche anno più tardi, con totale diversa impostazione, sarà il parco di San Giuliano, su iniziativa dell’assessore arch. Caprioglio.

 

Da direttore generale dell’ARF del Veneto, in quegli anni era presidente ARF, il Dr Renzo Fant,  dopo l’esperienza dell’azienda in alcuni interventi di arredo verde urbano nei giardini della Biennale di Venezia, nel bosco di Mirano, e a Villa Mocenigo di Alvisopoli. avevo espresso l’idea di recuperare il verde nelle isole della laguna veneziana.

 

Gaetano Zorzetto, V. Sindaco di Venezia, era componente del consiglio di amministrazione dell’ARF e fu in occasione di una seduta del Cda nella quale avevo presentato l’idea del PRO.V.I.VE ( Progetto Verde Isole Veneziane) che suggerì l’idea del “ Bosco di Mestre”. Una descrizione analitica della genesi e della realizzazione del primo lotto del bosco di Mestre ad opera dell’ARF del Veneto è quella contenuta nel numero speciale della rivista “ Le Foreste” dedicato al Bosco di Mestre, edito come allegato al n.2 di Marzo-Aprile 1990 .

 

Dopo una mia breve presentazione del perché l’idea di realizzare 1330 Ha di bosco nella realtà urbana di Mestre è proprio Gaetano Zorzetto, quale assessore al verde pubblico di Venezia, che redige un editoriale con il quale descrive esattamente la filosofia da cui trae origine il bosco di Mestre: dare concreta attuazione al piano per la prevenzione e depurazione dell’inquinamento diffuso di origine agricola, relativo ai carichi agricoli e zootecnici, della laguna di Venezia, attraverso la messa a riposo di vaste aree agricole, specie lungo i corsi dei fiumi e dei canali di scolo delle bonifiche, e di procedere alla loro forestazione.

 

Scrive Zorzetto: “ Per dare concreta attuazione al citato piano, il comune di Venezia in cooperazione con l’azienda regionale delle foreste, intende realizzare “ il bosco di Mestre”, un impianto di forestazione di un’area di circa 1330 ettari, collocata lungo il orso dei fiumi Dese e Marzenego Osellino ed estendentesi dal boschetto di Carpenedo-Terraglio fino alle foci lagunari dei due corsi d’acqua.” Nello stesso speciale sono redatti due articoli: il primo dell’arch. Franco Posocco, allora segretario generale per il territorio di regione Veneto, sul “ Significato urbanistico ed ambientale del “bosco di Mestre” e uno della Dr.ssa Silvia Majer sul valore ecologico e sociale del bosco.

 

Sarà con la consegna da parte del comune di Venezia all’ARF del Veneto dei primi 8 Ha dislocati nell’area PEEP Bissuola Mestre, il 17 Marzo 1994, che prenderà il via la realizzazione effettiva del primo nucleo del sogno di Zorzetto e mio, che poté partire grazie alla determinazione assoluta di Zorzetto e all’aiuto che, sin dall’inizio, fu garantito all’ARF dal Presidente della Regione Veneto, Franco Cremonese. E fu così che, il 17 Marzo 1994, in occasione della festa degli alberi, Gaetano Zorzetto con Renzo Fant poterono inaugurare, con l’organizzazione dei “services di Mestre”, il primo stralcio del Bosco di Mestre nel rione Pertini che, dopo , 23 anni é  il rigoglioso bosco di latifoglie autoctone prodotte nel vivaio regionale dell’azienda, piantate piccolissime dall’ARF , piantine che tante polemiche suscitarono, specie da parte di alcuni vivaisti privati. Tutto questo è ben rappresentato nel n.1/1994 della rivista “ Le Foreste”a futura memoria.

 

Nel 1998 cessai dal mio impegno di direttore dell’ARF del Veneto; Gaetano Zorzetto ci ha lasciati nel 1995. Del perché quel nostro straordinario sogno non sia potuto realizzarsi nelle dimensioni e modalità da noi auspicate è compito da lasciare oramai agli storici di Venezia e di Mestre. Chiediamo al sindaco Brugnaro e al consiglio comunale di Venezia di voler riprendere quel progetto che farebbe molto bene alla nostra città.

 

Ettore Bonalberti

Già direttore dell’ARF ( Azienda regionale delle foreste del Veneto)

 

Venezia, 7 Ottobre 2019

 


Filippo Peschiera ci ha lasciati


L’amico Filippo Peschiera, socio fondatore della DC nel 2012, ci ha lasciati. Filippo ha rappresentato una figura importante del cattolicesimo democratico di Genova, di riferimento nel campo del diritto del lavoro e sindacale. E' morto a 88 anni. Fu sequestrato il 18 febbraio 1978 da un commando delle Brigate Rosse alla scuola di Formazione superiore del capoluogo ligure. I terroristi lo ferirono con 5 colpi di pistola alle gambe. Vollero processare il docente, lo studioso di diritto del lavoro e il politico cattolico impegnato nella Democrazia Cristiana.

Orgoglioso della sua DC Ligure ha continuato con indomita passione la sua battaglia a sostegno dello scudo crociato sino alla fine. Rivolgiamo le nostre fraterne condoglianze ai suoi familiari mentre lo ricordiamo nelle nostre preghiere.

 

Venezia, 30 Settembre 2019

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale

 

L’Italia e’ la quarta nazione in Europa a legalizzare la morte provocata per via medica.“Dobbiamo ripeterlo con forza, dobbiamo gridarlo nelle piazze e dai pulpiti, dobbiamo insegnarlo nelle scuole e negli oratori: uccidere non è un diritto, è un delitto, il suicidio è un atto tragico che si ha il dovere morale di fermare, opponendovisi con tutte le forze. La compassione e la pietà vere significano “farsi carico” di chi è nel bisogno, non certo uccidere con un farmaco letale, anestetizzandosi la coscienza perché “me lo aveva chiesto lui” Così scrive Massimo Gandolfini Presidente Associazione Family Day, difendiamo i nostri figli (www.interris.it/inter...aliera)

Che tristezza vedere che sulla Tesi della Corte costituzionale PD+M5S+Leu + Italia Viva di Renzi abbiano già presentato un disegno di legge per autorizzare il suicidio assistito; la libertà a sopprimere la vita altrui e la propria vita. (www.ilfattoquotidiano.it/2019/...76814/)

I  cattolici sono del tutto irrilevanti nelle scelte politiche da qualche decennio perché si sono dispersi in tanti cespugli e con Rappresentanti politici che si accontentano di poltrone e strapuntini nei partiti più grandi o nel sottogoverno e che non desiderano “servire la Politica, ma servirsi della politica”. Adesso questa deriva a favore della libertà individuale di sopprimere la vita sia al suo nascere nel grembo di una madre, sia alla fine naturale per una sofferenza non più sopportabile, questa accidia e torpore che attanagliano i cattolici, ha raggiunto il livello più basso.

La responsabilità etica e’ sempre più debole a livello della politica e delle altre attività sociali.

L'agenda cattolica è da decenni rappresentata politicamente dai neoliberisti, che stanno distruggendo il pianeta (facendo finta di essere ecologisti), devastando il concetto di uomo (facendo finta di essere umanisti), deformando il concetto di natura (dicendosi naturalisti). E i cattolici cosa fanno?!! La cultura cattolica si è lasciata devastare dal “politicamente corretto”, da informazioni pseudo scientifiche sui media, da visioni neopagane nella vita quotidiana e soprattutto dalla assenza e dal ripudio di una Filosofia adeguata per comprendere e pensare la realtà!! I laicisti, gli atei, anche numerosi  cattolici con aggettivi, stanno addirittura festeggia di la legge sull'eutanasia, come un principio di liberazione, come segno di autodeterminazione, e certo se sei cresciuto a base di principi, progressisti, materialisti e neoliberisti, non sei più ne’ cristiano e ne’ cattolico. Ormai è tardi!!

“Ciò che è dannoso nel   mondo non sono gli   uomini cattivi, ma il   silenzio di quelli buoni (Martin L. King). Bisognerebbe  ripartire  dalla Missione, rievangelizzare i popoli di vecchia (e dimenticata) tradizione cristiana per riavvicinarli alla Buona Novella.

Sara’ un lavoro immane .... per le generazioni più giovani;  servirà realizzare un grande programma di educazione morale, di un umanesimo integrale di valori Etici e Cristiani che siano condivisi dalle comunità nei territori, dal popolo italiano per il miglioramento del bene comune

Adesso serve un riscatto delle coscienze che affermi il valore dell’Amore per la Vita e non la supremazia della libertà assoluta dell’uomo secondo l’ideologia del Nuovo Umanesimo senza più DIO nella storia dell’uomo dell’era digitale.

Chesterton, che sarà proclamato Beato il 19 Ottobre, diceva: “La libertà e’ assumersi la responsabilità di quello che si sta facendo, in relazione a se’ stessi e al mondo. Verrà il momento in cui dovremo combattere per dichiarare che l’erba e’ verde. Il momento e’ venuto. Dobbiamo combattere”, e’ un appello che vale per chiunque si dichiara e dice di essere Cristiano.

Servirà riequilibrare il sistema politico, sbilanciato a destra o a sinistra; e’ adesso che si dovrebbe realizzare l’aggregazione politica in una Federazione di un Polo di Centro di cattolici e laici, popolari e liberali, ispirati cristianamente, adesso altrimenti non si farà più e la società italiana accelererà verso la deriva laicista, atea e anti Cristiana.


Antonino Giannone

 

Prof. di Etica professionale e Relazioni industriali

Politecnico di Torino

Vice Presidente ALEF

 

Milano, 26 Settembre 2019

 

Grande confusione sotto il cielo

 

Grande confusione sotto il cielo del centro della politica italiana. La promessa della legge elettorale proporzionale crea fibrillazione in quasi tutti gli schieramenti politici. Convinto della lezione di Bobbio ( “ Destra e sinistra- Ragioni e significati di una distinzione politica”- Donzelli editore 1994 ) condivido l’idea che destra e sinistra abbiano ancora un senso e che, nella nostra attuale fase politica, questa idea si declini anche con quella della dicotomia tra sovranisti nazionalisti e europeisti fedeli agli ideali dei padri fondatori.

 

Ho combattuto per oltre vent’anni per la ricomposizione dell’area democratico cristiana e cattolico popolare, dovendo constatare amaramente il fallimento del progetto. Troppe le divisioni e  le dispute suicide di sabotatori seriali esterni e interni a ciò che resta della DC storica, partito “mai giuridicamente sciolto”.

 

Mi auguro che qualcosa di nuovo possa accadere, grazie allo sforzo di amici generosi che continuano quest’ultima battaglia, cui ho dedicato molte energie rivelatesi, almeno sin qui, insufficienti e inefficaci. Il rischio che si corre oggi, è che finisca col prevalere l’illusione renziana di “un centro che guarda a sinistra”, ridotto al partito di un altro solitario conducator, incapace di operare in squadra all’interno di un partito plurale e democratico.

 

Prevale in Matteo Renzi, infatti, l’idea di una leadership carismatica e solitaria sostenuta da seguaci fedelissimi e ossequenti cui impartire ordini.  Alla vigilia del referendum del 4 Dicembre 2016, constatammo che “ il Bomba” ( lo pseudonimo affibbiatogli dai suoi amici adolescenti fiorentini per la sua ben nota capacità a spararle grosse) seguiva la logica dei poteri finanziari forti ( JP Morgan e C. per i quali: “ la Costituzione italiana era troppo socialista”)  e fummo tra coloro che vollero attivare il comitato dei Popolari per il NO, con il quale contribuimmo alla vittoria contro le proposte del “giovin signore fiorentino”.

 

Oggi temiamo di esser passati dall’egemonia-dominio del conducator meneghino, Matteo Salvini, a quella del “ Bomba” fiorentino che, nonostante il merito indubbio per aver contribuito al superamento del dominio salviniano, di fatto, tiene in ostaggio il parlamento e il governo con la compagnia di ventura dei suoi voltagabbana. Un manipolo di parlamentari  espressione della più sciagurata e triste fase del trasformismo politico italiano.

 

Ritengo che un nuovo centro serva alla politica italiana, ma deve essere il risultato di  una vasta e plurale unione di componenti laiche, democratiche, popolari, liberali e riformiste, europeiste, trans nazionali, che condividono i valori dell’umanesimo cristiano e si pongono in alternativa alla deriva nazionalista e populista a dominanza salviniana e alla sinistra che, in tempi brevi, si ricomporrà nel Partito Democratico. Dubito che il centro renziano “ Italia viva” possa corrispondere a quest’idea. Sono assai più forti, se non prevalenti, le motivazioni di potere che attengono alla prossima spartizione delle centinaia di nomine pubbliche che il governo farà e all’elezione del futuro presidente della Repubblica. Data questa ultima, il 2022, sulla quale Renzi ha annunciato di traguardare la sopravvivenza della   legislatura.

 

Il sistema elettorale proporzionale, che mi auguro possa essere alla tedesca, con uno sbarramento al 3-4 %,  un premio alla lista che ottenga almeno il 41% dei voti, al fine di garantire la governabilità del sistema e con l’introduzione della sfiducia costruttiva ( un governo non decade se in parlamento non si forma una nuova maggioranza), potrà favorire la nascita di questo centro. Un partito che non potrà essere espressione di “ un uomo solo al comando”, ma dovrà essere fortemente partecipato e guidato da regole democratiche, come indicato dall’art. 49 della Costituzione. Un partito aperto alla collaborazione con quanti s’impegnano nella difesa e nell’ integrale attuazione della Costituzione repubblicana.

 

Penso che con gli amici della DC storica, i popolari sin qui sparsi in varie sedi, quelli  de “la rete bianca”, di “Politica insieme”, di “ Costruire insieme” e della “Confederazione di sovranità popolare (CSP)”, insieme agli ex PD, come gli Onn. Giacchetti e Calenda,  agli amici di Forza Italia disponibili e ad altri riformisti liberali, socialisti e repubblicani, si possa attivare un processo di ricomposizione al centro con le caratteristiche di partecipazione democratica e dagli obiettivi sinteticamente  indicati. Un contributo decisivo, infine, potrebbe venire anche dagli amici del M5S e dal premier Conte che, già oggi, costituiscono oggettivamente il centro del governo giallo-rosso.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF (www.alefpopolaritaliani.it)

Venezia, 19 Settembre 2019

 

 


Tempo di ristrutturazione del sistema politico italiano

 

La Lega era ieri a Pontida, dove allo sventolio delle bandiere della secessione padana al tempo della leadership di Bossi, sono subentrate prevalenti quelle tricolori della nuova Lega nazionalista e sovranista salviniana. Cambio di politica e  di strategia, ma replica dei toni aggressivi e delle intemperanze, sino alle minacce violente contro giornalisti e cine operatori additati come “nemici”.

 

Prove di alleanza tra M5S e  PD, alla vigilia di importanti elezioni regionali a partire da quelle prossime dell’Umbria, nella consapevolezza che il governo Conti 2 difficilmente sopravvivrebbe a un eventuale filotto di vittorie del centro-destra in tutte le restanti regioni interessate al voto.

 

Annunciata,  sempre ieri, l’eventuale scissione del PD e la nascita del nuovo partito di Matteo Renzi aperto al centro del sistema politico italiano. Esploratori in avanscoperta Calenda e Richetti. Sono questi i tre avvenimenti più importanti che caratterizzeranno la settimana politica e quelle a seguire.

 

La Lega, dopo la sconfitta nella battaglia del Papeete, punta a ricomporre l’unità del centro destra, proponendo l’utilizzo del referendum abrogativo della quota proporzionale del rosatellum, al fine di avere mano libera col maggioritario, nella formazione delle eventuali liste per le politiche. Giorgia Meloni, alla spasmodica ricerca di un ritorno al governo, dopo la giovanile esperienza con la Casa delle libertà, sembra pronta a sostenere la legge  elettorale maggioritaria, con l’aggiunta di una modifica costituzionale in senso presidenzialista della nostra Repubblica, consegnandosi, così, mani e piedi alla volontà del conducator meneghino. In fondo, confermando  la nascita della nuova destra – destra italiana.

 

Forza Italia, non ancora stanca di subire i tradimenti salviniani come quelli post 4 Marzo 2018 e le successive discriminazioni, tranne qualche intelligente voce di dissenso, sembra accettare il ruolo subalterno al dominio leghista che finirebbe, a mio avviso, coll’assorbire totalmente ciò che rimane del consenso al partito del Cavaliere. Solo Gianfranco Rotondi  con pochi altri, continuano a ricordare a Berlusconi, che i Popolari europei, gruppo cui appartiene Forza Italia nel parlamento europeo, mai hanno fatto alleanze con partiti di destra o sovranisti in Europa, auspicando, semmai, che il partito dovrebbe utilmente concorrere alla costruzione del nuovo centro della politica italiana, in una fase di forte scomposizione e ricomposizione del sistema politico.

 

Molto importante è il tentativo di “alleanze civiche” annunciato da Di Maio con una lettera a Zingaretti e da questi immediatamente colto positivamente, a partire dal caso difficile delle elezioni umbre e, più avanti, sperimentabile in quelli di Emilia e Romagna, Toscana e Calabria.  Sarebbe la naturale logica conseguenza del patto di governo stipulato sul piano programmatico a livello nazionale. Il riferimento del presidente del consiglio Giuseppe Conte, nel suo discorso di investitura, a Giuseppe Saragat, come ben ha evidenziato l’On Cariglia nel suo sito informatico, potrebbe essere il giusto viatico per la costruzione finalmente  di un movimento- partito di cultura  socialdemocratica in Italia.

 

Più complessa la situazione del PD dove, Matteo Renzi, dopo la giravolta sulla proposta di alleanza col M5S, forte della sua rappresentanza parlamentare, maggioritaria all’interno del PD, e timoroso per ciò che potrebbe accadergli in caso di elezioni anticipate, punta a sparigliare, non per creare difficoltà al governo, ma per contare di più con una formazione politica autonoma. Ne sapremo di più fra pochi giorni alla Leopolda, ma, in ogni caso, questa operazione non potrà che portare consensi alla scelta di una nuova legge elettorale proporzionale che, mi auguro, possa essere “alla tedesca” ( sbarramento al 4% e sfiducia costruttiva) e alla quale una parte degli stessi parlamentari di Forza Italia dovrebbero corrispondere, se non vorranno mettersi attorno al collo il cappio della Lega salviniana.

 

Guai, però, inseguire Salvini sulla legge elettorale; il governo affronti, invece, da subito i problemi reali del Paese: diseguaglianza sociale, tasse, lavoro, ambiente, sicurezza e politica dell'immigrazione. Intanto utilizziamo al meglio la nuova affidabilità e i ruoli assunti dall'Italia nell'Unione europea.

 

In questa fase di forte scomposizione e ricomposizione del sistema politico italiano, infine, cosa dovremmo fare noi “ DC non pentiti”?  Personalmente temo che il tempo per ricostruire la DC sia terminato. Troppi egoismi e molta stupidità politica sino al suicidio, sono stati sin qui prevalenti tra di noi, con il concorso decisivo di alcuni sabotatori seriali, che hanno contribuito al sabotaggio permanente del progetto. Ora é tempo di concorrere alla costruzione del nuovo centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, alternativo alla deriva nazionalista e populista e alla sinistra che si ricompatterà nel PD. Le alleanze, se passerà il sistema proporzionale, si potranno fare con coloro che  intendono difendere e attuare la Costituzione repubblicana, unica garanzia di riforme vere per la salvaguardia del bene comune. La discriminante attuale è quella che divide gli europeisti, che intendono battersi per la nuova governance dell’Unione europea, e i sovranisti nazionalisti, disperatamente isolati in Europa, divisi persino dai loro riferimenti del gruppo di Visigrad. I cattolici democratici e i cristiano sociali italiani, uniti ai Popolari europei,  sanno bene da quale parte stare, nella fedeltà ai principi e ai valori dei padri fondatori democratico cristiani dell’Unione europea.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF (www.alefpopolaritaliani.it)

Direzione nazionale DC

Venezia, 16 Settembre 2019

 

 

 

 

 

 

Ora avanti con il nuovo centro della politica italiana

 

Con la fiducia del Parlamento al governo Conte 2 attendiamo di vedere all’opera il nuovo esecutivo, che si giocherà tutta la  credibilità sui temi del lavoro,  delle tasse, della sicurezza e della politica sull’immigrazione. Solo così si potrà evitare che la sconfitta di Salvini nella recente  battaglia non si tramuti, più avanti, nella sua vittoria della guerra.

 

Siamo delusi dalle dichiarazioni programmatiche del presidente Conte, atteso che, come dalla  bozza di programma, sono scomparsi i riferimenti al controllo pubblico di Banca d’Italia e alla separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria. Così come siamo delusi dal balbettio utilizzato dal premier in risposta all’intervento della senatrice Binetti sul tema dell’eutanasia. Guai se il riferimento al “nuovo umanesimo” si collegasse, come qualche amico sostiene, alle teorie relativistiche di Edgar Morin; in tal caso il cattolicesimo di Conte, la sua formazione cattolico romana al Villaggio Nazareth, la devozione a San padre Pio, sarebbero irrilevanti  rispetto a quanto sta accadendo, tenendo presente che il 24 settembre la Corte costituzionale potrebbe sostituirsi tout court al parlamento e legalizzare in Italia il suicidio assistito, in sostanza l’eutanasia.

 

Siamo, peraltro contenti della nascita del governo, dato che, la fiducia acquisita, segna lo stop alla deriva nazionalista e populista a dominanza salviniana e la riapertura del dialogo con l’Unione europea, dove il ruolo assunto da Paolo Gentiloni, neo commissario agli affari economici, ci auguriamo possa facilitare il superamento delle regole illegittime del fiscal compact e sappia riproporre i temi del controllo pubblico della BCE e della separazione tra banche di prestito e banche di speculazioni finanziaria in tutta l’Unione europea.

 

L’impegno annunciato dal governo della riduzione dei parlamentari e le conseguenti modifiche costituzionali che tale scelta comporta, ci auguriamo che  possa favorire l’accordo su una legge elettorale  proporzionale di tipo tedesco, con sbarramento al 4% e introduzione della sfiducia costruttiva. Una proposta che, noi vecchi “ DC non pentiti” avanzammo, minoranza inascoltata,  sin dallo sciagurato referendum Segni.

 

La presenza di tre schieramenti quali il M5S, il PD e il centro destra a dominanza salviniana, con l’attuale legge elettorale del rosatellum modificato, all’interno del nostro sistema di democrazia parlamentare costituzionalmente garantito, favorisce il trasformismo politico parlamentare da cui sono sorti tanto il governo giallo verde che il Conte 2.

 

Tra la destra-destra del duo Salvini-Meloni, quella delle urla in Parlamento e dell’appello alla piazza infarcita da nostalgici col saluto fascista, e “le tre sinistre”, come sbrigativamente ha denunciato Forza Italia, serve costruire un nuovo centro democratico, popolare, liberale e riformista, europeista, trans nazionale, alternativo alla deriva nazionalista e populista e alla sinistra che si ricomporrà tra il PD e quanto gravita al suo esterno.

 

Serve la ricostruzione di una sinistra espressione della migliore tradizione di quella cultura politica, così come serve dar vita a un nuovo centro in cui possano ritrovarsi le tradizioni dei popolari, dei liberali e riformisti, sin qui inseriti negli schieramenti provvisori usciti dalla seconda repubblica, quella del permanente scontro tra berlusconismo e anti berlusconismo.

 

L’uscita di Richetti dal PD è un primo segnale di un processo in atto che avrà inevitabili sviluppi, e l’apporto di Renzi potrebbe essere decisivo.  Anche a destra, Forza Italia non potrà vivere la contraddizione di un partito inserito in  Europa nel PPE, costretto a  saltabeccare nel centro destra a dominanza salviniana, antieuropeista, per garantirsi, da un lato, il governo a livello locale e, dall’altro,  la pelosa accettazione dei partners in sede nazionale. Proprio in quella sede dove assistiamo ai  repentini tradimenti della Lega, come quello perpetrato dopo il 18 Marzo 2018, o con la reiterata volontà di Salvini e della Meloni di procedere in un duo solitario senza il Cavaliere e i suoi amici .

 

E’ evidente che a questo nuovo schieramento centrista servirà l’apporto di tutte le energie provenienti dalla vasta galassia frammentata dell’area cattolica, popolare e già democratico cristiana dispersa in quasi tutti gli attuali schieramenti ,  per offrire la cultura migliore ispirata dalla dottrina sociale cristiana che, tanto in materia antropologica, che ambientale e sociale, può giovarsi degli insegnamenti straordinari del pontificato di Papa Francesco.

 

In attesa dell’azione operativa del governo Conte 2, della legge elettorale proporzionale inevitabilmente collegata alla scelta di riduzione dei parlamentari, credo  sia indispensabile avviare da subito e con chi è disponibile il progetto di formazione del nuovo centro, di cui il sistema politico italiano ha assoluta necessità.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 11 Settembre 2019

 

 

 

 

Primo commento sul governo Conte bis : delusione.

 

Avevamo visto con favore la nascita del nuovo governo M5S-PD, seriamente preoccupati per il grave isolamento italiano in sede europea e internazionale, che la deriva nazionalista e populista a dominanza salviniana, aveva determinato.

 

La suicida iniziativa politica di Matteo Salvini di por fine all’esperienza di governo giallo verde, con la prospettiva di trarne diretto beneficio elettorale, magari insieme alla Meloni, costante sollecitatrice di una maggioranza sovranista nazionalista, con l’esclusione della stessa Forza Italia,  ha dovuto fare i conti con la realtà di una repubblica parlamentare e con quanto previsto, in questi casi, dalla nostra Costituzione.

 

A differenza dei sistemi maggioritari il nostro attuale sistema, frutto della legge elettorale di tipo misto, rosatellum modificato, implica che le maggioranze si fanno in Parlamento. Così è stato, dopo il voto del 4 Marzo 2018 e così si sta verificando in queste ore. Arrampicarsi sugli specchi del “poltronismo” e/o sul “trasformismo” o era valido anche allora, o è inutile farlo adesso. Tanto più da parte di un “capitano”, la cui strategia si è dimostrata palesemente fallimentare e che, della poltrona, non si è mai liberato, nemmeno dopo aver “ pugnalato alle spalle” i suoi partners.  Espressione, quella della pugnalata, usata dai Cinque Stelle,  oggetto della durissima “catilinaria” anti Salvini  pronunciata da Giuseppe Conte al Senato.

 

Il timore del prevalere di una deriva populista nazionalista, dagli evidenti caratteri autoritari propri di un governo di estrema destra,  con l’isolamento dell’Italia in preda a una condizione gravissima di anomia sociale, culturale, economica, politica e istituzionale  e in una fase internazionale caratterizzata da pesanti situazioni di conflitto, era ciò che mi portava a sostenere il progetto del nuovo governo giallo rosso.

 

Ieri Di Maio, rafforzato dal voto plebiscitario degli iscritti alla piattaforma Rousseau, ha evidenziato il carattere di “continuità e stabilità” del governo Conte bis. Zingaretti, al contrario,  quello della “discontinuità”, accompagnato dalla volontà di “cambiare l’Italia”.

 

A Conte il compito di mettere insieme propositi e prospettive così diverse, non solo nella sua capacità di interpretare i ventisei capitoli della bozza di programma sin qui editati, ma anche nella formazione della lista dei ministri che, ci auguriamo, siano davvero espressione di quella “discontinuità” reclamata dal PD e della “competenza” annunciata dal capo carismatico del movimento Beppe Grillo.

 

Dai primi nomi annunciati non sembrerebbe emergere né la discontinuità, né la competenza se solo valutassimo quella dello stesso Di Maio, assurto miracolosamente dalla condizione di disoccupato strutturale a quella di vice presidente del Consiglio con il Conte 1, e, adesso,  annunciato di …..ministro degli Esteri. Credo che in tutta la storia nazionale e non solo in quella repubblicana, sia difficile, se non impossibile, trovare un precedente simile a questo che, indubbiamente, rappresenta un fattore di evidente cambiamento, la cui cifra, tuttavia, è ancora tutta da scoprire.

 

Da un primo esame dei titoli della bozza di programma, possiamo dire che le tre questioni di cui oggi l’Italia ha necessità di soluzione: economia e rapporti con l’Europa; recessione e lavoro, immigrazione, sono tutte evidenziate. Manca solo di conoscere come s’intende concretamente affrontarle e con quali risorse finanziarie.

 

Da parte mia, avevo sempre scritto che, preliminare a ogni progetto serio di riforma nel nostro Paese, due erano le scelte non rinviabili: il ritorno al controllo pubblico di Banca d’Itala e la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria.

 

Al punto 18 della bozza è scritto semplicemente: “È necessario porre in essere politiche per la tutela dei risparmiatori e del risparmio.” Mi sembra troppo poco e troppo generico e, in attesa del discorso che Conte pronuncerà all’atto della richiesta di fiducia alle Camere, concordo con quanto ha scritto ieri l’amico Alessandro Govoni, esperto di vicende interne al M5S, con una nota che trascrivo integralmente:

 

“NELL'ACCORDO PD-MOV 5 STELLE E' STATO TOLTA ALL'ULTIMO MOMENTO LA LEGGE CHE SEPARA LE BANCHE DI PRESTITO DALLE BANCHE SPECULATIVE.

LA LEGGE CHE SEPARA LE BANCHE DI PRESTITO DALLE BANCHE SPECULATIVE E' LA LEGGE PIU' IMPORTANTE DELLO STATO, PERCHE' E' LA LEGGE CHE IMPEDISCE AL SISTEMA BANCARIO DI FAR USCIRE IN NERO LE QUOTE CAPITALI PAGATE DAI MUTUATARI, IN FAVORE DEI GRANDI FONDI SPECULATORI DEI BANCHIERI DELLA GERMANIA DELL'EST ROTHSHILD E JP MORGAN, CHE LO CONTROLLANO.

SENZA QUESTA LEGGE ALTRI 1350 MILIARDI DI EURO USCIRANNO DALL'ITALIA E IN NERO NEI PROSSIMI 20 anni, , QUALE PROGRAMMA PUO' ESSERE REALIZZATO QUANDO E' AUTOMATICO CHE USCIRANNO DALL'ITALIA E IN NERO CENTINAIA DI MILIARDI DI EURO DERIVANTI DAL LAVORO E DALLA FATICA DEI CITTADINI ?

Per realizzare una politica economica ci vogliono solitamente 10 miliardi di euro che sono coperti per esempio dall'intero gettito dell' IMU che è appunto di circa 10 miliardi all'anno, quale qualsiasi politica programmatica potrà mai essere realizzata quando usciranno per certo ancora dall'Italia e in nero nei prossimi anni oltre 1.000 miliardi di euro ?

I cittadini italiani lavoreranno ancora per pagare le rate del mutuo, ma le quote capitali pagate non rimarranno in Istituzione pubbliche che le possono utilizzare per realizzare servizi per i cittadini: ponti, strade, scuole, università, ospedali, impianti fotovoltaici, impianti di macerazione della canapa per ricavare cotone, caucciu per le carrozzerie auto e per ricavare farmaci rigeneranti delle cellule, impianti di macerazione del sorgo dolce etiope per produrre bio benzina, RICERCA per curare il cancro, la leucemia,il parkinson e l''azheimer, servizi per dare sostentamento agli anziani e alla famiglie mono reddito, 
E INCECE NO , SE FOSSE APPROVATO L'ACCORDO PD-MOV CINQUE STELLE, NIENTE A DI TUTTO QUESTO POTRA' MAI ESSERE REALIZZATO PERCHE’ I  MUTUI SOTTOSCRITTI DAL 1993 HANNO IN SE' LO SCHEMA PER FAR USCIRE DALL'ITALIA E IN NERO CIRCA 80 MILIARDI DI EURO ALL'ANNO DI QUOTE CAPITALI PAGATE DAI MUTUATARI,  CHE FINISCONO NELLE CASSE DEI GRANDI FONDI SPECULATORI DEI BANCHIERI DELLA GERMANIA DELL'EST ROTSHSHILD E JP MORGAN CHE DAL 1993 CONTROLLANO BANCA INTESA, UNICREDIT, CARIGE, CARISBO, BNL BNP PARIBAS,  LE CASSE DI RISPARMIO E LE BANCHE POPOLARI . 

Permettere ancora questo significa concorrere  all'evasione fiscale, i politici che firmeranno questo accordo saranno quindi civilmente responsabili con i loro beni personali quanto chi ha emesso  decreti e provvedimenti  che hanno modificato nel 1992/93 la contabilità bancaria in caso di mutui ipotecari/fondiari.. “

Se le cose stanno così, non c’è da stare allegri e personalmente non lo sono, anzi il sentimento che mi pervade è quello della delusione, anche se continuo a credere nella : “spes contra spem” e vediamoli anche questi all’opera, in attesa che, superando le nostre stupidità, finalmente si concorra alla costruzione di un nuovo centro democratico, popolare, liberale e riformista, in grado ridare, quello sì, stabilità al nostro sistema politico, traballante tra pericolose velleità sovraniste e pasticciate soluzioni trasformistiche.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF

Direzione nazionale DC

Venezia, 4 Settembre 2019

 

 

 

Programma dei Cinque Stelle: occasione per un serio confronto

 

Cercando di superare i sentimenti di forte disapprovazione vissuti ieri durante il triste spettacolo della sfilata dei partiti al Quirinale, in alcuni casi, espressione del peggior trasformismo della politica italiana, tento di approfondire i dieci punti del programma indicato dal Luigi Di Maio per il M5S.Essi riguardano:  Taglio dei parlamentari, Manovra equa, Ambiente, Conflitto di interessi e Rai, Giustizia, Autonomia, Legalità e lotta evasione, Sud, Banche, Beni comuni.

 

Esaminando le brevi sintesi che accompagnano questi titoli di programma, ritengo che, come ha evidenziato il segretario del PD Zingaretti, quale positivo viatico per il confronto, trattasi di dieci punti su cui si possa facilmente trovare l’accordo.  Il punto del taglio dei parlamentari, richiesto come dirimenti dai grillini, può essere condiviso, se accompagnato dalle inevitabili modifiche cha tale cambio di assetto istituzionale comporta: legge elettorale a quel punto inevitabilmente proporzionale, modifica delle competenze delle due Camere e un ritrovato check and balance tra i poteri. Insomma,  un impegno politico parlamentare proprio di un governo almeno di legislatura.

 

Su tutti gli altri titoli anche noi “ DC non pentiti” non potremmo che condividerli, apprezzando la disponibilità espressa in materia di autonomia, così decritta: “ Va completato il processo di autonomia differenziata, richiesto dalle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Il tutto avviando una riforma degli enti locali e un piano di cancellazione degli enti inutili.”

 

E’, tuttavia, nel punto 9, dove si enuncia: “Una riforma del sistema bancario che separi le banche di investimenti dalle banche commerciali.” che colgo l’autentica forte novità del progetto grillino. Alla dura prova della realtà, finalmente leggo in un documento politico pubblico, quanto da tempo vado denunciando nella completa….. “disattenzione” degli organi di stampa.

 

Dopo il Monte dei Paschi di Siena è toccato alla CARIGE (Cassa di Risparmio di Genova), prime vittime di una crisi bancaria italiana nella quale sono coinvolte diverse altre realtà che stanno scivolando verso il default. Trattasi di una crisi di sistema, più volte denunciata dall’amico Alessandro Govoni anche in sede giudiziaria, dopo che Banca d’Italia è stata sottoposta al  potere degli hedge funds anglo caucasici-kazari detentori delle quote di maggioranza dei tre istituti controllati-controllori della Banca centrale (vedasi la risposta del Ministero del Tesoro all’interrogazione dell’On Villarosa del Febbraio 2017, allora capogruppo del M5S in commissione finanze della Camera, attualmente sottosegretario dello stesso Ministero *) per risolvere la quale non sono assolutamente sufficienti, ancorché necessarie, le politiche di intervento d’urgenza come quelle sin qui adottate tanto dal centro-sinistra che dal governo giallo-verde.

 

Fa, quindi, piacere che il M5S proponga questa che, a mio parere, non al nono, ma al primo posto andrebbe inserita, poiché, come ho avuto modi di esporre agli amici della direzione della Democrazia Cristiana guidata da Renato Grassi, l’unico programma politico che TECNICAMENTE consentirebbe ancora, dopo 25 anni, lo sviluppo dello STATO ITALIANO  e della Sua CLASSE MEDIA (94% della popolazione italiana) e che renderebbe tecnicamente possibile ogni altro obiettivo in qualsiasi altro settore sarebbe il seguente:  

1.    Obbligo di cessione al Tesoro dello Stato italiano  da parte di Telecom Italia Sparkle della proprietà dei cavi sottomarini,  necessari alla comunicazione intranet dei movimenti elettronici del denaro nel sistema bancario italiano (=abolizione della L.58 del 28 Gennaio 1992 e della Legge n. 35 del 29 gennaio 1992)

 

2.    Controllo Statale  sulla  raccolta del risparmio tra il pubblico mediante compagnie assicurative  statali = abolizione del DPR n. 350/1985 firmato da Sandro Pertini

 

3.    Obbligo di cessione da parte di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna, Carige e BNL del 51% delle loro azioni al Tesoro dello Stato Italiano  al fine che lo Stato italiano abbia,  con 265 voti su 529, il controllo del 51% di Banca d’Italia (=abolizione della L.82 del 7 Febbraio 1992), al fine che Banca d’Italia possa di nuovo dopo 25 anni tornare a vigilare per  impedire truffe sui derivati e su azioni/bond carta straccia, e per impedire anatocismo e usura bancaria.  

 

4.    Reintroduzione della Legge Bancaria del 1936 (=abolizione del decreto legislativo n. 385/1993):

 

5.    SEPARAZIONE TRA BANCHE DI PRESTITO (loan bank) e BANCHE SPECULATIVE (investment bank) =abolizione del d.lgs n.481/1992 firmato da Giuliano Amato, Barucci e Colombo.

Automatica re-introduzione della contabilità bancaria esistente prima del 31 Luglio 1992 (abolizione del Provvedimento di Banca d’ Italia del 31 Luglio 1992 firmato da Lamberto Dini al fine di fermare l’evasione fiscale verso i fondi speculatori petroliferi kazari proprietari della City of London)  

6.    Divieto di prestare denaro creato con un clic elettronico anziché raccolto tra il pubblico

 

7.    Riduzione del capitale flottante di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna, Carige, BNL e di ogni altra società italiana strategica quotata in borsa (ENI,…)  dall’attuale 85% del capitale totale, al 15%, al fine di evitare scalate da parte dei fondi speculatori petroliferi kazari.

 

8.    Divieto di vendite allo scoperto (divieto di short -selling) sia di tipo naked (presa in prestito di titoli inesistenti per es di MPS per farle crollare, le uniche finora vietate dall’UE) e di quelle piene. Divieto in sostanza di ogni tipo di vendita allo scoperto contro titoli di societa italiane quotate alla borsa di Milano.

 

9.    Abolizione del CICR (è l’ufficio di controllo occulto di Banca d’Italia)

 

10. Conferire il potere ISPETTIVO  sia a Banca d’Italia che alla Consob, in aggiunta a quello di vigilanza 

 

11. Separare la Consob dal controllo di Banca d’Italia al fine di avere un organo ispettivo indipendente. Possibilità anche per la GDF e per la Polizia di Stato di effettuare ispezioni in materia finanziaria, in materia di borsa.  

 

12.  Divieto per famiglie, imprese ed enti locali italiani di sottoscrivere derivati sulla valuta(=abolizione del DPR n.556/1987 emesso su proposta del Ministro del Tesoro Giuliano Amato) e derivati sul tasso (=abolizione del D.M. del Tesoro n. 44 del 18  febbraio 1992 firmato  da Mario Draghi)

 

13. Divieto al Governatore di Banca d’Italia di variare il tasso ufficiale di sconto (abolizione della L.n. 82 del 7 Febbraio 1992) al fine di evitare le truffe sui derivati sul tasso

 

14. Divieto di anatocismo nei conti correnti, leasing, mutui, prestiti con cessione del quinto e in ogni altra forma di prestito 

 

15. Abolizione del piano di ammortamento alla francese, lecito solo il piano di ammortamento all’italiana (quote capitali sempre uguali). 

 

16. Divieto di usura oggettiva (supero tasso soglia) e divieto di usura soggettiva (supero tasso medio). Introduzione della rilevanza immediatamente penale anche del supero del tasso medio indipendentemente dalla situazione di difficoltà economica-finanziaria del soggetto cliente

 

17. Abolizione della disciplina fondiaria ex art 38 e seg.  TUB

 

18. Riforma del Tribunale delle Esecuzioni immobiliari sulla prima casa e sull’immobile sede dell’attività: divieto di esecuzione immobiliare sulla prima casa e sulla sede dell’attività, obbligo di prolungamento del mutuo, in caso di difficoltà,  ad un tasso massimo pari al tasso d’inflazione. Divieto di neutralizzazione del Fondo Patrimoniale (è una figura giuridica prevista dal 1936 a tutela della famiglia italiana).   

 

19. Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3 immobili) in soggetti posti in qualsiasi ruolo e funzione del Tribunale addetti all’esecuzioni immobiliari e nella sezione fallimentare.

 Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3 immobili) nell’avvocato e dottore commercialista della curatela fallimentare, dei sequestri immobiliari e quali procuratori per le banche nelle  esecuzioni immobiliari e nel custode  e nel  notaio delle esecuzioni immobiliari

20. Creazione della Procura Nazionale contro i Reati finanziari commessi da soggetti speculatori esteri, con distaccamento in ogni DDA, collegata all’INTERPOL e per la prevenzione diattentati terroristici e jihadisti da parte dei fondi speculatori atti a riottenere il controllo privato delle banche italiane e dell’Ente dell’Energia italiano

 

21. Obbligo di almeno cinque  Parlamentari di ogni  forza politica di partecipare all’ Assemblea Annuale di Approvazione del Bilancio delle banche italiane azioniste di maggioranza di Banca d’Italia, in quanto vero governo del sistema e termometro della salute del paese

 

Credo, come ho scritto agli amici della DC, che la Democrazia Cristiana, che fu già il partito di Guido Carli che seppe conservare la legge bancaria del 1936 sino al 1992, una delle pre-condizioni fondamentali della crescita dell’Italia, sarebbe quella di assumere queste indicazioni come essenziali per la sua proposta di programma, avendo consapevolezza che, senza questi pre-requisiti, nessun’altra riforma seria sarebbe possibile nel nostro Paese.

 

Ripropongo queste stesse proposte agli amici interessati alla costruzione del nuovo centro democratico popolare, alternativo alla deriva sovranista e nazionalista che ha portato il Paese alla situazione attuale di isolamento e di crisi.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF (www.alefpopolaritaliani.it )

Direzione nazionale DC

Venezia, 23 Agosto 2019

 

* Da documenti desecretati e da rilievi matematici confermati dal Ministero dell'Economia delle Finanze sull'assetto di controllo delle banche quotate italiane ( risposta del Ministero all’interrogazione parlamentare dell’On Villarosa (M5S) nel Febbraio 2017)  maggiori azioniste di Banca d'Italia con 265 voti su 529, da parte , attraverso le SUB-DELEGHE conferite agli avvocati (avv.Cardarelli, ..) dello studio legale Trevisan di viale Maino –Milano, risultano una decina di fondi petroliferi nonché speculatori finanziari georgiani/ arzebajani di antica origine tedesca (Vanguard, State Street, Northern Trust , Fidelity , Jp Morgan Trust, Black Rock , Bnp Paribas Trust, Franklyn Templeton e il loro fondo immobiliare comune Black Stone, già proprietario di quasi tutti gli outlet village in Italia e di oltre 1 MILIONE di mq di centri logistici sempre in Italia), cd ariani o KAZARI o askenazita-kazari , indagati dal 15 Gennaio 2018 anche dalla Procura di New York e dallo Stato di New York per PROCURATO DISASTRO AMBIENTALE e per avere fermato lo sviluppo dell'energia solare, hedge fund e come tali, unici fondi al mondo autorizzati a compiere amorali , immorali, illegittime VENDITE ALLO SCOPERTO (presa in prestito di titoli di società terze a loro insaputa per venderli al fine di farne crollare la quotazione, per acquistarli a prezzi stracciati ad ogni programmato settennale avvenuto crollo della borsa di Milano, da quando dal 1992/93, abolita purtroppo in Italia la separazione bancaria tra banche di prestito e banche speculative a causa del decreto legislativo n. 481 del 14 Dicembre 1992 firmato da Amato e Barucci, essi imperano , crolli della borsa di Millano infatti avvenuti ogni circa sette anni 1994, 2001, 2008 , 2016, crolli che hanno impoverito circa 20 milioni di piccoli azionisti italiani che hanno perso tutti i loro risparmi ) definiti fondi speculatori anche dal D.M. del Tesoro n. 98/1999.

Trattasi di decreti già emessi , non disegni di legge, decreti che comprovano l'avvento in Italia dal 1992/93 di questi fondi speculatori con sede legale nella City of London , proprietari della City of London, e sede fiscale nel PARADISO FISCALE del Deleware come dimostrato dalla Relazione della SEC (organo di vigilanza della borsa degli Stati Uniti , indipendente dal 2001).

Fondi speculatori che il sito governativo britannico beta.companieshouse.gov.uk ha dimostrato che le società che essi controllano appartengono a TRUSHELFCO, DIKAPPA più un numero delle sette famiglie kazare , georgiane /arzebajane di antica origine tedesca dei Rothshild , J.P. Morgan, Warburg , Walker Bush, Rockfeller, Jeferson Clinton, Johnson, convertiti all'ateismo nel 1820 per poter usufruire senza limiti e remore, con l'invenzione

della trivella, ancora del business del petrolio che era terminato in superficie nel 1400 dopo Cristo in Georgia/Arzebajan decretando la fine dell'impero KAZARO (600 avanti Cristo -1400 dopo Cristo), un impero inspiegabilmente cancellato dagli inventori kazari delle tipografie, dai libri storia occidentali, ma ben presente nei libri di storia dell'Armenia, dell'Ucraina.

 

 

 

 



La “Quaresima di Salvini” e il M5S nuovo centro della politica italiana

 

Salvini ieri a Conte: 'Pericoloso, autoritario, preoccupante, irresponsabile, opportunista, inefficace, incosciente: bastava il Saviano di turno a raccogliere questa sequela di insulti, non serviva il Presidente del Consiglio”.

 

Giuseppe Conte, infatti, nel suo intervento al Senato aveva appellato il ministro degli interni con questa connotazione: autoritario, privo di cultura costituzionale e irrispettoso delle regole, irresponsabile, sleale, sino alla stilettata velenosa della replica finale: “politico senza coraggio”. L’epiteto di codardo è quello che più pesa e peserà sull’immagine del “capitano”.

 

Un’anamnesi  psicologico  caratteriale degna di una seduta psicanalitica. Mai si era vista, nella storia politica e parlamentare italiana, una crisi di governo con una requisitoria pubblica così feroce del presidente del consiglio contro il suo vice e ministro degli interni.

Finisce così l’esperienza del governo giallo verde che segna, da un lato, la rinascita di un nuovo leader dei Cinque Stelle, Giuseppe Conte, e, dall’altra, l’inizio della “Quaresima salviniana”, ricordando una metafora che Fanfani utilizzò per Forlani, in un lontano congresso della DC, quello del patto di Palazzo Giustiniani (6 Giugno 1973).

Alla “Quaresima di Salvini” si aggiunge il declino della guida politica del M5S di Luigi Di Maio, responsabile del crollo elettorale subito dal partito dopo quindici mesi di un governo, nel quale il M5S ha subito costantemente l’egemonia della Lega salviniana parlamentarmente più debole.

Salvini paga gli errori di una strategia ondivaga, tra annunci e contro annunci, tempi errati nella tattica utilizzata, presentazione e ritiro di mozione di sfiducia al governo, senza dimissioni sue e dei ministri leghisti. Insomma una strategia fallimentare, tanto che nella seduta di ieri il ministro degli interni, anche nel suo confuso intervento, sembrava un pugile suonato, “groggy”, alle soglie del KO tecnico.

Ovviamente, come ricordò Fanfani, dopo il patto con Moro per liquidare la segreteria Forlani, “dopo la Quaresima ritorna la Resurrezione”, e così potrà essere anche per Salvini, se saprà correggere gli errori di conduzione politica commessi in questa fase della politica italiana e del suo partito.

Aperta la crisi di governo, spetta al saggio presidente Mattarella il compito di accertare se esistono le condizioni per una nuova maggioranza parlamentare in grado di reggere per l’intera legislatura o se, invece, si debba andare a elezioni anticipate, salvo passare per un governo di garanzia per lo svolgimento delle elezioni stesse.

Per quanto è emerso dalle dichiarazioni di voto al Senato, se il passaggio obbligato sembra essere quello di una possibile maggioranza M5S-PD, con tutte le difficoltà interne ed esterne ai due partiti, ieri abbiamo assistito alla riconfermata e per certi versi incomprensibile  disponibilità della Lega a un nuovo tentativo con i grillini, oltre alla richiesta del voto anticipato; alla reiterata dichiarazione di Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia per l’immediato ricorso al voto e per dar vita a una maggioranza sovranista e nazionalista Lega-FdI, con l’esclusione di Forza Italia; al timido cinguettio di quest’ultima che, con gli interventi della Bernini e di Gasparri, continuano a reclamare elezioni (?!) e il ritorno al centro destra a trazione salviniana, senza dar peso all’esclusione, quanto meno sottaciuta di Forza Italia da parte sia della Meloni che dello stesso Salvini, almeno sino a quando questi vestiva i panni del Rodomonte tuttofare.

Se veramente si andasse a elezioni anticipate, anche stavolta sarebbe impossibile la partecipazione di un partito di ispirazione cristiana, persistendo una diaspora suicida e assurda, espressione, da un lato, della “maledizione di Moro” e , dall’altra, della stupidità di tutti noi, eredi indegni dei nostri padri fondatori. Le abbiamo tentate tutte nel lungo travaglio politico dei cattolici italiani, dopo la fine della DC ( 1993-94) e sino ai nostri giorni, ma, almeno sin qui, rimangono velleitarie le nostre indicazioni e pressoché nulli i risultati politico organizzativi concreti in grado di ricomporre ciò che resta della tradizione democratico cristiana e popolare italiana.

Ieri Giuseppe Conte è riuscito nell’impresa di parlare come un politico di cultura democratico cristiana, fedele servitore delle istituzioni, della Costituzione repubblicana e dello stato di diritto, autentico leader di un movimento che, grazie anche agli errori di Salvini, sta assumendo oggettivamente il ruolo di asse centrale della politica italiana.

Certo il M5S dalla sua nascita con la cultura dei “vaffa…” e la sua struttura aziendale privatistica non può essere il modello di riferimento in grado di rappresentare gli interessi e i valori dei ceti medi produttivi e delle classi popolari, che sono stati quelli cui ha sempre fatto riferimento la Democrazia Cristiana. Oltre tutto, gli esempi forniti sin qui, tanto a livello locale che di governo nazionale, hanno scontato il livello di improvvisazione e di prevalente scarsa competenza professionale politica e amministrativa dei dirigenti grillini.

Non vi sono dubbi, però, sulla buona fede di una classe dirigente nuova di giovani che hanno inteso rappresentare ansie e bisogni diffusi in larghi strati della società italiana, rispetto ai quali noi “ DC non pentiti” abbiamo il dovere di guardare con estrema attenzione.

Anche la triste formula della “decrescita felice” deve farci meditare tutti noi che, sulla questione ambientale e su quella antropologica, abbiamo il dovere di dare risposte, alla luce degli insegnamenti della dottrina sociale cristiana espressi dalle ultime encicliche sociali: dalla “Centesimus Annus” di Papa San Giovanni Paolo II, alla “Caritas in veritate” di Papa Benedetto XVI, sino alla “Evangelii Gaudium” e la “Laudato Si” di Papa Francesco. Che si debba puntare a un nuovo tipo di economia, dando prevalenza a quella reale contro il dominio dei poteri finanziari sta scritto in tutti i nostri testi teologico pastorali citati, nella quale porre in essere politiche economicamente, socialmente e ambientalmente sostenibili, è una delle motivazioni più importanti di possibile intesa con il Movimento 5 Stelle.

Non va sottovalutata, poi, la scelta europea fatta dal M5S a sostegno della neo presidente Ursula von der Leyen, popolare, ossia autorevolissima espressione del PPE cui facciamo anche noi riferimento.

C’è, infine, una ragione più profonda che ci può collegare a questo nuovo centro della politica italiana, nel quale potremmo apportare il contributo della nostra migliore tradizione culturale e politica: il M5S tra i suoi primi obiettivi programmatici, ahimè sin qui solo enunciati, contiene quello che da molto tempo anche noi DC andiamo sostenendo:

a)             il ritorno al controllo pubblico di Banca d’Italia;

b)            la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria.

Trattasi di due riforme propedeutiche a ogni altro tipo di riforma  economica e sociale, senza delle quali, ogni progetto riformatore risulterebbe vano.

Incapaci di realizzare, nei tempi brevi che la politica italiana ci impone, l’unità di tutti i DC,  credo andrebbe accelerato il progetto di concorrere alla creazione di un nuovo centro democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, alternativo al sovranismo nazionalista che la deriva salviniana e della destra meloniana vorrebbe far prevalere in Italia. Una prospettiva drammatica se vincesse, di sicuro isolamento dell’Italia e di rottura con i nostri tradizionali partner europei e atlantici. E’ tempo che, come faremo noi sin dai prossimi incontri degli organismi  nazionali DC, anche il M5S, con la nuova leadership di Conte conquistata sul campo, cominci a muoversi in questa direzione.

Ettore Bonalberti

Venezia, 21 Agosto 2019

 

 

 

 

 

.

 

 

 

 

Le ragioni della nostra alternativa

 

Cari amici, ho letto con interesse e piena condivisione la nota a firma del segretario nazionale della DC, Renato Grassi e di Alberto Alessi, vice segretario DC: “Summus ius, summa iniura”, pubblicata sul sito ufficiale della DC: www.democraziacristiana.cloud . Trattasi di un testo che  fa chiarezza sulla posizione del partito dei cattolici democratici e cristiano sociali. Una posizione che è stata, è e sarà sempre alternativa alla deriva populista e nazionalista a guida salviniana, specie in queste ore nelle quali si è consumata l’esperienza del governo giallo-verde.

 

Da diverso tempo, quale “osservatore  partecipante a mezzo servizio”, sostengo anch’io la necessità di concorrere alla costruzione di un’alternativa al “salvinismo”, che assume ogni giorno di più i caratteri di una politica che mette seriamente in dubbio lo stato di diritto e alcuni dei fondamentali della nostra Costituzione. Un’alternativa da costruire con una coalizione ampia, plurale e democratica di forze disponibili per un unico grande obiettivo: ricomporre l’unità nazionale nella difesa e integrale attuazione della Costituzione.

 

E’ ben nota  la posizione che Matteo Salvini ha espresso dal momento in cui, con Maroni prima, e poi da solo, è riuscito a scalzare Bossi dalla guida della Lega.  Una defenestrazione conseguente all’affaire dei fondi pubblici illegittimamente utilizzati, sino alla progressiva trasformazione di quel partito da espressione della volontà di autonomia e secessione del Nord, a quella di un partito nazionale a tutto tondo, caratterizzato dalla volontà di dare risposta ad alcune pulsioni esistenti in una società nazionale in preda alla condizione di anomia morale, sociale e culturale più volte da me  descritta.

 

Trattasi di una situazione di frustrazione che, da diverso tempo, covava sotto le ceneri, foriera di un’aggressività progressiva che, dal livello individuale ha assunto dimensioni sempre più ampie collettive, amplificate dalla mancata risposta che i governanti non erano riusciti a fornire non solo sui temi economici, ma su quello emergente di un’immigrazione dalle dimensioni eccezionali. Un’immigrazione  proveniente tanto dal fronte meridionale africano che dal medio ed estremo oriente, a causa di guerre, politiche autoritarie e repressive e, soprattutto, dalla volontà di riscatto economico e sociale di centinaia di migliaia di giovani, affamati e prolifici.

 

Salvini, nel contratto di governo contratto dopo il voto del 4 Marzo 2018 con il M5S, ha avuto l’abilità di scegliere per sé, come secondo partito dell’ambigua coalizione (diversa e opposta dagli orientamenti espressi in quel passaggio elettorale), il ministero degli Interni, avviando dal Viminale e nella sua contemporanea veste di vice presidente del consiglio, un’azione politica martellante sul tema immigratorio. Ha assunto toni e atteggiamenti assolutamente nuovi e diversi da quelli  di tutti i ministri degli interni precedenti, dai caratteri sempre più simili a quelli già conosciuti, ahimè, all’avvio di un passato tragico dell’Italia, con ampio e frequente ricorso ai “ me ne frego” e a ben manifestate simpatie verso gli ambienti dell’estrema destra, come quelli di Casa Pound et similia.

 

Nella triplice funzione, anche questa una realtà assolutamente innovativa e pericolosa, di vice presidente del consiglio, ministro degli interni e segretario della Lega, Salvini ha finito con l’assumere progressivamente agli occhi dell’elettorato la figura di un conducator, di un leader risoluto e autoritario di cui, con frequenze alterne, il popolo italiano, prima e durante la lunga storia dell’unità nazionale, ha sentito, purtroppo,  la pericolosa necessità.

 

Non si comprenderebbe, altrimenti, il consenso che in un solo anno Salvini ha saputo conquistare, sino a raddoppiare la cifra della Lega del 4 Marzo 2018 ( dal 17 al 34%) e a doppiare nelle recenti  elezioni europee i contraenti del contratto, quelli del M5S, ridotti ad ascari silenziosi della volontà del leader milanese.

 

La frustrazione della società civile italiana che, lungi dall’esprimersi in un’autentica rivolta sociale com’è accaduto in Francia con il fenomeno dei gilet gialli, si era manifestata, dapprima, con l’astensione dal voto ( praticamente metà dell’elettorato ) e, poi,  alle elezioni europee e secondo i sondaggi degli ultimi mesi, sembra,invece, riversarsi nel consenso a favore della Lega salviniana. Un partito camaleonte capace di una magica trasformazione  da movimento della secessione nordista padana e anti meridionale, in un rifugio anche per  il Sud, dove la Lega si appresta a sostituire il M5S prosciugandone il bacino elettorale.

 

Con  Renzo Gubert, neo Presidente del Consiglio nazionale DC ( amico carissimo dagli anni della comune frequentazione da isolatissimi DC, della facoltà di Sociologia a Trento, dove entrambi ci siamo laureati alla fine degli  anni’60), proprio sul tema della deriva autoritaria salviniana abbiamo avviato un sereno e costruttivo confronto. Ed è proprio anche in base alle sue sollecitazioni che tento di approfondire le ragioni della nostra alternativa.

 

In questi giorni ho molto apprezzato il saggio dell’On Renato Brunetta su  “ Il Foglio” del 2 Agosto: “L’altra Italia c’è- L’alternativa ai populisti passa da partiti desiderosi di non essere più schiavi del placebo populista”, e una nota del prof  Maurizio Bettini, su “ La Repubblica” di Mercoledì 7 Agosto, intitolata: “ L’umanità nella musica di Mozart”. Invito gli amici a consultare questi due documenti, così come da parte mia raccolgo, condividendolo, l’invito formulato da padre Spadaro, direttore de La civiltà Cattolica: “ questo è tempo di resistenza umana, civile e religiosa”.

 

Tralasciando gli  atteggiamenti e i comportamenti “stravaganti “ di un ministro degli Interni uso a utilizzare i locali delle prefetture, come quella di Milano, per incontri politici di partito con gli amici europei dell’area Visigrad, sino all’utilizzo improprio dei mezzi della polizia (una scappatella del padre per il figliolo) o alla stupida esibizione di Milano Marittima a torso nudo e contorno di giovani bellezze al bagno, gaudenti al ritmo dell’Inno nazionale, sono le politiche realizzate, insieme alle colpevoli omissioni messe in atto da questo conducator, che danno sostanza alla nostra tesi politica. Con Matteo Salvini l’Italia corre un rischio serio di  progressiva involuzione autoritaria, che, se non è ancora fascismo, ha già tutti i caratteri di una svolta contraria alle regole dello stato di diritto e ad alcuni valori fondanti della nostra Costituzione. Siamo seriamente preoccupati e consapevoli che: “ quando si rompono gli equilibri istituzionali o c’è la soluzione democratica o la parola passa alla forza”.

 

Un ministro degli interni che, chiamato in causa dalla magistratura (caso nave Diciottti) se la cava, sottraendosi alle indagini, grazie al voto parlamentare garantitogli scientemente dai grillini; richiesto di esporre in commissione parlamentare notizie e fatti sul caso Siri-Arata, tuttora aperto agli sviluppi più imprevedibili, si rifiuta di presentarsi; idem sul caso Moscopoli ( oggetto di indagine della magistratura milanese) , dove direttamente chiamato in causa per la frequentazione, prima negata e poi palesemente dimostratasi vera, con Savoini, anziché presentarsi in Parlamento per rispondere si fa difendere dal presidente del consiglio Conte, ha mostrato in poco più di un anno in cui ha assunto le sue funzioni ministeriali, elementi tali da considerarlo lontano mille miglia da ciò che tradizionalmente consideriamo il ruolo di un ministro degli interni garante della libertà di tutti i cittadini italiani.

 

Aggiungiamo l’atteggiamento assunto sul grave caso dei 49 milioni di euro illegittimamente spesi dalla Lega e/o dai suoi dirigenti. Salvini con tono spavaldo ai limiti dell’impudenza, ha dichiarato: “Sono anni che vanno avanti con questi 49 milioni, a me non cambia niente. Non mi cambia la vita". Questa la replica del ministro e segretario politico della Lega a chi gli  chiedeva spiegazioni, dopo la recente sentenza della Cassazione che ha confermato la confisca di 49 milioni al suo partito . Anche stavolta legibus  solutus, in grado di sottrarsi a ogni dovere di assoluta chiarezza e trasparenza ?

 

Certo non potrà continuare a tacere se, proprio ieri, l’ex tesoriere del Carroccio, Francesco Belsito, attacca i suoi successori al vertice del partito, ossia Maroni e lo stesso Salvini, dicendo: “ non bisogna chiedere a me come sono stati spesi quei soldi, io li ho lasciati nelle casse del partito”. “Quello che è  successo dopo? Bisogna chiederlo a Maroni e Salvini. Sto valutando di fare unazione legale”,  aggiunge l’ex tesoriere della Lega.

 

Infine, ed è la cosa più importante, è sulle politiche messe in atto da Salvini e dalla Lega, che dobbiamo valutare se queste corrispondano al bene comune del Paese e agli interessi e ai valori  che come democratici cristiani intendiamo rappresentare .

 

Quanto alla politica estera assistiamo, da un lato, alla più ambigua e ondivaga posizione dell’Italia tra USA e Russia, con malcelate aperture verso la Cina di Xi Jinping,. Dall’altro, un errore dietro l’altro nella politica europea, sino all’isolamento più completo nell’Unione, persino alla rottura nel voto con il partner di governo grillino nell’elezione della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, con il rischio di non poter nemmeno ambire a una posizione di riguardo tra i commissari europei, di cui ancor oggi non si conosce il candidato italiano.

 

Infine, il capitolo più controverso, la politica dell’immigrazione, sino all’inquietante approvazione  del decreto sicurezza bis.

 

Se da un lato, coperto da una continua propaganda di cui il conducator è abilissimo interprete, le sue sparate contro le ONG gli hanno permesso di acquisire consenso, dall’altro, sul piano dei risultati concreti, costatiamo che, al di là dei finti respingimenti per qualche giorno delle navi ONG, l’immigrazione alla spicciolata continua al Sud come al Nord, con un flusso continuo e inarrestabile, e la promessa del rimpatrio degli oltre 600.000 irregolari dichiarati come già presenti al momento dell’assunzione del suo ruolo, resta una chimera, in assenza di relazioni positive con i potenziali partner europei e nord africani.

 

Viste le falle del decreto sicurezza  uno, Salvini, con la colpevole complicità e copertura dei grillini, si è allora inventato lo sciagurato decreto sicurezza bis, causa ultima della presa di posizione netta del “La Civiltà cattolica” già citata  di padre Spadaro, autorevole interprete di ciò che Papa Francesco va predicando nei suoi domenicali Angelus a Piazza San Pietro.

 

Condividendo in toto le argomentazioni espresse dai costituzionalisti  Paolo Maddalena e Gaetano Azzariti circa l’incostituzionalità di tale decreto, da parte mia, molto più semplicemente mi limito a osservare che esso appare nettamente al di fuori e contro ciò che è stabilito dall’art.10 della nostra Costituzione. Ieri il presidente Mattarella all’atto della promulgazione della legge ha espresso due “rilevanti criticità”. In una lettera inviata al presidente del consiglio e ai due presidenti delle Camere ha scritto: "Al di là delle valutazioni nel merito delle norme, che non competono al Presidente della Repubblica non posso fare a meno di segnalare due profili che suscitano rilevanti perplessità" e, in ogni caso, anche in presenza di questo decreto rimane intatto l’obbligo dei  naviganti di salvare i naufraghi. Le due criticità rilevate da Mattarella riguardano l’elevato valore dell’ammenda amministrativa che, come già evidenziato da una sentenza della corte costituzionale, finisce con l’assumere il carattere di una sanzione penale e, il secondo, concerne la norma del dl sicurezza che consente di non applicare “ la tenuità del fatto” in caso di reati contro i pubblici ufficiali. Questo, infatti, secondo Mattarella "impedisce al giudice di valutare la concreta offensività delle condotte" e nel caso di oltraggio "solleva dubbi sulla conformità al nostro ordinamento e sulla ragionevolezza nel perseguire in termini così rigorosi condotte di scarsa rilevanza" che possono riguardare anche casi che non generano "allarme sociale".

 

E’ evidente che non solo tali rilievi rimettono alla “valutazione del Parlamento e del governo l’individuazione dei modi e dei tempo di un intervento normativo sulla disciplina in questione”, ma, inevitabilmente,  prima o  poi, sarà la Corte Costituzionale a essere chiamata a decidere sulla costituzionalità  di tutto o su alcune parti dello stesso decreto.

 

Da parte mia considero grave la deriva che si è aperta a dominanza salviniana e, forte degli insegnamenti che Lugi Sturzo ci ha consegnati con il suo discorso al congresso del PPI di Torino nel 1923, contro la fronda dei popolari disponibili all’alleanza con il fascismo, e con quelli degasperiani, da lui e da tutta la DC sempre difesi, anche contro l’autorità di Papa Pacelli nel drammatico caso delle elezioni capitoline del 1952, mi batterò dentro e fuori il partito affinché ciò che resta della DC storica sappia tenere la schiena dritta in alternativa al populismo e al nazionalismo, che sta portando l’Italia allo sfascio e al totale isolamento internazionale. Tutto ciò in linea con il documento Grassi-Alessi citato.

 

Certo, decideremo insieme il da farsi nelle prossime riunioni della direzione e del Consiglio nazionale, convinti con l’insegnamento di  Aldo Moro, che, in ogni caso, sia “ meglio sbagliare tutti insieme che avere ragione da soli”, con il limite insuperabile,  almeno per me e mi auguro per tutti, di non esser mai parte attiva di un disegno autoritario, che non appartiene alla storia dei cattolici democratici e dei cristiano sociali.

 

Ettore Bonalberti

9 Agosto 2010




Lo sconquasso del Centro

 

Con il mio ultimo editoriale del 30 Luglio scorso: “ Verso un nuovo centro democratico e popolare”(www.alefpopolaritaliani.it) , avevo commentato i risultati dell’incontro demitiano di Nusco e i primi timidi segnali derivanti dall’ ”incontro segreto” di Roma tra gli amici de “ La rete bianca”, Giorgio Merlo, Giuseppe De Mita, Lucio d’Ubaldo con Pierferdinando Casini, Bruno Tabacci, Mara Carfagna e altri. Segnali orientati a dar vita a un nuovo centro democratico e popolare in grado di riunire componenti di culture e tradizioni politiche diverse, accomunate dalla volontà di difendere i valori costituzionali e di opporsi alla deriva autoritaria nazionalista e populista a dominanza salviniana.

 

Ciò che è accaduto ieri in Forza Italia, con l’emarginazione de facto di Giovanni Toti, sempre più sbilanciato nell’abbraccio con Fratelli d’Italia e la Lega salviniana, e il rifiuto della Carfagna di far parte del nuovo “comitato di liquidazione” di Forza Italia, come l’ha definito la brillante deputata campana, è il segnale della scomposizione del centro politico italiano.

 

La fantasia condita dall’indiscutibile fiuto imprenditoriale del Cavaliere ha partorito l’ennesima idea di un nuovo partito: “ L’Altra Italia” che, a detta di Berlusconi, dovrebbe costituire una federazione di tutti  i partiti, movimenti e gruppi espressione soprattutto di quel 50% di elettori sin qui renitente al voto. Un’idea che, credo, risenta molto dell’influenza esercitata dall’amico Gianfranco Rotondi, anche lui  “DC non pentito”, da sempre inserito nel partito di Berlusconi in rappresentanza di una frazione di elettorato ex democratico cristiano.

 

Come fu grazie ai compianti amici, Sandro Fontana e don Gianni Baget Bozzo, che Silvio Berlusconi scelse a suo tempo di aderire al PPE, di cui oggi è nel Parlamento europeo, il più autorevole rappresentante italiano, anche quest’ idea della federazione di tutte le componenti di centro alternative alla sinistra e al governo giallo verde, ha il sapore di un’imbeccata DC rotondiana.

 

La verità è che in questi ormai venticinque anni della sua discesa in campo, il Cavaliere, come Saturno, ha divorato molti dei suoi annunciati figli ed eredi politici, concludendo, però sempre, col riaffermare la sua immutabile leadership collegata non solo alle sue indubbie capacità carismatiche, ma anche e soprattutto all’ineluttabile legge, come diciamo noi veneti, dell’articolo quinto :“ chi che ga i schei, ga senpre vinto”.

 

L’inevitabile sfascio di Forza Italia, annunciato dagli ultimi risultati elettorali e dai sondaggi quotidiani, apre un vuoto enorme al centro dello schieramento politico nazionale, tanto più grave nel momento in cui, al tragicomico conflitto tra Lega e M5S, contraenti di un patto che li ha resi protagonisti entrambi di un ruolo a giorni alterni di partiti di lotta e di governo, in caso di elezioni politiche anticipate, l’unica alternativa al dominio salviniano sarebbe svolta, ahimè, in maniera del tutto insufficiente dal partito Democratico. Un partito anch’esso diviso tra annunciate disponibilità ad accordi con il M5S e il netto rifiuto dell’area ancora parlamentarmente maggioritaria dei renziani.

 

E’ in questo quadro che si pone una seria riflessione sul che fare al centro della politica italiana; al centro, cioè, di un sistema politico retto da una legge elettorale mista maggioritaria-proporzionale che, senza modifiche, richiede necessariamente alleanze, nel quale da molte scadenze elettorali nazionali e locali, quasi il 50% degli elettori è renitente al voto.

 

Più volte ho definito questa situazione come un classico caso di anomia politico sociale, tanto più evidente, dopo il rapporto SVIMEZ di ieri sulla tristissima condizione del nostro Meridione, in cui, non a  caso, il Movimento Cinque Stelle ha vissuto la sua effimera stagione di successo  elettorale, sino a portare ai vertici del governo, un giovane senz’arte né parte, neo Masaniello napoletano, rivelatosi, alla fine, impotente rispetto ai molti ruoli affidatigli e subalterno al conducator meneghino.

 

Senza la ricostruzione di un centro credibile, democratico, popolare, espressione di ciò che resta delle culture politiche che sono state alla base del patto costituzionale, quella cattolico democratica,  liberale, repubblicana, riformista socialista e marxista, non sarà possibile arginare la deriva nazionalista e populista salviniana. Una deriva che ha portato all’isolamento più grave dell’Italia sul piano europeo , alla confusione della nostra linea tradizionale filo atlantica in politica estera, e, dopo più di un anno di governo, all’odierna  condizione di stagnazione economica e sociale.

 

Qualche anima bella di casa nostra DC, sembra storcere il naso all’attenzione che personalmente poniamo a tutto ciò che sta accadendo a  partire dall’incontro di Roma degli amici citati de “ La rete bianca”. Certo condivido l’esigenza di volti nuovi non compromessi e più credibili, ma i tempi imposti dalla politica italiana, temo che non permettano una così drastica selezione di classe dirigente.

 

A questi Torquemada del “nuovo che avanza”, savonaroliani senza esercito, vorrei ricordare cosa scriveva il grande Niccolò nel Capitolo VI de “ Il Principe”: “De principatibus novis qui armis propriis et virtute acquirunter”

 

E debbasi considerare, come non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. Perché l’introduttore ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene, et ha tepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbero bene. La quale tepidezza nasce, parte per paura delli avversarii, che hanno le leggi dal canto loro, parte dalla incredulità delli uomini; li quali non credono in verità le cose nuove, se non ne veggono nata una ferma esperienza. Donde nasce che, qualunque volta quelli che sono inimici hanno occasione di assaltare, lo fanno partigianamente, e quelli altri defendano tepidamente; in modo che insieme con loro si periclita.”

 

Credo sia giunto il tempo di metter insieme le energie migliori presenti nell’area centrale della politica italiana, per ridare una speranza a quel 50% di elettori che non vanno a votare e rinsaldare, come seppe fare a suo tempo e per lunghi anni la DC, gli interessi e i valori dei ceti medi produttivi con quelli delle classi popolari. Noi “ DC non pentiti” siamo pronti a offrire il nostro contributo.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)

2 Agosto 2019

 

 

Verso un nuovo centro democratico e popolare

 

Seguo da lontano, dopo un intervento in ospedale, le nostre amarezze interne, dall’ultima lettera del prof Luciani e commento acritico dell’amico Tomei su persone e avvenimenti da me personalmente vissuti in modi alquanto difformi da come rappresentati.

 

Trovo stucchevole che nella grave situazione politica in cui versa l’Italia si continui a inseguire codici e pandette del tutto fuorvianti, espressione di quella “maledizione di Moro” che si accompagna da molti, troppi anni, alle nostre stupidità. Quelle che ci hanno impedito sino ad oggi di perseguire l’obiettivo che alcuni di noi si erano prefissi, sin dal lontano 2011, dopo la sentenza della Cassazione per la quale “ la DC non è mai sta giuridicamente sciolta”.

 

“Sabotatori seriali” hanno sin qui operato per impedire ai nostri sforzi compiuti dal XIX Congresso nazionale del 2012 ad oggi, di tentare la ricostruzione politica e organizzativa della DC.

 

Lascio al caro Giovanni Tomei continuare un’equivoca narrazione di qualche “puro DC” della prima Repubblica, espressione solitaria della migliore tradizione politica dei democratici cristiani, rispetto a quelli che come noi, quarta generazione della DC, si sono sempre considerati, forse indegnamente, ma alla pari, eredi del partito di De Gasperi, Fanfani, Andreotti, Moro, Donat Cattin, Marcora e Bisaglia e sino ad oggi dichiarati senza ripensamenti: “DC non pentiti”.

 

Trattasi di una ricostruzione errata e ingiusta di persone, fatti e avvenimenti che richiederebbero una diversa e ben più completa dotazione di elementi di giudizio; quelli che solo coloro che di quei fatti ebbero diretta esperienza possiedono e che, come tali, potrebbero autorevolmente svolgere senza far torto alle “realtà effettuale”.

 

Difficile stabilire il ruolo di “angeli e demoni” in una travagliata vicenda storico politica, quella del tentativo di ricomposizione dell’area cattolico popolare e democratico cristiana, che personalmente sto tentando di ricostruire, sulla base di documenti e testimonianze nel mio prossimo saggio su: “ Il travaglio politico dei cattolici italiani: 1993-2019”.

 

Grazie alla collaborazione dell’amico Leo Pellegrino, il quale mi ha inviato la prima sentenza, quella del giudice Manzo, da cui è partita tutta la diaspora post DC, ho potuto raccogliere tutte le sentenze che si sono susseguite sulla vicenda del nostro partito, giungendo alla conclusione che non è più il caso di continuare a inseguirci nelle aule dei tribunali, mentre intorno a noi è cambiato un mondo.  Sono nate almeno due nuove generazioni di italiani che della DC non hanno più alcuna idea, se non in taluni casi, quella deformata dalla “damnatio memoriae” che ci è stata accollata dalla tragica epopea di “mani pulite” e da media compiacenti e di parte.

 

Dal 1994 sono trascorsi venticinque anni nei quali tutto è cambiato; sono scomparse tutte le culture politiche che furono protagoniste nella prima repubblica, persino quella “magicamente sopravvissuta” dell’ex PCI, trasformatasi nel PDS, Margherita, PD, sino all’attuale pallida rappresentazione zingarettiana, divisa tra la nostalgia della storia marxista e l’unità a sinistra e la fuga centrista liberal moderata renziana e calendiana.

 

Ha ragione Ciriaco De Mita, quando a Nusco, alcune settimane fa, ha ricordato che l’unica cultura politica che è rimasta intatta nel suo valore è quella del popolarismo sturziano e degasperiano, facendo seguire alla sua analisi la proposta di una ricostruzione dal basso, dai territori e dagli amministratori locali, un nuovo movimento-partito dell’area popolare.

 

Con un editoriale del  5 Luglio scorso (“Luglio caldo per l’area popolare”) ho condiviso il proposito demitiano; meno quella precisazione da lui fatta in un’intervista successiva, nella quale ipotizzava la nascita di una sorta di corrente di sinistra DC da utilizzare, intanto, in chiave campana, nell’alleanza regionale con il PD del governatore De Luca e possibili sviluppi successivi in chiave nazionale.

 

Analogamente seguiamo, da qualche tempo con l’amico Giorgio Merlo, ciò che sta accadendo nell’area della “Rete Bianca” degli ex popolari impegnati e frustrati dall’esperienza nel PD, i quali con gli amici Casini, Tabacci, D’Ubaldo e altri e con Mara Carfagna, coordinatrice di ciò che resta di Forza Italia, si sono incontrati nei giorni scorsi a Roma. Un incontro importante che si pone l’obiettivo di organizzare un nuovo centro democratico e popolare, ampio e plurale, alternativo alla deriva nazionalista e populista a dominanza salviniana che sta sgovernando il Paese, ridotto al più grave isolamento in ambito europeo, e con una politica estera ondivaga e altalenante tra la Russia di Putin e  gli USA di Trump, con simpatie malcelate verso la Cina di Xi Jinping.

 

Credo che sarebbe ora che la smettessimo con le nostre diatribe di basso conio interne e fossimo più attenti a ciò che sta accadendo in quest’area centrale in movimento, interessata come noi “ DC non pentiti” a costruire una seria e credibile alternativa allo strapotere salviniano, che sta assumendo tutti i caratteri di una politica conflittuale con i valori costituzionali dell’Italia.

 

Certo servirà incontrarci per approfondire le ragioni dello stare insieme in quella che potrà assumere il modello di una federazione di culture politiche che si rifanno alla Costituzione repubblicana, nella quale noi democratici cristiani potremo e dovremo apportare il meglio della nostra tradizione politica e culturale ispirata ai valori della dottrina sociale cristiana.

 

In questi anni nei quali ci siamo persi in vicende poco commendevoli interne, abbiamo anche saputo costruire una serie di proposte politiche e programmatiche ( Sant’Anselmo, Camaldoli) con le quali siamo in grado di concorrere adeguatamente alla costruzione del nuovo centro democratico e popolare, apportandovi un serio contributo di idee.

 

Una prospettiva sulla quale dovremo tutti noi convenire, se vogliamo dare un senso agli sforzi sin qui compiuti nel tentativo, ahimè fallito, della pur importante, ma non unica e indispensabile,  ricomposizione dell’area democratico cristiana.

 

Da parte mia e degli amici di ALEF, questa è la proposta che crediamo sia più importante  realizzare nell’attuale fase delicata e pericolosa della democrazia italiana.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 30 Luglio 2019

 

 


Due riflessioni di Luglio

Cari amici vi invio queste due riflessioni sul:

a)    50° anniversario dell’avvio delle regioni a statuto ordinario (1970-2020)

b)   dialogo sulla DC con l’amico Cesare Lia su facebook

 

Il prossimo anno, 2020, saranno cinquant’anni dall’avvio delle Regioni a statuto ordinario. Fu il traguardo che la DC inseguì dalla nascita della Repubblica. Un traguardo che raggiungemmo con la guida del ministro veneziano, il compianto sen Eugenio Gatto. Con alcuni amici autorevoli del Veneto abbiamo pensato di organizzare un convegno nel 2020, in una sede importante del collegio senatoriale veneziano nel quale il sen Gatto era eletto, in ricordo di quell’avvenimento. Sarà l’occasione per analizzare rigorosamente quanto è accaduto in questi cinquant’anni di vita regionale, con tutte le luci e ombre che li hanno caratterizzati.

Credo che, anche come DC nazionale, potremmo utilizzare l’avvenimento veneto come un’opportunità speciale di riflessione sul regionalismo nella situazione politica attuale.

 

A un amico, Cesare Lia, che su facebook, a proposito del rilancio della DC, mi scrive: “senza organizzazione, come si fa ad affrontare una campagna elettorale? Non basta dire siamo la DC”, ho risposto così: prima di tutto dobbiamo esistere come iscritti al partito in tutte le province e comuni italiani; celebrare il XX Congresso nazionale  il 1 Dicembre p.v. (tempi della politica nazionale permettendo) per ricostituire, speriamo unitariamente con tutti i DC disponibili, gli organi dirigenti del partito e, in parallelo, impegnarci nella costruzione del centro più ampio democratico e popolare, alternativo alla deriva nazionalista e populista. Lo so, trattasi  di un percorso difficile e siamo come "medici scalzi" senza risorse finanziarie, ma se non partiamo dalle nostra risorse morali e culturali, le nostre virtù etiche, non c'é più speranza, non tanto per noi, ma per l'Italia. Vogliamo tentare quest’ ultimo sforzo tutti INSIEME?

 

Credo che il nostro impegno prioritario sia proprio quello che la direzione nazionale DC ha indicato e che ho evidenziato nella risposta a Cesare  Lia.

Due o tre grandi convegni interregionali, come da me già proposti alla direzione nazionale  del partito, andrebbero organizzati prima del XX Congresso nazionale del 1 Dicembre, mentre l’occasione del 50° esimo anniversario dell’avvio delle regioni a statuto ordinario, dovrebbe essere un occasione da non perdere, per rivendicare il valore originario della proposta politica dell’autonomia, da sempre sostenuta dalla DC, in continuità con la visione sturziana e degasperiana.

Un cordiale saluto a tutti voi.

Ettore Bonalberti

Direzione nazionale DC

 

Venezia, 20 Luglio 2019

Luglio caldo per l’area popolare

 

E’ intensa l’attività dell’area popolare ed ex Democratico cristiana in questo mese di Luglio. Terminato positivamente a Nusco l’incontro dei “Popolari” invitati da Ciriaco e Giuseppe De Mita, si è svolto il 3 Luglio scorso,  presso l’Istituto Sturzo a Roma, il convegno degli amici di “ Politica Insieme”.

 

La kermesse estiva continuerà con i tre appuntamenti programmati Venerdì 11 Luglio sempre a Roma: la direzione nazionale della DC, il convegno degli amici di “ Civiltà dell’amore” e il seminario degli amici del “ Libero coordinamento intermedio Polis pro Persona” sul tema:” Diritto” o “condanna” a morire per vite “inutili”? All’indomani, Venerdì 12 Luglio, annunciata l’avvio della fondazione DC di Gianfranco Rotondi e Rocco Buttiglione.

 

Sono queste le iniziative sin qui annunciate, espressione di un vasto movimento che dalla scomposizione punta alla ricomposizione dell’area  cattolico-popolare, così come avevo scritto nell’editoriale “ scomporre per ricomporre” ( www.alefpopolaritaliani.it), l’11 Giugno scorso.

 

Se a Nusco, con Ciriaco De Mita è apparsa netta la volontà di partire dal basso, dalle comunità locali e dal ruolo che gli amministratori di area popolare possono e debbono svolgere, col proposito di “pensare globalmente e agire localmente”, secondo la migliore tradizione sturziana e degasperiana, nell’incontro di Mercoledì 3 Luglio all’Istituto Sturzo, dopo la relazione introduttiva del prof Stefano Zamagni e le considerazioni conclusive  di Leonardo Becchetti, sono stati analizzate le ragioni di un ripensamento profondo di carattere “antropologico” delle categorie interpretative della nuova politica che i cattolici intendono costruire.

 

Un incontro, quello di “ Politica Insieme”, che si è concluso con la volontà di  costruire un “manifesto”, un “appello”  come quello redatto da Sturzo cento anni fa, rivolto non solo ai credenti “, ma a tutti gli uomini di buona volontà che, nei valori del cristianesimo, ravvisano le ragioni di un arricchimento straordinario di tutto ciò che è più autenticamente umano.”. Una conclusione in linea con il tipo di partecipazione ampia e plurale di varie realtà associative e di movimenti di area cattolica e popolare, interessati a compiere finalmente un cammino “Insieme” : la magica parola che, personalmente con alcuni amici, adottammo molti anni or sono per la nostra associazione e con la quale ci confrontiamo puntualmente nel nostro sito www.insiemeweb.net .

 

L’11 Luglio sarà una giornata campale di confronto e riflessione politica. Innanzi tutto la riunione della direzione della DC; di coloro, cioè, che, dalla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010 ( “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”),  tentano con molte difficoltà di concorrere alla ricomposizione politico organizzativa dell’area popolare, nella quale intendono partecipare da democratici cristiani, avendo consapevolezza che tale ricomposizione potrà avvenire sulla base della condivisione della volontà di inverare nella città dell’uomo gli orientamenti della dottrina sociale della Chiesa nell’età della globalizzazione.

 

La DC è consapevole, infatti, che la politica è lo strumento con cui i cattolici italiani possono e debbono tradurre nelle istituzioni l’equilibrio storicamente possibile tra interessi e valori dei certi medi e delle classi popolari, sulla base di un programma politico che sappia affrontare le tre questioni fondamentali nell’età della globalizzazione:

a)                 la questione antropologica, che attiene ai valori fondamentali della vita;

b)                la  questione ambientale, su cui si gioca il destino dell’umpianeta Terra;

c)                  la questione del nostro stare insieme nell’Unione europea, cl tema della sovranità monetaria e della sovranità popolare da cui                                           dipendono tutte le altre riforme per garantire lavoro, pace e sicurezza al nostro Paese.

 

Come si può notare non si tratta di proporre nostalgici e non riproponibili ritorni al passato, ma di guardare in avanti, oltre lo stadio meta o pre-politico che caratterizza molte delle trame della fitta rete che si sta intessendo per la ricomposizione dell’area.

 

La DC vuol fare i conti con il “qui e ora”, tenendo conto delle regole elettorali esistenti e dei tempi e delle scadenze urgenti che la politica italiana impone in questa delicatissima fase di prevalenza di una pericolosa deriva nazionalista e populista, contro cui la DC intende assumere una posizione di netta alternativa.

 

Senza velleità di assumere chissà quale funzione maieutica o di mosca cocchiera, specie dopo le fallimentari esperienze elettorali vissute dai timidi tentativi di esposizione degli amici “ Popolari per l’Italia” e del “ Popolo della Famiglia” nelle recenti elezioni europee,  ma con la consapevolezza di voler partecipare senza presunzioni, con una consolidata esperienza organizzativa e politica nelle vicende politiche italiane. Temi e programma che saranno affrontati nell’annunciato XX Congresso nazionale del partito che si terrà entro la fine dell’anno, a conclusione di una campagna per il tesseramento già avviata e in corso di svolgimento.

 

Tutto incentrato sulla questione antropologica, il seminario degli amici di “Polis Pro Persona”, segnalatoci dall’amico Domenico Menorello, sul tema dell’eutanasia. Gli amici di “Civiltà dell’amore”, Antonino Giannone e Giuseppe Rotunno, infine, invitando tutti gli  esponenti dei partiti e dei movimenti deìl’area cattolica e popolare italiana, intendono anch’essi concludere il loro convegno con un manifesto-appello per l’unità politica dei cattolici. Anche dall’incontro del 12 Luglio annunciato da Rotondi e Buttiglione ci auguriamo giungano fatti e propositi positivi unitari, capaci di superare tutte le divisioni e le opportunistiche utilità usucapite, non sempre legittimamente, sulle spoglie della storica Democrazia Cristiana.

 

E’ tempo di dimenticare il passato doloroso della diaspora e di porci tutti in atteggiamento di ascolto e di sereno confronto, con noi più anziani, ormai impegnati nel tragitto dell’ultimo miglio della vita, generosamente disponibili a offrire preziosi consigli alle nuove generazioni, almeno a quelle che intendono salvaguardare e attuare, con i principi della carta costituzionale, le indicazioni della dottrina sociale cristiana, unica vera e autentica alternativa alle degenerazioni del dominio dei poteri finanziari nell’età della globalizzazione.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF (www.alefpopolaritaliani.it )

Direzione nazionale DC

Venezia, 5 Luglio 2019

 

 

E’ iniziata la lunga kermesse di Luglio dell’area popolare con l’incontro organizzato a Nusco da Giuseppe De Mita e dal presidente Ciriaco, rieletto da alcune settimane a Sindaco della cittadina campana. All’incontro ha partecipato l’amico Giorgio Merlo che, a conclusione dei lavori, ha redatto l’allegata nota. Seguiremo anche i programmati prossimi incontri, augurando alle diverse associazioni e movimenti che si sono attivati ogni miglior successo. Tutto ciò che va nella direzione della ricomposizione dell’area cattolico popolare e dei democratici cristiani non può che essere positivamente valutato. E’ tempo di por fine alla diaspora che ha caratterizzato gli anni che ci separano dall’infausto 26 Luglio 1993, data nella quale la vicenda della  DC fu politicamente conclusa, anche se non giuridicamente. Da allora, da “ DC non pentiti”, abbiamo condotto la nostra generosa battaglia sin qui senza esito positivo. Ora, nel tempo del prevalere di una pericolosa  deriva nazionalista e populista, crediamo sia indispensabile il contributo che può e deve essere offerto dalla cultura e dall’impegno politico organizzativo dei cattolici democratici e cristiano sociali. Da Nusco riparte dal basso un’iniziativa cui auguriamo positivi sviluppi.

Ettore Bonalberti

Direzione nazionale DC

Venezia, 3 Luglio 2019

 

Ecco la nota dell’amico Giorgio Merlo

De Mita e Nusco, si riparte dal basso e dalle comunità locali.

La visita a casa De Mita, la relazione poderosa del presidente De Mita, la partecipazione ad un convegno fortemente partecipato da amministratori locali e sindaci a Nusco, il viaggio da Roma con l'amico Lucio D'Ubaldo. Si potrebbero sintetizzare così i passaggi che sono culminati con l'incontro promosso da Giuseppe De Mita e dalla associazione Popolari per l'Italia e che ha registrato una folta presenza di persone che hanno scoperto, e forse anche riscoperto, l'impegno pubblico ed istituzionale attraverso le autonome locali. Cioè i municipi. E il contributo di Ciriaco De Mita, al riguardo, e' stato significativo e di qualità - come sempre, del resto - per ridare autorevolezza e prestigio al filone popolare in un contesto politico confuso e disordinato. Certo, De Mita richiama. E richiama ancora l'attenzione non solo del "suo" pubblico ma di un'area molto più estesa perché con la sua rielezione a Sindaco di Nusco ha ridato speranza e voce a quell'autonomismo che affonda le sue radici nel pensiero sturziano e nel popolarismo di ispirazione Cristiana. Al di là dell'anagrafe, del destino inglorioso dei vari rottamatori nostrani e dell'esperienza accumulata nel passato, un fatto e' indubbio. Con Ciriaco De Mita in campo si può far ridecollare un filone di pensiero e un modello di partecipazione politica che sino a poco tempo parevano definitivamente eclissati. E il convegno di Nusco lo ha confermato. Senza bandiere, senza vessilli, senza gigantografie, senza capitani e senza capi ma con la forza delle idee, del radicamento territoriale e della presenza istituzionale dal basso, può rinascere una nuova stagione politica. E la forza della testimonianza personale, come emergeva dal colloquio nel suo studio di Nusco gremito di libri, documenti, appunti, relazioni varie sui tavoli di lavoro, sono la conferma che forse siamo alla vigilia di una fase politica che può archiviare definitivamente quel finto nuovismo - accompagnato da un clamoroso vuoto di idee e di progetti - che ormai da troppo tempo segna il lento declino della democrazia italiana.

E quindi, proprio da un convegno come quello di Nusco può partire una rinnovata speranza per la politica italiana e per lo stesso futuro del pensiero popolare e cattolico popolare. E cioè, una presenza organizzata di amministratori locali che può essere funzionale e propedeutico per una rinnovata presenza pubblica dei cattolici popolari italiani. Al di là di qualsiasi degenerazione identitaria, delle piccole conventicole e degli stessi equilibrismi romani.

Si parte dal basso, si parte dalle comunità locali e, soprattutto, dalla testimonianza concreta di uomini che hanno contribuito, con molti altri, a rendere forte e robusta la nostra democrazia. Per questo ringrazio il neo sindaco di Nusco e, nello specifico, un testimone eccellente della lunga, nobile e travagliata stagione del popolarismo di ispirazione cristiana.

Giorgio Merlo

Torino, 3 Luglio 2019

 

Ospitiamo un'interessante riflessione dell'amico Giorgio Merlo sul dialogo aperto per la costruzione di un nuovo centro democratico e popolare.


Il Pd e' sempre quello... Ora un centro credibile.

C'è poco da fare. Il Pd non cambia. Non è una gran novità, del resto. Quando una formazione politica e' costellata da una miriade infinita di correnti organizzate, o di bande, e' francamente difficile perseguire un disegno politico di unità, di compattezza e, soprattutto, con un progetto politico chiaro ed immediatamente percepibile. Perché, purtroppo, e' su questo versante che si è consumata la "scissione" più grave, cioè quella con il suo "popolo". Come le ripetute elezioni nazionali e locali dal 2018 in poi hanno platealmente confermato. E l'ultima Direzione Nazionale del partito non è stata che la conferma, l'ennesima peraltro, di questo andazzo. Un film già scritto e troppo noto per essere descritto nei dettagli. La trama prevede che ci sono botte da orbi nei giorni che precedono la Direzione tra le molteplici correnti e i rispettivi capi e supporter. Poi c'è la puntuale "tregua" nel dibattito in Direzione con il consueto richiamo ai contenuti, al programma, al richiamo dell'unità che sale dalla base e, novità di questi tempi, la lotta per difendere la democrazia contro il pericolo - ovviamente del tutto immaginario e virtuale - della dittatura illiberale, del ritorno al fascismo e della perdita delle libertà civili. Dopodiché, a poche ora dalla fine della Direzione si ritorna puntualmente a ciò che si diceva sino alla vigilia. E cioè, minacce di scissione, insulti interni, delegittimazione della minoranza e accuse violenti a chi guida pro tempore il partito. Appunto. Un film già visto mille volte con la stessa trama e lo stesso epilogo.

Ora, di fronte ad un quadro del genere, l'unica domanda a cui non si riesce a dare una risposta politica credibile e soprattutto percorribile, e' se "questo" Pd ha la forza politica, culturale, programmatica e morale per ricostruire una vera, e non virtuale, alternativa politica al centro destra questo paese. Se "questo" Pd ha la forza per diventare realmente il perno di una alleanza che non sia una banale e grottesca coalizione dove  a tavolino viene deciso chi copre il fianco sinistro, chi il fianco destro e chi il fianco centrista/cattolico come pensano di fare Zingaretti e Calenda e altri.

Non avendo la certezza, com'è ovvio, che questi elementi basilari siano ancora nelle corde del Pd, e' giunto realmente il momento per avviare il processo "costituente" di una forza di centro plurale, di governo, riformista, innovatore e culturalmente all'avanguardia. Una formazione politica che crede sino in fondo nella "cultura delle alleanze" al di là e al di fuori di qualsiasi e strampalata "vocazione maggioritaria" o di una grottesca pianificazione della coalizione dall'alto. Una formazione che deve coltivare l'obiettivo da un lato di far ritornare la politica protagonista rifuggendo da qualsiasi demagogia e propaganda a buon mercato e, dall'altro, che abbia la capacità di essere culturalmente inclusivo e aperto a tutti coloro che in questi ultimi tempi o si sono rifugiati nell'astensionismo o hanno continuato a votare stancamente i partiti esistenti. Mondi vitali e pezzi di società reale che in questi ultimi anni non hanno più avuto alcuna rappresentanza politica organizzata e che adesso, invece, richiedono ad alta voce una presenza politica vera e competitiva. Perché non sono solo gli autorevoli appelli di molti opinionisti sui principali organi di informazione a richiamare la necessità di dar vita ad un soggetto politico democratico, riformista e di centro. Ma ormai, com'e' evidente a tutti, questa richiesta parte da settori sociali e culturali consistenti e pezzi di società civile per una rinnovata presenza politica ed organizzativa.

Questa è, oggi, una delle priorità del campo riformista e democratico. Al di là dei politicismi e della politica politicante.

Giorgio Merlo

Torino, 19 Giugno 2019

 

Crisi di sistema

 

Dopo il potere legislativo e quello esecutivo, con quanto sta accadendo al CSM, siamo alla crisi di sistema di cui, da tempo, va enunciando Massimo Cacciari.

 

Il Legislativo vive la condizione malferma di un parlamento espressione di una metà dell’elettorato e risultato di una legge elettorale incapace di garantire una maggioranza stabile di governo.

 

L’esecutivo, come quello sorto dopo il voto del 4 Marzo 2018, figlio  della situazione di cui sopra, sostanzialmente è l’espressione di un “contratto necessitato”, che ha comportato l’avvio di un’alleanza di tipo trasformistico tra due partiti portatori di interessi e di valori diversi e per molti aspetti alternativi. Un’alleanza  resa ancor più precaria dal mutamento nei rapporti di forza e di consenso tra i due soggetti, Lega e M5S, contraenti del contratto di governo, ottenuti reciprocamente tra il voto di Marzo 2018 e quello delle recenti elezioni europee.

 

Lo sfascio che sta vivendo il CSM, infine, è il segnale drammatico di una crisi della giustizia con la quale appare in tutta la sua evidenza, la crisi di sistema dell’Italia. Si aggiunga (risultato delle politiche maldestre del governo giallo verde ) il più forte isolamento internazionale dell’Italia nell’Europa, della cui Unione il nostro Paese è socio fondatore con una politica estera ondivaga tra le rituali ubbidienze alle tradizionali alleanze  occidentali e le pericolose aperture verso la Russia di Putin e la Cina di Xi Jinping.

 

Anche sul fronte degli enti locali, dopo l’infausto riforma del Titolo V° della Costituzione, si vive con forti  e diverse preoccupazioni l’irrisolta questione della  maggiore autonomia delle regioni del Nord; la crisi strutturale dei bilanci di molti comuni italiani ;  la confusa situazione della chiusura-non chiusura delle province con tutti i problemi di attribuzione delle competenze tra le stesse province, i  comuni capoluogo  e le città metropolitane nate, sin qui, solo sulla carta .

 

Se osserviamo anche la condizione della società civile utilizzando la nostra teoria euristica dei quattro stati: la casta, i diversamente tutelati, il terzo stato produttivo, il quarto non stato, ciò che emerge è il prevalere di una condizione di anomia morale, culturale, sociale, economica e finanziaria, caratterizzata dal prevalere di una scarsissima solidarietà di tipo meccanico funzionale, dal venir meno delle comunità, da una diffusa condizione di frustrazione premessa di possibili fenomeni di rivolta sociale, sin qui sotto traccia.

 

Quali sono oggi gli interessi e i valori prevalenti? Interessi “particulari” innanzi tutto e bene comune ridotto a un oggetto misterioso per lo più dimenticato. Sul piano dei valori sono più diffusi quelli di natura egoistica, di esclusione e di chiusura alla comprensione e all’ascolto. Di qui la riduzione della politica a slogans di immediata e facile comprensione, con la comunicazione prevalente e diffusa dei social media e la politica ridotta a tweet e a scambi spesso irripetibili su facebook e instagram.

 

Col venir meno dei riferimenti politico culturali tradizionali, quelli che sono stati alla base della nascita della Repubblica e del patto costituzionale, nell’attuale deserto delle culture politiche, lo strumento essenziale per offrire la soluzione storico politica all’ esigenza dell’equilibrio tra interessi e valori, ossia al ruolo proprio  della politica, risulta inesistente e/o incapace di dare risposte, se non attraverso sporadici e occasionali mezzucci, più in linea con le tecniche di propaganda che con soluzioni e proposte di ampio respiro e di lungo periodo.

 

In questa condizione di crisi di sistema, la maggioranza giallo verde al governo, ahimè, con la crisi della sinistra e l’assenza di un centro democratico, popolare e liberale credibile, sembra non avere alternative; salvo l’alternativa di un’alleanze di estrema destra, come quella indicata da Giorgia Meloni tra Lega e Fratelli d’Italia. Una maggioranza quest’ultima che darebbe, dopo settant’anni di vita della Repubblica, la guida del Paese alla destra estrema

 

Noi “ DC non pentiti”, “ultimi dei mohicani” del grande partito di De Gasperi e Aldo Moro, le abbiamo tentate tutte dal 2012 in qua, e adesso dobbiamo ragionevolmente gettare la spugna, sconfortati dallo spettacolo indecoroso avviato da alcuni “sabotatori seriali”  con il sostegno di alcuni legulei interni, ai quali spetterà la responsabilità del definitivo affossamento di ogni possibilità di dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione secondo cui :“ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”. Difficile ricomporre ciò che si è frantumato sino alla spaccatura dell’atomo negli invisibili quark delle listarelle presentatesi alle ultime elezioni europee. Difficilissimo sarà uscire da quel travaglio politico del cattolicesimo politico italiano avviatosi con la fine della DC nel 1993.

 

Per tale ricostruzione servirebbe un profondo mutamento spirituale e culturale, prima ancora che politico e organizzativo, senza il quale temo sarebbe impossibile affrontare le tre questioni essenziali del caso italiano e  dell’evidente crisi di sistema:

a)      la questione antropologica, che attiene ai valori fondamentali della vita:

b)     la questione ambientale, su cui si gioca il destino dell’umanità e del pianeta               Terra;

c)       la questione del nostro stare insieme nell’Unione europea, collegato al tema della sovranità monetaria e della sovranità popolare da cui dipendono tutte le altre riforme per garantire lavoro, pace e sicurezza al nostro Paese.

 

Quanto al primo tema si tratta di testimoniare e tradurre sul piano istituzionale le indicazioni della dottrina sociale cristiana: dall’”Humanae Vitae” di San Papa Paolo VI a quelle di Papa Francesco. Quanto al tema ambientale, si tratta di impegnarci a tradurre sul piano politico istituzionale quanto indicato da Papa Francesco nella sua straordinaria enciclica “ Laudato Si”. Infine, per quanto riguarda il terzo punto, dopo ciò ho reiteratamente descritto sul ruolo dei poteri finanziari internazionali, in accordo con quanto indicato dall’amico Alessandro Govoni, con cui da molto tempo discutiamo di tali temi, mi permetto condividere queste concrete azioni di governo da lui espresse :

 

1) il  governo emetta un decreto con cui obbliga Banca Intesa, Unicredit, Carisbo, Carige, BPM,  UBI Banca e  MPS a cedere le proprie quote entro due mesi al Tesoro al prezzo di mercato, in questo modo Banca d'Italia ritorna ad essere pubblica essendo esse le sue azioniste con maggioranza di voto 

 

2) il  governo emetta un decreto con cui obbliga Telecom a cedere le proprie quote entro due mesi al Tesoro al prezzo di mercato al fine di nazionalizzare i cavi  intranet /internet da cui passano i flussi elettronici tra banche, in quanto per ragione di sicurezza statale non possono rimanere in mano privata.

 

3) il  governo emetta un decreto con cui obbliga Autostrade Spa a cedere le proprie quote entro due mesi al Tesoro al prezzo di mercato in quanto lungo le direttive autostradali passano i cavi  intranet /internet da cui passano i flussi elettronici tra banche. 

 

4)il  governo emetta un decreto con cui obbliga Assicurazioni Generali, Ina, Alleanza e Toro a investire il denaro raccolto solo in titoli di Stato e non piu nell'azionario  

 

5)il  governo emetta un decreto con cui obbliga le banche suddette a raccogliere davvero il denaro tra il pubblico e non più a creare i conti di deposito con un clic , per un importo pari al 200% dei prestiti, tramite veri certificati di deposito, premi assicurativi e obbligazioni emesse, che significa separazione bancaria  .

 

6)il  governo emetta un decreto con cui proibisce le vendite allo scoperto  

 

7)il  governo emetta un decreto con cui proibisce agli enti locali e al Tesoro di contrarre derivati sul tasso e sulla valuta 

 

8)il  governo emetta un decreto con cui conferisce l'obbligo alle Procure di smontare i derivati esistenti facendone statuire la truffa contrattuale su semplice notizia della GDF o del cittadino di esistenza di un derivato in seno all'ente locale o al Tesoro dello Stato 

 

9)il  governo emetta un decreto con cui paga di piu al quintale gli agricoltori che coltivano SORGO DOLCE ETIOPE e CANAPA

 

10) il  governo emetta un decreto con cui crea almeno un milione di metri quadri di impianti di macerazione del SORGO DOLCE ETIOPE e della CANAPA  

 

11) il  governo emetta un decreto con cui ricava dalla macerazione del  SORGO DOLCE ETIOPE  BIO- BENZINA

 

12)il  governo emetta un decreto con cui ricava dalla macerazione della CANAPA farmaci rigeneranti  delle cellule danneggiate dal benzene

 

13)il  governo emetta un decreto con cui impedisce a  compagnie aeree private e ad aerei privati di irrorare nei cieli agenti chimici,  per non far piovere da settembre a marzo. 

 

14)il  governo emetta un decreto con cui impedisce la circolazione delle auto,  salvo siano alimentate da BIO BENZINA e da BIO DIESEL

 

 

15)il  governo emetta un decreto con cui dichiara lo stato di allerta nazionale per evitare attività di destabilizzazione dell'ordine interno ad opera dei banchieri della Germania dell'Est Rotshshild e J.P. Morgan, da parte dei loro fondi speculatori (Vanguard, State Street, Northern Trust, Fidelity, Francklyn Templeton, Black Rock, Black Stone/Mc Graw Hill, Morgan Guaranty Trust Company, Bnp Paribas Trust ) e da parte delle loro banche d'affari (Morgan Stanley, Merryl Linch, Dexia Crediop, UBS, Credit Suisse, Goldman Sachs, Deutsche Bank...)   che oggi controllano le banche suddette, la Telecom, le Autostrade Spa, che seguono le vendite allo scoperto, che hanno piazzato al Tesoro e agli enti locali i derivati sul tasso e sulla valuta,  e  da parte delle loro industrie ( Unilever, Procter&Gamble, Bayer/Basf/Montsanto,..),  

 

I provvedimenti suddetti sono necessari  affinchè lo Stato italiano e non questi banchieri della germania dell'est,  ricominci ad incassare. E  sarebbero in linea con la migliore tradizione della DC in materia di politica bancaria e finanziaria difesa sino all’infausto decreto Barucci-Amato del 1992 che determinò il superamento della legge bancaria del 1936 dalla DC sempre difesa.  Il sottosegretario al ministero del Tesoro e finanze, On Villarosa, che ben conosce questi temi, potrebbe/dovrebbe farsi carico urgentemente di queste indicazioni trascinando il M5S dalla fase delle proteste a quello delle proposte di riforma reali per il bene del Paese.

 

Ettore Bonalberti

Direzione nazionale DC

Venezia, 18 Giugno 2019

 

 

 

 

 

Scomporre per ricomporre

 

“Scomporre per ricomporre” fu una celebre frase di Aldo Moro, utilizzata in una fase difficile della vita interna della DC, che ben si presta a connotare il momento complesso che stiamo vivendo.

 

Dopo l’ultima verifica elettorale delle elezioni europee  con la conferma dell’irrilevanza elettorale delle “listarelle” di area cattolica presentatesi velleitariamente divise ( la lista dei “ Popolari per l’Italia” di Mauro e Tarolli e la lista de “ Il Popolo della famiglia” di Mario Adinolfi), si stanno adesso organizzando incontri e convegni a cadenza giornaliera, altra dimostrazione di un processo di scomposizione senza soluzione di continuità.

 

In ciascuna di queste iniziative è affermata la volontà di ricomporre, così com’è stato ben indicato nell’incontro promosso ieri a Roma, dagli amici Giuseppe Rotunno e Antonino Giannone ( “Civiltà dell’amore”) con la proposta di un  rinnovato “Appello ai nuovi Liberi e Forti” “ del nostro secolo . E, ritengo,  ci sia la stessa volontà nelle annunciate riunioni degli organi dirigenti convocati dagli amici di “Costruire insieme” e dei “Popolari per l’Italia”.

 

Meno comprensibile, invece, il permanere di una dissennata campagna all’interno di ciò che resta della DC storica guidata dall’amico Renato Grassi, per l’azione condotta da alcuni amici “sabotatori seriali”, i quali, dal 2012 in poi hanno cercato di ostacolare in tutti i modi i tentativi che, con Silvio Lega prima e con Gianni Fontana e Renato Grassi poi, abbiamo svolto per dare pratica esecuzione alla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010, secondo cui: “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta.” Sabotatori ben assecondati da alcuni amici  che sembrano assaliti dalla smania delle pandette e dei codici, convinti che il tema della ricomposizione dell’area democratico cristiana, prima ancora di quella cattolico popolare, sia materia da risolvere nelle aule dei tribunali e non, invece, come essa è di natura esclusivamente politica e culturale.

 

Velleitaria per non dire anacronistica, infine, l’iniziativa assunta dagli amici Gianfranco Rotondi e Rocco Buttiglione, i quali, essendo stati dichiarati privi di qualsiasi titolo a riguardo dell’eredità giuridico - politica della DC, dalla sentenza della Cassazione, fatta proprio a seguito di un loro ricorso avverso ad analoga sentenza della corte d’appello di Roma, tentano di riproporsi come legittimi eredi di quel partito, sino a dichiarare di voler rinunciare a nome e simbolo, non di loro spettanza,  per dar vita a una fondazione ispirata ai valori del popolarismo. A questa iniziativa ha risposto in maniera efficace Renato Grassi, segretario nazionale della DC, eletto dal XIX Congresso nazionale del partito del 14 Ottobre 2018, con una nota pubblicata nel sito ufficiale della DC: www.democraziacristiana.cloud

 

Mi segnalano, infine, un altro tentativo di Gianni Fontana, autosospesosi dalla presidenza della DC, di dare avvio anch’egli a  una fondazione per la formazione di una nuova classe dirigente, quale sviluppo di quell’associazione da lui a suo tempo costituita, dapprima e in parallelo alla stessa vicenda interna della DC.

 

Emerge, dunque, un quadro assai diverso e dispersivo della situazione anche solo osservandola nell’area del tutto angusta di ispirazione democratico cristiana.

 

Allargando la visuale a quella più ampia cattolico popolare, le cose non sono molto diverse e, tanto meno, migliori, dato che anch’essa sta ancora sperimentando il lungo travaglio politico culturale che si trascina dal 1993, anno della scomparsa politica della DC.

 

In questa situazione è comprensibile che il Presidente della CEI, card Gualtiero Bassetti, in un’intervista a Repubblica, abbia dichiarato: “ Se oggi i cattolici votano Lega significa che è profonda la crisi  di altre  proposte”.

 

Dovrebbe essere questo il punto di partenza di ogni nostra riflessione: se non ricostruiamo l’unità politico culturale dell’area cattolica e popolare, la deriva nazionalista e populista che raccoglie la maggioranza dell’elettorato attivo italiano ( poco più del 50%) è destinata a prevalere per molto tempo ancora, al di là delle insufficienze e incompetenze di un governo giallo verde che sta portando l’Italia al più completo isolamento europeo e allo sfascio economico e finanziario.

 

Ecco perché crediamo sia necessario da parte di tutti sotterrare le asce di guerra e ritrovarci attorno a un tavolo ripartendo da ciò che ci unisce e abbandonando ciò che ci divide. Senza quest’azione di ricomposizione dell’area cattolica e popolare italiana, il destino del nostro Paese sarà a forte rischio. Serve la disponibilità di ciascuno a rinunciare alle proprie  ambizioni e puntare a un’azione di coordinamento paritetico effettivo, per tentare di dar vita a un’Unione dei Movimenti Popolari Italiani; ossia a un nuovo centro ispirato dai valori dell’umanesimo cristiano, che si ponga due obiettivi strategici essenziali: l’impegno a tradurre nella città dell’uomo le indicazioni della dottrina sociale cristiana e a difendere e attuare integralmente la Costituzione Italiana.

 

Eventuali velleità di qualcuno di assumere prioritariamente una funzione di guida vanno assolutamente evitate, per sostenere un processo di sviluppo partecipato e democratico attraverso cui favorire l’emergere di una nuova classe dirigente di cattolici e popolari, credibile e pronta a impegnarsi nelle sedi locali e ai diversi livelli istituzionali regionali e nazionali.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)

Venezia, 11 Giugno 2019

 

 

 

 


 

Dopo l’intervento di Ettore Bonalberti  ( ultimo editoriale:“ Festa della Repubblica?) si è aperto il dibattito sulla costruzione del nuovo centro della politica italiana. E’ intervenuto il sen Lucio D’Ubaldo sulla rivista “ Il Domani d’Italia” con la nota: “ Il centro da ricostruire. Risposta a Bonalberti” e, adesso, abbiamo il piacere di pubblicare l’intervento dell’On Giorgio Merlo : “ Centro, modello Margherita?”

 

Centro, modello Margherita?

 

Dunque, dopo il voto europeo emerge, tra gli altri, un dato politico sufficientemente chiaro. Ovvero, il ritorno del "centro" non solo è indispensabile ma addirittura necessario in un sistema ormai fortemente proporzionale. E questo non perché i detrattori storici del centro, del partito di centro e del progetto politico e culturale del centro come Panebianco e molti altri, lo rivendicano e lo richiedono ormai a giorni alterni sui grandi organi di informazione. Ma per la semplice ragione che il ritorno del proporzionale, della destra - finalmente - e di una pallida sinistra, anche se ancora elitaria, borghese e profondamente legata all'establishment, impone la presenza di un "centro" democratico, riformista, plurale e di governo. Non per rivendicare un posizionamento geografico o autoreferenziale ma per battere quella radicalizzazione della lotta politica, o degli "opposti estremismi", che ha come unico obiettivo quello di indebolire il nostro tessuto democratico e di creare le condizioni per una contrapposizione politica fine a se stessa.

 

Insomma, un "centro" che riequilibra il quadro politico italiano e che, al contempo, offra una risposta politica ad un pezzo crescente di società che non si sente più rappresentato dagli attuali partiti. Anche se, come la Lega di Salvini, raccoglie ormai un consenso di massa paragonabile alla vecchia Democrazia Cristiana.

 

Un "centro" che, come ovvio, deve essere culturalmente plurale capace di raccogliere attorno al suo progetto politico sensibilità e filoni ideali diversi ma tutti accomunati attorno ad un progetto che non radicalizza lo scontro politico. Un "centro" che non sia goffamente l'emanazione del partito di maggioranza della coalizione. E' curiosa e singolare la tesi, al riguardo, di Calenda che vuol dar vita ad un partito chiedendo l'autorizzazione e il permesso alm suo "capo" partito, Zingaretti. Una concezione alto borghese, elitaria e aristocratica della politica - del resto coerente con la sua provenienza di ex braccio destro di Montezemolo - che non può neanche essere presa in considerazione come progetto politico credibile e praticabile. Come non può essere credibile un "centrino" che coltiva il solo obiettivo di accompagnare, senza disturbare, il cammino del principale partito della coalizione. No, serve un centro, cioè un partito di centro, che sappia porsi come vero interlocutore della intera politica italiana senza rassegnazione e senza timori reverenziali.

 

Ma per avere un partito di centro credibile che non ripeta le degenerazioni e le cadute di credibilità degli altri partiti, deve avere certamente un leader, o più leader, ma non un "capo". O meglio, non deve avere solo un "padrone". E se non si vuole cadere in questa tentazione, l'unico antidoto reale e credibile resta quello di dar vita ad un partito con un modello "federativo". Dove si garantisce alle varie sensibilità culturali di avere piena cittadinanza nel partito da un lato e di riconoscersi in una leadership dall'altro che non si trasformi progressivamente in una concezione dispotica e cesarista.

 

Certo, tutti sappiamo che la personalizzazione della politica contemporanea e' la cifra per eccellenza che regola e disciplina la vita concreta dei vari partiti. Ma sappiamo altrettanto che un centro che vuole anche recuperare un metodo profondamente democratico non può appaltare il suo futuro esclusivamente alle fortune del suo capo o del suo padrone momentaneo.

 

Ecco perché il modello politico ed organizzativo della Margherita, al riguardo, resta un esempio da recuperare e da riattualizzare nell'attuale contesto politico italiano. E questo non per replicare quell'esperienza politica ma per la semplice ragione che proprio quel modello conserva una bruciante modernità democratica e partecipativa non lontanamente paragonabile alle degenerazioni che attraversano i partiti contemporanei.

 

Un partito, dunque con un chiaro profilo di centro da un lato e con un modello organizzativo, dall'altro, che rimarchi una netta discontinuità rispetto ai cartelli elettorali che ormai dominano incontrastati. Solo così potremmo parlare di una nuova esperienza politica, culturale, programmatica e anche organizzativa. Ora, però, tocca muoversi. E in fretta. Come giustamente invoca ed auspica Angelo Panebianco dalle colonne del Corriere della a Sera. E con lui molti altri opinionisti, commentatori e politologi. Nonché, e soprattutto, moltissimi cittadini italiani ormai senza partito e senza una credibile rappresentanza politica ed organizzativa e che continuano a rifugiarsi nell'astensione.

 

Torino, 6 Giugno 2019

Giorgio Merlo.


Sulla vera natura di un movimento partito come il Movimento Cinque Stelle pubblichiamo questo interessante articolo dell'On Mauro Mellini. E' palese la violazione dell'art.49 della Costituzione repubblicana.


 

MACCHE’ “MOVIMENTO”, E’ CASALEGGIO E ASSOCIATI S.R.L.

 

            Non lo abbiamo scoperto noi. E’ cosa riconosciuta e comprovata. Se ne è scritto in giornali ed in libri. Quello dei “Cinque Stelle” non è un partito, o qualcosa che gli somigli, una associazione di cittadini mossi da sentimenti e convincimenti politici comuni che si siano messi assieme per esercitare il diritto sancito dell’art. 49 della Costituzione.

            Il cosiddetto Movimento 5 Stelle è un pezzo della proprietà della “Casaleggio e Associati” S.r.l., uno strumento di produzione di quel lucro che è il fine di tale società.

            Si è contestato, non senza fondamento, a Berlusconi di essersi considerato sempre il “proprietario” di Forza Italia. Berlusconi era (e per quel che ne resta, è) l’unico che pone e dispone di Forza Italia, partito senza organismi collegiali e con dirigenti che non siano nominati da lui, dal padrone. Che è quello che “ci ha messo e ci mette i soldi” (e “la faccia”).

            Nel cosiddetto Movimento 5 Stelle, Casaleggio, prima il padre, poi il figlio, i soldi ce li ricavano e, a quel che si dice, molti.

            Il rapporto tra consiglieri, deputati, senatori cinquestelluti e movimentisti è, in realtà rapporto con la società Casaleggio e Associati S.r.l. Sono dipendenti con una sorta di “rapporto di lavoro”, con uno “Statuto” che è una sorta di contratto collettivo con carattere privatistico.

            Gli eletti “rendono” alla S.r.l. Casaleggio versando una quota delle loro indennità. Sono munti come vacche da latte.

            Non a caso Di Maio viene chiamato “capo politico” dal Movimento. Il che sta a significare che a gestirlo ci sono altri capi che si occupano della baracca redditizia.

            Ma, mentre il carattere “patrimoniale” di Forza Italia è stato sbattuto in faccia a Berlusconi ed a tutti gli aderenti e considerato di per sé motivo di diffidenza e di presa di distanza di quel partito, dal suo leader e dalla sua politica, con la “Casaleggio S.r.l.” hanno trattato non solo oggi la Lega e Salvini, ma in passato anche Renzi ed altri.

            E, mentre contro il finanziamento dei partiti si è fatta una legge chiaramente diretta a renderlo difficile ed a farne quasi un delitto, nessuna regola è stata imposta, se non la stessa rappresentata dalla Costituzione, per impedire o, almeno, ostacolare, limitare, lo sfruttamento di quelli che vengono presentati al Paese come “partiti” quale fonte di redditi ed oggetto patrimoniale redditizio di società e imprese più o meno chiare. E’ questa la più grave e disgustosa manifestazione di ipocrisia che abbia dato il nostro mondo politico.

            Gli espedienti per “mungere” gli eletti 5 Stelle (e, di conseguenza la buona fede degli elettori) sono vari e spesso illegittimi alla luce delle stesse disposizioni costituzionali. Basti pensare alle “penali” a carico dei Parlamentari che lasciano il Movimento ed i suoi Gruppi: norma che sfacciatamente viola il “divieto del vincolo di mandato” per gli Eletti in Parlamento.

            Si dirà che il versamento di una quota dell’indennità non l’hanno inventata né Casaleggio né Di Maio. Ma, a parte l’entità, una cosa è il concorso alle spese del proprio gruppo parlamentare ed il versamento al Gruppo, ad altri Parlamentari con i quali si lavora, altra il versamento al “proprietario” del partito, ad una società a scopo di lucro di cui il partito è  solo l’ombra.

            Vi sono dei corollari di questa sciagurata invadenza di una società di lucro nello sfruttamento della vita politica istituzionale dello Stato che, solo ad ipotizzarli, fanno rabbrividire.

            Anche se gli affari della Casaleggio e C. vanno a gonfie vele, non può escludersi l’ipotesi di un eventuale fallimento.

            In tal caso la Curatela fallimentare ed il Tribunale metterebbero piede (e le mani) nel funzionamento di un gruppo parlamentare e disporrebbero dei Parlamentari.  Mezzo Parlamento sarebbe sottoposto a qualcosa che ha a che vedere con la procedura concorsuale.

            Nessuno ha sollevato tale questione di estrema delicatezza. Certamente ogni specifico rimedio normativo rischierebbe di apparire ancora più gravemente lesivo dei principi di libertà e di autonomia del Parlamento di quanto già non lo sia questa assurda baracca di sfruttamento della politica e della vita delle istituzioni cosiddette democratiche. Un personaggio che ben conosce il marchingegno della Casaleggio S.r.l., interrogato da un giornalista sulle prospettive di sopravvivenza dell’attuale Governo, ha risposto che questo durerà finchè Salvini non farà il nome di Casaleggio.

            C’è proprio bisogno che lo faccia Salvini?

           

                                                                                                Mauro Mellini

           

03.06.2019





Festa della Repubblica?

 

Oggi è il 2 Giugno, data nella quale celebriamo la scelta repubblicana compiuta dal popolo italiano nel 1946 . E’ la festa di tutti gli italiani, ma, in realtà, oggi abbiamo assai poco da festeggiare.

 

La condizione di anomia  morale, culturale, sociale, politica e istituzionale, si accompagna a una crisi economica e finanziaria che si rivelerà in tutta la sua drammaticità nel prossimo assetto di bilancio dello Stato 2020.

 

E’ in crisi il parlamento, espressione di una realtà sostanzialmente rovesciata dal voto europeo; è in crisi l’esecutivo, sia per i permanenti litigi nell’interpretazione del contratto stipulato dopo il voto del 4 marzo 2018, che in relazione al capovolgimento dei rapporti di forza tra Lega e Movimento Cinque stelle; è in crisi la Magistratura, squassata dalle inchieste sul PM Palomara e su altri componenti dell’organo supremo di governo dell’ordine giudiziario.

 

E’ in crisi l’Italia nelle sue relazioni internazionali che, dopo il voto di domenica scorsa, la relegano in un ruolo di assoluto isolamento nel contesto europeo, al di là delle malcelate ambizioni di Salvini di rappresentare un punto di riferimento per il variegato gruppo sovranista sostanzialmente ininfluente nei giochi effettivi del potere dell’Unione.

 

Mai l’Italia, Paese fondatore dell’Unione, terza potenza industriale europea, si era ridotta a questo stato di miserrimo isolamento, aggravato dalle tragicomiche vicende della lettera di risposta del Ministero dell’Economia e Finanze alla nota della commissione europea sugli scostamenti di bilancio 2018.

 

La condizione di anomia più volte denunciata, si caratterizza dalla stabilizzazione della renitenza al voto di quasi il 50% dell’elettorato italiano, dalle difficoltà permanenti dei ceti medi produttivi e dalla condizione, in molti casi, disperata delle classi popolari, specie nelle regioni meridionali, dalle quali un flusso straordinario di giovani in fuga verso il Nord e verso l’estero, insieme ai dati gravissimi della demografia, sta depauperando le residue risorse di quella parte così importante della nostra amata Italia.

 

Si aggiunga lo scempio di un governo che, per sostenere le sue dissennate politiche economiche e sociali, sta usando gli oltre 16 milioni di pensionati italiani come bancomat da cui prelevare a scadenze prefissate quote parti dei loro sacrosanti diritti

 

Anche il Nord è in sofferenza e vive la contraddizione di una guida dei governi locali con formule di centro destra alternative a quella giallo verde sin qui dominante a livello centrale, incapaci di trovare una soluzione compatibile a quella necessità di maggiore autonomia accertata negli ultimi referendum lombardo veneti.

 

Quel che è più grave è la situazione politica di un Paese nel quale non sembra esserci un’alternativa reale e credibile a una maggioranza ormai allo sfascio.  Il disagio sociale che si era espresso nel voto a favore della Lega e del M5S, quest’ultimo specialmente nel Sud d’Italia, col voto europeo ha semplicemente mutato il senso di direzione, assegnando a Salvini un ruolo di dominus verso il quale la giovane Meloni da tempo ha offerto la disponibilità per un cambio di maggioranza nel segno di una destra sempre più estrema, senza nemmeno più la copertura berlusconiana di Forza Italia. Un’area elettorale, quest’ultima, alla quale guardiamo con grande interesse per l’alternativa alla deriva di destra estrema nella politica italiana.

 

Il PD è in ripresa, ma da solo, al 22%, al di là di un possibile recupero di ciò che è rimasto alla sua sinistra, nulla potrà se non nascerà un centro di ispirazione democratica e popolare aperto alla collaborazione con una sinistra  socialdemocratica di stampo europeo, con la quale impegnarsi nell’unica strategia politica oggi indispensabile all’Italia: la difesa e l’attuazione  integrale della Costituzione repubblicana.

 

E’ il tema che, con ben più autorevoli amici ex DC e di area liberal democratica, ci stiamo proponendo, interessati a costruire un vasto “rassemblement populaire”, un’Unione dei Movimenti Popolari Italiani (UMPI) laica, democratica, popolare, riformista, europeista, trans nazionale, ispirata ai valori dell’umanesimo cristiano, alternativa alla deriva nazionalista e populista che sta portando l’Italia allo sfascio.

 

Ci impegneremo, confortati della presenza oggi nel Paese, dell’unica straordinaria risorsa politico istituzionale rappresentata dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, attorno al quale ci stringiamo, fedeli, ora come allora, alla nostra Costituzione repubblicana.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 2 Giugno

 

 



Primo scippo ai pensionati italiani

 

 

Alla  vigilia della festa della Repubblica controllando il mio conto corrente mi sono trovato il primo “regalo” del governo giallo verde: una prima decurtazione del trattamento pensionistico, un vero e proprio scippo del diritto acquisito dopo anni di lavoro e di contributi versati sulla base di un patto con lo Stato che, da Stato di diritto, Salvini e Di Maio hanno trasformato in uno Stato di rovescio.

Partecipo spiritualmente alla manifestazione nazionale dei pensionati, colpevolmente oscurata dai media, che si tiene oggi a Roma, denunciando un’irresponsabile classe dirigente che tratta i pensionati italiani come un bancomat da cui prelevare le risorse per le loro dissennate politiche economiche e sociali.

Prima fermiamo questa deriva reazionaria e ci battiamo per costruire l’alternativa democratica e popolare fedele alla Costituzione è meglio sarà per l’Italia.


Ettore Bonalberti

1 Giugno 2019


Ospitiamo con interesse questa nota dell’amico Giorgio Merlo sulle prospettive dopo il voto europeo. Troviamo una forte sintonia con quanto il nostro presidente Ettore Bonalberti ha scritto ieri sul tema.

 

 

Alleanze, adesso si deve partire.

 

 

Lo dicevamo prima e, a maggior ragione, lo diciamo oggi dopo il voto europeo. E sempre partendo dall'assunto che in Italia "la politica è sinonimo di politica delle alleanze". E se questo resta la costante della politica italiana, e' persino ovvio arrivare alla conclusione che se si vuole ricostruire una coalizione e una alleanza credibile e competitiva non è sufficiente riproporre la vocazione maggioritaria o l'autosufficienza di un partito.

 

Fuor di metafora, se l'obiettivo resta quello di ricostruire una alternativa al centro destra - che oggi, checche' ne dica il segretario del Pd Zingaretti, purtroppo non esiste ancora - che non sia solo un banale e semplice prolungamento di un partito, e' sempre più indispensabile la presenza di un partito di centro, riformista, plurale e di governo. Una richiesta che emerge in modo persino troppo chiaro dal voto europeo e anche dalla consultazione per il rinnovo della guida della Regione Piemonte che ha registrato, per l'ennesima volta, la sconfitta della sinistra a vantaggio di un centro destra a trazione leghista. Malgrado la presenza di un candidato come Sergio Chiamparino che, come tutti sapevano tranne la "propaganda giornalistica amica", non è riuscito a far la differenza attraverso il fantomatico "voto disgiunto".

 

Ora, e' del tutto evidente che la sinistra non è più politicamente ed elettoralmente autosufficiente. Ed è altrettanto chiaro che un centro sinistra e' credibile, ed esiste, nella misura in cui riesce a comporre una alleanza variegata e articolata. Nonché rappresentativa e realmente espressiva di pezzi di società. Insomma, non è più credibile una alleanza che viene gestita e pianificata a tavolino e dall'alto. Al netto della buona volontà e della consapevolezza di uscire dall'isolamento e dall'angolo, non è più praticabile la strada di dar vita ad una coalizione decidendo a tavolino chi copre il fianco destro, chi il fianco sinistro e chi il fianco centrista/cattolico della coalizione.

 

 Questa concezione di una parte del Pd non è, ovviamente, più percorribile. Quello che adesso serve, e forse è anche utile per la democrazia italiana, e' quello di ricostruire una alleanza di centro sinistra dove la forza di un centro dinamico e riformista, moderno e plurale, deve essere il più possibile visibile e protagonista. Un luogo politico che certamente esprima anche un leader – considerando che la politica in Italia continua ad essere fortemente leaderistica e personalizzata - ma che, soprattutto, sia in grado di declinare una posizione politica capace di essere contendibile con l'agglomerato leghista e conservatore. Un "blocco sociale" che, comunque sia, va rispettato e non ridicolmente disprezzato e ridicolizzato come continua a fare, con una arroganza moralistica e culturale senza limiti, la sinistra salottiera e al caviale dell'arcipelago progressista italiano.

 

Un centro dinamico, appunto, che sia in grado però di non ricoprire una semplice casella mancante della alleanza, ma che ritorni ad essere decisivo nella sua capacità di rappresentare interessi sociali, mondi vitali e culture politiche reali.

 

Ed è proprio sotto questo profilo che l'area cattolico democratica e popolare può e deve giocare un ruolo politico, culturale, programmatico ed organizzativo decisivo. Non per ritrarsi in una dimensione identitaria ma, appunto, per contribuire con altri a ridefinire un progetto politico che può essere alleato con una sinistra democratica e di governo ma che, al contempo, non può essere subalterno o gregario rispetto ad un'azionista di maggioranza.

 

Un progetto politico che deve essere messo subito in campo e che sia in grado di saper unire la politica con l'organizzazione, la rappresentanza di interessi sociali con una dimensione valoriale e culturale.  Chi continua a commentare e dispensare giudizi dall'esterno può tranquillamente prendersi un periodo di riposo. Adesso è il momento dell'azione e della progettualità politica.

 

 

Giorgio Merlo

 

Torino, 27 Maggio 2019


E adesso che succede?

 

Dopo poco più di un anno dalle elezioni del 4 Marzo 2018, il governo giallo verde, frutto della ingovernabilità emersa da quel voto, a seguito di un esecutivo dimostratosi di lotta e di governo, senza una reale opposizione parlamentare, ha colto i frutti del suo operato, con il rovesciamento totale delle posizioni tra Lega e Movimento 5 Stelle. L’anomia sociale e la rabbia dei ceti medi e delle classi popolari che avevano sconvolto gli equilibri politici tradizionali nel 2018, permanendo un’alta astensione dal voto, con poco più del 51% degli elettori votanti, solo in piccola parte è tornata a posizionarsi sul PD, mentre ha sostanzialmente cambiato di direzione all’interno della coalizione giallo verde.

 

Analoghi spostamenti sono intervenuti nel centro destra, dove la Lega, oltre a raccogliere una consistente messe di voti ex grillini, ha risucchiato altri consensi da Forza Italia, da cui ha tratto beneficio anche Fratelli d’Italia della Meloni, che, ora più di prima, grida alla formazione di un nuovo governo di estrema destra Lega-FdI.  Salvini e Di Maio continuano a dichiararsi disponibili a continuare il loro ondivago ménage, ma tutto non potrà più essere come prima.

 

Assistiamo a uno spostamento del consenso elettorale a destra, almeno rispetto ai voti validi espressi, con il PD, unico punto di possibile, seppur assai ardua alternativa in campo, almeno secondo i risultati  della legge elettorale proporzionale con lo sbarramento al 4% . Uno sbarramento che ha impedito l’elezione di candidati delle altre liste, come quelle di  più  Europa, dell’estrema sinistra, dei Verdi e delle  due liste di area cattolico popolare, ridotte, come previsto, a cifre da prefisso telefonico: 0,43 per il Movimento della Vita di Adinolfi; 0,30 ai Popolari  per l’Italia di Mario Mauro e Ivo Taroll, con cifre ridicole delle preferenze ai  leaders e agli accoliti delle due liste.

 

La geografia politica del Paese è profondamente cambiata, con tutto il Nord governato dal centro destra a trazione leghista  e le grandi città saldamente in mano al PD. La Lega ha definitivamente svoltato dal partito della secessione nordista di Bossi, alla nuova Lega nazional-nazionalista, che sta mietendo consensi anche in alcune roccaforti del “voto rosso” emiliano, umbro e toscano e nello stesso meridione, dove la rabbia dei diseredati sembra cambiare rifugio dal M5S al partito di Salvini.

 

Sul piano interno Salvini ora può dettare l’agenda, ma i rapporti di forza parlamentari restano nelle mani del M5S. Quanto potrà durare questa anomala situazione tra consenso reale nel Paese e rappresentanza parlamentare totalmente rovesciata a vantaggio dei grillini?

 

I ceti medi che hanno votato Salvini ora si aspettano il via alle promesse della flat Tax  e della TAV, temi assai indigesti al M5S, e, d’altra parte, il governo Conte dovrà dare risposte concrete e urgenti all’annunciata lettera della commissione UE sulla situazione deficitaria di bilancio dell’Italia.

 

Salvini annuncia baldanzoso che a BXL si batterà per il cambiamento delle regole a partire dal fiscal compact (obbligo di rispetto del 3% nel rapporto Debito/PIL),ma, mal per lui, i sovranisti in Europa non hanno sfondato e sembra debbano prepararsi a una lunga stagione di opposizione/emarginazione dai  rapporti di forza reali del parlamento europeo.

 

Da parte nostra attendiamo tutti i partiti italiani e i parlamentari italiani eletti a Strasburgo in merito all’impegno senza il quale, ogni tentativo di riformare l’Unione europea, sarebbe vano:

1) tornare al controllo pubblico delle banche centrali nazionali e quindi della BCE. Senza sovranità monetaria non si avrà la sovranità popolare

2) adottare in Europa la Legge Glass-Steagall e in Italia il ritorno alla Legge Bancaria del 1936, con la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria. Nessuna modifica dei Trattati e dei regolamenti comunitari, a partire dal fiscal compact, sarà possibile se non si affronteranno i due nodi strategici indicati.

 

Credo che entro pochi mesi il quadro politico italiano, dopo il risultato del voto di domenica scorsa, sia destinato a un forte mutamento, mentre la riflessione odierna vorrei incentrarle sulla drammatica scomparsa della nostra cultura cattolico popolare che, la  permanente diaspora vissuta anche in questa campagna elettorale, ha reso evidente nei risultati catastrofici delle due liste di Adinolfi e di  Mario Mauro e Tarolli.

 

Mario Mauro voleva tornare a svolgere un ruolo importante, dopo l’emarginazione subita da Forza Italia, mentre Ivo Tarolli, dopo le negative esperienze con Passera e con Parisi, ambiva al ruolo di leader del cattolicesimo politico degli italiani, finendo entrambi miseramente come avevamo facilmente pronosticato.

 

Dobbiamo renderci conto tutti che divisi non si va da nessuna parte. Ci auguriamo  che ne prendano realisticamente atto anche Mauro e Tarolli che, cedendo alle pretese di presunti “cattolici radicali”, avevano accettato di discriminarci rifiutando un esplicito riferimento nella lista dei Popolari per l’Italia alla Democrazia Cristiana, partito mai giuridicamente sciolto.

 

Ora bisogna ripartire, avendo consapevolezza di costruire un nuovo centro democratico popolare, un’unione dei movimenti popolari e liberal democratici italiani, aperta alla collaborazione con i partiti alternativi alla deriva nazionalista e di destra rafforzata dal voto europeo in Italia.

 

Qualcuno in casa nostra DC, sembra compiere qualche smorfia a questa proposta, ma, se non vogliamo ridurre la nostra partecipazione a mera testimonianza, con i rischi confermati dal voto europeo, nessuna alternativa al governo eventuale della destra estrema, come ipotizzato dalla Meloni, potrà nascere se non si ricostruisce un centro politico ampio e plurale nel quale ciò che resta dei democristiani (confidando anche sul 49% dei renitenti a diverso titolo al voto) potranno apportare la loro migliore cultura politica, quella dei cattolici democratici e dei cristiano sociali. Nostro dovere e impegno politico fondamentale: tentare di tradurre nelle istituzioni la dottrina sociale cristiana e insieme a chi, condividendo i valori dell’umanesimo cristiano, intende insieme a noi difendere e attuare integralmente la Costituzione.

 

L’amico Massimo Sernesi, all’interno di un interessante dibattito aperto da Luigi Intorcia sul web, ha indicato alcune azioni indispensabili da compiere che, anche da me condivise, sono così riassunte:

 

1.  Guardare alle soluzioni, non alle ideologie

2.  Non urlare, ma ottenere ragione con la dialettica

3.  Presentare candidati di provata capacità e rispettabilità

4.  Imbastire un dialogo continuo coi cittadini, non paracadutare diktat dall'alto

5.   Avere una vera democrazia interna, non plebisciti come quelli dei 5 stelle

6.   Saper giungere a decisioni e punti programmatici precisi

7.   Agire a tutti i livelli (culturale, economico, ecc.) e non solo sulla propaganda politica

8.   Costruire una classe dirigente e una cabina di regia capaci di guidare le scelte importanti

9.   Costruire un radicamento sul territorio utile a sostenere    qualunque campagna

10.                  Usare le tecnologie, social e non solo, per supportare i punti   precedenti

 

Ora però: basta con le liti interne tra ciò che rimane della DC, sarebbe continuare  una rappresentazione tragicomica e senza senso; apriamoci a un confronto sereno e costruttivo con tutti gli amici  ex DC per concorrere  tutti insieme alla costruzione di un nuovo soggetto politico ampio e plurale, come da tempo, vado proponendo, sul modello dell’Unione dei Movimenti Popolari che nacque in Francia, dopo la fine della DC francese ( MRP). Continuare a combattere su simbolo, nome e annessi e connessi vari, sarebbe da stupidi e suicidi. E’ tempo di un serio ripensamento all’interno di tutta la vasta e frammentata area cattolica, anche da parte della gerarchia, divisa persino sulla voce suprema del Papa.  Della cultura politica e della partecipazione  politica attiva dei cattolici e dei Popolari, il Paese e l’Europa hanno assoluta necessità, specie in questa fase cruciale dei rapporti internazionali nell’età  della globalizzazione.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)

Direzione nazionale DC

 

Venezia, 28 Maggio 2019

 

 

 


La scelta di Pomicino deve farci riflettere

 

La decisione di Paolo Cirino Pomicino a sostegno del PD di Zingaretti ha suscitato molte perplessità, anche  tra noi  DC. Considero Paolo una delle menti più lucide e coerenti, con il quale abbiamo tentato, dal 1993, di concorrere alla ricomposizione dell’area democratico cristiana e popolare dell’Italia. Pomicino dopo tutti i tentativi svolti, ha preso atto del fallimento compiuto, come anch’io ho scritto nelle mie  ultime note editoriali, sino a quella sull’inverno del popolarismo italiano.

 

Alla maledizione di Moro si è aggiunta, con effetti ancor più devastanti, la stupidità di noi uomini, molti dei quali spinti o dalla personale ambizione, o impegnati più a sostenere suicide battaglie interne  che a ricercare le ragioni dell’ unità.

 

Pomicino condivide la nostra stessa analisi della realtà politica italiana caratterizzata dal prevalere sin qui della deriva populista e nazionalista, rappresentata dal governo giallo verde, che sta portando il Paese allo sfascio. Che serva un’alternativa democratica e popolare di tutte le forze che credono e si impegnano per la difesa e integrale attuazione della Costituzione è sotto gli occhi di tutti e, in special modo,  sotto quelli di tutti noi “DC non pentiti”.

 

Credo, tuttavia, che il problema non sia quello di entrare nel PD per dar  vita all’ennesima corrente di ex democristiani, dato che per ricostruire un centro sinistra comporta, innanzi tutto, l’esigenza di ricostruire un centro che, con lo sfascio in atto di Forza Italia, rischia di scomparire il prossimo 26 Maggio. Dobbiamo invece concorrere da “ DC non pentiti” alla costruzione di un nuovo centro democratico e popolare, ampio, plurale che possa mettere insieme ciò che rimane delle vecchie culture DC, liberali e riformiste, e che potrebbe connotarsi, come accadde in Francia dopo la fine del MRP ( la DC francese), in un’Unione dei Movimenti Popolari Italiani (UMPI), ispirata ai valori dell’umanesimo cristiano aperta alla collaborazione con altre componenti interessate alla difesa e attuazione integrale della Costituzione. E’ quanto ha scritto saggiamente l’amico Giorgio Merlo nel suo “Vademecum per il 27 Maggio”.

 

Altra questione è chi votare alle prossime elezioni europee. Qui nostro dovere di democratici cristiani è quello di  seguire l’indicazione della direzione nazionale del 10 Maggio scorso che ha così stabilito: “In merito alle scelte per le elezioni europee, la D.C., che non è presente con una propria lista per motivi tecnico-procedurali in via di definizione, riconferma di non identificarsi con alcuna delle formazioni politiche in corsa nell'attuale competizione ,ma invita iscritti e simpatizzanti a indirizzare il proprio voto su candidati ricompresi nelle liste che si richiamano al popolarismo europeo e che siano ricollegabili, per storia e impegno personale, ai valori politici e culturali della Democrazia Cristiana.”

 

Personalmente, come ho scritto in diverse occasioni, non voterò per la lista che ci ha deliberatamente tradito, quella di Mauro e Tarolli, con la “sexy prof” e un  faccendiere, ahimè inclusi sconsideratamente accanto ad altre persone per bene, proprio perché sarebbe un “voto inutile” ben al di sotto della soglia minima per un’elezione, mentre sceglierò il candidato della mia circoscrizione elettorale più affine al progetto che dopo il 26 Maggio tutti noi come DC, erede legittima di quella storica, dovremmo avviare e, credo, che , a quel punto, anche con Paolo Cirino Pomicino troveremo ampie convergenze.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 16 Maggio 2019


P.S.: si allega la nota di Giorgio Merlo


Vademecum per il 27 maggio.
Si parla molto e da tempo, come tutti sanno, di un partito che decollerà dopo il voto del 26 maggio.
E cioè, per essere più esplicito, di un partito riformista, plurale, di governo e profondamente
democratico. Ovvero, di un partito che esprime il pensiero, la cultura e la tradizione di centro del
nostro paese. Una richiesta sempre più forte e pressante che emerge da molti settori. Anche da
coloro che sono stati per lunghi 25 anni - l'intera stagione politica maggioritaria - feroci ed
implacabili detrattori di ogni politica e cultura di centro che si stagliava all'orizzonte.
Ma adesso il contesto è cambiato. E anche profondamente. E' tornato il sistema proporzionale e,
di conseguenza, sono tornate le culture politiche. E' finalmente arrivata una destra che, senza
propaganda e senza caricature carnevalesche patrocinate dai circoli salottieri ed alto borghesi dei
"progressisti" nostrani, non c'entra nulla - come tutti sanno - con l'avvento del fascismo o
baggianate del genere. Sta tornando la tradizionale sinistra post comunista capitanata dal
compagno Zingaretti, seppur tra molto contraddizioni perché il nuovo Pd/Pds pensa ancora di
essere un partito a "vocazione maggioritaria" seppur in un contesto proporzionale. E' appena
sufficiente ascoltare la giaculatoria quotidiana di un partito che ha compilato le liste alle europee
da Calenda a Pisapia per rendersene conto. Al contempo, resiste il partito populista e antisistema
dei 5 stelle.
E, accanto a questi elementi strutturali della nuova geografia politica italiana, non possiamo
dimenticare, dopo l'esperienza del governo giallo/verde, la pesante e nociva radicalizzazione della
lotta politica. Di fronte ad un quadro del genere, non può non rinascere una forza che ha nel suo
dna originario alcuni elementi indispensabili per ridare qualità alla nostra democrazia e fiducia nelle
stesse istituzioni democratiche: dalla cultura della mediazione alla cultura di governo, dalla ricetta
riformista al senso dello Stato, dalla capacità di battere la radicalizzazione della lotta politica alla
intelligenza e saggezza di saper comporre gli interessi contrapposti. Insomma, per dirla con una
parola impegnativa ma comprensibile, per tornare alla vera e alta politica.
Ma, se si vuol perseguire questo disegno politico - che viene ormai invocato e auspicato dai suoi
stessi storici detrattori - occorre mettere in campo quel celebre trittico che i nostri maestri, almeno
quelli che hanno contribuito a qualificare la tradizione cattolico democratico e popolare del nostro
paese, ci hanno sempre insegnato. Ovvero, declinare un pensiero e una cultura politica; tradurlo
con un partito politico e, in ultimo, mettere in campo una organizzazione efficace e capillare. Il tutto
per evitare di predicare nel deserto da un lato e limitarsi a giocare un ruolo puramente testimoniale
dall'altro.
Ecco, il 27 maggio si avvicina. A prescindere dai risultati elettorali che, come tutti ben sappiamo,
non saranno molto diversi da ciò che quotidianamente sfornano i vari sondaggi. Ma è bene
essere, già sin d'ora, consapevoli di quello che noi dovremmo fare dopo il 26 maggio. Per evitare
di doverlo ripetere. E per l'ennesima volta.
Giorgio Merlo



L’inverno del popolarismo italiano

 

Non ho potuto partecipare per motivi familiari all’ultima riunione della Direzione  nazionale della DC, la quale al termine dei lavori ha approvato il seguente comunicato:

La Direzione nazionale della D.C., riunitasi a Roma il 10 u.s., dopo ampio dibattito sulla situazione politica nazionale, rilevando il progressivo deteriorarsi della compagine di governo ormai divisa e contrapposta all'interno su  ogni ipotesi di iniziative legislative ,denuncia il pericolo dell'aggravarsi della situazione economica del Paese e il rischio di una crisi istituzionale preludio ad una deriva verso una destra sovranista e ad una pericolosa involuzione del quadro democratico del Paese.

La D.C. auspica che , superate le polemiche elettorali, possa riprendere serenamente e realisticamente il confronto sui problemi reali del Paese ,e si creino le condizioni per il superamento del governo Giallo-Verde e la ricomposizione di un quadro politico istituzionale che recuperi attraverso una ampia aggregazione la funzione portante di un'area centrale liberal democratica che garantisca e supporti un nuovo equilibrio politico e di governo.

La D.C. Intende contribuire a questo progetto ,con proposte e iniziative politiche ed operative che saranno definite dal Consiglio nazionale previsto subito dopo l'attuale tornata elettorale.

In merito alle scelte per le elezioni europee, la D.C. che non è presente con una propria lista, per motivi tecnico-procedurali in via di definizione, riconferma di non identificarsi con alcuna delle formazioni politiche in corsa nell'attuale competizione, ma invita iscritti e simpatizzanti a indirizzare il proprio voto su candidati ,ricompresi nelle liste che si richiamano al popolarismo europeo, che siano ricollegabili ,per storia e impegno personale ,ai valori politici e culturali della Democrazia Cristiana.”

 

Condivido la scelta operata dai colleghi della Direzione e, in coerenza con quanto scritto nei miei ultimi editoriali, riconfermo che, grazie alla cecità degli amici Mario Mauro e Ivo Tarolli, si è persa una delle occasioni più favorevoli per tentare la ricomposizione dell’area politica dei cattolici democratici  e cristiano sociali dell’Italia.

 

Un obiettivo per il quale ci eravamo fortemente battuti, con il seminario dei Popolari di Verona (23 Giugno 2018) e la stesura del patto programmatico costituente del 5 dicembre 2018, sino a condividere la prefazione di Tarolli al mio ultimo saggio: “ Elezioni europee- la visione dei Liberi e Forti”. Fatiche sprecate dalle quali ricavare, alla fine, un tradimento per la Democrazia Cristiana e personale.

 

Sono arrivati a sacrificare il riferimento esplicito alla DC, mentre hanno accettato il diktat ( almeno questa é la giustificazione di Tarolli) dei "radicali cattolici" ostili alla presenza ufficiale della DC e ad accettare  persino l'appoggio di un signore screditato, oggetto di una denuncia penale della nostra DC e, fatto ancor più grave, a inserire nella lista, la "sexy prof" pordenonese (quella delle: “spiagge libere per gli scambisti d’Italia”, come base del suo programma), ultima perla di una strategia fallimentare che non darà buoni frutti.

 

Come abbiamo già evidenziato in altro editoriale: nessun voto dei “ DC non pentiti” a questa lista che ha voluto discriminarci, anche perché sarebbe un voto inutile a un raggruppamento improvvisato e screditato per le scelte suddette, che non supererà la soglia del 4%, necessaria per eleggere qualche deputato al Parlamento europeo e il cui unico obiettivo è quello di offrire una qualche opportunità a futuri compromessi al duo dei fedifraghi.

 

Orfani di una lista  democratico cristiana, siamo fortemente preoccupati dalla squallida e pericolosa deriva nazionalista e populista della politica italiana, contro la quale serve l’unità delle forze democratiche e popolari.  Al voto del 26 Maggio ci comporteremo, quindi, come indicato nel comunicato della direzione nazionale.

 

Scegliere una lista e un candidato nella mia circoscrizione del Nord Est risulterà  molto difficile. Non nascondo che guardo con interesse anche a ciò che accade nel partito democratico con la nuova segreteria Zingaretti. Ho scritto a Carlo Calenda, capolista PD nella nostra circoscrizione, sin qui senza replica, chiedendogli due impegni che, come ho più volte evidenziato, reputo indispensabili per qualsiasi politica di riforma si intenda operare nell’Unione europea e in Italia:

1)             controllo pubblico della BCE e della banche nazionali;

2)             netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione                   finanziaria

 

Girata la domanda anche agli Onn. Brunetta e a Tajani di Forza Italia : anche da loro, sin qui,  nessuna risposta.  Anche stavolta gli hedge funds anglo caucasici/kazari potranno stare tranquilli con todos caballeros italici ? Allo stato dell’arte, insomma, sarà molto difficile scegliere, vista anche la triste esibizione dell’On Elisabetta Gardini ieri sera in TV, squallida espressione dell’ennesima transumanza partitica ai fini del “particulare”.

 

Siamo all’inverno del popolarismo italiano, ma, come disse Sturzo  al congresso di Torino dei Popolari del 12 Aprile 1923: “dopo l’inverno tornerà la Primavera”.

 

Dopo il voto del 26 Maggio, penso che spetterà a noi “ DC non pentiti” concorrere alla costruzione di un nuovo centro popolare sul modello dell’UMP francese; un’Unione dei Movimenti Popolari Italiani (UMPI) democratica, popolare, riformista, europeista, trans nazionale, ispirata dai valori dell’umanesimo cristiano e inserita a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 13 Maggio 2019

 

 



Riflessioni prima del voto del 26 Maggio

 

Sono trascorsi 26 anni da quel consiglio nazionale della DC (18 Gennaio 1993) che, con Martinazzoli, decise la fine politica della Democrazia Cristiana.

 

Per almeno due generazioni di italiani, del partito che è stato l’architrave della democrazia italiana per oltre mezzo secolo, non c’è più alcuna traccia, né memoria storica, se non quella, in molti casi,  deturpata da una narrazione di parte; quella della  damnatio memoriae dei partiti della Prima Repubblica, con la sola eccezione dell’ex PCI, con la sua progressiva trasformazione in PDS, DS, PD.

 

Per oltre otto anni, dal 2011, ci siamo battuti per la ricomposizione dell’area democratico cristiana e per una ripresa politica dell’area cattolico democratica e popolare, dispersa nella frantumazione della diaspora tra la seconda e l’attuale cosiddetta “ terza repubblica”.

 

Errori nostri di conduzione politica e la frantumazione della base sociale e culturale del nostro tradizionale retroterra, amplificati dall’azione stupida e suicida di alcuni sabotatori seriali impegnati ad annullare ogni tentativo di ricomposizione della struttura associativa prima ancora che politica del partito, ci hanno condotto all’attuale situazione di sostanziale impotenza.

 

Nonostante l’impegno che anche personalmente ho messo in campo per tentare di riallacciare i diversi esili fili di ciò che rimaneva in campo, con le iniziative di Orvieto (28.11.2015), Camaldoli(17-18 Giugno 2017) , Verona (23 Giugno 2017) e sino al patto programmatico federativo costituente di Roma ( 5 Dicembre 2018), con la sciagurata iniziativa assunta dagli “amici” Mario Mauro e Ivo Tarolli di assecondare l’idiosincrasia democristiana di alcuni gruppi “cattolici radicali”, si é impedito di realizzare un primo significativo tentativo di ricomposizione che pure avevamo condiviso nei diversi appuntamenti citati.

 

Ci troviamo così orfani, alla vigilia del voto del prossimo 26 Maggio, in una condizione politica dell’Italia caratterizzata da una destra che assume sempre più il carattere di una forza estrema e reazionaria a conduzione del “conducator” Salvini, allineata alle posizione più oltranziste come quelle di Orban, leader d’Ungheria. Sul fronte opposto siamo in  presenza di una sinistra che, con Zingaretti, tenta con grande difficoltà di ricomporre un’area socialdemocratica in linea con quelle  riformiste europee, dopo la sbandata renziana e la fallimentare strategia della “deforma costituzionale” del 4 Dicembre 2016, causa fondamentale della sconfitta del giovin signore fiorentino.

 

La deriva nazionalista e populista che ha tenuto sin qui insieme Lega e Movimento Cinque Stelle nel “governo del cambiamento”, frutto di una legge elettorale che non ha prodotto una maggioranza parlamentare coerente e omogenea dopo il voto del 4 Marzo 2018, costituisce una delle espressioni più gravi dell’atavico trasformismo politico italiano. Una condizione di governo che, portando all’isolamento dell’Italia dal resto dell’Europa, in piena crisi economica, sociale e di anomia  politico istituzionale, sta esaurendo la sua stessa ragion d’essere, nella quotidiana pantomima tragicomica del duo Salvini-Di Maio, destinata a deflagrare dopo il voto di Maggio.

 

Lo stesso M5S, un movimento-partito sostanzialmente distinto e distante da quei caratteri di democrazia previsti dall’art 49 della Costituzione, se ha avuto il merito di rappresentare sul piano politico e istituzionale il disagio di larga parte del tessuto sociale, specialmente del Sud d’Italia, alla prova del governo, sia in sede locale che nazionale, sembra aver esaurito la sua funzione.

 

Siamo dunque in una situazione nella quale la tradizionale alternativa bipolare tra centro-destra e  centro-sinistra è saltata, per la ragione che non esiste più il centro, anche per l’avvenuto progressivo esaurimento di ciò che Forza Italia ha rappresentato per oltre  venticinque anni, sotto la guida del Cavaliere, sempre meno in grado di tenere unito un partito costruito attorno alla sua persona, senza un reale e consistente blocco sociale e culturale di riferimento e regole interne funzionali al ricambio democratico della classe dirigente.

 

Il nostro problema oggi, non è più, dunque, quello di tentare di ricostruire la DC, un obiettivo per il fallimento del quale ha concorso, con la “ maledizione di Moro”, la sostanziale stupidità di molti uomini, noi compresi, che ci siamo dimostrati insufficienti e indegni eredi dei nostri padri fondatori.

 

Nostro obiettivo è, invece, quello di concorrere alla costruzione di un nuovo centro democratico, ampio, plurale, popolare, liberale, riformista, europeista, trans-nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori DC: De Gasperi, Adenauer, Monnet, Schuman, alternativo alla deriva nazionalista e sovranista che sta portando l’Italia all’isolamento e allo sfascio.

 

Alle prossime elezioni di Maggio dovremo, allora, puntare e scegliere quella lista e quei candidati vicini ai nostri valori che abbiano concrete  possibilità di essere eletti.

No quindi al voto inutile per liste come quelle espressive dell’ultima suicida diaspora cattolica; liste da percentuali da prefisso telefonico, ma, semmai, puntare, con il voto di preferenza, a sostenere candidati credibili, inseriti in liste di area popolare con concrete possibilità di elezione,  ossia in grado di superare la soglia del 4%. Personalmente ho espresso le mie idee sul voto europeo nel mio ultimo saggio: “ Elezioni europee- La visione dei “ Liberi e Forti” e, avendo condiviso l’appello degli amici Carlo Costalli, Presidente del MCL e di Giancarlo Cesana, del movimento Esserci, mi orienterò a votare come indicato in quel manifesto, che allego e che trovo assai coerente con quanto da noi stessi condiviso come DC nel documento del 5 Dicembre scorso che pure allego.

 

Dopo il 26 Maggio sarà nostro dovere smetterla con le diatribe giuridiche interne ed esterne e batterci per concorrere a costruire, sul modello francese, quell’UMPI ( Unione dei Movimenti Popolari Italiani) che da tempo vado auspicando, ossia il nuovo centro democratico e popolare di cui la democrazia italiana ha assoluta necessità. Obietti strategici essenziali da perseguire saranno:

a)  la difesa e l’attuazione integrale della Costituzione con l’impegno a realizzare sul piano politico istituzionale le indicazioni della dottrina sociale cristiana;

b)  il controllo pubblico di Banca d’Italia e la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria, ossia il ritorno alla legge bancaria del 1936, colpevolmente abrogata dalla riforma del 1992 del Testo Unico Bancario. Questa è, infatti, la precondizione necessaria e sufficiente per qualsiasi politica economica che intenda sottrarre la nostra economia dalle norme iugulatorie imposteci in Europa dai poteri finanziari e per attuare una seria strategia a favore del lavoro e degli interessi del terzo stato produttivo e delle classi popolari.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 5 Maggio 2019

 

 

 


I cattolici al voto di Maggio

 

Da mesi sto esaminando atti e documenti per redigere un saggio sul travaglio politico dei cattolici italiani, partendo  dalla mia esperienza vissuta dal 1993, anno della fine politica della DC; il partito che, per quasi mezzo secolo, aveva rappresentato l’espressione più efficiente ed efficace della cultura politica di ispirazione cattolico democratica in Italia.

 

L’assassinio di Aldo Moro e la successiva scomparsa di Papa Paolo VI, ultimo papa italiano, al quale erano legati molti esponenti della seconda generazione democratico cristiana, unitamente alle ragioni che ho più volte enunciato quali cause determinanti della fine della DC, sono stati gli elementi che hanno concorso in maniera fondamentale alla consumazione di quella straordinaria esperienza politico culturale. In estrema sintesi le ragioni della fine della DC possono essere così riassunte:

 

la DC è finita per aver raggiunto il suo scopo sociale: la fine dei totalitarismi di destra e di sinistra contro cui si era battuto il movimento dei cattolici in un secolo di storia;

 

la DC è finita per il venir meno di molte delle ragioni ideali che ne avevano determinato l’origine, sopraffatta dai particolarismi egoistici di alcuni che, con i loro deteriori comportamenti, hanno coinvolto nel baratro un’intera esperienza politica;

 

la DC è finita per il combinato disposto mediatico giudiziario che l’ha travolta insieme agli altri partiti democratici e di governo della Prima Repubblica;

 

la DC è finita quando sciaguratamente scelse la strada del maggioritario, per l’iniziativa improvvida di Mariotto Segni, auspice De Mita in odio a Craxi e Forlani, abbandonando il tradizionale sistema proporzionale che le garantiva il ruolo centrale dello schieramento politico italiano. E, soprattutto, ed è la cosa più grave e incomprensibile, la DC è finita senza combattere. Con una parte, quella anticomunista, messa alla gogna giudiziaria, e quella di sinistra demitiana succube e imbelle alla mercé dei ricatti della sinistra giustizialista.

 

 I tentativi compiuti dal 2011, con gli amici  Silvio Lega, Luciano Faraguti, Gianni Fontana e  Renato Grassi, insieme a tanti altri, dopo che Publio Fiori ci aveva informato della sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010, secondo la quale: “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”, sono stati vanificati, almeno sin qui, da un gruppo di “sabotatori seriali”, che, dal XIX Congresso del 2012, si oppongono contro ogni tentativo di dare pratica attuazione a quella sentenza.

 

Il duo Cerenza – De Simoni si è ostinato a ricorrere contro ogni atto da noi compiuto, prima con Fontana e poi con Renato Grassi, per dare un definitivo assetto ai vertici all’associazione di fatto (qual’ è giuridicamente la DC),  con continui ricorsi e contro ricorsi nei tribunali, col bel risultato che, a tutt’oggi, dopo oltre sette anni, siamo al punto morto inferiore. Unico risultato del duo romano? Aver sin qui impedito ogni soluzione e ostacolato ogni tentativo di  ripresa politica della DC. Una combinazione esplosiva tra “ la maledizione di Moro” e la stupidità di noi uomini, indegni eredi della migliore  tradizione democratico cristiana.

 

Grande confusione regna sotto il cielo ex DC, dal momento in cui la grande “ balena bianca” si è andata via via frantumando nei diversi spezzoni della diaspora, spesso costruiti attorno a figure di basso conio, interessate soprattutto alla mera sopravvivenza politica personale e dei piccoli clan di riferimento. E’ il caso di Lorenzo Cesa che, grazie al suo vecchio mentore Pierferdinando Casini, al tempo in cui il bolognese presiedeva la Camera, ebbero in eredità l’uso elettorale del simbolo dello scudo crociato, utilizzato come dono da offrire al  Cavaliere a garanzia della rielezione di Cesa al parlamento italiano prima e a Strasburgo poi, insieme al suo amico di cordata Antonio De Poli di Padova.

 

Emblematico e tragicomico il caso di Pierferdinando Casini, nato doroteo DC bisagliano, poi passato alla scuderia forlaniana, separato dalla DC con l’UDC , dopo la virata a sinistra del PPI di Martinazzoli, per finire nel PD sotto le insegne di Gramsci, Togliatti e Berlinguer in una sezione ex PCI di Bologna.

 

Tralascio la situazione ridicola delle varie sigle e siglette che si rifanno alla tradizione politica DC, sempre in guerra tra di loro e, in alcuni casi anche al loro interno. E’ quanto stoltamente accade nella DC espressione dell’unico albo dei soci eredi del partito storico, quello approvato dal Tribunale di Roma nel 2016, Qui siamo alla follia suicida di alcuni amici interessati a inseguire le capriole del duo Cerenza- De Simoni, finendo con l’escogitare continue soluzioni giuridiche a un tema che è e rimane tutto ed essenzialmente politico.

 

Alla vigilia delle prossime elezioni europee il travaglio politico dei cattolici italiani e, in particolare, quello degli ex DC è così rappresentabile:

 

1)   i i vecchi dirigenti organizzatori del “Family day” sono divisi tra la parte che fa riferimento a Gandolfini e Pinton, di fatto ormai organici alla Lega di Salvini, e quelli di Mario Adinolti, ancora una volta velleitariamente presenti con una loro lista autonoma, destinata con molta probabilità, a una cifra elettorale da prefisso telefonico;

2)   una lista di sedicenti popolari guidata da Mario Mauro e da Ivo Tarolli, i quali, accettando il diktat di alcuni esponenti “cattolici radicali” ( definizione coniata dallo stesso Tarolli), in barba agli impegni assunti con la DC nel seminario di Verona del giugno 2017 e nel documento patto programmatico costituente del 5 dicembre 2018 a Roma, hanno rifiutato di denominare la lista come espressione dell’unità tra Popolari, Democratici Cristiani Insieme, finendo, invece con il presentarsi in compagnia di una “sexy prof” pordenonese, con la quale, sperano di rifare l’esperienza dei radicali veri con Cicciolina al tempo di Pannella. Stavolta, magari, con la benedizione di qualche  chierico di alto grado di cui ci si accredita o si millanta la sponsorizzazione. E’ evidente che, senza pari dignità e con questa disinvolta (?!) scelta nella lista di una “liberoscambista” che propone, come suo programma: “spiagge libere  per coppie scambiste in Italia” , la DC non poteva certo aderire a tale soluzione indegna e ridicola.

3)   Resta la scelta operata da Carlo Costalli, presidente del MCL nella lista di Forza Italia, insieme a quella scontata del duo Cesa-De Poli, sempre a fianco del Cavaliere.

4)   Un discorso a parte resta da sviluppare per quei cattolici, ex DC, che hanno scelto da tempo di sostenere partiti distinti e distanti dalla nostra tradizione  politica: FI, PD, Lega, M5S,Fratelli d’Italia o che, si rifugiano nell’astensione elettorale, stanchi e sfiduciati dall’attuale offerta partitica italiana.

 

In questa situazione di evidente sfascio, salvo miracoli, credo che nessun esponente di area cattolica o ex DC sarà eletto nel prossimo parlamento europeo. Tutto sarà da riprendere daccapo dopo il voto di Maggio, partendo dalla grave situazione di anomia etica, culturale, economica, sociale e politico istituzionale dell’Italia, per concorrere a costruire un nuovo centro democratico e popolare, alternativo alla deriva populista e nazionalista che sta portando allo sfascio il Paese.

 

Un soggetto che, sul modello francese degli anni ’60, possa assumere la funzione di un’Unione dei Movimenti Popolari Italiani (UMPI) di ispirazione popolare e democratico cristiana, da collegare al PPE, il Partito Popolare Europeo da riportare ai valori dei padri fondatori DC : Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman. Un movimento-partito  che si ponga due obiettivi strategici fondamentali:

1)   la difesa e completa attuazione  della Costituzione repubblicana e l’impegno a tradurre nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali della dottrina sociale cristiana;

2)   il controllo pubblico di Banca d’Italia e della BCE e la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria. In sostanza il ritorno alla legge bancaria del 1936, colpevolmente superata dalla riforma del 1992 del Testo Unico Bancario sottoponendo l’Italia, come accade in Europa, al dominio dei poteri finanziari degli hedge funds anglo caucasici/kazari, con sede legale nella city of London e fiscale a tasso zero nel Delaware. Quei poteri che, nell’età della globalizzazione, hanno rovesciato i principi del NOMA (Non Overlapping Magisteria) ponendo il primato  alla finanza cui va subordinata l’economia reale e la stessa politica, senza più riferimenti di natura etica, con non siano quelli propri del Dio denaro.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 1 Maggio 2019

 

 

 

 


Segnali inquietanti alla vigilia del voto di Maggio

 

Con un tasso di disoccupazione che tende a superare l’11% e quello giovanile verso il 32%, con 5.700.000 giovani occupati in situazioni precarie e /o largamente al di sotto delle loro preparazioni scolastiche; con un ceto medio sempre più impoverito e la rottura dell’alleanza garante dell’equilibrio tra di esso e i ceti popolari, l’Italia vive una condizione di anomia foriera di una sempre più grave crisi sociale, economica, etica e politica.

 

Siamo alla vigilia di una possibile rivolta sociale, fomentata da un clima politico sempre più strisciante verso forme di autoritarismo e di rottura con le fondamentali condizioni di uno stato di diritto, alimentate anche da taluni comportanti anomali e devianti di esponenti di rilievo del governo giallo verde.

 

Un ministro degli interni che sembra agire “legibus solutus”, come nel caso della nave Diciotti, con l’avallo parlamentare dei soci di governo penta-stellati; indifferente, distinto e distante, com’è avvenuto il 25 Aprile, dalla celebrazione di una delle date fondanti della nostra Repubblica; interprete di modalità ed espressioni comunicative sempre più simili a quelle invalse nell’era fascista ( “ me ne frego”, “ prima gli italiani”,” chi si ferma è perduto”,”tanti nemici tanto onore”), stanno portando la Lega ad assumere sempre di più le caratteristiche della destra politica più estrema, non a caso collegata alle destre più reazionarie presenti in altri Paesi europei. E, non a caso, tornano a manifestare arroganti e pericolosi gruppi e movimenti eversivi di chiara ispirazione fascista, in alcune città come Roma e  Milano.

 

Noi, che della Lega veneta abbiamo conosciuto gli inizi giovanili, al tempo dei Rocchetta e Tramarin e che apprezziamo la compostezza istituzionale e la tradizione culturale della maggior parte dei leghisti della nostra Regione, a partire dal presidente di Giunta, Luca  Zaia e del Consiglio regionale, Roberto Ciambetti, non possiamo condividere l’estremismo politico di destra rappresentato a livello nazionale da Matteo Salvini.

 

Consideriamo la deriva nazionalista e populista che tiene insieme sin qui il governo giallo-verde, il più grave rischio involutivo della nostra vicenda democratica e un serio pericolo per la tenuta complessiva del sistema sociale, prima ancora che politico istituzionale del Paese.  Un misto  di arroganza e di incompetenza istituzionale e amministrativa quello del governo della Lega e M5S da lasciare sgomenti. Un equilibrio di governo fondato sulla commedia di due attori, Salvini e Di Maio, in gara permanente a chi la spara più grossa, con costante ricorso alla propaganda, più che alle concrete soluzioni efficienti ed efficaci per il bene comune, ci auguriamo che sia definitivamente superato dal voto europeo del prossimo 26 Maggio.

 

Questa commedia, se continuasse, rischierebbe di trasformare la farsa in tragedia, se, come i dati della realtà effettuale sembrano esprimere, dalla condizione di frustrazione presente in molte parti della società, subentrasse un’aggressività sempre più diffusa che potrebbe sfociare dal livello individuale nella rivolta sociale.

 

E’ ben vero, che gli italiani non dimostrano una propensione rivoluzionaria simile a quella dei cugini francesi, e che sono molto più inclini a  iniziare le rivolte in piazza e a finirle in trattoria”, ma i dati della situazione economica delle famiglie e, in particolare, la difficilissima condizione dei giovani disoccupati e frustrati, presagiscono azioni e movimenti che potrebbero assumere i caratteri simili a quelli manifestatisi a Parigi dal movimento dei gilet gialli.

 

Quelli che cavalcarono la protesta, latente il 4 Marzo 2018, traendone largo consenso, Lega e M5S, giunti al governo, incapaci di dare risposte concrete, efficienti ed efficaci, a quell’elettorato stanco e sfiduciato dei partiti tradizionali, rischiano di finire travolti da quelli stessi elettori, ai quali, non sarà sufficiente la propaganda con cui Di Maio e Salvini hanno sin qui saputo ben camuffare la loro sostanziale incapacità di guida del Paese.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 26 Aprile 2019

 

 

 

 

Ora e sempre Resistenza!

 

Oggi è la festa della Repubblica. E’ la festa di tutti e, in maniera speciale, per noi, prima generazione post bellica, orgogliosi della libertà che i nostri padri ci conquistarono con la Resistenza e la lotta antifascista.

Spira una brutta aria di restaurazione alla quale dobbiamo rispondere con l’unità di tutte le forze politiche e culturali che hanno siglato il patto costituzionale.

Contro la deriva nazionalista e populista e “il ministro Tecoppa” in fuga dalle celebrazioni del XXV Aprile: ora e sempre Resistenza!

 

Venezia, 25 Aprile 2019

Dopo la Direzione nazionale DC 11 Aprile 2019


Si è svolta Giovedì 11 Aprile scorso la Direzione nazionale della Democrazia Cristiana a conclusione della quale è stato diramato il seguente comunicato stampa:

 Comunicato stampa

"

La Direzione Nazionale della Democrazia Cristiana, riunitasi il giorno 11 Aprile 
u.s, ha effettuato un’approfondita analisi della situazione politica in vista delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo.
La Direzione ha valutato le possibili ipotesi operative e, in coerenza alla linea politica definita dal Consiglio Nazionale, ha scelto unanimemente di non affidare ad alcuna formazione partitica, se pur formalmente collegata ai fini elettorali al PPE , il mandato di rappresentare ufficialmente anche la Democrazia Cristiana.
Tuttavia, previa autorizzazione, possono essere consentite agli iscritti al Partito, candidature personali da indipendenti nelle predette liste.

La direzione, riservandosi una ulteriore valutazione e un indirizzo politico ed operativo ,dopo la presentazione delle liste, ha preso atto dell'avvenuto deposito del simbolo del Partito nella sede ministeriale competente e della determinazione a sostenere il diritto al suo utilizzo in ogni fase procedurale.
La Direzione infine ha valutato positivamente la disponibilità di numerosi soci a candidarsi nell’eventualità che si determino le condizioni di una possibile, autonoma presentazione di una lista della D.C."

 L’Ufficio  Stampa della D.C.


Roma 12.4.19


Alla vigilia dell’incontro di direzione, al quale non ho potuto partecipare, avevo inviato la seguente nota a commento della situazione venutasi a creare dopo la decisione assunta dagli “amici” Mario Mauro e Ivo Tarolli di non accettare il riferimento alla Democrazia Cristiana nella lista che si accingono a presentare alle prossime elezioni europee:


Un’occasione colpevolmente sprecata

 

L’avvenuta esclusione della DC dalla lista che avevamo con molta passione voluta come unitaria per concorrere alla ricomposizione dell’area cattolico popolare, è un’altra delle occasioni colpevolmente sprecate, ennesimo sintomo del perdurare di una diaspora che sembra senza fine.

 

Uno spreco tanto più grave perché compiuto da due amici, Mario Mauro e Ivo Tarolli, con i quali personalmente ho compiuto tratti importanti di strada politica comune, sempre ispirato dalla volontà di concorrere al progetto unitario dei democratici cristiani e popolari italiani.

 

Era nato così il seminario di Verona del 23 Giugno 2018 di cui redassi il documento finale condiviso, tra gli altri da Ivo Tarolli, Gianni Fontana e Mario Mauro e il patto programmatico federativo costituente del 5 dicembre 2018 scritto sempre dal sottoscritto con alcune integrazioni dell’amico Nino Gemelli.

 

Avevamo apprezzato la disponibilità di Mario Mauro di utilizzare il suo simbolo dei Popolari per l’Italia, condizione che avrebbe evitato la difficilissima raccolta delle 150.000 firme previste dalla legge elettorale, atteso che quel movimento a suo tempo, grazie anche al compianto Potito Salatto, era stato affiliato al PPE.

 

Come DC, unico partito italiano socio fondatore del PPE, avevamo chiesto di poter aggiungere al simbolo dei Popolari per l’Italia lo scudo crociato, ma l’avvocato Venturini, delegato da Mario Mauro, ci aveva opposto delle improbabili, per la verità inesistenti, motivazioni tecniche.

 

Avevamo offerto alcune indicazioni per connotare la lista unitaria che tenesse conto dei tre movimenti essenziali che concorrevano al progetto: Popolari e Democratici cristiani Insieme.

 

Sedicenti movimenti di area cattolica, secondo la tesi del solito Venturini, sostenuto stavolta anche da Tarolli, assurto improvvisamente al ruolo di leader del cattolicesimo politico italiano in stretto collegamento, a suo dire, con le più alte gerarchie ecclesiastiche, avrebbero opposto rifiuto alla denominazione suddetta, sostituita con questa: Popolari, Democratici e cristiani Insieme.

 

Una connotazione che, come ha giustamente rilevato l’amico prof Antonino Giannone, docente di etica, assume un carattere paradossale: significa che anche quelli del PD fanno parte del raggruppamento. Dire Cristiani vale in generale per Tutti, mentre politicamente non caratterizza nessun raggruppamento! Scrivere senza la e  Democratici Cristiani e’ una chiara indicazione politica alla DC storica, partito che ha fondato il PPE e che ha i titoli per fare parte dell’aggregazione e che ha contribuito alla stesura del manifesto tra i sottoscrittori “.

 

Alla fine ha prevalso la tesi dei pasdaran sedicenti cattolici, quei puri, più puri di tutti, che sono riusciti nell’operazione di epurarci. Avevano offerto come “compensazione” all’amico Renato Grassi di presentarsi capolista nella circoscrizione delle isole, ma Grassi con grande dignità e onore ha replicato che senza lo scudo crociato, il segretario politico nazionale non si sarebbe presentato in una lista anonima.

 

Passi per gli sciagurati pasdaran senza storia politica e passi anche per il mutevole e  mutante Mario Mauro, interessato probabilmente a riproporsi in termini di personale rinnovata credibilità al Cavaliere, alla cui corte ha servito per lunghe stagioni, ma quello che ci ha fatto più male è l’incoerenza dell’ex parlamentare DC trentino, Tarolli,  che nei nostri confronti ha assunto il ruolo di un autentico fedifrago politico, perdendo ogni credibilità anche verso chi, come il sottoscritto, l’aveva indicato da subito, quale capolista nella circoscrizione del Nord Est.

 

Più volte ho scritto che alla diaspora DC più che alla “maledizione di Moro”, spesso dovremmo fare riferimento alla stupidità degli uomini, che con i loro comportamenti finiscono col fare danno a se stessi e agli altri. La DC, “partito mai giuridicamente sciolto” e che in questi quasi dieci anni abbiamo contribuito a rinascere nei suoi organi statutari, continuerà, comunque, la sua battaglia delle Termopili come già  annunciato, impegnata ad attivare in tutte le realtà locali italiane dei comitati civico territoriali, luoghi di una partecipazione politica ispirata ai valori dell’umanesimo cristiano.

 

Nostro obiettivo saranno le prossime elezioni amministrative ovunque si svolgano e le imminenti elezioni politiche, dove, con lo scudo crociato tornato nella piena disponibilità, ci ripresenteremo da” Liberi e Forti” per ridare al Paese una nuova speranza.

 

Ai mutevoli e mutanti e ai fedifraghi di turno auguriamo ciò che si meritano e ce la racconteremo dopo il 26 Maggio…….


Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale DC-responsabile ufficio esteri

Mercoledì 10 Aprile,2019

 

 

 



Le Termopili Democristiane

 

Attorno all’eredità della DC si è svolta una lunga battaglia che iniziò nel 1993, nel momento del distacco dal PPI di Martinazzoli,  dell’UDC di Casini e Sandro Fontana, con un lungo seguito di scontri giudiziari fra presunti eredi: da Castagnetti per il PPI a Casini per l’UDC, e via via, Rocco Buttiglione e Mario Tassone con il CDU, la meteora di  Pino Pizza e giù per li rami, tra Rotondi e Sandri e la nostra DC rimessa in moto da Gianni  Fontana e Renato Grassi.  fino ai giorni nostri.

 

La suprema Corte di Cassazione ha risolto definitivamente ogni querelle con la sentenza inappellabile assunta a sezioni civile riunite, numero 25999, del 23.12.2010, con la quale è stato sancito che “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”, dunque, non ci sono eredi dato che il de cuius non è mai giuridicamente defunto.

 

Già Ombretta Fumagalli Carulli, eletta alla presidenza del consiglio nazionale della DC nel Novembre 2012 dichiarò, il 28 Dicembre di quell’anno: "I sostenitori del principio 'le sentenze si rispettano' se ne facciano una ragione: i magistrati, con sentenza definitiva n.25999 adottata dalla Cassazione il 23 dicembre 2010, hanno determinato che il simbolo della Democrazia Cristiana spetta -come logico- ai democristiani. Il glorioso partito della Dc che fu di De Gasperi, di Aldo Moro e di Donat Cattin,  non è mai stato sciolto e, anche se non si è presentato alle elezioni più recenti, non ha rinunciato a nulla di ciò che gli appartiene".

E aggiungeva: "questo significa che, fino a ora, coloro che hanno utilizzato il logo dello scudo crociato, lo hanno fatto abusivamente. A cominciare da Pierferdinando Casini che, a quanto pare, vuole troppe cose tutte insieme".

 

E, Gianni Fontana, eletto dal Congresso nel Novembre 2012, il 4 Gennaio 2013, avviò un’azione legale  contro Casini e l’UDC con questo comunicato: “la democrazia cristiana ha avviato oggi un'azione legale "a tutela del proprio diritto di essere l'unica esclusiva proprietaria e, quindi, unica utilizzatrice, del simbolo dello scudo crociato sulla base delle recenti decisioni della magistratura. La corte d'appello di Roma ha accertato, con una decisione confermata dalle sezioni unite della corte di cassazione, che la DC non si è mai estinta e che, pertanto, non vi è stata alcuna ipotesi di successione in favore di nessun partito"."alla democrazia cristiana non rimane pertanto - proseguiva Fontana - che la difesa del simbolo e degli ideali che l'hanno sempre contraddistinta, e in particolar modo di quel simbolo glorioso che purtroppo ha assunto tante e troppe deformazioni e modificazioni. da queste premesse e su queste basi è partita oggi l'unica causa che la DC ha instaurato contro l'UDC per rivendicare il proprio diritto di esistere e di esistere con il proprio nome e il proprio simbolo, nonché nel medesimo stato in cui altri, non si sa quanto responsabilmente, l'hanno messa a riposo nel '94, oltre che per far accertare che l'UDC stessa non ha alcun diritto di utilizzare il simbolo, come chiaramente affermato dalla magistratura, e per richiedere il risarcimento dei danni".

 

Non abbiamo ottenuto soddisfazioni con l’UDC e Casini ha fatto la fine che tutti conosciamo: da virgulto doroteo forlaniano è finito sotto le insegne di Gramsci, Togliatti e Berlinguer, fotografato in una sezione dell’ex PCI di Bologna, sopravvissuto a tutti i morti della prima repubblica e, tuttora, in pompa magna col laticlavio di senatore della Repubblica per il PD.

 

L’uso di quel simbolo è stato ereditato nell’UDC da Lorenzo Cesa, che ne ha fatto un utilizzo a titolo personale e di alcuni suoi amici, sino a questo giro elettorale europeo nel quale: o si imbarca sul residuo vascello del Cavaliere, di cui è stato sempre una scialuppa di salvataggio, o concorre con la residua scarsa credibilità alla ricomposizione dell’area democratico cristiana.

 

Questo della ricomposizione dell’area cattolica e popolare italiana, che comporta inevitabilmente la stessa ricomposizione possibile dei superstiti “DC non pentiti”, è stato l’obiettivo che insieme a Gianni Fontana, Renato Grassi e gli altri “ ultimi dei mohicani DC” ci siamo proposti dal 2012, preso atto della sentenza della Cassazione, attivando tutta una serie di procedure possibili, con le quali abbiamo inteso dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione stessa e rilanciare politicamente la DC.

 

Dal Novembre 2012 e, prima ancora, dal Consiglio nazionale autoconvocatosi grazie all’iniziativa del sottoscritto e di Silvio Lega, alcuni sabotatori seriali, in primis l’avv. Cerenza e il sig. De Simoni, in rappresentanza di un’associazione degli iscritti 1992-93, hanno attivato una serie di azioni giudiziarie tese ad annullare i risultati raggiunti con la celebrazione del XIX Congresso nazionale DC del Novembre 2012, col solo risultato pratico di rendere impossibile la rinascita giuridica, prima ancora che politica, del partito.

 

Un fatto nuovo è, però, intervenuto, quando il tribunale di Roma ha accettato come base sociale dell’associazione senza personalità giuridica Democrazia Cristiana ( poiché tale è la natura giuridica del partito), quella dei soci 1992-93 che, nel 2012, decisero di rinnovare l’adesione al partito, il cui tesseramento era stato pubblicamente svolto in quell’anno.

 

Lo stesso tribunale, in base alle norme del codice civile, le uniche applicabili nel caso in questione, ossia di un’associazione senza personalità giuridica e priva degli organi statutari, ha autorizzato la convocazione dell’assemblea dei soci tenutasi il 13 ottobre 2017 nella quale eleggemmo gli organi sociali del partito: segretario nazionale e Consiglio nazionale. Successivamente il Consiglio nazionale convocò il Congresso attraverso  le assemblee provinciali e regionali del partito per l’elezione dei delegati, secondo le norme statutarie tuttora in vigore della DC, e il 13 Ottobre 2018 riconvocammo il XIX Congresso nazionale del partito nel quale abbiamo eletto il segretario nazionale Renato Grassi e  il consiglio nazionale. Quest’ultimo il 23 Ottobre 2018 ha eletto alla Presidenza del Consiglio nazionale, Gianni Fontana, la direzione nazionale e il segretario amministrativo, legale rappresentante del partito, nella persona di Nicola Troisi.

 

I “sabotatori seriali” non si sono arresi e anche contro queste assemblee hanno fatto ricorso, con un procedimento giudiziario tuttora pendente che contribuisce a mantenere in vita quel tentativo suicida che persegue l’unico scopo razionalmente comprensibile: impedire la rinascita politica della DC o, come più volte affermato, riscattare i beni patrimoniali ex DC.

 

Forti delle decisioni del tribunale di Roma, alla vigilia delle prossime elezioni europee, il 5 Dicembre 2018 abbiamo concorso alla redazione del patto programmatico federativo costituente, sulla base del quale abbiamo inteso dar vita a una lista unitaria delle diverse anime della vasta e articolata galassia cattolico popolare e democratico cristiana.

 

Avevano detto si a tale progetto con Renato Grassi, Mario Mauro, Mario Tassone, Ivo Tarolli, Nino Gemelli, Maurizio Eufemi, Giuseppe Rotunno, Giorgio Merlo e tanti altri amici esponenti di vari gruppi e associazioni dell’area cattolica.

 

Mario Mauro garantiva che grazie all’adesione dei “ Popolari per l’Italia” al PPE, si sarebbero potute evitare le forche caudine della raccolta, in brevissimo tempo, delle 150.000 firme necessarie per la presentazione della lista, dando incarico all’avv. Francesco Venturini di seguire l’iter del progetto.

 

Da parte mia, che con Gemelli ero stato l’estensore del patto federativo, proponevo come nome da assegnare alla lista quello di: “ Popolari e Democratici cristiani Insieme” o, in alternativa quello di UMPI ( Unione dei movimenti Popolari Italiani, sul modello dell’UMP francese) o di Unità Popolare.

 

L’ufficio politico della DC nella riunione del 28 marzo 2019, considerata l’assenza di ogni residua querelle sul simbolo dello scudo crociato, la cui proprietà è di totale appartenenza tra i beni immateriali della DC, chiedeva che, accanto al simbolo dei Popolari per l’Italia fosse inserito lo scudo crociato, ricordando che tra tutti i partecipanti al patto federativo, la DC era l’unico partito storicamente e legittimamente socio fondatore del PPE.

 

L’avv. Venturini, aspirante ad assumere il ruolo di capolista per conto degli amici Popolari per l’Italia, nella circoscrizione centrale, si farebbe portavoce di una sorta di idiosincrasia anti DC e della volontà di alcuni di escludere il simbolo dello scudo crociato, avendo, di fatto, già concordato a tavolino nomi e cognomi dei capilista e dei candidati nelle cinque circoscrizioni elettorali.

 

A questi sedicenti cattolici e popolari vogliamo far notare che avendo combattuto senza soluzione di continuità, la lunga battaglia nella stagione suicida della  diaspora democratico cristiana, non avendo velleità di eleggere qualche amico, ma solo quella di piantare la bandiera della rinata Democrazia Cristiana, siamo pronti alla battaglia delle Termopili democratico cristiane, sia sul fronte del simbolo che ci appartiene, sia su quello della lista che rivendicheremo come diritto in tutte le sedi, per la  nostra legittima appartenenza di unici soci fondatori del PPE, cui intendiamo collegare la nostra proposta politica e programmatica.

 

Restiamo con la speranza che Mario Mauro e Ivo Tarolli, che sono stati sin qui i dominus per la formazione della lista, sappiano tenere dritta la barra e impedire, complice l’astuto avvocato romano, l’ultimo naufragio al progetto di ricomposizione dell’area cattolica e popolare che presuppone, volenti o nolenti, anche quella di ciò che rimane dei “democratici cristiani non pentiti”.

 

Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale DC

Venezia, 5 Aprile 2019


 


Basta con i rinvii, ora serve l’unità

 

Assistiamo a un ben triste spettacolo messo in scena dal governo giallo-verde. Il premier Conte si è inventato la “clausola di dissolvenza”, con la quale spera di guadagnare tempo e rinviare il caso TAV a dopo il voto di Maggio, per salvare la faccia a Di Maio e al M5S suo sponsor. Matteo Salvini, terrorizzato dal prossimo voto del Senato sul caso Diciotti, da spavaldo Capitan Matamoro rincula al più accondiscendente ruolo del meneghino Tecoppa ( “ fermati che ti infilzo”). Si aggiungano le posizioni antieuropee e filo russe con disponibilità filo cinesi del governo,  già denunciate dagli USA, e le nostre storiche alleanze atlantiche e europee sono messe in discussione senza nemmeno un dibattito parlamentare.

Ci prepariamo così al voto del prossimo 26 Maggio per il rinnovo del Parlamento europeo. Guai se i diversi cespugli nei quali ancora si disperde l’antica foresta democratico cristiana e popolare italiana non comprendessero la necessità inderogabile dell’unità.

 

Il 5 Dicembre scorso abbiamo condiviso il patto programmatico costituente federativo che insieme all’On Gemelli ho avuto l’onore di redigere. Ecco perché sento il dovere di rivolgere a tutti gli amici Renato Grassi, Mario Tassone, Gianfranco  Rotondi, Lorenzo Cesa, Mario Mauro, Giorgio Merlo, Ivo Tarolli e ai tanti amici rappresentanti delle diverse associazioni e movimenti dell’area cattolica, un ultimo appello all’unità .

 

Serve proporre alle elettrici e agli elettori italiani una proposta di ispirazione democratico cristiana per l’Europa con la quale ci impegniamo a mettere al centro delle politiche europee la persona, le famiglie, i corpi intermedi, le cui relazioni dovranno essere garantite dai principi della sussidiarietà e della solidarietà in un’Europa federata delle nazioni.

 

Intendiamo sottrarre l’Unione europea al condizionamento dei poteri finanziari che hanno rovesciato i principi del NOMA ( Non Overlapping Magisteria) garantendo alla finanza il primato e subordinando ad essa l’economia reale e la politica, molti esponenti della quale sono ridotti al ruolo di accoliti serventi a libro paga degli stessi poteri.

 

Intendiamo batterci per il controllo pubblico della BCE e delle banche centrali dei Paesi europei e per la separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria, a partire dalla Banca d’Italia e al ripristino della Legge bancaria del 1936.

Senza queste due riforme fondamentali non si potranno adottare efficienti ed efficaci politiche economiche per risolvere i grandi problemi della crescita e dello sviluppo sostenibile dell’Unione europea, insieme  a quelli della disoccupazione, specie giovanile, e della povertà sempre più ampia e diffusa anche tra i ceti medi europei.

 

Serve dar vita a una lista unitaria di tutti i  democratici cristiani e popolari italiani, sotto il simbolo glorioso dello scudo crociato. Una lista di centro senza cedimenti a destra o a sinistra, con candidati ed eletti impegnati a tradurre nella “città dell’uomo” gli orientamenti pastorali della dottrina sociale cristiana e lo faremo da soci fondatori del PPE, con la volontà di riportare l’Unione europea ai principi dei padri fondatori DC: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman.

Ettore Bonalberti

Vice Segretario nazionale DC, responsabile ufficio esteri-

Roma,10 Marzo 2019




Macron per un "nuovo Rinascimento europeo"


Fa piacere che il presidente Macron abbia annunciato l’iniziativa francese per un  Rinascimento europeo”, dopo che politiche dissennate del suo predecessore ci hanno portato al “cul de sac “della guerra Libica, Paese in cui, peraltro, continua il tentativo francese di sostituirci nel ruolo che ENI esercita dai tempi di Mattei in quella realtà nord africana.

Ovviamente “ Rinascimento europeo”, come sostiene Macron, comporta la revisione degli stessi trattati di Maastricht a partire dall’illegittimo fiscal compact, come il prof Giuseppe Guarino ha dimostrato con dovizia di particolari nei suoi libri.

Noi democratici cristiani vogliamo un’Europa federale degli stati, che ponga al centro delle politiche europee gli interessi della persona e dei corpi intermedi, regolati dai principi della sussidiarietà e della  solidarietà. Quei principi della dottrina sociale cristiana che furono alla base delle politiche dei padri fondatori DC: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman.

E’ prevalsa la deriva relativistica e laicista, che ha impedito di inserire nella Costituzione europea, bocciata proprio dalla Francia, le radici giudaico cristiane che fanno parte incontestabile  della nostra storia.

Vogliamo l’Europa dei cittadini e non dei poteri finanziari dominanti degli hedge fund anglo caucasici/kazari, che hanno rovesciato i principi del NOMA ( Non Overlapping Magisteria), ponendo la finanza in posizione dominante, con la subordinazione ad essa, cioè a coloro che la gestiscono in prima persona, l’economia reale e la stessa politica, i cui esponenti sono in molti casi ridotti a burattini mossi dai fili dei pupari finanziari.

Vogliamo il  ritorno alla controllo pubblico delle banche centrali, a partire dalla Banca d’Italia, e la separazione tra banche di prestito  e banche di speculazione finanziaria.

Macron, proveniente proprio da quei mondi che vedono nei Rothshild, JP Morgan, Vanguard , State Street , Northern  Trust, Fidelity, Francklyn Templeton, Black Rock, Black Stone, Mc Graw Hill, Bnp Paribas, Guarantee Trust, riconducibili alle 7 famiglie sassoni/georgiane/azerbajane  dei Morgan,    BauER MeyER Rothshild,  Baruch JohnSON , WalkER Bush , JefferSON, Clinton,  RockfellER ) i principali esponenti, vuole davvero  costruire con noi un nuovo rinascimento europeo?

Noi DC e popolari porteremo in Europa queste proposte e se son rose….fioriranno.
Ettore Bonalberti
Vice segretario nazionale DC-responsabile ufficio esteri

Venezia, 5 Marzo 2019



Torna la sinistra. Evviva. Adesso tocca al centro.


Dunque, la sinistra italiana e' ritornata in campo. Si potrebbe tranquillamente dire, per essere
ancora più chiari, che è ritornato in pista un nuovo e rinnovato Pds. Ovviamente in forma
aggiornata e rivista, ma sempre del partito della sinistra italiana si tratta. Un risultato, quello delle
primarie del 3 marzo 2019, che può contribuire a cambiare in parte la geografia della politica
italiana rimettendo in modo energie e idee che sino a qualche tempo fa parevano congelate. Ecco
perché ci sono almeno 3 elementi politici attorno ai quali non si può non riflettere dopo il risultato
delle primarie del Partito democratico.


Innanzitutto con la segreteria Zingaretti, come dicevamo poc'anzi, ritorna in campo la sinistra, il
pensiero e la tradizione della sinistra italiana. Era da tempo, del resto, che si auspicava e si
invocava questo "ritorno". E questo dopo una fase in cui questa cultura, questo pensiero e questa
tradizione erano stati, di fatto, archiviati. O meglio, accantonati nella concreta gestione del partito
di riferimento della sinistra italiana. A ciò ha contribuito in modo determinante la stagione renziana
dove, e' sempre bene non dimenticarlo, oltre l'80% del partito condivideva quel progetto e quella
impostazione. Gran parte della nomenklatura che ha sostenuto oggi Zingaretti invocando
discontinuità e cesura radicale rispetto al passato, sono stati stati tifosi e fans accaniti per oltre 4
anni del progetto renziano. I nomi sarebbero tantissimi. Uno fra tutti. L'ex sindaco di Torino Piero
Fassino. Ma oggi, comunque sia, si apre un'altra pagina. Torna la sinistra e tutto cio' che la sinistra
ha storicamente rappresentato nel nostro paese.


In secondo luogo, piaccia o non piaccia, viene definitivamente archiviato il renzismo. Almeno
dentro il Pd a guida Zingaretti. È un dato oggettivo su cui non conviene neanche soffermarsi.
Come ovvio, non parliamo del ceto dirigente renziano e di tutti colto che hanno sostenuto quel
progetto. Personaggi che nell'arco di pochi giorni saranno tutti e convintamente sostenitori del
Presidente della Regione Lazio. No, parlo delle politiche e del progetto politico renziano che ha
condizionato profondamente l'evoluzione della politica italiana. Il problema, com'è ovvio, non è il
destino politico e personale di Matteo Renzi. Al riguardo, vedremo nelle prossime settimane e nei
prossimi mesi quale sarà. Quello che resta sul tappeto e' il cambiamento radicale del progetto
politico complessivo del Partito democratico. Un progetto che in questi lunghi cinque anni ha avuto
alti e bassi a livello politico ed elettorale. Momenti politici ed elettorali, lo ripeto, che sono stati
ampiamente e quasi unanimemente condivisi dal Partito democratico a livello nazionale e a livello
locale. Ora si cambia. Come? Anche qui, lo vedremo nelle prossime settimane ma è indubbio che
quando si parla di discontinuità radicale e di cesura totale rispetto al passato non può che ritornare
in campo un'altra cultura, un altro pensiero, un altro metodo e un'altra ricetta. Economica, sociale,
istituzionale, finanziaria e quindi politica. E Zingaretti ha avuto un grande merito in queste primarie.
Lo ha detto in tempi non sospetti che tutto sarebbe cambiato e che, soprattutto, avrebbe archiviato
con la sua vittoria il passato recente di quel partito. Ecco perché nel Pd il renzismo sarà
politicamente archiviato.


In ultimo, tornata in campo la sinistra con un rinnovato e moderno Pds, adesso tocca al "centro
politico" riorganizzarsi e tornare in campo.

E non solo perché lo chiedono e lo invocano i granopinionisti dei quotidiani. Da Panebianco a Galli Della Loggia a Polito.

No, adesso la presenza dun centro politico, culturale e di governo serve alla democrazia italiana e alla cultura riformista del
nostro paese. Un centro che non sia solo di ispirazione cattolica. Anche, com'è ovvio, ma non solo.


Serve un "centro plurale" che sappia unire in un credibile progetto politico la cultura di governo, la
credibilità della classe dirigente, la capacità di non radicalizzare il confronto politico, una ricetta
programmatica in grado di saper comporre gli intessi contrapposti e, soprattutto, che sappia
rappresentare un elettorato che non ama l'estremizzazione della dialettica politica. Una
radicalizzazione che con il ritorno della tradizionale sinistra, accanto ad una forte e visibile destra,
sarà al centro della contesa politica italiana a partire dalle prossime settimane.

Questo è il compito di tutti coloro che non si riconoscono nella contrapposizione secca tra la sinistra e la destra.
Ecco perché, infine, la netta vittoria di Zingaretti ha comunque contribuito a rendere più chiare e
più nette le dinamiche della politica italiana. Adesso è tutto più chiaro. Accanto alla destra in
crescita, accanto alla presenza, seppur declinante, di un movimento antisistema e populista,
accanto al ritorno della sinistra tradizionale e moderna, va riorganizzato un campo di centro. Non
per ripristinare una terza o quarta posizione ma, al contrario, per ridare qualità alla nostra
democrazia e far tornare protagoniste tutte le culture politiche del nostro paese.


Giorgio Merlo

Torino,4 Marzo 2019



 

 

Dopo il “pronunciamiento” di Salvini è tutto più chiaro

 

Alle elezioni regionali di Abruzzo il 10 Febbraio scorso, il M5S ottiene il 19,7 %, dopo che alle politiche del 4 marzo 2018 aveva ricevuto il 39,85 %; in consiglio comunale di Taranto scompare la rappresentanza del movimento; alle regionali di domenica scorsa in Sardegna il M5S, che alle politiche del 4 Marzo aveva ottenuto oltre il 40% ,sprofonda a meno del 10%.

 

Non c’è che dire, con Di Maio leader, i grillini perseguono imperterriti la linea del gambero. E Di Maio come reagisce? Tranquilli, predica la riorganizzazione del movimento verso il partito: due mandati per tutti a cominciare dai consiglieri comunali e poi, via via, si arriverà anche ai parlamentari, dato che tornare a lavorare, per chi un lavoro ce l’aveva, sarebbe molto dura, mentre per gli altri…..c’è sempre il reddito di cittadinanza. E per Di Maio, il leader delle sconfitte? Tutto congelato, il suo ruolo “ si ridiscute tra quattro anni”; insomma  Di Maio non si cambia, non è previsto da nessun contratto.  Poveri “grullini”, ridotti a sorbirsi il Giggino di Pomigliano d’Arco………. fino alla fine.

 

Matteo Salvini sull’onda dei successi elettorali considera la sua attuale posizione di dominus del governo giallo verde, come la migliore possibile per lui e per la Lega. Non a caso si spinge a dichiarare: “io mai più con il centro-destra”. Non è la prima volta che Salvini assume il ruolo baldanzoso e sfrontato di un “Capitan Fracassa” (“ mi processino pure”), salvo poi, proprio come nel caso del processo per la Diciotti, ridursi, consigliato dall’esperta ministra avvocata Bongiorno, a quello di un qualunque “Tecoppa meneghino” bisognoso del salvataggio del voto dei pentastellati.

 

Certo la natura originaria della Lega con Salvini è profondamente mutata; all’idea separatista bossiana della Padania dall’Italia è subentrata quella di un partito nazionale a tutto tondo, che accentua sino a livelli pericolosi il suo nazionalismo, con alcuni esponenti, come il loro mentore economico, Claudio Borghi, che, anziché la separazione della Padania  dall’Italia, auspicano la separazione dell’Italia dall’Unione europea.

 

Sono giurassici i tempi bossiani del “ Dio PO”,  con le ampolle delle sue acque raccolte sul Monviso e portate in laica processione sino a Venezia; o quelli delle bandiere tricolori strappate al canto di “ Va pensiero”. Ora trionfa l’immagine di un ministro degli Interni che sfoggia felpe d’ordinanza di tutte le forze armate e dell’ordine pubblico col tricolore e giunge a visitare un signore, condannato in via definitiva dalla Cassazione per tentato omicidio, in spregio evidente della magistratura e  con l’utilizzo “improprio” e deformante del suo ruolo istituzionale. Insomma la Lega a trazione salviniana sta assumendo la funzione e il ruolo della vera destra lepenista italiana che, persino la Meloni e Crosetto al  suo confronto sono dei liberali moderati.

 

Non nascondiamo la nostra simpatia e vicinanza politica agli amici della Lega che conosciamo nel Veneto, dal governatore Zaia al presidente del Consiglio regionale, Ciambetti. In molti dei loro seguaci riconosciamo gli interessi e i valori che un tempo sono stati rappresentati dalla Democrazia cristiana veneta, che fu il partito di molti dei genitori degli attuali esponenti della Lega veneta.

 

Con la stessa franchezza, però, possiamo affermare che delle politiche e degli atteggiamenti assai poco istituzionali di Salvini, non condividiamo pressoché nulla; anzi, riteniamo che siano espressione di un nazionalismo vecchio e stantio, capace solo di suscitare  pericolose fratture nel tessuto sociale e morale dell’Italia. Un Paese che è ridotto all’isolamento internazionale  più grave della sua storia repubblicana, e/o, peggio, per il quale si  ipotizzano nuove alleanze ad oriente, lontane da quelle atlantiche ed  europeiste occidentali, che la DC seppe garantire all’Italia per quasi cinquant’anni.

 

Ecco perché l’affermazione perentoria di Salvini, una sorta di “pronunciamento” nello stile del “comandante”: “ Io mai più col centro-destra”, assume per noi “ DC non pentiti” la conferma di quanto abbiamo deciso nel nostro congresso nazionale dell’Ottobre 2018; ossia la volontà di concorrere alla costruzione di un nuovo centro, non sbilanciato, né a destra né a sinistra, impegnato nella difesa e nell’ integrale attuazione della Costituzione repubblicana.

 

Una Costituzione da realizzare pienamente in tutti i suoi principi fondamentali, dall’applicazione dell’art.49, al fine di superare la presente realtà di un partito, come il M5S, etero guidato dall’esterno da una società a responsabilità limitata, con parlamentari dal vincolo di mandato subordinato dai dioscuri pupari di quel movimento, sino a quelli inerenti alla dignità della persona, al ruolo della famiglia naturale e dei corpi intermedi.

 

Ecco perché siamo impegnati, innanzi tutto, a riunire nella stessa casa tutti i diversi gruppi, partiti e movimenti che, a diverso titolo, si rifanno alla DC e a superare le scaramucce infantili e suicide che qualche irresponsabile continua ad alimentare fra noi. Ecco perché, infine, intendiamo concorrere alla costruzione di un nuovo soggetto politico, come fu il MRP francese, che raccolga le migliori culture della storia politica italiana. Un movimento popolare, laico, democratico, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori.

 

Un Movimento ampio e plurale che si ponga sin dalle prossime elezioni europee il compito di riformare profondamente la struttura dell’Unione europea. Come ho concluso nel mio ultimo saggio: “ Elezioni europee-La visione dei “ Liberi e Forti”, https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/422618/elezioni-europee/ è evidente l’esigenza di una seria riforma della costruzione europea, sia dal punto di vista istituzionale, della governance e, soprattutto, sulle politiche economiche e finanziarie da sottrarre ai condizionamenti giugulatori dei poteri finanziari dominanti.

 

Trattasi di un compito politico e culturale straordinario, al quale noi popolari italiani ed europei, soci fondatori, prima della CEE e, poi,  dell’Unione europea, abbiamo il dovere di offrire il nostro prezioso contributo senza del quale l’attuale costruzione è destinata a sicuro fallimento. E dovremo farlo insieme alle altre culture laiche e liberali, riformiste di ispirazione democratica che condividono i valori dell’umanesimo cristiano.

 

Questa è la priorità per tutti i popolari italiani che credono nel valore di un’Europa federale riformata sui principi a suo tempo indicati da Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman. E questa è la prospettiva per cui ci battiamo.

 

Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale DC, responsabile ufficio esteri

Venezia, 28 Febbraio 2019

 


Cattolici e politica, dal cardinale  Poletto un invito esplicito e diretto.

 

 

"Svegliatevi, non c'è più tempo, agite al più presto. Alle prossime politiche sarà troppo tardi, dovete cominciare subito a far vedere che una luce si accende, non importa quanto piccola. Nessuna deriva confessionale: costruite un soggetto politico laico, se non un partito almeno un manifesto programmatico per chi come noi crede che è ora di voltare pagina. Abbiamo delle responsabilità, a partire dalla colpevole afonia dei cattolici negli ultimi anni".

 

Con queste parole precise, responsabili e secche, il cardinale Severino Poletto, già arcivescovo di Torino, ha segnato il dibattito organizzato da Rete Bianca del Piemonte sul tema molto dibattuto della presenza politica dei cattolici nella società contemporanea. Un invito, quello del cardinal Poletto, che ha richiamato i cattolici ad una nuova ed inedita assunzione di responsabilità dopo aver individuato e rimarcato la sostanziale irrilevanza politica dei cattolici stessi nell'agone politico italiano.

 

Una denuncia che non potrà passare sotto silenzio non solo per l'autorevolezza e il prestigio di Poletto ma anche, e soprattutto, per il coraggio e la coerenza nell'aver individuato una strada concreta e lineare da percorrere. Certo, una riflessione che è partita da una premessa altrettanto netta: e cioè, la presenza dei cattolici nei vari partiti si è rivelata progressivamente inesistente, se non del tutto irrilevante. Una denuncia che condividiamo sino in fondo perché conferma, come diciamo da tempo, anche il fallimento e l'archiviazione dei cosiddetti "partiti plurali" - a cominciare dalla concreta esperienza del Partito democratico - e la progressiva irrilevanza politica di quest'area culturale nei vari partiti. Ed è lo stesso Poletto a sottolineare che adesso occorre dire "basta all'afonia, basta all'irrilevanza".

 

Ora, dal convegno di Torino arriva anche un messaggio preciso a tutti quei cattolici che continuano, anche in buona fede, a sostenere che occorre attendere almeno 20 anni prima di"scendere in campo", a coloro che continuano a predicare, sempre più stancamente, che ci si deve impegnare solo nel prepolitico, nella formazione di coscienze, nel lievitare i vari settori della società, nel continuare ad esercitare quel discernimento critico che rischia solo di produrre testimonianza e, purtroppo, impotenza politica e progettuale. Perché tutto ciò rientra più nella finalità dell'Azione cattolica e di altri movimenti ecclesiali che non di chi nutre e coltiva passione e vocazione alla politica.

 

Ha ragione, quindi, il cardinal Poletto. Dopo il profondo cambiamento della geografia politica italiana e il superamento della tradizionale architettura politica, anche per i cattolici democratici e popolari si è aperta una nuova pagina. E una nuova stagione. Adesso si tratta di far accompagnare i fatti alle enunciazioni. Il tempo della testimonianza, degli approfondimenti accademici e delle esercitazioni intellettuali deve cedere il passo alla stagione dell'azione politica concreta e dell’organizzazione politica. Cioè a una nuova assunzione di responsabilità fatta di coraggio  e di coerenza. Come ci ha detto, giustamente, il cardinal Severino Poletto a Torino.

 

Giorgio Merlo

Torino, 18 Febbraio 2019


Si è riaperto  il tema dell’autonomia regionale differenziata

 

Si è riaperta la questione, per la verità mai chiusa, dell’autonomia regionale. Quella cosiddetta differenziata é l’ultima delle soluzioni escogitate, dopo il fallimento dei precedenti tentativi svolti sin dalla bicamerale presieduta da D’Alema (1997) e a seguito dell’enorme confusione istituzionale connessa alle modifiche del Titolo V della della Costituzione (legge cost.le 3/2001). L’introduzione delle “materie concorrenti” tra Stato e Regioni, come è noto,   ha dato vita, infatti,  a una serie infinita di contenziosi, mentre permane la situazione non più sostenibile delle differenze esistenti tra Regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario, che, vanamente, almeno sin qui,  noi popolari veneti abbiamo tentato di superare.

 

Se alcune tra le regioni trainanti dello sviluppo italiano: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sono giunte a proporre la via d’uscita, prevista in Costituzione, di un’autonomia differenziata, è perché l’attuale assetto istituzionale del nostro Paese non regge più, aggravato dalla condizione complessiva di anomia politico istituzionale ed economico sociale in cui versa l’Italia. Credo si debba partire da quest’oggettiva constatazione di crisi del nostro sistema istituzionale, resa ancor più difficile dalla situazione critica all’interno dell’Unione europea e nei nuovi assetti e rapporti internazionali; questi ultimi in continua modificazione nell’età della globalizzazione.

 

Ricordo al riguardo che, nel Febbraio 1997, sono usciti per la collana "il nocciolo" di Laterza, due saggi sull'Europa, che meritano la nostra attenzione. Il primo, in ristampa dopo la prima edizione del 1996, di Piero Bassetti ("L'Italia si é rotta? Un federalismo per l'Europa" )  ed il secondo, in prima edizione 1997, di Ralf Dahrendorf ("Perché l'Europa? Riflessioni di un europeista scettico") che affrontavano, da due diverse prospettive,  il tema dell'Europa.

 

Bassetti é, per quelli della mia generazione, il non dimenticato paladino del regionalismo degli anni '70, il primo Presidente della giunta regionale della Lombardia, il sommo teorico italiano del glocalismo (presidente della fondazione Globus et Locus). Ralf Dahrendorf, di origine tedesca, essendo nato ad Amburgo, é stato sino al 1983, il direttore della prestigiosa London School of economics, ed è stato membro della Camera dei Lords inglese e già Commissario inglese dell'Unione europea. E’ morto a Colonia il 17 Giugno 2009. Essi rappresentano, tuttora, due voci autorevoli di una stessa generazione di uomini politici e di cultura, le quali esprimono due diverse concezioni dell'Europa e del federalismo, dopo sessant’anni dalla nascita della CEE .

 

Il primo, kennedianamente un "ottimista senza illusioni", preoccupato della pericolosissima china cui é giunta l'Italia collassata nella sua struttura statuale ed al limite del rischio della secessione, ritiene che: " se il Paese si rompe sotto la pressione  europea, usiamo proprio la colla europea per aggiustarlo e farcelo entrare politicamente unito".

 

Per Bassetti, insomma, la difesa dell'Unità nazionale ed il superamento del rischio secessione può solo avvenire attraverso la Costituzione europea. Ma andare in Europa uniti per Bassetti "non vuol necessariamente dire volere cavare dall'Europa una sola cosa da fare, noi, tutti insieme secondo il classico approccio da governo centrale. Andare nell'Europa pluralista con un'Italia pluralista vuol dire poter chiedere cose diverse alle diverse realtà del Paese facendolo però insieme e con una visione di insieme".

 

a)    E' netta in Bassetti l'idea del superamento della concezione dello Stato nazionale così come ereditata dal Risorgimento e, dunque, la consapevolezza che "una nuova politica di Unità nazionale dovrà essere costruita non attorno a una rivendicazione di indipendenza e separazione dagli altri Stati europei come all'epoca del Risorgimento, ma, al contrario, deve essere tesa a inserire in Europa gli interessi globali del nostro Paese, partendo dalle sue differenze e articolazioni, nel tentativo di far giocare tali differenze come un surplus geopolitico che l'Europa ha in passato sempre mostrato di apprezzare." Sfiducia totale nella tradizionale concezione dello Stato nazionale così come concretamente si é realizzato in Italia, e totale adesione all'idea di un'Europa delle Regioni in cui il collante fondamentale dovrebbe essere costituito dal "sistema delle imprese". Superamento della vecchia idea del Principe-Stato e centralità dell'impresa "la quale non rappresenta più solo l'unità elementare di produzione, ma é anche il principale motore dell'innovazione". Non più, dunque,  un sistema fondato sull'alleanza tra Stati e superamento del centro come momento unificante dei particolarismi, quanto la realizzazione di un sistema a rete tra realtà regionali dell'Europa, istituzionali e d'impresa, che realizzano un nuovo patto federativo per il prossimo secolo, quale unico vero antidoto possibile contro i rischi non effimeri di disintegrazione socio politica del nostro Paese. Questo tema è stato ripreso con la stessa determinazione e nuovi accenti da Piero Bassetti, grazie a un articolo pubblicato su “ Il Foglio”, Mercoledì 13 Febbraio a firma di Maurizio Crippa, intitolato: “Il Risorgimento. Parte due”.

 

b)   Da esso emerge come il voto del 4 marzo  2018 abbia rivelato l’esistenza di due Italie difficilmente riconducibili e interpretabili da una cultura unitaria e condivisa e da una gestione dello stato di tipo centralizzato. La mancata unità nazionale su basi federaliste secondo la concezione di Carlo Cattaneo con l’alleanza tra borghesia del Nord , monarchia sabauda ed esercito, ha fatto nascere uno Stato, ma non ha risolto il problema lucidamente posto da Massimo D’Azeglio: “fatta l’Italia, facciamo gli italiani”. Di qui l’espressione di Bassetti della fine del primo risorgimento, proponendo una seria riflessione sulle riforme istituzionali possibili e compatibili e la riproposizione di  una lettura del caso Italia  secondo la stessa idea del prof Miglio : macroregioni e selezione di una nuova classe dirigente dal basso, partendo dalle realtà locali, considerando insufficiente e inadeguata la stessa soluzione dell’autonomia differenziata richiesta dalle tre regioni del Nord (Lombardia, Veneto, Emilia e Romagna) che è  alla firma del governo.                         

 

 

Totalmente diversa la posizione espressa da Ralf Dahrendorf, che in quel saggio si autodefinì "un europeista scettico" e che nello stesso espose, sostanzialmente assai bene, la posizione prevalente degli inglesi, già allora, in materia di costruzione europea. Teorico inflessibile dello Stato nazionale da lui ampiamente difeso contro le ricorrenti utopie dei federalismi regionali (v. il suo bel saggio su Micromega ,n.5/94,pagg.61-73) per Lord Dahrendorf: "la peggiore delle  prospettive é la cosiddetta Europa delle regioni, in cui unità sub nazionali omogenee, e quindi intolleranti, si uniscono con una formazione sovrannazionale  retorica e debole. Contro una prospettiva del genere , lo Stato nazionale eterogeneo é l'unico bastione".

 

Ne risulta una concezione totalmente opposta a quella di Bassetti,  che si basa su un'idea pessimistica delle realtà territoriali regionali portatrici, nella visione di Dahrendorf, di intrinseci rischi di frantumazione degli Stati, unici garanti delle regole di libertà per i cittadini. Insomma per Dahrendorf il binomio"società e democrazia" è più importante di "Europa e democrazia", mentre non manca il timore, così diffuso in molta parte della cultura anglosassone ed europea, espresso dal seguente interrogativo: "non può essere forse che in bocca tedesca "Europa" sia in realtà la parola in codice per il nuovo nazionalismo tedesco?".

 

Tutto il suo saggio é permeato da approfondite riflessioni in ordine ai rischi, se non addirittura all'inutilità, di considerare l'Unione monetaria che, come dibattito sull’euro, é oggi al centro del dibattito politico, economico e finanziario in molti  Paesi europei, Italia in testa, come il tema essenziale per la costruzione europea. Per Dahrendorf non solo tale questione non serve a risolvere i grandi problemi storico-politici presenti all'attualità dell'Europa di oggi, ma, probabilmente potrebbe contribuire a ritardarne addirittura la soluzione, riducendosi alla costruzione di un mero "francomarco"a netta egemonia tedesca. Una profezia che si è in larga parte auto adempiuta. Insomma per Dahrendorf non vale la pena di morire per Maastricht, mentre più saggio sarebbe puntare alla costruzione di una più stretta unione delle nazioni europee, "partendo dall'Unione europea così come esiste realmente nella sua attuale articolazione di Stati nazionali."

 

Ridotte così al "nocciolo" le tesi dei due autori  alla fine del secolo scorso, credo siano tuttora di grande interesse nell'attuale dibattito apertosi in Italia e nell'Unione europea.

 

Qualche anno dopo la pubblicazione di quel saggio (1997), nel 2014, l’allora primo ministro francese, Manuel Valls, propose  di "ridurre della metà il numero delle regioni" entro il 2017 e di sopprimere i consigli dipartimentali (province) "entro il 2021".Le Regioni francesi sarebbero passate dalle attuali 22 a 12, con un risparmio di spesa  annuo previsto tra i 12 e i 15 miliardi di €: una robustissima riduzione di spesa pubblica. Quello stesso anno Beppe Grillo, il leader del M5S, il 7 Marzo sul suo blog definiva l’Italia: "un’arlecchinata di popoli, di lingue, di tradizioni che non ha più alcuna ragione di stare insieme" e per questo insisteva sull’urgenza di dividere il territorio nazionale in macroregioni.

Quella  iniziata nel 1861, scriveva Grillo, è “una storia brutale, la cui memoria non ci porta a gonfiare il petto, ma ad abbassare la testa. Percorsa  da atti terroristici inauditi per una democrazia assistiti premurosamente dai servizi deviati (?) dello  Stato. Quale Stato? La parola ‘Stato’ di fronte alla quale ci si alzava in piedi e si salutava la bandiera è diventata un ignobile raccoglitore di interessi privati gestito dalle maitresse dei partiti”. E se domani, proseguiva il post, “i Veneti, i Friulani, i Triestini, i Siciliani, i Sardi, i Lombardi non sentissero più alcuna necessità di rimanere all’interno di un incubo dove la democrazia è scomparsa, un signore di novant’anni decide le sorti della Nazione e un imbarazzante venditore di pentole si atteggia a presidente del Consiglio, massacrata di tasse, di burocrazia che ti spinge a fuggire all’estero o a suicidarti, senza sovranità monetaria, territoriale, fiscale, con le imprese che muoiono come mosche”. Secondo Grillo per fare funzionare l’Italia, che “non può essere gestita da Roma da partiti autoreferenziali e inconcludenti”, “è necessario decentralizzare poteri e funzioni a livello di macroregioni, recuperando l’identità di Stati millenari, come la Repubblica di Venezia o il Regno delle due Sicilie. E se domani fosse troppo tardi? Se ci fosse un referendum per l’annessione della Lombardia alla Svizzera, dell’autonomia della Sardegna o del congiungimento della Valle d’Aosta e dellAlto Adige alla Francia e allAustria? Ci sarebbe un plebiscito  per andarsene”.

Considerazioni a cui replicò Matteo Salvini così: “Non vorrei che essendo in difficoltà, Grillo inseguisse la Lega”. Ma se da lui non ci saranno “solo parole” fra M5S e Carroccio “sarà una battaglia comune”. “Se è coerente – disse Salvini – Grillo sosterrà subito il referendum per l’indipendenza del Veneto e quando in Lombardia chiederemo lo statuto speciale ci sosterrà”. Per questo Salvini si aspettava che “non rimanessero solo parole, perché a parole i grillini erano contro l’immigrazione clandestina e poi hanno votato contro il reato, a parole erano contro l’euro poi è rimasta solo la Lega: se non saranno solo parole sarà una battaglia comune – concludeva – perché è certo che se mettiamo insieme le forze da questo punto di vista non ce n’è per nessuno”.

Parole profetiche pronunciate dai due leader quattro anni prima del “contratto di governo” giallo verde, anche se, oggi, giunti alla vigilia della firma degli accordi sottoscritti dalla ministra Stefani con i tre governatori di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, i grillini si stanno tirando indietro, preoccupati di offrire all’alleato-competitor di governo, Salvini, un vantaggio sicuro rispetto alla prossima scadenza elettorale per il rinnovo del parlamento europeo.

 

Ho citato queste idee di Grillo e di Salvini datate 2014, per evidenziare come i temi dell’autonomia regionale possano assumere nel tempo forme e declinazioni diverse, così come l’abbiamo sperimentato anche noi popolari veneti che, dalla fine del 2015, abbiamo avviato una grande campagna per la nascita della macroregione del Nord Est o del Triveneto, secondo le vie previste dalla Costituzione. Sostenitori della tesi del  prof Miglio, da anni, infatti,  proponiamo in Italia  il passaggio dalle attuali 20 regioni a 5- 6 macroregioni.

 

Proprio alla fine del 2015 e per tutto il 2016 e 2017, con molti autorevoli amici veneti, abbiamo condiviso l’idea della macroregione del Nord-Est, convinti che:esiste, ed è costituzionalmente previsto, un meccanismo, mai esplorato, per arrivare alla macroregione “speciale” triveneta, con Trentino e Friuli Venezia Giulia, omogenee per cultura, storia, caratteristiche economiche e tessuto sociale, a costo “zero” per lo Stato. Attraverso, cioè, l’applicazione dell’art. 132, comma 1, della Costituzione, ovvero promuovendo la richiesta di fusione delle tre regioni venete da parte di tanti consigli comunali quanti rappresentino 1/3 della popolazione complessiva (circa metà del Veneto), si determinerebbe la convocazione di un referendum, che, se avesse esito positivo obbligherebbe le camere a discutere una legge costituzionale di accorpamento del Triveneto.

 

Fondere due regioni speciali e una ordinaria comporterà necessariamente la creazione di una macroregione speciale, in cui vi sarà una diversa modulazione, anche mantenendole invariate, delle attuali risorse dello Stato per il medesimo territorio, altresì potendo l’itero triveneto beneficiare della autonomia fiscale ora riconosciuta solo a TTAA e FVA.

 

Inoltre, sul piano strategico una macroregione del nordest, cuore e crocevia degli assi nord/sud ed est/ovest dell’Europa, appare uno straordinario strumento di attrazione di investimenti, nonché di interlocuzione autorevole con le istituzioni italiane ed europee a immediato beneficio della crescita dell’intero territorio. La proposta potrebbe nascere da alcuni Sindaci di importanti città venete, sotto l’egida di autorevoli riferimenti veneti nel mondo del diritto, delle professioni, dell’economia, della cultura, dell’editoria.

 

Quella nostra indicazione, ahimè, non fu raccolta dalle forze politiche presenti nel Consiglio regionale del Veneto e cadde tra i “ wishful thinkings” (pensieri vaghi) impotenti e insoddisfatti. Peccato, perché sarebbero bastati i pronunciamenti dei consigli comunali dei sette comuni capoluoghi del Veneto per far scattare quel referendum. La Lega e il Presidente Zaia, con la maggioranza del consiglio regionale veneto, hanno deciso diversamente, proponendo la strada di un referendum consultivo che  ha ottenuto il via libera dalla Corte Costituzionale.

La forte partecipazione al referendum svoltosi  il 22 Ottobre 2017 e un voto pressoché plebiscitario a sostegno di una maggiore autonomia della nostra Regione, sono state le precondizioni politiche, nel Veneto e in Lombardia, per aprire un confronto con il governo centrale non più rinviabile. 50 miliardi di fondi versati da Lombardia e Veneto al governo centrale, sottratti dall’imposizione fiscale dei lombardo-veneti sono una cifra enorme non più sostenibile. L’Emilia e Romagna senza referendum optò da subito per l’apertura di una trattativa diretta col governo, sulla  base di  una proposta di accordo votata all’unanimità dal consiglio regionale emiliano.

 

Va assicurato che non intendiamo  sottrarci ai doveri della solidarietà a favore delle regioni italiane meno fortunate, ma onestamente non si possono più accettare gli sprechi e il malgoverno di realtà istituzionali come quelle che reggono la sanità campana o laziale e lo sfregio a ogni logica elementare di buona amministrazione cui è stata condotta la Regione Sicilia.

 

Da molto tempo sosteniamo, con l’insegnamento del compianto prof. Miglio, l’idea di un’Italia federale organizzata sulla  base di cinque o sei macroregioni, ma, ahimè, sin qui le nostre sono state inutili “grida nel deserto”, in un Paese centralista che non si rende conto, così com’è attualmente organizzato, di essere destinato al fallimento.

La nostra proposta non intendeva e non chiede di ridurre il grado di autonomia conquistato dalle consorelle realtà regionali friulane e trentino-altoatesine, ma, semmai, di aumentare quello ora garantito al Veneto come regione a statuto ordinario. E lo facciamo indicando in Venezia e nella migliore tradizione storico  politica della Repubblica Serenissima, il punto di riferimento centrale della nostra proposta. Nessuna velleità scissionistica, ma il riconoscimento di una specifica autonomia nel  quadro di ciò che prevede la nostra Costituzione repubblicana.

Che esista una questione settentrionale, lo ha ben descritto l’amico Achille Colombo Clerici in un suo recente saggio,  che ripropone quanto da lui esposto in una conferenza tenuta a Zurigo all’Istituto svizzero per i rapporti culturali ed economici  con l’Italia nel giugno 2008.In estrema sintesi Colombo Clerici fa presente quanto segue:

Se la questione meridionale italiana da quasi un secolo è al centro del dibattito storiografico e politico nel nostro Paese, scarsa attenzione viene data alla questione lombarda che si inserisce, più in generale, nella questione settentrionale, il cui confine è tracciato dal perimetro delle cosiddette regioni a residuo fiscale negativo: cioè di quelle regioni che allo Stato danno in tasse più di quanto ricevono in servizi.

 

Si delinea un'area geografica comprendente le regioni del Nord, un'area entro la quale si riscontra una certa omogeneità storico cultural-sociale ed economica. Anche se dobbiamo dire che, grazie a Milano, la Lombardia è la Regione che più assomiglia ad uno stato autonomo, nel quale esiste in modo inequivocabile un vero riconoscibile polo di potere socio-economico-amministrativo a reggerne la vita. La questione settentrionale potrebbe oggi, per grandi linee, affacciarsi nei termini problematici del compito e della responsabilità, maturati sul piano storico, delle Regioni del Nord di tenere agganciato il Paese al mondo internazionale, mentre le risorse per consentire questo compito non sono per niente definite. Anzi, non se ne parla nemmeno. L’assistenzialismo centralistico verso le regioni del Sud ha dato luogo a ingenti trasferimenti finanziari alle famiglie senza la contestuale creazione di nuovi posti di lavoro. Si è in tal modo sviluppato un modello di società dei consumi senza una corrispondente produzione.  Lo Stato Italiano ha sottratto ingenti risorse finanziarie agli investimenti in infrastrutture di servizio, tanto al Nord, quanto al Sud; dove peraltro gli investimenti realizzati non hanno dato i risultati ipotizzati.

 

La soluzione? Alcuni sostengono un’idea più avanzata sul piano del “federalismo”, soprattutto in campo fiscale; altri più sfumatamente parlano di “regionalismo”, in aderenza sostanzialmente all’idea di una maggiore autonomia dell’ente locale. Ma poi inevitabilmente nelle risposte degli uni e degli altri emergono tutte le tematiche del dibattito generale: dai principi di interdipendenza, di sussidiarietà, di solidarietà, al policentrismo ed al cosmopolitismo. Il tutto inquadrato in un sistema che sia in grado di conciliare le esigenze di autogoverno–partecipazione locale, con la salvaguardia del principio di unità-solidarietà nazionale.

Ci auguriamo che il governo  non sia sordo e ondivago come lo è stato il PD a suo tempo, in questa vicenda per l’autonomia differenziata. Se, com’è assai prevedibile, gli accordi annunciati dalla ministra Stefani non potranno essere sottoscritti in questa fase pre elettorale, non sarà con il rinvio che si potranno sciogliere i nodi aperti dalla locomotiva italiana lombardo-veneta-emiliana. Alla fine, si dovrà prendere atto dell’opportunità di un nuovo assetto finalmente federale del Paese, con cinque o sei macroregioni  e una guida autorevole e forte centrale, come il compianto prof Miglio, profeta inascoltato, autorevolmente auspicava.

Ricordo ciò che ha scritto Stefano Bruno Galli, in una nota su “ La Confederazione Italiana” il 23 Giugno 2016 sul tema: “ Il federalismo di domani”:

“Sarebbe questo il progetto di un federalismo a geometria variabile concreto, realizzabile e praticabile. Un federalismo dal quale ci guadagnerebbero tutti. Le autonomie storiche sarebbero affiancate da queste nuove autonomie speciali, e quindi nessuno si permetterebbe più di metterne in discussione la sopravvivenza. Le regioni del fronte del residuo fiscale conquisterebbero maggiori – e strameritati – margini di autonomia politica e amministrativa. Infine, nel rapporto con le nuove specialità, si potrebbe lavorare sulla riduzione del residuo in cambio dell’attribuzione in via esclusiva di tutte le competenze concorrenti e dell’assolvimento di servizi oggi garantiti dallo Stato centrale: minore spesa in uscita e più qualità nei servizi erogati, a beneficio della collettività. Perché le regioni con un consistente residuo fiscale sono assai più virtuose dello Stato di Roma. Lo dimostra proprio l’entità del residuo. Mentre le altre regioni, quelle che – come un’idrovora – sono mantenute e succhiano risorse allo Stato centrale, rimarrebbero nell’attuale condizione di dipendenza e di subordinazione rispetto a Roma. Condizione rafforzata – ma solo per loro – dalla riforma costituzionale. Se intendono guadagnare una maggiore autonomia politica e amministrativa saranno costrette a diventare virtuose. È ora che in questo Paese si adottino dei criteri premiali, basati sulla competizione – che è l’essenza del federalismo – fra la virtuosità dei territori. Competizione che questo Paese non ha mai conosciuto.”

L’immediata reazione del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, il quale intende anche lui chiedere per la sua realtà territoriale una maggiore autonomia, non può che essere salutata favorevolmente, al di là dei toni vanagloriosi di sfida, tenendo presente che si tratterà di rimodellare l’intero assetto istituzionale del Paese con cinque o sei macroregioni e un forte potere centrale di tipo presidenziale, come nei migliori modelli federali esistenti in Europa e nel mondo. Credo che su questa proposta si possa e si debba aprire un serio confronto anche al nostro interno, trattandosi di un’idea coerente con quanto appartiene alla nostra migliore  cultura e tradizione politica delle autonomie locali, da quella popolare sturziana a quella  democratico cristiana e degasperiana iscritte nella Carta costituzionale.

Ettore Bonalberti

Venezia, 16 Febbraio 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Dopo l’Ufficio politico della DC

 

Il garrulo Di Maio è convinto che “governerà cinque anni”. Quella che per lui è una speranza, per gli italiani potrebbe diventare un incubo. Basta considerare ciò che sta accadendo nel nostro Paese: la rivolta dei pastori e allevatori sardi produttori di latte i cui costi di produzione non sono più compensati dai prezzi di vendita jugulatori imposti dalle major del settore e da una politica agricola europea tutta da rivedere; la rivolta dei gilet arancioni degli olivicoltori pugliesi  in crisi per la xylella, la concorrenza e le frodi alimentari contro il nostro straordinario olio d’oliva; la rivolta ai limiti della guerriglia urbana degli anarchici e dei black blocs a Torino, che sembra innescare ciò che i gilet gialli stanno perseguendo da alcuni mesi in Francia, un autentico “progrom” della Francia, partendo dal tessuto urbano di molte città e puntando alla crisi del governo e della presidenza Macron.

 

E’ in atto quella che da diverso tempo ho indicato come la reazione del terzo stato produttivo e di una parte dei diversamente tutelati, quella, ovviamente, meno tutelata, contro la casta, con il “quarto non stato” che continua a esercitare il suo potere di rendita, sottratta a ogni capacità di regolazione e controllo da parte dello Stato. Una reazione che potrebbe sfociare in una rivolta fiscale e/o in una più generale rivolta sociale e politico istituzionale.

 

Quest’ultima annunciata dall’alta astensione al voto (poco più del 17 % alle recenti elezioni per il rinnovo di un seggio al consiglio regionale sardo e poco più del 50% nelle elezioni regionale abruzzesi  di domenica 10 Febbraio) se il 4 Marzo si era tradotta sul piano elettorale con l’affermazione su liste contrapposte del M5S, da un lato, e della Lega, dall’altro, dopo otto mesi di esperienza del governo del contratto giallo verde,  nel voto di Abruzzo ha registrato:

a)                 una netta affermazione già annunciata dai sondaggi della Lega

b)                l’ affermazione del centro destra unito che, sfiorando la maggioranza assoluta (48% dei voti) ha portato nel bigoncio della coalizione un’altra presidenza di regione dopo quelle di Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli V.Giulia. Va sottolineato che nessuna regione italiana è governata dal M5S o dalla coalizione giallo verde;

c)                 la tenuta della coalizione unita della sinistra che si riproporrà come unità delle forze europeiste nelle prossime elezioni di maggio;

d)                il disastro elettorale del M5S che riduce di quasi il 50% la percentuale dei voti ( 20 %) rispetto a quelli conseguiti il 4 Marzo alle politiche del 2018 ( 38 %).

Dopo il voto in Abruzzo,Matteo Salvini si affanna a dichiarare: niente cambi al governo nazionale. Il problema, però, non è  cosa vorrà fare la Lega divenuta, secondo i sondaggi e  la verifica del  voto abruzzese, il partito di maggioranza relativa in Italia, ma ciò che faranno i grillini che dalla Lega stanno per essere cannibalizzati. Si apre una settimana politica interessante tra voto sul processo a Salvini, decisione sulla TAV,  sulla legittima difesa, sui vertici di Banca d’Italia, sull’autonomia delle regioni del Nord : Veneto, Lombardia ed Emilia. Può darsi che prevalga il fregolismo del duo giallo verde Salvini-Di Maio, ma fino a quando potrà durare?

 

C’è qualcosa che si sta lacerando nel tessuto economico, finanziario, sociale e politico istituzionale italiano:

a)                 la crisi del sistema bancario e l’attacco all’autonomia della Banca d’Italia, già dominata dal potere degli hedge funds anglo caucasici_kazari , che richiede di tornare alla legge bancaria del 1936, per riprendere il controllo pubblico di Banca d’Italia e la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria;

b)                la crisi nei rapporti con la Francia e l’isolamento sempre più forte dell’Italia a livello europeo e internazionale, con una politica estera che sta intaccando i pilastri fondamentali costruiti dalla DC nei 45 anni del governo del Paese: alleanza atlantica e Unione europea;

c)                 una crisi economica e sociale espressa dai dati della decrescita infelice dell’Italia , della disoccupazione totale e giovanile in particolare, dai dati emigratori, e della povertà assoluta ( 5 milioni) e relativa ( quasi 9 milioni di italiani).

 

Alla riunione dell’ufficio politico della Democrazia Cristiana tenutasi ieri a Roma, ho evidenziato come sia  attorno a questi nodi che, un partito ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano e alla storia della DC, dovrebbe impegnare la propria azione e indicare le soluzioni politiche possibili, assumendo a livello programmatico  molte delle proposte che dal seminario di Sant’Anselmo (3-4-5 gennaio 2013) all’incontro di Camaldoli (17-18 Giugno 2017)  la DC ha saputo sin qui elaborare . Purtroppo continua una suicida campagna di delegittimazione svolta non solo tra le tradizionali ormai indigeste e assurde parrocchiette delle diverse sigle ex DC, ma anche e soprattutto, con toni fuori di ogni decenza, al nostro interno.

 

E’ tempo di girare definitivamente pagina: Il Presidente del Consiglio nazionale, Gianni Fontana,  che avevamo eletto all’unanimità, proprio quale soluzione tesa a evitare una spaccatura congressuale il 14 ottobre scorso; una spaccatura che sarebbe suonata come quella dell’atomo, con cifre numeriche ridicole, deve scegliere: o sta con la DC o, se vuole impegnarsi su un’altra prospettiva politica altrettanto legittima, ma incompatibile con l’esercizio del suo ruolo interno ed esterno del nostro partito, scelga una volta per tutte, uscendo da una situazione di ambiguità che non fa bene a nessuno.

 

La DC intende promuovere l’unità di tutte le componenti che il 5 dicembre scorso hanno sottoscritto il patto federativo programmatico costituente, per tentare di costruire una lista alle prossime elezioni europee di tutti i popolari italiani che credono nell’Unione europea e intendono riportarla, insieme al PPE, ai valori originari dei padri fondatori DC: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman.

 

Se per l’indisponibilità di qualcuno ciò non fosse possibile, facciamo appello a qualche deputato europeo affinché assumesse insieme a noi la bandiera del popolarismo, per una battaglia elettorale in cui chiameremo a raccolta tutti i cattolici democratici e cristiano sociali italiani. Sarebbe la premessa utile e opportuna per la ricostruzione di un centro politico credibile, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, impegnato a tradurre nella “città dell’uomo” gli insegnamenti della dottrina sociale cristiana,  alternativo alla deriva nazionalista e populista che sta portando l’Italia allo sfascio.

 

Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale DC

Venezia, 14 Febbraio 2019


A proposito di “autonomia” di Banca d’Italia

 

L’attacco di Lega e M5S all’autonomia di Banca d’Italia per “culpa in vigilando” nei casi di default bancari intervenuti come a Veneto Banca et similia, dovrebbe far riflettere sulla reale situazione nell’assetto proprietario di Banca d’Italia.

Lì si capirà se davvero Banca d’Italia è autonoma come si sostiene da parte dei partiti e la Costituzione prevede.

 

Basterebbe che il M5S con i suoi rappresentanti al governo chiedesse lumi all’On Alessio Villarosa, oggi sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ricevette una riposta dello stesso Ministero nel Febbraio 2017 ad una sua interrogazione parlamentare.

 

Il ministero confermò che maggiori azioniste di Banca d'Italia con 265 voti su 529 (da parte , attraverso le SUB-DELEGHE conferite agli avvocati (avv.Cardarelli,) dello studio legale Trevisan di viale Maino –Milano) risultano una decina di fondi petroliferi nonché speculatori finanziari georgiani/ arzebajani di antica origine tedesca (Vanguard, State Street, Northern Trust , Fidelity , Jp Morgan Trust, Black Rock , Bnp Paribas Trust, Franklyn Templeton e il loro fondo immobiliare comune Black Stone, già proprietario di quasi tutti gli outlet village in Italia e di oltre 1 MILIONE di mq di centri logistici sempre in Italia), cd ariani o KAZARI o askenazita-kazari , indagati dal 15 Gennaio 2018 anche dalla Procura di New York e dallo Stato di New York per PROCURATO DISASTRO AMBIENTALE e per avere fermato lo sviluppo dell'energia solare, hedge fund e come tali, unici fondi al mondo autorizzati a compiere amorali , immorali, illegittime VENDITE ALLO SCOPERTO (presa in prestito di titoli di società terze a loro insaputa per venderli al fine di farne crollare la quotazione, per acquistarli a prezzi stracciati ad ogni programmato settennale avvenuto crollo della borsa di Milano, da quando dal 1992/93, abolita purtroppo in Italia la separazione bancaria tra banche di prestito e banche speculative a causa del decreto legislativo n. 481 del 14 Dicembre 1992 firmato da Amato e Barucci, essi imperano , crolli della borsa di Millano infatti avvenuti ogni circa sette anni 1994, 2001, 2008 , 2016, crolli che hanno impoverito circa 20 milioni di piccoli azionisti italiani che hanno perso tutti i loro risparmi ) definiti fondi speculatori anche dal D.M. del Tesoro n. 98/1999.

 

Trattasi di decreti già emessi , non disegni di legge, decreti che comprovano l'avvento in Italia dal 1992/93 di questi fondi speculatori con sede legale nella City of London , proprietari della City of London, e sede fiscale nel PARADISO FISCALE del Deleware come dimostrato dalla Relazione della SEC (organo di vigilanza della borsa degli Stati Uniti , indipendente dal 2001).

Fondi speculatori che il sito governativo britannico beta.companieshouse.gov.uk ha dimostrato che le società che essi controllano appartengono a TRUSHELFCO, DIKAPPA più un numero delle sette famiglie kazare , georgiane /arzebajane di antica origine tedesca dei Rothshild , J.P. Morgan, Warburg , Walker Bush, Rockfeller, Jeferson Clinton, Johnson,

 

Vogliamo allora veramente garantire l’autonomia di Banca d’Italia?  Va bene scegliere la dirigenza rispettando le norme di legge, ma, soprattutto, si torni al controllo pubblico della sua proprietà e alla separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria, così come prevedeva la legge bancaria del 1936, sempre salvaguardata dalla Democrazia Cristiana,  superata, ahimè, dal  Decreto Leg.vo n.481 del 14.12.1992 di Amato-Barucci citato.

 

Vogliamo discuterne seriamente? Organizziamo quanto prima un seminario sul tema: sovranità monetaria e sovranità nazionale con esperti economisti e studiosi del sistema bancario e finanziario italiano e internazionale.

Cordiali saluti

Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale DC-resp.le Ufficio esteri

Venezia, 11 Febbraio 2019


Tornati i Ds. Adesso ritorni il centro.

 

Dunque, la sinistra e' tornata. O meglio, sta ritornando il Pds a guida Zingaretti. Perché, per quanto riguarda l'ex Pd, e' arrivato il momento di chiamare le cose con il proprio nome.

 

Archiviata definitivamente la stagione originaria del Partito democratico, cioè di un partito plurale che faceva della sintesi fra le culture del novecento la sua ragion d'essere politica, e' subentrata la fase del partito più identitario. Per dirla con i due candidati alla segreteria nazionale di quel partito Zingaretti e Martina, adesso si "deve rifondare, riscoprire e rilanciare il pensiero e la cultura della sinistra italiana". Appunto, si deve rifare, in forma forse anche un po' aggiornata, il Pds.

 

Questo, del resto, e' quello che si attende la base di quella formazione politica dopo l'ubriacatura renziana e il conseguente, e del tutto scontato, tradimento di tutti coloro che sono stati integerrimi ultras renziani e poi, appena conclusasi la parabola fatta di ripetute e continue sconfitte elettorali, tutti a saltare sul nuovo carretto del vincitore. E con il Pds, sono tornati anche i tic - o i vizi – storici dell'armamentario della sinistra italiana. Dagli appelli dei milionari, alto borghesi, elitari, salottieri ed aristocratici "progressisti" alla centralità dei diritti civili a scalpito dei diritti sociali; dalla difesa del "sistema" e delle sue ragioni alla perdurante indifferenza dei bisogni reali dei ceti popolari e di quelli più disagiati: dalla sicurezza al reddito di cittadinanza, dalle difficoltà delle periferie alle condizioni sempre più critiche degli "ultimi" e dei "poveri" di cui si continua a sventolare, con un pizzico di ipocrisia, la bandiera di riferimento. E, accanto a tutto ciò, la voglia di tornare al governo - avendo perso quasi del tutto la dimestichezza con l'opposizione che non sia quella di sistema e a difesa degli intramontabili "poteri forti" - a qualunque costo.

 

Sotto questo versante, e coerentemente, il corteggiamento al movimento 5 stelle - o a ciò che resterà dopo le elezioni europee di quel movimento - con la benedizione dei "santoni" dell'ex campo del centro sinistra. Sotto questo profilo la "benedizione", l'ennesima anche se negli ultimi anni non ne ha più azzeccata una, di Romano Prodi, e' più che significativa e riveste una importanza decisiva ai fini dell'operazione della nuova sinistra "catto comunista".

 

Ora, tornata la sinistra senza novita' significative e senza alcuna discontinuità rispetto al passato, il campo che si deve riorganizzare e' quello del "centro democratico e riformista". Ovvero, di un centro che sappia recuperare quella cultura di governo, quel senso di moderazione e, soprattutto, quella cultura del buon senso e temperata che si è pericolosamente eclissata nella concretadialettica politica del nostro paese in questi ultimi anni.

 

Una esperienza politica che non solo è richiesta ma comincia ad essere invocata e fortemente gettonata da settori culturali, politici ed editoriali storicamente estranei ed esterni ad ogni formazione politica, seppur lontanamente, riconducibile al centro. Un ruolo politico dove pesera' anche e soprattutto la cultura e il pensiero del cattolicesimo democratico e popolare che ormai è' diventato irrilevante e del tutto marginale nelle altre formazioni politiche. A cominciare dal Pd/Pds dove, accanto al ritorno della sinistra tradizionale, la presenza della cultura cattolico democratica, di fatto, si esaurisce nella riproposizione di una piccola ed insignificante presenza "catto comunista", funzionale ai sedicenti  cattolici alla Del Rio ma del tutto priva di significati politici ed istituzionali.

 

E, accanto al ritorno della tradizione del cattolicesimo politico, una politica e una formazione

politica di centro devono sapere ricostruire anche e soprattutto una "cultura della coalizione".

 

Una cultura che negli anni della gestione renziana, con la complicità di quasi tutto il Partito democratico, è stata sostanzialmente distrutta a vantaggio della vocazione maggioritaria del partito. Una concezione arrogante e solitaria dei rapporti politici pagati a caro prezzo non solo dal Pd ma tutto da quello che restava del centro sinistra.

 

E, in ultimo, il ritorno di un partito di centro significa anche il decollo di un "riformismo temperato" che è sempre stato un elemento caratterizzante della politica italiana contro gli "opposti estremismi" di turno e contro la stessa radicalizzazione della scontro politico che in Italia e' sempre stata all'origine della crisi della stessa democrazia parlamentare e rappresentativa.

 

Ecco perché dopo la trasformazione politica del Pd e il ritorno della vecchia sinistra, un po'

identitaria e un po' moralista, adesso quasi si impone la presenza di una cultura e di una politica di centro nel nostro paese. Non per nostalgia o per memoria storica ma per la semplice ragione che senza una presenza del genere sarebbe lo stesso riformismo a pagarne le conseguenze peggiori.

 

Il sistema politico si riarticola, profondamente. Pensare che dopo il voto del 4 marzo scorso tutto sia rimasto come prima e' una pia illusione. Come risulta una pia illusione pensare che dopo un’ eventuale ed ipotetica sfiducia nei confronti del governo giallo/verde tutto ritorni come prima con un Pd al 40%, come pensano alcuni simpaticoni e guasconi di quel mondo.

 

Tutto è cambiato. E quando tutto cambia occorre semplicemente attrezzarsi. Ognuno con la propria cultura e con i propri attrezzi da lavoro.

 

Giorgio Merlo

Torino, 1 Febbraio 2019

 

Con i piedi per terra

 

Siamo alla vigilia delle elezioni europee che si terranno il 23 Maggio prossimo e, ancora una volta, siamo alle prese con il “che fare?” di noi “ DC non pentiti” e, più in generale, come partecipanti della più vasta area sociale e culturale di ispirazione cattolico democratica e cristiano sociale.

 

La lunga stagione della diaspora DC ( 1993-2019) non si è ancora conclusa e anche all’interno di ciò che è rimasto della DC storica, permangono tentativi suicidi di divisione che più che alla “maledizione di Moro” pensiamo siano ascrivibili alla stupidità di noi uomini. A qualcuno, in particolare,  presente in misura più rilevante che mai.

 

Prima riflessione da fare è la seguente: ci interessa oppure no la scadenza elettorale per il rinnovo del parlamento europeo? Io ritengo di sì, considerato che in quella sede si discutono i grandi temi dello sviluppo economico, finanziario e sociale dell’Unione europea, e si decidono scelte rilevanti sul piano dei valori per noi cattolici non negoziabili.

 

In secondo luogo perché queste elezioni si faranno con il sistema proporzionale puro, quello che volle introdurre non a caso Luigi Sturzo agli inizi del ‘900 e che la DC seppe conservare sino all’infausta decisione di scelta del maggioritario indicata da Mariotto Segni e sostenuta da De Mita, causa non irrilevante della fine politica della DC.

 

Certo bisogna fare i conti,  innanzi tutto, con la legge elettorale, rispetto alla quale sul tappeto sono presenti tre ipotesi di lavoro percorribili: quella che vorrebbe ci si presentasse con una lista autonoma di democratici cristiani con il simbolo dello scudo crociato, il che richiederebbe di raccogliere entro poco più di un mese, 150.000 firme ( 30.000 in ciascuno dei cinque collegi in cui è suddivisa l’Italia per questa scadenza elettorale, con almeno 3000 firme in ciascuna delle regioni facenti parte del collegio di riferimento).

 

La seconda che prevederebbe che uno o più parlamentari nazionali e/o europei depositassero una lista di area DC e popolare senza necessità di raccolta delle firme. La terza, infine, ed è quella che personalmente ritengo più valida, di costruire il “ patto programmatico federativo costituente” condiviso il 5 Dicembre scorso e, quindi, concorrere alla formazione di una lista insieme a quanti si riconoscono nel programma politico del PPE.

 

Escludo la prima ipotesi, considerato che non siamo assolutamente nelle condizioni di poter raccogliere le firme nei tempi strettissimi di cui, ahimè, disponiamo e considerato che già alcuni partiti e/o associazioni, come quello del Popolo della famiglia di Adinolfi ( 0,66 % alle elezioni del 4 Marzo 2018) e di Pietro Pirovano con gli amici di Solidarietà, sono impegnati in questa raccolta su liste già formate o in via di formazione. Non bastasse la difficoltà nella raccolta, dubitiamo che una tale scelta sia in grado di ottenere un risultato al di sopra del 4%, che è il limite minimo di consenso raggiungibile per avere l’elezione di qualche deputato al parlamento europeo.

 

Anche la seconda, per quanto utile ed efficace sul piano tattico, su quello della concreta efficacia sul piano del risultato avrebbe le stesse difficoltà di cui sopra. Resta la terza opzione che si presta alla solita replica: ma allora volete andare con Berlusconi.

 

A questo rilievo critico che risente dello scontro ideologico che ha caratterizzato tutta la vicenda della seconda repubblica ( berlusconismo e anti berlusconismo, dicotomia replicante del vecchio della prima repubblica: preambolo e anti preambolo) vorrei rispondere con questi argomenti:

a)         Berlusconi e Forza Italia decisero di far parte del PPE su indicazione e sollecitazione degli amici compianti, Sandro Fontana e don Gianni Baget Bozzo. Scelta la strada del PPE, Berlusconi e il suo partito sono diventati parti essenziali del PPE, sino a raggiungere con Antonio Tajani la presidenza del consiglio del parlamento europeo proprio in rappresentanza del PPE.

b)         Continuare a porre pregiudiziali all’ipotesi di concorrere con gli amici di Forza Italia e di altri partiti, associazioni, gruppi  e movimenti a una lista ispirata ai valori del popolarismo europeo, mi sembra una logica fuorviante, atteso che il PPE è la nostra casa ed è la casa dei nostri padri che la fondarono: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman. Una casa certamente  da restaurare per farla ritornare ai principi di quei padri politici europei.

c)          Chi continuasse a sostenere tale pregiudiziale, dovrebbe chiarirci con chi intenderebbe allearsi per favorire l’obiettivo di una rappresentanza della nostra area nel parlamento europeo. Con Carlo Calenda e la sua ipotesi di più ampia aggregazione delle forze europeiste? Un’ipotesi già bocciata dal PD che, con Zingaretti, probabile vincitore del congresso di quel partito, punta all’unità con LEU. In sostanza un ritorno al vecchio PDS, e il possibile accordo a sinistra con il M5S. O, peggio da soli, ricadendo così nell’ipotesi 1, che considero oggettivamente impercorribile. Un’ipotesi quella di Calenda che, d’altronde, ci vedrebbe insieme alla Bonino, espressione della visione più laicista e radicalmente alternativa ai nostri valori non negoziabili, in materia di difesa della vita  e dell’unità della famiglia naturale.

 

Ecco perché considero indispensabile una politica dei piccoli passi o da percorrere con i piedi ben piantati per terra. In un incontro tenutosi ieri a Brescia con alcuni amici di “Costruire Insieme”, presenti il presidente, sen Ivo Tarolli e l’amico Raffaele Bonanni, proprio di queste ipotesi abbiamo discusso, trovando una sostanziale unità di intenti anche con Piero Pirovano che ha presentato il suo progetto di raccolta firme.

 

Certo non si tratterà di entrare in una lista di Forza Italia, ma di dar  vita a una lista di tutti i partiti, le associazioni e i movimenti che, riconoscendosi nel programma del PPE, intendono porsi in alternativa alla deriva populista e nazionalista sin qui dominante e alla guida bislacca del governo italiano. Una lista come “ L’altra Italia con il PPE”, con il simbolo del PPE, sarebbe il contenitore ideale per una tale formazione, che potrebbe puntare ad almeno il 10 % e oltre del consenso.

 

Una lista che potrebbe essere la premessa per dar vita, subito dopo le elezioni europee, a un “ nuovo soggetto politico ampio, plurale, democratico, popolare, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, europeista e trans nazionale, inserito a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori”, Così scrivemmo e condividemmo nel seminario dei popolari organizzato da “Costruire Insieme”, il 23 Giugno scorso a Verona e confermato nel documento “patto programmatico federativo costituente”, sottoscritto il 5 Dicembre tra la DC e gli altri partiti e movimenti di area.

 

Agli amici Renato Grassi, Gianni Fontana, Ivo Tarolli, Gianfranco Rotondi, Mario Tassone, Mario Mauro, Giorgio Merlo, Lorenzo Cesa e ai tanti rappresentanti delle diverse associazioni, movimenti e gruppi di area cattolica e popolare, il compito di attivarsi in un immediato “forum civico popolare”, come indicato dal card Bassetti, per impegnarsi in una strategia dei piccoli passi, a partire dalla condivisione di un progetto di formazione educativa e di informazione/controinformazione a quella oggi dominante su temi quali: reddito di cittadinanza, politica dell’immigrazione e integrazione, puntando a sostituire alla propaganda diffusa a piene mani ogni giorno dai giallo verdi,  un processo di autentica formazione di una rinnovata classe dirigente.

 

La scuola di formazione politica annunciata da “Costruire Insieme” e il prossimo lancio del libro dell’associazione, contenente il codice etico e il programma per l’Italia, potrebbero costituire proprio quella “zattera” sulla quale cercare di far ripartire senza velleità e tutti INSIEME, l’impegno politico dei cattolici e dei popolari in Italia e in Europa.

 

Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale della DC

Venezia 31 Gennaio 2019

 

 



Pubblichiamo un articolo dell'amico Giorgio Merlo ( " La rete bianca") sul PD e il rinnovato impegno del "cattolico adulto", Romano Prodi.



Prodi "benedice" l'alleanza con i grillini ?

 

Dunque, la sinistra e' tornata. O meglio, e' in corso tra mille difficoltà il tentativo di far ritornare i Ds.

 

Dopo l'ubriacatura renziana e il fisiologico e scontato tradimento degli ultra', appena la parabola si è esaurita per le ripetute e insistenti sconfitte elettorali - la lista è troppo lunga per cercare di farne un elenco, ricordiamo solo l'ineffabile Fassino per tutti - adesso e' in pieno svolgimento il "contrordine compagni". Ovvero, si deve - come ripetono ossessivamente e stancamente sia Zingaretti che Martina - "riscoprire, rifondare e rilanciare il pensiero e la cultura della sinistra italiana". Tradotto per i non chierici, va ricostruito il Pds. E sin qui non c'è alcuna novità. Anzi, ci permettiamo di dire che il disegno è quantomai atteso ed anche utile. Soprattutto nel momento in cui è stato definitivamente archiviato il progetto politico originario del Pd. Che era quello di essere un partito plurale, di governo, riformista e post ideologico.

 

E accanto al Pds, che dopo le primarie del 3 marzo diventera' un fatto quasi scontato, sono tornati anche i riti - o i tic storici - della sinistra italiana. A cominciare dai celebri "appelli" dei milionari dello spettacolo, della cultura, dell'editoria, dell'industria che si spacciano per progressisti e offrono ricette progressiste di fronte ai drammi e alle emergenze della società italiana. Esponenti, di norma, elitari, aristocratici, mondani, salottieri e con grandi disponibilità finanziarie che ogni qualvolta sostengono posizioni progressiste o di sinistra, finiscono per fare puntualmente la fortuna di chi vogliono distruggere e criticare. Tutto, comunque sia, secondo copione.

 

E accanto agli appelli dei milionari dell'altissima borghesia, progressista e di sinistra, torna la centralità dei diritti civili a scapito dei diritti sociali. E, com'è altrettanto scontato, lo sberleffo verso tutte queste esigenze e richieste che partono dai bisogni reali dei ceti popolari: dalla sicurezza al reddito di cittadinanza, dal "sentiment" delle periferie alla povertà vera dei ceti più disagiati alle condizioni di autentica sofferenza degli ultimi. Ma, come si sa, la sinistra salottiera ed aristocratica, nonché milionaria, preferisce denunciare e battersi contro l'imminente ritorno del fascismo di turno inneggiando alla "resistenza" al posto di elaborare proposte e studiare strategie capaci di aggredire i reali bisogni di chi e' maggiormente in difficoltà.

 

In questo quadro, peraltro non nuovo per la sinistra salottiera ed elitaria degli ultimi anni, potevano mancare i cattolici? Come ovvio no. In attesa dei sedicenti cattolici alla Del Rio, abbiamo l'impressione che il nuovo corso del Pd - che culminerà, quasi certamente, con la leadership di Zingaretti - farà di tutto per abbattere il governo giallo verde prima per poi lanciare la grande campagna dell'alleanza con i grillini. Un capovolgimento di prospettiva, l'ennesimo e per giunta trasformistica, ma che si appresta a caratterizzare l'orizzonte politico del futuro Pd/Pds.

 

Ecco perché non stupisce l'ennesimo protagonismo di Romano Prodi - che, occorre pur dirlo, in questi ultimi anni non ne ha più azzeccata alcuna - sul fronte della "benedizione" a Zingaretti prima e della potenziale alleanza con i grillini, o chi resterà dei grillini, poi. E l'incontro con il Presidente della regione Lazio a casa sua a Bologna e la riflessione simpaticamente grillina sul Messaggero di domenica, non sono altro che l'incubazione di un disegno che progressivamente, seppur con prudenza, prende forma.

 

Insomma, l'ennesima versione della discesa in campo di una sinistra "catto comunista", nobile nei principi, elitaria nei rapporti e saldamente espressione dei bisogni del "sistema", rischia di favorire proprio quelli che si vogliono combattere. Dal sovranismo in poi.

 

E noi, molto semplicemente, facciamo una sola e banale domanda: ma abbiamo veramente bisogno di una sinistra così dopo la dura ed implacabile lezione del 4 marzo?

 

Giorgio Merlo

 

Roma, 29 Gennaio 2019



Le ragioni della deriva nazionalista e il ruolo dei “DC non pentiti”

 

All’inizio si parlava di una deriva sovranista e populista, ma dopo le esternazioni bislacche di  Di Maio contro la Francia e di Salvini contro il FMI, siamo alla riproposizione del più stupido  nazionalismo che non si conosceva in Italia dal tempo del ventennio. Allora era “la perfida Albione” oggetto degli strali del Duce, ora la volubile “Marianna d’Oltralpe” che, proprio oggi, ad Aquisgrana, si appresta a siglare il rinnovo del patto con la Germania, che ripropone quello precedente tra il gen. De Gaulle e Adenauer che segnò la fine delle storiche ostilità tra i due Paesi. Altri tempi e altri giganti della politica europea. Ora è il tempo degli gnomi senz’arte né parte, quello per dirla con Mauro Mellini,  “dei quattro amici al Bar Sport”.

 

Ora, però, è giunto il tempo di chiederci come mai siamo arrivati a tanto in Italia? Come e perché si è avuto un cambiamento di atteggiamenti e di comportamenti, in una parola, di una cultura o sub cultura politica, contrassegnato dal voto del 4 Marzo 2018 e dalla successiva formazione della maggioranza trasformista giallo verde, motivata dalla “condizione di necessità”, a sostegno del “governo del contratto e del cambiamento”? Prima di porci il tema del se e quando questa maggioranza potrà collassare, credo si debbano approfondire le ragioni di questa affermatasi realtà effettuale.

 

Ci aiuta in quest’analisi quanto hanno scritto sul tema, due “osservatori partecipanti” della politica nazionale, come Michele Boldrin, del gruppo “Noise from Amerika” e il più noto Enzo Scotti, già ministro di vari governi ed esponente di spicco della DC storica.

 

Il gruppo “ Noise from Amerika” si auto definisce così nel sito: www.noisefromamerika.org. : “Siamo un gruppo di italiani che vivono e lavorano (o l'hanno fatto in passato) negli Stati Uniti d'America. Oltre a questo abbiamo, con l'eccezione della solita pecora nera, un certo numero d'altri attributi comuni: i) un Ph.D. in economia preso negli USA, ii) attività di ricerca nello stesso campo ed in istituzioni USA”.

 

Il Dr Bordin in un interessante articolo del 1 Agosto 2018 ( “ Il governo rosso-brunato”) spiega così le ragioni che stanno alla base della nascita del governo giallo verde: “Questo governo nasce sotto il triplice segno del Nazionalismo ideologico ("prima gli italiani", "fermare l'invasione", "basta diktat da Bruxelles" ...), del Socialismo economico ("contro il mercato globale", "contro il neoliberismo", "più stato e più spesa" ...) e del Populismo politico ("uno vale uno", "noi siamo i difensori del popolo", "basta tecnici, decide il popolo" ....). Dopo due mesi di martellante propaganda non possono esserci, a questo riguardo, dubbi residuali. Meno evidente il "Moralismo cattolico", che è invece sia ben presente che essenziale. Qui uso la parola "cattolico" in senso molto ristretto, con riferimento alla corrente dominante del cattolicesimo politico italiano, in particolare alla sua versione "Vaticano-CEI". Mi rendo conto che questo susciterà controversie ma per giustificarlo in dettaglio dovrei scrivere pagine e non ne ho voglia. Quindi mi prendo il lusso di procedere in modo apodittico e di affermare semplicemente che nel cattolicesimo politico italiano, nonostante le chiacchiere, il punto di vista dominante non è mai stato quello di Sturzo, bensì quello di Gedda. In ogni caso, il ruolo del moralismo cattolico lo si trova negli slogan sulla "onestà" personale dei nuovi eletti a fronte della corruzione dei loro predecessori, nei rosari e vangeli di Salvini, nel continuo appello ad una "difesa" dell'Italia cattolica dall'assalto nero o musulmano e, più generalmente, nel continuo apparire di migliaia di "cattolici veri" a teorizzare che le affermazioni di Bergoglio o di Famiglia Cristiana o di chiunque nella chiesa italiana si opponga alla loro ri-definizione di "cattolicesimo" ... costituisce un tradimento del medesimo. 

Culturalmente più importanti, nella creazione di un nuovo regime guidato da un partito della nazione, sono due narrative fondamentali del cattolicesimo politico italiano. La prima, che ha le sue radici nella Controriforma, vaneggia il ritorno ad una condizione "rifondativa" in cui un popolo (omogeneo e privo di stratificazioni socio-culturali, mare di anime pure ed uguali) si affida alla guida, direzione e protezione dei suoi leader politici (che all'origine erano i preti ed i vescovi). La seconda narrativa, figlia della cosiddetta "dottrina sociale della chiesa" vaneggia anch'essa di formule economiche nazionali specificamente italiane, capaci di rigettare sia il mercato che il collettivismo dei soviet a favore di una terza via in cui lo "stato buono" e le varie associazioni del "terzo settore" programmano e gestiscono il sistema economico nazionale. Da Leone XIII a Fanfani e Dossetti passando per l'IRI prima e CL dopo, questa costellazione di confuse "teorie economiche" costituisce, di fatto, la comune cultura economica sia del "popolo leghista" che di quello "pentastellato". I quali non sono apparsi ieri in Italia: vi risiedono da decenni e, prima, votavano DC , PCI, PSI ed MSI i quali, forse, poco avevano in comune ma la visione di una "economia sociale nazionale", quella ce l'avevano di certo.  “

Drastiche le sue conclusioni: “Questa cultura è la "cultura politica degli italiani", quella che si è venuta formando da quando le élites italiane, seguendo l'invito di D'Azeglio, si misero all'opera per inventarsi il popolo italiano, che allora non esisteva proprio. Non è arrivata dal cielo questa visione del mondo condivisa dall'80-90% dei cittadini italiani. Essa è il frutto, certamente, della situazione esistente attorno al 1860-70, ma anche e soprattutto delle scelte politiche, economiche e culturali che le élites italiane, da allora sino all'altro giorno, hanno compiuto. Nazionalismo ideologico + Socialismo economico + Populismo politico + Moralismo cattolico sono le sue quattro colonne portanti, collegate tra loro dal mito che gli italiani siano il  "popolo erede", al contempo, del mondo Classico e del Rinascimento.”

Ora, a parte i giudizi sommari sul cosiddetto “ moralismo cattolico”, che non tiene assolutamente conto di quella che è stata e ancora potrà essere la straordinaria esperienza politica dei cattolici democratici e cristiano sociali da Sturzo a De Gasperi , compresa la più che quarantennale posizione dominante della DC nel governo dell’Italia, non v’è dubbio che nella maggioranza dei voti espressi da poco più del 50% degli elettori che il 4 Marzo hanno partecipato al voto, quelle quattro culture, o se meglio vogliamo connotarle sociologicamente in termini weberiani, quei quattro “ideal typus”, sono senz’altro presenti.  Nulla in politica, come in molte altre espressioni dell’attività umana, nasce per caso o per improvvisi e  drastici salti, ma finisce col rappresentare quasi sempre nel nuovo che emerge, qualcosa che già esisteva nelle radici profonde di un popolo in continuo mutamento tra conservazione e innovazione, tanto sul piano strutturale che su quello sovrastrutturale.

Si tratta di comprendere, tuttavia, se l’attuale politica, che è sempre espressione dell’equilibrio tra gli interessi e i valori prevalenti in termini di consenso in una determinata situazione storica, sia in grado di conservare quell’equilibrio che, analizzando la composizione geo territoriale, economico sociale e culturale dell’elettorato della Lega e del M5S, appare largamente difficile da sostenere; come dimostrano le quotidiane difficoltà nelle scelte politiche del governo e l’arrembante strategia e tattica politica dei due partiti, ormai uniti in un becero nazionalismo d’altri tempi, con cui si preparano all’attacco delle istituzioni europee.

Più politica la lettura che Enzo Scotti fornisce, in un articolo pubblicato sulla rivista on line: www.formiche.net, il 15 Gennaio 2019 dal titolo: “ Obiettivi e strategia per vincere la sfida del Governo Conte”. La premessa di Scotti è che: “Le prossime elezioni europee rappresenteranno, inevitabilmente, uno spartiacque per tutti i governi nazionali dei Paesi che fanno parte dell’Europa. Sono evidenti i contrasti all’interno dei Paesi che fanno parte dell’Unione europea: questi vanno dal confronto sul trasferimento all’Unione di maggiori poteri sovranazionali a questioni che toccano l’esistenza stessa dell’Unione, sino al contenuto e alla gestione delle politiche per fronteggiare la crisi economica esplosa negli Usa nel 2008 e, infine, al contrasto sulle politiche, e relativa gestione, dei flussi migratori provenienti dall’Africa e dal Mediterraneo.”

Se questa è la situazione aggravata dalla guerra dei dazi Cina-USA e dalla vicenda Brexit, Scotti conclude così:  “Se è vero che siamo in una fase di profonda transizione di un cambio d’epoca, l’unico dato certo è che nei Paesi euro-atlantici tira – tra mille spifferi – un vento con una chiara direzione. Una quota crescente di popolo non punta a una rivoluzione, come l’abbiamo conosciuta negli ultimi secoli, ma partecipa a movimenti che hanno come unico obiettivo la distruzione delle tradizionali élite conservatrici e riformatrici che non sono più capaci di assicurare sicurezza, crescita e benessere. E aggiunge: A essere politicamente messa in discussione nella pratica di governo è stata innanzitutto la democrazia rappresentativa di stampo liberale. E poi, in successione, la mediazione, l’accordo e le forme di new deal perché ritenute tutte  incompatibili con la necessità di un’economia e di una società moderne. Questa forte turbolenza non poteva non mettere in crisi l’Unione europea, la costruzione politica frutto della scelta di mettere insieme le risorse economiche, sociali e soprattutto quel patrimonio culturale dell’umanesimo liberale. E la mette in difficoltà di fronte alla prima grande crisi economica del 2008, neppure prevista dal Trattato europeo del 1992.

Solo approfondendo le ragioni di quel vento contro le élites si può capire, prima di giudicare con supponente onniscienza, la nascita di movimenti, certamente non omogenei né con una forte radice culturale perché non derivanti da ideologie tipiche degli ultimi decenni, ma che cercano una legittimità a partire da temi specifici (l’ultima esperienza è quella dei gilet gialli in Francia). Conseguentemente, solo alla luce di questo contesto si può capire il governo di due forze tra loro così diverse per sensibilità e obiettivi, ma ambedue alla ricerca di una risposta alle sfide del cambiamento.”

Credo che proprio da queste conclusioni noi “DC non pentiti”, eredi della migliore tradizione politica dei cattolici democratici, cristiano sociali e popolari, si debba ripartire, tenendo presente che un vento nuovo sta soffiando oltre Tevere. Un vento che ci impegna tutti, appartenenti alle diverse casematte diventate inutili obsolete sopravvissute della diaspora  democratico cristiana, a metterci in discussione, per ritrovare, al centro, come a destra e a sinistra, le ragioni essenziali per ricomporre la nostra unità che, in questo tempo di sub cultura politica, è indispensabile per l’Italia e per l’Europa.

Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale DC

Venezia, 22 Gennaio 2019

Centenario dell’appello sturziano: prime prove per l’unità dei DC

 

Si è celebrato ieri nell’auletta dei gruppi parlamentari della Camera in forma solenne il centenario dell’appello sturziano “ Ai Liberi e Forti”. Presenti alcune centinaia di militanti democratici cristiani, l’evento organizzato dalla Fondazione Fiorentino Sullo, è stato caratterizzato dagli interventi di Gianfranco Rotondi,  Presidente della fondazione Sullo, Renato Grassi, segretario nazionale della DC e di Mario Tassone, segretario nazionale Nuovo CDU. Le relazioni sono state tenute dagli Onn. Calogero Mannino, Rocco Buttiglione e Roberto Lagalla con quella introduttiva del dr Gennaro Sangiuliano, direttore del TG2.

L’On Vitaliano Gemelli ha illustrato il documento che, il 5 Dicembre 2018, era stato da me redatto e condiviso da Grassi, Rotondi, Tassone, Giorgio Merlo, Mario Mauro, Ivo Tarolli, Giuseppe Rotunno e da molti altri esponenti di diversi gruppi, associazioni e movimenti dell’area cattolica e popolare italiana. Il documento, che abbiamo connotato come il “ patto programmatico federativo costituente”, si propone, tra l’altro: “l’impegno a ricomporre l’unità di tutti i democratici cristiani italiani aperti alla collaborazione con altre componenti politico culturali che condividono i principi dell’umanesimo cristiano, alternativi alle chiusure di quanti, guidati da logiche sovraniste e nazionaliste, intendono distruggere quanto di positivo ha rappresentato e ancora potrà rappresentare l’Unione europea riformata sui valori dei padri fondatori. Insieme condividiamo il documento politico approvato dal PPE nel recente congresso di Helsinki : per un’Europa sicura che coopera con l’Africa con un forte “Piano Marshall”, un’Europa per tutti: prospera e giusta; un’Europa sostenibile; un’Europa che difenda i nostri valori e i nostri interessi nel mondo. Consapevoli dei gravi rischi che l’umanità e il pianeta stanno correndo sul piano ambientale e della stessa sopravvivenza delle specie viventi, siamo impegnati a tradurre nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali della Chiesa indicati da Papa Francesco nell’enciclica “Laudato si”. Sulla base di tale condivisione siamo disponibili a concorrere insieme con quanti si riconoscono nello stesso documento alle prossime elezioni europee del 23-26 Maggio 2019. Facciamo appello a tutte le associazioni, movimenti, gruppi dell’area cattolica e popolare, alle donne e agli uomini amanti della libertà e ispirati dai valori dei “ Liberi e Forti” affinché contribuiscano a sostenere una nuova classe dirigente sotto le insegne del Partito Popolare Europeo.”

L’incontro di ieri non è stato, dunque, una semplice ricorrenza liturgica di una data che ha segnato la storia della politica italiana e il ruolo che da allora assunsero i cattolici nella politica del nostro Paese, ma, come ha ben evidenziato Renato Grassi, nel suo intervento: “A distanza di cento anni dalla divulgazione dell'Appello sturziano, torna alla luce lo stesso senso di responsabilità: guardare avanti per la ricomposizione politica dell'area cattolica e popolare cercando, tutti insieme, le più ampie aperture al confronto e al dialogo.  È nostro convincimento preciso che si debbano trovare convergenze unitarie e promuovere scelte aggregative che superino il tradizionale recinto della diaspora democristiana, al fine di ricercare e ritrovare la più ampia convergenza di partiti, movimenti e aggregazioni anche ecclesiali che abbiano, quale obiettivo specifico, la costruzione di un nuovo umanesimo cristiano capace di interpretare i fermenti evolutivi della Dottrina Sociale cattolica e di tradurre in politica i caratteri sociali ed etici dello stesso Magistero della Chiesa. Siamo di fronte, ha continuato il segretario nazionale della DC,  a un’ evoluzione epocale di cui non se ne intravede agevolmente l'esito, e proprio per questo la Democrazia Cristiana intende dare un contributo convinto alla rinascita del Paese. A tal fine infatti abbiamo promosso e sottoscritto un Patto Federativo Programmatico con partiti movimenti e associazioni che si richiamano all'area del popolarismo europeo. La DC guarda infatti, con attenzione e in piena autonomia, alle prossime scadenze elettorali per il Parlamento Europeo”.

 

Ieri a Roma si è compiuto, dunque, un passo importante per la ricomposizione dell’area democratico cristiana, premessa funzionale a quella più ampia dell’area cattolico popolare, finalizzata alla costruzione di un nuovo soggetto politico ampio, plurale, democratico, popolare, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato dai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman, alternativo alla deriva sovranista e populista che attualmente guida l’Italia.

 

Ora si tratta di avere piena consapevolezza che  da soli, con ciò che rimane della propria realtà associativa e politico culturale, non andremo da nessuna parte, specie se consideriamo le scadenze dei prossimi impegni elettorali, a partire dalle elezioni europee del 23 Maggio p.v.

 

Ricordare Don Luigi Sturzo per noi vuol dire, dunque, impegnarci oggi, come lui fece cent’anni fa, a inverare nella città dell’uomo, gli orientamenti pastorali della dottrina sociale della Chiesa nell’età della globalizzazione. Dovremo tutti fare lo sforzo di superare le nostre attuali casematte per ritrovarci INSIEME nel nuovo soggetto politico. 

 

Guai se qualcuno pensasse di egemonizzare il pezzettino di residuo democristiano da portare in dote a Berlusconi o a sinistra. Siamo fieri e orgogliosamente difensori della nostra autonomia, pronti a concorrere alla costruzione del nuovo soggetto politico di ispirazione cattolico democratica e cristiano sociale, riproponendo un nuovo appello ai Liberi e Forti dell’Italia del XXI secolo e a consegnare il testimone di questa straordinaria esperienza e cultura politica a una nuova generazione di democratici cristiani e di popolari.

 

Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale DC

Venezia, 19 Gennaio 2018

Cattolici popolari, parte la Rete dei "liberi e forti". No ai listoni e alla confusione.

 

 

"Rete Bianca, il movimento politico e culturale nato per favorire la ricomposizione della frantumata presenza politica dei cattolici democratici e popolari, promuove la formazione della rete dei 'liberi e forti' organizzando e raccordando associazioni, movimenti, comitati e circoli in tutto il paese.

Una presenza politica e culturale e non partitica, aperta, inclusiva, laica e finalizzata a rilanciare un rinnovato protagonismo dei cattolici popolari in un contesto storico e politico confuso e, per certi aspetti, delicato per le stesse sorti della democrazia italiana.

Una proposta che si inserisce nelle molteplici iniziative disseminate in tutto il paese per ricordare, rileggere e riattualizzare lo storico "appello ai liberi e forti" e la costituzione del Partito Popolare Italiano di Luigi Sturzo fondato nel gennaio del 1919. E, soprattutto, una proposta che non può essere confusa con i listoni e le aggregazioni indistinte che creano solo confusione e disorientamento tra gli elettori.

Uno strumento, appunto, politico e culturale che Rete Bianca mette in campo con l'obiettivo, da un lato, di non disperdere un patrimonio ideale che continua ad essere attuale e moderno e, dall'altro, di gettare le premesse per un rinnovato impegno, laico ed autonomo, dei cattolici italiani nella società contemporanea. Una società dominata da simboli, parole d'ordine e metodi che rischiano, se non arginati, di travolgere gli stessi capisaldi di una politica democratica e costituzionale. E che richiede, oggi più che mai, una forte, coerente e convinta opposizione all'attuale equilibrio politico.

E la cultura popolare e cattolico democratica può, al riguardo, svolgere un ruolo decisivo e determinante.

E, sotto questo versante, l'apporto del popolarismo di ispirazione cristiana attraverso la rete dei 'liberi e forti' può dare un contributo decisivo alla intera politica italiana.

Non per il bene dei cattolici  ma per la salute e la qualità della democrazia".

 

 

Giorgio Merlo

Rete Bianca

Roma 20 Gennaio  2019

 

 

Centenario dell’appello sturziano: prime prove per l’unità dei DC

 

Si è celebrato ieri nell’auletta dei gruppi parlamentari della Camera in forma solenne il centenario dell’appello sturziano “ Ai Liberi e Forti”. Presenti alcune centinaia di militanti democratici cristiani, l’evento organizzato dalla Fondazione Fiorentino Sullo, è stato caratterizzato dagli interventi di Gianfranco Rotondi,  Presidente della fondazione Sullo, Renato Grassi, segretario nazionale della DC e di Mario Tassone, segretario nazionale Nuovo CDU. Le relazioni sono state tenute dagli Onn. Calogero Mannino, Rocco Buttiglione e Roberto Lagalla con quella introduttiva del dr Gennaro Sangiuliano, direttore del TG2.

L’On Vitaliano Gemelli ha illustrato il documento che, il 5 Dicembre 2018, era stato da me redatto e condiviso da Grassi, Rotondi, Tassone, Giorgio Merlo, Mario Mauro, Ivo Tarolli, Giuseppe Rotunno e da molti altri esponenti di diversi gruppi, associazioni e movimenti dell’area cattolica e popolare italiana. Il documento, che abbiamo connotato come il “ patto programmatico federativo costituente”, si propone, tra l’altro: “l’impegno a ricomporre l’unità di tutti i democratici cristiani italiani aperti alla collaborazione con altre componenti politico culturali che condividono i principi dell’umanesimo cristiano, alternativi alle chiusure di quanti, guidati da logiche sovraniste e nazionaliste, intendono distruggere quanto di positivo ha rappresentato e ancora potrà rappresentare l’Unione europea riformata sui valori dei padri fondatori. Insieme condividiamo il documento politico approvato dal PPE nel recente congresso di Helsinki : per un’Europa sicura che coopera con l’Africa con un forte “Piano Marshall”, un’Europa per tutti: prospera e giusta; un’Europa sostenibile; un’Europa che difenda i nostri valori e i nostri interessi nel mondo. Consapevoli dei gravi rischi che l’umanità e il pianeta stanno correndo sul piano ambientale e della stessa sopravvivenza delle specie viventi, siamo impegnati a tradurre nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali della Chiesa indicati da Papa Francesco nell’enciclica “Laudato si”. Sulla base di tale condivisione siamo disponibili a concorrere insieme con quanti si riconoscono nello stesso documento alle prossime elezioni europee del 23-26 Maggio 2019. Facciamo appello a tutte le associazioni, movimenti, gruppi dell’area cattolica e popolare, alle donne e agli uomini amanti della libertà e ispirati dai valori dei “ Liberi e Forti” affinché contribuiscano a sostenere una nuova classe dirigente sotto le insegne del Partito Popolare Europeo.”

L’incontro di ieri non è stato, dunque, una semplice ricorrenza liturgica di una data che ha segnato la storia della politica italiana e il ruolo che da allora assunsero i cattolici nella politica del nostro Paese, ma, come ha ben evidenziato Renato Grassi, nel suo intervento: “A distanza di cento anni dalla divulgazione dell'Appello sturziano, torna alla luce lo stesso senso di responsabilità: guardare avanti per la ricomposizione politica dell'area cattolica e popolare cercando, tutti insieme, le più ampie aperture al confronto e al dialogo.  È nostro convincimento preciso che si debbano trovare convergenze unitarie e promuovere scelte aggregative che superino il tradizionale recinto della diaspora democristiana, al fine di ricercare e ritrovare la più ampia convergenza di partiti, movimenti e aggregazioni anche ecclesiali che abbiano, quale obiettivo specifico, la costruzione di un nuovo umanesimo cristiano capace di interpretare i fermenti evolutivi della Dottrina Sociale cattolica e di tradurre in politica i caratteri sociali ed etici dello stesso Magistero della Chiesa. Siamo di fronte, ha continuato il segretario nazionale della DC,  a un’ evoluzione epocale di cui non se ne intravede agevolmente l'esito, e proprio per questo la Democrazia Cristiana intende dare un contributo convinto alla rinascita del Paese. A tal fine infatti abbiamo promosso e sottoscritto un Patto Federativo Programmatico con partiti movimenti e associazioni che si richiamano all'area del popolarismo europeo. La DC guarda infatti, con attenzione e in piena autonomia, alle prossime scadenze elettorali per il Parlamento Europeo”.

 

Ieri a Roma si è compiuto, dunque, un passo importante per la ricomposizione dell’area democratico cristiana, premessa funzionale a quella più ampia dell’area cattolico popolare, finalizzata alla costruzione di un nuovo soggetto politico ampio, plurale, democratico, popolare, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato dai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori: Adenauer, De Gasperi, Monnet e Schuman, alternativo alla deriva sovranista e populista che attualmente guida l’Italia.

 

Ora si tratta di avere piena consapevolezza che  da soli, con ciò che rimane della propria realtà associativa e politico culturale, non andremo da nessuna parte, specie se consideriamo le scadenze dei prossimi impegni elettorali, a partire dalle elezioni europee del 23 Maggio p.v.

 

Ricordare Don Luigi Sturzo per noi vuol dire, dunque, impegnarci oggi, come lui fece cent’anni fa, a inverare nella città dell’uomo, gli orientamenti pastorali della dottrina sociale della Chiesa nell’età della globalizzazione. Dovremo tutti fare lo sforzo di superare le nostre attuali casematte per ritrovarci INSIEME nel nuovo soggetto politico. 

 

Guai se qualcuno pensasse di egemonizzare il pezzettino di residuo democristiano da portare in dote a Berlusconi o a sinistra. Siamo fieri e orgogliosamente difensori della nostra autonomia, pronti a concorrere alla costruzione del nuovo soggetto politico di ispirazione cattolico democratica e cristiano sociale, riproponendo un nuovo appello ai Liberi e Forti dell’Italia del XXI secolo e a consegnare il testimone di questa straordinaria esperienza e cultura politica a una nuova generazione di democratici cristiani e di popolari.

 

Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale DC

Venezia, 19 Gennaio 2018

 

 

 

 


Domani, 18 Gennaio 2019 è il centenario dell’Appello sturziano “ Ai Liberi e Forti” il cui testo pubblichiamo dopo  una riflessione del prof Antonino Giannone, V.Presidente ALEF, sull’Etica politica di una gran bella persona i cui insegnamenti  sono attualissimi per chi volesse servire la politica e non servirsi della politica: Don Luigi Sturzo

 

Perché dopo 100 anni l’attenzione verso un Cristiano, un Sacerdote, un politico laico per l’Italia di oggi e di domani? Ci riferiamo a Don Luigi Sturzo. 

Ci sembra che questa attenzione non sia casuale, ma esprima il crescente bisogno di riferimenti forti, di maestri, proprio di un’epoca di grande smarrimento, di grandi “rumori”, di grandi e giustificate paure, di assenza di pensiero. 

Studiare i grandi personaggi ci fa scoprire talvolta dei veri maestri, non solo del passato, ma per il presente e per il futuro.

Don Luigi Sturzo e’ stato ed e’ ancora oggi un maestro di Etica politica per chiunque volesse “servire la politica e non servirsi della politica” come affermava spesso.

Sturzo è stato: filosofo, sociologo, profondo economista, amministratore pubblico, politico tra i più importanti del Novecento italiano. Sturzo resta sempre e soprattutto sacerdote: intenso, totale, dedito a Gesù Cristo e alla rigorosa fedeltà alla Chiesa, anche quando questa lo farà soffrire.

Organizzò i cattolici del suo comune siciliano: Caltagirone in un progetto culturale e politico di largo respiro, fece comprendere ai suoi concittadini che il Comune non era proprietà privata dei notabili, ma bene comune, attore dello sviluppo, pilastro del vivere civile. 

Ancora oggi, dopo 100 anni dall’Appello ai Liberi e Forti (18 gennaio 1919) il suo insegnamento sarebbe da svolgere in tantissime realtà territoriali in tutta Italia.

Sturzo organizzo’  cooperative rurali e bancarie, creò scuole, fondò giornali, costruì una rete di “complicità” con altri giovani sacerdoti della sua età. Dalle sue iniziative emerse la sua figura come un leader nazionale. Riceve il messaggio dell’impegno sociale e politico dall’enciclica Rerum Novarum, che è del 1891. 

La Rerum Novarum è l’enciclica che spiega con grande chiarezza che prima di tutto viene la persona, la libertà della persona, la dignità della persona, e che per preservare ciò ci sono le società intermedie, che non derivano dallo Stato, perché sono le cellule primordiali della società: la famiglia, il Comune, e da lì via via si sale con il principio di sussidiarietà verso l’“organismo Stato”.

A Caltagirone fu “pro Sindaco” 

(perché come sacerdote non poteva essere Sindaco, ma di fatto vuol dire Sindaco) dal 1905 al 1920, e offri il suo impegno straordinario al servizio della sua città’.

Sturzo sente la necessità di costruire una rete di contatti e di pensiero, perché egli è anche un grande realista e sa che restando soli si è sconfitti, non si va da nessuna parte quindi avvia contatti con i socialisti, la DC iniziale di Murri.

Per Don Sturzo, il Comune non è soltanto un organo amministrativo; ma è una cellula politica, è una comunità; il Comune, i servizi comunali sono al servizio della comunità; questa comunità non è derivata dallo Stato, ha la sua forza originaria, la sua autonomia, la sua sfera di libertà e di energia che devono essere liberate.

Grazie Don Luigi Sturzo per quanto hai lasciato in eredità a tutti, non solo ai democristiani. 

Antonino Giannone

Vice Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)

Componente della Direzione Nazionale DC


L'APPELLO AI "LIBERI E FORTI" DI DON LUIGI STURZO

 

Pubblichiamo integralmente l'appello ai "liberi e forti" del gennaio 1919, fatto dalla Commissione provvisoria del Partito Popolare Italiano, fondato e guidato da Don Luigi Sturzo.

* * *

Partito Popolare Italiano

Descrizione: http://www.democraticicristiani.it/copertine/liberieforti_small.jpgA tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà. E mentre i rappresentanti delle Nazioni vincitrici si riuniscono per preparare le basi di una pace giusta e durevole, i partiti politici di ogni paese debbono contribuire a rafforzare quelle tendenze e quei principi che varranno ad allontanare ogni pericolo di nuove guerre, a dare un assetto stabile alle Nazioni, ad attuare gli ideali di giustizia sociale e migliorare le condizioni generali, del lavoro, a sviluppare le enrgie spirituali e materiali di tutti i paesi uniti nel vincolo solenne della "Società delle Nazioni".

E come non è giusto compromettere i vantaggi della vittoria conquistata con immensi sacrifici fatti per la difesa dei diritti dei popoli e per le più elevate idealità civili, così è imprescindibile dovere di sane democrazie e di governi popolari trovare il reale equilibrio dei diritti nazionali con i supremi interessi internazionali e le perenni ragioni del pacifico progresso della società.

Perciò sosteniamo il programma politico-morale patrimonio delle genti cristiane, ricordato prima da parola angusta e oggi propugnato da Wilson come elemento fondamentale del futuro assetto mondiale, e rigettiamo gli imperialismi che creano i popoli dominatori e maturano le violente riscosse: perciò domandiamo che la Società delle Nazioni riconosca le giuste aspirazioni nazionali, affretti l'avvento del disarmo universale, abolisca il segreto dei trattati, attui la libertà dei mari, propugni nei rapporti internazionali la legislazione sociale, la uguaglianza del lavoro, le libertà religiose contro ogni oppressione di setta, abbia la forza della sanzione e i mezzi per la tutela dei diritti dei popoli deboli contro le tendenze sopraffatrici dei forti.

Al migliore avvenire della nostra Italia - sicura nei suoi confini e nei mari che la circondano - che per virtù dei suoi figli, nei sacrifici della guerra ha con la vittoria compiuta la sua unità e rinsaldta la coscienza nazionale, dedichiamo ogni nostra attività con fervore d'entusiasmi e con fermezza di illuminati propositi.

Ad uno Stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno Stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali - la famiglia, le classi, i Comuni - che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private. E perché lo Stato sia la più sincera espressione del volere popolare, domandiamo la riforma dell'Istituto Parlamentare sulla base della rappresentanza proporzionale, non escluso il voto delle donne, e il Senato elettivo, come rappresentanza direttiva degli organismi nazionali, accademici, amministrativi e sindacali: vogliamo la riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari e la semplificazione della legislazione, invochiamo il riconoscimento giuridico delle classi, l'autonomia comunale, la riforma degli Enti Provinciali e il più largo decentramento nelle unità regionali.

Ma sarebbero queste vane riforme senza il contenuto se non reclamassimo, come anima della nuova Società, il vero senso di libertà, rispondente alla maturità civile del nostro popolo e al più alto sviluppo delle sue energie: libertà religiosa, non solo agl'individui ma anche alla Chiesa, per la esplicazione della sua missione spirituale nel mondo; libertà di insegnamento, senza monopoli statali; libertà alle organizzazioni di classe, senza preferenze e privilegi di parte; libertà comunale e locale secondo le gloriose tradizioni italiche.

Questo ideale di libertà non tende a disorganizzare lo Stato ma è essenzialmente organico nel rinnovamento delle energie e delle attività, che debbono trovare al centro la coordinazione, la valorizzazione, la difesa e lo sviluppo progressivo. Energie, che debbono comporsi a nuclei vitali che potranno fermare o modificare le correnti disgregatrici, le agitazioni promosse in nome di una sistematica lotta di classe e della rivoluzione anarchica e attingere dall'anima popolare gli elementi di conservazione e di progresso, dando valore all'autorità come forza ed esponente insieme della sovranità popolare e della collaborazione sociale.

Le necessarie e urgenti rifrome nel campo della previdenza e della assistenza sociale, nella legislazione del lavoro, nella formazione e tutela della piccola proprietà devono tendere alla elevazione delle classi lavoratrici, mentre l'incremento delle forze economiche del Paese, l'aumento della produzione, la salda ed equa sistemazione dei regimi doganali, la riforma tributaria, lo sviluppo della marina mercantile, la soluzione del problema del Mezzogiorno, la colonizzazione interna del latifondo, la riorganizzazione scolastica e la lotta contro l'analfabetismo varranno a far superare la crisi del dopo-guerra e a tesoreggiare i frutti legittimi e auspicati della vittoria.

Ci presentiamo nella vita politica con la nostra bandiera morale e sociale, inspirandoci ai saldi principii del Cristianesimo che consacrò la grande missione civilizzatrice dell'Italia; missione che anche oggi, nel nuovo assetto dei popoli, deve rifulgere di fronte ai tentativi di nuovi imperialismi di fronte a sconvolgimenti anarchici di grandi Imperi caduti, di fronte a democrazie socialiste che tentano la materializzazione di ogni identità, di fronte a vecchi liberalismi settari, che nella forza dell'organismo statale centralizzato resistono alle nuove correnti affrancatrici.

A tutti gli uomini moralmente liberi e socialmente evoluti, a quanti nell'amore alla patria sanno congiungere il giusto senso dei diritti e degl'interessi nazionali con un sano internazionalismo, a quanti apprezzano e rispettano le virtù morali del nostro popolo, a nome del Partito Popolare Italiano facciamo appello e domandiamo l'adesione al nostro Programma.

Roma, lì 18 gennaio 1919

LA COMMISSIONE PROVVISORIA
On. Avv. Giovanni Bertini - Avv. Giovanni Bertone - Stefano Gavazzoni - Rag. Achille Grandi - Conte Giovanni Grosoli - On. Dr. Giovanni Longinotti - On. Avv. Prof. Angelo Mauri - Avv. Umberto Merlin - On. Avv. Giulio Rodinò - Conte Avv. Carlo Santucci - Prof. D. Luigi Sturzo, Segretario Politico.

 



Centenario della nascita di Giulio Andreotti

 

 

Il 14 Gennaio 1919 nasceva a Roma Giulio Andreotti, una figura straordinaria della storia democratico cristiana. Di  Andreotti, che ebbi la fortuna di conoscere e frequentare negli della partecipazione ai lavori del Consiglio nazionale della DC,  vorrei evidenziare una delle caratteristiche più attrattive della sua personalità: la straordinaria disponibilità all’ascolto e a insegnare a noi più giovani esponenti della quarta generazione democristiana, i passaggi più difficili della vicenda politica, così come la discutevamo con grande passione e assoluta libertà nei Consigli nazionali della DC a Piazzale Sturzo all’EUR.

 

Erano incontri nei quali Andreotti sempre in prima fila, prendeva i suoi immancabili appunti sul quaderno con la copertina nera, e dopo lunghe ore di dibattito, mentre risaliva i gradini della sala del consiglio nazionale, quella in cui spiccava al centro del palco il quadro di De Gasperi rappresentato da Annigoni (a proposito mi sono sempre chiesto  che fine abbia fatto quel cimelio storico, dopo che, scomparsa la DC, ebbi la sventura di rivisitare Palazzo Sturzo nel completo abbandono, in uno dei primi consigli nazionale del CDU di Buttiglione) si fermava con grande generosità a dialogare con noi più giovani che gli ponevamo tante domande, ricevendo le sue come sempre argute e illuminanti risposte.

 

Da componente del CN della DC nella lista di Forze Nuove, fu assai travagliato il nostro rapporto con il capo di una corrente veramente mai gestita in prima persona dal divo Giulio, semmai sempre affidata ai luogotenenti fidati, Evangelisti, Sbardella, Lima prima e poi Cirino Pomicino e Nino Cristofori, con il seguito sempre garantito dei ciellini osannanti alle performance politiche del loro presidente di riferimento.

 

Un giudizio complessivo sulla sua lunga storia sarà fornito dagli storici futuri e, credo, non potrà che essere alla fine largamente positivo. Confrontando gli uomini di quella generazione, Andreotti, Fanfani, Moro, la seconda del partito, dopo quella dei popolari come De Gasperi, Gonella, Scelba, con questi “mezzomini e ominicchi” contemporanei, ogni paragone sarebbe fuorviante.

 

Resta, ovviamente, tuttora valido e difficilmente controvertibile quanto un leader storico della DC come Carlo Donat-Cattin amava, in ogni occasione, ammonirci; ossia che bisognava rispettare, ed anche temere, l’intelligenza politica di Giulio Andreotti, ma che bisognava sempre diffidare dell’andreottismo.

 

Per riuscire a capire a fondo cosa ha rappresentato l’andreottismo nella storia della DC e della Prima Repubblica al di là delle facili giustificazioni degli amici o delle sommarie liquidazioni degli avversari di parte serve una ben più rigorosa analisi dei documenti lasciatici in eredità con il distacco proprio di chi non è più parte attiva della contesa politica contingente.

 

Con lo scomparso e compianto amico Sandro Fontana condividiamo quanto da lui scritto in occasione del 90° compleanno di Andreotti: “Col passare degli anni e di fronte allo spettacolo deprimente della lotta politica odierna, il cosiddetto andreottismo ha finito col rappresentare ai miei occhi soprattutto una grande lezione di metodo. La quale non consisteva tanto nel banalizzare ogni vicenda politica, quanto nel riuscire ad isolare ogni problema concreto dalle inevitabili sovrastrutture ideologiche e passionali e nel cercare, con pazienza e determinazione, di sciogliere i numerosi nodi che l’insipienza e la malafede degli uomini avevano reso inestricabili”.

Da parte mia a una domanda rivoltami dal giornalista Giuliano Ramazzina in un libro intervista (“ALEF un futuro da Liberi e Forti”- ME Publisher-2010) così formulata: “State sempre in maggioranza, diceva Toni Bisaglia durante le sue famose cene con gli amici. Il potere logora chi non ce l’ha, diceva Giulio Andreotti. E’ più emblematica, nel disprezzo delle minoranze, la frase di Toni Bisaglia  o quella di Giulio Andreotti ?” risposi così:

 

Quella di Toni è l’espressione di un doroteismo che, già con lui e, soprattutto dopo di lui, diventerà degenerazione culturale e morale. Ricordo uno degli ultimi interventi pubblici di Bisaglia in cui, con grande capacità di autocritica, denunciò l’esistenza di una questione morale tra le file dei suoi e di altri amici della DC che sarebbe stata all’origine della scomparsa di quel partito. Eravamo agli inizi degli anni ’80, dopo una tornata elettorale in cui era scoppiato il fenomeno da noi non compreso della Liga Veneta. Interi paesi e quartieri in cui eravamo abituati a conoscere pressoché la totalità degli elettori della DC, vedevano crescere il consenso al movimento dei Tramarin prima e dei Rocchetta dopo, senza che si potessero riconoscere i loro riferimenti territoriali. Fu allora che organizzammo un gruppo di lavoro multidisciplinare per cercare di comprendere le ragioni di quanto stava accadendo. E proprio discutendo dei risultati di quell’indagine, nella sala delle Conchiglie a Villa Contarini di Piazzola sul Brenta, Bisaglia con toni accorati pronunciò quella sua profetica sentenza. Era oramai troppo tardi. Molti dei suoi amici ed anche altri si erano da tempo incamminati sulla strada della separazione degli interessi, specie di quelli personali, dai valori. E fu così che il doroteo polesano che si fregiava del fatto che, a differenza di Mariano Rumor, il leader storico dei dorotei veneti, non aveva avuto parte alla congiura dei “salmodianti della Domus Mariae” e che a noi giovani in diversi incontri alla DC di Rovigo, teorizzava il valore della conquista del potere quale strumento indispensabile per orientare la politica verso quella mediazione corretta tra interessi e valori, dopo quasi trent’anni di vita parlamentare, dovette accorgersi che qualcosa di grave era intervenuto. Qualcosa che avrebbe travolto di lì a pochi anni con la DC veneta un’intera classe dirigente.

 

Andreotti non è mai stato doroteo, avendo sempre curato una sua piccola, almeno all’inizio, corrente, chiamata con il nome rassicurante di “Primavera”. Circoscritta dapprima a Roma e nel Lazio, dopo la crisi dei dorotei che si consumò nella rottura intervenuta tra Rumor e Bisaglia in un drammatico consiglio nazionale, al quale partecipai, dopo la sconfitta sul referendum sul divorzio, la corrente andò progressivamente allargandosi. Franco Evangelisti ne era il Tigellino fedele ed efficientissimo. Evangelisti era quello del: “a Fra’ che te serve”, rivolgendosi a Francesco Caltagirone, allora disistimato palazzinaro romano, a capo di una dinastia oggi tra le più rispettabili dell’Italia, a destra, come al centro e a sinistra. Ma sarà con l’adesione degli Sbardella, dei Pomicino, Scotti e dei siciliani con Salvo Lima, che la corrente del divo Giulio diventerà uno dei capisaldi della DC post dorotea nella quale prevalse il dominio dei basisti demitiani, grazie proprio all’appoggio determinante degli andreottiani.

 

Se prima i dorotei, specie quelli veneti, avevano dimostrato senso della misura e della loro innata capacità di stare a tavola, con Andreotti, si ebbe la dimostrazione dell’immutabilità della condizione del potere. Sino alla sciagurata decisione di opporsi all’ultimo voto all’elezione di Arnaldo Forlani alla presidenza della Repubblica, ultimo atto di una tragedia che, con Scalfaro presidente, assumerà i toni della tragicommedia”.

 

Luci ed ombre nella vita politica di un uomo che, in ogni caso, concorse in maniera determinante a garantire all’Italia quasi cinquant’anni di pace ininterrotta nella difesa della libertà e in una fase di ricostruzione dell’unità europea che, non a caso, Andreotti ebbe da subito, incompreso anche fra molti di noi più giovani,  la consapevolezza dei rischi che correvamo con la riunificazione tedesca. Non a caso egli osava affermare con la consueta ironia : “ amo talmente la Germania da desiderarne due”.

 

Purtroppo l’idea di europeizzare la Germania attraverso l’Atto Unico (1987)  che fu il capolavoro politico di Andreotti da ministro degli Esteri del governo Craxi durante il semestre di presidenza italiana di quell’anno, non si è attuata e ci troviamo oggi, invece, a fare i conti  con una germanizzazione dell’Europa che rappresenta il grande tema affidato, ahimè, a questi  nuovi politici senz’arte né parte. Non a caso sale da molti la nostalgia del divo Giulio…

 

Ettore Bonalberti

Vice segretario nazionale della DC

Venezia, 14 Gennaio 2019

 



Più che la “maledizione di Moro”, la stupidità degli eredi

 

Sono stato tra i consiglieri nazionali della DC che il 18 Gennaio 1993, su iniziativa del segretario Martinazzoli, da diversi mesi sollecitato dalla “pasionaria di Sinalunga”, Rosi Bindi, approvarono il cambiamento del nome del partito da DC a PPI.

 

Di fatto quella scelta coincise, di lì a poco, con la fine politica del partito e l’avvio della lunga marcia nel deserto, caratterizzata dalla diaspora esplosa, prima, tra i diversi spezzoni in cui si frantumò a poco a poco il partito, e, in seguito, nell’intera vasta area politica, sociale e culturale che alla DC ha fatto riferimento per oltre quarant’anni.

 

Personalmente, in quegli anni che vanno dal 1994 al 2011, mi concentrai sulla mia intensa attività professionale, limitandomi a scrivere di politica con lo pseudonimo di don Chisciotte, l’errante cavaliere indomito, uscito dalla mente di quel grande della letteratura spagnola a me caro,  Miguel De Cervantes.

 

Fu nel 2011 che l’amico On Publio Fiori mi informò della sentenza n.25999 della Cassazione, pronunciata a sezioni civile riunite il 23.12.2010, che stabilì un fatto giuridico importantissimo: la DC non è mai stata giuridicamente sciolta, in quanto per poterla sciogliere e trasformarla in altro partito, il segretario nazionale, con il consiglio nazionale della DC, a norma dello statuto,  avrebbe dovuto convocare il Congresso, ossia la platea di tutti i soci iscritti al partito che, nel 1992 erano oltre un milione.

 

Iniziò in quel momento un impegno che con gli amici  Silvio Lega, Ugo Grippo, Luciano Faraguti, Renato Grassi e Sergio Bindi, portammo avanti, indicando in Gianni Fontana la persona che avrebbe assunto, con il congresso convocato dal consiglio nazionale in auto convocazione, l’incarico di segretario nazionale, dopo che nel 2012 riaprimmo il tesseramento per tutti i soci del 1992 che avessero  espresso la volontà di riconfermare la loro iscrizione al partito.

 

Subito emersero le opposizioni incrociate di quanti non potevano vedere favorevolmente la rinascita politica della DC, “partito mai giuridicamente sciolto”. Alcuni, timorosi per quanto era accaduto con episodi assai poco commendevoli  al momento della spartizione dei beni mobili e immobili  del partito.  Altri, accasatisi su altre sponde politiche a destra, a sinistra o  al centro, sul più comodo carro trionfante del Cavaliere, preoccupati di difendere le loro nuove posizioni acquisite, dimentichi  di quanto la DC era stata loro così prodiga di bene.

 

Tra gli irriducibili avversari delle scelte che, con grande fatica e dispendio di energie personali, il gruppo degli amici che avevano concordato l’elezione di Gianni Fontana  alla segreteria andavano compiendo, si rivelarono sin dal 2012, due amici romani: Cerenza e De Simoni, rappresentanti di un’associazione degli iscritti alla DC del 1992-93, i quali si sono impegnati per oltre sette anni, in  un’opera di continua opposizione, svolta non sul piano del confronto politico, ma sul terreno giudiziario, con continui ricorsi tesi a distruggere la tela che abbiamo tentato di tessere con grande passione e assoluto disinteresse.

 

Sono stati così sette anni di un continuo  e  pericoloso slalom tra il tempo passato a elaborare proposte politiche e a diffondere l’idea della ripresa politica della DC e quello dedicato a rispondere alle continue scadenze nelle aule dei tribunali.

 

Per molto tempo ho ritenuto che pendesse su di noi la “ maledizione di Aldo Moro” pronunciata contro la DC e i suoi eredi dal carcere delle BR. Avevo sperato che con l’ultimo tentativo di accordo con il duo romano si fosse trovata finalmente la pace, dopo che il tribunale di Roma aveva autorizzato la celebrazione del XIX Congresso nazionale del  partito il 14 Ottobre 2018, nel quale abbiamo eletto Renato Grassi alla segreteria del partito e Gianni Fontana alla presidenza del Consiglio nazionale, convocato il 23 ottobre dello stesso anno, ed invece il duo romano ha colpito ancora con l’ennesimo ricorso in tribunale.

 

Se con quello del 2012 abbiamo perduto sette anni di vita politica per la DC, con quest’ultimo, se dovesse prevalere, sono convinto che quello che per molti di noi è stato un sogno finirebbe per diventare l’incubo di un’aspettativa mancata senz’altra possibilità di riuscita.

 

Di fronte al persistere di questi avvenimenti che il 18 Gennaio prossimo, centenario dell’appello sturziano ai Liberi e Forti, e venticinquennale della fine politica della DC, vedrà riuniti a Roma una sequela di partiti, movimenti e gruppi che, a diverso titolo, fanno riferimento alla DC, sto pensando che più che “la maledizione di Moro”, siamo tutti vittime della stupidità degli ultimi eredi della DC.

 

Come chiamare, infatti, quelle persone che con i loro comportamenti e i loro atti “fanno del male a se stessi e agli altri”, se non  con il titolo di “stupidi”, ossia con la qualifica che proprio il prof Carlo Cipolla nel suo trattato sulla stupidità, ha egregiamente attribuito alle persone responsabili di tali comportamenti?

 

Ho dedicato gli ultimi ventisei anni della mia vita politica al progetto della ricomposizione dell’area politico  culturale cattolica e  popolare italiana, ma temo di aver vissuto nient’altro che una frustrante illusione, avendo sperimentato sulla mia pelle quanto sia difficile lavorare in un contesto, come quello del nostro Paese, in cui: “ tutti vogliono coordinare e nessuno vuol essere coordinato”.

 

Getto la spugna e da questo momento mi limito a svolgere il ruolo di “ un osservatore partecipante”, deluso e rammaricato nel costatare l’impotenza dell’area  politica democratico cristiana, nella quale le stucchevoli ambizioni di alcuni continuano a fare aggio sul progetto della ricomposizione unitaria.

 

E, intanto, assistiamo allo “sgoverno dei giallo verdi” e al trionfo di una deriva sovranista e populista che porterà l’Italia alla crisi d sistema.

 

Una definitiva speranza: il 18 Gennaio riusciremo a far decollare il patto programmatico  costituente condiviso il 5 Dicembre scorso con Rotondi, Tassone, Merlo, Mario Mauro, Tarolli, Rotunno e tanti altri amici di area DC e popolare? Lì si parrà nostra nobilitade.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 10 Gennaio 2019

 

 

 

 


La dura prova della realtà

 

Dopo il Monte dei Paschi di Siena è la volta della CARIGE (Cassa di Risparmio di Genova), prime vittime di una crisi bancaria italiana nella quale sono coinvolte diverse altre realtà che stanno scivolando verso il default.

 

Trattasi di una crisi di sistema più volte denunciato dall’amico Alessandro Govoni anche in sede giudiziaria, dopo che Banca d’Italia è stata sottoposta al  potere degli hedge funds anglo caucasici-kazari detentori delle quote di maggioranza dei tre istituti controllati-controllori della Banca centrale (vedasi la risposta del Ministero del Tesoro all’interrogazione dell’On Villarosa del   Febbraio 2017, allora capogruppo del M5S in commissione finanze della Camera, attualmente sottosegretario dello stesso Ministero *) per risolvere la quale non sono assolutamente sufficienti, ancorché necessarie, le politiche di intervento d’urgenza come quelle sin qui adottate tanto dal centro-sinistra che dal governo giallo-verde.

 

Alla dura prova della realtà anche il M5S , paladino della battaglia contro il salvataggio renziano delle banche , si è dovuto piegare a ciò che il ministro Tria e il premier Conte alla fine hanno dovuto decidere in un consiglio dei ministri serale convocato d’urgenza.

 

 

L’unico programma politico che TECNICAMENTE consentirebbe ancora, dopo 25 anni, lo sviluppo dello STATO ITALIANO  e della Sua CLASSE MEDIA (94% della popolazione italiana) e che renderebbe tecnicamente possibile ogni altro obiettivo in qualsiasi altro settore sarebbe il seguente:  

1.    Obbligo di cessione al Tesoro dello Stato italiano  da parte di Telecom Italia Sparkle della proprietà dei cavi sottomarini,  necessari alla comunicazione intranet dei movimenti elettronici del denaro nel sistema bancario italiano (=abolizione della L.58 del 28 Gennaio 1992 e della Legge n. 35 del 29 gennaio 1992)

 

2.    Controllo Statale  sulla  raccolta del risparmio tra il pubblico mediante compagnie assicurative  statali = abolizione del DPR n. 350/1985 firmato da Sandro Pertini

 

3.    Obbligo di cessione da parte di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna, Carige e BNL del 51% delle loro azioni al Tesoro dello Stato Italiano  al fine che lo Stato italiano abbia,  con 265 voti su 529, il controllo del 51% di Banca d’Italia (=abolizione della L.82 del 7 Febbraio 1992), al fine che Banca d’Italia possa di nuovo dopo 25 anni tornare a vigilare per  impedire truffe sui derivati e su azioni/bond carta straccia, e per impedire anatocismo e usura bancaria.  

 

4.    Reintroduzione della Legge Bancaria del 1936 (=abolizione del decreto legislativo n. 385/1993):

 

5.    SEPARAZIONE TRA BANCHE DI PRESTITO (loan bank) e BANCHE SPECULATIVE (investment bank) =abolizione del d.lgs n.481/1992 firmato da Giuliano Amato, Barucci e Colombo.

Automatica re-introduzione della contabilità bancaria esistente prima del 31 Luglio 1992 (abolizione del Provvedimento di Banca d’ Italia del 31 Luglio 1992 firmato da Lamberto Dini al fine di fermare l’evasione fiscale verso i fondi speculatori petroliferi kazari proprietari della City of London)  

6.    Divieto di prestare denaro creato con un clic elettronico anziché raccolto tra il pubblico

 

7.    Riduzione del capitale flottante di Banca Intesa, Unicredit, Cassa Risparmio Bologna, Carige, BNL e di ogni altra società italiana strategica quotata in borsa (ENI,…)  dall’attuale 85% del capitale totale, al 15%, al fine di evitare scalate da parte dei fondi speculatori petroliferi kazari.

 

8.    Divieto di vendite allo scoperto (divieto di short -selling) sia di tipo naked (presa in prestito di titoli inesistenti per es di MPS per farle crollare, le uniche finora vietate dall’UE) e di quelle piene. Divieto in sostanza di ogni tipo di vendita allo scoperto contro titoli di societa italiane quotate alla borsa di Milano.

 

9.    Abolizione del CICR (è l’ufficio di controllo occulto di Banca d’Italia)

 

10. Conferire il potere ISPETTIVO  sia a Banca d’Italia che alla Consob, in aggiunta a quello di vigilanza 

 

11. Separare la Consob dal controllo di Banca d’Italia al fine di avere un organo ispettivo indipendente. Possibilità anche per la GDF e per la Polizia di Stato di effettuare ispezioni in materia finanziaria, in materia di borsa.  

 

12.  Divieto per famiglie, imprese ed enti locali italiani di sottoscrivere derivati sulla valuta(=abolizione del DPR n.556/1987 emesso su proposta del Ministro del Tesoro Giuliano Amato) e derivati sul tasso (=abolizione del D.M. del Tesoro n. 44 del 18  febbraio 1992 firmato  da Mario Draghi)

 

13. Divieto al Governatore di Banca d’Italia di variare il tasso ufficiale di sconto (abolizione della L.n. 82 del 7 Febbraio 1992) al fine di evitare le truffe sui derivati sul tasso

 

14. Divieto di anatocismo nei conti correnti, leasing, mutui, prestiti con cessione del quinto e in ogni altra forma di prestito 

 

15. Abolizione del piano di ammortamento alla francese, lecito solo il piano di ammortamento all’italiana (quote capitali sempre uguali). 

 

16. Divieto di usura oggettiva (supero tasso soglia) e divieto di usura soggettiva (supero tasso medio). Introduzione della rilevanza immediatamente penale anche del supero del tasso medio indipendentemente dalla situazione di difficoltà economica-finanziaria del soggetto cliente

 

17. Abolizione della disciplina fondiaria ex art 38 e seg.  TUB

 

18. Riforma del Tribunale delle Esecuzioni immobiliari sulla prima casa e sull’immobile sede dell’attività: divieto di esecuzione immobiliare sulla prima casa e sulla sede dell’attività, obbligo di prolungamento del mutuo, in caso di difficoltà,  ad un tasso massimo pari al tasso d’inflazione. Divieto di neutralizzazione del Fondo Patrimoniale (è una figura giuridica prevista dal 1936 a tutela della famiglia italiana).   

 

19. Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3 immobili) in soggetti posti in qualsiasi ruolo e funzione del Tribunale addetti all’esecuzioni immobiliari e nella sezione fallimentare.

 Divieto di concentrazione immobiliare diretta o per interposte persone (massimo 3 immobili) nell’avvocato e dottore commercialista della curatela fallimentare, dei sequestri immobiliari e quali procuratori per le banche nelle  esecuzioni immobiliari e nel custode  e nel  notaio delle esecuzioni immobiliari

20. Creazione della Procura Nazionale contro i Reati finanziari commessi da soggetti speculatori esteri, con distaccamento in ogni DDA, collegata all’INTERPOL e per la prevenzione diattentati terroristici e jihadisti da parte dei fondi speculatori atti a riottenere il controllo privato delle banche italiane e dell’Ente dell’Energia italiano

 

21. Obbligo di almeno cinque  Parlamentari di ogni  forza politica di partecipare all’ Assemblea Annuale di Approvazione del Bilancio delle banche italiane azioniste di maggioranza di Banca d’Italia, in quanto vero governo del sistema e termometro della salute del paese

 

Credo che la Democrazia Cristiana, che fu già il partito di Guido Carli che seppe conservare la legge bancaria del 1936 sino al 1992, una delle pre-condizioni fondamentali della crescita dell’Italia, sarebbe quella di assumere queste indicazioni come essenziali per la sua proposta di programma, avendo consapevolezza che, senza questi pre-requisiti, nessun’altra riforma seria sarebbe possibile nel nostro Paese.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 9 Gennaio 2019

 

* Da documenti desecretati e da rilievi matematici confermati dal Ministero dell'Economia delle Finanze sull'assetto di controllo delle banche quotate italiane ( risposta del Ministero all’interrogazione parlamentare dell’On Villarosa (M5S) nel Febbraio 2017)  maggiori azioniste di Banca d'Italia con 265 voti su 529, da parte , attraverso le SUB-DELEGHE conferite agli avvocati (avv.Cardarelli, ..) dello studio legale Trevisan di viale Maino –Milano, risultano una decina di fondi petroliferi nonché speculatori finanziari georgiani/ arzebajani di antica origine tedesca (Vanguard, State Street, Northern Trust , Fidelity , Jp Morgan Trust, Black Rock , Bnp Paribas Trust, Franklyn Templeton e il loro fondo immobiliare comune Black Stone, già proprietario di quasi tutti gli outlet village in Italia e di oltre 1 MILIONE di mq di centri logistici sempre in Italia), cd ariani o KAZARI o askenazita-kazari , indagati dal 15 Gennaio 2018 anche dalla Procura di New York e dallo Stato di New York per PROCURATO DISASTRO AMBIENTALE e per avere fermato lo sviluppo dell'energia solare, hedge fund e come tali, unici fondi al mondo autorizzati a compiere amorali , immorali, illegittime VENDITE ALLO SCOPERTO (presa in prestito di titoli di società terze a loro insaputa per venderli al fine di farne crollare la quotazione, per acquistarli a prezzi stracciati ad ogni programmato settennale avvenuto crollo della borsa di Milano, da quando dal 1992/93, abolita purtroppo in Italia la separazione bancaria tra banche di prestito e banche speculative a causa del decreto legislativo n. 481 del 14 Dicembre 1992 firmato da Amato e Barucci, essi imperano , crolli della borsa di Millano infatti avvenuti ogni circa sette anni 1994, 2001, 2008 , 2016, crolli che hanno impoverito circa 20 milioni di piccoli azionisti italiani che hanno perso tutti i loro risparmi ) definiti fondi speculatori anche dal D.M. del Tesoro n. 98/1999.

Trattasi di decreti già emessi , non disegni di legge, decreti che comprovano l'avvento in Italia dal 1992/93 di questi fondi speculatori con sede legale nella City of London , proprietari della City of London, e sede fiscale nel PARADISO FISCALE del Deleware come dimostrato dalla Relazione della SEC (organo di vigilanza della borsa degli Stati Uniti , indipendente dal 2001).

Fondi speculatori che il sito governativo britannico beta.companieshouse.gov.uk ha dimostrato che le società che essi controllano appartengono a TRUSHELFCO, DIKAPPA più un numero delle sette famiglie kazare , georgiane /arzebajane di antica origine tedesca dei Rothshild , J.P. Morgan, Warburg , Walker Bush, Rockfeller, Jeferson Clinton, Johnson, convertiti all'ateismo nel 1820 per poter usufruire senza limiti e remore, con l'invenzione

della trivella, ancora del business del petrolio che era terminato in superficie nel 1400 dopo Cristo in Georgia/Arzebajan decretando la fine dell'impero KAZARO (600 avanti Cristo -1400 dopo Cristo), un impero inspiegabilmente cancellato dagli inventori kazari delle tipografie, dai libri storia occidentali, ma ben presente nei libri di storia dell'Armenia, dell'Ucraina.

 

 

 

Popolari, é il momento della scelta.

 

È indubbio che gennaio sarà un mese decisivo ed importante per il futuro dei cattolici popolari nel

nostro paese. Tutti sapevano che dopo il voto del 4 marzo la geografia politica italiana era

destinata a cambiare in profondità. E così è stato. Hanno fatto irruzione, vincendo a largo raggio, i

partiti cosiddetti populisti e antisistema, cioè la Lega di Salvini e il movimento di Grillo e

Casaleggio. Sono tramontati i "partiti plurali", cioè il Partito democratico e Forza Italia diventando

l'uno il prosieguo, seppur aggiornato, della storia e della esperienza politica e culturale del Pds e

dei Ds e l'altro una semplice succursale della Lega salviniana. E, infine, sono ritornate in campo le

identità politiche che, come da copione, ridiventano protagoniste ogniqualvolta si accompagnano

con un sistema elettorale proporzionale. Certo, il quadro politico e' ancora alquanto instabile e le

stesse coalizioni, frutto e conseguenza del proporzionale, sono in via di assestamento e di

ridefinizione. Dopo essere state distrutte. Nel Pd con il partito a "vocazione maggioritaria" e il

"partito personale" di renziana memoria e nel centro destra con l'onnipotenza berlusconiana.

Pagine che, comunque sia, sono state definitivamente archiviate dalla storia e dalla politica.

Ed è in questo preciso contesto storico che si pone, in termini affatto diversi ed inediti rispetto al

passato, la "questione cattolica" nella società contemporanea. Ovvero, la necessità di ridare voce

e senso alla presenza pubblica dei cattolici italiani. O meglio, di ridare rappresentanza politica ad

un mondo culturale, sociale ed associativo molto plurale ed articolato ma, comunque sia,

accomunato da un "comune sentire" che in questi ultimi anni, progressivamente ed

irresponsabilmente, e' stato emarginato e reso ininfluente. Certo, senza derive confessionali e

clericali ma con una presenza laica e culturalmente definita. Una domanda che in questi ultimi

mesi e' cresciuta a livello territoriale e di base e che, adesso, e' matura per avere una doverosa e

rinnovata risposta politica ed organizzativa. Ben sapendo che un processo di ricomposizione deve

tener conto delle mille voci che arricchiscono questo mosaico di cultura, di sensibilità sociale, di

spiritualità e di tensione ideale. Ma, seppur nel rispetto delle sensibilità e di queste storiche

diversita', adesso e' giunto anche il momento di affrontare il capitolo dello strumento partito. E le

svariate celebrazioni del centenario dell'appello ai "liberi e ai forti" e della fondazione del Partito

Popolare Italiano di don Luigi Sturzo che si stanno organizzando in tutta Italia, possono essere la

leva decisiva per fare il salto di qualità. Richiesto dalla base ed invocato dai vertici. Del resto, la

cosiddetta "questione cattolica", seppur nelle diverse fasi storiche, ha sempre dovuto affrontare e

risolvere il capitolo della politica. O meglio, della organizzazione politica. E oggi, e' inutile negarlo,

la sfida e' tutta qui. Cioè nella capacita' di ridare una infrastruttura politica ed organizzativa a

questa domanda. Appunto di natura politica. Senza prestare eccessiva attenzione, accompagnate

dalle altrettanto patetiche polemiche, su chi ha la paternità esclusiva per interpretare al meglio

quella cultura politica e quel filone ideale. Polemiche artificiose se è vero, com'è vero, che uno

strumento politico del genere non può che essere plurale al suo interno anche se accomunato da

una comune ispirazione valoriale.

Gennaio, quindi, sarà il mese della scelta politica. Fuorche' si pensi che la risposta debba essere

la solita "ritirata" nel prepolitico e nella palude. Sarebbe, questa, una sorta di "peccato di

omissione" per citare Paolo Vl che indebolirebbe ulteriormente la ricca e feconda tradizione del

cattolicesimo politico italiano da un lato e segnerebbe, dall'altro, l'eclissi del pensiero politico di

ispirazione cristiana nella cittadella politica italiana. Un lusso che, adesso, non ci possiamo più

permettere.

 

Giorgio Merlo

Torino, 6.01 2019

Che il Signore ci assista!

 

Sono sempre più frequenti i messaggi provenienti dalla gerarchia cattolica per un rinnovato impegno dei cattolici nella politica italiana. Ultimo in ordine di tempo, l’intervento di padre Spadaro, direttore de “La civiltà Cattolica”, con le sue parole chiave, ricetta per reagire alle paure diffuse tra la gente.

 

Sono quelle della “paura”, dominante nel dibattito politico italiano, contro cui, come indica Papa Francesco è necessario compiere “gesti che si oppongono alla retorica dell’odio”.

La seconda parola è quella dell’”ordine”, che fa a pugni con la situazione di permanenti conflitti a livello internazionale , per perseguire il quale padre Spadaro indica una “solida collocazione internazionale dell’Italia e un’attiva politica estera specialmente nel Mediterraneo, punto di incontro di Europa, Africa e Asia. Forse occorre evocare un nuovo ordine mediterraneo.”

La terza parola è quella di “ migrazioni”, che sembra divenuta centrale nella vulgata politica nazionale, e su questo tema, ai muri e alla chiusure egoistiche, padre Spadaro invita a lavorare per l’integrazione.

Quarta parola “ popolo”, da non confondere con il populismo, considerando con Papa Bergoglio che “la questione centrale oggi è quella della democrazia”.

Segue il termine “partecipazione” che permetta di passare dalla condizione di “abitanti europei a quella di cittadini europei”. Il richiamo alle tre T di Papa Francesco, Tierra,Techo,Trabajo, ossia :Terra, casa e lavoro, sono i fondamentali per dare dignità alla vita umana. Partecipazione,  dunque, come ritorno a riconnettersi con la gente: dal populismo al popolarismo.

Ritorno al “popolo”, che è stata la stella polare di tutta la storia dell’esperienza politica dei cattolici democratici e dei cristiano sociali, dall’appello sturziano ai Liberi e forti del 18 Gennaio 1919, alla DC di De Gasperi, Fanfani e Moro della lunga stagione del potere (1948-1992).

Ad essa é seguita la dolorosa stagione della diaspora (1993-2019) tuttora in fase di complessa e difficile ricomposizione, considerata la multiforme realtà dell’area cattolica e popolare, la crisi oggettiva dell’associazionismo cattolico e della stessa organizzazione ecclesiastica, cui si accompagna la deleteria divisione tra le diverse organizzazioni meta politiche e partitiche che, a diverso titolo, tentano di richiamarsi all’esperienza popolare e/o democratico cristiana.

Nel 1946-47 fu la voce di Papa Pacelli che si fece sentire alta e forte per un impegno diretto dei cattolici nella politica italiana, di fronte al rischio della vittoria del fronte social comunista. Una Topolino messa a disposizione di Luigi Gedda e Maria Badaloni permise loro di girare tutta l’Italia e di dar vita all’Associazione dei Maestri Cattolici (AIMC), primo nucleo fondante dell’unità politica dei cattolici nella DC.

Seguirono le iniziative di Achille Grandi con le ACLI, di Paolo Bonomi con la Coldiretti, di  Giulio Pastore con la CISL, ossia la nascita di una rete sociale, prima ancora che politica, in grado di saldare gli interessi dei ceti medi produttivi con quelli delle classi popolari, uniti nei valori fondanti della dottrina sociale cristiana: centralità della persona e della famiglia, ruolo essenziale dei corpi intermedi, i rapporti dei quali da regolare secondo i principi della solidarietà e della sussidiarietà. Quelli che i democratico cristiani alla Costituente, Dossetti, La Pira, Fanfani, Moro, Mortati e Lazzati, seppero introdurre a fondamento della nostra Costituzione repubblicana.

Noi da vecchi “ DC non pentiti” è dal 1993 che continuiamo la nostra lunga battaglia per la ricomposizione dell’area cattolica e popolare italiana, pur tra mille difficoltà, incomprensioni, personali amarezze, convinti come siamo che, nell’età della globalizzazione, servirebbe veramente un “Appello ai Liberi e Forti 2.0”, a misura di quello sturziano del 1919. Quella fu la  risposta dei cattolici all’appello lanciato con la Rerum Novarum da Papa Leone XIII per la soluzione dei problemi posti dalla prima rivoluzione industriale. Oggi, sostenuti dalle indicazioni pastorali di Papa Benedetto XVI ( Caritas in veritate) e di Papa Francesco ( Evangelii Gaudium e Laudato Si), il nostro impegno è quello di inverare nella città dell’uomo questi orientamenti, nella difficile fase storico politica vissuta nell’età della globalizzazione con il ruolo dominante del turbo capitalismo finanziario.

Il 17 Gennaio prossimo, con la partecipazione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, all’Istituto Sturzo di Roma si celebrerà in forma solenne il centenario dell’appello sturziano. Noi stessi democratici cristiani tutti insieme a quanti vorranno unirsi nel patto programmatico costituente sottoscritto il 5 Dicembre scorso, Venerdì 18 Gennaio prossimo celebreremo presso la saletta della Camera dei Deputati, con il ricordo dell’appello sturziano, l’indicazione di un progetto politico in grado di offrire al Paese una nuova speranza.

Certo, ci sentiamo orfani di personalità all’altezza dei nostri padri fondatori, ma la nostra determinazione nell’impegno per ricomporre ciò che da molto, troppo tempo, è rimasto diviso, resta ferma e indistruttibile.

Serve l’aiuto di tutti i democratici cristiani e popolari italiani e, soprattutto, l’adesione appassionata  di una nuova generazione DC e di popolari, alla quale intendiamo consegnare con orgoglio il testimone della nostra migliore tradizione politico culturale.

E che il Signore ci assista!


Ettore Bonalberti

Vice Segretario nazionale DC

Venezia, 4 Gennaio 2019

 

 

 

 

 

Non c’è spazio per interpretazioni equivoche o in malafede

 

 

La lunga attraversata dei Democristiani non pentiti nel deserto dal tempo della diaspora, sembra che sia alla fine di questo percorso e che  stia trovando, finalmente, una sua positiva conclusione, dopo l’elezione degli organi dirigenti della DC, con l’elezione del Consiglio nazionale da parte del Congresso il 14 ottobre 2018 e della direzione nazionale da parte del Consiglio stesso il successivo  23 Ottobre.

 

Resta da risolvere il dilemma di Gianni Fontana il quale, eletto alla presidenza del Consiglio nazionale del partito, dopo appena un mese, il 13 Dicembre scorso, nella riunione da lui convocata del Consiglio, si è autosospeso dall’incarico con iniziali critiche alla linea politica del Segretario Renato Grassi, per poi condividerne completamente la relazione politica programmatica del Segretario, continuando a presiedere il Consiglio nazionale. In pratica un  pasticcio con la proclamazione di questo inconsueto istituto giuridico, non contemplato in partiti e associazioni dove il Presidente eletto non può essere “rappresentante formale”, ma “assente informale”. Ci auguriamo che Gianni Fontana capisca presto l’inconciliabilità di poter essere un “Presidente autosospeso”, per rispetto ai Soci che lo hanno eletto e allo stesso ruolo istituzionale che ricopre. 

 

In conseguenza di questo fatto appare quanto  meno bizzarra e disinformata la posizione assunta dagli amici della “ Chiesa dei poveri”, che, intervenendo sui fatti interni alla Democrazia Cristiana, continuano a rappresentare Gianni Fontana, come solitario e immacolato vindice di virtù, alla pari dei suoi nuovi amici riuniti attorno al vescovo emerito Mons Simoni, i quali, dimentichi delle traversie politiche e giudiziarie del Nostro agli inizi degli anni’90 (traversie politiche e giudiziarie da Fontana lucidamente descritte nel suo appassionato saggio: ”Le Mura”- Perosini Editori, 2005), considerano tutti gli altri come persone da additare all’indice, come fantasmi reietti, rispetto ai quali sarebbe bene che “i morti seppelliscano i morti”.

 

Non ci meraviglia che nella vasta e complessa  realtà cattolico popolare, permangano, dopo tanti anni vissuti nella diaspora, posizione politiche diverse.  Ci disturba, invece, che permangano giudizi e pregiudizi che appartengono a una stagione politica definitivamente morta e sepolta, come quella della seconda repubblica, nella quale andò di moda anche tra i cattolici, la divisione tra berlusconiani e anti berlusconiani, che, per molti di noi della quarta generazione DC, coincideva in larga parte con quella che avevamo vissuto nell’ultima fase della vita della DC, tra preambolisti e anti preambolisti.

 

Una divisione che, seppure ci separò in maniera forte, prima nella DC, e poi nella seconda repubblica, oggi non ha più alcun senso, considerato che da tutti i documenti votati dal congresso della DC per l’elezione di Renato Grassi alla segreteria del partito, alle conclusioni dei Consigli nazionali, della Direzione nazionale e dello stesso ufficio politico, la linea politica è sempre stata netta e senza ambiguità: la DC, finalmente completata nei suoi organi dirigenti secondo le indicazioni statutarie avallate dal tribunale di Roma, intende schierarsi al centro per concorrere alla costruzione di un nuovo soggetto politico ampio, plurale, democratico, popolare, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE che si intende far tornare ai principi dei padri fondatori, alternativo allo  “sgoverno” giallo verde dei populisti e nazionalisti.

 

 

Tutto ciò sta alla base, infine, del patto programmatico costituente e federativo che abbiamo sottoscritto con altri amici dell’area  democratico cristiana e popolare, ribadendo l’obiettivo di cui sopra nella conferenza stampa congiunta tenutati presso la sala stampa della Camera, Mercoledì 19 dicembre scorso. Come accade sempre in un Paese nel quale “ tutti vogliono coordinare e nessuno vuole essere coordinato”, anche su questa conferenza stampa non sono mancate le critiche di ambienti interessati, innanzi tutto, a non far ripartire il progetto di ricomposizione dell’area democratico cristiana che, per quanto ci riguarda, lo riteniamo come essenziale e propedeutico per quella più ampia dell’area popolare, liberale e riformista del Paese.

 

Un processo di ricomposizione senza il quale non esiste alcuna possibilità di dar vita a un’alternativa democratico e popolare alla deriva sovranista, nazionalista e antieuropeista dominante dopo il voto del 4 Marzo scorso. Preso atto, senza  più alcun dubbio che nessuno, nemmeno qualche vescovo emerito col suo seguito  di  fedeli chierici e laici, è l’interprete ufficiale della CEI, se non il presidente stesso di quella Conferenza, il card Bassetti, il quale in proposito ha usato il linguaggio schietto della verità, ai nostri critici esterni al partito chiediamo: possibile che non si possa condividere l’idea dell’alternanza al governo giallo verde e la volontà di concorrere alla ricomposizione dell’area democratico cristiana e popolare italiana, per partecipare tutti a pieno titolo nell’unica nostra casa politica possibile in Europa che è quella del Partito Popolare Europeo, pur se con correttivi rispetto alle esperienze di questi ulti venti anni ? Infatti, nel patto programmatico costituente abbiamo scritto in maniera inequivocabile che la DC italiana intende essere parte ufficiale del PPE, per riportare l’Unione europea ai fondamentali dei padri fondatori DC: Adenauer, De Gasperi e Schuman tre Statisti Cristiani.  Ai nostri critici esterni chiediamo: condividete oppure no tale obiettivo? 

 

Tra le fondamentali riforme che si chiede per porre fine al dominio del turbo capitalismo finanziario abbiamo indicato due obiettivi strategici prioritari: il controllo pubblico delle banche centrali, compresa la BCE, e la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazioni finanziaria. Ai nostri  critici esterni chiediamo: siete d’accordo oppure no con tale obiettivo?  A loro, infine, suggeriamo  sommessamente che sarebbe il caso di indagare chi fosse componente di quel governo Amato Barucci che assunse nel 1993 la responsabilità di assumere per decreto il superamento della legge bancaria del 1936, di fatto assicurando agli hedge funds anglo caucasici-kazari il pieno dominio del nostro sistema bancario e finanziario nazionale. Siamo convinti che, svolta quella verifica, molti degli attuali giudizi e pregiudizi su persone e scelte politiche operative concrete, sulla linearità e coerenza dei comportamenti sarebbero completamente rivisti e, in qualche caso, rovesciati.

 

Ai tristi incoraggiatori, poi, responsabili reggitori di saccenti squallidi profili su facebook,  ribadiamo per iscritto ciò che abbiamo loro già indicato verbalmente: attenti a utilizzare il web come strumento di aggressione e di assurde contumelie e minacce personali, alle quali, se continuassero, risponderemmo nelle sedi giurisdizionali competenti. Se qualcuno non ha condiviso le scelte congressuali e del consiglio nazionale, ritrovandosi frustrato per il mancato raggiungimento di qualche suo desiderio, comprendiamo il suo stato d’animo, ma gli ricordiamo che non è con la frustrazione che si può seriamente costruire una critica politica seria e alternativa, se non si propone una linea politica autenticamente propositiva di obiettivi e modalità di conduzione organizzative diverse, più efficienti ed efficaci.

 

 

Infine, una domanda ha chi ha criticato il procedere del nostro patto federativo. Possibile che, dopo oltre vent’anni di divisioni democristiane  e popolari, con i vertici della Chiesa italiana che da tempo sollecitano il laicato cattolico all’impegno politico nella città dell’uomo, si voglia ancora criticare l’avvenuto riavvicinamento tra gli amici Grassi, Rotondi, Tassone con molte altre realtà associative della galassia DC, cattolico popolare dell’Italia? E se non queste, quali altre proposte di ricomposizione dell’area si perseguono, concretamente agibili sul piano politico istituzionale?

 

Gianfranco Rotondi, “uno dei migliori fichi del bigoncio”, come direbbe il compianto Francesco Cossiga, è consapevole che quello che abbiamo compiuto e stiamo per portare avanti è un passaggio decisivo nella vicenda politica democratica cristiana e popolare dell’Italia. E con lui lo sono Mario Tassone con Renato Grassi e altri, come gli amici di “ Costruire insieme” guidati da Ivo Tarolli, dei “Popolari per l’Italia” di Mario Mauro e di tante altre realtà di area cattolica e popolare. A Rotondi abbiamo parlato con grande franchezza, quella che ci deriva da un rapporto che risale ai tempi nei quali, lui giovane rampante nella sua Avellino, insieme all’amico e maestro Gerardo Bianco, in alternativa a De Mita, partecipava ai nostri incontri estivi di Saint Vincent della corrente di Forze Nuove, dimostrando, sin da allora, doti indiscutibili di preparazione politica e di leadership carismatica.  Gli abbiamo ricordato che ciò che abbiamo sottoscritto non è una licenza per contrattare con il Cavaliere l’ennesima candidatura sicura per il parlamento europeo, ma l’avvio di un progetto e di un processo di assai più lungo valore e durata 

 

Non condividiamo, infatti, l’ennesima scelta compiuta dall’amico Lorenzo Cesa, dopo la dichiarazione di Mercoledì scorso dell’On Tajani,  del suo ingresso nella lista del Cavaliere, replica di quanto già  compiuto  con alterni risultati,  da diversi anni. Cesa, come bene ha ricordato l’amico prof Luciani, dopo il voto del 4 Marzo scorso, non ha più alcun parlamentare del suo gruppo nelle due camere e, di fatto, dopo l’ingiunzione presentatagli dal nostro segretario amministrativo, Dr Troisi, a non utilizzare più il simbolo dello scudo crociato che appartiene unicamente ed esclusivamente alla DC storica, quella che con il congresso del 14 Ottobre ha definitivamente concluso l’iter giuridico indicato dalla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010 ( “La DC non è mai stata giuridicamente  sciolta”), decida una volta per sempre, con il suo fedelissimo e ultra garantito Antonio De Poli di entrare nel partito del Cavaliere, ponendo in tal modo fine a un equivoco e a una pantomima che è durata anche troppo.

 

Questa di Cesa, lo ribadiamo, è una prospettiva che non ci appartiene, convinti come siamo, che nostro dovere sia di favorire la ricomposizione dell’area  democratico cristiana e popolare per entrare a pieno titolo nella casa madre dei Popolari europei. Quella che a suo tempo, proprio un “ DC non pentito” e senza macchia e senza paura, come l’indimenticabile Sandro Fontana, con Don Gianni Baget Bozzo, seppe indicare al Cavaliere che, di quel suggerimento, se ne fece interprete con grande vantaggio personale e di gruppo.

 

La nostra prospettiva, però, è e rimane quella di concorrere a mettere insieme tutte le diverse risorse umane e politico culturali di matrice democristiana e popolare, presenti sia a destra che a sinistra; quelle, ad esempio, degli amici della “rete bianca” e dei tanti popolari ex PD e della Margherita, stanchi della deriva senza più identità del partito, ancora incerto della sua collocazione nello scenario politico italiano ed europeo.

 

Chiunque continuasse a rappresentarci al di fuori di questo progetto, noi sappiamo che lo fa perché intende scoraggiarne o impedirne la realizzazione , o, peggio, perché è in malafede.

 

 

In entrambi i casi, la DC uscita dal XIX Congresso del 14 Ottobre scorso, mentre richiama all’unità, con l’avvio del tesseramento in atto, tutti i democristiani a qualunque parrocchia siano appartenuti nella lunga stagione della diaspora e dell’attraversata del deserto (1993-2018), saprà opporsi con grande determinazione a questi miserrimi tentativi destinati al sicuro fallimento.

 

ETTORE BONALBERTI

Vice segretario nazionale DC

Venezia, 22 Dicembre 2018 


Sandro Fontana, un vero cattolico popolare .

 

"Sandro Fontana, l'anticonformista popolare. Le sfide di Bertoldo in Italia e in Europa" e' il titolo del

libro appena pubblicato ed edito da Marsilio che rilegge il magistero politico, culturale ed

intellettuale di Sandro Fontana. Un intellettuale che ha vissuto l'impegno e la militanza politica

quasi come un dovere per un cattolico. E soprattutto per un cattolico che ha fatto della politica una

"mission" per tradurre quel popolarismo di ispirazione cristiana che l'ha accompagnato per tutta la

sua vita.

Bresciano, docente di storia contemporanea prima a Pavia e poi a Brescia, Fontana e' stato prima

amministratore regionale in Lombardia - fortemente innovativo il suo assessorato alla cultura - e

poi senatore e deputato europeo.

Ma sono sostanzialmente 3 gli elementi che hanno caratterizzato il ricco e fecondo magistero

politico, culturale e intellettuale di Sandro Fontana.

Innanzitutto la sua fedeltà al popolarismo. Sono rimaste celebri alcune sue pubblicazioni al

riguardo perché la difesa, la promozione e la valorizzazione dei ceti popolari sono stati sempre la

stella polare che hanno orientato la sua militanza politica quotidiana. A prescindere dai partiti di

appartenenza e dalle fasi storiche, peraltro drammatiche, che si sono succedute. Ma la difesa dei

ceti popolari continua ad essere l'unico vero punto di riferimento per il suo impegno concreto nella

politica. Una concezione popolare che ispira un modello di società, il profilo del partito e delle sue

classi dirigenti e la costante necessità di essere sintonizzati con le istanze e le esigenze che

provengono da quei ceti. E Fontana, per la sua formazione giovanile e soprattutto per la sua

provenienza sociale, non ha mai avuto alcuna difficoltà a conoscere quelle istanze e a farsi

interprete di quei sentimenti e di quelle richieste. Un popolarismo vissuto più che descritto e

contemplato. Per questo e' stato si' un intellettuale e uno storico popolare ma anche un autentico

politico che ha tradotto il patrimonio del popolarismo di ispirazione cristiana nella concreta

dinamica politica italiana.

In secondo luogo non si può non dire che Sandro Fiontana per molti anni è stato l'ideologo della

sinistra sociale della Democrazia Cristiana. Il suo stretto rapporto con Carlo Donat-Cattin per molti

anni ha rappresentato una collaborazione feconda ed importante non solo per la qualità e

l'autorevolezza della sinistra sociale ma anche per il contributo politico determinante capace di

orientare e di condizionare l'intera politica della Democrazia Cristiana. Non a caso gli ormai famosi

convegni settembrini di Saint-Vincent erano incontri promossi della "corrente" di Forze Nuove ma

anche e soprattutto momenti di confronto politico in grado di dettare l'agenda politica della Dc e

quindi dell'intero paese. Insomma, possiamo tranquillamente sostenere che Donat-Cattin era

l'uomo delle grandi intuizioni politiche mentre Fontana dava respiro ideale e una cornice culturale a

quel progetto politico. Memorabile, al riguardo, l'operazione del "preambolo" al congresso

democristiano del 1980 e la dura e tenace opposizione alla gestione demitiana del partito negli

anni ottanta. Un connubio, quindi, quello tra Donat-Cattin e Fontana, che ha rappresentato una

pagina decisiva nel dare sostanza progettuale e politica alla sinistra sociale, alla Dc e alla cultura

riformista e democratica del nostro paese.

In ultimo, Sandro Fontana ha sempre anteposto il pensiero rispetto all'azione e all'organizzazione.

Ovvero, la politica e' credibile se c'è un pensiero, una cultura politica e un filone ideale definito che

la definisce e la caratterizza. Senza un pensiero e una cultura, la politica si inaridisce e si

trasforma in puro pragmatismo se non in un larvato affarismo. Ma accanto al pensiero e alla

cultura, Sandro Fontana attraverso i suoi indimenticabili corsivi sul "Popolo", di cui era Direttore,

riuscì con intelligenza politica e arguzia culturale a fronteggiare gli avversari e i detrattori storici

della Democrazia Cristiana. Con lo pseudonimo di Bertoldo - il contadino dalle mani grandi e dal

cervello fino - e con il suo inconfondibile e quotidiano graffio culturale, Fontana rivoluziona il

tradizionale atteggiamento della Democrazia Cristiana fatto di timidezza e di sostanziale

subalternità rispetto all'arroganza e alla saccenza intellettuale della sinistra comunista e post

comunista. E, proprio attraverso i corsivi di Bertoldo sul Popolo, cancella quella timidezza e

restituisce orgoglio e autorevolezza all'intera Democrazia Cristiana.

Certo, Fontana soffre, e soffre molto, per la fine della Democrazia Cristiana e per quel progetto

politico che riuscì a far diventare classe dirigente quei ceti popolari cattolici storicamente subalterni

ed emarginati. E anche le sue scelte politiche successive al tramonto della Dc avranno sempre e

comunque al centro la conservazione di quel patrimonio culturale ed ideale che riuscì a fare della

Dc un partito nazionale, riformista, democratico e alternativo tanto alla destra quanto alla sinistra.

Ecco perché, anche e soprattutto oggi, chi pensa e lavora per riscoprire e rilanciare la presenza

politica dei cattolici popolari e democratici, non può non rileggere il magistero politico, culturale ed

intellettuale di Sandro Fontana. E il libro appena pubblicato e' un contributo, appunto, per rileggere

quel magistero.

 

Giorgio Merlo

Torino 22 Dicembre 2018

 

 



DC:  le ragioni della sua fine, i progetti per la sua rinascita.

 

Lo scambio epistolare, tra gli amici prof Gabriele Cantelli e prof Nino Luciani di Bologna, sul tema dell’impegno politico dei cattolici, si inserisce nel più vasto dibattito che si è aperto a livello nazionale.

 

La complessa e articolata realtà dell’area cattolico popolare, così come risultante dalla lunga stagione della diaspora conseguente alla fine politica della Democrazia Cristiana, se, da un lato, ha fatto riemergere il grande fiume carsico del cattolicesimo politico e culturale sempre latente in Italia, dall’altro, sconta le inevitabili  differenti sensibilità, diversità di orientamenti e il permanere di suicide divisioni, molte delle quali risalenti, tra i vecchi DC, dalla divisione storico politica del preambolo-anti preambolo ( sostanzialmente tra i fautori dell’alleanza con i socialisti e coloro che prefiguravano come inevitabile quella con il PCI di Berlinguer) e. dopo la fine politica dello scudo crociato, tra berlusconiani e anti berlusconiani.

 

Sia le prime che queste ultime sono contrapposizioni vecchie e stantie, poiché risalenti a situazioni storico politiche lontane anni luce per le prime, quelle della Prima Repubblica, e del tutto superate le seconde, quelle proprie della seconda Repubblica.

 

Solo inaciditi “pasdaran dell’antiberlusconismo d’antan” possono continuare a spargere infondate contumelie e zizzania contro chi, come noi, con Renato Grassi e la dirigenza della Democrazia Cristiana, definitivamente risorta giuridicamente, persegue un unico obiettivo: ricomporre politicamente la DC e con essa la più  vasta area cattolico popolare e laica riformista ispirata ai valori dell’umanesimo cristiano.

 

Se si scorda la perdurante validità della lezione degasperiana: “ solo se saremo uniti saremo forti, se saremo forti saremo liberi “, si continuerà a svolgere un’azione di stupidità costante, falsa e progressiva, continuando a “fare del male a noi stessi e agli altri”.

 

 

A questi pasdaran del ritorno ai vecchi schemi obsoleti della seconda repubblica rivolgiamo solo un appello: basta con i richiami anacronistici e condividete con noi il primo importante traguardo faticosamente raggiunto, dopo oltre sette anni di dure battaglie svolte, insieme  con Gianni Fontana e con Renato Grassi e tanti altri amici, con l’avvenuto pieno riconoscimento giuridico della continuità della DC.

 

Insieme abbiamo celebrato il  XIX Congresso nazionale, il 14 ottobre scorso, con l’elezione di Renato Grassi alla segreteria del partito e nel successivo Consiglio nazionale (27 Ottobre), quella di Gianni Fontana, alla presidenza dello stesso Consiglio nazionale . Elezioni entrambe unitarie e non divisive e  che vorremmo rimanessero tali.

 

Continuare a mestare su inesistenti divisioni sul piano politico ( leggere le due relazioni al Congresso di Grassi e di Fontana) vuol dire soltanto fare del male a se stessi e agli altri.

 

Assai più interessante mi è parso il dialogo tra Cantelli e Luciani, prima del quale abbiamo assai apprezzato gli interventi di Giorgio Merlo e l’editoriale di Mons Tommaso Stenico sull’organo ufficiale on line del partito: www.democraziacristiana.cloud.

 

Mi riferisco in particolare alle osservazioni critiche del prof Cantelli, al quale vorrei tentare di rispondere per punti, quelli inerenti alla DC vecchia e nuova, rinviando ad altro approfondimento quello sui rapporti tra vescovi italiani e la politica.

 

Quanto al dibattito e alle scelte politiche della DC prima della sua fine politica, rinvio al mio saggio: “ Il caso Forze Nuove”, l’ ultimo libro edito dalla Casa editrice Cinque Lune della DC, nel Marzo 1993, testimonianza in presa diretta di un “osservatore partecipante “ al karakiri del partito che fu l’architrave del sistema politico italiano dal 1948 al 1992.

 

In breve al Prof Cantelli riassumo così le ragioni della fine politica della Democrazia Cristiana così come avevo sintetizzato le  ragioni della fine politica anche se non giuridica della DC (vedi alcuni  alcuni saggi scritti negli scorsi anni : “ L’Italia divisa e il centro che verrà”-Edizioni de La Meridiana, “ Dalla fine della DC alla svolta bipolare” – Mazzanti Editori, “ ALEF: Un futuro da liberi e forti”- Mazzanti Editori) :

 

la DC è finita per aver raggiunto il suo scopo sociale: la fine dei totalitarismi di destra e di sinistra contro cui si era battuto il movimento dei cattolici in un secolo di storia;

 

la DC è finita per il venir meno di molte delle ragioni ideali che ne avevano determinato l’origine, sopraffatta dai particolarismi egoistici di alcuni che, con i loro deteriori comportamenti, hanno coinvolto nel baratro un’intera esperienza politica;

 

la DC è finita per il combinato disposto mediatico giudiziario che l’ha travolta insieme agli altri partiti democratici e di governo della Prima Repubblica;

 

la DC è finita quando sciaguratamente scelse la strada del maggioritario, per l’iniziativa improvvida di Mariotto Segni, auspice De Mita in odio a Craxi e Forlani, abbandonando il tradizionale sistema proporzionale che le garantiva il ruolo centrale dello schieramento politico italiano.

 

E, soprattutto, ed è la cosa più grave e incomprensibile, la DC è finita senza combattere. Con una parte, quella anticomunista, messa alla gogna  giudiziaria, e quella di sinistra demitiana succube e imbelle alla mercé dei ricatti della sinistra giustizialista.

 

E concludevo affermando che “la DC è finita e nessuno sarà più in grado di rifondarla”, consapevole che la nostalgia, nobile sentimento romantico, ma regressivo sul piano politico, culturale ed esistenziale, può rappresentare un fattore servente, forse necessario, ma, certo,  non sufficiente per ricostruire alcunché.

 

Una sentenza a sezioni civile riunite della Cassazione (25999 del 23 dicembre 2010) ha, però,  sancito che la DC non è mai morta. Il de cuius non esiste perché non è defunto e non c’è alcun erede universale o particolare del partito dello scudocrociato. Esso andava chiuso solo dai legittimi detentori di quel potere in un’associazione di fatto: gli iscritti secondo le regole del proprio statuto e quelle inerenti alle associazioni di fatto senza personalità giuridica.

 

Ecco perché abbiamo scelto di riaprire un nuovo capitolo nella storia dei cattolici nella politica italiana, non per ambizione personale, poiché, come diceva Voltaire, siamo ben consapevoli che alla nostra età “ non possiamo che offrire dei buoni consigli, dato che non siamo nemmeno più in grado di dare dei cattivi esempi”, quanto per consegnare alle nuove generazioni il testimone di una storia politica che ha segnato una fase importante della nostra amata Repubblica.

 

Vorrei anche assicurare qualche critico osservatore sempre pronto a formulare giudizi su tutto e su tutti che, accanto alle ragioni suddette, sappiamo bene come alla fine della DC concorsero pure alcune  nostre gravi colpe e inadempienze:

 

·      la mancanza di una vera trasmissione della fede e dei valori nel costruire la città dell'uomo ( scarsa applicazione laica della Dottrina sociale della Chiesa);

·      la mancanza di sostegno forte alla famiglia specie a quelle con più figli;

·      la mancanza di riconoscimento sociale alle casalinghe;

·      la mancanza di formazione dei giovani nella fede religiosa, nella passione e fede politica;

·      la quiescenza nei confronti della criminalità' organizzata;

·      la tiepida lotta alla corruzione dei politici e dei burocrati, nella quale concorsero, ahimè, anche molti amici del nostro partito;

·      la tiepida lotta all'evasione fiscale;

·      la scarsa cultura per la responsabilità, per la meritocrazia e le difficoltà nel ricambio del ceto politico;

·      l’ eccesso di sprechi per creazione di enti inutili;

·      il cumulo esagerato nel cumulo di incarichi  pubblichi ;

·      la poca attenzione a sostenere programmi per la ricerca e l'innovazione, ma solo finanziamenti a pioggia per progetti  talora fasulli e opere mai completate;

·      i pochi o nessun investimento su risorse della PA da mandare all'UE;

·      lo scarso utilizzo dei fondi europei senza follow up sui finanziamenti ottenuti dai progetti italiani;

·      gli enormi investimenti senza controllo nella Cassa del Mezzogiorno;

·      l’ eccesso di appiattimento nell’ accettare e condividere le richieste dei comunisti con gravi oneri per le finanze pubbliche, come anche il prof Cantelli evidenzia.

 

Insomma abbiamo consapevolezza delle nostre colpe, dei nostri errori e  dei nostri limiti e, non a caso, dopo quell’esperienza è  arrivata la diaspora e la frantumazione dei democratici cristiani nelle piccole formazioni a diverso titolo ispirate alla Democrazia Cristiana.

 

E dopo cosa è avvenuto al tempo del nuovismo trionfante e della seconda repubblica? E, soprattutto, che fine hanno fatto quelli che sulle ceneri della prima Repubblica hanno cercato di porsi come gli “homines novis” della scena politica italiana?

 

Ancor più grave quanto è accaduto dopo il voto del 4 Marzo 2018 e la nascita del governo espressione del peggior trasformismo politico della storia italiana. Lo strano connubio giallo verde tra pulsioni sovraniste e conati nazionalistici, con sfumature nostalgiche che ritenevamo definitivamente defunte.

 

La realtà è tutta davanti a noi con “il governo degli improvvisati e  incompetenti” , espressione del malcontento e del disagio presente nel Paese e del fallimento dei partiti di maggioranza e di opposizione, tutti alla ricerca di nuovi assetti e di nuove formule, mentre impazza la popolarità dei guitti, dei comici e dei masanielli del mercato napoletano o genovese.

 

Una sentenza della Cassazione inappellabile ha sancito che la DC non è mai morta, almeno dal punto di vista giuridico. E’ nostro preciso dovere e impegno ridare agli iscritti, unici legittimi depositari della volontà del partito, il compito di decidere del loro destino. E questo è ciò che abbiamo fatto dal 2011 in poi, sino all’atto finalmente conclusivo compiuto con la legittima celebrazione del XIX Congresso nazionale, autorizzato dal tribunale di Roma, il 14 Ottobre 2018, con l’elezione di Renato Grassi alla segreteria del partito.

 

In una fase nuova e diversa di quella che i nostri padri seppero affrontare concorrendo alla formazione del patto costituzionale del 1948, ad una società che sta vivendo una delle crisi più gravi  e globali mai conosciute prima, riteniamo opportuno riproporre i principi e i valori della dottrina sociale cristiana declinati dalla “Caritas in veritate”, “ Evengelii Gaudium” e “ Laudato Si”, e concorrere con tutti gli uomini di buona volontà alla costruzione di un nuovo patto all’altezza della situazione attuale italiana e internazionale che reclama una forte discontinuità politica e istituzionale.

 

Lo faremo insieme agli amici dell’Internazionale democristiana, di cui la DC fu ed è socio fondatore, e del PPE, ponendoci innanzi tutto l’obiettivo di ricostruire l’unità fra tutti i democratici cristiani italiani disponibili a compiere insieme a tutti noi questa difficile, ma entusiasmante avventura, al fine di consegnare il testimone ad una nuova generazione di politici,  non per l’anacronistica nostalgia di un passato, ma per ritrovare  insieme le ragioni di  una nuova speranza.

 

Il nostro impegno sarà quello di  tornare ai fondamentali del pensiero sociale cristiano nell’età della globalizzazione: dalla Rerum Novarum, Quadragesimo Anno, Mater et  Magistra, Populorum Progrexio, Octogesima adveniens,  Caritas in veritate, Evangeli Gaudium, Laudato Si.

 

Mediteremo  il compendio della dottrina sociale della Chiesa e riscopriremo il ruolo dei grandi della Democrazia Cristiana: De Gasperi,  Gonella ( idee ricostruttive della DC  e il suo discorso al 1° Congresso della DC sulle “Libertà che vogliamo”) e Mattei, Vanoni, Fanfani, La Pira, Saraceno, Moro. E’ sulle spalle di quei giganti che possiamo procedere con passo sicuro.

 

Si apre lo spazio per una rinnovata Democrazia Cristiana, un partito aperto di cattolici e laici che intendono costruire la sezione italiana del PPE da riportare ai valori dei padri fondatori: De Gasperi, Adenauer, Monet  e Schuman. Da partito strutturato a movimento della e nella società aperto alla più ampia partecipazione democratica.

 

Discuteremo con la nostra gente su quale modello di partito-movimento organizzare la DC italiana, dopo il XIX congresso del 14 ottobre 2018,  in questa  fase storica, consapevoli di doverne  aprire una nuova, nella quale consegneremo il testimone politico a una nuova generazione di democratici cristiani.

 

Certo Prof Cantelli  noi non siamo la DC di De Gasperi, Fanfani e Moro, e saremmo  degli idioti anche solo a pensarlo. Siamo però, giuridicamente, i legittimi eredi di quella storia e di quella cultura politica e lo siamo tutti  insieme: Grassi, Fontana, il sottoscritto e tutti coloro che da “ DC non pentiti” e già soci DC nel 1992-93 si sono battuti nella lunga stagione della diaspora per superare le suicide divisioni che, ahimè, non sembrano ancora scomparse del tutto.

 

Deve essere chiaro, poi, che non abbiamo lo sguardo rivolto al passato e non prevale in noi il sentimento regressivo della nostalgia. Abbiamo lucida coscienza della condizione in cui vive l’uomo oggi nella società occidentale, nella quale assistiamo a una concezione prevalente di relativismo in cui i desideri individuali si vogliono trasformare in diritti, contro ogni evidenza antropologica e concezione giusnaturalistica.

 

A livello esistenziale e socio culturale prevale una condizione di anomia: assenza di norme e regole, discrepanza tra mezzi e fini, venir meno dei gruppi sociali intermedi. Di qui, una condizione di frustrazione prevalente con possibili sbocchi nella regressione solipsistica o nell’aggressività individuale e collettiva latenti. Anomia anche a livello internazionale: visione cinese, visione islamica, visione occidentale e visione russa: quali compatibilità e secondo quali regole?

 

A livello più generale economico trionfa il “turbocapitalismo” con la finanza che detta i fini e la politica che segue quale intendente di complemento, con un rovesciamento generale di funzioni e di prospettive. E’ il superamento del NOMA ( Non Overlapping Magisteria) che stabiliva la non sovrapposizione tra etica, politica ed economia.

 

Se prima era la politica a indicare gli obiettivi e l’economia e la finanza a proporre le soluzioni tecniche per raggiungerli, oggi è il finanz-capitalismo che asserve la politica e la rende subordinata. L’efficienza come fine esclusivo si riduce alla massimizzazione del profitto indipendentemente da ogni altro valore sociale e individuale.

 

Il bene comune non è più il fine della politica, subordinata ad altri valori dominanti che pretendono una quota rilevante del cosiddetto “scarto sociale” (tra il 20 e il 30% della popolazione)

 

È in questa situazione di valori rovesciati e/o di disvalori che è riesploso a livello internazionale il grave scontro tra il fanatismo jihadista del movimento fondamentalista islamico e le altre culture religiose monoteiste, ebraismo e cristianesimo, che ha sostituito quello del XIX e XX secolo tra capitale e lavoro, tra capitalismo e marxismo. Quest’ultimo, anche là dove ancora sopravvive, si è trasformato in un ibrido capitalismo comunista e a livello mondiale assistiamo al confronto/scontro tra democrazie di stampo liberale e democrazie autoritarie (Cina, Russia, Singapore, Turchia, Cuba e in molte regione ex URSS divenute indipendenti).

 

È la stessa concezione sociale difesa dalla dottrina sociale ad essere sotto attacco. In tal senso non possiamo non denunciare come l’attuale Governo stia mettendo in disparte le comunità intermedie. Di qui al sostanziale disconoscimento anche del valore del lavoro, il passo è breve. Per taluni, come il M5S, basta l’assistenzialismo di Stato, come nella peggiore espressione di un certo meridionalismo che anche alcuni nostri amici seppero praticare un tempo con estrema ed efficace disinvoltura.

 

Il nostro sguardo è allora fisso in avanti, supportati dalla lettura critica più avanzata di questi fenomeni da parte, ancora una volta, della dottrina sociale della Chiesa: Centesimus Annus  di Papa Giovanni Paolo II, Caritas in veritate  di Papa Benedetto XVI, Evangelii Gaudium  e Laudato Si di Papa Francesco, che sono le stelle polari che ci inducono ad assumere una nuova responsabilità, come cattolici e laici cristianamente ispirati.

 

Di qui il nostro tentativo di tradurre nella città dell’uomo quegli orientamenti pastorali. Nella situazione concreta italiana, sentiamo come prioritario il dovere di concorrere a ricomporre, dopo la lunga stagione della diaspora, l’area di ispirazione popolare per offrire al Paese una nuova speranza. E lo vogliamo fare non da cattolici impegnati in politica, ma da cattolici e laici impegnati per una politica di ispirazione cristiana.

 

Quanto alla legittima richiesta del prof Cantelli sulle proposte di programma della DC, vorrei ricordare che dal seminario presso il convento di Sant’Anselmo a Roma (gennaio 2013) ad oggi (vedi atti di Camaldoli-Giugno 2017) sono molti i documenti di programma redatti dalla DC italiana.

 

Potremmo riassumere in questo “decalogo programmatico” le nostre proposte, intese come i proponimenti politici dei democratici cristiani per il XXI secolo:

 

1-    La DC coerente con il suo passato di responsabilità nazionale, assume come obiettivo la costruzione dell’Unità politica dell’Europa da riformare rispetto all’ircocervo tecno burocratico attuale, la difesa dello Stato di diritto, la tutela della persona umana.

2-    La DC mette al centro del suo impegno politico e di promozione della cultura civile la PERSONA, perché possa vivere ed operare con tutta la sua dignità e libertà secondo il dettato della Costituzione Italiana.

3-    La DC si assume pubblicamente il compito di aprire la strada alla trasparenza gestionale e contabile della sua organizzazione, per dar vita ad una nuova stagione della politica, improntata ad un UMANESIMO SOCIALE che valorizzi la persona umana senza distinzioni di razza o diversità sociale.

4-    La DC, consapevole delle difficoltà che il mondo globalizzato di oggi pone all’individuo per esistere ed operare, s’impegna a ricostruire con le opere di previdenza una più sostanziale solidarietà sociale, attraverso la “cooperazione di comunità”, che garantisca ad ogni nucleo familiare un lavoro adeguato alle esigenze della dignità civile.

5-    La DC, presente nella società d’oggi, offre la possibilità di stare nel partito alla pari anche ai simpatizzanti che dichiarino interesse al programma; iscrivendosi nella lista degli elettori, con la possibilità di presentare progetti e proteste d’interesse generale.

6-    La DC ha come obiettivo fondamentale del programma una decisiva modificazione del meccanismo di localizzazione delle attività produttive del Paese, privilegiando l’intervento straordinario a favore del Mezzogiorno e delle Isole.

7-    La DC, come nel passato con l’intervento pubblico dovrà incoraggiare l’installazione di medie e grandi imprese industriali, anche straniere, attraverso agevolazioni fiscali, procedure burocratiche dinamiche e la messa a disposizione dei distretti industriali attrezzati per stimolare gli investimenti privati con un alto grado di efficienza tecnologica e notevoli possibilità di creare nuovi posti di lavoro.

8-    La DC oltre a ritenere inderogabile il dimezzamento del numero dei parlamentari, ritiene urgente il riordinamento legislativo, amministrativo e organizzativo dello Stato e delle Regioni a statuto speciale, oltre, s’intende, al cambiamento del ruolo e delle funzioni del Senato della Repubblica.

9-    La DC è consapevole che non esistono miracoli in economia, ma soltanto la possibilità di raggiungere obiettivi concreti attraverso scelte responsabili, e con il coinvolgimento di tutti gli imprenditori appartenenti ed operanti nei settori di attività (industriale, artigianale, commerciale agricolo, della cooperazione e delle libere professioni).

 

La DC, partito di elettori moderati, non può e non vuole rappresentare interessi di nessun genere in particolare, ma valori. Difendere valori significa operare per una cultura di libero mercato all’insegna della civiltà del lavoro. Essenziale sarà operare per garantire, come sempre ha fatto la DC storica, la mediazione di interessi e valori del terzo stato produttivo e dei ceti popolari diversamente tutelati.

 

 

Alla vigilia delle prossime elezioni europee, proprio la DC guidata da Grassi si è fatta promotrice di incontri con amici appartenenti a diverse espressioni della multiforme realtà politica, sociale e culturale dell’area cattolica  e  Mercoledì 12 Dicembre 2019 è stato siglato a Roma il patto programmatico costituente che così recita:

SI ALL’EUROPA,

 DA RICONDURRE AGLI IDEALI DEI PADRI FONDATORI  DEMOCRATICO CRISTIANI

 

Le elezioni europee del maggio 2019 rivestono un’importanza decisiva per il nostro futuro. All’Europa, infatti, sono legate speranze e preoccupazioni: speranze per un progetto che ha garantito oltre 70 anni di pace e di sviluppo; preoccupazioni per un’unità incompiuta e burocratizzata, dimentica delle sue radici giudaico cristiane

Alle prossime elezioni si fronteggeranno due gruppi contrapposti: il fronte filo-europeo e quello nazional-populista. Nessuno di questi due schieramenti, fino ad ora, ha un programma definito. Quel che è certo, ed è tra loro l’unico elemento comune, è che occorre modificare l’Unione europea dopo settant’anni di storia.

La miscela di populismo e nazionalismo ha saputo raccogliere il malcontento generato da errate politiche a livello europeo e nazionale, Se lo sbocco finale delle tensioni nazional-populiste di alcuni Stati europei prevalesse, l’Unione non morirebbe, ma languirebbe per anni in una specie di limbo politico, alla ricerca del bene perduto. Se, per converso, “finalmente   tornassero sovrani”, questi Stati dovrebbero affrontare lo scenario geo-politico globale dominato dagli USA, Cina  e Russia, non sarebbero da soli degli interlocutori, ma ombre, in un contesto minaccioso di grandi potenze.

Al contrario noi intendiamo rafforzare l’integrazione, supplendo alle carenze attuali e procedendo sulla strada, difficile ma logica, degli Stati Uniti d’Europa. Non meno Europa, ma più Europa ricondotta agli ideali dei padri fondatori

Come cristiani l’ideale europeo lo sentiamo totalmente consono alla nostra natura e alla nostra storia e non vogliamo rinunciarvi soprattutto per le opportunità di crescita, benessere e libertà che ha promosso e dovrà promuovere: diciamo sì all’Europa, nella consapevolezza che si deve continuare a farla e farla meglio.

La storia recente dell’integrazione europea è iniziata con i padri fondatori, De Gasperi, Adenauer, Monet e Schuman, basata su un’idea popolare e condivisa di unità culturale e politica, da cui far discendere gli aspetti economici e organizzativi; questo modello voleva soprattutto  armonizzare la politica estera e di difesa, far crescere la solidarietà e l’integrazione tra le nazioni e le persone con un sistema libero di mercati ed economie differenziate. Comprendiamo  che l’idea dell’Europa dei popoli ha bisogno dei tempi della stratificazione della cultura in tale direzione, ma nel percorso fatto sarebbe opportuno evidenziare che la diversità linguistica, consuetudinaria, delle singole e diverse vicende storiche, non vanificano i fondamenti culturali romani e cristiani, che da San Benedetto in poi si sono diffusi in tutta Europa, creando la cultura europea (e quindi la Nazione Europea), che è diventata cultura occidentale e ha dato origine alle “Carte dei Diritti” universalmente accettati del mondo attuale. La risoluzione del G 20 con la quale si dichiara la disponibilità a regolamentare meglio il WTO è la risposta che riconosce che il mercato mondiale non è autoregolabile, ma ha bisogno di regole condivise per evitare le crisi economiche,  sociali e umanitarie che tutti conosciamo.

La spaccatura fra élites divenute tecnocratiche e il sentimento popolare – insieme al processo di adesione di molti Stati – hanno acuito lo scetticismo verso Bruxelles, perché non è stata in grado di affrontare la crisi mondiale e hanno alimentato i movimenti anti-europeisti che chiedono il ritorno alle “identità nazionali”. Più di recente la Brexit ha ulteriormente complicato il quadro. La crisi economica del 2008, il deficit demografico, con la prevista conseguente insostenibilità dell’attuale sistema di welfare, stanno peggiorando la situazione; ma è soprattutto la pressione migratoria (prima sottovalutata e poi non adeguatamente affrontata da alcuni fra i maggiori Stati europei e dalla stessa Unione) a provocare una profonda sfiducia verso l’Europa. La crisi migratoria di dimensioni mondiali (oltre all’Europa vedi gli USA e l’Australia come esempio) è stata causata dal modello di sviluppo mondiale imposto dal pensiero ultra-liberista finanziario mondiale, che ha abbandonato il progetto globale di sostegno ai PVS – l’Unione Europea ha abbandonato i Programmi Meda decisi nel processo di Barcellona – per affermare il principio “ogni cittadino deve essere fautore del proprio benessere”,  a prescindere dalle condizioni di partenza; tale principio, che trova l’esempio nella opposizione di Trump alla Obama-care, si traduce anche in Europa che il welfare state si trasforma in welfare society e in welfare community..

Ha finito col prevalere così il ruolo dei poteri finanziari controllori del sistema bancario europeo e delle principali banche centrali nazionali riducendo con la sovranità monetaria la stessa sovranità popolare e, quindi, il fondamento primario della democrazia. Di qui il nostro impegno per tornare alla pubblicizzazione delle banche centrali europea e nazionali e alla separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria.

Da un punto di vista politico l’alleanza strategica fra popolari e socialisti è oggi in crisi perché il modello socialista, a cui troppo spesso anche i popolari hanno ceduto, ha dimostrato di deprimere la libertà economica e sociale delle persone e dei gruppi, mortificando talvolta anche le specifiche eredità e tradizioni popolari in nome di un’artificiosa omogeneità culturale. Hanno così preso piede forze conservatrici, più che identitarie, le quali raccolgono il diffuso malcontento dei cittadini, cadendo però in nazionalismi. Vista l’interconnessione degli Stati europei, in particolare l’Italia, da sola, non riuscirebbe a sostenere la competizione globale e si metterebbe fortemente a rischio il suo raggiunto livello di benessere.

Noi continuiamo a guardare con speranza all’Europa, confidando che la sua radice fatta di democrazia, promozione della pace, dello sviluppo e della solidarietà possa essere recuperata e che l’Europa unita possa così rispondere alle giuste esigenze di libertà, identità e sicurezza sociale.

Siamo per un PPE attento alle nuove esigenze di riforma a favore del rispetto delle culture nazionali e popolari e per un’economia civile e sociale di mercato, capace di equilibrare il liberismo e la finanza senza regole; siamo lontani, invece, da proposte che mettono paradossalmente insieme collettivismo ed estremismo identitario, egualitario e  giustizialista.

Alle forze politiche in vista delle elezioni europee chiediamo di promuovere: - una concezione della cosa pubblica sussidiaria, capace di valorizzare il protagonismo della persona e il suo potenziamento attraverso le associazioni e gli altri corpi intermedi; - un’attenzione alla famiglia come fondamentale fattore di stabilità personale e sociale; - una politica che metta al centro il lavoro e il suo significato, con investimenti speciali per i giovani  ; una libertà di educare a partire dalle convinzioni e dai valori che sono consegnati da una ricchissima tradizione popolare; - il rispetto dell’identità anche religiosa dei popoli, certi che questa è in grado di accogliere ed ospitare, con equilibrio e realismo; - una ripresa del ruolo centrale dell’Europa nel mondo, attraverso una politica estera  e di difesa comune; il rafforzamento delle competenze  del Parlamento europeo.

Intendiamo por fine alla condizione di irrilevanza cui sono ridotti i cattolici e i popolari italiani, dopo la lunga stagione della diaspora e siamo convinti che questa sia una delle ultime, se non l’ultima occasione, per riproporre l’unità di cattolici e popolari sotto la stessa bandiera..

Primo passo essenziale è l’impegno a ricomporre l’unità di tutti i democratici cristiani italiani aperti alla collaborazione con altre componenti politico culturali che condividono i principi dell’umanesimo cristiano, alternativi alle chiusure di quanti, guidati da logiche sovraniste e nazionaliste, intendono distruggere quanto di positivo ha rappresentato e ancora potrà rappresentare l’Unione europea riformata sui valori dei padri fondatori.

Insieme condividiamo il documento politico approvato dal PPE nel recente congresso di Helsinki : per un’Europa sicura che coopera con l’Africa con un forte “Piano Marshall”, un’Europa per tutti: prospera e giusta; un’Europa sostenibile; un’Europa che difenda i nostri valori e i nostri interessi nel mondo. Consapevoli dei gravi rischi che l’umanità e il pianeta stanno correndo sul piano ambientale e della stessa sopravvivenza delle specie viventi, siamo impegnati a tradurre nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali della Chiesa indicati da Papa Francesco nell’enciclica “Laudato si”

 Sulla base di tale condivisone siamo disponibili a concorrere insieme con quanti si riconoscono nello stesso documento alle prossime elezioni europee del 23-26 Maggio 2019.

Facciamo appello a tutte le associazioni, movimenti, gruppi dell’area cattolica e popolare, alle donne e agli uomini amanti della libertà e ispirati dai valori dei “ Liberi e Forti” affinché contribuiscano a sostenere una nuova classe dirigente sotto le insegne del Partito Popolare Europeo.

Trattasi di un documento aperto all’adesione di quanti si riconoscono nei valori del popolarismo italiano ed europeo senza lo sguardo rivolto all’indietro, ma desiderosi di concorrere alla ricostruzione dell’Unione europea secondo i principi dei padri fondatori.

Il 18 Gennaio 2019, nel centenario dell’”appello ai Liberi e Forti” di don Luigi Sturzo e a venticinque anni esatti della fine politica della DC ( Consiglio nazionale della DC, 18 Gennaio 1993) celebreremo tuti INSIEME quella data e da lì partirà ufficialmente la campagna dei Popolari italiani uniti sotto la stessa insegna e sulla base del patto programmatico sottoscritto.

 

Ettore Bonalberti

Vice Segretario della DC

Venezia, 13 Dicembre 2018

 

 



Cattolici, é il momento della scelta.

 

La forte e qualificata insistenza affinché i cattolici democratici e popolari escano dal letargo e intraprendano, oggi, una rinnovata presenza politica non può più essere elemento di delusione o di rinvio. O meglio, la necessità di avere uno strumento politico e organizzativo capace di raccogliere la sfida che proviene da settori consistenti dell'area cattolica italiana - pur sempre articolata e molto plurale al suo interno - si fa sempre più stringente. Del resto, la fine dei partiti plurali – nello specifico il lento tramonto del Partito democratico da un lato e il progressivo esaurimento di Forza Italia dall'altro - e il ritorno delle identità sono la premessa per una svolta politica ormai necessaria.

 

Certo, le riflessioni avanzate in queste ultime settimane da autorevoli esponenti della Chiesa italiana - a cominciare dal Presidente della Cei, cardinal Bassetti - e da molti dirigenti dell'associazionismo cattolico di base vanno nell'unica direzione di ridare voce, sostanza e prospettiva ad un impegno politico dei cattolici. Ovviamente un impegno laico, profondamente democratico, squisitamente riformista ma, soprattutto, ancorato ad una cultura che affonda le sue radici nella storia e nell'esperienza del cattolicesimo politico italiano. Ecco perché, allora, e' quanto mai urgente richiamare almeno 3 nodi che andranno definitivamente sciolti nelle prossime settimane.

 

Innanzitutto va perseguito un disegno che definisca una presenza il più possibile unitaria dei cattolici sensibili all'impegno politico nella stagione contemporanea. Nessuna rivendicazione anacronistica e fuori luogo, come ovvio, dell'unità politica dei cattolici ma una precisa assunzione di responsabilità di fronte all'emergenza politica e democratica che vive il nostro paese. Sotto questo aspetto, e' indispensabile superare i comprensibili personalismi e la tentazione, vecchia come il mondo nell'area cattolica italiana, di ridurre la molteplicità e la ricchezza delle pluralità delle voci presenti nella società alla propria esperienza personale o di gruppo. L’autoreferenzialità da un lato e il vizio di porre la propria esperienza come l'unica in grado di ricomporre il tutto dall'altro,

sono e restano alla base dell'impotenza e della irrilevanza del cattolicesimo popolare e sociale nell'attuale fase storica.

 

In secondo luogo va preso atto che una cultura politica, un pensiero politico e una tradizione culturale ed ideale hanno un valore, ed un senso, nella misura in cui sanno fermentare e lievitare la società in cui quella cultura, quel pensiero e quella tradizione operano e aggregano. Sarebbe curioso arrivare alla conclusione che c'è un grande fermento nell'area cattolica italiana per un rinnovato impegno politico, che ci sono energie fresche per inverare quell'impegno, che c'è una cultura attuale e moderna capace di portare un contributo significativo per affrontare e cercare di risolvere i problemi della nostra societa', che esiste una classe dirigente di qualità a livello periferico e centrale in grado di uscire dall'isolamento dopo anni di letargo e di impegno nelle retrovie e poi, all'ultimo, abdicare o ritirarsi perché non sufficientemente organizzati. Se così fosse, non potremmo non prendere atto del monito presente nell'Octogesima Adveniens che parlava di un "peccato di omissione " per denunciare l'assenza dei cattolici dall'agone politico.

 

In ultimo, ma non per ordine di importanza, occorre prendere atto che la politica e' fatta di appuntamenti. Elettorali e non. E la prossima scadenza elettorale per il rinnovo del Parlamento Europeo, soprattutto in questa contingente fase storica, non può registrare l'assenza in Italia di una presenza politica popolare, riformista, democratica e cristianamente ispirata. E questo non solo per il sistema elettorale proporzionale che esalta la personalità delle singole forze politiche e la valenza del conseguente progetto politico, ma anche perché il contributo per una Europa comunitaria, democratica, federale e unita non può prescindere dall'apporto della cultura democratico cristiana e cattolico popolare e sociale. Non esserci equivarrebbe ad un atto di colpevole diserzione.

 

Ecco perché, ormai, siamo arrivati ad un bivio: o matura in modo serio, corretto e coraggioso unaprecisa assunzione di responsabilità politica in vista anche e non solo dei prossimi appuntamenti elettorali oppure si ritorna tristemente e passivamente nelle retrovie in attesa di nuovi e, ad oggi, imprevedibili avvenimenti.

 

Giorgio Merlo

Torino, 11 Dicembre 2018


Chi sono i moderati e chi li rappresenta?

 

In un recente articolo, Alberto Leoni si chiedeva: I moderati in Italia esistono ancora? E chi li rappresenta se esistono?

 

Lo stesso autore parlando di questa categoria speciale che, a suo dire, sembrerebbe “scomparsa dalla scena sociale italiana”, ne dava questa rappresentazione: “Certamente i moderati sono quelli che non urlano, che amano le buone maniere; sono ovviamente anche quelli che hanno qualcosa da perdere: una occupazione, una professione, una casa in proprietà, un po' di risparmi, un tenore di vita considerato nella media del nostro contesto culturale. Non sono certo ricchi ma hanno una dignitosa qualità di vita. E vogliono la coesione sociale, hanno piacere se imprenditori e lavoratori collaborano, se nascono sostegni alla povertà, se si pensa ai giovani; pagano le tasse, magari senza salti di gioia, ma non si sognano di fare la fatica di portare all'estero i loro soldi. Alla fine, pur inveendo contro uno Stato vessatore, sono consapevoli che ospedali, scuole, ordine pubblico, assistenza ai bisognosi hanno bisogno dei soldi della tassazione. “

 

Quello di “moderati” é un concetto un po’ troppo generico, se riferito a una variegata e complessa classe sociale che, nella mia teoria euristica dei “quattro stati,” ( la casta, i diversamente tutelati, il terzo stato produttivo, il quarto non stato)  ho tentato di collocare  tra quella del “terzo stato produttivo” : piccoli e medi imprenditori, agricoltori,  commercianti, artigiani, professionisti  e quella dei “diversamente tutelati”: molta parte dei dipendenti pubblici e dei pensionati ex appartenenti al settore pubblico e a quello produttivo di cui sopra.

 

Non v’è dubbio che, nel tempo della disintermediazione iniziato con la spettacolarizzazione della vicenda politica italiana, con l’avvio della cosiddetta seconda repubblica, sino al governo Renzi e successivi, con l’affermarsi di partiti sempre più dal carattere leaderistico e la progressiva sotto stima sino all’irrilevanza dei corpi intermedi, quelli che Leoni connota come “i moderati”, persi gli strumenti di mediazione delle loro organizzazioni sociali, o quanto meno privati della loro capacità efficiente ed efficace di mediazione, si ritrovino orfani anche dei riferimenti politici.

 

Quei riferimenti politici, che nella “Prima Repubblica” erano garantiti da un partito interclassista come la DC e, per certi versi, anche dal PCI con le loro organizzazioni sociali di riferimento, insieme agli altri partiti  delle antiche culture politiche laiche, liberali e riformiste italiane, non esistono più, spazzati via dai loro errori, dalle inchieste di “mani pulite” e dal tam tam mediatico che da quella distruzione ci hanno portato all’attuale deserto delle culture politiche in Italia.

 

Un deserto nel quale, la frustrazione e la rabbia dei quattro stati, ha generato, da un lato, la disaffezione, sino alla renitenza al voto della metà del corpo elettorale e per l’altra metà, all’affermazione della cultura sovranista e nazionalista personificate dal M5S e dalla Lega.

 

Il terzo stato produttivo, in larga parte del quale si collocano i cosiddetti “moderati”, in realtà tra le categorie più arrabbiate e desiderose di serie riforme politico istituzionali, dopo la sbornia liberale annunciata e mai realizzata dal Cavaliere e la sintonia, specie per quelli del Nord, con la Lega di Bossi, attualmente o si ritrovano tra gli orfani dei renitenti al voto, o tra coloro che, dopo il voto a Salvini, stanno mugugnando contro le scelte del governo giallo verde, espressione del peggior  trasformismo politico della storia italiana.

 

Ed è proprio partendo da questa realistica valutazione della situazione politica italiana ed europea, che abbiamo deciso di continuare la nostra lunga e mai sospesa battaglia per la ricomposizione politica dell’ area cattolico popolare.

 

Riteniamo, infatti, che in questa fase di dominio del turbo capitalismo finanziario a livello internazionale, europeo e italiano, ci sia assoluta necessità di una cultura politica ispirata ai valori dell’umanesimo cristiano. In alternativa al dominio del potere degli hedge funds anglo caucasici-kazari, padroni della city of London, con residenza fiscale nello stato USA del Delaware a tassazione zero, controllori di tutte le più importanti banche centrali, compresa la BCE, e, di fatto, della stessa vita democratica di molti Paesi nel mondo, sia indispensabile riproporre politiche ispirate ai principi della dottrina sociale della Chiesa; quelli della sussidiarietà e della solidarietà e politiche economiche proprie dell’economia civile e sociale di mercato.

 

Nasce da questa consapevolezza e non da regressivi sentimenti nostalgici il nostro impegno per la ricomposizione dell’area democratico  cristiana, a partire dal rilancio politico della DC storica, “ partito mai giuridicamente sciolto”, oggi guidato da Renato Grassi, impegnati a rimettere insieme tutte le diverse frazioni DC figlie della diaspora sucida iniziata nel 1992-93, per concorrere, sin dalle prossime elezioni europee, a costruire un “patto programmatico federativo” con altre realtà culturali ispirate anch’esse dai valori dell’umanesimo cristiano e che si ritrovano unite nel Partito Popolare Europeo.

 

In alternativa ai sovranisti e ai nazionalisti, noi ci batteremo per il rilancio di un’Europa federale  dei popoli e delle nazioni, secondo i principi ispiratori dei padri DC fondatori: Adenauer, De Gasperi, Monet e Schuman, sui quali lo stesso PPE dovrà essere riallineato.

 

E all’amico Alberto Leoni vorrei dire: spes contra spem, noi intendiamo batterci per ridare una speranza ai ceti medi produttivi e alle classi popolari del nostro Paese  e dell’Europa, in continuità con la migliore tradizione della Democrazia Cristiana.

 

Ettore Bonalberti

V. segretario nazionale della DC- dirigente ufficio esteri

Venezia, 29 Novembre 2018

 


TORNA LA MEDIAZIONE



Dunque, anche i giallo/verdi scoprono la mediazione. Cioè quella "cultura della mediazione"
che è stata la cifra distintiva dei cattolici democratici impegnati in politica. Quella mediazione
che ha permesso alla politica italiana, dal secondo dopoguerra in poi, di salvaguardare il
pluralismo, di rafforzare ed estendere la democrazia, di valorizzare le autonomie locali e,
soprattutto, di comporre gli interessi contrapposti.
Insomma, con la "cultura della mediazione" la politica italiana ha evitato derive autoritarie e
sbandate peroniste. E questo grazie, in modo prevalente se non esclusivo, alla cultura del
cattolicesimo politico e ai suoi migliori interpreti che si sono succeduti nelle diverse fasi
storiche. Certo, poi la politica italiana e' cambiata profondamente e la radicalizzazione ha
preso il sopravvento con un carico demagogico, propagandistico e qualunquista che ha
travolto quel modo di fare e di essere in politica che per svariati decenni ha permesso all'Italia
di poter essere fedele ai principi costituzionali.
Ora, anche l'attuale governo - e nello specifico la Lega e i 5 stelle - riscopre la mediazione
attorno ad un provvedimento centrale per un paese: la tradizionale legge finanziaria. Dopo un
muro contro muro con l'Europa fatto per rivendicare le proprie buone ragioni, e anche per
cercare di restare fedeli ai rispettivi elettorati, si è arrivati alla conclusione che occorre
"mediare" per evitare una sostanziale delegittimazione con pesantissime ricadute di natura
economica e finanziaria.
Certo, un metodo che può scontentare pezzi di elettorato dei rispettivi partiti ma che, lo
dobbiamo pur riconoscere, introduce nell'attuale dialettica politica quel minimo di cultura di
governo che resta indispensabile e necessaria per qualunque forza politica che si candida a
guidare pro tempore gli italiani.
E' altrettanto indubbio che cultura delle mediazione, cultura di governo e senso delle
istituzioni non possono essere a lungo declinate da forze e movimenti che sono in parte
estranei a quel bagaglio culturale e politico.
Ed è questo il motivo decisivo per far tornare protagonista nello scenario politico italiano
quella cultura cattolico democratico, popolare e sociale che resta l'unica vera novità capace di
qualificare e rafforzare il tessuto democratico del nostro paese e dare forza e qualità a
quell'afflato riformista altrettanto necessario ed indispensabile. Perché, come sempre capita,
e' meglio l'originale della copia. Anche e soprattutto quando si parla di "cultura di governo" e
"cultura della mediazione".


Giorgio Merlo
27.11.2018

Pd, ritorna il Pds. Dov'è la novità?

 

Francamente trovo un po' stucchevole la polemica attorno alle tre candidature a segretario

nazionale anche arrivano dalla filiera Pci/Pds/Ds. La trovo stucchevole soprattutto dopo l'esito del voto del 4 marzo. Insomma, il 4 marzo, tra le molte altre cose, ha detto in modo chiaro che l'esperienza del cosiddetto "partito plurale" a "vocazione maggioritaria" e' politicamente archiviata.

 

Il 4 marzo, oltre ad aver registrato una sconfitta storica ed epocale per quel partito nato appena 10 anni prima, ha segnato anche l'inesorabile ritorno delle identità politiche. Identità che saranno necessariamente aggiornate e riviste rispetto al passato ma sempre di identità si tratta. A cominciare da quella cattolico popolare e cattolico democratica che in questi ultimi anni si è pericolosamente eclissata al punto di diventare, di fatto, irrilevante e del tutto marginale nella vita politica italiana. È nata una nuova destra che ha sostituito ed azzerato definitivamente il vecchio e tradizionale centro destra. Resta per il momento, anche se un po' fiaccata, una identità antisistema e demagogica interpretata dal movimento dei 5 stelle.

 

All'interno di questo contesto, e' del tutto naturale, nonché scontato, che anche la sinistra si

riorganizzi. Ritornando, seppur in forma aggiornata, al tradizionale partito della sinistra italiana. Una sinistra che in questi anni e' stata devastata e quasi distrutta dalle politiche del renzismo – con il plauso conveniente e di comodo di moltissimi esponenti della filiera Pci/Pds/ Ds - e che adesso, com'è ovvio, deve essere radicalmente ricostruita. Dalle fondamenta. E qui arriviamo al punto decisivo e qualificante. E cioè, come ci si può stupire se 3 esponenti che arrivano dalla storia politica e culturale del Pci/Pds/Ds si candidano alla guida di un partito che punta a ricostruire la sinistra dalle fondamenta? Come ci si può stupire se, dopo il voto del 4 marzo e la fine del partito plurale e a vocazione maggioritaria, si punta direttamente a ridefinire e ad affinare il pensiero e la cultura della sinistra italiana? Ma chi dovrebbe guidare un partito che ha quella "mission" specifica ed esclusiva se non chi arriva direttamente da quella tradizione?

 

Ecco perché le polemiche, o lo stupore, non hanno più senso di esistere. Al di là degli obiettivi, dei posizionamenti e delle piroette dell'ex segretario del Pd Matteo Renzi.

Occorre prendere atto che si è aperta una nuova fase politica e storica. È del tutto inutile, nonché controproducente, continuare la litania del partito a vocazione maggioritaria e plurale quando le circostanze storiche che hanno dato vita al Pd veltroniano sono ormai un semplice ricordo del passato. Quella stagione e', ormai, alle nostre spalle. Chi pensa di riproporla meccanicamente rischia di far naufragare anche il progetto oggi incarnato, seppur con sfumature incomprensibili, dai 3 candidati di sinistra per rilanciare un partito di sinistra. Semmai, e questo è un altro punto politico non secondario, si tratta di capire se è utile avere 3 candidati di sinistra, a cui si aggiungono altri candidati minori ma sempre provenienti dal medesimo ceppo culturale, per centrare lo stesso obiettivo. E cioè, riproporre nel dibattito pubblico italiano il ruolo e il profilo di un partito che ha l'ambizione di rilanciare la sinistra italiana dopo le recenti e ripetute sconfitte elettorali. Di questo si tratta e non di altro. Altroché polemiche e scontri un po' stucchevoli e del tutto fuori luogo.

 

Giorgio Merlo

26.11.2018


Si apre il tesseramento alla Democrazia Cristiana

 

Si è riunito a Roma nella sede storica di Piazza del Gesù,46, l’ufficio politico della DC, sotto la

presidenza di Renato Grassi, segretario nazionale DC.

Si è deciso che da Martedì 20 Novembre prossimo sarà inviato a tutti i Consiglieri nazionali

DC il regolamento per le iscrizioni al partito, approvato dalla direzione DC del 10 Novembre,

aprendo così ufficialmente la campagna per il tesseramento 2018-2019.

I consiglieri nazionali DC di ciascuna regione sono invitati a coordinare le azioni a sostegno

della campagna per il tesseramento nelle diverse realtà regionali.

Per ogni informazione si può fare riferimento al responsabile del dipartimento organizzativo,

Antonio Fago (segr.antoniofago@libero.it) e al capo della segreteria del partito, Salvatore

Pagano (segrenazionaledc@gmail.com ).

In ogni comune si potranno attivare i comitati civico popolari o cenacoli popolari ( o come in

altro modo si vorranno autonomamente connotare), luoghi di una rinnovata partecipazione

politica dei cittadini ed elettori.

La DC, come approvato dal Congresso, intende proporsi come partito di centro, laico,

democratico, popolare, cristianamente ispirato, transnazionale, europeista, inserito a pieno

titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori: Adenauer, De Gasperi, Monet e

Schuman. Un partito alternativo ai movimenti e partiti sovranisti e nazionalisti e alle sinistre,

impegnato nella difesa e integrale attuazione della Costituzione e a sostegno di politiche

economiche e sociali ispirate dai valori della solidarietà e sussidiarietà propri della dottrina

sociale della Chiesa.

A partire dalle prossime elezioni in Abruzzo la DC è interessata a concorrere alla più ampia

aggregazione delle diverse forze di ispirazione democratico cristiana e popolare, così come

per le prossime elezioni europee si intende costruire la più ampia unità di tutti i Democratici

cristiani, un patto federativo programmatico aperto alla collaborazione di altre componenti di

cultura politica laica e riformista ispirata dall’umanesimo cristiano.

Un gruppo di lavoro sta redigendo una proposta di programma della DC per le elezioni

europee che sarà presentato nel mese di dicembre in tutte le realtà regionali e locali italiane.

L’Ufficio politico ha dato mandato all’avv. Raffaele Cerenza e al segretario amministrativo, Dr.

Nicola Troisi, di attivare tutte le azioni per la difesa del patrimonio immobiliare e mobiliare

della DC storica, compresa quelle dei beni immateriali ( nome e simbolo del partito) per por

fine all’utilizzo confusionario e illegittimo sin qui fatto da diversi gruppi e movimenti,

invitandoli a far parte della casa madre democratico cristiana.

 

Ufficio stampa della segreteria nazionale DC

Roma 17 Novembre 2018

Da Venezia si annuncia uno squillo

 

Mi è giunto gradito un invito dall’amico On Gianfranco Rocelli di un seminario che si terrà Venerdì 23 Novembre alle ore 17 a Scorzè, presso la sala Eugenio Gatto in Via Roma,80.

 

Tema del seminario: “ Vincenzo Gagliardi e i cattolici democratici a Venezia nel secondo dopoguerra”. Organizzatori dell’evento il Comune di Scorzè, che sarà presente con il Sindaco, avv. Giovan Battista Mestriner, e l’associazione” I popolari Venezia” con alcuni loro rappresentanti: Luigino Busato, Marino Cortese, Anna Maria Giannuzzi Miraglia e Franco Borga.

 

Già il titolo  del seminario, con riferimento a Vincenzo Gagliardi e il nome della sala dedicata al compianto Neno Gatto, il ministro dell’attuazione delle Regioni (anno 1970), hanno suscitato in me molti ricordi, essendo stati entrambi, maestri e guide politiche negli anni della mia giovinezza e dei primi contatti nel partito della Democrazia Cristiana veneta e nazionale.

 

Gagliardi lo conobbi a Roma al Congresso della DC (1964), quello nel quale, sentiti gli interventi di Carlo Donat Cattin, di Riccardo Misasi  e dello stesso Gagliardi, pur provenendo da Rovigo, terra di assoluto dominio doroteo con Bisaglia e la Coldiretti, scelsi e lo fu per sempre, di militare nell’appena nata corrente di Forze Nuove.

 

E da lì iniziò il mio lungo impegno nella sinistra sociale della DC, che aveva nella DC di Venezia, l’unico riferimento correntizio omogeneo, essendo l’unica provincia nella quale la segreteria provinciale era passata con Gagliardi alla responsabilità della sinistra interna.

 

 I frequenti incontri regionali mi fecero conoscere, dapprima i coetanei Rocelli e Cortese e con loro, Alfeo Zanini, Eugenio  Gatto, Giorgio Longo, Mariano Baldo, Piero Coppola, Ferdinando Ranzato,  Giorgio Zabeo e tanti altri, i quali, trasferitomi a Mestre (1983) divennero colleghi e soci a tutti gli effetti della DC veneziana.

 

E proprio insieme a questi amici ho vissuto l’ultima ventennale esperienza della DC, sino alla sua scomparsa politica (1993). Una scomparsa tanto più dolorosa perché compiutasi senza un’adeguata azione di difesa e di impegno combattente, come quello che con Gianfranco Rocelli chiedemmo in una lettera accorata, senza risposta, inviata in quei drammatici giorni al segretario nazionale De Mita.

 

L’idea di un seminario per ricostruire la storia di una fase importante della nostra vicenda politica democratico  cristiana a Venezia, mi sembra possa lodevolmente inserirsi in quel mosaico di iniziative che, seppur disordinatamente e senza ancora un filo conduttore dirigente, si sta costruendo in varie parti d’Italia.

 

La condizione di anomia sociale, culturale, politica e istituzionale, il deserto delle culture politiche che fecero grande l’Italia ( quinto o sesto posto tra le potenze industriali mondiali), è ben rappresentata, da un lato, dalla scarsa partecipazione politica che nelle recenti elezioni  ha sfiorato il 50%, e, dall’altra, dall’emergere di una classe dirigente di “ homines novus” di cui constatiamo ogni giorno di più la loro inadeguatezza  e incompetenza rispetto alle grandi responsabilità  che sono stati chiamati a esercitare.

 

E allora, in attesa che avvenga il miracolo di una ricomposizione culturale e morale, prima ancora che politico organizzativo, non è un caso che ci si volti a ripensare quello che siamo stati e a riscoprire un po’ di quella passione civile alta e forte con cui conducemmo la nostra testimonianza politica ai diversi livelli istituzionali.

 

Impegnato come sono dal 1994 da “ DC non pentito”,  per concorrere  alla ricomposizione dell’area democratico cristiana, di un partito, la DC , “ mai giuridicamente sciolto”, secondo la sentenza definitiva della Cassazione, plaudo a questa bella iniziativa degli amici dell’associazione “i Popolari Venezia”, augurandomi che,  al di là della pur comprensibile e lodevole testimonianza politico culturale, si possano ritrovare le ragioni per rimetterci a costruire insieme il nuovo soggetto politico cristianamente ispirato.

 

Contro il sovranismo e il nazionalismo oggi prevalenti, serve una forza politica di centro autonoma, democratica e popolare, ispirata ai valori dell’umanesimo cristiano, europeista e transnazionale, inserita a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori DC dell’Europa: Adenauer, De Gasperi, Monet e Schuman.

 

Serve un’Europa federale degli stati nazionali, sottratta al dominio dei poteri del turbo capitalismo finanziario,  impegnata a realizzare politiche ispirate ai principi della solidarietà e della sussidiarietà propri della dottrina sociale cristiana. Economia civile e sociale di mercato alternativa a quella dettata dalle multinazionali finanziarie, padrone della city of London e con sede fiscale nel Delaware (USA) a tassazione zero. Questo è l’obiettivo che come DC, ricostruita giuridicamente nei suoi organi, ci proponiamo .

 

Come negli anni 60, con Vladimiro Dorigo e Gagliardi, la DC veneziana fu antesignana per l’avvento di cose nuove nella politica italiana, saremmo lieti che proprio da Venezia e dal Veneto potesse ripartire quest’azione di ricomposizione dell’area popolare di cui l’Italia e l’Europa hanno un’assoluta necessità.

 

Ettore Bonalberti

Vice Segretario nazionale della DC

 


Venezia, 14 Novembre 2018



Direzione nazionale della DC

10 Novembre 2018

 

Si è riunita in data odierna a Roma, la direzione nazionale della Democrazia Cristiana che ha deciso l’apertura del tesseramento al partito sia per i soci che confermarono l’adesione alla DC nel 2012, sia a quelli che erano iscritti al partito nel 1992-93, anno nel quale si concluse politicamente l’esperienza della DC storica, ma non quella giuridica  (“partito mai giuridicamente sciolto) secondo la sentenza della Cassazione. Il tesseramento è, infine, aperto a tutte le elettrici ed elettori e ai giovani che abbiano compiuto i 16 anni di età interessati a concorrere alla ricostruzione politica del partito dei cattolici democratici.

 

Guidata dal neo segretario del partito, Renato Grassi, la direzione  ha proceduto all’elezione dell’ufficio politico che risulta così composto:

Renato Grassi, segretario nazionale,  Gianni Fontana. Presidente del consiglio nazionale, Nicola Troisi, segretario amministrativo e rappresentante legale del partito,

Quattro vice segretari: Alberto Alessi,  Luigi Baruffi (responsabile dipartimento elettorale), Danilo Bertoli, Ettore Bonalberti (responsabile dipartimento esteri),  e da Mauro Carmagnola (dipartimento politiche sociali), Antonio Fago ( responsabile dipartimento organizzativo), Franco De  Simoni (responsabile dipartimenti Enti Locali), Raffaele Cerenza (responsabile dipartimento patrimonio beni materiali e immateriali).

Nella prossima riunione della direzione si procederà alla nomina degli altri incarichi della giunta esecutiva.

La direzione ha deliberato con voto unanime di dare immediato mandato al segretario amministrativo di assumere tutte le azioni più opportune per il recupero della piena e totale disponibilità dell’uso esclusivo dello scudo crociato e per impedirne l’illegittima e confusionaria utilizzazione da parte di altri gruppi e movimenti.

Ripristinato l’utilizzo degli uffici presso la sede storica del partito a piazza del Gesù a Roma..

Sulla base  della linea politica presentata al congresso del partito il 14 ottobre e ribadita al consiglio nazionale del 27 ottobre scorso dal segretario Renato Grassi, la direzione  ha confermato  che la DC intende, da un lato, ricostruire una presenza capillare del partito in sede locale, con ampia sperimentazione di formule innovative di partecipazione politica ( cenacoli popolari, comitati civico popolari, altri modelli) per allargare l’area del popolarismo e dell’associazionismo cattolico, aperta alla collaborazione con quella liberal democratica. Obiettivo: concorrere alla costruzione di una vasta alleanza  laica, democratica, popolare, ispirata ai valori dell’umanesimo cristiano, europeista e trans nazionale. Un partito di centro, alternativo al sovranismo nazionalista e alla sinistra, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori: Adenauer, De Gasperi. Monet e Schuman.

 

La DC è impegnata a redigere una piattaforma programmatica rispondente alle attese dei ceti medi produttivi e di quelli popolari dei “diversamente tutelati”,  attorno alla quale dar vita a un patto federativo con quanti condividono il progetto di riforma dell’Unione europea  secondo i principi di solidarietà e sussidiarietà; un’ Europa federale degli stati, liberata dagli eccessivi vincoli tecnocratici e sottratta all’attuale dominio dei poteri finanziari .

 

A quel 50% di sfiduciati e renitenti al voto nelle ultime competizioni elettorali la DC intende proporsi come il luogo della partecipazione democratica ispirata dalla fedeltà alla costituzione e ai principi della dottrina sociale cristiana.

 

Ufficio stampa della Democrazia Cristiana

Roma, 10 Novembre 2018

Dopo i cataclismi ambientali d’autunno

 

Le notizie gravissime collegate ai cataclismi che hanno colpito dal 29 ottobre scorso diverse regioni del nostro Paese, con particolare riferimento al Triveneto e alla Sicilia, credo impongano una seria riflessione alla classe dirigente del nostro Paese che dovrebbe assumere due impegni non più rinviabili:

1)    che l’Italia cessi finalmente di essere “ il Paese delle inaugurazioni e non delle manutenzioni” ( Leo Longanesi)

2)   assumere  la difesa idrogeologica al centro dell’interesse nazionale.

 

Di fronte agli enormi danni ambientali cui stiamo assistendo si metta fine alle  polemiche nel governo. C'é un enorme problema di messa in sicurezza idrogeologica del Paese. Tutte le risorse disponibili siano utilizzate per risolvere questa drammatica emergenza nazionale. Altro che reddito di cittadinanza (9 miliardi); si utilizzino le risorse per interventi di sistemazione idraulico forestale con cantieri di lavoro al Nord e al Sud per giovani e adulti impegnati in un'opera di difesa e ricostruzione ambientale dell'Italia. E l'Europa si dimostri finalmente madre e non matrigna.

 

Nel Luglio 2017 ho redatto una nota che conserva intatta la sua attualità e che mi permetto di riproporre all’attenzione dei miei lettori.

 

Un grande Piano nazionale di protezione civile

 

“Paese di inaugurazioni e non di manutenzioni”, così Leo Longanesi scriveva dell’Italia e, mai come oggi, quella sua triste connotazione del nostro Paese risulta così appropriata.

Incendi boschivi dolosi ( perché non esistono in realtà fenomeni di autocombustione) che , secondo la stima di Legambiente “solo in questo primo scorcio di estate 2017, da metà giugno ad oggi, sono andati in fumo ben 26.024 ettari di superfici boschive, pari al 93,8% del totale della superficie bruciata in tutto il 2016”; carenza idrica causata dalla siccità e dalla vetustà di una rete idrica che secondo le stime del Censis è soggetta a una perdita d’acqua di almeno il 32%; frequenti succedersi di disastrose alluvioni, frane e la drammatica realtà di un dissesto idrogeologico che è la condizione prevalente in vaste aree del nostro territorio nazionale.

 

Se a questi eventi, le cui cause sono ampiamente riconducibili alla responsabilità di noi cittadini, massime quelle di chi è titolare di funzioni politico istituzionali, aggiungiamo  i  frequenti terremoti che sconvolgono intere comunità locali, l’Italia mostra sempre più l’immagine di un Paese totalmente alla deriva.

 

Con un patrimonio edilizio  storico e  artistico culturale tra i più importanti nel mondo,  mai analizzato nella sua reale capacità di resilienza e strutture abitative accumulate nei secoli, comprese le ultime, poche, costruite secondo regole antisismiche solo di recente obbligatorietà normativa, siamo obbligati a redigere “la carta di identità degli edifici” e a sviluppare un piano di interventi a medio lungo periodo per la preventiva sistemazione strutturale del nostro immenso e assai fragile patrimonio edilizio. Contro la furia sin qui imprevedibile dei terremoti poco o nulla possiamo fare, ma contro l’imprudenza e l’ignavia degli uomini, compresa quella dei responsabili istituzionali di scarsa visione strategica, abbiamo il dovere di reagire e assumerci tutti insieme le nostre responsabilità.

 

Ho avuto la fortuna di conoscere da vicino la realtà del sistema forestale italiano, avendo diretto per quindici anni l’Azienda regionale delle foreste della mia Regione, il Veneto, e, successivamente quella della protezione civile di una delle regioni leader, la Lombardia, nella quale ho svolto la funzione di direttore generale dell’assessorato regionale delle opere pubbliche, politiche per la casa e protezione civile.

 

Sul sistema forestale la mia lunga battaglia condotta con il compianto gen. Alfonso Alessandrini, capo del CFS da lui difeso strenuamente sino alla sua scomparsa, per superare l’assurda dicotomia esistente tra le vecchie competenze e funzioni del Corpo Forestale dello Stato e dell’Azienda di Stato per le foreste demaniali con quelle affidate dalla Costituzione alle Regioni, è miseramente finita con il semplice assorbimento del fu CFS nell’arma dei carabinieri, senza dare soluzione efficiente ed efficace alla frammentazione delle politiche regionali forestali prive di un reale coordinamento strategico.

Unica lodevole eccezione,  il permanere di quel  ancorché debole strumento di scambio di informazioni tecnico specialistiche rappresentato dall’ANARF ( Associazione Nazionale delle Attività Regionali Forestali) che abbi l’onore di avviare con l’amico scomparso Sergio Torsani, presidente dell’Azienda regionale delle foreste di Regione Lombardia.

 

Le esperienze da me maturate a contatto delle realtà forestale italiana e la diretta funzione di guida amministrativa della protezione civile in una realtà tra le più avanzate del Paese, mi hanno permesso di formulare a suo tempo un vero e proprio Piano per la difesa della montagna e della nostra sicurezza idraulica, che denominai PRO.MO.S. ( Progetto Montagna Sicura). Un Piano che non si è mai potuto realizzare perché si sa “ gli alberi non votano” e i tempi per la difesa del territorio sono troppo lunghi rispetto a quello di interesse dei politici dal corto respiro.

 

Gli obiettivi del progetto PRO.MO.S. erano quelli  di definire linee strategiche per la sicurezza in montagna e di promuovere interventi coordinati nell’ambito di una pianificazione a scala di bacino idrografico.

 

Nel campo della protezione del territorio, in particolare dai rischi di tipo idrogeologico, tutte le iniziative dovrebbero essere orientate alla sostituzione dell’attuale approccio “reattivo”, basato prevalentemente sulla gestione dell’emergenza, con un approccio di tipo “proattivo”, basato sulla prevenzione, cioè sulla pianificazione e realizzazione di attività atte a ridurre il rischio di accadimento di eventi calamitosi e comunque di limitarne gli effetti dannosi. In questa ottica si possono identificare alcune specifiche tematiche di studio e di intervento:

 

1.      Monitoraggio di parametri idrologici e geologici

 

L’acquisizione di misure, anche in tempo reale, su parametri idrologici e geologici caratteristici dei fenomeni naturali che possono innescare situazioni di rischio rappresenta sicuramente una delle prime priorità. Una componente rilevante dell’incertezza nella valutazione del rischio, soprattutto di tipo idrologico e idrogeologico, deriva dalla mancanza di dati sufficienti sull’evoluzione nel tempo di elementi dinamici del territorio, quali versanti e corsi d’acqua. Attività di razionalizzazione, coordinamento e potenziamento delle attuali reti di misura (le diverse ARPA regionali , Consorzi, Centri di monitoraggio, ecc.) sarebbero quindi auspicabili, soprattutto in un’ottica di benefici di lungo periodo. 

 

2.     Analisi e mappatura dei rischi naturali

 

L’organizzazione della conoscenza del territorio è il primo strumento operativo per l’analisi e quindi a prevenzione dei rischi naturali. Le iniziative in questa direzione là dove sono state avviate, dovrebbero essere potenziate e coordinate in un programma a lungo termine, in modo da perfezionare la mappatura del rischio di dissesto territoriale. Nell’analisi delle aree di rischio è particolarmente importante l’approfondimento delle possibili interazioni tra i diversi tipi di rischio, in una visione integrata delle problematiche legate sia alla erosione dei versanti e dell’assetto idrogeologico del reticolo idrografico.

 

 

3.     Definizione di piani di gestione delle emergenze in caso di disastri naturali

 

.             I piani di emergenza  rappresentano strumenti nel contempo delicati ed indispensabili per una razionalizzazione  del soccorso qualora dovesse verificarsi una calamità. La normativa vigente in materia definisce quelli che sono gli obiettivi che attraverso questi piani bisogna  raggiungere, ma manca una standardizzazione della loro stesura e dei contenuti che sono indispensabili per attivare la complessa macchina della Protezione Civile in situazioni di emergenza. Pertanto un approfondimento di queste tematiche, nonché la definizione di linee guida  da seguire in tali Piani diviene un obiettivo prioritario in questo settore.

 

 

4.     Definizione di linee guida di intervento mirati alla riduzione dei rischi

 

La definizione di linee guida per la realizzazione di interventi di tipo proattivo per la riduzione dei rischi consente da un lato di controllarne l’efficacia operativa, dall’altra di orientare la loro pianificazione, inserendoli in un contesto razionale e omogeneo a scala di bacino idrografico. In condizioni di risorse limitate, risulta anche importante l’individuazione delle priorità d’intervento, in base sia alla probabilità di accadimento dei vari tipi di eventi disastrosi, sia alle loro conseguenze sul territorio.

 

Credo che, data l’urgenza della situazione italiana,  sarebbe quanto mai opportuno riproporre quelle linee guida ed avviare un grande Piano di Servizio Civile nazionale da coordinare con e nelle diverse realtà regionali, orientato a progetti di riforestazione tanto più urgenti, dopo le sciagurate distruzioni boschive di quest’estate e tuttora in corso, e per la difesa idrogeologica nazionale non più rinviabile.

 

Con una disoccupazione giovanile che sfiora e in talune aree supera il 40%, questo Piano nazionale potrebbe rappresentare un’utile occasione per offrire alle nuove generazioni la possibilità di mettere in campo le diverse attitudini e/o di acquisirne di nuove, in un ambito, la difesa del territorio, di cui l’Italia ha assoluta necessità primaria.

 

Solo così potremo sfatare la diagnosi di Longanesi e far diventare finalmente l’Italia “un paese di manutenzioni e non solo di inaugurazioni”. Certo servirebbe una diversa classe dirigente dedita veramente al bene comune e non alla mera sopravvivenza autoreferenziale nei luoghi privilegiati del potere. Di questa, però, saranno i cittadini elettori a definirne a breve le future identità.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 23 Luglio 2017

 


Dopo il Consiglio nazionale della DC si è aperto un interessante dibattito nell’area cattolica e popolare. Su “ Il Domani d’Italia” www.ildomaniditalia.eu,  replicando al dr Infante sono intervenuti Mauro Carmagnola e Giorgio Merlo.

Pubblichiamo la nota di Giorgio Merlo del movimento “ Rete Bianca”.

 

Dc, adesso si cominci davvero.

 

 

Va dato atto agli amici della neonata Democrazia Cristiana di aver rimesso in circolo, con coraggio e determinazione, un percorso giuridico e politico finalizzato al recupero di un glorioso simbolo e di altrettanta gloriosa, e per nulla fuori tempo, sigla partitica. Certo, i tempi sono radicalmente cambiati e sarebbe ridicolo, nonché ingenuo, pensare di riportare indietro le lancette della storia senza colpo ferire. Ma, come tutti sanno compresi gli amici della neonata Dc, c'è la necessità da un lato di recuperare un patrimonio storico, politico e culturale che non può essere qualunquisticamente archiviato e storicizzato e, dall'altro, c'è l'esigenza di evitare un ripetuto uso maldestro di questo simbolo e di questa sigla. E questo, del resto, e' il punto politico decisivo a cui va data una risposta politica e non personale o di gruppo o di corrente.

Su queste colonne si è avviato un dibattito interessante al riguardo. Il contributo di Giancarlo

Infante e la risposta puntuale e pertinente di Mauro Carmagnola sono stati utili per chiarire il nodo centrale di una eventuale discordia. Ovvero, la neonata Democrazia Cristiana - in attesa di un oggettivo rafforzamento organizzativo e di un affinamento politico e culturale - pensa già disvendere il simbolo al primo offerente? E ciò prima ancora di decollare come soggetto politico? Se così fosse, sarebbe del tutto inutile continuare anche solo questo articolo perché l'avventura nascerebbe già monca, e pertanto politicamente insignificante.

Ecco perché, allora, e' consigliabile - almeno a mio parere - piantare 3 paletti che possono essere utili per orientare questa formazione politica in vista dei prossimi appuntamenti politici ed elettorali.

Innanzitutto, e soprattutto dopo il profondo cambiamento della geografia politica italiana, e' sempre più indispensabile promuovere una formazione politica che sia in grado di ricomporre il vasto e articolato mondo del cattolicesimo politico italiano. Oggi colpevolmente frammentato, disperso, diviso e politicamente insignificante. Senza questa azione di ricomposizione - a cui Rete Bianca, ad esempio, sta lavorando da mesi - qualunque tentativo di rilanciare la tradizione del cattolicesimo politico italiano italiano e' destinato a frantumarsi contro gli scogli dei partiti personali e dei cartelli elettorali attualmente esistenti. E la Dc, dal suo punto di vista, deve raccogliere sino in fondo questa sfida e impegnarsi per centrare questo obiettivo. E quindi un partito plurale, laico, riformista, di ispirazione cristiano-popolare ma soprattutto autonomo.

In secondo luogo, rimuovere la perfida domanda del "con chi stai". Se la priorità, prima ancora di aver dispiegato compiutamente il proprio progetto progetto politico, e' quello di dichiarare a quale dei due schieramenti si vuole aderire, si avallerebbero i sospetti di chicchessia sulla fretta di collocare questo simbolo in un campo per una logica di convenienza del tutto avulsa da qualsiasi riflessione politica. E' del tutto legittimo che ex democristiani siano accasati da svariati anni a

destra o a sinistra. Ed è altrettanto legittimo che all'interno di quei rispettivi contenitori svolgano un ruolo puramente ornamentale e del tutto ininfluente, avendo come unico obiettivo quello di vedersi rinnovare la propria candidatura blindata ad ogni tornata elettorale. Non ci stupiamo per questa prassi vecchia, antica ma sempre attuale. La priorità di questa nuova formazione politica però, almeno a mio parere, dovrebbe essere quella di riaffermare la propria autonomia politica ed organizzativa, cercando di ricomporre il più possibile la frastagliata area popolare, cattolico democratica e democratico Cristiana italiana e poi, in un secondo momento, costruire una cultura delle alleanze coerente e rispettosa dei propri principali e valori di riferimento. Ma non anteporre l'alleanza alla propria personalità politica.

In ultimo, ma non per ordine di importanza, dopo aver compiuto questo lungo e travagliato

percorso giuridico e politico, si tratta adesso di uscire dalla propria autoreferenzialita' e di

recuperare una preziosa ed insostituibile ricetta della miglior tradizione democratico cristiana. E cioè, affinare il pensiero, non disperdere la memoria storica e ricostruire una cultura politica che sono e restano tasselli cruciali per ridar vita ad un progetto oggi quanto mai necessario ed indispensabile: e cioè, ad una nuova formazione politica di ispirazione cristiano popolare. A cominciare, per non essere astratti o marziani, dalla ormai prossima consultazione elettale per il rinnovo del Parlamento europeo che assume una importanza, come tutti sappiamo, storica e politica decisiva. Una esigenza, questa, non prorogabile. Altroché il dibattito ridicolo, e lo scontro altrettanto singolare, se fare la stampella di Berlusconi o dell'ex comunista Zingaretti.

Ecco perché sono convinto, grazie anche al dibattito che si è sviluppato su queste colonne, che

non possiamo disperdere il confronto sul futuro dei cattolici in politica lungo sentieri di

 incomprensione e di sospetti reciproci. Tutti sappiamo qual è' la vera priorità: ritornare in campo e ritornarci uniti. Tutto il resto, come si suol dire, e' del tutto indifferente e marginale. Nonché politicamente inutile.

 

Giorgio Merlo

 


Le conclusioni del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana

 

Il Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana si è riunito a Roma, Sabato 27 Ottobre 2017 presso l’auditorium della basilica di San Lorenzo in Lucina, dopo lo svolgimento del XIX Congresso nazionale il 14 ottobre scorso.

Gianni Fontana è stato eletto  Presidente del Consiglio Nazionale e il dr. Troisi Nicola , Segretario amministrativo, rappresentante legale del partito.

Il Consiglio  nazionale, udita la relazione del segretario politico nazionale Renato Grassi, l’approva.

Nell’attuale deserto delle culture politiche, la crisi di tutti gli schieramenti tradizionali che hanno caratterizzato la vicenda della seconda repubblica, la guida del paese affidata a una maggioranza trasformistica non votata dagli elettori e frutto del compromesso tra due movimenti espressioni di interessi contrapposti e di valori unificati dalla comune volontà sovranista con tinte di un nazionalismo anacronistico che, con l’isolamento dell’Italia sta portando il Paese in una situazione disastrosa per i ceti medi produttivi e le classi popolari,

la Democrazia Cristiana, erede della cultura dei padri fondatori popolari : Sturzo, Donati, Miglioli e Grandi e dei democratici cristiani: Alcide De Gasperi, La Pira, Aldo Moro, Giulio Andreotti e Amintore Fanfani, intende  ripartire dal codice etico di Guido Gonella aggiornato al nuovo tempo della globalizzazione, avviando da  subito il tesseramento al partito su scala nazionale per ricostruire la presenza politica dei cattolici democratici in Italia.

Tutti i giovani, le donne e gli uomini “liberi e forti” che credono nel valore della libertà e nella necessità di difendere e attuare la Costituzione Repubblicana, nella necessità di adottare politiche economiche e sociali ispirate dai principi della solidarietà e sussidiarietà proprie della dottrina sociale cristiana, potranno partecipare alle attività che la DC intende organizzare in tutti i comuni italiani dei “cenacoli popolari”; luoghi di sperimentazione della partecipazione,aperti al dibattito e deputati alla selezione della nuova classe dirigente locale, regionale e nazionale.

Unanime la volontà di concorrere alla riforma dell’Unione europea per superare i condizionamenti che la finanza internazionale ha sin qui imposto, con l’introduzione di regole inique e illegittime come il fiscal compact, per riportare l’Unione ai principi e ai valori dei padri fondatori democratici cristiani: Adenauer, De Gasperi, Monet e Schuman.

L’Europa delle nazioni e dei popoli resta l’obiettivo primario dei democratici cristiani in alternativa a tutti gli elementi di disgregazione che, in tutte le sedi, vengono portati avanti dagli attuali partiti di governo.

Il consiglio nazionale della DC, raccogliendo gli appelli di papa  Benedetto XVI e papa Francesco sulla necessità dell’impegno politico dei cattolici, recentemente ribadito dal presidente della CEI, card Bassetti,  fa appello a tutti i movimenti, le associazioni, ai gruppi di ispirazione cattolica, agli organismi associativi dei corpi intermedi,  affinché concorrano con la DC alla ricomposizione dell’area cattolica e popolare italiana, sul piano dell’assoluta autonomia, come componente centrale dello schieramento politico italiano, che intende assumere il lavoro, la partecipazione politica dei lavoratori nella gestione delle imprese, la valorizzazione del lavoro autonomo, dei commercianti, artigiani, agricoltori, liberi professionisti, dei dipendenti di tutti i servizi pubblici e tutta la realtà del terzo stato produttivo,  autentico motore dello sviluppo economico dell’Italia, come l’obiettivo primario della proposta politica della DC.

L’occupazione giovanile e la questione dello sviluppo del Sud saranno assunte come prioritarie e  oggetto speciale della prossima conferenza organizzativa nazionale che si terrà entro il mese di dicembre, alla quale saranno invitate con tutte le associazioni dell’area cattolica e popolare le migliori intelligenze della cultura cattolica e democratica italiana.

Dalla conferenza la DC, come nella sua migliore tradizione,  intende redigere un manifesto politico programmatico interprete dei bisogni della società nell’età della globalizzazione e dell’era digitale, per riportare il Paese al livello garantito dalla DC storica facendola diventare il 6° Paese industriale del mondo.

Primo appuntamento elettorale le imminenti elezioni per il rinnovo del parlamento europeo dove la DC, rivendicando in tutte le sedi istituzionali  l’uso esclusivo dello storico scudo crociato, si batterà per candidati dalla specchiata moralità e seria competenza nelle cinque circoscrizioni elettorali.

Il consiglio nazionale ha eletto la nuova direzione nazionale già convocata per il prossimo 10 Novembre per assumere tutte le iniziative annunciate dal segretario Renato Grassi e per por fine ai contenziosi che hanno colpevolmente sin qui caratterizzato la lunga stagione della diaspora democratico cristiana, alcuni dei quali già positivamente avviati come quelli con gli amici soci del 1992-93.

Avanti dunque da “Liberi e Forti”, un appello che rivolgiamo agli elettori che hanno sin qui disertato le urne, ai tanti stanchi e delusi delle esperienze sin qui vissute negli schieramenti tradizionali della destra e della sinistra in crisi irreversibile.

Una conferenza stampa sarà organizzata entro pochi giorni per la presentazione del nuovo codice etico della democrazia cristiana che ogni iscritto dovrà adottare  con l’impegno sturziano  a “servire la politica e non  servirsi della politica”.

La direzione nazionale del prossimo 10 novembre darà indicazioni precise sulle modalità per avviare la sperimentazione dei “cenacoli popolari” che saranno caratterizzati dalla più ampia autonomia gestionale su base territoriale locale.

 

Roma,27 Ottobre 2018

 

 

 

 

La lezione del Trentino

 

Nel Trentino trionfa il centro destra a trazione turbo leghista e Forza Italia scompare. In Alto Adige è forte il calo della SVP, con la Lega primo partito a Bolzano e crollo del PD. Serve ricostruire un forte centro di ispirazione cattolica popolare perno di una reale alternativa democratica al governo giallo verde. Ho sintetizzato così sul mio profilo di facebook il risultato elettorale del Trentino Alto Adige.

 

Una realtà sin qui dominata a Trento dal centro sinistra e a Bolzano e nell’Alto Adige dalla Volkspartei, ha visto il netto prevalere della Lega a Trento con una valanga di voti e a Bolzano, primo partito; il consistente calo della VSP che, comunque tiene oltre il 40% nel suo feudo altoatesino, e la fine in pratica dell’esperienza di Forza Italia totalmente assorbita dalla Lega. Rilevante, infine, il crollo verticale del PD.

 

Altro elemento da considerare: la dispersione del voto cattolico, in assenza di un contenitore credibile dopo che, per molti anni, la vecchia area DC di sinistra di Lorenzo Dellai, era stata sostenuta alla guida della provincia di Trento dal PD e dalla sinistra.

 

Se, da un lato, il voto consistente alla Lega da parte di una società molto tutelata dalla legislazione speciale, che garantisce a quella regione la più ampia specialità con tutte le competenze statali, tranne quella dell’esercito, è l’espressione di un comun sentire nella difesa egoistica del “particulare” minacciato dai “foresti”, così come rappresentato nella narrazione salviniana; dall’altro, gli elementi rilevanti di quel voto sono: il crollo del PD e lo sfarinamento del voto cattolico.

 

Quanto al M5S nel voto trentino abbiamo assistito alle prime conseguenze della difficoltà di tenuta di un partito-movimento senza regole democratiche interne, etero guidato a livello nazionale. E’ bastata la defezione di un leader naturale e popolare locale, come già accaduto a Parma, per la riduzione del voto al movimento sotto la doppia cifra.

 

Sul crollo del PD riconosciamo il fallimento del progetto originario di unificazione del vecchio troncone comunista con quello che era rimasto della vecchia sinistra DC morotea e basista. Un fallimento che gli amici de “ La rosa bianca” da qualche tempo vanno denunciando, fino ad assumere una posizione autonoma e critica collegata alla necessità di un ritorno ai fondamentali popolari della dottrina scoiale della Chiesa. Tentativo ben presente e interessante per quanti come noi, “DC non pentiti”, sono impegnati nel progetto di ricomposizione dell’area popolare italiana.

 

Un discorso del tutto particolare e speciale va fatto, infine, sulla dispersione del voto cattolico nella patria di uno dei fondatori e padri della DC italiana: Alcide De Gasperi.

 

A parte il lodevole tentativo dell’amico Ivo Tarolli di dar voce a una parte importante dell’area popolare, ahimè senza successo, dal Trentino emerge chiara la necessità di ripensare globalmente a un nuovo soggetto politico “ampio, plurale, laico, democratico, popolare, europeista, trans nazionale,  impegnato a tradurre nella “città dell’uomo” gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa, in dialogo privilegiato con il PPE”.

 

Trattasi di quel soggetto che insieme proprio a Tarolli, Mario Mauro, Giorgio Merlo, Gianni Fontana, Domenico Menorello e altri, avevamo definito a Verona nel seminario dei Popolari il 23 Giugno scorso..

 

Con la DC, dopo la conclusione unitaria del congresso di Domenica 14 ottobre sancita dall’accordo tra Renato Grassi e Gianni Fontana, stiamo costruendo il primo tassello di un mosaico più grande che, con una classe dirigente rinnovata, saprà offrire agli italiani una nuova speranza. Come seppe fare la DC storica, sarà essenziale proporre una forte alleanza tra i ceti medi produttivi e le classi popolari dei "diversamente tutelati", lontani dalla "casta" e dal quarto " non Stato". Un'offerta  politica in grado di corrispondere agli interessi e ai valori del 50% degli elettori sin qui renitenti al voto.

 

Ci auguriamo che, anche sulla base delle indicazioni del voto del Trentino, si ponga fine a ogni altro ostacolo che ha sin qui caratterizzato la lunga stagione della  diaspora democrati co cristiana e dal Nord al Sud dell’Italia si ricomponga l’unità di un’area politico culturale alternativa ai disvalori dei sovranisti-nazionalisti, capace di proporre politiche economiche e sociali ispirate dai principi di solidarietà e sussidiarietà propri della dottrina sociale cristiana.

 

Ettore Bonalberti

Presidente di ALEF ( Associazione dei Liberi e Forti)

Consigliere nazionale DC

 

Venezia, 23 Ottobre 2018

 

 

 

  1. Una fase delicata per l’Italia

     

    Salvini non vuol passare per “fesso” e Di Maio da “bugiardo”. Per interpretare il contratto  giallo verde, più che Giuseppe Conte, “l’avvocato del popolo”, servirebbe un notaio. Si è chiusa così, ieri sera, la disputa tra Lega e M5S sul decreto di condono fiscale. A un passo dalla crisi di governo è intervenuto il premier Conte con la convocazione per oggi di un vertice di maggioranza e del consiglio dei ministri.

     

    In serata poi la mazzata dell’agenzia di rating Moody’s, con un declassamento  dei titoli dell’ Italia a un livello poco superiore a quello di “spazzatura”. Sarebbe il baratro definitivo che impedirebbe ogni ulteriore intervento della BCE nell’acquisto di titoli di Stato del nostro Paese.

     

    Il capo del governo ha commentato col suo solito ottimismo di maniera: “ l’avevamo previsto”. Un giudizio che, pronunciato da un signore che a BXL aveva cercato di convincere i nostri partner europei sulla bontà della manovra di bilancio,  con la semplice definizione che trattasi di una “manovra bella”, lascia basiti più che i mercati finanziari, che si pronunceranno già Lunedì prossimo, tutti noi  disgraziati cittadini di questo povero Paese.

     

    Stanno venendo al pettine i nodi di un’alleanza di governo espressione del peggior trasformismo politico parlamentare, frutto dell’esito del voto ambiguo del 4 marzo scorso e di un sistema elettorale bislacco da rivedere. La ragione di quanto sta accadendo nel rapporto tra grillini e leghisti va ricercata nella diversità di interessi e valori esistente tra i due partiti,  ossia sui fondamentali su cui regge la politica,.

     

    Se sui valori l’accordo è intervenuto sulla base della comune visione sovranista e antieuropea dei due movimenti, su quello degli interessi la divergenza verte su quelli dei diversi blocchi sociali ed economici di riferimento.

     

    Riprendendo la mia “teoria dei quattro stati” che, in maniera euristica, cerca di interpretare, seppur  riduttivamente, la realtà sociale italiana ricorderò in estrema sintesi:

     

    Il primo Stato, quello della casta, è formato da oltre un milione di persone che vivono attorno alla politica e alle istituzioni, con laute prebende e benefits diversi. E’ l’aristocrazia dell’ancien regime trasferita nel XXI secolo.

     

    Il secondo Stato è quello dei diversamente tutelati, che contiene l’intervallo compreso tra le alte gerarchie pubbliche ( magistratura, alta dirigenza burocratica dello Stato e degli enti pubblici statali, parastatali e degli enti locali) sino all’ultimo gradino della scala rappresentato dai cassaintegrati e disoccupati con indennità e a quello dei senza tutela, come gli esodati e i disoccupati senza indennità.

     

    Il terzo stato è quello che produce la parte prevalente del PIL: PMI con i loro dirigenti e dipendenti, agricoltori, commercianti, artigiani, liberi professionisti. La struttura  portante dell’intero sistema.

     

    Con le nuove norme comunitarie si scopre l’esistenza del quarto Stato o, se meglio si vuole definirlo “ il quarto non Stato” , un settore che potremmo qualificare come l’extra o l’anti Stato, rappresentato dal lavoro nero, droga, prostituzione, contrabbando.

     

    Trattasi di un settore il cui valore dell’attività economica è stimato in circa 200 miliardi di euro che, in base alle nuove norme europee, buon per il governo, farebbe calare il rapporto deficit/PIL dello 0,2 %, ancora insufficiente secondo quando concordato con l’Unione europea a fronte dello scostamento indicato nel DEF del 2,4 %. Un settore fuori da ogni regola,  che preleva  ricchezza dal sistema e in larga parte la rimette in circolo sotto forma di consumi, risparmi e investimenti diversi, sottraendosi a ogni controllo e incidendo, comunque, in maniera significativa sul sistema stesso e non solo sul piano economico e sociale, ma anche per le sue nefaste incidenze sul piano politico e dei condizionamenti nelle istituzioni……

     

    Da questa rappresentazione appare evidente che, fatte salve le realtà della casta e del quarto non stato, entrambe in grado di sopravvivere a qualsiasi  mutamento socio politico che non sia tipo rivoluzionario, mentre il Movimento Cinque stelle ha saputo raccogliere il voto di larga parte dei “diversamente tutelati”, soprattutto dalla stragrande maggioranza dei diseredati del nostro meridione attratti dalla promessa del “reddito di cittadinanza”, la Lega ha fatto breccia sul consenso prevalente del “terzo stato produttivo” e una parte dei “diversamente tutelati” i cui interessi, nelle condizioni oggettive di disponibilità finanziarie dell’Italia, non possono che confliggere con le esigenze dei primi.

     

    Milton Friedman ammoniva: “ se tu paghi la gente che non lavora e la tassi  quando lavora, non esser sorpreso se produci disoccupazione”. E’ un aforisma di base di ogni politica economica, troppo lontano dalle competenze incerte di questi giovani senz’arte né parte catapultati a Palazzo Chigi, che più che la sede di un governo della Repubblica, sembra trasformarsi ogni giorno di più in una gabbia di matti.

     

    In queste  condizioni si potrà anche galleggiare sino al voto delle europee, sperando nel miracolo delle promesse annunciate e obbligatoriamente da soddisfare, seppur parzialmente, ma è evidente che il governo non potrà durare. Sarà molto importante accertare come reagirà quel 50% di elettori che il 4 marzo scorso furono renitenti al voto, ma per questi credo che sarà indispensabile proporre una seria e credibile alternativa democratico popolare fondata su culture politiche forti, come quelle del riformismo cattolico, democratico e liberale.

     

    Ettore  Bonalberti

    Consigliere nazionale DC

    Venezia, 20 Ottobre 2018

     

     

     

     

    Congresso Pd, la sinistra e i cattolici.
  2.  

     

    Il prossimo congresso del Pd assume una importanza non secondaria ai fini della ripartenza di un nuovo e rinnovato centro sinistra italiano. Una coalizione sostanzialmente distrutta dalla stagione del comando renziano dove una maldestra "vocazione maggioritaria" accompagnata da una volontà di onnipotenza del Pd aveva, di fatto, azzerato ogni sorta di alleanza. E, di conseguenza, cancellando un tassello fondamentale della cultura democratica del nostro paese, cioè la cultura delle alleanze appunto.

     

    Ora, pare, si vuole invertire la rotta sin qui intrapresa e condivisa, va pur detto senza la solita

    ipocrisia di rito, dalla stragrande maggioranza di quel partito. Cioè da tutti coloro che sono stati turbo renziani per lunghi 4 anni e poi hanno scoperto, improvvisamente e misteriosamente, la necessità di cambiare pagina arrivando al punto di coltivare l'obiettivo di "derenzizzare" il partito.

     

    La lista di questi personaggi, come sempre capita nella politica italiana, non è lunga ma addirittura lunghissima. Un nome fra tutti: l'ex sindaco di Torino Fassino. Ma, al di là di questo fisiologico malcostume, il prossimo congresso del Pd - almeno stando ai candidati che oggi appaiono più competitivi - rischia anche di essere una contesa tutta proiettata all'interno della sinistra. Ovvero, viene riproposta in termini aggiornati la storica dicotomia tra altri

    due veri leader della sinistra italiana, ovvero Veltroni e D'Alema. Perché l'eventuale contesa tra Zingaretti e Minniti rientra in questa lunga e storica dialettica tra le rispettive posizioni politiche che hanno accompagnato l'evoluzione e il cammino della sinistra post comunista italiana. Un confronto, comunque sia, e seppur arricchito oggi da altre candidature "comparsa" - sempreche' non ci siano altre novità, sempre possibili in un partito dominato da svariate bande interne – che però non cancella, giustamente, la vera posta in gioco per un partito come il Pd, oggetto di ripetute e continue sconfitte elettorali ed incerto sulla stessa prospettiva politica da intraprendere. Ovvero, come rilanciare la sinistra italiana. Oggi. Perché di questo si tratta. Anche perché la stragrande maggioranza di quell'elettorato e' scivolato su altri partiti andando ad ingrossare le fila di partiti antisistema e qualunquisti come i 5 stelle o di partiti sovranisti e populisti come la Lega di Salvini.

     

    Ma quello resta, comunque, l'obiettivo centrale del Pd di oggi, come giustamente sottolineano un po' tutti i principali leader di quel partito. E, nello specifico, i potenziali candidati alla segreteria nazionale del Partito democratico.

     

    Ed è proprio all'interno di questo contesto che si inserisce la necessità di ridare voce e

    rappresentanza anche ad altre culture politiche, altri filoni ideali che possono e devono rafforzare e affinare una coalizione alternativa al blocco sovranista, populista e antisistema. Culture politiche che non sono riconducibili alla storia e all'esperienza della sinistra italiana ma che sono indispensabili e necessarie se si vuole ricostruire una alleanza riformista, democratica, plurale e con una spiccata cultura di governo. Ed è in questo contesto che si inserisce la necessità, ormai non più prorogabile, di dar vita ad un soggetto politico che richiami la tradizione e l'esperienza del cattolicesimo democratico, popolare e sociale nel nostro paese. È perfettamente inutile pensare che il voto del 4 marzo è stato un semplice incidente di occorso.

    No, il voto del 4 marzo ha cambiato profondamente la geografia politica del nostro paese e se si vuole ridare fiato, voce e rappresentanza ad una coalizione che rilancia, seppur con venature e modalità diverse, il tradizionale centro sinistra, occorre prendere atto che un partito da solo, e cioè il Pd, non può certamente essere esaustivo ed esclusivo. Il Pd, appunto, può e deve ritornare ad essere un partito capace di rilanciare e di riattualizzare il pensiero e la cultura della sinistra italiana.

    Sarebbe curioso, al riguardo, se dopo la litania che viene recitata un giorno sì e l'altro pure di

    recuperare l'elettorato della sinistra e una politica di sinistra si pensasse, dopo le ripetute batoste elettorali, di aggirare il nucleo centrale della questione: ovvero, ritornare ad essere un partito autenticamente di sinistra.

    Ecco perché è arrivato il momento per rilanciare, e recuperare, la fecondità e la ricchezza delle

    singole tradizioni e identità politiche e culturali. Non per chiudersi in un recinto identitario ed

    autoreferenziale ma, al contrario, per ricostruire una casa riformista e plurale che, sola, può essere una vera alternativa democratica al blocco politico e sociale che ha vinto legittimamente le elezioni del 4 marzo. Alimentare ulteriori equivoci sarebbe del tutto innaturale e nocivo. A cominciare dal ruolo, dalla identità e dalla prospettiva politica che vuole percorrere il Partito democratico. Non più un partito pigliatutto, ma un partito che sappia qualificarsi per la sua identità e per la sua mission, cioè ricostruire la sinistra italiana.

     

     

    Giorgio Merlo

  3. Torino, 18 Ottobre 2018




  4. Stato dell’arte della DC storica 


  5. Nel 2012 più di 1700 amici DC confermarono, con autocertificazione sottoscritta a norma di legge, la loro adesione al partito di cui erano stati soci sino al 1992-93.

    Con il disposto del giudice dr Romano del tribunale di Roma che autorizzò lo svolgimento dell’assemblea del 26 Febbraio 2017 all’Ergife, nella quale eleggemmo nella carica di Presidente l’amico Gianni Fontana, quei 1750 superstiti sono riconosciuti come gli eredi legittimi della DC storica.

    La DC storica, in base alla sentenza n.25999 del 23.12.2010 della Cassazione assunta a sezioni civili riunite in maniera definitiva e inappellabile,  non è mai stata giuridicamente sciolta” e unici eredi sono i soci che ne hanno confermato e mantenuto  l’iscrizione nel 2012.

    Siamo consapevoli di essere ben poca cosa rispetto alla grande storia del partito, ma anche consapevoli di rappresentare l’ultima fiammella senza la quale la DC, giuridicamente mai defunta, non potrebbe più tornare in campo politicamente.

    Domenica 14 Ottobre abbiamo concordato una soluzione unitaria del congresso nazionale, con cui abbiamo eletto alla segreteria del partito Renato Grassi e Sabato 24 ottobre prossimo eleggeremo Gianni Fontana alla presidenza dl Consiglio nazionale della DC.

    E’ finito il tempo delle divisioni e delle “narrazioni contro qualcuno” e si volta pagina. E’ questo il tempo dei costruttori che intendono concorrere alla ricomposizione politica  dell’area cattolica e popolare.

    Sappiamo che il 50% che è andato a votare il 4 Marzo scorso  ha scelto la strada della protesta su fronti diversi, per trovarsi poi  a Palazzo Chigi il governo trasformista giallo verde che nessuno aveva votato.

    Il restante 50 % renitente al voto non trova più rappresentanza dei propri interessi e valori nel deserto attuale della politica italiana, dove si assiste allo sfascio della sinistra e di ciò che è rimasto della realtà berlusconiana.

    Serve una forte componente di centro democratica e popolare ispirata ai valori dell’umanesimo cristiano e impegnata nella difesa e nell’ attuazione integrale della Costituzione.

    Con Grassi e Fontana abbiamo avviato un percorso che, attraverso l’incontro con tutte le diverse parti dell’area cattolica e popolare, intende concorrere alla costruzione di un soggetto  nel quale “possano coordinarsi, liberamente e senza predefinite gerarchie organizzative, le diverse esperienze presenti in Italia che si rifanno ai valori della sussidiarietà. Un soggetto politico ampio, plurale, laico, democratico, popolare, europeista, trans nazionale, impegnato a tradurre nella “città dell’uomo” gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa, in dialogo privilegiato con il PPE.”

    Questa è la sfida che democraticamente ci sentiamo di lanciare all’attuale coalizione di governo espressione del peggior trasformismo politico italiano.

    Domenica scorsa abbiamo approvato con l’elezione di Renato Grassi alla segreteria nazionale il seguente Documento a sostegno della candidatura di Renato Grassi alla segreteria della DC- XIX congresso nazionale-Roma 14 ottobre 2018

     

    L’esperienza democristiana è stata la più straordinaria e significativa avventura politica del secolo scorso.

    Oggi che tale filone ideale e culturale, che unì anche e non solo i cattolici laici e i laici cattolici, è spento alla camera dei deputati e al senato della repubblica, il paese sente il vuoto senza speranza di tale rappresentanza. Dove sono le nostre intelligenze? Le nostre passioni? Di cosa abbiamo timore?

    Va riproposto un progetto di società nel quale i diritti di tutti vengano difesi e i doveri di tutti attuati: insomma una nuova fase costituente dei doveri.

    Vanno perciò superati le tentazioni nostalgiche accompagnate da silenziose lamentele.

    E se i democristiani vorranno tornare ad essere protagonisti per il bene del paese, è giusto e necessario che, fin da questo XIX° congresso nazionale, la DC sia una tenda, un luogo includente e aperto a tutti i democristiani, senza costruzione di confini, senza preclusioni ed esclusioni. Un luogo politico aperto ai movimenti e alle associazioni di cattolici morali e cattolici sociali, come giustamente ci invita a fare il presidente della CEI, cardinale Bassetti, e aperto  ai movimenti laici di ispirazione cristiana.

     

     Ecco perché va sottoposta a verifica la possibilità di ricostruire-sotto l’unico nome e simbolo dello scudo crociato nella memoria dei Padri Fondatori che hanno fatto la Democrazia Cristiana- l’unità di tutti i democristiani che sino ad oggi, in differenti modi e con diverse iniziative, hanno tuttavia tenuto desto il nome della DC dopo la diaspora del 1994.

    Si tratta di ritornare INSIEME a quell’antico e nobile progetto culturale, sociale, economico politico ed etico dei “Liberi e Forti”.

    Primo frutto del congresso sarà il tesseramento aperto a tutti coloro che vorranno partecipare a questo progetto e assumere sul serio “la politica come la più alta forma della carità” (PaoloVI) orientati dalla stella polare della Dottrina Sociale della Chiesa aderendo allo statuto e al codice etico della DC..

    Coloro che per anni hanno speso con sacrifici tutte le loro energie per tenere in vita una piccola luce che ha illuminato la DC, oggi possono e devono trasformare tale luce in un faro, in modo d rendere visibile e chiaro che i democristiani  accoglieranno tutti coloro che, animati dallo stesso spirito,  vorranno “lavorare INSIEME per il bene comune dell’Italia senza partigianeria, con carità e responsabilità, senza soffiare sul fuoco della frustrazione e della rabbia sociale” (card.Bassetti).

    I delegati eletti dai congressi provinciali  e regionali del partito che rappresentano i soci che nel 2012 decisero di confermare la loro adesione alla DC, sulla base del disposto del giudice Romano  sono i legittimi rappresentanti e continuatori della dc storica.

    Il valore dell’unità raggiunta determinatasi nel congresso sull’inclusione dell’esperienza di Gianni Fontana e con il proposito di svilupparla ed accrescerla costituisce la base per la ripresa di iniziativa politica dei cattolici democratici e per la ricomposizione dell’area popolare italiana. Il principio che ci guiderà, come è stato nella storia della migliore  DC,  è di “ servire all’interesse del Paese” corrispondente alla stessa Democrazia Cristiana.

     

    Noi veneti, delegati della regione al Congresso, siamo stati tutti eletti nel Consiglio nazionale della DC:

    Rovigo. Grazia Maria Panin

    Padova: Mauro De Fecondo

    Rovigo. Grazia Maria Panin

    Treviso: Roberto Zarpellon

    Venezia. Ettore Bonalberti, Luciano Finesso, Piergiovanni Malvestio e Giorgio Zabeo

    Verona: Gianni Fontana, Lia Monopoli, Amedeo Portacci

    Vicenza: Luigi D’Agrò, Stefano Cimatti e Cipriano Rossi

     

    Venezia, 18 Ottobre 2018

     

     

     



Una prima reazione scomposta di  Luigi Intorcia, uno dei fan "esterni alla DC" di Gianni Fontana, all'elezione di Renato Grassi


Carissimi,
 e alla fine, abbiamo completamente disintegrato la vera DC?

La suddivisione, è stata fra 79 delegati intenti a spolpare senza alcun diritto di metterlo in atto,  l'ultima vera DEMOCRAZIA CRISTIANA e  circa 200 persone, imbavagliate a subire passivamente,  tutto quanto è avvenuto.
Essere un vero DC, è ancora un valore e  quel valore  lo rivendichiamo costantemente, ma  fra pochi eroi.
Veder trattare il quel modo Gianni Fontana, è stato penoso, una vergogna indescrivibile e giunga il mio sdegno ai responsabili del vilipendio della NOSTRA VERA istituzione, che resta solo Gianni Fontana e non un manipolo di filibustieri, senza alcun futuro.
Veder tentare di  portare la Dc alla corte di un centro destra  eche fra poco sparirà completamente dalla scena politica italiana, è ancora peggio.
Avverto, ai ben noti figuri, protagonisti delle imboscate e dei tradimenti alle spalle, che non sarà assolutamente lasciato nel silenzio tutto questo, perchè ringraziando DIO, abbiamo la libertà ancora di essere Democristiani.
Pubblicamente, per quanto mi riguarda, sarò  un martello pneumatico atto  a contrattaccare in ogni ambito possibile,  contro la deriva che è stata imposta oggi, in un tranello o meglio una autentica   imboscata da  parte di  impostori e  pseudo amici del nulla, con azioni clamorose e incisive come mai avvenuto.

Siamo una forza popolare e aggiungo sovrana autentica e non sarà ne FI tanto meno PD la locomotiva a chi qualcuno di voi ha tentato maldestramente  di agganciare, come un qualsiasi  vagone merci il partito chiamato DEMOCRAZIA CRISTIANA di rango costituzionale  e che vi significo  è anche la mia CASA.
Mesi e mesi di scritti pubblici, un attacco al massacro, ad alzo zero  contro ogni cosa che nella DC sia stato  autenticamente  etico e morale o che è stato tentato di mettere nella pratica realizzazione, esclusivamente e solo  con il DIRITTO  e la legalità assoluta. Mesi e mesi in cui uscire da sciagurate assemblee della DC, è significato  ingurgitare solo  bocconi amari, dove non entra nessuna luce da ben 26 anni , ma solo  tenebre e in cui si è  radicato,  il senso della pazzia di pochi nonnetti,  abbonati al maligno.
Mi rivolgo ai veri DC, quelli che per sfortuna il 4 marzo, non sono potuti essere candidati, fieri di dare l'impulso, ad una storia mai finita per quelli che siamo  e  che  non è stato realizzato.
Quell'intento che emergeva con forza, delle riunioni a Piazza del Gesù e da via Alberico con Mns Gastone Simoni un altro Eroe,  e quindi, mi rivolgo  non solo al gruppo laziale o romano  pieno di DEGNE persone ad altissimo livello politico ma anche  di altri ancora, che ben saranno i portavoce nei loro ambiti, che la vera Dc non è ancora morta definitivamente.
Ricordatevelo, siamo ancora una forza.
Lasciateli tentare di realizzare  insolenze da parte  di  questi SPELACCHIATI gufi tristi,  che politicamente non valgono un beato accidenti, ancor meno,  come democristiani.
La dimostrazione è purtroppo quella di essere diventati  una barzelletta putrescente, da raschiare e disinfettare  e nella prima occasione, mollarli definitivamente AL LORO INFAUSTO DESTINO  o quando, molto presto,  non potranno più nascondersi dietro  a quel  misero dito e saranno chiamati a fare le figuracce che meritano di ricevere, esattamente le stesse, che hanno ricevuto, cacciati   dalle corti dei re dell'effimero, meno di 6 mesi fa.
La feccia putrescente, sarà schiacciata senza alcun riguardo, così come oggi il nessun riguardo, è stato usato contro il mio fiero e degno presidente Gianni Fontana, per il  chi vuol capire capisca, non  interessa minimamente non urtare le sporche suscettibilità di pochi pazzoidi oggi ghignati vincitori del nulla.
LA DC E' IL CENTRO E PUNTO.
Prima o poi, la giustizia sarà resa davanti a DIO e alle donne e agli uomini democristiani veri, di questa scalcinata nazione Italiana.
Vi allego la registrazione audio, affinché non la possiate mai più  dimenticare, per il dolore che avete causato a tantissime donne e uomini di buona volontà, con il Nostro  DIO nel cuore e la vera libertà nella testa e che nessun viscido verme, sarà mai in grado di cancellare.
Vergogna ai responsabili.
Luigi Intorcia
Candidato DC per il senato al primo uninominale
Lazio 1

A Luigi Intorcia ho risposto con l'allegata nota:

Caro Intorcia alle tue farneticazioni rispondono gli atti e i documenti da Gianni con me  e altri amici sottoscritti.
La soluzione unitaria di ieri al congresso ha impedito un risultato drammatico per la DC e per lo stesso Gianni Fontana.
Quel documento finale, che é la mozione collegata all’elezione di Renato Grassi, è molto chiaro nel merito e sulle prospettive. E’ stata una decisione sofferta, specie da parte mia, che per due volte sono stato il sostenitore di Gianni Fontana alla guida del partito. Troppi errori si erano accumulati dal Febbraio 2017 in poi, creando nella residua pattuglia dei DC una netta maggioranza che chiedeva una forte discontinuità. La mia proposta di soluzione unitaria alla fine é prevalsa e Gianni Fontana a conclusione del suo intervento ha proposto la candidatura di Renato Grassi alla segreteria del partito, così come Grassi nel suo intervento ha indicato Fontana come prossimo presidente del consiglio nazionale, che eleggeremo il 27 ottobre p.v.

Ho appena redatto sul mio profilo di Facebook questa sintetica nota che riassume il senso del nostro attuale procedere:
"il politico guarda alle prossime elezioni, lo statista guarda alle generazioni future”, così ci ha insegnato De Gasperi. Noi, gli ultimi dei mohicani DC, quei poco più dei 1750 soci che nel 2012 decisero di riconfermare la loro adesione al partito, in base al disposto del giudice Romano, del tribunale di Roma, sono a tutti gli effetti gli eredi della DC storica. Siamo una piccola fiammella, come quella minima dei fornelli a gas che: o riusciremo ad alimentarla, aumentandone l’intensità del fuoco o si spegnerà definitivamente.Oggi il problema in Italia é l’esistenza di un blocco conservatore populista nazionalista al quale i cattolici democratici non possono che assumere una funzione di opposizione e di alternativa.Si tratta di concorrere alla costruzione di un’alternativa democratica e popolare come quella che abbiamo individuato a Verona ( documento del 23 Giugno) e che ieri, seppur con qualche sofferenza personale, siamo riusciti a ricomporre nell’unità di quella preziosa fiammella che é ciò che rimane di vitale e con tutti i suoi limiti della DC storica.Noi lavoreremo per la ricomposizione dell’area popolare e democratico cristiana, senza cedimenti a destra o a sinistra, utilizzando anche alle prossime europee, se ne saremo capaci,  della possibilità offerta dal sistema proporzionale.Qualcuno potrà pure aspirare a un posto alle europee a noi “DC non pentiti”, ultimi dei mohicani DC, spetta il compito di tenere accesa e di rafforzare la fiamma della nostra migliore tradizione politica e di consegnarla alle nuove generazioni.”

Spero che non ci lasciamo trascinare da vecchi polemiche e reiterati pregiudizi. Contro il blocco populista nazionalista, oggi siamo di fronte allo sfascio della sinistra e alla fine dell’esperienza berlusconiana. Si tratta di costruire qualcosa di nuovo e di diverso e il documento di Verona (23 Giugno 2018) votato da me , Ivo Tarolli, Mario Mauro, Giorgio Merlo, Gianni Fontana, Domenico Menorello e altri è chiaro nell’indicare la prospettiva:

“ ………...Nella grande difficoltà a riconoscere, allo stato, la praticabilità di azioni organizzate su scale nazionale, si devono almeno giudicare negativamente i tratti propri dell’impegno dei popolari nella Seconda Repubblica, in cui è prevalso uno sterile protagonismo individuale rispetto ad una tensione unitaria e pluralista che sapesse reinterpretare, senza inutili e irrealistiche nostalgie, quell’antico, nobile e mai superato progetto culturale, sociale, economico politico, economico e etico dei “Liberi e Forti” di Sturzo e della migliore tradizione politica dei cattolici democratici.

Il passo possibile appare, quindi, la promozione di una piattaforma plurale, in direzione di una ’Unione per un Movimento Popolare (UMP) nel quale possano coordinarsi, liberamente e senza predefinite gerarchie organizzative, le diverse esperienze presenti in Italia che si rifanno ai valori della sussidiarietà. Un soggetto politico ampio, plurale, laico, democratico, popolare, europeista, trans nazionale,  impegnato a tradurre nella “città dell’uomo” gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa, in dialogo privilegiato con il PPE..

Un progetto che esalti nel suo abbrivio gli ideali e i contenuti che uniscono tante presenze rimaste isolate, disgregate o addirittura inespresse, assumendo l’economia sociale di mercato e l’economia civile quali strumenti essenziali in grado di porre a fondamento della politica la centralità della persona, della famiglia, dell’impresa e dei corpi intermedi;  l’alternativa alle logiche di certo turbo capitalismo finanziario che, subordinando alla finanza l’economia reale, sta distruggendo i ceti medi e le classi popolari, confinando la politica al ruolo subordinato al servizio dei poteri dominanti e riducendo la stessa democrazia a una formula vuota di significato.”

Questo è il più recente documento politico condiviso e sottoscritto con Gianni Fontana. Tutto il resto sono discorsi privi di qualsivoglia fondamento. Ora lavoriamo uniti per perseguire gli obiettivi indicati.

Tutto il resto,comprese le tue farneticazioni, sono espressione di un livore e di un pregiudizio che non fa onore a quella connotazione di “cristiano” che ti permette di chiamare in causa, senza senso, persino Nostro Signore. Vergogna e considera che, forse,  anche per questi tuoi toni   comprenderai il perché delle reazioni che dal Febbraio 2017 sono salite tra quei poveri ultimi mohicani cui è stato riservato il compito di traghettare il partito dal nulla verso una prospettiva nuova e positiva, certo, sin da oggi,  anche con il vostro contributo, sperando che si torni a ragionare senza schemi e pregiudizi deteriori. Rasserenati l’animo e riconduciamo tutti Insieme a razionalità il nostro confronto.

Cordialmente

Ettore Bonalberti
vecchio “ DC non pentito”

v. Documento a sostegno della candidatura di Renato Grassi alla segreteria della DC.doc



Renato Grassi è il nuovo segretario nazionale della DC

 

Si è svolto oggi a Roma presso la Casa delle suore domenicane Santa Maria Santissima il XIX Congresso nazionale della Democrazia Cristiana. I delegati regionali eletti nei precongressi regionali del partito hanno eletto alla segreteria nazionale del partito il dr Renato Grassi che subentra nella guida della DC a Gianni Fontana indicato ad assumere la presidenza del consiglio nazionale del partito.

Si è potuto così garantire una conclusione unitaria di un lungo percorso avviato nel  novembre 2012 che con la  disposizione del giudice Romano del tribunale di Roma ha visto riconoscere ai 1750 soci che nel 2012 confermarono la loro adesione al partito di cui erano stati iscritti nel 1992-93, il ruolo di naturali legittimi continuatori del partito che la sentenza della Cassazione 25999 del 23.12.2010 aveva definitivamente stabilito, senza alcuna possibilità di ulteriori ricorsi, che la DC “non è mai stata giuridicamente sciolta”.

La conclusione unitaria finale è rappresentata nella seguente mozione che accompagna la candidatura di Renato Grassi alla segreteria del partito con la lista degli 80 Consiglieri nazionali che sono stati eletti con 57 voti su 67 votanti, 3 schede bianche e 5 schede nulle.

Questa la mozione finale approvata:

“L’esperienza democristiana è stata la più straordinaria e significativa avventura politica del secolo scorso. Oggi che tale filone ideale e culturale, che unì anche e non solo i cattolici laici e i laici cattolici, è spento alla camera dei deputati e al senato della repubblica, il paese sente il vuoto senza speranza di tale rappresentanza. Dove sono le nostre intelligenze? Le nostre passioni? Di cosa abbiamo timore?

Va riproposto un progetto di società nel quale i diritti di tutti vengano difesi e i doveri di tutti attuati: insomma una nuova fase costituente dei doveri.

Vanno perciò superati le tentazioni nostalgiche accompagnate da silenziose lamentele.

E se i democristiani vorranno tornare ad essere protagonisti per il bene del paese, è giusto e necessario che, fin da questo XIX° congresso nazionale, la DC sia una tenda, un luogo includente e aperto a tutti i democristiani, senza costruzione di confini, senza preclusioni ed esclusioni. Un luogo politico aperto ai movimenti e alle associazioni di cattolici morali e cattolici sociali, come giustamente ci invita a fare il presidente della CEI, cardinale Bassetti, e aperto  ai movimenti laici di ispirazione cristiana.

 Ecco perché va sottoposta a verifica la possibilità di ricostruire-sotto l’unico nome e simbolo dello scudo crociato nella memoria dei Padri Fondatori che hanno fatto la Democrazia Cristiana,  l’unità di tutti i democristiani che sino ad oggi, in differenti modi e con diverse iniziative, hanno tuttavia tenuto desto il nome della DC dopo la diaspora del 1994.

Si tratta di ritornare INSIEME a quell’antico e nobile progetto culturale, sociale, economico politico ed etico dei “Liberi e Forti”.

Primo frutto del congresso sarà il tesseramento aperto a tutti coloro che vorranno partecipare a questo progetto e assumere sul serio “la politica come la più alta forma della carità” (PaoloVI) orientati dalla stella polare della Dottrina Sociale della Chiesa aderendo allo statuto e al codice etico della DC..

Coloro che per anni hanno speso con sacrifici tutte le loro energie per tenere in vita una piccola luce che ha illuminato la DC, oggi possono e devono trasformare tale luce in un faro, in modo da rendere visibile e chiaro che i democristiani  accoglieranno tutti coloro che, animati dallo stesso spirito,  vorranno “lavorare INSIEME per il bene comune dell’Italia senza partigianeria, con carità e responsabilità, senza soffiare sul fuoco della frustrazione e della rabbia sociale” (card.Bassetti).

I delegati eletti dai congressi provinciali  e regionali del partito che rappresentano i soci che nel 2012 decisero di confermare la loro adesione alla DC, sulla base del disposto del giudice Romano  sono i legittimi rappresentanti e continuatori della DC storicae

Il valore dell’unità raggiunta determinatasi nel congresso sull’inclusione dell’esperienza di Gianni Fontana e con il proposito di svilupparla ed accrescerla, costituisce la base per la ripresa di iniziativa politica dei cattolici democratici e per la ricomposizione dell’area popolare italiana. Il principio che ci guiderà, come è stato nella storia della migliore  DC,  è di “ servire all’interesse del Paese” corrispondente alla stessa Democrazia Cristiana.

Il Consiglio nazionale del partito è già stato convocato per sabato  27 Ottobre per gli adempimenti statutari inerenti all’elezione degli organi dirigenti del partito: presidente del consiglio nazionale, Direzione nazionale, segretario amministrativo.

Partirà così un’importante azione di mobilitazione di quanti nelle diverse realtà territoriali saranno interessati a offrire il loro contributo di impegno politico nel partito dei cattolici democratici e popolari italiani.

 

Roma,14 Ottobre 2018

 

 

 

Prima nota di commento all’esito del Congresso DC di Domenica 14 Ottobre 2018

 

"il politico guarda alle prossime elezioni, lo statista guarda alle generazioni future”, così ci ha insegnato De Gasperi. Noi, gli ultimi dei mohicani DC, quei poco più dei 1750 soci che nel 2012 decisero di riconfermare la loro adesione al partito, in base al disposto del giudice Romano, del tribunale di Roma, sono a tutti gli effetti gli eredi della DC storica.

Siamo una piccola fiammella, come quella minima dei fornelli a gas che: o riusciremo ad alimentarla, aumentandone l’intensità del fuoco o si spegnerà definitivamente.

Oggi il problema in Italia é l’esistenza di un blocco conservatore populista nazionalista al quale i cattolici democratici non possono che assumere una funzione di opposizione e di alternativa.

Si tratta di concorrere alla costruzione di un’alternativa democratica e popolare come quella che abbiamo individuato a Verona ( documento del 23 Giugno) e che ieri, seppur con qualche sofferenza personale, siamo riusciti a ricomporre nell’unità di quella preziosa fiammella che é ciò che rimane di vitale e con tutti i suoi limiti della DC storica.

Noi lavoreremo per la ricomposizione dell’area popolare e democratico cristiana, senza cedimenti a destra o a sinistra, utilizzando anche alle prossime europee, se ne saremo capaci,  della possibilità offerta dal sistema proporzionale.

Qualcuno potrà pure aspirare a un posto alle europee a noi “DC non pentiti”, ultimi dei mohicani DC, spetta il compito di tenere accesa e di rafforzare la fiamma della nostra migliore tradizione politica e di consegnarla alle nuove generazioni.

Un caro saluto,

 

Ettore Bonalberti

 

Venezia, 15 Ottobre 2018

 





Pubblichiamo un articolo dell'amico  Giorgio Merlo ( " La rete bianca") che condividiamo impegnati come siamo dal seminario di Verona (23 Giugno 2018) organizzato con gli amici di " Costruire Insieme " a costruire il nuovo soggetto politico ispirato ai valori dell'umanesimo cristiano.

Alternativa, parola magica?

In politica l'alternativa non va predicata ma, di norma, va praticata e coltivata. La bella
manifestazione organizzata dal Pd a Piazza del Popolo a Roma, al di là dei numeri annunciati un
po' a caso e come sempre capita, e' stato comunque un momento importante che può invertire la
tendenza politica disastrosa che ha guidato quel partito per oltre 4 anni. Con un accordo politico
quasi unanime, come tutti sanno e come è bene sempre ricordare. Malgrado oggi molti fingano di
non ricordare quello che è capitato concretamente per molto tempo. Ma, memori del vecchio detto
"chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato e scordiamoci il passato", adesso si tratta di capire se
un'alternativa dichiarata ripetutamente dal segretario protempore di quel partito e ripetuta con
forza di fronte agli iscritti accorsi a Roma, diventa la piattaforma concreta per dar vita realmente ad
una alternativa politica, culturale e programmatica.
Ci sono, al riguardo, 2 condizioni decisive per evitare gli errori del passato e, al contempo, per
inaugurare una nuova fase della politica italiana.
Innanzitutto e' tramontata definitamente la cosiddetta "vocazione maggioritaria" del Partito
democratico. Un partito che, al di là della convocazione pubblica degli iscritti, non è più in grado di
porsi come un soggetto egemone e maggioritario nella politica italiana. Dovranno prendere atto, al
di là dei sondaggi terrificanti che li raggiungono, che il Pd non è più quel soggetto politico capace
di rappresentare la stragrande maggioranza dei cittadini italiani sotto le sue bandiere. E tutti sanno
anche, al riguardo, che da quelle parti si confrontano, legittimamente, due strategie politiche
alternative e difficilmente componibili, salvo silenziarne una delle due. E cioè, quella renziana e
quella che va sotto il nome della rinascita della sinistra post comunista. Vedremo.
La seconda considerazione, altrettanto importante e decisiva, riguarda la capacità delle culture
politiche riformiste e costituzionali di dar vita a soggetti politici capaci di contribuire a creare un
'alleanza politica riformista e di governo autenticamente alternativa a chi punta a radicalizzare lo
scontro politico e a dividere il paese. A cominciare dalla tradizione cattolico democratico e cattolico
popolare. Sarà solo il dibattito politico concreto a dirci se questa doppia sfida politica sarà
perseguita sino in fondo o se, invece, prevarranno ancora una volta i vecchi difetti e le ormai
collaudate degenerazioni.
Come sempre, sarà solo la politica a sciogliere i nodi.

Giorgio Merlo

                                                       

 

Agli iscritti alla Democrazia Cristiana negli anni 1992 e/o 1993 componenti la lista indicata nell’atto del Giudice Guido ROMANO emanato il 13 dicembre 2016

 

Roma, 26 Settembre 2018

 

Oggetto:  celebrazione XIX Congresso  della Democrazia Cristiana

 

 

Gentili  amiche e cari amici,

sono lieto di comunicarvi  che il  XIX Congresso  della Democrazia Cristiana avrà luogo in prima convocazione alle ore 19.00 di sabato 13 Ottobre p.v.  e, in seconda  convocazione,             

 

Domenica  14  Ottobre 2018 alle ore 09.30

presso  la Casa Maria Santissima Assunta – Suore Domenicane

Via Casilina, 235  00176 Roma

 

ALCUNE NOTIZIE ORGANIZZATIVE

 

La sede del Congresso è così raggiungibile:

-       con Metro: da Roma Termini, direzione e discesa a San Giovanni, quindi  prendere la Metro C, fermata/uscita  Pigneto;

-       con auto propria:  vista la possibilità di parcheggio. Prendere la Tangenziale est, direzione San Giovanni uscita Piazza Lodi oppure Uscita 18 del Gra – direzione centro

-       con autobus: n.105 dalla stazione Termini (prima fermata dopo il ponte Casilino)

 

Chi desidera pernottare presso la struttura che ci ospita il sabato notte (13-10-2018), è pregato di inviare una mail  di prenotazione al seguente indirizzo: mosti.eleonora@gmail.com   entro il 5 Ottobre p.v. fino ad esaurimento disponibilità:

 

Camera singola con trattamento di pernottamento e prima colazione

Camera doppia con trattamento di pernottamento e colazione

Tassa di soggiorno a notte a persona

Arrivo  entro le ore 23,00

Per motivi organizzativi è necessario, inoltre, che  i soci non delegati che desiderino partecipare al Congresso, ne diano notizia inviando una e-mail a:  gianni.fontana44@gmail.com

Per chi desiderasse partecipare, alle ore 8,30, sarà celebrata la Santa Messa festiva presso la Cappella delle Suore Domenicane, immediatamente prima dell’inizio del Congresso.

 In attesa di incontrarci rivolgo  a tutti voi il mio saluto fraterno e bene augurante.

 

 

 

 

 

 

45,00

70,00

3,50

 

 

 

                                                                                                                                     f.to Gianni Fontana

 

 

Verso il Congresso nazionale della DC

 

In questi giorni si stanno completando tutti i congressi provinciali e regionali della DC per eleggere i delegati che parteciperanno, il prossimo 6 ottobre a Roma, al XIX Congresso nazionale del partito. Completeremo così l’itero indicatoci dal giudice  Romano del tribunale di Roma, il quale autorizzò l’assemblea  dei soci DC che, il 26 Febbraio 2017, elessero alla presidenza del partito, Gianni Fontana.

 

IL 6 Ottobre eleggeremo secondo le norme statutarie tutti gli organi del partito, dando finalmente pratica attuazione alla sentenza della suprema Corte di Cassazione n.25999 del 23.12.2010 con cui, confermando la sentenza della Corte di Appello di Roma, vennero respinte le presunzioni di eredità della DC che i diversi contendenti si attribuivano, per la semplice ragione che “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”.

 

Molti di quei ricorrenti non si arresero a quella sentenza definitiva e inappellabile, continuando un contenzioso che ci ha trascinato più volte nei tribunali, mentre la nostra rappresentanza istituzionale scompariva o, peggio, si annullava  nella commistione infelice con altri partiti di destra o di sinistra, sostanzialmente ridotta all’irrilevanza.

 

Ora, con la buon volontà di tutti, ci auguriamo che con la conclusione del nostro percorso avviato nel 2012, si possa compiere il miracolo per cui ci battiamo da oltre vent’anni; ossia la ricomposizione dell’area popolare e il ritorno in campo della cultura politica cattolica e popolare nel nostro Paese.

 

Non ci muove un sentimento nostalgico regressivo, come abbiamo scritto più volte, ma la lucida constatazione del deserto delle culture politiche oggi in Italia e in Europa e la necessità di proporre una cultura ispirata ai valori della dottrina sociale cristiana, rivelatasi l’unico serio antidoto alle degenerazioni del turbo capitalismo finanziario dominante. Un dominio che sta riducendo alla miseria progressiva il ceto medio e le classi popolari in tutto il mondo. Serve un serio cambio di passo e la totale disponibilità a mettere da parte ciò che ancora ci divide e valorizzare sino in fondo ciò, ed è assai di più, che ci unisce.

 

Ecco perché ieri a Mestre, celebrando i congressi regionali dei delegati del Collegio del Nord Est( Veneto-Friuli Venezia Giulia- Trentino AA.AA- Emilia e Romagna) ho indicato un possibile percorso, accolto unanimemente dai delegati presenti, che tenga conto di ciò che è stato positivamente seminato  negli ultimi anni.In estrema sintesi:

 

il 6 Ottobre celebrazione del nostro congresso, ossia quello degli iscritti DC 2012-2013 che decisero di riconfermare la loro iscrizione al partito già in essere nel 1992 -93, per l’elezione degli organi dirigenti del partito;

 

subito dopo il nostro congresso ( come per la verità già ci impegniamo da tempo): apertura immediata del collegamento con tutte le altre formazioni che si ispirano alla DC ( UDC-CDU- Rivoluzione Cristiana- nuova Federazione dei DC costituita a Pescara nei giorni scorsi) per celebrare insieme una grande assemblea dell’area cattolico popolare e porre fine alle querelle su nome, simbolo dello scudo crociato e alle divisioni suicide e per definire la proposta politica e programmatica della DC al Paese;

 

apertura, quindi, di un tesseramento  nazionale alla DC con l’invito rivolto  a tutti gli italiani di buona volontà, per celebrare insieme il 18 Gennaio 2019, in occasione del centenario dell’Appello sturziano ai “ Liberi e Forti”, il Congresso nazionale unitario della Democrazia Cristiana italiana.

 

Sarebbe tutto semplice se, come già accadde alla vigilia del 4 Marzo 2018 per le elezioni politiche, non avessimo da affrontare il 23-26 Maggio 2019 le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Una data che ci auguriamo, lungi dal solleticare gli egoismi e le chiusure aprioristiche di pochi, stimoli la più ampia collaborazione e volontà di procedere insieme.

 

Occasione troppo ghiotta per eluderla, essendo vigente la legge a tutti noi cara del proporzionale puro  con preferenze e la possibilità di misurare esattamente il consenso che una rinnovata proposta politico programmatica di ispirazione popolare, è in grado di conquistare in Italia e in Europa.

 

Sarà quello delle prossime elezioni europee il tema dominante del Congresso nazionale di Gennaio 2019. Un tema che avremo modo di approfondire nei prossimi giorni, partendo dalla constatazione che l’Unione europea si è sviluppata e consolidata secondo il prevalere degli orientamenti politico culturali del manifesto di Ventoténe e non secondo quelli dei padri fondatori cristiano democratici: Adenauer, De Gasperi, Monet e Schuman .

 

In ogni caso, tuttavia, dovremo tener conto di due condizioni da rispettare:

 

1)                quella di unire tutte le forze che si ispirano ai valori dell’umanesimo                           cristiano;

2)                quella restare inseriti nel PPE da far tornare ai valori dei padri fondatori.

 

Ci aiuteranno in questo percorso le unanimi conclusioni che, con Ivo Tarolli, Giorgio Merlo, Mario Mauro, Giani Fontana, Gianfranco Rotondi, Domenico Menorello e tanti altri, abbiamo raggiunto nel recente seminario di “ Costruire Insieme” a Verona il 13 Giugno scorso.

 

In Italia tutti i vecchi schemi sono saltati. Noi democratici cristiani condividiamo largamente un giudizio severo contro l’attuale governo giallo-verde, e la necessità di concorrere alla costruzione di un’alternativa democratica e popolare.

 

Quanto all’Europa  di una cosa siamo certi: i cattolici democratici e i popolari non possono unirsi al coro dei sovranisti e nazionalisti,  ma restare ben saldi nella difesa della costruzione europea che, come ho ampiamente descritto nel mio ultimo saggio:  Elezioni europee- “La visione dei Liberi e Forti “ (https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/422618/elezioni-europee/), dovrà essere profondamente riformata, con l’impegno di tutti i Popolari e riformisti europei nel segno dei valori dei padri fondatori democratico cristiani.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 24 Settembre 2018

 

 

 

 

Francesco, l'alternativa è la regressione.

 

di Giorgio Merlo

 

Che sia in atto, da tempo, un attacco al magistero di Papa Francesco e' fuor di dubbio. Molti sono gli elementi ormai che raccontano di questi attacchi. Ripetuti e sempre più insistenti. E la recente denuncia di Monsignor Vigano' non è che l'ultimo e più insidioso. Anche se proviene, come tutti sanno, dal fronte reazionario e conservatore della Chiesa cattolica.

Ora, al di là delle singole accuse e degli attacchi mirati o al magistero o alla persona del Papa, e' indubbio che l'obiettivo di questa campagna martellante e quasi ossessiva e' una sola: e cioè, quella di indebolire la figura di Bergoglio. Una voce che, è bene ribadirlo, continua ad essere forte e potente, nonché profetica e carica di speranza. Un magistero, quello di Bergoglio, che ha indubbiamente, almeno sino ad oggi, cercato di rivoltare come un calzino l'immagine e la percezione della Chiesa in Italia e nel mondo. Un magistero che si è contraddistinto a partire dallo stile concreto di vita di Bergoglio.

E la pubblica opinione, credenti o non credenti che siano, si sono immediatamente immedesimati con le parole e il messaggio del Papa al punto che e' stato individuato come un "leader" mondiale non solo per i cattolici ma per tutti coloro che in questa fase storica lavorano per una maggior giustiziata sociale, per un vero riconoscimento del pluralismo culturale, religioso e, soprattutto, per il rispetto rigoroso della centralità della persona. In qualsiasi momento e in qualsiasi contesto storico, culturale e politico.

E forse è proprio questa la ragione centrale dell'attacco spietato contro Francesco e il suo insegnamento. Un insegnamento semplice ma profondo e destinato a segnare il cammino e il viaggio dei credenti in un contesto storico sempre più secolarizzato e scristianizzato.

 È per questa semplice ragione che il suo magistero va difeso senza se e senza ma, come si suol dire. E questo non solo per lo stile di vita sobrio e austero del Papa in un contesto dove, purtroppo, abbondano comportamenti e stili diametralmente opposti rispetto a ciò che si predica quotidianamente nelle chiese. Ma, semmai, per la semplice motivazione che l'insegnamento di Francesco ha colto gli aspetti centrali che caratterizzano la società contemporanea e i grandi temi che sono sul tappeto e che la stessa politica non riesce a dare una risposta convincente se non inseguendo le emergenze e cavalcandole con rabbia e violenza verbale. Certo, da Francesco non arrivano ricette politiche o di governo. Ma l'ispirazione che anima le sue riflessioni, i suoi interventi e i suoi documenti non possono essere sottovalutati dalla politica e dagli stessi governi.

Nessuna inclinazione clericale o confessionale ma la responsabilità e la consapevolezza che le questioni poste sul tappeto da Bergoglio non possono essere semplicisticamente aggirate o nascoste. E questa assunzione di responsabilità deve essere messa in campo soprattutto da quei cattolici che non si rassegnano ad una grigia difesa dell'esistente o alla declinazione stantia ed insignificante del politicamente corretto.

 Lo stesso invito, ripetuto e forte, ad un rinnovato impegno dei cattolici nella politica contemporanea e' la conferma che Francesco non guarda ai "partiti cattolici" ma ad una presenza laica dei credenti nel pubblico che sia in grado, però, di recuperare la cultura e l'insegnamento cattolico. Per non parlare dei profondi cambiamenti che Francesco e' riuscito ad innescare nel campo teologico e del necessario ed indispensabile aggiornamento ed ammodernamento della stessa dottrina della Chiesa.

Dunque, la somma di questi elementi sono la cifra della modernità e soprattutto della attualità del magistero di Francesco. E sono anche all'origine - senza il forse dubitativo - degli attacchi concentrici, e appunto sempre più insistenti, contro la persona di Francesco. Un attacco che va respinto con fermezza e determinazione perché la posta in gioco - seppur altissima - e' una sola. E cioè, preparare un ricambio conservatore, se non reazionario, alla guida  della Chiesa cattolica.

Questa è la vera ragione politica, se la vogliamo definire così, che è in gioco quando si parla di papa Bergoglio, degli attacchi concentrici contro la sua persona e il suo prezioso magistero che ormai è riconosciuto in quasi tutto il mondo. La sua non può ridursi ad una difesa d'ufficio dei cattolici, a cominciare dai cattolici italiani. Ma, al contrario, la consapevolezza che l'alternativa a Francesco, oggi, non può che essere una regressione sul terreno teologico, pastorale, religioso, politico e culturale. Il resto è tutto secondario.

 

Torino, 11 Settembre 2018

 

 

Incontro DC di Bologna 8 Settembre 2018

Nota di commento  con sintesi dell’intervento di Ettore Bonalberti

 

Ho partecipato con interesse all’incontro convocato insieme al Prof Luciani da Alessi, Grassi, Gubert, Lucchese e Napolitano, l’8 Settembre scorso a Bologna, presso l’Istituto del card Lercaro “Veritatis Splendor”.

Obiettivo dell’incontro: esame delle procedure a sostegno del congresso della DC convocato dall’assemblea dei soci per Sabato 29 Settembre e in vista del tesseramento da parte della direzione nazionale.

Coordinatore e moderatore dell’incontro, il Prof Nino Luciani che ha suddiviso il dibattito in tre momenti:

1)             comunicazione di Mauro Carmagnola, coordinatore delle operazioni pre-congressuali nel collegio del Nord-Ovest;

2)             comunicazione di Ettore Bonalberti sul tema: “Obiettivi politici nazionali ed europei”;

3)             comunicazione del prof Antonino Giannone sul tema: “Documento dell’ Assemblea dei soci del 16 giugno 2018”. Ricostruzione giuridica della DC e abbraccio politico di tutte le DC.

All’incontro è intervenuto, tra gli altri, l’avv. Cerenza a nome degli amici della neonata Federazione dei DC guidata da Gianfranco Rotondi.

 

Ottimo il lavoro svolto dall’amico Carmagnola che, con il congresso provinciale della provincia di Milano da           tenersi  nella stessa serata di Sabato 8 Settembre, sta per concludere le operazioni congressuali del collegio del Nord-Ovest .

Ottima anche la relazione del prof Antonino Giannone di cui alleghiamo scheda di sintesi.

Da parte mia ho svolto la seguente riflessione:

 

In una nota sul mio profilo facebook il 2 settembre scorso avevo scritto:

 

Dopo l’8 Settembre 2018 si profila uno tsunami nella politica italiana. Il governo giallo verde alle prese con scelte di politica economica incompatibili è a rischio di implosione; ciò che accadrà nella Lega, con la sentenza di Genova e l’annuncio del nuovo partito della destra, e nel PD, da cui non è irragionevole ipotizzare la nascita di un partito della sinistra e una spaccatura con la componente moderata renziana, sono elementi propri di una fase che Aldo Moro definirebbe di “ scomposizione e ricomposizione”.
Con la probabile rottura di Forza Italia, una parte della quale attratta dalla sirena leghista salviniana e quella possibile del PD, si aprirà uno spazio grande al centro dove sarà indispensabile la presenza di una vasta area unitaria di ispirazione cattolica e popolare. Le prossime elezioni regionali e quelle europee del Maggio 2019 saranno il banco di prova del nuovo assetto politico dell’Italia dopo quanto è accaduto col voto spartiacque del 4 Marzo 2018
.”

 

Staremo a vedere, anche se ogni giorno e addirittura ad horas cambiano le dichiarazioni degli esponenti del governo, sempre più necessitati a fare i conti con la dura e irrevocabile prova della realtà effettuale, contro la propaganda su cui hanno sin qui basato, riuscendoci, le loro fortune elettorali.

 

Probabilmente le ragioni del potere e della sua sistematica occupazione finiranno col prevalere su quelle del rispetto delle promesse elettorali, ma attendiamo di conoscere la realtà dei conti scritta nei documenti di programmazione economica e di bilancio che dovrebbero essere presentati quanto prima e i contraccolpi che si determineranno a livello esterno, dove permane e si rafforza il potere dei gruppi finanziari dominanti. Quei poteri che dopo la riunione sul panfilo Britannia dell’estate 1992, si è reso esplicito come dominino con la finanza, l’economia e la stessa politica, ridotta ad ancella subalterna e, in molti casi con suoi esponenti più illustri al loro libro paga ……

 

Da lì, come mi ricordò il compianto amico Marcello Di Tondo in una lettera di molti anni fa , dobbiamo ripartire:

“In quell’ occasione, scriveva Di Tondo,   (sapientemente ed intelligentemente tratteggiata da una intervista che Giulio Tremonti rilasciò a Maria Latella del  Corriere della Sera il 23 luglio 2005) fu stabilito un accordo tra i poteri massonici nazionali ed internazionali ed i post comunisti, eredi diretti del Pci, sulla base del quale alla sinistra sarebbe andato il controllo economico e politico del Paese ed alla massoneria il controllo economico e finanziario.

Si mise così in moto un processo, conosciuto come “Mani Pulite” che spazzò via  in pochi mesi la DC ed i suoi alleati (Psi, Psdi,  Pri e Pli) che avevano governato il Paese sino ad allora, pur con evidenti limiti a partire dalla seconda metà degli anni ’80, riuscendo nell'incredibile impresa di portare l'Italia, dalla desolazione di una nazione sconfitta e distrutta dell’immediato dopo guerra, al 5° posto tra le maggiori economie mondiali.

Ma quei Partiti rappresentavano, in quel momento, l’ostacolo politico ed istituzionale per la realizzazione di quel progetto.

Contemporaneamente, fu accelerato il percorso di privatizzazione di banche e di società a controllo pubblico per oltre 100.000 miliardi di vecchie lire, processo preparato ed avviato, nei primi anni ‘90, dai Governi Ciampi e Amato.

La variabile non prevista, fu l’entrata in campo politico, alle elezioni del 1994, di Silvio Berlusconi che, rompendo gli schemi e gli accordi che erano stati siglati, sconvolse il quadro generale ed introdusse una forte ed imprevedibile variabile allo schema prospettato sul Britannia.

Da quel momento, prosegue Di Tondo, iniziò la sconvolgente persecuzione giudiziaria di Silvio Berlusconi.

Ricorderò in proposito come proprio il duo Barucci-Amato nel 1992, con un decreto legislativo, pose fine alla legge bancaria del 1936 che, come la Glass Steagall americana del 1932, aveva sancito il controllo pubblico di Banca d’Italia e la separazione tra banche di prestito e banche d’affari (legge sempre difesa gelosamente dalla DC e dal governatore Guido Carli), dando così libertà assoluta al potere degli hedge fund anglo-caucasici (kazari) che, de facto, controllano le banche nazionali dell’Unione e la stessa Banca centrale europea.

Consiglio al riguardo la lettura di alcuni saggi quali:

 

1)             Daniel Estulin: “ Il club Bilderberg-La storia segreta dei padroni del mondo-Arianna editrice

2)             Pietro Ratto: “ Rothschild e gli altri- Dal governo del mondo all’indebitamento delle nazioni: i segreti delle famiglie più potenti”- Arianna editrice

3)             Ettore Bonalberti:  “ Elezioni europee: la visione dei Liberi e Forti”

https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/422618/elezioni-europee/

Il voto del 4 Marzo 2018 ha segnato, in ogni caso,  la fine della Seconda Repubblica e l’avvio di una confusa fase politica che,  salvo eventi speciali prossimi, ci accompagnerà sino alle prossime elezioni europee (23-26 Maggio 2019). Una fase caratterizzata in Italia e in Europa dallo scontro tra “sovranisti” e “europeisti” di diversa sensibilità politico culturale.

 

 

 

Come è potuto accadere tutto ciò?

 

La lunga stagione del berlusconismo e dell’anti berlusconismo che ha caratterizzato quella fase che è schematicamente connotata come “seconda repubblica” ( 1994-2018) conclusasi con i governi tecnici di Monti, Letta e Renzi (questi ultimi sostenuti dalla centinaia di mercenari transumanti parlamentari) celebra il uso epilogo il 4 Marzo scorso, col voto di appena il 50% degli elettori aventi diritto e con una innovativa formula all’interno del tradizionale trasformismo politico italico.

E’ successo, infatti, che la Lega, presentatasi in alleanza del centro destra con Forza Italia e Fratelli d’Italia, raggiunge come coalizione la maggioranza relativa dei voti, ma, alla fine, autorizzata obtorto collo dal Cavaliere e con l’ondivaga benedizione della Meloni, compie la “fuitina” con il M5S, dando vita al governo giallo-verde a guida dell’ennesimo presidente non eletto, il prof Conte. Un governo espressione di un’aggiornata versione del trasformismo politico che, in questo caso, si realizza prima ancora che le due Camere siano insediate.

Di qui la formazione di un nuovo e anomalo sistema bipolare che si caratterizza nello scontro suddetto tra “sovranisti”- nazionalisti e europeisti di diversa provenienza politico culturale.

La saldatura tra il malessere sociale del meridione, rappresentato dal voto largamente maggioritario al M5S e quello del ceto medio, in crisi profonda al Nord come nel resto del Paese, avviene, alimentata anche dalla diffusione di un “sentimento comune” di frustrazione e di rabbia collegato, da un lato, alla condizione di anomia complessiva vissuta dagli italiani, e, dall’altro, dall’amplificazione del disagio e insofferenza prodotti da un’immigrazione senza controlli e soluzioni di integrazione efficienti ed efficaci.

Di qui il prevalere di una condizione che ricorda quella citata da Alessandro Manzoni nel capitolo  XXXIL de “ I Promessi Sposi” nel quale, riferendosi al caso delle ragioni della peste, don Lisander scriveva: “ il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”.

 

Una cosa, però, è certa: difficile per Salvini conservare il ruolo di partner di un governo dove dai grillini ogni giorno di più sembrano emergere soggetti “pieni di presunzione e di vuota arroganza senza intelletto”, con proposte altalenanti e ondivaghe sempre più contrastanti con gli interessi e i valori di una base elettorale leghista lontana mille miglia da quelli espressi dai parlamentari pentastellati. E’ altrettanto difficile che possa durare una situazione nella quale il ministro degli interni, che dovrebbe essere il garante della legge per tutti i cittadini, trasforma la sua sede e funzione istituzionale nel pulpito di propaganda permanente per il suo partito di cui è il leader, sino ad utilizzare per un incontro definito solo “politico” e non istituzionale,  quello con il capo del governo ungherese Orban , alla prefettura di Milano.

 

Situazione, infine, aggravata dal conflitto apertosi con la magistratura, sia sul versante del blocco e ristorno dei 49 miliardi di finanziamento pubblico alla Lega di Bossi e Belsito, che sull’avviso di garanzia per “sequestro di persona” ricevuto dalla procura di Agrigento per il caso della nave Diciotti della Guardia costiera italiana bloccata al porto di Catania  per cinque giorni.

Una situazione di conflitto istituzionale tra Magistratura e Governo, unica nella sua gravità nella storia della Repubblica italiana.

Il presidente Ciriaco De Mita alcuni giorni or sono, il 29 agosto, in un’intervista al Corsera così titolata : «M5S e Lega sono solo azione e il Pd è fermo». L’identità democristiana:  di Tommaso Labate”,  ha dichiarato:« Quando iniziò il declino della Dc, e a un convegno si discuteva su quello che bisognava o non bisognava fare, chiusi il mio intervento citando un poeta spagnolo: “Quando morirò, seppellitemi con la mia chitarra”. Da allora sono passati quasi trent’anni. E visto che sono ancora in tempo per cambiare idea, cambio il messaggio. Quando morirò, seppellitemi con un biglietto in cui c’è scritto “sono stato democristiano”». Poi Ciriaco De Mita ha un riflesso talmente rapido che di anni, invece che 90 e mezzo,, sembra ne abbia tanti di meno. Come se una nota della frase gli fosse apparsa stonata, da riscrivere.:«Aspetti. non “sono stato”. Nel biglietto ci dev’essere scritto “sono democristiano”, al tempo presente».

C’è nelle parole del vecchio e sempre lucidissimo leader DC l’idea di un ritorno della cultura politica di ispirazione DC e popolare.

 

Sì, ne siamo convinti anche noi:  se solo il 50 % degli italiani va a votare e la stragrande maggioranza sceglie M5S e Lega unendo il dramma dei diseredati del Sud con la condizione di crisi del ceto medio al Nord come nel resto dell’Italia, è evidente che al centro, con la crisi irreversibile di Forza Italia, si apre uno spazio enorme nel quale serve far tornare in campo la cultura cattolica e popolare, unica autentica proposta alternativa al turbo capitalismo finanziario dominante, basandosi sulla dottrina sociale della Chiesa declinata tra la fine del secolo scorso e gli inizi del XXI dalle encicliche di Papa Giovanni Paolo II ( Laborem exercens (1981) e Centesimus Annus (1991); Papa Benedetto XVI “ Caritas in veritate” (2009) e Papa Francesco “ Evangelii gaudium (2013) e “ Laudato Si” (2015).

 

Non è quindi per un sentimento regressivo di nostalgia che dal 2012 andiamo proponendo la ricostruzione della DC, ma nella convinzione che quella cultura, quella politica aggiornata dal contributo della dottrina sociale cristiana degli ultimi Papi, e rinnovata nella classe dirigente, serva al Paese.

Siamo anche convinti che questo nostro passaggio del 29 settembre prossimo è un tassello, seppur importante, di un più ampio mosaico che si dovrà costruire così come abbiamo indicato con Tarolli, Merlo, Fontana, Mauro e Menorello e tanti altri a Verona il 23 Giugno scorso.

 

Gianfranco Rotondi, “più furbo che santo”, ha voluto anticipare con Pescara l’avvio di una riunificazione tra lui, Sandri, Cerenza e De Simone con l’incontro di quelli che la sentenza della Cassazione aveva dichiarato non essere gli eredi della DC storica “ partito mai sciolto giuridicamente”. Credo, tuttavia,  che tutto ciò che va nella direzione della ricomposizione sia un fatto positivo e a Rotondi ho risposto nei giorni scorsi a una sua cordiale mail  così: Caro Gianfranco, grazie per la tua cortese risposta alla mia sollecitazione. Ieri ero a Roma e ho avuto casualmente l’opportunità di incontrare Lorenzo Cesa che, credo, non avesse ancora letto la mia mail cui tu fai riscontro. Un breve saluto e un veloce scambio con reciproca conferma delle intenzioni di unità.

Gli ho ribadito quanto avevo già scritto e trovo condiviso nelle tue conclusioni. Noi, se riusciremo a rispettare i termini, il 29 settembre p.v. svolgeremo il nostro congresso interno per dare definito assetto agli organi del partito che, contrariamente a quanto da te sostenuto, dal 2012 continuiamo a ritenere si possa e si debba far rivivere, secondo un’interpretazione della sentenza della Cassazione che, ovviamente, diverge da quella da te data.

Resta il fatto che questi nostri piccoli e ormai incomprensibili duelli dialettici e giurisdizionali stanno diventando, oltre che inutili, persino patetici, se consideriamo la grave situazione politica generale del Paese e dell’Europa. Una situazione che reclamerebbe una vigorosa ripresa di iniziativa politica della cultura cattolico popolare, come da più di vent’anni vado predicando come un ormai stanco ed errante don chisciotte di periferia…..(vedi il mio  sito: www.don-chisciotte.net nella sezione le note di ettore bonalberti dal 2007 ad oggi…)

Credo che dopo il 29 settembre la proposta da te indicata e già da me a suo tempo sostenuta vada portata a compimento, non per l’obiettivo di qualche egoistica personale garanzia di candidatura, ma per concorrere alla costruzione della più ampia unità della vasta realtà cattolico popolare e democratico cristiana, che possa realizzare una più larga convergenza con le forze democratiche laiche e liberali, ispirate dai valori dell’umanesimo cristiano e accomunate dalla volontà dell’attuazione integrale della Costituzione repubblicana, in alternativa allo squallore del populismo oggi al potere, nel quale  ogni giorno di più sembrano emergere soggetti pieni di presunzione e di vuota arroganza senza intelletto” . Sono le conclusioni che con gli amici Tarolli e Merlo e con lo stesso Gianni Fontana abbiamo condiviso al seminario di Verona organizzato dagli amici di “Costruire Insieme” il 23 giugno scorso (conclusioni che avevi anche tu condiviso).

Nutro una forte speranza che anche gli amici Cesa e Fontana siano pronti  a convergere su tale prospettiva per celebrare INSIEME in tempi brevi una grande assemblea nazionale di riunificazione di tutti i democratici cristiani italiani. Analogo invito lo estendo, ovviamente, anche all’amico Mario Tassone, “DC non pentito” come tutti noi.

Un loro intervento esplicito in tal senso sarebbe oltremodo auspicabile.”

 

Anche l’avv. Cerenza nel suo intervento a Bologna ha confermato la volontà di giungere all’unità di tutti i DC e a lui ho sottolineato che non si tratta di “aprire le porte della neonata federazione dei DC a chi ne ha la volontà”, quanto, semmai, di trovarci tutti insieme negli annunciati stati generali dei DC italiani a Novembre e ripartire da lì per concorrere a costruire con l’unità di tutti i DC italiani quella più ampia alleanza cattolica, popolare e liberale di cui al documento di Verona.

 

Quanto all’Europa, ho approfondito il tema nel mio ultimo saggio citato: “Elezioni europee: la visione dei Liberi e Forti”.

 

Partendo dalla considerazione che il potere reale è oggi nelle mani di un gruppo di famiglie ( comitato Bilderberg, hedg fund anglo caucasici (kazari) con sede legale nella city londinese di loro proprietà e sede fiscale nel Delaware a tasso zero, proprietari della Federal reserve, della Banca centrale europea e delle banche nazionali di quasi tutti i Paesi UE) esaminati i rapporti tra sovranità nazionale e sovranità europea ( illegittimità del fiscal compact, tesi Guarino e folle introduzione voluta da Monti del pareggio di bilancio con modifica dell’art 81 della Costituzione)  e tra sovranità monetaria e sovranità nazionale, sostengo che si tratta di riportare alla luce gli ideali dei padri cattolici e democratico cristiani dell’Europa: Adenauer, De Gasperi, Monet e Schuman, contro gli orientamenti del “ Manifesto di Ventoténe” laico, socialista, anticristiano che alla fine è prevalso nell’Unione europea.

Consiglio a tutti la lettura del 9° Rapporto sulla dottrina sociale della Chiesa nel mondo, quest’anno dedicato proprio al tema. “ Europa- la fine delle illusioni” da cui ho tratto spunto per il mio saggio sulle prossime elezioni europee.

 

Quel mio saggio  termina con questa speranza:

 

“ Le indicazioni di Papa Francesco, Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II, sono quanto mai decisive per orientare le scelte di coloro che si sentono continuatori e testimoni della cultura politica di ispirazione cristiano sociale e popolare in Italia e in Europa.

Da quanto abbiamo descritto nei capitoli precedenti appare evidente l’esigenza di una seria riforma della costruzione europea sia dal punto di vista istituzionale, della governance e, soprattutto, sulle politiche economiche e finanziarie da sottrarre

ai condizionamenti giugulatori dei poteri finanziari dominanti.

Trattasi di un compito politico e culturale straordinario al quale noi popolari italiani ed europei, soci fondatori, prima della CEE e dell’Unione europea, abbiamo il dovere di offrire il nostro prezioso contributo senza il quale l’attuale costruzione è destinata a sicuro fallimento.

E dovremo farlo insieme alle altre culture laiche e liberali, riformiste di ispirazione democratica che condividono i valori dell’umanesimo cristiano.

Sappiamo di essere minoranza all'interno dell’Europa e consapevoli, quindi, della necessità di concorrere con altre culture politiche laiche, democratiche e liberali a sostenere proposte di riforma istituzionali, economico sociali e finanziarie, senza le quali l'Europa rischia l'autodistruzione. Nella crisi dei due storici raggruppamenti, che hanno sin qui esercitato una funzione prevalente nella UE (PPE e PSE), il ruolo dei movimenti Italiani che si riconoscono nel PPE può risultare rilevante.

Molte iniziative si sono avviate in Italia e, in taluni casi, consolidate grazie agli amici della DC storica impegnati, sin dal 2012, nella ripresa politica del partito dello scudo crociato, dopo che la Cassazione ha definitivamente sentenziato che quel partito "non è mai stato giuridicamente sciolto" (sentenza n. 25999 del 23.12.2010); a quelli dell’associazione "Costruire Insieme" presieduta dal sen. Ivo Tarolli, della "Rete Bianca" con l'on. Giorgio Merlo e altri amici ex PD e di molte altre associazioni, movimenti e gruppi dell’area cattolica e popolare, interessati a ricostruire "l’unità possibile dei popolari entro un soggetto politico nuovo, ampio e plurale, democratico, popolare, europeista e transnazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori"

In un seminario tenutosi a Verona il 23 Giugno scorso, organizzato dall’associazione "Costruire Insieme", è stato approvato un documento nel quale si è riscontrata "l’unanime condivisione dei partecipanti per la promozione di una piattaforma

plurale, in direzione di un'Unione per un Movimento Popolare (UMP) nel quale possano coordinarsi, liberamente e senza predefinite gerarchie organizzative,

le diverse esperienze presenti in Italia che si rifanno ai valori della sussidiarietà.

Un soggetto politico ampio, plurale, laico, democratico, popolare, europeista, trans nazionale, impegnato a tradurre nella 'città dell’uomo' gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa, in dialogo privilegiato con il PPE". Il documento porta la firma di Ettore Bonalberti (ALEF-Associazione Liberi e Forti), Gianni Fontana (DC), Mario Mauro (Popolari per l’Italia), Domenico Menorello (Energie per l’Italia), Gianfranco Rotondi (Rivoluzione cristiana) e Ivo Tarolli (Costruire Insieme) e di molti altri amici presenti all’incontro.

Una delegazione guidata dal sen. Ivo Tarolli si era incontrata il 23 Maggio a Bruxelles con Joseph Daul, Presidente del PPE, nella sede del Partito Popolare Europeo, con "l’obiettivo di mettere in collegamento Costruire Insieme, che da alcuni anni opera al servizio della riaggregazione della grande area dei cristiano popolari, con i vertici del Partito Popolare Europeo" - "poiché l’Europa è ritenuta il crocevia indispensabile per un realistico progetto di ripresa del nostro Paese".

Un incontro è anche in cantiere con altri amici italiani ed europei dell’area popolare presenti nel Parlamento europeo, al fine di verificare le condizioni per la ricomposizione di tutta l’area di ispirazione e cultura politica popolare italiana.

Forse c’è ancora una speranza che proprio dall’Italia possa ripartire un "nuovo inizio "insieme ai tanti Popolari interessati a tradurre nella "città dell’uomo" gli orientamenti pastorali della dottrina sociale della Chiesa, unico vero antidoto alle storture e alle ingiustizie del turbo capitalismo finanziario dominante”.

 

Quali indicazioni  dei Popolari allora, si possono  formulare per la nuova Europa?

 

Nostro obiettivo sarà di proporre la visione dei padri fondatori di ispirazione cattolica e popolare, innanzi tutto all’interno del PPE in preda a una pericolosa deriva con l’ingresso di Orban e soci, considerando l’Unione Europea una conquista fondamentale da difendere in maniera assoluta, ma da rilanciare con:

a)                   una nuova governance che trasferisca il potere legislativo primario del consiglio dei capi di Stato e di governo al parlamento europeo;

b)                   un’ unione fiscale ed una difesa militare comune;

c)                    una comune piattaforma per l’istruzione e la formazione del capitale umano delle giovani generazioni sulla quale gli Stati membri aggiungano le specificità nazionali per costruire il futuro cittadino europeo;

d)                   una nuova disciplina dei mercati finanziari e politiche fiscali e normative capaci di favorire l’uso produttivo del capitale a fronte del suo smodato uso finanziario con la Banca centrale europea, sottoposta al pieno controllo pubblico, dotata del potere di intervento di ultima istanza e capacità di emissione della moneta unica europea;

e)                   una forte spinta alla innovazione tecnologica approntando modifiche anche all’istruzione primaria, secondaria e professionale epr garantire nuova offerta occupazionale qualificata;

f)                    una politica estera incentrata:

                                   

1)   sul Mediterraneo e sull’Africa, continente nel quale l’occidente democratico ed in particolare l’Europa deve ridare a quelle popolazioni quanto esse hanno dato all’Occidente negli ultimi secoli per la sua crescita economica;

2)   una nuova e più penetrante interlocuzione politica ed economica con il continente asiatico senza mai dimenticare i legami storici con il popolo americano;

3)   una politica consapevole dell’incosciente sfruttamento delle risorse del pianeta per garantire aria, acqua, cibo e salute marina alle future generazioni ed una manutenzione dell’assetto idrogeologico di un Paes come l’Italia afflitto da una diffusi sismicità, con un piano ventennale di interventi strutturali.

 

Da parte sua l’Italia e il suo intero sistema politico devono riscoprire:

 

a)    quel minimo denominatore sul quale costruire la coesione nazionale che resta il patrimonio comune di un paese democratico in un clima di assoluta sicurezza delle persone e delle cose;

b)   l’impegno tra tutte le forze politiche per l’attuazione integrale della Costituzione a partire dall’art 49 sulla vita democratica interna dei partiti,  oggi caratterizzati dal dominio di tipo bonapartistico di alcuni, fino, come nel caso del M5S, dal controllo esterno di società commerciali finalizzate al profitto,  detentrici delle piattaforme informatiche cui gli eletti devono una sostanziale sottomissione e  pagare il richiesto tributo ;

c)    la forza di una democrazia parlamentare moderna che sappia formare maggioranze di governo che siano anche maggioranze del paese evitando l’illusione di affidare a tecnicalità elettorali il superamento delle difficoltà politiche. Una democrazia parlamentare è tale perché le maggioranze si formano e si smontano in Parlamento e non nell’urna o, diversamente, fare una scelta coraggiosa di una democrazia presidenziale all’americana con pesi e contrappesi. Tertium non datur. Infine è tempo che il Paese riscopra con un sussulto di orgoglio una nuova stagione di diritti e dei doveri di ciascuno di noi, consapevoli dell’ammonimento di Aldo Moro: “Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”,

 

Ampio il dibattito  seguito alle tre relazioni, nel quale, oltre agli amici Cerenza, Andreasi, Gubert, Tanari, Cugliari, Toscano, D’Agrò, Bittoto e molti altri, è intervenuto l’amico Luigi Baruffi sull’indicazione del quale tutta l’assemblea è stata unanime: la celebrazione del prossimo congresso degli iscritti alla DC 2012, già annunciata per il 29 settembre prossimo, è l’ultima tappa, dopo la quale, se, per qualunque ragione e responsabilità venisse meno, il nostro impegno avviato dal 1911, deve essere considerato irrimediabilmente concluso.

 

L’auspicio è che, da qui al 22 settembre, tanto al Nord-Est come al Centro e al Sud e nelle isole, come già sta avvenendo nel Nord-Ovest, siano svolti gli adempimenti precongressuali coerentemente con le indicazioni statutarie e regolamentari indicate, queste ultime approvate nell’assemblea dei soci del 26 Febbraio 2017, per celebrare come stabilito il nostro Congresso nazionale alla data fissata.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 9 Settembre 2018


La relazione del Prof Antonino Giannone



In preparazione del Congresso DC del 29 settembre che eleggerà gli Organi dello Statuto.

Bologna 8 Settembre 2018

Incontro dei Soci della lista DC autorizzata dal Tribunale di Roma a rappresentare la DC storica che nel 2017 hanno eletto Gianni Fontana, Presidente del Partito.

Relazione di Antonino Giannone

A Roma, il 16/06/18 nell’Assemblea DC, ho illustrato la mozione, di seguito riportata che è stata sottoscritta da Soci della DC storica di quasi tutte le Regioni ed approvata all’unanimità.

MOZIONE DEL 16/062018

L’Assemblea dei soci chiede la Convocazione il 29 settembre del XIX^ Congresso DC, in conformità alle indicazioni del Tribunale di Roma per la ricostituzione degli organi statutari della DC storica che ha come Presidente Gianni Fontana.

Successivamente inizierà il tesseramento di nuovi soci al Partito, aperto a tutti coloro che condividono lo Statuto, sentono di essere Democristiani, a tutti coloro che si ispirano alla Dottrina Sociale della Chiesa, ai Movimenti e Associazioni di Cattolici morali e Cattolici sociali (secondo la citazione del Card. Bassetti, Presidente della CEI), ai laici popolari che si ispirano all’umanesimo cristiano.

Chi si iscriverà alla DC dovrà autocertificare la sua adesione al Codice Etico della DC storica, che a suo tempo fu redatto da Gonella e che è stato aggiornato dopo 70 anni dal gruppo di studio di Bologna, coordinato dal Prof. Luciani con il Prof. Giannone e altri Docenti ed Esperti, assistiti da Mons. Leonardi indicato dal Card. Caffarra.

Si arriverà, dopo qualche mese, in gennaio 2019, in coincidenza con l’Appello ai Liberi e Forti di Don Luigi Sturzo, al nuovo Congresso della DC.
Si darà avvio, in questo modo, alla continuità storica della DC con i valori e principi fondanti da fare rivivere e rigenerare nella società della globalizzazione e dell’era digitale.

Ripartirà nel Paese la Speranza di una Politica con la P maiuscola come chiedono da tempo Papa Francesco e il Papa emerito Benedetto XVI e ciò avverrà con una piattaforma culturale, economica, sociale, politica e di valori etici per l’edificazione del bene comune che sarà redatta ascoltando nei territori i bisogni delle persone e delle comunità con tre Conferenze organizzative al Nord, al Centro e al Sud.

A Voi Amici, a Voi più giovani il testimone e questa Speranza per un vostro futuro migliore, per il bene dell’Italia e dell’Europa da rigenerare sui valori fondanti di Adenauer, De Gasperi e Schuman, tre grandi statisti Cristiani.

Oggi 8 Settembre qui a Bologna per questa lodevole iniziativa dell’Amico Prof. Nino Luciani, in preparazione al Congresso, vorrei aggiungere queste poche note.

I Diavoli sono interni ed esterni all’area democratico cristiana popolare.
Le forze che si oppongono sono interne ed esterne alla stessa area.
Anche all’interno della gerarchia cattolica c’è molta divisione.
De Gasperi seppe aggirare gli ostacoli, anche allora presenti, riunendo le forze laiche e cattoliche che avevano a comune i valori della vita, della società e dell’economia. Ma di fronte aveva il PCI e il comunismo internazionale a guida sovietica e stalinista

Oggi, le forze opponenti si identificano nelle lobbie economico-finanziarie che, a seguito della rottura del rapporto fra democrazia e capitale, con predominio dell’economia e della finanza, rottura di cui “in Italia è vietato parlare”, dominano la scena economica e politica.

Il principio del N.O.MA. (Non Overlapping Magisteria) è stato ribaltato e la Finanza ha reso succube la politica e l’Etica è sempre meno presente come amalgama della società.
Nessun partito, attualmente presente in parlamento, è interessato a riconoscere questa verità.

Il Papa emerito Benedetto XVI nella sua enciclica Caritas in Veritate lo dice apertamente.
Il Partito d’ispirazione cristiana non può che essere la prosecuzione dell’esperienza di Sturzo, De Gasperi e fino ad Aldo Moro; poi è iniziata la diaspora democristiana. Coloro che hanno a cuore il riscatto degli umili, abbiano il dovere di condividere ogni iniziativa che conduca gli elettori a riconoscere che i valori della DC sono stati e sono ancora i capisaldi:
- il lavoro nella sua piena dignità,

- la famiglia come struttura della vita di condivisione e comunione nella società,
- l’impresa, come motore inesauribile di progettualità e di ricerca dei beni comuni.

- i giovani, che rappresentano il futuro della società e per i quali bisogna investire in formazione con i sistemi più avanzati e con la massima qualità dell’educazione nell’istruzione di base.

Il denaro deve servire all’uomo e non viceversa.
Relativamente al nome e al simbolo, la mia convinzione personale, condivisa da molti di Voi, è questa. Come Sturzo eliminò le varie unioni cattoliche conservatrici legate ancora al feudalesimo agrario e, operando in un sol colpo la loro cancellazione, con la formazione del PPI ( fra l’altro ostacolata da Vaticano..); come De Gasperi seppe trasformare il partito popolare in Democrazia Cristiana, legando a se’ le forze laiche e cattoliche, per non cadere nella deriva confessionale e mantenere la laicità del partito, pur nella difesa della libertà religiosa come fondamento dello Stato democratico moderno, oggi, in piena globalizzazione e IV^ rivoluzione industriale, è necessario operare quelle trasformazioni che mantengano i capisaldi della dignità del lavoro, della famiglia, dell’impresa, nella libertà, avendo come centro di ogni attività economica, sociale e politica, la persona umana.
Nome e simbolo DC sono stati gettati nel fango da una generazione di politici che da oltre trent’anni, hanno preferito mantenere privilegi e favori, inserendosi nel centrodestra o nel centrosinistra, perdendo i valori su cui si era sempre distinta l’attività politica dei grandi popolari e democristiani. Trovo del tutto ininfluente, a questo punto, sia nome che simbolo, che sarebbe bene invece consegnare alle fondazioni Sturzo e De Gasperi, vietandone a chiunque l’uso, con azioni penali immediate verso i contravventori. La Democrazia Cristiana, inizialmente Partito Popolare, pur restando se stessa se sostenuta dai valori e dagli uomini, non ha bisogno di chiamarsi necessariamente come nel 1993. La storia politica non solo dell’Italia, dimostra che

Contano sempre le persone e i valori, non le maschere, fra l’altro oggi infangate da individui senza scrupoli e senza responsabilità politica e forse anche morale.

Concludo con una citazione di Aldo Moro del 3 ottobre del 1959, a Milano. Moro pronuncia un discorso che preannuncia la sua piattaforma elettorale per la segreteria del Congresso Nazionale. Questo discorso è la definizione dell’essenza politica della DC e dello Stato democratico. Aldo Moro:
“ La DC è al servizio della idea avanzante della nostra società, che è l’effettiva eguaglianza dei diritti e delle possibilità degli uomini nella vita sociale...lo Stato democratico è Stato del valore umano, il suo servizio di rivolge all’uomo nella sua anima universale.. la DC si fonda sul riconoscimento del valore dello Stato, non nel senso di una riduzione ad esso della dimensione umana, ma riferimento ad esso del valore dell’uomo e ritrovamento agevole dello Stato nell’uomo e dell’uomo nello Stato....

le leggi e la struttura sociale possono operare la giustizia, che richiede una tensione ideale che superi la forza dell’abitudine e la resistenza del privilegio,

garantisca e aiuti il lavoro,

aumenti la produzione,

espanda la vita economica su un base di sicurezza sociale,

distribuisca i beni economici in modo equo,

arricchisca la persona anche nell’ordine spirituale e culturale,

restituisca all’uomo il senso della sua dignità personale..”
ALDO MORO SARÀ SEMPRE UN UOMO DI SPERANZA E QUI EFFONDE IL TONO FIDUCIOSO, GIOVANILE E CRISTIANO  COL QUALE GUARDA AL PRESENTE E AL FUTURO.

Evviva la Democrazia, evviva la Democrazia Cristiana, evviva l’Italia.
Antonino Giannone

Prof. Etica professionale e relazioni industriali- Strategie aziendali

antoninogiannone1@gmail.com



 

Insieme per la nuova Unione europea e per  l’alternativa democratica e popolare

 

Con l’incontro di ieri a Milano tra Salvini e Orban si sono rese evidenti alcune questioni rilevanti dell’attuale situazione politica italiana ed europea.

Un  incontro “politico” in prefettura tra Salvini e il premier ungherese Orban? Non si era mai visto nella storia della Repubblica. Se fosse stato tale, perché Salvini non l’ha organizzato in via Bellerio sede della Lega? No a Milano è avvenuto un incontro tra due governi con il nostro ministro degli interni che continua a cambiare di cappello: ora capo della Lega, ora V.Presidente del consiglio, ma sempre ministro degli interni egli è, magari assai atipico, che ieri a Milano ha assunto anche il cappello di ministro degli esteri. E’ onestamente un po’ troppo specie se, come è avvenuto ieri a  Milano, si cambia la stessa linea di politica estera dell’Italia sempre più orientata a Est: verso Putin, e adesso,  seppur con qualche contraddizione, anche verso Orban e i paesi di Visigrad. A quando l’uscita dall’Unione Europea e dalla Nato? Credo sia tempo di concorrere alla costruzione di un’alternativa democratica e popolare al governo double face giallo verde che non promette nulla di buono.

Il M5S ha tentato di prendere le distanze enunciando una tesi insostenibile. come quella di un incontro “politico” che, in realtà, ha assunto il carattere istituzionale a tutto tondo

Al di là del “contratto” di governo, ciò che si sta profilando alla vigilia delle elezioni europee del 26 Maggio 2019 è il ruolo della Lega, quale espressione della nuova destra italiana e del M5S che, nella crisi del PD, rischia di assumere il ruolo della sinistra italiana. Un bipolarismo fittizio, poiché i due partiti/movimento sono saldamente riuniti nella gestione del potere, seppure non si sia ancora passati dalla condizione di contraenti di un “contratto” a quella di una vera e propria alleanza, tanto a livello nazionale che in sede periferica.

Abbiamo da sempre espresso la nostra vicinanza alle posizioni che nel Veneto la Lega ha sempre assunto nei momenti decisivi della storia repubblicana, sino a condividere positivamente con noi popolari la stessa battaglia a difesa della Costituzione, nel sostegno del NO al referendum del 4 Novembre 2016 per la “deforma costituzionale”, voluto da Matteo Renzi su input di JP Morgan e dei poteri finanziari dominanti.

Da quella sconfitta il PD non si è più ripreso, sino a rinunciare a convocare un congresso di riflessione seria su quel risultato che ha definitivamente distrutto il progetto renziano di un’occupazione trasformistica del centro politico del Paese.

Gli è che la crisi del PD è accompagnata dalla permanente e tuttora irrisolta questione del centro cattolico e popolare, della cui ricomposizione siamo impegnati sin dal momento della fine politica e non giuridica della DC (1993).

Con l’incontro di ieri a Milano la strategia di Salvini appare chiara: smarcarsi dall’Unione europea e dai rapporti con gli Stati Uniti per una prospettiva che non possiamo condividere di un rapporto preferenziale con Putin, da un lato, sul versante strategico internazionale e con i Pesi di Visigrad, dall’altro, su quello continentale europeo.

Nel mio ultimo saggio “ Elezioni europee: la visione dei Liberi e Forti” (https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/422618/elezioni-europee/) ho indicato le proposte che, tanto in materia di politica dell’immigrazione, che su quelle più generali della politica economica e sociale, fanno riferimento ai principi e ai valori della dottrina sociale cristiana, così come riproposti egregiamente dal “9° rapporto sulla dottrina sociale della Chiesa nel mondo” dell’Istituto Internazionale Cardinale Van Thuân.

Tra una nuova destra nazionalista e xenofoba come quella indicata da Salvini, in stretta alleanza con Orban e i leaders di Visigrad, e una sinistra alla ricerca di una sua rinnovata identità, non possiamo che concorrere alla ricostruzione dell’area cattolica e popolare, al fine di preparaci alle prossime elezioni europee nelle quali si confronteranno inevitabilmente, da un lato, le posizioni ultra nazionaliste “sovraniste” e, dall’altra, quelle che a diverso titolo si rifanno all’Europa. Un’Europa certo non difendibile nella sua attuale configurazione dell’Unione, ma da riformare secondo i principi dei padri fondatori di matrice cattolica e popolare: Adenauer, De Gasperi, Monet e Schuman. In alternativa ai valori della “carta di Ventoténe”, alla fine risultati politicamente vincenti, in parallelo e in larga parte suscitatori della deriva laicista e relativista dell’Unione europea, intendiamo concorrere, innanzi tutto,  alla ricomposizione dell’area cattolica e popolare da riunire, compatibilmente con i tempi e i modi previsti dalla legge elettorale proporzionale delle prossime elezioni europee. Sono due le alternative possibili:  o un nuovo soggetto politico del tipo UMP (Union des Mouvements Populaire) francese, “ laico, democratico, popolare, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE”, come abbiamo concordato nel documenti finale del recente seminario dei popolari di Verona ( 23 Giugno 2018) o, se non ne fossimo capaci a breve, in una corrente organizzata da proporre all’interno di un ampio e credibile contenitore politico che si ritrovasse unito sui valori dell’umanesimo cristiano e del PPE.

Siamo convinti, altresì, che al governo del “contratto” impossibile e tenuto insieme solo dalla logica della spartizione del potere, sia indispensabile opporre la costruzione di un’alternativa democratica e popolare credibile, fondata sulla volontà di riformare seriamente l’Unione europea e ancorata stabilmente sulle alleanze occidentali, quelle che hanno garantito per oltre settant’anni la pace nel nostro vecchio e amato continente europeo.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)

Venezia, 29 Agosto 2018

 

 

 La relazione del Prof Antonino Giannone




I cattolici democratici e il Pd. Oggi.

 

Quando nacque il Pd nel 2007 c'era una precisa volontà politica. Nonché un disegno lungimirante coltivato da anni. Ovvero, far sì che nel medesimo soggetto politico confluissero le migliori culture riformiste e costituzionali che avevano caratterizzato la politica italiana sino a quel momento.

Culture politiche che si erano contrapposte per anni e che adesso, invece, intravedevano la

possibilità concreta per un percorso comune e fruttuoso. E, nello specifico, si parlava

esplicitamente della storia e dell'esperienza politica e culturale del cattolicesimo democratico e sociale e della sinistra socialista, socialdemocratica e post comunista. Una esperienza di

convivenza e di collaborazione che e' stata contrassegnata da alterne vicende e che già in anni

recenti e' stata bollata come "un amalgama mal riuscito". Ma, comunque sia, nei primi anni quel progetto politico ha funzionato e l'apporto di quelle culture, con altre ovviamente, e' stato decisivo per qualificare l'offerta politica complessiva del Partito democratico nella politica italiana. Dopodiché tutti sappiamo cosa è diventato il Pd. Ovvero un partito rigorosamente e quasi strutturalmente "personale" - l'ormai famoso Pdr, il partito di Renzi - dove, come tutti i "partiti del capo", il pluralismo aveva un senso solo nella misura in cui quelle opinioni coincidevano con quelle del capo partito. Insomma, per farla breve, l'intuizione originaria dei padri fondatori di quel partito, cioè quello di essere un autentico "partito plurale", unico nella recente storia politica italiana, e' stata frettolosamente archiviata e quel pluralismo culturale oggi e' solo più un pallido ricordo del

passato.

Ecco perché, accanto alla crisi politica, di strategia, di consensi e di immagine del Pd, adesso non possiamo non certificare che la presenza di quella tradizione culturale nel Pd e' del tutto ininfluente se non irrilevante. Come, peraltro, evidenziato da quasi tutti gli osservatori politici. Non a caso, dopo la lunga gestione "personale" renziana del partito, adesso si confrontano sostanzialmente due tesi sulla prospettiva del partito: l'una tesa a fare del Pd, e forse giustamente, un partito squisitamente di sinistra, politicamente e programmaticamente caratterizzato. E questo per una semplice ragione: dopo aver rotto politicamente con i mondi vitali, gli interessi e le istanze dei ceti popolari, sociali e territoriali riconducibili alla tradizione della sinistra storica, e' del tutto legittimo che ci sia chi propende a recuperare quella cultura. Al contempo, e all'opposto, c'è una volontà politica di rinnegare e superare quella storia per dar vita, invece, ad un progetto politico centrista, moderato, seppur verniciato di modernità, di aderenza alla società contemporanea e di sostanziale superamento delle tradizionali categorie politiche, culturali ed ideologiche. Il cosiddetto modello "macroniano", seppur italianizzato. È il progetto accarezzato e richiamato dall'ex segretario del Pd e attuale "capo" del partito, malgrado le ripetute sconfitte politiche ed elettorali.

Ora, nell'un caso come nell'altro, si è chiusa definitivamente un pagina e pensare di riproporla

sarebbe un'operazione goffa nonché un po' patetica. E il "partito plurale" veltroniano ha ceduto il passo ad un partito che inesorabilmente avrà un altro profilo, un'altra storia e, di conseguenza, un'altra prospettiva politica.

In questo contesto, la tradizione e la cultura cattolico democratica, cattolico sociale e cattolico

popolare non può che guardare altrove e dar voce e sostanza ad una nuova prospettiva politica. E Rete Bianca e' nata per questo obiettivo all'indomani della sonante sconfitta elettorale del 4 marzo del Pd e della conclusione di quella specificità che aveva contraddistinto quel partito. Certo, non si tratta, come ovvio, di cristallizzare in una nicchia residuale o, peggio ancora, nostalgica quel giacimento fatto di cultura, valori, presenza sociale e rappresentanza di interessi popolari. Ma, al contrario, un movimento politico che sfruttando il sistema proporzionale si rimette in gioco, rilancia una cultura politica e, soprattutto, elabora un progetto aperto laicamente a tutti e, al contempo,dare un contributo decisivo e qualificante per ricostruire una alleanza politica riformista e di governo

Questo, i n sintesi, l'impegno contemporaneo di  molti cattolici democratici e cattolici popolari.

Attardarsi con esperimenti politici ormai sconfitti dalla storia e dalla quotidianità equivarrebbe a perpetuare un errore, e una degenerazione, da cui occorre liberarsi al più presto.

 

Giorgio Merlo

Torino, 27 Agosto 2018

L’insegnamento di Alcide De Gasperi


Sono trascorsi 64 anni da quel 19 agosto del 1954 in cui Alcide De Gasperi ci lasciava nel suo Borgo di Valsaguana.  Moriva con lui il il padre della ricostruzione italiana del dopoguerra, fondatore della Democrazia Cristiana, il più grande statista italiano dopo il conte di Cavour.


La mia generazione, la prima della Repubblica italiana e la quarta della DC, è nata e si è formata nel mito del leader dello scudocrociato. Abbiamo conosciuto uomini e donne che avevano lavorato a fianco di De Gasperi o lo avevano potuto ascoltare nei suoi comizi e incontri politici che, dal 1946 in poi, egli aveva tenuto nelle principali piazze italiane. Siamo entrati sedicenni nel partito della Democrazia cristiana agli inizi degli anni’60, quando era ancora intatto il ricordo e la figura dell’uomo che fu l’artefice delle più importanti scelte politiche dell’Italia del dopoguerra.


Dal patto atlantico alla riforma agraria, dalla scelta dell’integrazione europea con gli altri padri costituenti di ispirazione cristiano sociale, Adenauer, Monnet e Schuman, egli ci insegnò il valore della politica dell’equilibrio e del coraggio;  dell’apertura alle alleanze compatibili sempre tenendo diritta la schiena nella difesa dei valori non negoziabili, insieme a quello della laicità e dell’autonomia dell’azione politica dei cattolici nella città dell’uomo.


Addolorato dopo l’esito confuso e contestatissimo delle elezioni del 1953, con l’assurda accusa orchestrata da Togliatti e dal fronte popolare della cosiddetta “legge truffa”, che, altro non era che un’intelligente proposta tesa a garantire la governabilità di un Paese, squassato da contrapposizioni ideologiche e di schieramento  incompatibili persino sul piano internazionale, e messo in minoranza all’interno del partito dagli uomini della seconda generazione DC, morì nel suo Trentino nell’estate di 64 anni fa.


Nell’attuale momento più basso della politica italiana, nella quale sono assenti le culture politiche che fecero grande il Paese, con un governo espressione del trasformismo politico dominante, in uno dei momenti di più forte crisi dell’Unione europea dominata dai poteri politico finanziari esterni e dall’impotenza degli ex eredi dei partiti defunti della seconda Repubblica senza credibili alternative, è quanto mai utile ripensare alle virtù morali e all’etica politica che Alcide De Gasperi seppe testimoniare nella sua attività di guida e servitore prezioso dell’Italia.


Il suo appello lanciato al congresso della DC di Venezia “  ( 1949) se saremo uniti, saremo forti, e se saremo forti, saremo liberi” di portare avanti le nostre idee, che erano quelle “ricostruttive” della DC per l’Italia, suona come  ammonimento severo a noi indegni eredi della grande tradizione politico culturale dei cattolici democratici e dei popolari italiani.


Pur con tutti i nostri limiti e palesi insufficienze, da molti anni combattiamo per superare la condizione di dispersione e di irrilevanza alla quale siamo condannati, e ancor di più sentiamo forte il dovere di batterci per concorrere alla ricomposizione dell’area democratico cristiana e popolare italiana, della cui cultura politica il Paese ha urgente necessità. E lo faremo avendo come termine di riferimento le prossime elezioni europee, nelle quali si voterà con il metodo proporzionale, grazie al quale verificheremo il grado concreto della nostra  rappresentanza elettorale.


Trattasi di un compito politico e culturale straordinario al quale noi popolari italiani ed europei, soci fondatori, prima della CEE e dell’Unione europea, abbiamo il dovere di offrire il nostro prezioso contributo senza il quale l’attuale costruzione è destinata a sicuro fallimento.

 

E dovremo farlo insieme alle altre culture laiche e liberali, riformiste di ispirazione democratica che condividono i valori dell’umanesimo cristiano. Sappiamo di essere minoranza all'interno dell'Europa e consapevoli, quindi, della necessità di concorrere con altre culture politiche laiche, democratiche e liberali a sostenere proposte di riforma istituzionali, economico sociali e finanziarie, senza le quali l'Europa rischia l'autodistruzione. Nella crisi dei due storici raggruppamenti, che hanno sin qui esercitato una funzione prevalente nell’ UE (PPE e PSE), il ruolo dei movimenti Italiani che si riconoscono nel PPE può risultare rilevante.

 

Molte iniziative si sono avviate  in Italia e, in taluni casi, consolidate grazie agli amici della DC storica impegnati, sin dal 2012, nella ripresa politica del partito dello scudo crociato, dopo che la Cassazione ha definitivamente sentenziato che quel partito, il nostro partito, "non è mai stato giuridicamente sciolto" (sentenza n. 25999 del 23.12.2010); a quelli dell’associazione "Costruire Insieme" presieduta dal sen. Ivo Tarolli, della "Rete Bianca" con l'on. Giorgio Merlo e altri amici ex PD e di molte altre associazioni, movimenti e gruppi dell’area cattolica e popolare, interessati a ricostruire "l’unità possibile dei popolari entro un soggetto politico nuovo, ampio e plurale, democratico, popolare, europeista e transnazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori"

 

In un seminario tenutosi a Verona il 23 Giugno scorso, organizzato dall’associazione "Costruire Insieme", è stato approvato un documento nel quale si è riscontrata "l’unanime condivisione dei partecipanti  per la promozione di una piattaforma plurale, in direzione di un'Unione per un Movimento Popolare (UMP) nel quale possano coordinarsi, liberamente e senza predefinite gerarchie organizzative, le diverse esperienze presenti in Italia che si rifanno ai valori della sussidiarietà”.

 

Un soggetto politico ampio, plurale, laico, democratico, popolare, europeista, trans nazionale, impegnato a tradurre nella 'città dell’uomo' gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa, in dialogo privilegiato con il PPE". Il documento porta la firma di Ettore Bonalberti (ALEF-Associazione Liberi e Forti), Gianni Fontana (DC), Mario Mauro (Popolari per l’Italia), Domenico Menorello (Energie per l’Italia), Gianfranco Rotondi (Rivoluzione cristiana) e Ivo Tarolli (Costruire Insieme) e di molti altri amici presenti all’incontro.


Crediamo che sia questo il modo migliore per raccogliere il testimone politico straordinario di Alcide De Gasperi, da consegnare a una nuova generazione di democratico cristiani e popolari dotati di forte passione civile con cui tradurre politicamente e nelle istituzioni gli orientamenti ideali e culturali della dottrina sociale cristiana.


Ettore Bonalberti

Venezia, 17 Agosto 2018

 


Le europee e i cattolici democratici.

 

di Giorgio Merlo

 

 

Da tempo diciamo, a fondamento, che il voto del 4 marzo ha mutato radicalmente il panorama

politico nel nostro paese. Un panorama politico che riflette, del resto, ciò che già capita nel vecchio

continente da molto tempo. Un cambiamento che ha cancellato i vecchi equilibri politici e di potere

da un lato e che, dall'altro, ha certificato il fallimento dei partiti plurali - come Pd e Forza Italia -

facendo tornare al centro del dibattito politico le antiche identità politiche e culturali. O meglio, il

futuro politico non si basa più su anonimi ed indistinti contenitori plurali ma, al contrario, nella

riscoperta delle identità capaci, però, di trasformarsi in soggetto politico autonomo e organizzato.

E la prossima consultazione europea del 2019 rappresenta un appuntamento troppo ghiotto ed

importante per essere bypassato o sottovalutato. E ciò per almeno 3 ordini di ragioni.

Innanzitutto, come abbiamo detto, se è vero che le identità politiche devono tornare a mettersi in

gioco, e' giocoforza che anche il cattolicesimo politico italiano - e ciò che storicamente ha

rappresentato e rappresenta nel nostro paese - non possa più essere colpevolmente assente. Di

fronte all'irrompere della destra, seppur moderna e sovranista; al ritorno prima o poi della

tradizionale sinistra e al prepotente protagonismo del populismo in salsa demagogica, la miglior

cultura cattolica di matrice costituzionale deve entrare in gioco. Non per rivendicare uno spazio di

potere o per alzare una semplice bandiera identitaria ma, al contrario, per dispiegare sino in fondo

la sua potenzialità cultuale ed ideale. Che era e resta decisamente attuale e moderna.

In secondo luogo l'Europa. Se c'è una dimensione sociale e culturale e un livello istituzionale che

richiedono la presenza e l'apporto di una cultura politica cattolico popolare e democratica questa è

certamente l'Europa. E questo non solo per la battaglia decisiva che vede contrapposto un fronte

sovranista e populista, dichiaratamente di destra, contro un agglomerato europeista e solidarista.

Ma anche perché l'Europa politica e' stata pensata, progettata e costruita anche dal pensiero

cattolico democratico, popolare e sociale. Sarebbe curioso se la sfida del 2019 dovesse certificare

la radicale assenza dalla competizione elettorale di una lista/patito/movimento/contenitore con un

esplicito richiamo a questa tradizione ideale.

In terzo luogo, d'ora in poi, dove ci sono competizioni elettorali rette da sistemi proporzionali, la

presenza di questo futuro soggetto politico deve essere in campo. Senza se e senza ma, come si

suol dire. E questo non solo perché questa gloriosa e nobile esperienza politica e' nata con il

proporzionale e si è, occorre pur riconoscerlo, pericolosamente eclissata con la fine del sistema

proporzionale. Ma perché la necessità di avere in campo una forza politica popolare, riformista,

democratica e di ispirazione cristiana la si deve declinare proprio in coincidenza di una elezione - il

rinnovo del Parlamento europeo, appunto - che vede quella cultura storicamente protagonista.

Verrebbe quasi da dure, citando un vecchio ma efficace slogan, " se non ora quando?".

 

Roma, 6 Agosto 2018


                                                                 Nota del prof Antonino Giannone, V.Presidente ALEF


Buongiorno Amici,

alla vigilia delle prossime elezioni europee (23-26 Maggio 2019), è stato pubblicato il saggio: Elezioni europee: la visione dei " Liberi e Forti" che tratta i principali temi dell’Agenda europea.

L’Autore e’ il mio amico Ettore Bonalberti

Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)

(www.alefpopolaritaliani.it ) e di INSIEME (www.insiemeweb.net )

La prefazione è stata curata dall’amico sen. Ivo Tarolli, presidente dell’associazione “Costruire Insieme”.

Una breve presentazione.

All’interno di una guerra commerciale tra Stati Uniti, Cina ed Europa, tra le più gravi della storia, in uno dei momenti di crisi più seria dell’Unione Europea, Bonalberti, stimolato dal 9° Rapporto sulla dottrina sociale della Chiesa nel mondo dell’Osservatorio Internazionale card Van Thuān, (dedicato quest’anno proprio all’Europa con l’emblematico titolo “ Europa: la fine delle illusioni”), sottolinea che le prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo assumano un’importanza rilevante e tra le più decisive per le sorti dell’Unione Europea.

Bonalberti ha approfondito i temi dell’Agenda europea attraverso un esame approfondito di libri e saggi di autorevoli esperti; ha raccolto e selezionato i dati e ha riportato i contributi più interessanti, con ampie citazioni inserite nel suo saggio.

Troverete dati interessanti sui trend demografici e etico culturali di interesse europeo e le sue idee e proposte sui seguenti temi:

sovranità nazionale e sovranità europea; sovranità nazionale e sovranità monetaria;

il controllo degli hedge fund anglo caucasici (kazari) sui sistemi finanziari e bancari europeo e nazionali;

Euro SI-Euro NO.

Il disegno dei padri fondatori democratico cristiani della CEE e il predominio finale della visione laicista del “manifesto di Ventoténe”;

la mancata approvazione della Costituzione europea;

i Trattati di Maastricht e di Lisbona;

l’illegittimità del fiscal compact.

Ettore Bonalberti illustra la proposta politica dei “Liberi e Forti” offerta ai Popolari italiani ed europei ispirata ai valori della dottrina sociale cristiana.

ELEZIONI EUROPEE- La visione dei “ Liberi e Forti” descrive le possibilità di una nuova speranza per la buona convivenza dei popoli in Europa per l’edificazione del bene comune.

Buona lettura

Antonino Giannone

Vice Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)

 

P.S.: Il libro può essere acquistato dal sito https://ilmiolibro.kataweb.it dalla sezione catalogo. (costo 11 €)


Alla ricerca dell’unità possibile

 

Con la mancata ratifica della nomina di Marcello Foa alla presidenza della RAI, si è probabilmente consumata l’alleanza di centro-destra o quanto meno, se le notizie filtrate sono attendibili, il rapporto tra i gruppi parlamentari di Forza Italia e Lega.

 

In realtà la coalizione di centro destra era, di fatto, saltata col voto del 4 Marzo alle politiche, con la  successiva “fuitina” di Matteo Salvini con Luigi Di Maio, obtorto collo subita dal Cavaliere, e la nascita del governo “ del contratto”, espressione non già di un’alleanza politica, ma del sempiterno trasformismo italico.

 

Se con Renzi tale pratica parlamentare si era consumata con la transumanza di mercenari parlamentari eletti a destra per spostarsi a sostegno del “giovin signore fiorentino”, con Salvini si è giunti a un cambio di posizione ancor prima dell’avvio dei lavori parlamentari. Uno spostamento di campo motivato per ragioni di necessità ( formazione di un governo o elezioni anticipate), con il forzato e subito consenso di Forza Italia e la malcelata  disponibilità della Meloni di Fratelli d’Italia.

 

Difficile, tuttavia, pensare di  conservare un permanente ménage a trois tra moglie ( Forza Italia) e amante ( M5S), anche per un rampante lombardo come il leader leghista. Assunta la funzione di vice premier e di ministro dell’interno, Salvini si è messo a svolgere il ruolo di mattatore, finendo con l’assumere di volta in volta quello di ministro degli esteri, dell’economia, sino a oscurare la figura del prof Giuseppe Conte, chiamato a svolgere, ennesimo presidente del Consiglio non parlamentare, il ruolo di esecutore del contratto giallo verde.

 

C’è però l’esigenza di una misura per tutti e anche Salvini è caduto vittima di una presunzione che lo ha portato a sfidare la stessa legge, cercando di imporre senza trattativa un presidente a capo della RAI, il massimo ente di produzione culturale e di informazione di massa; desiderio di tutte le maggioranze dai tempi in cui la DC la faceva da padrona con il grande e compianto Ettore Bernabei. Atto di arroganza o intelligente calcolo politico di un leader che si sta preparando al salto della quaglia cercando di incassare la rendita di consenso che sembra gli garantiscano i ricorrenti sondaggi pre-elettorali?

 

L’unico dato politico certo è che in poco più di cinque anni  il M5S è riuscito, con la regia di Beppe Grillo e della Casaleggio & C, a far saltare, prima, la coalizione di centro-sinistra e, adesso, se non a far saltare, a mettere seriamente a rischio quella di centro-destra.

 

Sono troppo forti le ragioni che fanno stare insieme Lega e Forza Italia, che controllano le principali regioni del Nord ( Lombardia, Veneto, Friuli V.Giulia, Liguria) e che nelle recenti elezioni regionali e locali hanno conquistato importanti realtà al centro e sud d’Italia per ipotizzare un improvviso e rapido sfascio dell’alleanza. Una cosa, però,  è certa : il Cavaliere non si rassegna all’idea di cedere la leadership del centro-destra a Matteo Salvini e con il NO a Foa, ha segnato un punto a sostegno della sua rivincita. Astensione dal voto in commissione, più subita per la rivolta di Tajani e Letta e dei gruppi parlamentari, ché, fosse stato per Berlusconi, dopo la visita di Salvini al San Raffaele, avrebbe probabilmente subito, dopo la “fuitina”, anche questo ennesimo schiaffo dal leader leghista.

 

Una cosa, però, è certa: difficile per Salvini conservare il ruolo di partner di un governo dove dai grillini ogni giorno di più sembrano emergere soggetti “pieni di presunzione e di vuota arroganza senza intelletto” ( Platone), con proposte altalenanti e ondivaghe sempre più contrastanti con gli interessi e i valori di una base elettorale leghista lontana mille miglia da quelli espressi dai parlamentari pentastellati.

 

Bisogna prendere realisticamente atto che, con il voto del 4 Marzo si è voltato veramente pagina e anche le vecchie distinzioni tra centro-destra e centro-sinistra sono saltate, mentre alla vigilia delle prossime elezioni europee, con legge elettorale  proporzionale pura, avanza sempre più nettamente lo scontro tra sovranisti e europeisti di diversa caratura e strategia politica.

 

E’ in questo deserto della politica italiana, con una società squassata dalla condizione prevalente di anomia politica ( assenza di regole, venir meno del ruolo dei corpi intermedi, discrepanza sempre più forte tra i tutti i ceti e le classi sociali tra i mezzi disponibili e i fini che ragionevolmente si intendono perseguire) che si pone la necessità di riscoprire, aggiornandole, le culture politiche che fecero grande l’Italia.

 

L’ultimo rapporto SVIMEZ con i dati drammatici sul Mezzogiorno sono a lì a dimostrare che non sarà con il decreto dignità di Di Maio e il NO alle opere strategiche pubbliche che si offriranno risposte serie e concrete ai nostri concittadini del Sud.

 

E’ forte l’esigenza di mettere in campo politiche fondate sul primato della persona e della famiglia, sul ruolo essenziale dei corpi intermedi, le cui relazioni fra di loro e con lo Stato devono tornare ad essere ispirate dai principi della solidarietà e della sussidiarietà, per cui, non è un caso, che nella vasta e articolata area cattolica e popolare, si ritorna a parlare della ricerca dell’”unità possibile” anche in politica.

 

E’ questo il tema che ci accingiamo a sviluppare e l’obiettivo che ci proponiamo di perseguire nei prossimi mesi che ci separano del 23-26 Maggio 2019, data del rinnovo del Parlamento europeo.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 2 Agosto 2018

 

 

 

La provocazione del giovane Casaleggio

 

Col giuramento della Pallacorda ( 5 Maggio 1789) “ il terzo stato “, rappresentato dall’emergente borghesia francese, impose il principio di “ una testa un voto” contro lo strapotere della nobiltà e il clero. Era l’affermazione dello strumento cardine della democrazia con il quale si riconosceva il potere a chi era di più, ma aveva di meno, contro la nobiltà e il clero che, sino a quel momento, costituivano la minoranza privilegiata detentrice di tutto il potere economico, sociale e politico.

 

In conformità a quel principio, “ una testa un voto”, sI è  sviluppata la storia democratica di tutto l’Occidente e di larga parte del resto del mondo.

 

Molti anni fa, in un convegno della sinistra sociale DC di Forze Nuove a St Vincent, non ricordo se nel 1990 o 1991, intervenni sostenendo che nella “società dei due terzi”, nella quale il potere economico, seppur in maniera diversa, era  distribuito tra la maggioranza dei cittadini ed elettori, quello stesso principio nato per dare potere a chi aveva di meno rischiava di non garantire più il nuovo terzo stato delle classi inferiori subalterne.

 

Eravamo alla vigilia di quell’autentico terremoto politico che il duo Amato, Barucci compì, con il superamento della legge bancaria del 1936 che, sino al 1993, aveva garantito con la pubblicità di Banca d’Italia la separazione tra banche di prestito e banche di speculazione.

 

Fu quello il momento del superamento del NOMA ( Non Overlapping Magisteria), il principio teorizzato nel 1829 da Richard Whateley, assai caro al prof Stefano Zamagni; ossia, non è più la politica a dettare i fini, ma è la finanza che detta i fini subordinando ad essa l’economia reale e la politica, ponendo fine alla stessa democrazia ridotta a un ectoplasma.

 

Tutto questo accade nell’età della globalizzazione con il trionfo del turbo capitalismo finanziario dominato agli hedge fund anglo caucasici (kazari), la decina di fondi  petroliferi  - speculatori (Vanguard, State Street, Northern Trust, Fidelity, Black Rock, Black Stone, Jp Morgan, Bnp Paribas Trust,... ), con sedi legali alla city of London di loro proprietà e sedi fiscali nello stato USA del Delaware, con imposizioni fiscali uguali a zero. Una situazione totalmente nuova della storia nella quale intere classi popolari e il ceto medio, già facente parte dei benestanti nella società dei due terzi, sono ridotti alla condizione di minus habentes sotto il dominio della finanza.

 

E’ in questa situazione che Casaleggio Jr, erede di quella piattaforma Rousseau che suo padre,  Roberto Casaleggio, aveva inventato e messa a disposizione del M5S , introducendo in tal modo il sistema di selezione dei candidati e delle assunzioni delle decisioni, attraverso il nuovo rito del clic elettronico, in sostituzione delle vecchie liturgie in uso nei partiti della Prima Repubblica. Liturgie, già  in larga parte, abbandonate dal primo fenomeno di populismo mediatico rappresentato dal lungo ventennio di dominio berlusconiano. Potere dei media televisivi  quest’ultimo, controllo e potere dei media del web quello  del  M5S, espressione di una nuova generazione di attori e protagonisti politici annunciati e guidati dal comico genovese a colpi di “vaffa…”

 

In un’intervista al quotidiano la “ Verità”, Davide Casaleggio ha sostenuto che “ tra qualche lustro”, grazie alla rete e alle nuove tecnologie, il Parlamento potrebbe essere inutile. '"Oggi grazie alla Rete e alle tecnologie, esistono strumenti di partecipazione decisamente più democratici ed efficaci in termini di rappresentatività popolare di qualunque modello di governo novecentesco. Il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile”,  così ha parlato Casaleggio Jr.

 

Sono seguite molte prese di posizione indignate dalle diverse vestali della democrazia rappresentativa, evidenziando che il Parlamento non è solo il luogo dell’esercizio del voto, ma, come dice la parola stessa, è la sede del confronto e del dialogo (parlamento) tra i rappresentanti delle diverse forze politiche e culturali presenti nel Paese.

 

Da parte mia vorrei cercare di analizzare più in profondità il tema proposto dal titolare della Casaleggio e C. S.r.l .  Un tema che considero degno di attenzione in un Paese, come l’Italia, che, da un lato, vede la partecipazione elettorale dei cittadini  ridotta ormai sulla soglia permanente del 50%, e, dall’altro, vive il deserto delle culture politiche, dopo la fine di quelle che nella Prima Repubblica fecero grande l’Italia.

 

 Gli attuali partiti sono in larga parte  ridotti a ectoplasmi, di tipo movimentista o a sudditanza personalistica, nei quali, tranne rari casi, la partecipazione politica e la stessa selezione della classe dirigente avviene per lo più per cooptazione o, come nel caso del M5S, con qualche decina di clic elettronici, non del tutto anonimi, ma facilmente controllabili e manipolabili. Clic che, come si è verificato nel caso di alcune candidature indigeste ai diarchi del movimento che, nelle ultime elezioni comunali genovesi, li hanno facilmente annullati e/o misconosciuti.

 

Che la democrazia rappresentativa nell’età del superamento del NOMA sia profondamente mutilata e con la perdita della sovranità monetaria, la sovranità popolare sia ridotta pressoché a zero è una realtà evidente, tuttavia, essa rimane:  “ la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre forme che si sono sperimentate sinora” , per dirla con Sir Winston Churchill.

 

Quanto alle forme di partecipazione e alle modalità di selezione della classe dirigente, al Dr Casaleggio ci permettiamo di evidenziare che, con tutti i limiti e i difetti della partecipazione politica ai tempi della Prima Repubblica, la tecnologia oggi non offre ancora soluzioni che soddisfino tutti i requisiti necessari per votazioni qualificate e certificate, a costi ragionevoli e introducendo i vantaggi di cui si sente spesso parlare, e che comunque il voto sarebbe mediato sempre da uno strumento sul quale il cittadino ha un controllo limitato.

Autorevoli esperti di cyber crime  (Luca Becchelli e Claudio Telmon in Agenda digitale.html),  i quali hanno contribuito alla stesura del Rapporto Clusit 2017 sulla sicurezza ICT in Italia,  il 1 Settembre 2017 hanno scritto, infatti: nessuna delle soluzioni promosse dalla ricerca, o dal mercato, riescono ancora oggi a soddisfare tutte le proprietà di sicurezza che i sistemi di voto tradizionale offrono, pur con tutti i limiti che presentano. Inoltre, ciò che è più grave è che pochi dei vantaggi che le soluzioni di voto elettronico dovrebbero offrire in più rispetto ai modelli di voto tradizionali, possono credibilmente essere raggiunte, tenendo conto della realtà attuale, anziché di modelli ideali!”.

Non è questa la sede per un’analisi dettagliata della struttura e funzionamento dell’azienda-partito Movimento Cinque Stelle, basterà ricordare quanto ha scritto  su “ Avvenire” il 28 Febbraio 2018, Marco Morosini in un approfondito articolo sul “digitalismo politico: il futuro della politica? Il Caso del M5S/2” : I candidati 5-stelle ai parlamenti nel 2014 e 2018 hanno dovuto accettare contratti, che li obbligherebbero a pagare multe private di centinaia di migliaia di euro in caso di disaccordo (la gravità è decisa dal management). Ovviamente i contratti non hanno valore legale. Sono incostituzionali. Ma vorrebbero incoraggiare l’obbedienza. Nella storia dei partiti l’autocrazia e le scelte autolesioniste non sono una novità. La novità è che proprio il modello tutto-digitale permette a questi fenomeni di raggiungere livelli senza precedenti. Altra lezione: l'unico partito digitale al mondo è nato in Italia, il meno istruito e meno digitalizzato dei paesi del G7. Quasi la metà degli adulti italiani, infatti, è analfabeta digitale (quasi un terzo è analfabeta funzionale tout court). Di fronte a tale popolazione, un partito di tecnici informatici ha un forte vantaggio. Il management che conta nel 5-stelle (tutti maschi) e i membri più attivi sono esperti digitali. Se la nuova ricchezza commerciale e politica sono i dati, allora si sta formando una gerarchia sociale basata più sul dominio dei bit che del denaro. Il 5-stelle è il suo partito.

Come strumento per facilitare la comunicazione e l’interazione tra soci non v’è dubbio che la rete offra oggi strumenti di assoluta efficienza  ed efficacia, ma altra cosa è la partecipazione politica che riteniamo debba tornare a svilupparsi su base locale, attraverso l’organizzazione di comitati civico popolari nei quali si possa realizzare il “ pensare globale e l’agire locale” e la selezione della classe dirigente possa avvenire secondo la regola aurea di “ una testa un voto”.

Saremo anche dei nostalgici, ma, contro i controllori del nuovo sistema politico che teorizzano il superamento del Parlamento, preferiamo ritornare alla difesa strenua della nostra Costituzione, la carta fondamentale scritta dai nostri padri la quale non va riformata ma molto più semplicemente concretamente attuata, senza se e senza ma.

Ettore Bonalberti

Venezia, 26 Luglio 2018

 

 



Il nostro contributo per l’unità dei  popolari

 

Le recenti prese di posizione del presidente della CEI, cardinale Bassetti sul tema dell’impegno politico dei cattolici rappresentano un fatto nuovo nella Chiesa italiana. Iniziative assunte ai più alti livelli della gerarchia alle quali ci auguriamo possano corrispondere conseguenti azioni nelle sedi episcopali diocesane e tra i parroci presenti nelle realtà parrocchiali, ahimè, sin qui silenti, quando non anche apertamente ostili  alle più flebili sollecitazioni del laicato locale.

 

Noi ormai vecchi “ DC non pentiti”, è dalla fine del partito dello scudo crociato che combattiamo da isolati “Don Chisciotte” la nostra battaglia per la ricomposizione dell’area cattolica e popolare italiana. E lo facciamo non con sentimenti nostalgici di riproposizione di ciò di cui la storia ha definitivamente segnato la fine, ma con la consapevolezza che, nell’età della globalizzazione e del trionfo del turbo capitalismo finanziario, la risposta alternativa più convincente resta quella della dottrina sociale cristiana.

 

Nel deserto delle culture politiche che oggi caratterizza la politica italiana e la debolezza delle leadership politiche a livello europeo, riteniamo che sia indispensabile impegnarci per tradurre nella “città dell’uomo” gli orientamenti pastorali delle grandi encicliche sociali di Papa Giovanni Paolo II ( Laborem exercens e Centesimus Annus), di Papa Benedetto XVI ( Caritas in veritate) e di Papa Francesco ( Evangelii Gaudium e Laudato Si).

 

Ciò comporta la riproposizione di politiche ispirate ai valori dell’umanesimo cristiano con al centro la persona, la famiglia e i corpi intermedi, le cui relazioni vanno regolate dai principi della sussidiarietà e solidarietà. Per quanto riguarda le politiche economiche, in alternativa a quelle della finanziarizzazione dell’economia, intendiamo proporre politiche ispirate dai principi dell’economia sociale di mercato e dell’economia civile impegnandoci affinché la strategia del PPE, cui intendiamo fare riferimento, riporti la barra nella direzione a suo tempo segnata dai padri fondatori; invertendo la pericolosa china assunta dall’UE dominata dal pensiero laicista che fu alla base del Manifesto di Ventoténe. L’idea di una governance europea accentratrice, egemonizzata dalle tecnocrazie in balia delle lobbies economico finanziarie dominanti  nel mondo e di una visione laicista e nichilista. Quella visione che ha impedito di assumere a fondamento della mancata Costituzione europea i valori giudaico cristiani quale riferimento unitario per tutti gli europei. L’alternativa? I Trattati di Maastricht e di Lisbona, che assumono come valori fondanti la libera concorrenza e il mercato. Troppo poco per avvicinare gli europei all’Europa e più che sufficiente per far scattare l’attuale scontro tra “sovranisti” e “europeisti”, con il netto prevalere diffuso dei primi nei diversi paesi europei.

 

Abbiamo ben compreso l’idea del Card Bassetti che, nel riconoscere come Il partito unico ebbe la sua stagione e le sue motivazioni” ha, altresì riconosciuto, la fine dell’esperienza della fase  ruiniana “ dell’inserimento dei cattolici nei vari partiti”.

 

Appare ben chiara la posizione del presidente della CEI, con la sua netta affermazione: “Ora è importante che i cattolici abbiano la fantasia e la libertà di vivere insieme i valori e di vedere come esprimerli”, così come quando, a conclusione dei lavori della recente assemblea della Conferenza episcopale italiana, ha dichiarato: “nella società di oggi è necessaria anche la presenza dei cattolici e se non trovano una forma per esprimersi insieme, si rischia di essere inefficaci”.

 

Si tratta di far ripartire proprio da qui un nuovo progetto/processo al quale possono e devono intervenire tutte le realtà presenti nella vasta e frastagliata galassia del mondo cattolico: Forum delle associazioni familiari, Scienza & Vita e Retinopera e le tante altre sin qui silenti o talora indifferenti, se non addirittura nettamente antagoniste.

 

Noi vecchi “ DC non pentiti”, eredi di una cultura politica che è quella di Don Sturzo, De Gasperi, Moro e dei tanti leader che hanno contribuito alla storia  della Democrazia Cristiana italiana, insieme a tanti amici di altre realtà sociali e culturali, nel recente seminario di Verona (23 Giugno 2018)  che abbiamo organizzato con gli amici di “ Costruire Insieme”, riteniamo di aver offerto un primo importante contributo, dopo le fallimentari esperienze di Todi 1 e Todi 2, meri trampolini di lancio per alcune candidature  confluite nell’infausta esperienza di Scelta civica di Mario Monti.

 

A Verona, infatti, con Gianni Fontana ( DC),, Mario Mauro ( Popolari per l’Italia), Domenico Menorello ( Energie per l’Italia), Giorgio Merlo ( La rete Bianca), Gian Franco Rotondi ( Rivoluzione cristiana), Ivo Tarolli ( Costruire Insieme) e il sottoscritto ( ALEF, Associazione Liberi e Forti) abbiamo condiviso di percorrere una comune rotta alla ricerca dell’”unità possibile”.

 

Nel documento finale è scritto: “Il passo possibile appare, quindi, la promozione di una piattaforma plurale, in direzione di una ’Unione per un Movimento Popolare (UMP) nel quale possano coordinarsi, liberamente e senza predefinite gerarchie organizzative, le diverse esperienze presenti in Italia che si rifanno ai valori della sussidiarietà. Un soggetto politico ampio, plurale, laico, democratico, popolare, europeista, trans nazionale,  impegnato a tradurre nella “città dell’uomo” gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa, in dialogo privilegiato con il PPE.”.

 

Un progetto che esalti nel suo abbrivio gli ideali e i contenuti che uniscono tante presenze rimaste isolate, disgregate o addirittura inespresse, assumendo l’economia sociale di mercato e l’economia civile quali strumenti essenziali in grado di porre a fondamento della politica la centralità della persona, della famiglia, dell’impresa e dei corpi intermedi;  l’alternativa alle logiche di certo turbo capitalismo finanziario che, subordinando alla finanza l’economia reale, sta distruggendo i ceti medi e le classi popolari, confinando la politica al ruolo subordinato al servizio dei poteri dominanti e riducendo la stessa democrazia a una formula vuota di significato”.

 

La prova del nove si farà con la raccolta delle firme (30.000 per ognuna delle cinque circoscrizioni in cui si svolgeranno le elezioni per il rinnovo del parlamento europeo il 23-26 Maggio 2019) a partire dal prossimo 28 Novembre, mentre ci auguriamo di celebrare INSIEME una grande Assemblea di tutti i Popolari italiani il 18  Gennaio 2019, centenario dell’”Appello ai Liberi e Forti” di Don Luigi Sturzo.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 16 Luglio 2018


SEGNALI INTERESSANTI NELL’AREA CENTRALE

 

La maggioranza di risulta trasformista e di necessità che regge il governo del Prof Conte sta mostrando le prime difficoltà.  In parte esse sono  legate all’inesperienza di molti ministri, tra i quali eccelle l’improvvisazione senza competenza del  “leader” Di Maio, a tutto vantaggio di Salvini che costituisce il vero dominus a Palazzo Chigi.

Nei confronti di questa maggioranza spuria, tuttavia, non si vede l’efficacia di un’opposizione forte e determinata. Essa  sconta la crisi pre-agonica del PD, cui il renzismo ha vanificato ogni residua identità culturale e quella del centro-destra il quale, autorizzata sconsideratamente la “fuitina” di  Salvini con il M5S,  si è ridotto nell’attuale condizione di inesorabile progressivo sgretolamento politico e organizzativo.

Se la maggioranza trasformista M5S-Lega rappresenta, di fatto, meno del 60% del 50% degli elettori che partecipano al  voto, è la mancata rappresentanza del 50% degli elettori  che disertano le urne che dovrebbe preoccupare. Larga parte di questi renitenti al voto  è composta da cittadini del ceto medio e delle realtà popolari stanche e deluse,  che hanno perduto ogni residua fiducia nella politica.

Ciò che in questo scenario appare ancor più grave è la riduzione a totale irrilevanza di quel centro cattolico popolare che, insieme alle culture liberali e riformiste della Prima Repubblica, aveva concorso a rendere l’Italia la settima potenza economica industriale del mondo.

Una crisi quella dell’area cattolico popolare di cui si sono resi conto finalmente anche gli esponenti più autorevoli della gerarchia cattolica, come risulta dalle prese di posizione decise assunte dal card Bassetti, Presidente della CEI, e dal neo cardinale Becciu, tra i più ascoltati collaboratori di Papa Francesco.

Una tappa importante del progetto di ricomposizione dell’area popolare è stata compiuta a Verona il 23 Giugno scorso in un seminario organizzato dall’associazione “ Costruire Insieme”, presieduta da Ivo Tarolli,  al quale hanno partecipato esponenti di diverse formazioni politico culturali come Gianni Fontana (DC), Mario Mauro ( Popolari per Italia),  Giorgio Merlo ( la Rete bianca), Domenico Menorello ( Energie per l’Italia) o hanno dato la piena adesione, come Gianfranco Rotondi ( Forza Italia). Insieme a molti altri amici presenti abbiamo sottoscritto un documento politico, nel quale  ci proponiamo: “ la promozione di una piattaforma plurale, in direzione di una ’Unione per un Movimento Popolare (UMP) nel quale possano coordinarsi, liberamente e senza predefinite gerarchie organizzative, le diverse esperienze presenti in Italia che si rifanno ai valori della sussidiarietà. Un soggetto politico ampio, plurale, laico, democratico, popolare, europeista, trans nazionale,  impegnato a tradurre nella “città dell’uomo” gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa, in dialogo privilegiato con il PPE”.

Altri segnali positivi sono intervenuti in questi giorni tanto dall’area “sgarruppata” del PD, con il manifesto politico di Carlo Calenda, che da quella del centro destra in fibrillazione, con le conclusioni del Comitato nazionale di Energie per l’Italia di Stefano Parisi del 14 Giugno.

Calenda con accenti politico culturali che ricordano quelli che furono un tempo della sinistra repubblicana lamalfiana, si propone di dar vita a “ un’alleanza repubblicana oltre gli attuali partiti” proponendo cinque idee per incominciare.

Dopo un’ampia analisi delle condizioni internazionali e delle tendenze più significative sul piano geopolitico mondiale, durissimo é il giudizio che Calenda dà sulla situazione italiana, sostenendo, infatti che: “L’Italia anello fragile, finanziariamente e come collocazione geografica, di un occidente fragilissimo, è la prima grande democrazia occidentale a cadere sotto un Governo che è un incrocio tra sovranismo e fuga dalla realtà. Occorre riorganizzare il campo dei progressisti per far fronte a questa minaccia mortale. Per farlo è necessario definire un manifesto di valori e di proposte e rafforzare la rappresentanza di parti della società che non possono essere riassunti in una singola base di classe. Un’alleanza repubblicana che vada oltre gli attuali partiti e aggreghi i mondi della rappresentanza economica, sociale, della cultura, del terzo settore, delle professioni, dell’impegno civile. Abbiamo bisogno di offrire uno strumento di mobilitazione ai cittadini che non sia solo una somma di partiti malandati e che abbia un programma che non si esaurisca, nel pur fondamentale obiettivo di salvare la Repubblica dal “sovranismo anarcoide” di Lega e M5s.”

Non è ovviamente esattamente la nostra posizione di Popolari, anche se possiamo ben condividere le priorità di programma da Calenda indicate, quali: Tenere in sicurezza l’Italia; Proteggere gli sconfitti sul piano sociale; Investire nelle trasformazioni; Promuovere l’interessa nazionale in UE e nel mondo; Lanciare un grande Piano per la conoscenza e la ricerca scientifica.

Noi semmai porremmo come preliminare strategico ineludibile: il ritorno al controllo pubblico di Banca d’Italia e il ripristino della separazione tra banche di prestito e banche d’affari. In sostanza la riadozione della Legge bancaria del 1936, da sempre difesa dalla DC sino al 1992, data nella quale con il decreto Amato-Barucci abbiamo consegnato il controllo di Banca d’Italia agli edge funds anglo caucasici  e la suicida combinazione insieme dell’attività bancaria di prestito e di speculazione finanziaria. Scelta irresponsabile guidata dai detentori dei poteri finanziari a tutto danno del Paese, della sua economia reale e dei ceti medi e popolari. Tuttavia  nel manifesto politico di Carlo Calenda  ci sono molte indicazioni su cui noi Popolari potremmo con estrema coerenza concordare, sia sul piano della politica interna che sulle indicazioni strategiche di politica estera.

Possibilità di intesa, inoltre e come già accertato a Verona dall’intervento dell’On Menorello (Energie per l’Italia), con Stefano Parisi, il quale nelle conclusioni del suo Comitato nazionale  afferma quanto segue: “ L’obiettivo di EPI resta quello di dar vita a un grande processo di ricostruzione dell’Italia. Delle basi del nostro pensiero politico. Del nostro Stato di diritto. Dell’europeismo. Della nostra collocazione atlantica e dei valori della tradizione giudaico-cristiana. Senza l’Europa non faremo passi avanti ma non andremo avanti neppure con questa Europa così debole e divisa per sfere di influenza. Il protagonismo del presidente francese Macron, i socialisti spagnoli arrivati quasi per caso al governo, la Merkel senza una solida maggioranza, gli attriti già emersi nel contesto di una difficile discussione sulla nuova governance della Unione: se il nostro Paese dovesse giocare un ruolo antieuropeo non faremo solo un danno alla Ue ma a noi stessi. Siamo contro questa Europa ma sia ben chiaro che lo siamo da posizioni europeiste.” In conclusione Parisi sostiene che : “La nostra missione resta quella di dare vita a una nuova rappresentanza liberale e popolare che eviti lo sfascio delle istituzioni, riformi il Paese e permetta all’Italia di tornare grande.”

 

Noi Popolari, intanto, cerchiamo di fare sino in fondo e bene la nostra parte, ricostruendo in tempi ragionevolmente brevi la ricomposizione della nostra area politica e culturale, avendo le antenne pronte e la disponibilità a collaborare con quanti da altre sponde culturali, animati dalla condivisione dei valori dell’umanesimo cristiano, intendano INSIEME  a noi   offrire una nuova speranza agli italiani.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)

Venezia, 29 Giugno 2018

 


  1. Adesso mobilitiamoci!

     

    A Verona Sabato 23 Giugno 2018  è avvenuto un fatto importante per i Popolari italiani. Esponenti di diversi partiti, movimenti, associazioni e gruppi, espressione di esperienze diverse, molte delle quali figlie della lunga e dolorosa  diaspora  democratico cristiana, si sono ritrovati per avviare un processo di ricomposizione per il quale il contributo offerto da “ Costruire Insieme” è stato rilevante.

     

    Guidata dal sen trentino Ivo Tarolli, l’associazione “ Costruire Insieme”, sin dal Convegno di Rovereto ( Luglio 2015) con la “ Lettera Appello” “ai tanti in prima linea”, si era  fatta promotrice del progetto che solo a Verona ha trovato la definitiva consacrazione.

     

    A Rovereto ( Luglio 2015) prima e a Orvieto poi ( Novembre 2015), molti dei partecipanti che avevano condiviso quell’appello si erano più tardi divisi, finendo col dare preferenza ai temi del: “chi guida?” e “con chi ci si allea?”- Due interrogativi oggettivamente divisivi, che hanno dovuto scontare le divisioni laceranti vissute sino alle recenti elezioni politiche.

     

    Il voto del 4 Marzo, con la definitiva riduzione alla totale scomparsa dell’esperienza politica dei popolari, ha segnato, al contempo, l’avvio di una fase totalmente nuova della vicenda politica italiana, nella quale, alla maggioranza di risulta trasformistica del governo M5S-Lega, non esistono più reali alternative consistenti, dato che, tanto il PD che Forza Italia, stanno vivendo una condizione di progressivo inevitabile sfaldamento. Situazione confermata dal voto alle amministrative di ieri con la disaffezione elettorale che ha raggiunto il massimo livello ( oltre il 65% degli elettori renitenti al voto).

     

    Il vecchio tema del chi guida? non ha più ragion d’essere in una realtà come quella dell’area cattolico popolare, nella quale i diversi generali sono finiti vittime delle loro fallimentari divisioni suicide; così come il tema con chi ci alleiamo? ha perso ogni senso, visto che, tanto il centro-destra, che il centro-sinistra, non esistono più come riferimenti credibili per l’alternativa.

     

    Non a caso a Verona si sono ritrovati insieme, tanto gli amici della DC che alle ultime elezioni politiche avevano vissuto una profonda lacerazione solo in parte ricomposta, quanto esponenti, come gli amici dei “Popolari per l’Italia” ( Mario Mauro), “Energie per l’Italia” ( Domenico  Menorello) che il 4 Marzo scorso avevano seguito percorsi diversi e, soprattutto, l’amico Giorgio Merlo, in rappresentanza de “ la rete bianca”: un movimento sorto dalla presa di coscienza critica di amici popolari che hanno vissuto sino in fondo l’esperienza per certi versi traumatica nel PD renziano. Anche Gianfranco Rotondi, deputato democristiano di Forza Italia, assente a Verona per gli impegni al ballottaggio del comune di Avellino, ha garantito la sua piena adesione e la sottoscrizione del documento finale del convegno.

     

    Grande merito va agli amici di “ Costruire Insieme”, i quali hanno saputo mantenere aperti i collegamenti e tessere la tela della ricomposizione, attraverso il tema unificante dell”unità possibile”, assunto come denominatore comune tra tutti gli amici. I punti fondamentali di consenso riscontrati nell’appuntamento scaligero, sono quelli indicati nel documento finale sottoscritto  e annunciati nelle conclusioni di Ivo Tarolli.

     

    La sottolineatura autocritica è quella così indicata: “Nella grande difficoltà a riconoscere, allo stato, la praticabilità di azioni organizzate su scala nazionale, si devono almeno giudicare negativamente i tratti propri dell’impegno dei popolari nella Seconda Repubblica, in cui è prevalso uno sterile protagonismo individuale rispetto ad una tensione unitaria e pluralista che sapesse reinterpretare, senza inutili e irrealistiche nostalgie, quell’antico, nobile e mai superato progetto culturale, sociale, economico politico, economico e etico dei “Liberi e Forti” di Sturzo e della migliore tradizione politica dei cattolici democratici.” Il passaggio decisivo è quello seguente:

     

    “Il passo possibile appare, quindi, la promozione di una piattaforma plurale, in direzione di una ’Unione per un Movimento Popolare (UMP) nel quale possano coordinarsi, liberamente e senza predefinite gerarchie organizzative, le diverse esperienze presenti in Italia che si rifanno ai valori della sussidiarietà. Un soggetto politico ampio, plurale, laico, democratico, popolare, europeista, trans nazionale, impegnato a tradurre nella “città dell’uomo” gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa, in dialogo privilegiato con il PPE..

    Un progetto che esalti nel suo abbrivio gli ideali e i contenuti che uniscono tante presenze rimaste isolate, disgregate o addirittura inespresse, assumendo l’economia sociale di mercato e l’economia civile quali strumenti essenziali in grado di porre a fondamento della politica la centralità della persona, della famiglia, dell’impresa e dei corpi intermedi;  l’alternativa alle logiche di certo turbo capitalismo finanziario che, subordinando alla finanza l’economia reale, sta distruggendo i ceti medi e le classi popolari, confinando la politica al ruolo subordinato al servizio dei poteri dominanti e riducendo la stessa democrazia a una formula vuota di significato.”

     

    Sono cinque gli obiettivi indicati da perseguire:

     

    1)                   che il lavoro, la famiglia, la competitività dell’impresa, divengano i temi prioritari e centrali del nostro impegno politico e sociale;

    2)                   che l’obiettivo dell’unità possibile di tanti partiti, associazioni, movimenti, liste civiche e persone volonterose, debba fondarsi su un grande progetto culturale che coinvolga le persone, ancorate al territorio e in grado di “orientare” la modernità;

    3)                   che si debba dar vita a un coordinamento largo, aperto ad energie fresche e giovanili che abbia come obiettivo la costituzione di un soggetto politico nuovo, grande, plurale come su descritto (l’UMP italiano);

    4)                   che si favoriscano incontri analoghi su tutto il territorio nazionale, in modo da mettere a fuoco le misure da mettere in campo per dare soluzione ai bisogni e alle attese degli italiani;

    5)                   che siano attivati in ogni provincia, presidi territoriali in grado di far rete ed essere esperienza di dialogo e partecipazione.

     

    Ora non devono più intervenire ostacoli, impegnando tutte le migliori energie a realizzare le priorità indicate. La scadenza è fissata alle prossime elezioni europee per le quali saremo tutti unitariamente impegnati a raccogliere dal 28 Novembre prossimo, 30.000 firme in ciascuno delle cinque circoscrizioni in cui è suddivisa l’Italia per la consultazione elettorale europea del 23-26 Maggio 2019.

    Tutti noi popolari siamo chiamati adesso alla mobilitazione.

     

    Ettore Bonalberti

    Venezia, 25 Giugno 2018


 

Incontro dei Popolari per l’unità possibile

 

Si sono riuniti a Verona, Sabato 23 Giugno 2018, presso la sala riunioni del Ristorante Bar Liston 12 a Piazza Brà,  in un seminario  promosso dall’associazione “ Costruire Insieme”, i rappresentanti di diversi liste civiche, partiti, movimenti e associazioni che fanno riferimento all’area popolare.

Ai lavori hanno partecipato, col segretario dell’associazione “ Costruire Insieme”, Marco D’Agostini, i coordinatori della stessa associazione del Piemonte, Mauro Carmagnola; del Veneto, Luciano Finesso; della Lombardia, Francesco Mazzoli e del Trentino AA.AA., Alberto Vinzio.

Il Prof Giuseppe Sabella, direttore del Think –Industry 4.0 ha svolto una relazione sul tema: “Il lavoro e l’impresa-Le nuove sfide”, assunto dal seminario come elemento  centrale di riflessione politico culturale.

E’ seguita una tavola rotonda presieduta da Ettore Bonalberti, presidente di Alef ( Associazione Liberi e Forti) sul tema: “L’unità possibile dei Popolari Italiani”, alla quale hanno partecipato:

gli Onn.:  Gianni Fontana, Presidente DC, Mario Mauro, Presidente dei “Popolari per l’Italia”, Domenico Menorello di “Energie per l’Italia”, Giorgio Merlo dell’associazione “ la rete bianca” e del consigliere regionale del Veneto, Stefano Valdegamberi della lista Zaia.

Assente giustificato, perché impegnato nel ballottaggio per l’elezione del sindaco del comune di Avellino, l’On  Gianfranco Rotondi di Forza Italia.

Unanime la condivisione dei partecipanti  per “la promozione di una piattaforma plurale, in direzione di una ’Unione per un Movimento Popolare (UMP) nel quale possano coordinarsi, liberamente e senza predefinite gerarchie organizzative, le diverse esperienze presenti in Italia che si rifanno ai valori della sussidiarietà. Un soggetto politico ampio, plurale, laico, democratico, popolare, europeista, trans nazionale,  impegnato a tradurre nella “città dell’uomo” gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa, in dialogo privilegiato con il PPE”.

I lavori sono stati conclusi da un appassionato intervento del sen Ivo Tarolli, presidente dell’associazione “ Costruire Insieme” che ha annunciato l’organizzazione di seminari sui principali temi di interesse dei cittadini in diverse realtà territoriali italiane. Alla fine  è stato approvato e sottoscritto da tutti i relatori presenti un documento di cui si allega copia, nel quale,  i rappresentanti dei diversi partiti, liste civiche, associazioni  e movimenti hanno  convenuto quanto segue:

 

1)                   che il lavoro, la famiglia, la competitività dell’impresa, divengano i temi prioritari e centrali del nostro impegno politico e sociale;

2)                   che l’obiettivo dell’unità possibile di tanti partiti, associazioni, movimenti, liste civiche e persone volonterose, debba fondarsi su un grande progetto culturale che coinvolga le persone, ancorate al territorio e in grado di “orientare” la modernità;

3)                   che si debba dar vita a un coordinamento largo, aperto ad energie fresche e giovanili che abbia come obiettivo la costituzione di un soggetto politico nuovo, grande, plurale:  un’Unione per un Movimento Popolare (UMP)

4)                   che si favoriscano incontri analoghi su tutto il territorio nazionale, in modo da mettere a fuoco le misure da mettere in campo per dare soluzione ai bisogni e alle attese degli italiani;

5)                   che siano attivati in ogni provincia, presidi territoriali in grado di far rete ed essere esperienza di dialogo e partecipazione.


 copia del documento finale approvato a Verona il 23 Giugno 2018:


Si sono riuniti a Verona, Sabato 23 Giugno 2018,  in un seminario  promosso dall’associazione “ Costruire Insieme”, i rappresentanti di diversi liste civiche, partiti, movimenti e associazioni che fanno riferimento all’area popolare.

 

La grave situazione economica e sociale del Paese che pone al centro della riflessione il tema del lavoro e della lotta alla povertà, si accompagna alla sempre più urgente rifondazione di una partecipazione attiva alla vita politica della Res Publica.

 

La gravemente insufficiente proposta politica delle forze  moderate e la diseducazione oramai consolidata del popolo a un giudizio razionale sui fatti pubblici, unitamente all’indebolimento esperienziale dei corpi intermedi della società italiana, ha favorito il risultato elettorale e la formazione di un equilibrio trasformistico del governo giallo-verde, espressione di sentimenti politici caratterizzati dai tratti non privi di  demagogia, la frustrazione della funzione tradizionale di mediazione dei partiti e l’avvio di un processo verso un’ auspicata “democrazia diretta” non scevra di tratti autoritari.

 

Nella desertificazione delle culture politiche che hanno fatto grande l’Italia, riteniamo necessario avviare un serio processo di ricomposizione delle sensibilità civiche, popolari, riformiste e liberali italiane, ora che il filone ideale e culturale, che unì anche e non solo i cattolici laici, è pressoché spento sia alla camera dei deputati che al senato della repubblica.

 

Intendiamo servire una esperienza di società e di Stato nel segno della sussidiarietà, nella quale la persona è concepita non come irrazionale misura del reale che, nella realtà, diviene sempre proiezione del potere dominante, ma è affermata nel suo desiderio di vero, di giusto e di bello che fonda le relazioni e la dimensione comunitaria come essenziale al pieno sviluppo del singolo in una prospettiva di responsabilità condivisa.

 

Nella grande difficoltà a riconoscere, allo stato, la praticabilità di azioni organizzate su scale nazionale, si devono almeno giudicare negativamente i tratti propri dell’impegno dei popolari nella Seconda Repubblica, in cui è prevalso uno sterile protagonismo individuale rispetto ad una tensione unitaria e pluralista che sapesse reinterpretare, senza inutili e irrealistiche nostalgie, quell’antico, nobile e mai superato progetto culturale, sociale, economico politico, economico e etico dei “Liberi e Forti” di Sturzo e della migliore tradizione politica dei cattolici democratici.

 

Il passo possibile appare, quindi, la promozione di una piattaforma plurale, in direzione di una ’Unione per un Movimento Popolare (UMP) nel quale possano coordinarsi, liberamente e senza predefinite gerarchie organizzative, le diverse esperienze presenti in Italia che si rifanno ai valori della sussidiarietà. Un soggetto politico ampio, plurale, laico, democratico, popolare, europeista, trans nazionale,  impegnato a tradurre nella “città dell’uomo” gli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa, in dialogo privilegiato con il PPE..

 

Un progetto che esalti nel suo abbrivio gli ideali e i contenuti che uniscono tante presenze rimaste isolate, disgregate o addirittura inespresse, assumendo l’economia sociale di mercato e l’economia civile quali strumenti essenziali in grado di porre a fondamento della politica la centralità della persona, della famiglia, dell’impresa e dei corpi intermedi;  l’alternativa alle logiche di certo turbo capitalismo finanziario che, subordinando alla finanza l’economia reale, sta distruggendo i ceti medi e le classi popolari, confinando la politica al ruolo subordinato al servizio dei poteri dominanti e riducendo la stessa democrazia a una formula vuota di significato.

 

Dopo un’ampia e approfondita discussione si conviene quanto segue:

 

1)                   che il lavoro, la famiglia, la competitività dell’impresa, divengano i temi prioritari e centrali del nostro impegno politico e sociale;

2)                   che l’obiettivo dell’unità possibile di tanti partiti, associazioni, movimenti, liste civiche e persone volonterose, debba fondarsi su un grande progetto culturale che coinvolga le persone, ancorate al territorio e in grado di “orientare” la modernità;

3)                   che si debba dar vita a un coordinamento largo, aperto ad energie fresche e giovanili che abbia come obiettivo la costituzione di un soggetto politico nuovo, grande, plurale come su descritto;

4)                   che si favoriscano incontri analoghi su tutto il territorio nazionale, in modo da mettere a fuoco le misure da mettere in campo per dare soluzione ai bisogni e alle attese degli italiani;

5)                   che siano attivati in ogni provincia, presidi territoriali in grado di far rete ed essere esperienza di dialogo e partecipazione

 

Letto e sottoscritto

Verona, 23 Giugno 2018

 

 

Ettore Bonalberti

Gianni Fontana

Mario Mauro

Domenico Menorello

Giorgio Merlo

Gianfranco Rotondi

Ivo Tarolli

Mauro Carmagnola

Marco D’Agostini

Luciano Finesso

Francesco Mazzoli

Alberto Vinzio

Giampaolo Fogliardi

Amedeo Portacci

Filippo Maria Fasulo

Lia Monopoli

Zanchini Sammo

Paolo Paoli

Mou Niang

Damiano D’Angelo

Zanetti Licia

Alberto Revolti

Fabrizio Mioni

 

 

 

 

 

 



Che sia la volta buona?

 

Si è tenuta ieri a Roma l’assemblea dei soci della DC che nel 2012 rinnovarono l’adesione al partito, i quali, sulla base dell’autorizzazione allo svolgimento dell’assemblea del 26 Febbraio 2017 del giudice Romano, del tribunale di Roma, sono i continuatori legittimi della DC storica.


Un partito quello della DC, “ mai giuridicamente sciolto”, anche se politicamente esaurito, così come ha sentenziato in via definitiva la suprema Corte ( sentenza n.25999 del 23.12.2010) con cui si é posto fine alle diverse presunzioni di eredità dei vari personaggi con cui  scoppiò la diaspora democristiana; alcuni dei quali in servizio permanente effettivo, pronti, in qualche caso,  a dispensare titoli di rappresentanza democristiana senza alcun fondamento o a fregiarsi senza legittimità del titolo e del simbolo della DC.

 

Il 26 Febbraio 2017 eleggemmo alla presidenza del partito Gianni Fontana, già segretario eletto nel congresso nazionale annullato dal tribunale di Roma svoltosi nel Novembre 2012. Ora, per dare continuità giuridica alla DC storica serviva procedere all’elezione degli organi del partito.

 

L’assemblea di ieri a Roma doveva proprio decidere le modalità da seguire per giungere all’elezione degli organi del partito: segretario nazionale, consiglio nazionale, direzione nazionale, ecc…

 

Dopo un serio confronto interno tra diverse opzioni svoltosi a Piazza del Gesù venerdì 15 Giugno promosso dal sottoscritto, è stata accolta la tesi del Prof Nino Luciani, confortato dal parere di illustri giureconsulti dell’università di Bologna, secondo cui la costituzione degli organi del partito era ed è “ la condizione necessaria, ma non sufficiente” per il ritorno in campo politico della DC.

 

Condizione giuridica necessaria, per consentire al segretario nazionale eletto di condurre, nella pienezza dei poteri e forte della rappresentanza ufficiale del partito, tutte le azioni più opportune per il ritorno in campo politico della DC.

 

Abbiamo scelto di seguire le indicazioni che a suo tempo il giudice Scerrato formulò nella sentenza n.17831/2015, con cui il 10.12.2015 annullò il XIX Congresso nazionale del partito svoltosi nel Novembre 2012.

 

Quelle indicazioni sono state assunte ieri, con l’approvazione all’unanimità  della mozione di cui si allega il testo che recepisce quello che ho definito il “ Lodo Luciani-Grassi”, ossia il svolgimento del congresso nazionale, che si terrà con la celebrazione dei congressi provinciali e regionali per l’elezione dei delegati al congresso nazionale da svolgersi il 29 settembre 2018.

 

Un congresso  necessario per ridare piena legittimità giuridica alla DC, riservato ai soli soci legittimi del partito, ossia quelli della lista depositata a suo tempo al tribunale di Roma, in base al quale il giudice Romano, autorizzò l’assemblea del 26 Febbraio scorso.

 

Va ribadito, come ben evidenziato nella mozione finale approvata, che questa prima fase è la condizione necessaria, ma non sufficiente per riportare in campo la DC.

 

Ecco perché, celebrato il congresso riservato ai soci DC 2012, si aprirà il tesseramento ufficiale alla DC e a definire, con tre assemblee organizzative e di programma ( al Nord, Centro e Sud d’Italia) la proposta politica e programmatica della DC per il Paese. Un tesseramento al quale saranno chiamati a partecipare tutti i diversi tronconi dei partiti e partitini che, a diverso titolo, si rifanno alla DC, e, soprattutto, tutti i diversi movimenti, associazioni, gruppi e persone che  sono interessati alla ripresa di iniziativa politica della DC.

 

La chat di what’s up avviata con grande passione dalla bravissima Mariella Bauleo, dimostra la grande attesa e voglia di partecipazione di molti amici, in parte delusi dalle contorte procedure, ahimé indispensabili, se si vuole dare continuità alla DC storica, dei due congressi, ma, in larga parte, pronti con quanti, come noi più anziani e sulla via dell’ultimo miglio, a ridare fiato politico al partito dei cattolici democratici e dei “ Liberi e Forti”.

 

Con l’apertura del tesseramento e i tre convegni organizzativi e di programma sarà indispensabile attivare in tutti comuni italiani dei comitati civico popolari; luoghi di una rinnovata partecipazione politica dei cittadini interessati all’impegno politico secondo i valori dell’umanesimo cristiano e a inverare nella “città dell’uomo” la dottrina sociale della Chiesa, così come indicato autorevolmente dal card. Bassetti,  Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

 

Da parte mia sono molto contento che altri fermenti siano presenti nella realtà politica e culturale italiana, come quello della “rete bianca” , di “ Rinascita cristiana” e di molte altri movimenti e partiti che si ritroveranno a discutere della prospettiva di un più ampio schieramento popolare, sul modello dell’UMP francese, Sabato 23 prossimo a Verona, in un seminario promosso dall’associazione “ Costruire Insieme” guidata dall’amico Ivo Tarolli. Un seminario   al quale parteciperanno, tra gli altri,  con Gianni Fontana, presidente della DC, gli amici Mario Mauro, Domenico Menorello, Giorgio Merlo, Gianfranco Rotondi, Stefano Valdegamberi.

 

Finalmente si è messo in marcia il progetto per la ricomposizione politico culturale dell’area cattolica e popolare italiana e non saranno i reiterati ricorsi di alcuni legulei interessati a porre altri ostacoli a questo processo irreversibile di cui l’Italia, nel deserto delle culture politiche e in un quadro internazionale e interno di estrema complessità, ha urgentemente bisogno.

 

Con l’aiuto del Signore crediamo che questa sia veramente la volta buona.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 17 Giugno 2018

 

 

MOZIONE

 

L’esperienza democristiana è stata la più straordinaria e significativa avventura politica del secolo scorso.

Oggi che tale filone ideale e culturale, che unì anche e non solo i cattolici laici e i laici cattolici, è spento alla camera dei deputati e al senato della repubblica, il paese sente il vuoto senza speranza di tale rappresentanza. Dove sono le nostre intelligenze? Le nostre passioni? Di cosa abbiamo timore?

Va riproposto un progetto di società nel quale i diritti di tutti vengano difesi e i doveri di tutti attuati: insomma una nuova fase costituente dei doveri.

Vanno perciò superati le tentazioni nostalgiche accompagnate da silenziose lamentele.

Ecco perché va ricostruita-sotto l’unico nome e simbolo dello scudo crociato nella memoria dei Padri Fondatori che hanno fatto la Democrazia Cristiana-l’unità di tutti i democristiani che sino ad oggi, in differenti modi e con diverse iniziative, hanno tuttavia tenuto desto il nome della DC dopo la diaspora del 1994.

Si tratta di ritornare INSIEME a quell’antico e nobile progetto culturale, sociale, economico politico, economico, etico, politico dei “Liberi e Forti”.

E se i democristiani vorranno tornare ad essere protagonisti, è giusto e necessario che, fin dal prossimo XIX° congresso nazionale, la DC sia una tenda, un luogo includente e aperto a tutti i democristiani, senza costruzione di confini, senza preclusioni ed esclusioni. Un luogo politico aperto ai movimenti e alle associazioni di cattolici morali e cattolici sociali, come giustamente ci invita a fare il presidente della CEI, cardinale Bassetti, e aperto  ai movimenti laici di ispirazione cristiana.

Primo frutto del congresso sarà il tesseramento aperto a tutti coloro che vorranno partecipare a questo progetto e assumere sul serio “la politica come la più alta forma della carità” (PaoloVI) orientati dalla stella polare della Dottrina Sociale della Chiesa.

Coloro che per anni hanno speso con sacrifici tutte le loro energie per tenere in vita una piccola luce che ha illuminato la DC, oggi possono e devono trasformare tale luce in un faro, in modo d rendere visibile e chiaro che i democristiani  accoglieranno tutti coloro che, animati dallo stesso spirito,  vorranno “lavorare INSIEME per il bene comune dell’Italia senza partigianeria, con carità e responsabilità, senza soffiare sul fuoco della frustrazione e della rabbia sociale” (card.Bassetti)

L’assemblea, mentre approva la relazione politica del presidente Gianni Fontana, delibera: a a) la convocazione del congresso della DC  a norma statutaria e nel rispetto rigoroso delle decisioni del tribunale di  Roma per dare continuità alla DC storica per Sabato 29 settembre 2018 .

b) di aprire il confronto con i  partiti di ispirazione DC  e i movimenti di area cattolico popolare suddetti al fine di concorrere all’unità della più vasta aggregazione su una piattaforma culturale, sociale, economica, etica e politica che sarà elaborata INSIEME in assemblee organizzative e programmatiche al nord-centro e sud d’Italia

c) di aprire il tesseramento subito dopo l’avvenuto completamento degli organi statutari, un tesseramento che sarà vincolato all’autocertificazione dei singoli a condividere il codice etico  della DC.

Roma, 16 Giugno 2018

 

Firmatari della mozione alcuni soci della DC storica della lista del 92/93 delle seguenti città:

Bari, Bologna, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Salerno, Taranto, Torino, Venezia, Verona.

 

 

 

 


Impegniamoci per l’Italia

 

Di tutto il Paese ha bisogno al di fuori di una crisi istituzionale, quale quella che si aprirebbe se la sconsiderata presa di posizione del giovane Di Maio, ahimé replicato dalla pulzella Meloni, venisse portata avanti in Parlamento.

 

L’intervento del prof Mirabelli, Presidente emerito della Corte Costituzionale, pubblicato da Interris (www.interris.it)  ( “ Perché non possiamo parlare di impeachment per Mattarella”), secondo cui: “ il Capo dello Stato non può agire sotto dettatura” non lascia dubbi in proposito.

 

Squassata da una condizione di anomia, che si esprime nella crisi economica, finanziaria, morale, sociale e politico culturale, l’Italia non potrebbe sopportare lo spettacolo della messa in stato di accusa di Mattarella, al quale dobbiamo e vogliamo esprimere tutta la nostra solidarietà.

 

E’ già più che sufficiente e al limite del punto di rottura quanto sta accadendo sul piano politico, con le posizioni intransigenti e dai pericolosi richiami a un clima di altri tempi drammatici per l’Italia, quali  quelle assunte dai due movimenti-partito dei grillini  e da Salvini leader della Lega. Si stanno facendo interpreti del malessere e della frustrazione, che sono diffusi in Italia con toni notevolmente sopra le righe; toni e pronunciamenti che possono sì garantire consenso elettorale,  ma,  facilmente responsabili di rotture laceranti nelle e fra le istituzioni e tra gli stessi cittadini ed elettori.

 

Premesso che la situazione in cui ci troviamo è il risultato di una legge elettorale schizoide, che ha perfettamente funzionato secondo l’obiettivo di non produrre vincitori, ma che, alla fine, si è dimostrata un boomerang proprio per coloro, PD in testa, che quel “rosatellum” avevano escogitato e votato, cerchiamo di esaminare il comportamento del Capo dello Stato.

 

Mattarella ha probabilmente compiuto il suo unico errore nel non aver incaricato Salvini di formare il governo, considerato che il leader leghista  era risultato candidato dalla coalizione che aveva ottenuto la maggioranza relativa il 4 Marzo scorso. Il Presidente ha compiuto questa scelta  poiché  riteneva  che la coalizione di centro destra non sarebbe stata in grado di trovare in Parlamento la maggioranza necessaria.

 

Ciò che è accaduto dopo, con la “fuitina” di Salvini con il compagno Di Maio, ammiccando da furbastro lumbard con il Cavaliere, è espressione aggiornata del perenne trasformismo italico che, stavolta, si è attivato in via preventiva, prima ancora che le Camere cominciassero a operare.

 

Ci è stato così risparmiato lo spettacolo della transumanza dei parlamentari strordinariamente numerosa nella passata legislatura, con quello della giravolta “ di necessità” del capo della Lega, eletto con i suoi deputati e senatori in coalizione con Forza Italia e Fratelli d’Italia, che costruisce un patto/contratto di governo sostanzialmente diverso da quello con cui si era presentato agli elettori.

 

La si smetta, dunqe, con la favola che gli italiani il 4 Marzo avrebbero dato la maggioranza al duo Di Maio-Salvini, dato che, in realtà, gli italiani avevano dato la maggioranza relativa al centro-destra mettendo in fila M5S e PD.

 

Il rifiuto avanzato dai grillini a trattare con il centro destra unito,  per le riserve insuperabili su Berlusconi e Fratelli d’Italia, hanno provocato la “fuitina” di Salvini e l’avvio di un processo trasformistico pericoloso, concretizzatosi con l’incarico allo sconosciuto prof Conte e radicalizzatosi con l’impuntatura leghista sul Prof Savona a ministro dell’economia e finanza.

 

Estimatori e sostenitori della tesi di Guarino  sull’illegittimità del fiscal compact, parto di un regolamento opposto alle finalità dei trattati liberamente sottoscritti, abbiamo condiviso anche quelle del Prof Savona sulla necessità di una ridiscussione delle modalità in cui sin qui è stata governata la moneta unica, avendo prudenzialmente pronta una soluzione B in caso di impatto senza prospettive.

 

Siamo, altresì, ben consapevoli e lo denunciamo con alcuni pochi amici da tempo, che, senza il ritorno al controllo pubblico di Banca d’Italia e alla separazione tra banche di prestito e banche di speculazione, in altre parole, senza sovranità monetaria non esista sovranità popolare. Siamo conspevoli, cioè, che senza il ritorno alla legge bancaria del 1936, dalla DC sempre difesa sino all’infausto decreto Barucci-Ciampi del 1992, l’Italia sarà sempre alla mercé dei voleri e dei poteri degli edge funds anglo-caucasici con sede legale nella city of London e sede fiscale nel Delaware.

 

Siamo altrettanto convinti, però, che in questo momento e nei modi con cui, in termini ultimativi e dal sapore di ricatto la candidatura del prof Savona si è cercato di imporla al Presidente della Repubblica, gli sconquassi finanziari, appena annunciati dai primi rumors di borsa e dello spread, non si sarebbero fatti attendere con conseguenze disastrose per i ceti medi e le classi popolari italiane.

 

Ora però, nel deserto della politica, dominata da due culture pervase dei tratti più  deteriori del “populismo de noantri”, interpretato da attori mediocri per cultura e capacità di autentica leadership di governo, serve rimettere insieme almeno alcune delle culture politiche che hanno fatto grande l’Italia.

 

Nasce di qui l’appello che in questi giorni, insieme a Gianfranco Rotondi, a Giorgio Merlo, Alberto Alessi, Ivo Tarolli e  Gianni Fontana, abbiamo rivolto alla vasta galassia dell’area cattolica e popolare, per tentare di costruire insieme un nuovo e grande soggetto politico laico, democratico, ampio, plurale  e popolare, europeista e trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori. Abbiamo l’occasione e l’esigenza assoluta per l’Italia, di corrispondere in tal modo al recente invito che il card Bassetti, presidente della CEI, ha inviato ai cattolici italiani per un rinnovato impegno politico e istituzionale nella “città dell’uomo”.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)

Venezia, 29 Maggio 2018

 

 

 

 

Dalla CEI l’invito a un rinnovato impegno dei cattolici italiani

 

Intervenendo all’assemblea generale della CEI il 22 Maggio scorso, il card Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha usato parole nuove di grande valore e impegno non solo per tutti i vescovi e i sacerdoti, ma per lo stesso laicato cattolico italiano.

 

«Credo che, con lo spirito critico di sempre, sia giunto il momento di cogliere la sfida del nuovo che avanza nella politica italiana per fare un esame di coscienza e, soprattutto, per rinnovare la nostra pedagogia politica e aiutare coloro che sentono che la loro fede, senza l’impegno pubblico, non è piena. Sono molti, sono pochi? Ancora una volta, non è questione di numero, ma di luce, lievito e sale: ogni società vive e progredisce se minoranze attive ne animano la vita spirituale e si mettono al servizio di chi nemmeno spera più».

 

E, qualche passo  prima aveva detto: “Tra pochi mesi celebreremo il centenario dell’appello ai Liberi e Forti, lanciato da un gruppo di tenaci democratici, riuniti intorno a don Luigi Sturzo. Fu l’inizio di una storia, quella del cattolicesimo politico italiano, che ha segnato la nostra democrazia e che ci ha dato una galleria di esempi alti di dedizione, di umiltà, di intelligenza. Abbiamo vissuto momenti gloriosi e momenti dolorosi, sperimentato la forza ma anche la debolezza, la meschineria, il tradimento, la diaspora. Vecchi partiti si sono sgretolati, nuovi soggetti sono venuti sulla scena, ma nessuno può negare che nelle migliaia di Comuni italiani ci sono persone che senza alcuna visibilità e senza guadagno reggono le sorti della nostra fragile democrazia. Chi si impegna nell’amministrare la cosa pubblica deve ritornare ad essere un nostro figlio prediletto: dobbiamo mettere tutta la forza che ci resta al servizio di chi fa il bene ed è davvero esperto del mondo della sofferenza, del lavoro, dell’educazione. Quello che ha sempre guidato i cattolici italiani – penso, ad esempio, al beato Giuseppe Toniolo – è stato un grande bisogno di distinguersi e di portare alta la divisa evangelica pure in politica. La storia della Chiesa italiana è stata una storia importante anche per la particolare sensibilità per l’aspetto politico dell’evangelizzazione: nessuna Conferenza episcopale come la nostra possiede un tesoro così ricco di documenti e di testimonianze. Dobbiamo  esserne fieri, ma soprattutto è venuto il momento di interrogarci se siamo davvero eredi di quella nobile tradizione o se ci limitiamo soltanto a custodirla, come talvolta si rischia che avvenga perfino per il Vangelo”.

 

Cogliamo dalle parole del card Bassetti una ragione in più per continuare nell’impegno che da molti anni coltiviamo per la ricomposizione dell’area culturale e politica popolare e democratico  cristiana.

 

Sono in atto alcuni fatti rilevanti, quali quelli attivati da diversi  amici espressione delle sin qui colpevolmente disarticolate esperienze post DC, per ritrovarsi a breve nella casa comune. Gianni Fontana per gli amici della DC storica, Gianfranco Rotondi per Rivoluzione cristiana, Lorenzo Cesa per l’UDC, Mario Tassone per il CDU e tante altre realtà di movimenti e associazioni ci auguriamo possano ritrovarsi a breve in una federazione unitaria, preparatoria di un’assemblea organizzativa e programmatica, l’apertura di  un tesseramento e la condivisione di regole congressuali con le quali celebrare il congresso unitario dei democratici cristiani italiani.

 

Assai positivo l’impegno degli amici di “ Costruire Insieme”, una delegazione dei  quali il 23 maggio scorso ha avuto un incontro con il Presidente del Partito Popolare europeo (PPE) Joseph Daul, presso la sede del PPE, a Bruxelles.

La Delegazione era guidata dal Presidente On. Ivo TAROLLI, ed era composta dal Vice Presidente Dott. Marco D'AGOSTINI, dal Dott. Riccardo FRATINI, componente del Comitato di Segreteria, nonché dall’Ing. Giuseppe ROTUNNO, Presidente del Comitato per una Civiltà dell’Amore. L’incontro aveva l’obiettivo di mettere in collegamento “Costruire Insieme”, che da alcuni anni opera al servizio della riaggregazione della grande area dei cristiano popolari, con  i vertici del Partito Popolare Europeo.

 

L’iniziativa è stata promossa da Costruire Insieme perché l’Europa è ritenuta il crocevia indispensabile per un realistico progetto di ripresa del nostro Paese. Profonda soddisfazione è stata espressa dal Presidente Tarolli per l’interesse emerso rispetto alla prospettiva di un soggetto politico, su basi federative, che raggruppi partiti, movimenti e associazioni ispirati all’umanesimo cristiano e liberal popolare.

 

E, infine ma non meno importante, è l’iniziativa avviata dagli  amici Giorgio Merlo, Giuseppe De Mita con Marco Follini e altri amici di area PD, i quali, preso atto del fallimento del progetto politico del PD, sentono la necessità di avviare “ la rete bianca”, uno strumento di collegamento tra le diverse esperienze politico culturale di matrice popolare e cattolico democratica.

 

Si tratta ora di favorire con urgenza l’unione di queste diverse esperienze per dar  vita  a un nuovo soggetto politico ampio, plurale, laico, democratico, popolare, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno tiolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori.

 

In questa fase di avvio del governo grillo-leghista, con la crisi apertasi nel centro destra da un lato e col PD avviato verso la scissione renziana dall’altro, col triste connubio trasformistico dei populismi emergenti dal voto del 4 marzo scorso, si aprono spazi ampi  al centro dello schieramento politico italiano, dove sempre più forte è l’esigenza di una presenza di un movimento politico popolare ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano.

 

La prolusione del presidente della CEI e il suo auspicio di un rinnovato impegno dei cattolici nella politica, ci auguriamo sia raccolto tanto dalla gerarchia, quanto, soprattutto, dalla variegata realtà dell’associazionismo cattolico sin qui colpevolmente frazionata e ridotta all’irrilevanza sul piano politico e istituzionale.

 

Appuntamento, allora, alle prossime elezioni europee, alla prova del proporzionale puro di quel voto, nel quale spetterà ai democratici cristiani e ai popolari uniti offrire una nuova speranza alle classi popolari e ai ceti medi  del nostro Paese, in alternativa ai facili inganni e alle vacue promesse dei populismi sovranisti chiamati  dal voto del 4 Marzo a guidare l’Italia.

 

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 24 Maggio 2018


Seminario di Mestre a 40 anni dal sacrificio di Aldo Moro

 

Mercoledì 9 Maggio 2018

 

Pubblichiamo le due lezioni svolte dagli amici Sen Calogero Mannino e Prof Antonino Giannone in occasione del seminario di Mestre sul tema:

 

“ L’eredità politica di Aldo Moro-La conferma dei valori e dei principi dei popolari

e liberal democratici italiani

 

 

Intervento del sen Calogero Mannino sul tema:

 

“ L’attualità del  pensiero politico di Aldo Moro”

(bozza non corretta)

 

 

Sul corsera del 31 marzo u.s. Ernesto Galli della Loggia scriveva un articolo

dal titolo estremamente significativo:

Inutile rimpiangere il disegno di Moro non aveva futuro. Si affidava ai partiti che però erano in declino.

 

Ed a principale pezza di appoggio di questo 'giudizio' citava la critica a Moro di Pietro Scoppola : " implicava inevitabilmente la necessità di subordinare ogni iniziativa, ogni decisione ed ogni concreto operare a logiche di partito che ben poco avevano a che fare con i problemi nuovi del paese:" 

Ancora Galli della Loggia richiamandosi a Scoppola dice: "ciò rendeva radicalmente inadeguato il disegno di Moro fosse il fatto che le lacerazioni politiche prodotte dalla modernità nel corpo della società italiana andavano mettendo in crisi proprio i partiti, lo strumento partito, la sua cultura la sua struttura il suo struttura il suo rapporto con i cittadini, sempre meno caratterizzabili come militanti"

 

Stando a questi giudizi, peraltro diffusi,

prevalendo la critica, quando non la demonizzazione dei partiti, della Repubblica dei partiti '

 il sacrificio della vita di Aldo Moro sarebbe valutato del tutto inutile.

Sotto un certo aspetto verrebbe la tentazione di convenirne, ma per altre ragioni. ( Intanto siamo passati dalla Repubblica dei partiti alla Repubblica dei partiti personali)

 Dopo il 9 maggio, (ritrovamento del cadavere di Moro in via Caetani) il problema del partito comunista,  quello che con felice formula Alberto Ronchey aveva definito  "il fattore K", aveva perduto ogni drammaticità e si era andato consumando, come cera al sole,  lentamente  sino al crollo del muro di Berlino, 1989.

Ed  il partito comunista, ribattezzato alla Bolognina, sarà, invece, il protagonista beneficiario del 1992.

l'anno " del processo in piazza " che Moro, con coraggio e lucidità profetica, aveva tentato  di 'esorcizzare' con un mirabile discorso parlamentare in occasione della messa in stato di accusa

degli on.li Tanassi e Luigi Gui.

In quella occasione Moro aveva provato a respingere il disegno ,già evidente allora, di criminalizzazione della politica. E l'attacco alla DC.

" Non accettiamo di essere considerati dei corrotti, perchè non è vero........Abbiamo certo commesso degli errori politici, ma le nostre grandi scelte sono state di libertà e di progresso ed hanno avuto un respiro storico....Certo un'opera trentennale per la quale si realizza una grande trasformazione morale, sociale economica, e politica , ha necessariamente delle scorie, determina contraccolpi, genera squilibri che devono essere risanati, tenendo conto delle ragioni per le quali esse si sono verificati.....ma non significa che tutto fosse sbagliato, ma solo che vi sono stati errori ed eccessi, in qualche misura inevitabili, in questo processo storico......

E come frutto  del nostro, come si dice, regime è la più alta e la più ampia esperienza di libertà che l'Italia abbia mai vissuto nella sua storia. Un esperienza di libertà capace di comprendere e valorizzare , sempre che non si ricorra alla violenza, qualsiasi fermento critico, qualsiasi vitale ragione di contestazione....e queste cose non ci sono state strappate. Noi le abbiamo rese, con una nostra decisione, possibili ed in certo senso garantite.

Per tutte queste ragioni, onorevoli colleghi, che ci avete preannunciato il processo sulle piazze, vi diciamo che noi con ci faremo processare."

Era il 1977.

Questa premonizione solo per poco tempo : perchè il 9 marzo1978 Moro veniva fatto prigioniero, uccisi gli uomini della sua scorta, e dopo 55 giorni tragici barbaramente ucciso.

 

Ritengo che nessuna ricostruzione del pensiero politico di Moro possa farsi prescindendo da questo tragico passaggio.

Marco Damilano, per contro, in un libro, molto bello, di recente pubblicato " Un Atomo di verità " titolo dato da  una frase di Aldo Moro: "datemi un milione di voti e toglietemi un atomo di verità e io sarò perdente."  ed ancora il titolo del libro :   

"Che cosa ha perso l'Italia con la morte di Moro. Perchè i tragici fatti del 1978 spiegano il nostro presente. E il nostro futuro."

La tesi di Damilano parte dalla memoria "sempre che non si ricorra alla violenza"

Nel 1992 terrorismo mafioso e rivoluzione giudiziaria  verificavano la profezia

 Marco Damilano,  coglie il nesso che lega l'assassinio di Moro, all'esito del 1992, fino alla crisi politico-istituzionale in corso, permette di contestare a Galli della Loggia l'ignoranza della linea che a partire dal 1968 era andato svolgendo Moro, e che si incentrava - nei suoi discorsi, articoli e scritti diversi - sul nesso intricato della crisi della società italiana, dello scontro generazionale che si era aperto, dell'ideologizzazione esasperata, dei profondi mutamenti delle posizioni culturali, e quindi della messa in discussione dei partiti e segnatamente della DC, quale era al momento.

E Moro, poi, riconduceva tutte le sue analisi alla strategia che non era dell'attenzione al partito comunista, senza essere prima dell'attenzione alla società italiana.

In questa ottica rimaneva fermo il criterio fondamentale della politica che da De Gasperi giungeva alle esperienze  E cioè quello della garanzia democratica.

Moro - quando era maturato il momento delle responsabilità di guida e direzione della DC - nelle due fasi distinte delle quali sarà protagonista - centro-sinistra e solidarietà nazionale - aveva considerato - -

 una costante della storia d'Italia : l'integrazione, via via, nel corso dei tempi, di una larga parte della società italiana che si era venuta a trovare fuori dalle stesse istituzioni.

Nel primo dopoguerra DeGasperi aveva affrontato questo problema con la coalizione maggiore possibile delle forze democratiche, avviando con la ricostruzione del paese distrutto dalla guerra e lo sviluppo di un economia moderna, che caratterizzerà l'irripetibile decenni 1953/63 detto "il miracolo economico" 

E De Gasperi aveva tenuto sempre saldo il quadro delle istituzioni democratiche collocando, poi l'Italia, Nazione sconfitta, al tavolo della pace nella prospettiva della solidarietà atlantica ed occidentale, oltretutto come scelta di civiltà rispetto al blocco sovietico.

De Gasperi, e con lui Scelba, sosterra l'urto - non soltanto della piazza e degli strascichi della violenza sempre vivi di alcuni segmenti della resistenza rossa - ma anche degli autorevoli e fermi inviti a mettere 'fuori legge' sia i comunisti che i nostalgici del fascismo, sempre nei termini dei principi e delle regole democratiche.

La linea della fermezza, dei Governi DeGasperi dal 47 in poi, è quella che si affida alla capacità della democrazia, delle sue regole e del suo spirito, di coinvolgere, convincere ed integrare.

La sfida al comunismo - forte nei toni e nella sostanza - era stata condotta sul piano della democrazia e delle sue regole.

Ed è su questo piano, con il concorso di circostanze storiche come la rivolta ungherese del 1956 - che, poi veniva vinta la prima sfida  antagonistica, quella con il partito socialista italiano, che nel 46/48 aveva scelto il frontismo, e che invece ripudierà al Congresso di Venezia del 1957

La formula centrista dell'alleanza dei partiti democratici era entrata in crisi con le elezioni politiche del 1953.

Una lunga e difficile transizione aveva portato alla soglia del 1960, affrontando anche una fase drammatica come quella rappresentata dal Governo Tambroni, al primo Governo di centro-sinistra presieduto da Fanfani con l'appoggio esterno del PSI. Convergenze parallele - erano state  definite.

Era stato  il traguardo che  la DC guidata da Moro, in continuità con DeGasperi, si era dato per il primario obbiettivo dell'allargamento della base popolare dello Stato Democratico.

Era stata una Scelta travagliata e difficile. Che aveva trovato due linee di difficoltà se non di impedimento, quella della gerarchia della Chiesa Cattolica e quella degli alleati dell'Alleanza Atlantica. 

Erano intervenute, però, due circostanze favorevoli : la presidenza negli USA di J Kennedy, ed il Pontificato di Giovanni XXIII.

E  Moro aveva preparato il partito, e con il partito ed attraverso il partito ,la società italiana, che, sospinta dal ritmo sostenuto ed accelerato dello sviluppo economico, aveva visto cambiamenti e trasformazioni di ordine sociale e culturale molto complessi, ad affrontare una fase riformatrice, che si era rivelata ,poi, allo stato dei fatti contraddittoria e difficile.

Moro si era mosso dalla lezione di DeGasperi, che aveva vissuto dopo le elezioni del 1919 il dramma degli ostacoli ad integrare nello Stato da una parte le forze cattoliche, liberate dal non expedit, e che avevano trovato espressione nel partito popolare, e dall'altra, le forze del socialismo, che raccoglievano larga parte delle masse lavoratrici.

L'impedimento aveva generato il fascismo,

 come vera e propria rottura dello stesso Stato liberale e quindi dell'evoluzione democratica della società nazionale:

Proprio nei tre Convegni di San Pellegrino questa costante storica, analizzata in profondità con relazioni profonde , era stata elevata a ragione strategica della politica di centro-sinistra che si preparava.

Il processo risorgimentale incompiuto con l'esclusione dei cattolici, e poi delle masse lavoratrici, doveva trovare un suo ulteriore percorso nell'Unificazione civile ed economica dell'Italia.

Il centro-sinistra con le relazioni a S.Pellegrino, in particolare, di Gabriele De Rosa, Pasquale Saraceno, Mario Ferrari Aggradi, doveva preparare e gestire una nuova fase dello sviluppo ponendo al centro l'integrazione del Mezzogiorno d'Italia.

Così l'allargamento della base delle forze democratiche impegnate nell'azione di governo doveva rispondere ad un grande disegno dal respiro storico-

Quindi non un'operazione puramente parlamentare e di governo, ma un'operazione politica con un ambizioso progetto, dall'ampio respiro storico.

Certo gli esiti  di ogni progetto politico fanno i conti con il corso delle cose, quali si svolgono nel concreto

L'arrivo del PSI nell'area di governo aveva presentato non pochi problemi.

 Il PSI aveva portato una cultura conflittuale con l'economia privata: la nazionalizzazione dell'energia elettrica, anche per le modalità seguite non era stata scelta molto felice.  Ben presto il ritmo della crescita economica, con i connessi processi di redistribuzione delle risorse, aveva cozzato contro il problema dei conti pubblici, e poi, dell'inflazione.

Ma non soltanto questo e non era stato poco;  dalla scuola alla sanità alla politica urbanistica scelte di modernizzazione e di cambiamento si erano accompagnate ad effetti non positivi e contraddittori sul piano del consenso sociale.

Il condizionamento del PCI e più ancora delle aree culturali sulle quali il PCI esercitava un'egemonia, avevano spinto in una direzione massimalistica, che riguardata oggi può essere definita - al modo di Lenin - infantilistica.

Sopraggiunto il 68, il cui vento aveva fortemente spirato anche altrove, dagli USA alla Francia - la società italiana aveva perduto ogni forma e misura rapportabile alla storia da cui veniva.

Il mondo cattolico dopo la complessa stagione conciliare aveva assunto forme e modalità proprie della contestazione, ormai di moda.

Così i mondi sociali. Chi può non ricordare un autorevole leader della CISL con il berretto di Lenin in capo guidare gli scioperi - talvolta violenti - che paralizzavano sovente le piazze d'Italia.

E nel mentre episodi forti del terrorismo avevano colpito una volta Milano, una volta Brescia e poi Bologna e l'Italicus.

Così per un lungo periodo che potremmo datare dal 1964 sino al 1978.

Nel corso di questi anni l'azione politica di Moro non si era smarrita. Anzi ad ogni punto o passaggio si era sviluppata con analisi profonde, talvolta sofferte e ricche di pathos, sempre lucide ed aperte all'intelligenza dei fatti.

 Aveva cercato, in ogni occasione,  di far comprendere che: " in verità, la democrazia, quando rispetti veramente le sue leggi, ha svolgimenti e risultati ineccepibili. Contrapporvi, soggettivamente, la violenza, significa sostituire con la forza l'unico principio razionale secondo il quale si compie l'esperienza sociale.." (articolo sul Giorno maggio 1977)

C'era sempre stato questo aspetto sostanziale e decisivo del magistero di Moro : educare alla democrazia con la democrazia:

Come democratici, e come democratici-cristiani, fedeli al patrimonio ideale del nostro partito, rifiutiamo la violenza e ci impegniamo a fare quello che abbiamo sempre fatto, ad andare fra la gente a far comprendere, ancora una volta ,il significato di deviazione grave che c'è in ogni manifestazione di intolleranza in ogni tentativo di piegare con la forza quello che non si piega con la libertà.........(..) e do avere fatto valere dell'aggregazione del consenso, del voto ed avendo costruito su queste basi un PAESE NUOVO....."

 ( discorso di Benevento 18 nov.1977)

E' un discorso da politico, ma apostolo di educazione democratica, che scruta i segni dei tempi e con procedere pensoso ne assume  una consapevolezza rara e fine

 " tempi nuovi si annunciano ed avanzano in fretta come non mai: Il vorticoso succedersi delle rivendicazioni, la sensazione che storture , ingiustizie, zone d'ombra , condizione di insufficiente dignità e di insufficiente potere non siano ulteriormente tollerabili, l'ampliarsi del quadro delle attese e delle speranze, all'intera umanità, la visione del diritto degli altri, anche dei più lontani, da tutelare non meno del proprio, il fatto che i giovani, sentendosi ad un punto snodale della storia non si riconoscono nella società in cui sono e la mettano in crisi, sono tutti segni di grandi cambiamenti e del travaglio doloroso da cui nasce una nuova umanità,....un nuovo modo di essere nella condizione umana." ( Cons.Naz.DC 21 nov.1968.)

Ora ripercorrendo la lettura di tutti i discorsi, gli articoli gli scritti del decennio 1968/78 cogliamo l'aspetto fondamentale della sua azione politica come pensiero, come ricerca degli aspetti più profondi, muovendo certamente da quelli fenomenologici per andare più a fondo nella comprensione dei moti di un'umanità nuova che Egli non giudica moralisticamente, ma che valuta per tutti i significati e le conseguenze possibili. " Questo paese non si salverà,la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere"

E' il cogliere la profonda crisi che attraversa la società e non soltanto quella italiana. Viene dal 68 ed ha raggiunto ai nostri giorni - ma lo sguardo acuto di Moro - lo ha colto negli esiti sconcertanti per il dominio di tutte le possibili forme dell'edonismo, sino alla volgarità, o del radicalismo, come ripercussione di forme tardo-leninistiche.

Moro non è un politologo.

Nella storia della DC, conosceremo altre voci che si eserciteranno nella politologia.

Non è un ideologo. Non ha  schemi prestabiliti e deterministici, supera, sempre ogni formulazione empirica, per scendere a fondo nelle cose, il cui flusso determina la storia.

E' un filosofo: Ragiona con il metodo socratico per pervenire  ' all'intelligenza dei fatti e delle cose' e sollecitare la maturazione di una consapevolezza non sociologica - nel senso dottrinario - ma più largamente antropologica.

Oggi vi è anche chi ravvisa nei suoi scritti e discorsi una sottile e pur visibile trama teologica.

Moro è un Cattolico dalla fede profondamente vissuta.

Quindi non per semplice pratica di preghiera e devozione. Che pure ha lasciato immagini significative. (Inginocchiato in un banco nel fondo della Chiesa, con la fronte inclinata sulla mano: Una vera e propria icona religiosa) Per Moro il cristiano doveva essere uomo politico non da cristiano, ma in quanto tale.

Moro è un pensatore Cattolico. Ha letto ma intensamente riflettuto sugli scritti di Jacques Maritain e di Emmanuel Mounier. Ha compreso ed elaborato la dottrina personalistica. Ha conquistato anche per via dei suoi studi filosofico-giuridico, in modo particolare ed originale, il concetto di persona umana, che supera ogni nozione di puro individuo - e si riporta ad una dignità superiore, e centrale anche rispetto alla Stato. L'incontro con la filosofia di Gabriel Marcel gli ha fatto conquistare la dimensione spirituale della creatura umana, che nonostante l'inoggettivabilità sua propria, non è qualcosa di astratto dal mondo materiale, ma è incarnata nella realtà storica e si esplica solo attraverso un'attività pratica concreta.E' l'aspetto non compreso nel tempo della Sua prigionia che si evidenzia nelle sue lettere, che, anzi, furono equivocate sino al limite del dubbio sulla tenuta del Suo equilibrio psicologico-intellettuale.

L'orizzonte del suo pensiero,  attraverso gli approfondimenti tomistici, è S Agostino,

C'è una narrazione diffusa e talvolta stantia  sul pessimismo di Moro. Ma è quello che viene dalla riflessione che da S Agostino conduce a Pascal. L'uomo libero, ma fragile esposto al vento della storia, quella personale e quella comune nella quale è inserito. La sua riflessione filosofica e giuridica lo condurrà ad una moderna concezione dello Stato,che supera il formalismo di Kelsen, rifiuta la concezione dello Stato etico ed hegeliano e respinge la dottrina 'teologica' di Carl Schmitt. -

" S'intende bene che lo Stato al quale lavorano i Cattolici ..è uno Stato libero e giusto , uno Stato che conosca e riconosca i propri limiti, che sappia di essere ,la rivendicazione costante e vigorosa di tutte le libere associazioni umane sono i segni di questa complessa visione....La preoccupazione parte, sia pure fornita di una speciale funzione , in un complesso travaglio sociale che impegna in diverse forme ed in diverse direzioni l'attività umana:......la considerazione per la Famiglia, il favore per le autonomie locali che sono presidio di libertà.......la preoccupazione cristiana di di salvare la società nelle sue varie e ricche espressioni  dal monopolio statale si salda intimamente con la difesa ed il potenziamento dello Stato:...."

(da Studium marzo 1947)

Norberto Bobbio, a proposito di concezione di Moro dello Stato ne segnalerà il pathos religioso.

E' quella che garantisce la funzione dello stesso la garanzia della libertà e del potere della libertà degli uomini. E proporrà sempre - durante il suo tempo- l'ineliminabile ed essenziale funzione del partito "" il partito deve aderire alla realtà, per orientarla e plasmarla secondo la sua intuizione, alla luce dei suoi ideali umani: Il partito è un Ripeterà, poi, ""che la funzione del partito è alta deve " associare e guidare""  articolazione della società in direzione dello Stato.

Funzione costituzionale quella del partito, strumento della democrazia. Questo sin dalle discussioni alla Assemblea Costituente.

Durante la quale Moro, aveva frequentato la Comunità del Porcellino, dove aveva trovato un rapporto di amicizia con Giorgio LaPira. Erano entrambi domenicani del Terzo Ordine, avendo assunto Moro il nome di fra Gregorio.

 E' stata Questa dimensione della sua personalità, estremamente complessa partecipe di tutti i moti, gli accenti della    cultura del tempo attraversato, con una sensibilità ed una intelligenza, che gli aveva permesso, senza imbattersi in confusioni e pasticci, un confronto aperto e non esteriore con gli indirizzi  della cultura del tempo, particolarmente con il pensiero di Benedetto Croce e la sua particolare concezione del liberalismo.

Le analisi, le riflessioni, i discorsi, le prese di posizione assunte in particolare nel decennio 67/68 - 77/78 non si erano limitate a scandagliare le posizioni tattiche delle varie forze politiche nel quadrante politico contingente, ma avevano approfondito le relazioni con gli sviluppi, complessi e contraddittori della società italiana, in uno al contesto internazionale. Basterebbe ricordare tutta la sua attività di Ministro degli Esteri.

Si era reso conto e si chiedeva sovente dei mutamenti profondi e convulsi dei quali registra gli aspetti positivi ma anche tutte le problematicità.

In particolare per la ricaduta sulla stessa linea politica della DC vorrei ricordare  il passaggio che aveva condotto dall'approvazione  della legge sul divorzio al referendum del 74 gestito e vissuto con atteggiamento pensoso e problematico.

Il  tema del rapporto con la Chiesa, in una stagione nella quale era avanzata la secolarizzazione gli aveva fatto rimeditare l'esperienza ed il pensiero di Luigi Sturzo.

Già nel 1959, alla vigilia dell'avvio del centro-sinistra- quando uno dei problemi più ardui ed improbi si era presentato, quello dell'autonomia del partito politico da vincoli confessionali, Moro aveva promosso  il convegno all'Eliseo su Sturzo- che alla dominante linea iniziativista (iniziativa democratica era la corrente che aveva ereditato gli esiti finali del dossettismo coniugandoli con una giovane (allora) generazione degasperiana)   sembrava un fuori tempo.  Per Moro invece aveva rappresentato il recupero di una lezione essenziale. Che si consoliderà e tornerà nella sua riflessione,intanto già nei temi della discussione del Convegno di S.Pellegrino e più in avanti nel tempo, quando la proposta "popolarismo" di Sturzo sarà colta come lo sbocco finale del travagliato processo di accostamento finale del PCI al quadro democratico e che implicherà il rinnovamento e riposizionamento del partito che era stata  DC nello schieramento politico.

Dalla riflessione di Sturzo aveva colto gli elementi per superare ogni forma di integralismo o di indugio sugli eviti integralistici dell'esperienza dossettiana.

Ma da Dossetti con il quale aveva durante la fase costituente gestito un rapporto ravvicinato che aveva condotto alla formulazione e poi approvazione di alcuni articoli della Costituzione ( quello sulla Famiglia, quello sulla scelta della pace art.4 - che avrà un segno permanente negli indirizzi della politica estera)

aveva con riserbo e discrezione dissentito sulla valutazione che " il comunismo avrebbe vinto "

Su questa valutazione Dossetti aveva segna il suo ritiro dalla vita pubblica.

Moro su questa valutazione, invece, si era misurato con la sua azione politica nel tempo che aveva affrontato.

Quando il centro-sinistra aveva esaurito i margini della propria vitalità ( la crisi economica - la crisi petrolifera - il quadro sociale fortemente tumultuoso è il caso di dire - i segni della possibile degenerazione con il terrorismo)

Egli, però, nel discorso al XIII Congresso della DC nel 1976 ne aveva rivendicato i meriti: " con la formula del centro-sinistra il paese è cresciuto e la democrazia si è sviluppata e consolidata Moro che sin dal 1968 aveva posto il tema della strategia dell'attenzione al PCI " dopo aveva affrontato sotto un aspetto - politicamente - più cogente l'ordine di un possibile rapporto di collaborazione. Non più confronto, ma convergenza sul piano governativo.

" E' questa flessibilità attenta ed anticipatrice, che ha fatto in questo trentennio il nostro partito così capace di comprendere, far proprie e guidare le spinte evolutive della nostra società. "

Il risultato elettorale del 1976 - oggi spesso ricordato per la ricorrenza di una precisa circostanza aveva presentato due vincitori.

 O meglio nessun vincitore, come oggi.

Ed i due contendenti - così avevano affrontato la campagna elettorale - si erano trovati a dover concordare quelle scelte che avevano portato ai due governi Andreotti del 1976 e del 1978.

Berlinguer aveva preparato questa ipotesi, poi concretizzatasi, con i tre  saggi su Rinascita, con l'ultimo dei quali , in particolare, aveva avanzato la linea del compromesso storico.

Tutta la vicenda politica ,però, per molti soggetti della politica (dell'opinione pubblica, della stampa, delle strutture parallele) veniva rappresentata con il segno del cedimento e del rischio democratico.

In Parlamento non vi erano resistenze ed opposizioni politiche. Non vi era più il PSI disponibile a responsabilità di governo da quando la segreteria DeMartino aveva portato avanti la linea " degli equilibri più avanzati"

La resistenza e l'opposizione erano fuori dal Parlamento. Nell'incrocio torbido di segmenti degli apparati dello Stato, di organizzazioni parallele la cui giustificazione era stata data come misura di difesa dal comunismo e dall'URSS. Ed il fiorire di organizzazioni di contestazione e poi di vero e proprio terrorismo.

Moro sin dal 1964 aveva dovuto affrontare questo complessivo problema della resistenza - antistituzionale - alla politica. Basterà ricordare il piano Solo, o i molteplici attacchi terroristici allo Stato.

Moro aveva cercato di affrontare il groviglio dei problemi con la razionalità e lucidità che gli erano propri.

In nessun passaggio dei suoi discorsi era mai stata indicata la prospettiva dell'alleanza con il PCI come alleanza definitiva. Era una fase transitoria quella che Egli aveva proposto.

"" siamo chiamati ora e qui ....."

Il cumulo dei problemi non consente semplificazioni: Aveva la consapevolezza che la DC presentava elementi forti di stanchezza, ripiegata nel correntismo e nel clientelismo,

 Aveva una classe dirigente che richiedeva di essere ricambiata, mentre nella società era cresciuta l'esigenza di un ricambio generazionale,

Nel cumulo dei problemi, rinnovamento del partito, rinnovamento dello Stato, ripresa dello sviluppo e lotta alll'inflazione, il ridursi della forza della DC, la mancanza di una maggioranza capace di assicurare la governabilità. L'incalzare del partito comunista forte dei suoi cambiamenti. Da tempo la borghesia italiana lo aveva accarezzato. a parte la militanza della cultura e della parte più rilevante degli organi di informazione.

Egli aveva visto il baratro che si era aperto davanti al paese se non fosse stata avviata una politica di ricomposizione del quadro democratico.

IL sistema di libertà e la democrazia come istituzione della libertà e del potere dei cittadini, era l'orizzonte permanente al quale tendere.

Si era accorto delle debolezze che venivano da tante parti.

 E nelle lettere dal carcere, poi,  le esporra', a volte con forti accenti polemici.

Anche verso il suo partito, la Democrazia Cristiana che "non gli stava dietro."

Quel plumbeo atteggiamento di pura remissione a quel che stabilisce il partito comunista, quando la parola di Pecchioli era quella che decideva, anche perche coincideva con le finalità del campo avverso. E' stato questo il paradosso di questa tragica storia.

L'affermazione decisa di Pecchioli dopo il 16 marzo : per noi è già morto. Non si può trattare.

 

Questo paradosso ha trovato la sua immagine iconica ed ironica nel monumento che è stato realizzato a Maglie, Moro è stato rappresentato con il giornale l'Unità in tasca. Come se avesse cambiato partito.

Moro per il suo realismo disincantato era sensibile all'utopia ma non sfuggiva la realtà.

Gli era stato chiaro che al partito  comunista, che maturasse tutte le condizioni per diventare partito di governo di uno Stato collocato nell'Occidente, Alleanza Atlantica, MEC  e tutte le altre istituzioni,e quindi si avviasse ad una profonda trasformazione e mutazione identitaria si dovesse contrapporre un partito di tipo popolare, le cui linee lungo tutti i discorsi del decennio trascorso aveva delineato: " si, la Democrazia Cristiana deve essere ricostituita, ...che essa rinasca libera dall'arroganza del potere "

( da un articolo de Il Giorno,13 maggio 1977) Non c'è nelle (mie) osservazioni alcun segno di disperazione e di sfiducia. Siamo in tempo per cambiare,  se ci pieghiamo a cogliere gli insegnamenti delle cose ed ad ascoltare la voce della coscienza.....C'è scavare ancora e tanto nella direzione della libertà che non è pienamente affermata.ma è insieme necessario volere appassionatamente la tenuta dello Stato che abbia come base la dignità, la serietà e la responsabilità della persona

.E non si può esigere che lo Stato adempia ai propri compiti, se tutti non fanno il loro dovere:"

 

Ma il 9 maggio 1978 la sua vita è stata stroncata.

Tragicamente. E' così doloroso e sconvolgente apprendere, oggi, che a "via Fani c'erano anche le brigate rosse"

e che il suo assassinio forse (?) non è stato compiuto da un brigatista ma da un ndraghentista. Queste sembrerebbero le acquisizioni della II^ Commissione Moro.

Tutto l'epistolario dal carcere è il suo testamento politico, ma anche umano.

 E' la Sua ultima  lezione politica, ma anche e sopratutto filosofica e morale.

Moro non è stato mai un moralista.

E' stato un lucido osservatore delle pieghe che andavano segnando la fisionomia della società italiana e della stessa politica.

Nelle Sue analisi c'è il patrimonio di pensiero al quale attingere, ancora oggi.

Il fondamento - in ogni tempo della sua vita ed azione politica - è sempre la " persona umana " la sua dignità, la sua libertà, il suo potere.

Il suo legame al concetto di comunità  che,entro cerchi circoncentrici, parte dalla prima decisiva linea, quella della famiglia e procede verso le altre linee di integrazione, autonomie locali, associazioni libere, sindacati, mantenendo sempre la perrsona umana al centro.

E' una visione personalista che fa riferimento non soltanto alle elaborazioni di J Maritain ed Emmanuel Mounier ma che si arricchiscono  della forza della sua riflessione filosofica e giuridica.

Lo Stato, la pena. sono i temi dei suoi fondamentali libri  di dottrina giuridica. Lo Stato democratico, l'uomo libero. In una realtà storico-sociale nella quale partendo  da Toniolo e dalla dottrina sociale della Chiesa che proprio sotto il Pontificato di Giovanni XXIII e di Paolo VI si era articolata in modo adeguato ai nuovi tempi.

Mai nessun economicismo, pur nel riconoscimento del valore della libertà e della responsabilità sul piano dell'iniziativa economica e quindi nel superamento di ogni forma statalistica - che, invdce, era il vezzo dell'indirizzo socialista del tempo.

Una vera e propria concezione antropologica è il suo contributo al futuro

Una concezione  fondata sul primato dell'uomo, in quanto creatura di Dio, partecipe del mistero della vita. "" Omne agens agit sibi simile " E da quella visione trascendentale dell'uomo colta da S.Tommaso, Egli ricavava che l'essere umano - creato per la Divina bontà _  poteva essere buono.

Perchè Egli era un uomo buono. Sempre pronto a cogliere la dove c'era il bene da valorizzare sempre per rendere il male meno determinante.

Risuonano, ancora, nelle orecchie di chi ha potuto ascoltarle le parole della Preghiera di Paolo VI : " Ed ora le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo simile alla grossa pietra rotolata all'ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il De Profundis , il grido cioè ed il pianto dell'ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffocala nostra voce.

e chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per l'incolumità di Aldo Moro, di questo Uomo buono, mite, saggio innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il Suo spirito immortale, segnato dalla fede nel Cristo, che è la resurrezione e la vita. Per lui, per lui.  

 

 

Lectio del Prof Antonino Giannone, docente di etica al Politecnico di Torino –V. Presidente di ALEF ( Associazione Liberi e Forti), sul tema:

 

“ L’etica politica-Testimonianza di Aldo Moro per la società della globalizzazione”

 

Premessa

Il rapimento di Aldo Moro avvenne il 16 marzo, in via Fani; furono trucidati i cinque uomini della sua scorta. Il rapimento di Moro giunge al culmine di anni in cui la rinascita economica dell’Italia, dopo la II^ guerra mondiale, arrivava a compimento. Al tempo stesso le Istituzioni e il Paese erano scossi da uno dei più agguerriti terrorismi dell’Europa occidentale.

Moro rimarrà prigioniero dei terroristi per 55 giorni, in via Montalcini 8, nel quartiere romano della Magliana. Dalla cosiddetta «prigione del popolo» Moro scriverà a mano ca. 100 lettere e messaggi e 400 pagine di memoriale, in risposta alle domande dei suoi carcerieri. Cinquantacinque giorni dopo il sequestro, il 9 maggio 1978 le Brigate Rosse assassinavano Aldo Moro. 40 anni dopo, questa drammatica vicenda, continua a gravare sulla coscienza e sulla storia del nostro paese, sia per il peso morale e politico dell’eccidio, sia per le ombre che tuttora sussistono. Non sono bastati 5 processi e il lavoro di alcune commissioni parlamentari a chiarire il vero perché dell’assassinio di Moro, né a far luce su non pochi rilevanti aspetti dell’azione terroristica delle Brigate Rosse. Inquietanti domande relative a quel tragico episodio rimangono senza risposta, in attesa di una Verità, il «caso Moro» non si potrà ritenere chiuso, né si potrà archiviare. È un dovere civile ed etico mantenere viva la memoria di Moro, leader politico e servitore dello Stato. Ad Aldo Moro, l’Italia intera deve tantissimo.

q i Democristiani non pentiti

q i Cattolici senza aggettivi

q i Popolari Liberi e Forti

 

 

SIAMO TUTTI DEBITORI E RICONOSCENTI NEI CONFRONTI DI MORO.

 

ETICA E LEADERSHIP.

L’ESEMPIO DI ALDO MORO PER I POLITICI DELLA SOCIETÀ DELLA GLOBALIZZAZIONE

 

L’Etica è una branca della filosofia che studia i fondamenti oggettivi e razionali che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status deontologico ovvero distinguerli in buoni, giusti o moralmente leciti, rispetto ai comportamenti cattivi o moralmente inappropriati.

Gli scandali e la corruzione in politica e nella società.

Già ai tempi di Moro, ma anche nel tempo della globalizzazione, non solo di uomini politici, ma in ambienti aziendali, finanziari, istituzionali  e religiosi, hanno prodotto un’attenzione particolare al valore della moralità e dell’integrità di un leader.

Gli scandali e la corruzione in passato e oggi ci suggeriscono di non generalizzare su tutti i politici, ma ci servono per sapere distinguere

leader politici etici e leader politici non etici.

Leader e Politico

Un leader manifesta virtù etiche e sa creare situazioni vincenti nei confronti di 4 dimensioni fondamentali della leadership:

Ø  il leader (competenze;  comunicativa )

Ø  gli altri (i cittadini, i seguaci, i collaboratori,  gli amici, la società civile)

Ø  gli obiettivi (politici; economici; sociali)

Ø  il sistema in generale: sociale, culturale, istituzionale, politico, familiare. 

La Leadership Etica non è solo qualcosa che è giusto fare, ma che si deve fare

perché è giusto essere etici e integri dal punto di vista morale; ma è anche  importante essere etici, perché essere etici è innanzitutto vantaggioso ed utile.

La Leadership Etica e la congruenza di un Leader con comportamenti appropriati hanno effetti benefici sui seguaci (che sono coloro che designano il leader), sia che siano elettori, sia dipendenti, sia credenti.

Ø  AUMENTANO NEI SISTEMI ORGANIZZATIVI, NELLE AZIENDE, LA SODDISFAZIONE E IL BENESSERE LAVORATIVO ^

quando una persona sta bene ed è soddisfatta del proprio lavoro, migliora anche la performance e la produttività aziendale, con inevitabili vantaggi anche per il leader che è il portavoce e il rappresentante principale dei risultati raggiunti.

^Avey, Wernsing, Palanski, 2012.

Ø  AUMENTANO I COMPORTAMENTI PROSOCIALI ^

Le persone percependo di essere in’organizzazione giusta, si aiutano di più vicendevolmente, compiendo più spesso i comportamenti di cittadinanza organizzativa, ovvero tutti quei comportamenti  prosociali e di altruismo non esplicitamente richiesti né pagati nel contratto di lavoro, ma che comunque giovano all’organizzazione. In un’azienda dove c’è altruismo, la performance e la produttività migliorano.

^Mayer, Keunzi, Greenbaum, 2009- Waluwbwa, Chaubroeli.

Ø  DIMINUISCONO I COMPORTAMENTI DI MOBBING E BULLISMO LAVORATIVO

che spesso danneggiano la vita lavorativa sia dal punto di vista psicologico, economico e produttivo.

Il Leader per i subordinati è un esempio di come ci si comporta, se il Leder è etico

^Stouten&Altri 2001

Ø  AUMENTANO LA FIDUCIA NELLE PERSONE ^

il 62,5% della varianza della fiducia è spiegata dalla leadership etica in pratica non c’è fiducia se non c’è etica. La fiducia è fondamentale per la relazione leader-dipendente, leader politico- elettori

^ Craig, Gustafson, 2000.

Altre conseguenze positive sono legate alla leadership etica, ma li tralasciamo perché non servono per questo contesto.

·      Perché allora i leader politici, adottano comportamenti non etici?

·      Perché accade che il leader tende a separare i propri interessi da quelli dei seguaci?

 

FARE IL LEADER NON È UN’ATTIVITÀ SEMPLICE, NÉ FACILE.

La teoria del contenuto degli stereotopi ^

Ogni persona, per motivi evoluzionistici deve stabilire in tempi reali chi sia l’altro, se si tratta di un amico o di un avversario/nemico. L’immagine che ci creiamo degli altri deriva dall’attribuzione di due tratti:

q COMPETENZA

q CALORE

^Secondo (Cuddy, Glick e Fiske)

Dalle combinazioni possibili di presenza e assenza di questi tratti nascono delle emozioni in chi percepisce il leader cioè nei seguaci, nei dipendenti, negli elettori.

  1. Se il leader è percepito come poco competente e poco caloroso.

le reazioni emotive sono uniformemente negative, si prova pietà per il leader

  1. se il leader è percepito come molto caloroso e poco competente.

si hanno reazioni emotive ambivalenti, ma alla fine prevale il disprezzo.

sebbene a livello sociale possa funzionare bene, un leader di questo tipo non riesce a portare a termine i compiti e gli obiettivi di gruppo

3) se il leader è percepito come molto competente e poco caloroso.

Le reazioni emotive sono ambivalenti e prevale come sentimento l’invidia.

Si riconosce la competenza, ma non scatta in modo positivo la relazione con il leader.

4) se il leader è percepito come competente e caloroso. In questo caso scatta

il sentimento di ammirazione

Per individuare alcuni tratti distintivi di Etica e Virtù Etiche di Aldo Moro basterà prendere in esame:

q comportamenti pubblici e privati

q idee che ha saputo perseguire con coerenza

q relazioni interpersonali e familiari

q rappresentanza delle istituzioni

q religiosità in pubblico e in privato

«Qualche cosa da anni è guasto, è arrugginito nel normale meccanismo della vita politica italiana. [...] io credo all’emergenza, io temo l’emergenza. [...] C’è la crisi dell’ordine democratico, la crisi latente con alcune punte acute. Io temo le punte acute, ma temo il dato serpeggiante del rifiuto dell’autorità, della deformazione della libertà, che non sappia accettare né vincoli né solidarietà. Questo Io temo»

(Dall’ultimo discorso di Moro, rivolto ai gruppi parlamentari DC (28 febbraio 1978)

Nonostante la gravità della minaccia, però,

LA FEDE DI MORO NELLA DEMOCRAZIA È INCROLLABILE,

«[…] dobbiamo dire con estrema compostezza il nostro “NO” a questa nuova minaccia [...], riconfermando puramente e semplicemente la nostra natura di democratici. Gli italiani che amano la democrazia, ridicano in questo momento che essi non intendono vederla distrutta dalla violenza, che credono nel suo valore costruttivo, che credono nella sua capacità di creare»

(discorso del 18 novembre 1977).

Per Aldo Moro: la democrazia parlamentare è la più alta sintesi che si sia mai riusciti a realizzare tra libertà e pluralismo, solidarietà e giustizia.

Moro puntualizza:

“….lo stato democratico, a motivo del principio di tolleranza, che è per esso essenziale, è esposto a rischi e ad abusi, che possono metterlo a dura prova”.

Moro, con La Pira e Dossetti

aprirono alle tematiche personalistiche e comunitarie espresse dal pensiero cattolico francese (Maritain e Mounier)

 L’UOMO-PERSONA

al centro dell’attenzione dell’attività politica, sociale, religiosa

Di democrazia si può anche morire quando nei cittadini dovessero venir meno la coscienza morale e la cultura della legalità, se manca il «senso dello stato», l’anarchia, l’egoismo di singoli e di gruppi e la violenza possono prevalere, abusando degli stessi strumenti che la democrazia offre invece perché servano al servizio del bene comune e della libertà.

L’insegnamento di Don Luigi Sturzo è attuale, in sintesi la citazione di oltre 70 anni fa di Don Sturzo:

“Servire la Politica e non servirsi della Politica”

Nel caso della politica sono i  cittadini che il politico dovrebbe rappresentare.

Nel caso di un’azienda sono i dipendenti che il manager dovrebbe sostenere per il loro sviluppo personale congiuntamente allo sviluppo dell’azienda.

Una società con gravi carenze di etica e morale non solo nella politica, ma anche nelle altre attività, è un società decadente.

Viviamo in una società lontana dai principi di umanesimo cristiano che da laici vorremmo attuare nella società. Servirebbero nuovi modelli informativi e più adeguati metodi formativi, in grado di attualizzare concretamente il progetto religioso giudeo-cristiano, con l’obiettivo di rifondare spiritualmente ogni forma dell’agire politico. 

I quattro periodi della vita di Aldo Moro

q il primo periodo  (1959-1963) anni in cui Moro fu Segretario della DC;

q il secondo periodo (1963- 1968)

q il terzo periodo (1968-1974) Moro passa all’opposizione nel partito e diviene il leader naturale della sinistra interna della democrazia cristiana

q il quarto e ultimo periodo (1974-1978).

Urgeva ormai immaginare nuovi percorsi politici, attraverso un nuovo «patto costituzionale» richiesto pure dalla emergenza del terrorismo di cui Moro diventa una vittima con il rapimento, la prigionia e l’assassinio

Secondo Moro:

Si impone un nuovo impegno morale e civile, tale da coinvolgere tutti i cittadini indiscriminatamente nell’opera difficile di costruire la Repubblica come una vera «casa comune», dove regnino finalmente la giustizia e la pace sociale, fondate su una solidarietà fraterna realmente vissuta.

Cosa è successo dopo l’assassinio di Moro?

I processi di secolarizzazione e di globalizzazione in atto dagli anni ’90 hanno generato nel nostro tempo una  «ischemia verticale» non solo dei valori cristiani, ma anche del senso religioso ed etico della vita.

Mi unisco a quanti pensano che sia necessario realizzare una sorta di nuova costituente», non giuridica, ma etico-culturale. Soprattutto ora, nel 2018: noi italiani, come popolo, come Paese, dovremmo rafforzare in Europa la nostra identità giudaico cristiana piuttosto che diluirla, come invece accade per l’imperante relativismo e per la crescente invasione islamica, che fu preannunciata nel 1978 all’ONU da Boumedienne Presidente dell’Algeria.

Senza una sostanziale unità morale, nella salvaguardia del ricco pluralismo culturale caratteristico del nostro paese — che Moro sognava di realizzare —, non basteranno da soli i programmi politici ed economici, né le riforme più coraggiose, a farci superare positivamente la lunga transizione in atto.

L’eredità di Aldo Moro: raccogliere oggi l’eredità politica di Aldo Moro significa: continuare con tenacia l’opera di ricomposizione del tessuto culturale e morale dell’Italia, lacerata da cinquant’anni di rigide contrapposizioni ideologiche.

Occorre tessere un nuovo «patto sociale» fra i cittadini di buona volontà, a partire da quei comuni valori di convivenza civile che sono garantiti dalla nostra costituzione.

LA COSTITUZIONE

È la carta etica dei diritti e dei doveri che può essere l’amalgama del popolo italiano che così si è espresso con il voto del no al referendum promosso da Renzi&PD. Purtroppo è mancato il coraggio di un nuovo grande rassemblement politico che avesse come piattaforma di attuare la costituzione italiana e di ridare vitalità alla sovranità popolare. Aprirsi alla testimonianza e affermazione dei valori cristiani in un contesto

pluralistico e secolarizzato.

Quali Virtù etiche per un Politico? Quali Virtù etiche di Aldo Moro?.

ONESTÀ –TRASPARENZA –LEALTÀ –TEMPERANZA – RISPETTO

CARING –PAZIENZA- UMILTÀ- CORAGGIO- VERITÀ- BELLEZZA -BONTÀ

Moro diceva: «Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi»

Se rinunciamo a una vita contrassegnata da Verità- Bellezza –Bontà ci rassegniamo a un mondo in cui nulla ha valore, in cui tutto va bene. Se non vogliamo cedere a un’esistenza senza gioia, senza nome o senza finalità, è di vitale importanza riesaminare sotto una luce molto chiara le nostre concezioni di queste virtù etiche.

Interrogativi per l’Etica politica nella società della globalizzazione.  

Ø  Di quanta moralità  ha bisogno la Politica?

Ø  E’ proprio vero che le mani dei politici debbano sempre restare pulite?

Ø  Un leader politico deve rendere conto ai cittadini della sua vita privata?

Ø  Quanta segretezza consente la “Ragion di Stato”?

Ø  Quanto serve il segreto di Stato a tutelare diritti e vite umane, e quanto invece sottrae elementi importanti al controllo democratico dei cittadini?

Partire dal primato della società e dei suoi valori e principi etici, sanciti nella Costituzione della Repubblica.

Sarà possibile restituire un’anima etica e culturale ai partiti e alla politica?.

È questa la sfida centrale con la quale ci dobbiamo misurare oggi e per il futuro.

Il sangue di Moro non sarà stato sparso invano, se avrà trasmesso l’incrollabile fede nella democrazia intatta a noi e alle nuove generazioni.

Per le esigenze e la responsabilità dei nostri giorni nella società della globalizzazione ho scelto di fare concludere ad Aldo Moro:

«Se fosse possibile dire saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a domani, credo che tutti accetteremmo di farlo. ma non è possibile. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità.

Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso. Si tratta di vivere il tempo che ci è dato di vivere con tutte le sue difficoltà»

Grazie per l’attenzione

 

Antonino Giannone

 

^ Prof. a.c. Politecnico di Torino, Etica professionale e Relazioni Industriali – Strategie aziendali.

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria della Produzione industriale e dell’Innovazione tecnologica. 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

Due fatti importanti

 

Ieri, martedì 8 maggio, si sono svolti a Roma due avvenimenti importanti per l’impegno politico dei cattolici italiani.

 

Presso gli uffici dell’UDC, promosso da Gianfranco Rotondi, Alberto Alessi e Ettore Bonalberti, si è tenuto un incontro tra Gianni Fontana, Presidente della DC, Lorenzo Cesa, Segretario dell’UDC e gli stessi promotori, insieme a Renato Grassi, Mons Tommaso Stenico, Paolo Pedrana, Angela Maenza e  Giampietro Catone, per concordare modalità e tempi operativi per giungere alla ricomposizione delle diverse anime democratico cristiane.

 

Dopo anni di suicide battaglie giuridiche si è giunti a condividere il proposito che sia tempo di superare le divisioni e riportare a unità nome e  simbolo della Democrazia Cristiana, “ partito mai giuridicamente sciolto”, preparando una grande assemblea organizzativa e programmatica  nazionale, a seguito di alcuni incontri interregionali unitari con tutti gli amici presenti sul territorio, l’apertura di un tesseramento unitario nazionale e la celebrazione del XIX Congresso nazionale di tutti i DC italiani.

 

Un progetto ambizioso che si traguarderà sulla scadenza delle prossime elezioni europee della primavera 2019, non perdendo di vista l’evoluzione del confuso quadro politico attuale.

 

Contemporaneamente presso la sede dell’ANCI, si riunivano con  Giuseppe De Mita e Giorgio Merlo, gli amici di area PD, impegnati a realizzare la “ Rete bianca”, ossia il tentativo di ricomporre l’area di ispirazione cattolica e popolare del nostro Paese.

 

Due avvenimenti rilevanti, a dimostrazione della condizione di crisi complessiva della politica italiana ridotta a un tripolarismo caratterizzato, da un lato, dallo scontro tra i due populismi della Lega e del M5S, e, dall’altro, dalla crisi di identità dell’ircocervo PD, con la pressoché totale assenza della cultura politica cattolico popolare in sede parlamentare.

 

L’anomia (assenza di regole, differenza tra mezzi e fini, venire meno di ogni intermediazione) che è la cifra della situazione sociale, economica, politica e istituzionale del Paese, si riflette sulle stesse forze partitiche e, in maniera rilevante su quelle più direttamente collegate alla cultura dei cattolici popolari.

 

Riflettendo sulla lucida relazione introduttiva di Giuseppe De Mita e rileggendo una ritrovata intervista dell’On Giuseppe Alessi, primo presidente dell’assemblea siciliana e socio fondatore della DC, mi è sembrato che nelle due riunioni romane di ieri si potessero scorgere i fermenti di una ritrovata capacità di iniziativa politico culturale dei cattolici popolari italiani, al di là e al di fuori degli schieramenti e delle alleanze forzate che, negli anni della diaspora nella seconda repubblica e sino al voto del 4 marzo scorso, hanno segnato la divisione di ciò che era rimasto della Democrazia Cristiana d’antan.

 

Certo non basteranno queste pur lodevoli iniziative romane se non saranno accompagnate da una forte mobilitazione dal basso attraverso l’avvio di comitati civico popolari in sede territoriale, strumenti di partecipazione e di naturale selezione di una rinnovata classe dirigente, insieme a una ritrovata consapevolezza della necessità di unità da parte delle diverse realtà che caratterizzano la frastagliata e sin qui divisa realtà del cattolicesimo sociale e culturale.

 

Come Luigi Sturzo con i Popolari, nel XIX secolo si impegnò a tradurre nella “città dell’uomo” in piena fase di espansione della prima industrializzazione, gli orientamenti pastorali della “ Rerum Novarum” di Leone XIII, e De Gasperi con la DC, le idee ricostruttive e il codice di Camaldoli, quelli espressi dalla “ Quadragesimo Anno” di Papa Pio XI, così spetta a noi che viviamo questa fase storica difficilissima della globalizzazione  a dominanza dei poteri finanziari, tradurre sul piano politico e istituzionale la dottrina sociale cristiana degli ultimi tre Papi: Giovanni Paolo II ( “ Laborem exercens” e “ Centesimus Annus”) Benedetto XVI ( “ Caritas in veritate”) e Papa Francesco ( “ Evangelii gaudium” e “ Laudato Si”) .

 

Un impegno straordinario al quale sono chiamati, con il popolo di Dio, tutta la gerarchia sin qui, in larga parte insensibile e/o recalcitrante, e gli stessi sacerdoti impegnati nelle loro attività parrocchiali con le numerose associazioni dell’area cattolica sin qui ridotte all’irrilevanza politica.

 

Noi, per il tempo che il Signore vorrà concederci, non ci tireremo indietro, sempre fedeli all’insegnamento sturziano e degasperiano ( “ servire e non servirsi della politica”), interessati esclusivamente a concorrere alla ricomposizione dell’area e dell’impegno politico dei cattolici italiani.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)

Venezia, 9 Maggio 2018

 

 

 

 


L’Ohio de noantri

 

Doveva essere “l’Ohio de noantri “, con l’annunciata vittoria del M5S aspirante alla guida della regione molisana e il sorpasso della Lega su Forza Italia. Invece quella che un tempo fu la culla del voto bianco, che per decenni gareggiò con il Veneto per la percentuale più alta di consenso allo scudo crociato, ha espresso dei risultati sorprendenti.

 

Il M5S triplica la sua rappresentanza consigliare, ma perde oltre il 6% rispetto alle politiche del 4 Marzo ( dal 44,8 %  al 38,5%); la Lega aumenta, ma non sorpassa Forza Italia e quest’ultima cala, ma non crolla. Il centro  destra prevale nettamente e conquista la quinta guida regionale dopo Liguria, Lombardia, Veneto e Sicilia, e al suo interno spicca il risultato in crescita di Fratelli d’Italia, ma, soprattutto, lo straordinario risultato dei partiti e movimenti di ispirazione cattolica e democratico cristiana.

 

Donato Toma è il nuovo presidente della Regione Molise. Concluso lo spoglio delle schede delle 394 sezioni: Toma, seconda quanto riporta ufficiosamente la Regione chiude al 43,46%, Greco (M5S) è al 38,50%, Veneziale (centrosinistra) si ferma al 17,1%, Di Giacomo (Casapound) con lo 0,42%

 

Come scrive l’amico Antonino Calogero il Centro-destra nettamente in testa e al suo interno troviamo: Forza Italia primo partito al 9,4%, Lega all'8,2%, Orgoglio Molise all'8,3%, Popolari per l'Italia al 7,1%, Udc al 5,1%, FdI è al 4,4%, Lista Iorio per il Molise 3,59%, Popolo della Famiglia 0,41%.

 

Morale della favola. Ribaltato il trionfo 5stelle di un mese fa alle politiche.  Salvini ridimensionato notevolmente rispetto alle sue voglie di primato.

 

Un sacco di voti presi dalle liste che fanno riferimento al popolarismo che, tutti insieme sfiorano il 16%.

 

Spiccano i voti dei “ Popolari per l’Italia”  che si rifanno alle posizioni di Mario Mauro e quelli dell’UDC e, se Toninelli e la Grillo del M5S, si consolano così: “Non ha vinto il centrodestra ma il centrodestra coalizzato con una miriade di liste come Orgoglio Molise, Popolari per l'Italia, Unione di Centro, Iorio per il Molise, Movimento nazionale per la sovranità, Il Popolo della Famiglia”, resta il fatto che nel Molise il centro non è terreno di caccia esclusivo della Lega, ma è largamente contendibile da liste e movimenti di ispirazione DC.

 

E’ quello su cui ragioniamo da qualche tempo, convinti come siamo che, nella condizione attuale dell’Italia e dell’Europa serve una forte ripresa dei movimenti di matrice cattolica e  popolare, ispirati ai valori dell’umanesimo cristiano e della dottrina sociale della Chiesa, promotori di politiche economiche alternative a quelle del turbo capitalismo finanziario e  ispirate ai principi dell’economia civile.

 

Assai triste il destino del PD ( 9 %), un partito che la gestione renziana ha ridotto a un ectoplasma senza più identità, storia e cultura, e che necessita di una profonda e seria rifondazione per il bene del nostro sistema politico, dopo la sbornia populista del 4 Marzo.

 

Dalla terra del compianto e carissimo amico, sen Lello Lombardi,  esponente di rilievo della sinistra sociale DC ( Forze Nuove), nel ricordo del quale la sua famiglia ha avviato un’encomiabile fondazione nel suo nome (www.fondazionelellolombardi.it; una fondazione che svolge attività di formazione e informazione politico culturale di livello, è giunto, invece, un segnale positivo per la ricomposizione dell’area cattolica e popolare nella politica italiana.

 

Ora attendiamo i risultati regionali del Friuli Venezia Giulia, dove il leghista Massimiliano Fedriga, di profonde radici e cultura cattolica, riceverà il voto convinto delle diverse componenti del centro-destra, con la speranza di riprendere la guida della Regione dopo l’infausta esperienza della presidenza Serracchiani.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 23 aprile 2018

 

 

Basta con le rovinose schermaglie giuridiche: unità di tutti i DC

 

Siamo alla viglia di alcune consultazioni elettorali locali che interesserano diverse città italiane e, questa volta, è indispensabile rimettere in campo la DC con il suo glorioso scudo crociato.

Per far questo, dopo oltre un ventennio di battaglie suicide, è indispensabile superare i vecchi conflitti e sotterrare l’ascia di guerra. E’ tempo di “fumare il kalumet della pace” tra tutti  i diversi contendenti che hanno sin qui impedito, con veti e ricorsi reciproci, di ripresentare la DC in sede elettorale.

Nel rispetto delle storie di ciascuna componente e rispettosi dei tempi e dei modi programmati dalle stesse ( mi riferisco in particolare, per quanto mi riguarda, alla DC dei soci che nel 2012 con Gianni Fontana, Silvio Lega e il sottoscritto, risposero all’appello per rinnovare il tesseramento al partito) penso sia opportuno incontrarsi tutti insieme e assumere alcune città simbolo come, ad esempio, quelle di Avellino, Catania, Messina, Imperia, Treviso, Vicenza, nelle quali i cittadini saranno chiamati alle urne per il rinnovo dei consigli comunali, come sedi di sperimentazione di una ritrovata volontà unitaria.

Con la disponibilità di ciascuno e l’impegno di tutti potremmo organizzare dei comitati civico popolari di partecipazione politica, per definire  programmi elettorali e liste ispirate ai valori dell’umanesimo cristiano e in grado di offrire risposte alle attese degli elettori.

Sarà un primo utile banco di prova per ripartire tutti insieme, sotto lo stesso simbolo storico dello scudo crociato e, dopo quel voto, impegnarci in un’assemblea organizzativa nazionale e in un tesseramento aperto a tutti gli italiani per celebrare il XIX Congresso nazionale della DC, in continuità con la storia del partito di De Gasperi, Moro , Fanfani , Marcora, Bisaglia e Donat Cattin, o il Primo Congresso nazionale della DC del XXI secolo.

Crediamo sia giunto il tempo per concorrere da democratici cristiani, forti dei loro valori e della storia politica che seppe far grande l’Italia, alla ricostruzione di un centro democratico, popolare e liberale di cui l’Italia e l’Europa hanno assoluta necessità.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 21 Aprile 2018

18 Aprile 1948

 

70 anni fa, il 18 Aprile 1948, Alcide De Gasperi guidava la DC allo storico risultato della maggioranza assoluta alle elezioni politiche, un passaggio fondamentale della storia dell’Italia repubblicana. Noi Democratici Cristiani ricordiamo con indomita passione quella data, che permise all’Italia di  scegliere la strada dell’alleanza occidentale prima  e della successiva Unione europea.

Agli amici che celebrano oggi a Roma il ricordo di quel giorno, inviamo i nostri più affettuosi auguri con la conferma della volontà di procedere quanto prima insieme alla ricomposizione dell’area di ispirazione popolare e democratico cristiana nel nostro Paese.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 18 Aprile 2018



Costruire Insieme verso il partito


Dopo il voto del 4 Marzo qualcosa comincia a muoversi nella vasta e articolata galassia dell’area cattolica e popolare. E’ annunciata la prossima assemblea dei soci DC per la prima metà di Maggio, che dovrebbe preparare la strada alla riunificazione di tutte le diverse sensibilità che si rifanno alla storia e alla tradizione di quel partito. Intanto l’associazione
“ Costruire Insieme”, presieduta dall’amico Sen Ivo Tarolli, riunita l’assemblea generale dei soci nei giorni scorsi a Roma,  ha deciso di "di far evolvere l'esperienza associativa in un vero e proprio Nuovo Soggetto Politico che abbia fra i suoi caratteri distintivi: la democraticita' della vita interna, la pluralità delle Esperienze e delle Testimonianze, il protagonismo partecipativo dei territori,  dentro il grande alveo del popolarismo europeo.”

Si allega il comunicato stampa che annuncia tale decisione che, da parte nostra, quale associazione facente parte di “ Costruire Insieme”, abbiamo condiviso, così come apprezziamo ogni altra iniziativa che concorra alla  ricomposizione dell’area cattolica e popolare allo scopo di tradurre nella “ città dell’uomo” gli orientamenti pastorali della dottrina sociale della Chiesa. Mai come in questo momento di totale disorientamento della politica italiana e nel deserto delle culture politiche si sente l’esigenza di ricostruire una presenza di un soggetto politico ampio, plurale, come quello che gli amici di "Costruire Insieme" hanno indicato nel documento che si allega.


Cordiali saluti.

Ettore Bonalberti
Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)
Venezia,13 Aprile 2018

Comunicato stampa di Costruire Insieme

TORNANO I CATTOLICI IN POLITICA: NIENTE RIMPIANTI PER IL PASSATO

SIAMO QUI PER CONTRIBUIRE AL FUTURO DEL PAESE

 

 

Dopo il rovinoso risultato registrato dalle variegate esperienze politiche del Cattolicesimo Italiano, alle ultime elezioni politiche, al quale anche la Cei ha dedicato un apposito approfondimento, era lecito aspettarsi delle reazioni.

 

Fra queste va annoverata senz' altro l'iniziativa di Costruire Insieme, Associazione presieduta dall'on Ivo Tarolli e che fra l'altro vede fra i suoi protagonisti Sergio Marini, Giorgio Guerini e Luisa Santolini già presidenti di Coldiretti, Confartigianato e Forum delle famiglie, Raffaele Bonanni già segr generale della Cisl e Paolo Floris del Family day. Oltre che poter contare sui consigli del card.Re, e dei vescovi Toso e Simoni (vedi "Il Tempo del Coraggio" ed. Rubettino)

 

Nei giorni scorsi, infatti, Costruire Insieme ha deciso di far evolvere l'esperienza associativa in un vero e proprio Nuovo Soggetto Politico che abbia fra i suoi caratteri distintivi: la democraticità della vita interna, la pluralità delle Esperienze e delle Testimonianze, il protagonismo partecipativo dei territori, dentro il grande alveo del popolarismo europeo.

 

Importante decisione anche il varo di una Scuola di Formazione, rivolta in particolare ai giovani e alle donne di tutt' Italia, che potrà contare su più di 50 esperti/tutor e su un Comitato Scientifico presieduto dal dott.Fazio.

Sul piano politico viene proposto un Progetto Politico innovativo con un disegno preciso: il ritorno all'"Unità Possibile" di quanti (Associazioni, Movimenti e Partiti) si riconoscono nell'ispirazione dell'Umanesimo Cristiano.

 

Sul piano delle proposte per l’Italia, seppur dentro un Progetto Complessivo, vengono indicate 4 priorità: un fisco rinnovato e abbassato dove spicca per le famiglie la deduzione dal reddito di una quota pari alla soglia di povertà, per ogni figlio a carico.

Il lavoro e l'impresa con una riduzione di almeno il 25% del Clup  (Costo del lavoro per unità di prodotto) per favorire la competitività dell'intero  sistema produttivo e un piano d'investimenti complessivi di 30/40 milardi di euro.

Una sanità concentrata sulle persone, sui loro bisogni, e sulla prevenzione che superi la dicotomia ospedale/territorio. 

E per ultimo, un’ Europa più popolare e più democratica, che rimetta al primo posto come suo compito primo la "Felicità" dei suoi cittadini e che preveda di inserire nello Statuto della BCE l'obiettivo della piena occupazione.

Per attrezzarsi a questa sfida è stato, infine, varato un organigramma che a regime vedrà impegnati, fra gruppi di lavoro tematici e incarichi vari, un centinaio di persone.

 

Costruire Insieme

Il Pres. On. Ivo Tarolli

 

Roma, aprile 2018

 

Facciamo chiarezza

 

Alla vigilia della prossima assemblea dei soci legittimi della DC 2012, che l’amico Fontana intende convocare il prossimo 14 Aprile a Roma, tento di fare chiarezza sullo stato dell’arte all’interno e all’esterno della DC, così come ricostruita nel 2012, a seguito della decisione assunta da 1742 cittadini italiani, che erano stati soci nel 1992-93 ( ultimo tesseramento della DC storica), di rinnovare la loro adesione al partito.

 

Serve una premessa: nostro obiettivo è e rimane quello di rifondare politicamente la DC, non da soli, ma  con quanti in Italia sono ancora interessati a partecipare a quest’ opera di ricomposizione politico culturale.

 

Desidero assicurare gli amici De Simone, Cerenza, Sandri, Bambara, Paolucci, Tomei, Coroni e quanti, da “esterni” al progetto del 2012, hanno positivamente espresso la volontà di concorrere alla ricomposizione della DC: nessuno di noi intende chiudersi in un’assurda referenzialità, ma ciò che dobbiamo discutere il 19 Aprile riguarda la conclusione di un processo al quale sono direttamente e solo interessati i soci del 2012 ( 1742), cui si sono aggiunti i sette approvati dall’assemblea del 26 Febbraio 2017, nella quale fu eletto Gianni Fontana alla Presidenza della DC.

 

Breve cronistoria dei fatti:

 

Il XIX Congresso nazionale, da noi celebrato nel Novembre 2012 e il precedente consiglio nazionale DC, furono dichiarati illegittimi dal tribunale di Roma per le modalità con cui fu convocato Consiglio nazionale e Congresso e per quelle di svolgimento del Congresso stesso: assemblea plenaria di tutti gli iscritti e non elezione dei delegati nei congressi provinciali e regionali per la nomina dei delegati al Congresso nazionale.

 

Quella sentenza fu il risultato di alcuni improvvidi ricorsi di amici DC, che ottennero il solo risultato di ritardare di anni il progetto di ricomposizione dell’area democratico cristiana.

 

Tentammo con Fontana di sopperire a quella sentenza creando l’associazione Democrazia Cristiana, causa non secondaria della confusione che si è vissuto dal 26 Febbraio 2017 ad oggi.

 

Purtroppo l’esigenza di corrispondere alle scadenze elettorali sempre più frequenti con quella di dar seguito e conclusione alla vicenda interna alla DC dei soci 2012, ha reso complicatissimo e, mi auguro, finalmente non si ponga più quale ostacolo, a un processo fisiologico che mi permetto di evidenziare per fare definitiva chiarezza.

 

Il giudice Romano quando, ai sensi del codice civile, il 10% dei soci legittimi del 2012 richiese al Tribunale di Roma l’autorizzazione a convocare l’assemblea dei soci, dispose che la stessa fosse convocata in luogo idoneo a raccogliere tutti i soci, con la dimostrazione della disponibilità dello stesso.

 

Adempimmo, grazie all’impegno di amici come Leo Pellegrino sul piano finanziario  e  di Nino Luciani per aver seguito costantemente l’iter burocratico;  il giudice Romano nell’autorizzare lo svolgimento dell’assemblea, di fatto riconobbe la validità della base associativa della DC risultata dal tesseramento del 2011-12.

 

Agli amici che con tanto encomiabile entusiasmo hanno sostenuto Fontana nelle ultime vicende elettorali, spingendo, tuttavia, lo stesso Fontana a compiere atti assai gravi sul piano della legittimità, fino a farlo separare dalla sua legittima base associativa e a prefigurare una sorta di nuova DC, costretta a utilizzare un falso scudo crociato col fallimentare risultato del 4 Marzo scorso, faccio appello affinché si armino di una doverosa pazienza: il 14 Aprile dobbiamo compiere una serie di atti e di adempimenti formali che riguardano i soci, e solamente i soci DC del 2012, e nessun’ altra presenza in assemblea potrà essere autorizzata in conformità a quanto previsto dalle norme del codice civile.

 

Sappiano, tuttavia, che il processo che ci porterà all’elezione degli organi mancanti: Consiglio nazionale, segretario politico e direzione nazionale, sarà di brevissima durata, atteso che il nostro obiettivo resta quello di concorrere, entro e  non oltre Ottobre 2018, a celebrare un Congresso nazionale unitario con tutti gli amici che intendono partecipare al progetto  di rifondazione politica della DC.

 

Come intendiamo procedere? Il 14 aprile si confrontano due diverse ipotesi operative: quella dell’amico prof Luciani, il quale, rifacendosi a quanto deciso nell’ultima assemblea, ossia l’avocazione dei poteri congressuali alla stessa assemblea dei soci, ritiene che si possa tenere un’assemblea con i poteri del congresso al fine di eleggere il consiglio nazionale e conseguentemente, la Direzione nazionale e il segretario politico.  Alla tesi di Luciani si contrappone quella di Alessi-Grassi e Cugliari, i quali ritengono, invece, che sia necessario perseguire la strada dello statuto, ossia la convocazione dei congressi provinciali e regionali dei soci del 2012.

 

Da parte mia, stanco di ricorsi e contro ricorsi, sono abbastanza neutrale sulla scelta da compiere, avendo chiaro che qualunque strada si decida di assumere, si tratterà sempre di una soluzione transitoria di brevissima durata e che gli incarichi assegnati dureranno lo spazio di qualche mese per essere totalmente rinnovati dal Congresso unitario che intendiamo celebrare entro Ottobre dopo aver svolto:

a)    un’assemblea organizzativa entro Giugno, aperta a tutti gli amici “esterni” ai soci DC 2012, nella quale definire una piattaforma programmatica della DC da offrire al Paese;

b)   l’apertura di un tesseramento alla DC di tutti i cittadini italiani dai 16 anni in su per ricostruire la base associativa del partito di De Gasperi, Fanfani, Andreotti e Moro. Qui l’opera meritoria di allargamento svolta da Fontana nell’ultimo anno e il contributo degli amici “esterni” ai DC del 2012, potrà essere quanto mai proficua  e, ci auguriamo tutti, efficace per ampliare la base del partito.

 

Spero di aver chiarito sufficientemente ciò che da soci legittimi DC del 2012 intendiamo portare avanti, a partire dalla prossima assemblea del 14 Aprile. Faccio appello agli altri amici DC di avere solo un po’ di pazienza, consapevoli, noi come loro, che dopo lo tsunami politico scaturito dal voto del 4 Marzo e la totale assenza di una componente di ispirazione democratico cristiana nel Parlamento italiano, di tutto la DC ha necessità, fuorché di altri ricorsi e battaglie suicide nelle aule giudiziarie. State certi: celebrata l’assemblea organizzativa con gli “ esterni” ( Giugno 2018), aperto il tesseramento al partito ( da compiersi entro Settembre), con il congresso XIX della DC unitaria ( o il 1° Congresso della DC 2018) tutti INSIEME a Ottobre concorreremo alla ricomposizione dell’area DC e alla rifondazione politica della DC, partito mai giuridicamente defunto.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 29 Marzo 2018

 

 

Si all’UMP: Unione per un Movimento Popolare in Italia

 

L’amico Prof Antonino Giannone mi ha inviato ieri il seguente comunicato: SENATO: FIRMATO ACCORDO FI, UDC E IDEA, NASCE GRUPPO UNICO NEL NOME DEL PPE (9Colonne) Roma, 23 marzo - Un accordo federativo tra Forza Italia, Udc e Idea per la formazione di un gruppo parlamentare che faccia riferimento all'esperienza del Partito popolare europeo. L'accordo è stato firmato stamane, a Palazzo Madama, alla presenza del segretario nazionale UDC Lorenzo Cesa, del presidente del gruppo di Forza Italia, Paolo Romani, e del senatore Gaetano Quagliariello, leader di Idea. L'iniziativa è l'avvio di un percorso nell'ottica della formazione del progetto politico del PPE italiano. La nuova componente è composta dai senatori Antonio De Poli, Paola Binetti, Antonio Saccone (Udc) e Gaetano Quagliariello (Idea). (PO / red) _231259 MAR 18.

 

Ho replicato all’amico Giannone con questa mia prima valutazione : “Credo sia una strada percorribile; spiace che la DC, per responsabilità di Fontana,  non esista più; sto pensando a un appello a tutti i Dc disponibili a concorrere alla costruzione della sezione italiana del PPE.  Basta con le nostre assurde polemiche”.

 

Dal convegno di Rovereto (Luglio 2015), promosso con il sen Ivo Tarolli e da quello di Orvieto (Novembre 2015), organizzato con gli Onn. Giovanardi, Quagliariello e Mario Mauro, con tutti gli amici intervenuti abbiamo condiviso l’idea di impegnarci a dar vita a un nuovo soggetto politico: “ laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori”.

 

Mi sembra evidente che l’avvio di un gruppo parlamentare unitario al Senato, come quello indicato nel comunicato stampa di ieri, costituisca o possa costituire un ottimo avvio di un processo politico destinato a più concreti sviluppi tanto a livello nazionale che locale.

 

Ecco perché oggi ho inviato agli amici protagonisti di quell’accordo la seguente mail:

 

“ Cari amici, ho appreso con piacere l’avvenuta costituzione del gruppo unico al Senato nel nome del PPE , come dal comunicato 9 Colonne allegato. Da parte mia desidero inviarvi i migliori auguri di buon lavoro, mentre opererò nella DC affinché il partito erede di De Gasperi, Moro e Fanfani, possa concorrere insieme a voi alla costruzione di un’Unione per un Movimento Popolare Italiano ( sul modello del fu UMP francese) da inserire a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori.

Mi auguro che le egoistiche chiusure sperimentate nella fase pre elettorale, causa concorrente non secondaria del clamoroso insuccesso della lista “ Noi con l’Italia”, siano definitivamente superate, nella comune volontà di costruire un nuovo soggetto politico che da Rovereto ( Luglio 2015), Orvieto ( Novembre 2015) avevamo condiviso essere: laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano e inserito a pieno titolo nel PPE. La scelta operata dai gruppi al Senato sembra andare in questa direzione e mi auguro si possano assumere iniziative unitarie per lanciare su scala nazionale e locale questo importante progetto politico in una fase di scomposizione dei gruppi e partiti che hanno caratterizzato la seconda Repubblica.

In attesa di vostre gradite indicazioni e proposte, cordialmente vi saluto.

 

 

 

Ettore Bonalberti

Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)”

 

Mi auguro, infine, che Gianni Fontana, superata la delusione per il fallimento delle nostre strategie elettorali,  proceda con estrema sollecitudine a convocare l’assemblea dei soci DC legittimi ( quelli indicati nella lista depositata dallo stesso Fontana al tribunale di Roma, in base alla quale il giudice Romano ha autorizzato l’assemblea del 26 Febbraio 2017, nella quale abbiamo eletto Fontana alla Presidenza della DC) per assumere tutte le decisioni più opportune: per completare la nomina degli organi del partito e per giungere alla celebrazione di un congresso unitario con tutti gli amici ancora interessati alla ricostruzione politica della DC.

 

Non sono più consentiti rinvii o, peggio,  continuare a  inseguirci  e combattere nelle beghe di tipo giuridico alla ricerca di un’anacronistica continuità con la DC del 1992-93, dato che la politica va avanti con o senza di noi e, soprattutto,  non aspetta i nostri tempi.

 

Nel momento che stiamo vivendo, dopo il voto del 4 Marzo, in cui si stanno scomponendo raggruppamenti e formazioni politiche che sono state colonne portanti dell’infausta seconda repubblica, compito  dei “democratici cristiani non pentiti” resta quello di concorrere, con tutta la loro migliore tradizione politica e culturale, a dar vita a un’Unione per un Movimento Popolare italiano,  capace di offrire una nuova speranza al Paese, ben al di là delle proposte velleitarie su cui si è riversato il consenso elettorale  alle ultime elezioni. Proposte  delle quali siamo in fiduciosa  attesa di sperimentarne gli esiti sul piano concreto del governo.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)

Venezia, 24 Marzo 2018

 

 

Temi di discussione per i “ DC non pentiti”

1) Noi continuiamo a inseguire l’idea del centro, non tenendo conto che il blocco sociale cui ha sempre fatto riferimento quest’area politica, nell’età della globalizzazione e del turbo capitalismo finanziario, con il dominio degli edge funds anglo-caucasici (kazari) che controllano Banca d’Italia, insieme al controllo della BCE e delle banche centrali europee, imponendoci il fiscal compact e gli altri lacci e laccioli dell’Unione europea, vive una profonda crisi e una proletarizzazione crescente da cui deriva una propensione a scelte politiche non certo moderate, ma o di disimpegno o orientate verso aree radicali ( di qui anche una delle ragioni del successo di M5S e Lega in quest’area il 4 marzo scorso);

2) non v’é dubbio che nell’età della globalizzazione la dottrina sociale della Chiesa rappresenti una delle risposte più autorevoli e approfondite alle degenerazioni del turbo capitalismo finanziario. Gli é che non abbiamo approfondito a sufficienza se e come tradurre nella “città dell’uomo” quegli orientamenti pastorali e, soprattutto, con quali strumenti operativi;

3) non ci facilitano: la situazione interna alla gerarchia ecclesiastica di grande divisione e disorientamento  teologico e pastorale e la frastagliata e disarticolata realtà di associazioni, movimenti e gruppi di area cattolica;

4) non siamo più al tempo di Pio XII e dei mandati affidati a Carlo Carretto e a Maria Badaloni, con il supporto di Gedda con i suoi comitati civici. L’idea di una ricomposizione dell’area cattolica dal piano pastorale a quello culturale e socio politico rischia di diventare una chimera o un obiettivo di medio-lungo periodo, in assenza di input specifici, quello nel quale…... “ noi saremo tutti morti”;

5) dobbiamo prendere atto realisticamente che nel nostro Paese come in Europa, noi cattolici siamo una minoranza. Di qui la necessità, da un lato, di ricomporre quanto di più vasto sia possibile nella nostra area di riferimento culturale, superando gli errori che abbiamo compiuto soprattutto dal 26 Febbraio 2017, giorno nel quale abbiamo rieletto Fontana alla guida di ciò che é rimasto, legittimamente riconosciuto dal tribunale di Roma (ordinanza giudice Romano) della DC storica. Non voglio entrare nel merito di questa tristissima vicenda che, semmai, sarà oggetto di analisi della prossima assemblea DC dei soli soci legittimi che Fontana ha promesso di convocare nei prossimi giorni;

6) bene allora ricostruire le condizioni per il massimo di unità di tutti i DC interessati/bili, avendo, tuttavia, consapevolezza che nella crisi del tripartitismo impotente uscito dalle urne il 4 marzo, l’unica via di uscita è puntare a costruire un nuovo soggetto politico: laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano e inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori. Un riferimento importante sarà anche quello dei deputati e senatori di chiara cultura DC eletti il 4 marzo (penso alla Binetti, Pillon, e alcuni altri…)

7) un soggetto politico di tipo federativo, che potrebbe configurarsi, come fu in Francia l’UMP francese ( Unione per un Movimento Popolare), nel quale la DC 4.0 o DC 2018 potrebbe costituire il nucleo fondante.

8) Il recupero dello scudo crociato per la nostra formazione politica, meglio sarebbe ottenerlo per via politica ( fu il tentativo, ahimè fallito per l’egoismo stupido rivelatosi tale di Cesa e Fitto nella formazione della lista “ NOI con l’Italia” quello che abbiamo tentato con gli amici Alessi, Grassi e Carmagnola) con un accordo tra DC storica e ciò che resta dell’UDC, piuttosto che con un’ennesima battaglia giuridica i cui tempi non sarebbero compatibili nemmeno con le prossime imminenti scadenze: elezioni regionali, amm.ne locali, europee 2019 e, non improbabili, elezioni politiche generali anticipate…. L’idea avanzata da qualche amico di chiudere con un voto dell’assemblea il caso DC, non ritengo possa passare nella prossima assemblea e non credo, nemmeno, sia la più efficace ed efficiente sul piano operativo. Senza alcuna identità sarà difficile avviare qualsiasi dialogo e proposta politica con altre componenti di cultura laica e liberale, le uniche alle quali poter fare riferimento come cattolici democratici o cristiano sociali.

9) Serve stavolta concordare una strategia e tattica di medio lungo periodo, supportata dalle necessarie risorse umane e finanziarie a  partire da noi DC, per concordarla con le alte componenti laico liberali interessate a condividere il progetto.

10) in parallelo, si dovranno sollecitare tutte le energie disponibili nel mondo ecclesiastico e nella vasta area cattolica italiana per uscire dall’indifferenza e dalla colpevole divisione tuttora esistente. Guai se l’azione avviate dalla Lega di cannibalizzazione del voto di Forza Italia, non trovasse un’alternativa credibile sul piano degli interessi e dei valori ( che é la sostanza della politica) di chiara matrice cristiana.

Ovviamente ciascuno di questi punti del decalogo andrebbero approfonditi criticamente in quel workshop auspicato in premessa.

 

Quanto ai temi e alle soluzioni proponibili per superare la fase di stallo cui siamo giunti dopo l’elezione di Gianni Fontana alla Presidenza della DC il 26 Febbraio scorso, mi permetto di evidenziare quanto segue:

 

1)   Siamo in presenza di due grandi emergenze nazionali: il divario Nord –Sud e il divario generazionale sempre più profondo- sono le condizioni strutturali da cui bisogna partire per interpretare correttamente il voto del 4 Marzo.

2)   Questione settentrionale sintetizzabile nel tema: tasse e condizione del  terzo stato produttivo architrave del sistema.

3)   Questione meridionale: disoccupazione e sotto-sviluppo economico, sociale  e strutturale- come uscirne?  Assistenzialismo o sviluppo?

4)   Premessa di ogni politica riformatrice è il rapporto tra sovranità monetaria e sovranità popolare- analisi della situazione reale finanziaria e bancaria dell’Italia

5)   Sul piano istituzionale se non si vuole la separazione/disgregazione Nord-Sud e la fine dell’unità nazionale servono una riforma istituzionale in senso federale: 5-6 macro-regioni ( Nord Ovest-Nord Est-Area Centrale- Area  Meridionale- Sicilia e Sardegna)

 

6)   Sul piano politico:

 

a)    Presa d’atto del fallimento delle due strategie colpevolmente perseguite con livelli diversi di responsabilità- non servono capri espiatori, ma un serio confronto interno e una conduzione collegiale nelle prossime fasi con la formazione di un organismo dirigente

b)   risolvere il problema degli organi interni della DC- la soluzione Luciani mi sembra la più corretta, efficace ed efficiente, al fine di nominare gli organi mancanti ( Consiglio nazionale, segretario politico e  e direzione)  da farsi entro aprile e soluzione del problema simbolo dello scudo crociato o in termini di accordo politico o in termini definitivi giudiziari. Da parte mia preferirei la soluzione politica di un accordo con UDC e/o ciò che è rimasto di quell’esperienza politica;

c)    aprire il confronto con tutte le componenti di area DC in una conferenza politica e organizzativa per il programma-Giugno 2018: le proposte dei democratici cristiani per l’Italia del XXI secolo

d)   apertura del tesseramento 2018 sino a Settembre e avvio dei comitati civico popolari locali

e)    I° Congresso nazionale  della DC unitaria  a Ottobre

f)     Concorrere alla formazione dell’UMP ( Unione per un Movimento Popolare) inserita a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori.

g)    Lanciare una grande campagna nazionale e un comitato per l’attuazione dell’art.49 della Costituzione (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”)   per il riconoscimento giuridico dei partiti (vedi ultimo convegno di studio della DC ad Assago 1987-note di Luciano Faraguti)- è il nodo centrale dell’attuale situazione politica e dello status dei partiti in campo.

h)   Partecipazione alle prossime elezioni regionali e comunali con l’obiettivo principale alle elezioni europee 2019 ( sistema proporzionale puro e preferenze)

 

 

Affido alla vostra  valutazione queste scarne sollecitazioni per eventuali correzioni/integrazioni su cui avviare il confronto.


 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)

Venezia,21 Marzo 2018



Riflessioni dopo il voto

 

Con cinque parole chiave, quella magica di Di Maio: reddito di cittadinanza e le quattro di Salvini:  flat tax, no alla legge Fornero, fuori i clandestini, legittima difesa, M5S e Lega  hanno ricevuto il più ampio consenso dagli elettori. Una propaganda politica svolta con grande impegno che esprimeva a livello sovrastrutturale la condizione strutturale del Paese che è quella, alla fine, espressa dal voto: un’Italia spaccata in due, nella quale emergono le due profonde divaricazioni sociali, economiche e delle condizioni di vita del Paese: quella territoriale Nord-Sud e quella generazionale, drammaticamente rappresentata dalla disoccupazione giovanile che, nel meridione, assume carattere patologici e irreversibili (oltre il 50%) e dalla fuga all’estero dei nostri giovani in cerca di speranza.

 

Nel vuoto delle culture politiche e di formazioni politiche sempre meno legate a un pensiero, ridotte all’ectoplasma senza più storia e identità del PD renziano; all’equivoco partito personale di Berlusconi o alla pur commendevole difesa della propria ispirazione originaria dei Fratelli d’Italia, solo il M5S e la Lega hanno saputo esprimere, seppur a livello epidermico, il disagio profondo e le aspettative di una società in preda a quell’anomia politica, istituzionale, economica, finanziaria e  sociale, di cui scrivo da tempo.

 

La frustrazione dei ceti produttivi del Nord e la disperazione della gente del Sud, insieme alla richiesta di un profondo cambiamento di classe dirigente e al rifiuto in blocco dei vecchi partiti, hanno  finito per costituire  una miscela che ha fatto deflagrare il sistema, o ciò che di esso rimaneva,  della seconda Repubblica.

 

A una possibile rivolta sociale, sempre latente, si è sostituito nel tempo breve un terremoto politico foriero di scosse di assestamento numerose e  prolungate .

 

Basta osservare quanto sta accadendo in queste prime settimane post voto, per rendersene conto. L’Italia è divisa in due, con il permanere di due questioni  che, allo stato degli atti, appaiono di improbabile, se non impossibile soluzione: una questione settentrionale da tempo annunciata, in cui il ceto medio e i diversamente tutelati vivono una condizione di progressivo impoverimento; un’atavica questione meridionale che, accanto alle stesse e più gravi condizioni dei due ceti su descritti, sconta il differenziale accumulato nella più che secolare storia post unitaria italiana.

 

Paradossalmente, nel momento in cui Salvini fa fare il salto di  qualità alla Lega, da partito del Nord a partito nazionale, riuscendo in tal modo a superare elettoralmente Forza Italia,  quest’ultima abbandonata dal voto meridionale tutto ri-orientatosi a sostegno del M5S, il Paese, mai come adesso, appare diviso in due, col rischio della perdita della stessa unità nazionale.

 

E’ evidente, però, che le soluzioni indicate dai due vincitori: reddito di cittadinanza per il Sud del M5S e flat tax della Lega e centro destra  per il Nord, sono obiettivi propri di due politiche economiche e finanziarie, non solo difficilmente compatibili con la situazione del debito pubblico italiano (2290 miliardi di euro), ma, a maggior ragione, inconciliabili tra di loro.

 

Ed é comprensibile allora, come  ad una situazione strutturale di  divisione  netta del Paese  si sovrapponga una condizione di rottura difficilmente componibile sul piano sovrastrutturale politico culturale e del governo del Paese.

 

Che fare allora?

 

Alla drammatica deriva della dissoluzione dell’unità nazionale, cui si aggiunge il trionfo delle posizioni più radicali ed estreme di un anti europeismo, oggetto delle preoccupazioni espresse nel recente incontro parigino dalla Merkel e da Macron, penso che l’unica risposta possibile sia quella di ripensare l’assetto istituzionale del  Paese, battendoci per una riforma in senso federale dell’Italia. Basta con le venti regioni che non siamo più in grado di mantenere, ma si punti alla soluzione indicata a suo tempo dal prof Miglio di cinque-sei macro regioni ( Nord Ovest-Nord Est, Area Centrale, Area meridionale, Sicilia, Sardegna) e ad un assetto presidenziale per il governo federale a Roma.

 

Quanto al nostro rapporto con le riforme e con l’Europa, fermo restando che nella globalizzazione dominante sarebbe illusorio ipotizzare fughe, tipo Brexit, dell’Italia dal contesto europeo, non v’è dubbio che si tratterà di porre con forza il tema della riforma dei Trattati europei, partendo dal superamento di quei provvedimenti illegittimi, come il fiscal compact, assunti in contrapposizione con gli stessi Trattati, come da tempo il prof Giuseppe Guarino ha esemplarmente denunciato.

 

Non si tratta di perorare l’idea assurda di un’Italia fuori dall’Unione europea, quanto piuttosto quella di recuperare, a partire  dal partito erede dei padri fondatori, il PPE, i principi originari di Adenauer, De Gasperi e Schuman. Validi nei loro fondamentali cristiano sociali, si tratta   di impegnarci a tradurre nella “città dell’uomo” le indicazioni pastorali delle encicliche sociali della Chiesa cattolica, estremamente rigorose nel denunciare i disvalori e le ingiustizie che, accanto ad alcuni fattori positivi, la globalizzazione porta con sé.

 

Sul piano delle riforme bisogna avere chiara consapevolezza che, se non si ritorna al controllo pubblico di Banca d’ Italia e alla separazione tra banche di prestito e banche di speculazione, ossia ripristinando la legge bancaria del 1936, nessuna riforma di tipo economico e sociale può essere seriamente realizzata in Italia e in Europa.

 

Sia che subiamo scientemente  (talora con personali interessi di qualcuno a libro paga) oppure inconsapevolmente, il dominio dei poteri finanziari dominanti ( gli edge funds anglo-caucasici, kazari, che controllano con la BCE, le banche nazionali dei paesi europei), dobbiamo batterci per  ripristinare concordemente con i nostri partner europei la sovranità monetaria senza la quale la sovranità popolare si riduce a una retorica e impotente dichiarazione di principio.

 

Surreale, in tale contesto, il fatto che noi dell’area democratico cristiana, totalmente scomparsi dalla scena politica, salvo qualche infiltrato sopravvissuto nelle maglie di uno sciagurato “rosatellum” e grazie al trasformismo dominante, si continui a bisticciare sui de minimis assurdi delle nostre divisioni anacronistiche e impotenti

 

Di questo, però, vorrei trattare più compiutamente dopo la prossima assemblea dei soci legittimi della DC, sperando che venga definitivamente convocata dal presidente Fontana, dalla quale, mi auguro emergano alcune indicazioni coerenti e condivise.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 19 Marzo 2018

 

 

 

 

 

 

 


 

Luciano Faraguti ci ha lasciati

 

Ci è giunta, da un comune amico, la notizia della scomparsa di Luciano Faraguti. Aveva ottant’anni, vissuti sempre nella sua fedeltà ai valori del cattolicesimo politico e dei cristiano sociali.

 

L’avevo conosciuto che non avevo vent’anni, lui di sette anni più vecchio di me, in quello che al tempo era un fisiologico ricambio nel Movimento  Giovanile della DC. Mi bastò il suo sguardo sempre caratterizzato da una sottile ironia e quel buffetto datomi sulla guancia,  invitandomi a meglio attrezzarmi in fatto di abiti dei politici, quasi a predirmi una futura vita di parlamentare DC, che era nella prospettiva di quasi tutti i migliori giovani della Democrazia Cristiana.

 

La scelta della comune adesione alla corrente di Forze Nuove e la partecipazione al movimento aclista di Livio Labor, furono alla base di una militanza che ci vedrà impegnati  insieme per oltre quarant’anni; lui da parlamentare e, più avanti, da componente del governo, e, insieme a me, da membri del consiglio nazionale della DC sino alla fine politica del partito.

 

Quante battaglie abbiamo condotto nella DC, sempre a fianco di Carlo Donat Cattin; dalle prime  per il centro sinistra, alla  scelta del “preambolo”;  in alternativa al dominio demitiano del partito, e, più avanti, dopo la morte del leader piemontese, insieme a Franco Marini nella fase di nascita del PPI.

 

Donat Cattin aveva nei suoi confronti un atteggiamento di costante affezione, nel riconoscimento di una fedeltà e capacità di tattica politica senza uguali. Non a caso lo confermò per molti anni nella Direzione nazionale della DC, in rappresentanza della corrente di Forze Nuove.

 

Con l’avvio della lunga stagione della diaspora democristiana (1993-94), Faraguti mantenne sempre forte la sua fedeltà ai valori democratici cristiani e insieme iniziammo (2011) a dar vita al progetto di ricomposizione dell’area DC, con Publio Fiori, Lillo Mannino, Silvio Lega, Sergio Bindi e altri, sino all’elezione a segretario del partito, nel contestato XIX Congresso nazionale (2012), di Gianni Fontana.

 

Le nostre strade si divisero nella difficile mediazione per l’elezione della Presidente del Consiglio Nazionale del partito, di Ombretta Fumagalli Carulli, allorché Faraguti non volle rinunciare alla candidatura del nostro comune amico e già compagno di corrente, il carissimo e compianto Ugo Grippo.

 

Luciano visse molto male quel passaggio, ultima rappresentazione delle vecchie ruggini correntizie che, perpetuate nel 2012, assumevano tratti, ahimè,  del tutto anacronistici.

 

Con mio grande dolore da quel momento cessò, per sua esplicita volontà, una frequentazione e uno scambio di idee e di esperienze politiche quanto mai, almeno per me, ricca di stimoli e di positive riflessioni.

 

Profonda era la sua capacità di analisi e di interpretazione degli avvenimenti politici, sempre svolte coerentemente alla nostra comune matrice cristiano sociale. Forte era la sua curiosità e il desiderio di approfondire con me i fatti che si succedevano dentro e fuori quell’area popolare di comune interesse di noi “DC non pentiti”.

In questi ultimi anni del silenzio tra di noi, ho sempre vissuto con grande dispiacere l’assenza di quel fecondo scambio di idee e di stimolanti sollecitazioni che abbiamo vissuto per quasi tutta la nostra  vicenda politica.

 

La notizia della sua scomparsa mi riempie di grande amarezza. Desidero esprimere alla sua amata Carla, i sentimenti della più affettuosa partecipazione al suo dolore.

 

Perdiamo con Luciano un altro combattente e testimone appassionato della grande storia democratico  cristiana. Un amico che resterà sempre caro nei nostri cuori.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 12 Marzo 2018

 

 

 

 

Un terremoto politico

 

La condizione di anomia dell’Italia che avrebbe potuto  e potrebbe ancora sfociare nella rivolta sociale, con la più alta percentuale di votanti (oltre il 71%) raggiunta da molte elezioni a questa parte, superato così il rischio astensionismo, si é espressa  nella più grande svolta politica italiana,  dopo quella del 1994, che segnò il passaggio dalla prima alla seconda repubblica. Un  autentico  terremoto politico destinato a cambiare lo scenario politico del Paese.

 

Il voto del 4 marzo segna, infatti, il passaggio dalla seconda alla terza Repubblica con la divisione e il divario territoriale dell’Italia resi evidenti dalla realtà di un centro Nord, dominato dal centro-destra a trazione leghista e di un centro-Sud, a dominanza pressoché esclusiva del M5S.

 

Mai, come dopo questo voto, le questioni  settentrionale e meridionale sono fisicamente rappresentate specularmente nel Parlamento nazionale. Il Sud, persi e abbandonati i tradizionali centri di potere e di elargizione delle risorse pubbliche non più disponibili, si è affidato all’ultima speranza offertagli dal M5S di Grillo e Di Maio. Loro hanno promesso il reddito cittadinanza a una società caratterizzata da un tasso di disoccupazione (oltre il 50%), specie giovanile, tra i più elevati  dell’Italia e dell’Europa, e vittima di una condizione di arretratezza nei servizi che la differenziano fortemente dal resto del Paese. 

 

Ora la speranza del Sud è tutta riposta nelle promesse elettorali e nell’affidabilità dei giovani del M5S. Tutto ciò si è dimostrato una condizione sufficiente per garantire al partito dei grillini il trionfo elettorale, ma sarà quanto mai precaria al fine di  avere certezza di risposte di governo per il presente e per il futuro.

 

Il Nord, intanto, ha creduto, più che nella defiscalizzazione della “flat tax” del Cavaliere, nelle proposte di Salvini e il terzo stato produttivo si attende riforme in grado di garantire il superamento della sua condizione di progressiva proletarizzazione. Sono due attese e due speranze, quelle del Nord e del Sud d’Italia, difficilmente compatibili per qualsiasi governo che possa nascere da qui a qualche settimana o mese, tenendo conto dell’enorme debito pubblico sin qui accumulato (2300 miliardi) e dei paletti europei tuttora ben conficcati sul terreno politico istituzionale, a cominciare dal fiscal compact e dal dominio esercitato dai poteri finanziari nella BCE e in tutte le banche centrali europee.

 

La nuova sintesi in grado di tenere unita l’Italia dovrà probabilmente realizzarsi con una riorganizzazione complessiva del Paese su basi autenticamente federaliste, come quelle a suo tempo teorizzate dal prof Miglio: la formazione di quattro o cinque macroregioni in un assetto istituzionale centrale di tipo presidenziale.

 

Da queste elezioni, in ogni caso,  emergono nettamente :

 

a)    la realtà di un blocco sociale eterogeneo al Sud, che va dai diversamente tutelati al  terzo stato produttivo, che ha cercato il conforto  e la speranza nel M5S, primo partito italiano;

b)    la fine del ruolo politico  trainante di Berlusconi nel centro destra, sempre più a trazione leghista, dove Matteo Salvini ha compiuto il miracolo di triplicare il consenso al partito inventato da Bossi come partito della Padania, oggi partito a dimensione nazionale;

c)    il tracollo della sinistra trasformista renziana e dello stesso  tentativo dell’alternativa dei “Liberi e Uguali”, ridotti a una misera rappresentanza con il solo diritto di tribuna in sede parlamentare.  E’ la fine di un ruolo politico importante della sinistra nel nostro Paese, documentato anche dai risultati negativi registrati nelle storiche regioni rosse dell’Emilia, Toscana e Umbria;

d)   la drammatica  realtà di un’area cattolico e popolare del tutto inesistente, grazie alla scelta egoistica e di chiusura compiuta dai responsabili del movimento “Noi con l’Italia”, ridotti al lumicino e incapaci di superare la soglia del 3% imposta dal “rosatellum”, mentre infinitesima, sotto l’1%, è risultata la rappresentanza del “Movimento per la famiglia” di Adinolfi. Non sono mancate alcune elezioni di deputati e senatori in liste diverse del centro-destra che sono, tuttavia, espressione della nostra stessa cultura politica;

e)    Dopo il voto di domenica non ci sono maggioranze parlamentari in grado di esprimere un governo, con il M5S primo partito nel Paese e il centro-destra che é la più consistente coalizione in termini di voti in Italia e di seggi  alla Camera e al Senato

 

In attesa delle prime mosse dei e tra i partiti, con l’elezione dei presidenti delle due camere, e dell’incarico che Mattarella affiderà alla personalità in grado di formare il nuovo governo, spetterà a noi “ DC non pentiti” ripensare totalmente una nuova strategia che sappia superare gli errori  compiuti e le insufficienze sin qui espresse.

 

Prima e in tempi brevissimi dovremo risolvere le residue questioni interne alla cosiddetta “DC storica”, attraverso un’assemblea dei soci aventi diritto, che Fontana si è impegnato a convocare il prossimo 24 Marzo a Roma. In seguito, un congresso straordinario da svolgersi secondo norme statutarie da tenersi entro maggio per definire, con un programma credibile per il Paese, la dirigenza del partito. Una dirigenza  che dovrà puntare a riorganizzare su basi totalmente nuove la presenza di quanti, popolari e democratico cristiani, sono interessati a dar vita a un nuovo soggetto politico centrista: laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori. Un soggetto politico che, ci auguriamo, possa contare  sul contributo di alcuni deputati e senatori eletti della nostra stessa cultura politica, capace di collegarsi ai fermenti nuovi che si sono manifestati in Francia e in Spagna e all’interno della stessa CDU e CSU della Germania.

 

Come associazione dei “Liberi e Forti”, ancora una volta, dobbiamo riprendere pazientemente la trama di una tessitura che richiederà tempi lunghi e una ripresa di iniziativa culturale e sociale, prima ancora che politico organizzativa, di aree vaste del mondo cattolico italiano che da queste elezioni risulta irrimediabilmente ridotto all’irrilevanza politico istituzionale.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( Associazione  Liberi e Forti)

Venezia, 5 Marzo 2018

 

 

 


 


 

Come e chi votare il 4 Marzo ?

 

A 18 giorni dal voto del 4 Marzo in giro c’é tanta confusione.

 

Colpa di una situazione economico sociale dominata dall’anomia, ossia da una situazione di assenza di regole, di discrepanza tra mezzi e fini nella disponibilità delle persone, dal venir meno del ruolo dei corpi intermedi. Una situazione che può sfociare inevitabilmente nella frustrazione con conseguente rabbia, aggressività o, come sembra oggi nel Paese,in una regressione nel mutismo e nella repressione della residua  volontà di reagire

 

Colpa di partiti in gara che sono simulacri di autentica partecipazione democratica  e, in larga parte, vittime del trasformismo politico che ha caratterizzato negativamente la trascorsa legislatura del “ nominati”, dove la transumanza mercenaria è stata tra le più ampie, se non la più ampia di tutta la storia nazionale.

 

Il PD, espressione del massimo trasformismo politico e culturale operato dal renzismo, diventato col “giovin signore fiorentino” uno strumento al servizio dei poteri finanziari internazionali dominanti; né carne né pesce per la sinistra, e, non a caso sottoposto a un processo di scissione dai risvolti politico sociali ben più consistenti di quanto emerga nella superficie, con l’avvenuta costituzione del partito dei “Liberi e Uguali”.

 

Il centro-destra, che ogni giorno appare sempre di più una sommatoria improvvisata e con programmi difficilmente compatibili, tenuti insieme dall’istrionica capacità di un Cavaliere dimezzato, dispensatore di promesse miracolistiche del tutto inconciliaboli con la realtà contabile dell’Italia.

 

Il M5S, che da partito dei “diversi”, con i casi scoppiati in questi giorni, sta dimostrando che anche i grillini non sono differenti da molti altri e che anche per loro se “ lo spirito è forte, la carne è debole” e l’italica scappatoia dalle regole è una strada percorribile quando “ si tiene famiglia”.

 

Colpa, infine,  di una legge elettorale indegna, frutto di menti malate che, stampate le schede elettorali, diventerà un vero rompicapo per gli elettori  la cui sovranità è ridotta al nulla.

 

Una situazione particolarmente difficile è quella che viviamo noi “ DC non pentiti” che, vittime di due fallimentari strategie elettorali, ci troviamo nella condizione di orfani nella rappresentanza politica.

 

Gianni Fontana da un lato, con i suoi catecumeni  pasdaran se-dicenti democratico cristiani, ha scelto la linea dell’isolamento, con il bel risultato di trovarsi con lista e simbolo ricusati, incapace, come lo avevamo avvertito, di raccogliere le oltre 26.000 firme indicate dal rosatellum, e finendo col dare fiato al solo redivivo Azzaro per le regionali laziali; compresa l’occupazione abusiva della sede di Piazza del Gesù, ridotta a sede del suo comitato elettorale regionale .

 

Fallimentare  anche la strada da noi tentata di un accordo con gli amici ex DC Cesa e Fitto nella quarta gamba del centro-destra di” Noi con l’Italia”. Un po’ per la nostra oggettiva debolezza, privati della  solidarietà prima confermata e poi smentita da Fontana, e, assai di più, per la chiusura egoistica dei due sunnominati, preoccupati di salvaguardare le loro esclusive posizioni nei collegi uninominali strappati al centro-destra, e quelle dei loro fedelissimi.

Tutto ciò nella presunzione di poter raccogliere da soli quel 3% dei voti, indispensabile per la rappresentanza della quota parlamentare. Se, come temiamo, quella soglia del 3% non sarà raggiunta, ci sarà una modestissima rappresentanza  degli eletti nei collegi uninominali e la consegna gratuita di tutti i voti alla coalizione di centro destra.

 

In questo quadro è forte la tentazione di seguire la strada indicata da qualche autorevole amico DC, di fare appello al voto con scheda in bianco. Un modo per misurare indirettamente la nostra forza. Da parte mia credo sia più opportuno fare appello al voto di coscienza, inteso a sostenere liste e candidati espressione di interessi e  valori più vicini alla nostra tradizione politico culturale.

 

In attesa del voto del 4 marzo, abbiamo l’esigenza, da un lato, di risolvere i problemi giuridici aperti all’interno della DC, dopo le scelte illegittime compiute senza alcun mandato dai soci da Gianni Fontana, e dall’altro, di non disperdere ogni opportunità presente e futura per ricomporre l’unità dell’area  democratico cristiana e popolare dell’Italia.

 

Serve riprendere la battaglia vinta col referendum del 4 Novembre 2016 in difesa della Costituzione; serve riprendersi la sovranità popolare, che presuppone il riprendersi della sovranità monetaria, con un programma riformatore che deve basarsi su due scelte fondamentali, in linea con quanto seppe fare la DC negli oltre quarant’anni della sua storia politica:

1)   riprendersi il controllo pubblico di Banca Italia, oggi dominata dagli edg funds anglo caucasici (kazari), che ne determinano le scelte, insieme al controllo della stessa BCE;

2)   separare nettamente l’attività delle banche di prestito da quelle speculative finanziarie, ossia ripristinare la legge bancaria del 1936 .

 

Le vacue promesse di riforma che sono annunciate nei programmi di tutti gli attuali partiti in lotta per il voto del 4 marzo, mancando di questi due presupposti, sono solo “promesse di marinaio” destinate a scontrarsi con gli interessi di quei poteri che, dal 1992-93, hanno ridotto la nostra sovranità popolare a una mera finzione.

 

Ettore Bonalberti

 

Venezia, 13 Febbraio 2017

 


In attesa del 14 Febbraio: cosa accade nella DC ?

 

Non era mai accaduto, se non nei casi di soggetti vittime della “sindrome di Stoccolma”, che una persona si acconciasse ad accordarsi con i suoi più dichiarati nemici; quelli che lo hanno portato dinanzi al tribunale di Roma, che, finalmente, il 14 febbraio prossimo, dovrebbe pronunciarsi sulla validità dell’assemblea dei soci DC del 26 Febbraio 2017,  nella quale Gianni Fontana è stato eletto Presidente della DC.

 

Ricordiamo che: “il soggetto affetto dalla Sindrome di Stoccolma, durante i maltrattamenti subiti, prova un sentimento positivo nei confronti del proprio aggressore che può spingersi fino all'amore e alla totale sottomissione volontaria, instaurando in questo modo una sorta di alleanza e solidarietà tra vittima e carnefice”.

 

La “sindrome di Stoccolma” sembra aver colpito in maniera irreversibile proprio Fontana, al punto di tentare, in combutta con i suoi nemici, di costruire una lista pseudo democristiana, bocciata nelle sedi giurisdizionali competenti, sino alla pubblicazione di un “ukase” sulla G.U. del 30 dicembre scorso con la quale, di fatto, Fontana puntava a  escludere illegittimamente i soci 2012 della DC dal partito, per sostituirli con quelli del gruppo Azzaro-De Simoni-Cerenza e del redivivo Sandri assurto, dopo anni di scarsa considerazione, al ruolo di nuovo leader politico.

 

In rapida sintesi, come si è giunti al fallimento di due diverse strategie elettorali: quella di Fontana e nuovi compagni e quella di noi DC legittimi, rimasti orfani di un presidente fedifrago ?

 

1)   Fontana dal febbraio 2017 ha perseguito una sua linea politica e organizzativa: apertura agli esterni fino alla sostituzione degli esterni rispetto ai soci legittimi.

2)   Si è passati dal tentativo positivo dell’allargamento della base associativa al progetto di occupazione “manu militari” del partito da parte dei vari Azzaro, Coroni, Sandri..

3)   Capriole inverosimili con il gruppo Cerenza-De Simoni e con Sandri: prima accordo capestro senza mandato e non rispettato e, poi, apertura sino al loro subentro, de facto, nel gruppo dirigente. In definitiva gli stessi che ci hanno chiamati in giudizio, che si terrà il 14 febbraio p.v.  sono assurti al ruolo di dirigenti senza titoli  della DC. Dalla prossima sentenza del 14 Febbraio molto dipenderà del nostro futuro: l’assemblea del 23 dicembre è valida oppure no? La lista dei 1749 riconosciuta dal giudice Romano è valida oppure no?

4)   Pesanti sono le responsabilità di Fontana per una serie di atti illegittimi compiuti: decisioni assunte o non fatte senza mandato dei soci legittimi

5)   Di fatto, ha sostenuto una linea politica non votata, dato che le tre mozioni Alessi-Luciani-Azzaro non furono votate dall’assemblea del 18 Novembre, disattendendo in tal modo a  quanto aveva sollecitato ad Alessi nel rapporto con Cesa; ossia di dar vita a una lista unitaria di tutti di DC nell’ambito dell’alleanza di centro-destra. Progetto da lui confermato nella sua relazione del 18 novembre, di cui conserviamo il testo ufficiale, da lui consegnatoci personalmente  al termine della sua relazione e agli atti di quella riunione.

6)   In quell’assemblea Fontana propose due Vice presidenti: Alessi e Carmagnola, la cui designazione fu approvata all’unanimità dall’assemblea, come si evince dal verbale stilato dal segretario verbalizzante agli atti del partito. Continuando a esercitare una gestione di tipo monocratico del tutto incompatibile, tanto sul piano delle norme civilistiche che su quello dello statuto della DC, Fontana è giunto ad inviare la surreale lettera ad Alessi e Carmagnola, con cui intende inibire  loro  di utilizzare il titolo di vice presidenti DC, ossia  di un ruolo da lui proposto e approvato all’unanimità dall’assemblea dei soci il 18 Novembre.

 

Se la strategia elettorale di Fontana, come gli avevamo preventivato, è risultata fallimentare, dopo la ricusazione del simbolo e della stessa lista,  frutto anche  dell’incapacità dei pasdaran, di cui si è attorniato il nostro,  di raccogliere le firme indicate dalla legge elettorale, anche noi, orfani del presidente che ci aveva abbandonati, abbiamo fallito.

 

Abbiamo fallito per l’oggettiva debolezza della nostra delegazione, privata di un’investitura formale, anzi contestata con la lettera suicida di Fontana, letta dalla signora Lia Monopoli proprio nell’incontro della delegazione con Cesa e Tassone il 15 Novembre presso la sede dell’UDC. Con quella lettera Fontana, partito per la Cina, disconoscendo sia quanto aveva perorato il giorno prima ad Alessi che la stessa funzione dei due vice presidenti, indicava in Giampiero Samorì il legittimo rappresentante della DC, con ampi elogi alla persona che, non essendo nemmeno socio del partito, risulta oggetto di diverse inchieste giudiziarie.

 

Un fallimento quello nostro dovuto anche, se non soprattutto, alla chiusura egoistica e priva di respiro strategico di Cesa e Fitto, preoccupati più di salvare le proprie poltrone e quelle dei fedelissimi, che di perseguire il progetto di una ricomposizione dell’area democratico cristiana italiana.

 

La divaricazione di linea politica e il maldestro  tentativo di Gianni Fontana si è concluso alla fine,  con la presentazione di una lista per l’elezione di Azzaro alla presidenza della Regione Lazio, con un falso simbolo della DC e, di fatto, con una lista esterna ed estranea alla nostra migliore tradizione politica. La stessa sede di Piazza del Gesù, l’affitto della quale era stato sostenuto dalla generosità di alcuni nostri amici DC, da sede ufficiale del partito si è trasformata nella segreteria personale di Azzaro per la sua campagna elettorale regionale.

 

Continua, infine, la confusione politica, organizzativa e anche amministrativa tra il partito della DC e la vecchia Associazione Democrazia Cristiana creata nel 2013 da Fontana, insieme a molti di noi, giocando pericolosamente sul suo doppio ruolo di presidente di entrambe. E’ evidente che questa situazione di gravissima confusione politica e organizzativa deve cessare.

 

Confidiamo nella residua sensibilità politica di Fontana, al quale compete il dovere di convocare l’assemblea dei soci legittimi della DC storica, solo ai quali spetta, a norma del codice civile e dello stesso statuto del partito, il compito di assumere tutte le decisioni, comprese quelle di valutare ed eventualmente approvare quelle prese senza alcun mandato dallo stesso Fontana.

 

In attesa della sentenza del giudice del tribunale di Roma del prossimo 14 febbraio ( salvo rinvii) questo è il miserrimo stato dell’arte di ciò che rimane della DC a guida dell’ex leader veronese, mentre si apre una discussione seria e rigorosa su come votare il prossimo 4 Marzo, in assenza del partito e di una linea politica definita.  Una scelta che avrà inevitabili conseguenze sia sull’esito delle elezioni, con particolare riferimento alla lista degli amici ex DC che giocano sul filo di lana del 3%, che sullo stesso progetto di ricomposizione della DC in Italia.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 11 Febbraio 2018

 

La maledizione di Moro

 

Tra le lettere di Aldo Moro dal carcere delle BR rimarranno sempre impresse nella nostra mente queste sue parole: “Il mio sangue— aveva scritto Moro ai capi della Dc — ricadrà su di voi». E’ la cosiddetta “maledizione di Moro” che da quasi quarant’anni dal suo rapimento (16 marzo 1978)  e assassinio (9 maggio 1978) continua a perseguitarci.

 

Anche ciò che è accaduto nella DC, che abbiamo tentato di ricostruire, con la riadesione dei soci del 92-93 nel 2012 e la celebrazione del contestato XIX Congresso nazionale nel quale eleggemmo Gianni Fontana alla segreteria del partito, riconfermandolo alla presidenza nell’assemblea dei soci del 26 Febbraio 2017, sembra dar credito a questo triste presagio.

 

Da un lato, Gianni Fontana, abbandonati i suoi veri amici, si è rifugiato tra le braccia di alcuni astuti pasdaran, alcuni dei quali mai stati soci della DC e dai tratti caratteristici degli affiliati alle consorterie dei grembiuli e dei compassi, si è intestardito in operazioni fallimentari, conclusesi con la ricusazione del simbolo improvvisato simile a quello di Alberto da Giussano e delle liste dei candidati depositate senza raccolta delle firme prescritte dal “rosatellum”.

 

Fontana era partito da una riconferma ad amplissima maggioranza e si è ritrovato contestato dai vecchi e nuovi amici, dopo aver compiuto una serie di atti illegittimi, alcuni dei quali di una gravità inaudita, come quello di una comunicazione sulla Gazzetta ufficiale con la quale, di fatto, tentava di far fuori i legittimi soci DC per far posto a improvvisati laudatores dell’ultima ora.

 

Dall’altro, noi stessi, vittime di un presidente fedifrago, dopo un’assemblea dei soci che si era conclusa senza alcun voto su tre mozioni contrapposte, abbiamo dato seguito agli impegni che, proprio insieme a Fontana, avevamo assunto con Lorenzo Cesa, ossia che: “ la DC si presenti compatta con il proprio simbolo e propria denominazione, formando un’alleanza forte dell’autonomia e dell’attualità dei propri ideali fondati sulla sussidiarietà, desiderosa di un’autentica classe dirigente, formando un’alleanza con il centro destra e con equa distribuzione dei diritti e dei doveri di ciascuna delle componenti”.

 

Con il presidente Fontana sintonizzato sulla lunghezza d’onda di Coroni e dell’anonimo Azzaro ( “andare da soli”), la possibilità di utilizzare senza contestazioni il simbolo storico della DC era impossibile e la delegazione improvvisata a trattare con Cesa e Fitto ( Alessi, Grassi, Bonalberti e, in avanscoperta, Pomicino e Gargani) oggettivamente debole.

 

Conclusione? Quella che ho avuto modo di esporre al “duo Fasano” della politica, nella mia lettera spedita loro dopo le conclusioni della vicenda delle liste elettorali.

 

Ricordo quanto da me a loro rappresentato:

 

 Cari Raffaele e Lorenzo,

ho preso atto, non senza rammarico, delle decisioni che avete preso a conclusione della tournée che vi ha visto impegnati per diversi giorni nella formazione delle liste.

Con gli amici superstiti della DC storica, nonostante la diversa e scellerata decisione di Gianni Fontana, avevamo indicato alcuni amici quali possibili candidati nelle liste di Noi con l’Italia, interessati, peraltro, soprattutto al progetto  politico di ricomposizione dell’area di ispirazione democratico cristiana. Un progetto che, qualunque sia l’esito del voto, intendiamo perseguire con lo stesso impegno e determinazione che abbiamo messo in campo da oltre vent’anni.

Ringrazio gli amici Alessi, Carmagnola, Grassi, Giannone, Fago con Pomicino e Gargani che avevano indicato anche la mia persona come una possibile risorsa per il progetto comune che mi era parso fosse anche il vostro..

Ringrazio, in particolare, l’amico Schittulli per la disponibilità espressa  e considero la sua esclusione un grave errore per la coalizione. Come pure grave è stata quella dell’amica Valentina Valenti.

Considero colpevole e di estrema maleducazione il silenzio vile dell’On De Poli, al quale avevo inviato SMS e mail senza mai aver ricevuto risposta, nonostante aver evidenziato a Cesa l’opportunità di un nostro colloquio per decidere insieme il caso del Veneto.

Avete preferito i “fedelissimi” e mi auguro che le scelte compiute risultino vantaggiose per la lista e per l’intera coalizione

Da parte mia, fortunatamente non voto nel collegio di Verona, nel quale non potrei mai votare per Tosi che nel recente referendum costituzionale si é schierato apertamente con Renzi per il SI e oggi, con opportunismo trasformistico degno dei più efficienti saltimbanchi, trova rifugio per sé e per la sua compagna nella lista di Noi con l’Italia.

Si sono preferiti “ i ragazzi del coro” per garantirsi l’immediato, mentre avevo fiducia nella vostra capacità di visione e di leadership per un traguardo più ambizioso  di più vasto respiro.

Spero che dopo il 4 marzo si possa avere in Parlamento un nucleo di amici " DC non pentiti “, anche attorno ai quali poter ripartire per ricostruire in Italia una forza politica ispirata ai valori democratico cristiani e che in quel nucleo si possa contare anche in una vostra diversa e più attenta disponibilità.

Noi, come sempre: “tiremm innanz” e che il Signore ci assista.”

 

Il prossimo 9 Febbraio, con gli amici Alessi e Carmagnola, V.Presidenti della DC indicati da Fontana e votati all’unanimità dall’assemblea dei  soci DC il 16 Novembre scorso, ci riuniremo presso la saletta dell’Hotel Nazionale a Roma e insieme decideremo il da farsi. Mi auguro, per riprendere il cammino, alla ricerca dell ‘unità di tutti i “ DC non pentiti” e, soprattutto, di quelli delle nuove generazioni disponibili a raccoglierne il testimone politico.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 2 Febbraio 2018

 

 

 


Riflessioni prima del voto

 

Una legge demenziale non a caso connotata come “fascistellum”, costruita per salvaguardare le caste dirigenti delle forze politiche presenti in parlamento; partiti lontani da quanto previsto dalla Costituzione (Articolo 49:” tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”)  e ridotti a luoghi di nulla partecipazione, sotto la guida di leader in alcuni casi ineleggibili ( Berlusconi e Grillo), in altri, come nel PD di Renzi, connotato come un “serial killer” dal veterano Sposetti, o in preda alle convulsioni padane della Lega divisa tra Salvini, Bossi e Maroni.

 

E’ in queste condizioni che si è consumata la saga delle candidature, nella quale ha trionfato ovunque la logica della difesa ad oltranza dei fedelissimi dei capi, con esclusione di ogni voce fuori dal coro a destra, come al centro e alla sinistra dei diversi schieramenti.

 

La legge elettorale non garantisce, salvo qualche eccezione, nessuno, nemmeno tra i capi che di essa sono stati gli irresponsabili autori, mentre la gara a chi le spara più grosse non è più credibile agli italiani, che vivono sulla propria pelle la condizione di gravissima crisi economica, finanziaria e sociale che il mite Gentiloni si impegna quotidianamente a  confutare.

 

Nonostante i sondaggi favorevoli al  centro destra e al M5S, ciò che appare all’orizzonte è una sostanziale ingovernabilità che si presta a rendere istituzionalizzato quel trasformismo che ha caratterizzato l’intera passata legislatura, con le affollate transumanze indecenti dei mercenari in parlamento, allora come stavolta, “nominati” dai capataz di ciò che resta degli attuali partiti.

 

Tutti parlano di riforme, di mirabolanti riduzioni dei carichi fiscali e di ogni sorta di offerte speciali per i cittadini elettori, mentre non si dice una parola sulle gravissime differenze territoriali (nessun partito cita più la questione meridionale)  e di generazione, che sono le emergenze più rilevanti del Paese. Un Paese che fonda la sua precaria stabilità su tre pilastri: la famiglia, la sanità e le pensioni. Tre pilastri diversamente intaccati e resi sempre più fragili e precari.

 

Con la mia teoria dei “quattro stati” ( la casta, i diversamente tutelati, il terzo stato produttivo, il quarto non stato) ho più volte evidenziato come in Italia si stia vivendo una condizione di anomia ( assenza di regole, discrepanza tra mezzi e fini, venir meno del ruolo dei corpi intermedi) che prefigura una condizione sociale pronta per la rivolta, con la povertà di oltre 4 milioni di persone e la disoccupazione giovanile oltre il 35-40% con punte superiori al Sud.

 

Per adesso ci si è fermati sulla soglia dell’astensionismo elettorale, ma, sino a quando potrà continuare?

 

Se non si ritorna alla legge bancaria del 1936, da sempre difesa dalla DC, ossia al controllo pubblico di Banca d’Italia e alla separazione tra banche di prestito ( loan bank) e banche speculative (investment bank), ogni proposito di riforma nel nostro Paese è una presa in giro, buona per le sceneggiate televisive pre-elettorali.

 

La prima riforma comporterebbe l’abolizione del decreto legislativo n. 385/1993 con cui si superò la legge bancaria del 1936 e la seconda, l’abolizione del d.lgs n.481/1992 firmato da Giuliano Amato, Barucci e Colombo.

In nessun programma di partito è previsto tale impegno e, dunque, ogni promessa  riformatrice come quelle indicate dal centro-destra o dal centro-sinistra sono solo “promesse di marinaio”.

 

Discorso a parte merita ciò che è accaduto nell’area di ispirazione cattolica e democratico cristiana. Da un lato, una conduzione della DC uscita dal tesseramento del 2012, guidata da Gianni Fontana, al limite dell’illegittimità e totale irresponsabilità politica; dall’altro, un disegno di ricomposizione dell’area democratico cristiana su cui avevamo puntato partecipando al progetto di “Noi con l’Italia”, promosso da Lorenzo Cesa e Raffaele Fitto, consumatosi sin qui sulle chiusure egoistiche nella difesa dei fedelissimi senza se e senza ma.

 

Quanto alla DC che faceva riferimento a Fontana, che ha perduto ogni affidabilità nei confronti dei soci legittimi del partito ai quali il veronese ha sottratto illegittimamente ogni potere, si aprirà un contenzioso durissimo e in tutte le sedi istituzionali.

 

Per il progetto di ricomposizione dell’area democratico cristiana, cui abbiamo dedicato gli ultimi vent’anni del nostro impegno politico, attendiamo con curiosità l’esito del voto. Siamo convinti che, in ogni caso, il progetto di ricostruzione dell’unità partitica di una cultura politica di ispirazione democratico cristiana, resti valido per un Paese che intenda riprendere la strada maestra della democrazia secondo i dettami costituzionali.

 

Questi ultimi, da un lato, sono calpestati da una legge elettorale che annulla totalmente ogni potere di scelta ai cittadini elettori, e, dall’altra, da una condizione di perdita totale della sovranità monetaria, senza la quale non può esistere la sovranità popolare posta alla base del patto costituzionale.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 30 Gennaio 2018

 

 

 

 


Ricordo di Gino Ravagnan

 

Gino Ravagnan, il nostro “Ereticus” di Insieme ci ha lasciati.

 

Con lui perdo uno degli amici più sinceri e leali della mia vita. E’ stato un grande industriale che ha saputo sviluppare la tradizione migliore della vallicoltura veneta e uno dei padri fondatori dell’acquacoltura e maricoltura moderne.

 

Da presidente dell’ICRAM ( Istituto Centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare) lo chiamai a far parte della commissione tecnico scientifica dell’Istituto, presieduta dal compianto prof Ugo Croatto, e, se l’acquacoltura italiana ha potuto assumere un ruolo rilevante nella politica della pesca e del mare, molto si deve alle intuizioni e sollecitazioni che da Croatto a Ravagnan, ebbi modo di trasferire ai ministri dell’epoca, prima Gianni Prandini e poi Costante Degan.

 

Innamorato della sua terra veneta e delle sue valli polesane, Gino Ravagnan ha saputo introdurre tecnologie d’avanguardia che sono state diffuse in molte altre parti del Mediterraneo.

 

A lui si deve, tra le ultime sue imprese, lo sviluppo dell’allevamento degli storioni in cattività per la produzione di una delle specialità, il caviale, che ha assunto un ruolo di assoluta primazia a livello internazionale.

 

Nessuno come Gino ha combattuto contro le inerzie, insufficienze e, talora, le negligenze di molta parte della dirigenza politica e burocratica nazionale e regionale e ai lui si devono alcuni dei trattati tecnico scientifici più importanti in materia di acquacoltura intensiva e semintensiva a livello internazionale.

 

Gino era, infine, una persona di profonda fede cristiana e radicata cultura popolare ispirata ai valori migliori della tradizione sturziana  e degasperiana.

Ho avuto da lui sempre forti sollecitazioni per le battaglie condotte ai diversi livelli politici e amministrativi, con un rapporto di amicizia contrassegnato da telefonate frequenti sulle vicende più importanti della politica internazionale, nazionale e regionale.

 

Da alcuni anni ci ha deliziato con le sue noterelle fulminanti di “Ereticus”, nelle quali con estrema libertà esponeva le sue idee, sempre caratterizzate dalla fedeltà ai valori cristiani della sua integerrima ispirazione ideale.

 

Alla sua amata moglie Francesca, ai suoi figli, ai fratelli e ai nipoti vada il sentimento della nostra più affettuosa partecipazione al dolore per la scomparsa di un uomo che ha fatto onore al nostro Paese, alla sua amata città di Padova e alla nostra comune terra polesana.

Il Signore, nel quale ha creduto da cristiano integerrimo, l’accolga nelle sue braccia amorose nel regno dei Cieli.

 

Ettore Bonalberti 

Venezia, 12 Gennaio 2018

 

 


Il dado è tratto

 

Come previsto si vota il 4 Marzo prossimo.

Ora si tratta di procedere agli adempimenti previsti dalla legge elettorale.

 

Noi che abbiamo condiviso il patto del 20 dicembre scorso con gli amici dell’UDC di Cesa, dell’NCDU di Tassone, e con tanti altri DC della quarta generazione, siamo impegnati a realizzare una lista di tutti i DC italiani sotto lo stesso simbolo dello scudocrociato, aperta alla collaborazione con altri esponenti di culture laiche che condividono i valori dell’umanesimo cristiano.

 

Hanno espresso tale volontà gli amici di Energie per l’Italia di Parisi con quelli di Costruire Insieme di Tarolli, e pure quelli di Idea di Quagliariello e Giovanardi. Per ultimi hanno aderito anche Lupi, Romano e gli amici ex DC di Alternativa Popolare  che non hanno seguito la Lorenzin a sostegno del trasformismo socialista renziano.

 

Siamo convinti che questa lista elettorale inserita nell’ambito della coalizione di centro-destra ci offra la possibilità, non solo di ricomporre l’area democratico cristiana frantumata nella diaspora della seconda repubblica, ma sia anche l’unica via in grado di far eleggere un nucleo di parlamentari di fede democratico cristiana attorno ai quali dare pratico avvio alla rifondazione di un partito di ispirazione cattolica inserito a pieno titolo nel PPE.

 

Purtroppo Gianni Fontana, presidente dimezzato di un’associazione senza organi elettivi, ritiene di correre da solo in una corsa suicida; una corsa annunciata che, speriamo  non si trasformi, come abbiamo più volte paventato, in una navigazione di bolina che, alla fine, puntando a dritta  finisca per andare a manca, secondo la regia del duo irpino dei De Mita e a fianco degli amici di sempre Tabacci e Dellai della rinata “ Margherita”.

 

Un preambolo redatto dai vice presidenti dell’associazione DC presieduta da Fontana,  Alessi e Carmagnola, che chiude ad ogni ipotesi di sostegno alla lista del PD renziano (vedi documento allegato), responsabile dell’approvazione di tutte le leggi anti valori cattolici  e non negoziabili nella conclusa legislatura, non ha ancora avuto la sottoscrizione dell’ondivago Fontana.

 

Una ragione in più per dubitare che, alla fine, non di una corsa solitaria si tratti, ma di una fuga a sinistra verso la deriva demitiana a sostegno del “giovin signore fiorentino”.

 

Non si conosce in base a quali poteri, di cui non dispone, agisca questo presidente bloccato da tre mozioni mai discusse, né votate dall’unico organo detentore  dei poteri, ossia l’assemblea dei soci DC, così come risulta costituita dai componenti iscritti nell’elenco depositato presso il tribunale di Roma, quelli grazie ai quali Fontana è stato eletto il 26 Febbraio scorso.

 

Nemmeno si comprende in  base a quale delega e a quali deliberati dell’unico organo legittimo dell’associazione DC, ossia l’assemblea dei soci, si stia muovendo il signor Coroni, mai stato iscritto tra i soci DC, che sta tentando di raccogliere adesioni ad una lista che non potrà mai rivendicare l’uso elettorale dello scudo crociato.

 

L’unico punto cui si collega Fontana e i suoi supporter una registrazione effettuata un amico non inserito nella lista dei soci DC aventi diritto di voto, della sua relazione svolta il 18 Dicembre scorso nella quale è scomparso il passaggio più importante che è agli atti del documento ufficiale consegnatoci dallo stesso Fontana a conclusione di quell’assemblea. In esso Fontana ha scritto ciò che aveva concordato la sera prima in un incontro presso la sede UDC con Cesa e altri amici DC della quarta generazione. Questo il testo letteralmente trascritto dal documenti ufficiale agli atti della presidenza dell’assemblea:

 

Tutti insieme, portiamo il nostro fraterno e bene augurante benvenuto anche a Lorenzo Cesa col quale, insieme ad altri democratico-cristiani, ci siamo incontrati due giorni fa presso il suo studio. E’ stata raggiunta un’intesa che, con fattiva e limpida speranza, porto stamattina davanti al vostro giudizio. Essa consiste nell’adesione di diversi soggetti politici di radice popolare e democristiana alla costruzione di una lista, all’interno del centro destra, che si fregerà del simbolo dello scudo crociato e del nome “ Unione democratici-cristiani”. L’obiettivo è riunificare i diversi rivoli in un grande fiume.”

 

Si rassegnino i supporters di Fontana: le registrazioni, specie se non ufficiali, non hanno alcun valore, i documenti ufficiali scritti restano agli atti e sono quelli che valgono in tutte le sedi istituzionali. Noi, d’altronde, votando la relazione Fontana, avendo partecipato alla riunione della sera precedente, abbiamo inteso proprio approvare questa scelta fondamentale, da lui condivisa e scritta, anche per la nostra associazione. Se poi Fontana ha cambiato idea  ne prendiamo atto, ma continuiamo per la strada che abbiamo insieme a lui concordato con gli amici della quarta generazione DC.

 

Facciamo  un ultimo appello a un amico che abbiamo contribuito a eleggere alla guida della DC nel 2012 e alla riconferma della presidenza dell’associazione nel febbraio di quest’anno, affinché desista dalla sua strategia suicida se fatta in corsa solitaria, o peggio, filo renziana, se sviluppata insieme agli amici della “ Margherita 2.0”.

 

Sottoscriva il preambolo dei due vice presidenti DC (vedi allegato)  e concorra con tutti gli amici della quarta generazione DC alla ricomposizione dell’unità dei democratici cristiani sotto lo stesso simbolo dello scudo crociato. Ne vale della sua residua affidabilità e pesantissima sarebbe la sua responsabilità se ciò non accadesse.

 

Noi, sospendendo ogni altra iniziativa interna all’associazione per riportare a legittimità una situazione sin troppo compromessa, concentriamo tutte le nostre energie sugli adempimenti elettorali, rinviando a dopo le elezioni l’impegno per un congresso di rifondazione della DC con tutti gli amici riuniti nella campagna elettorale. Esso sarà il primo congresso di tutti i democratici cristiani italiani del XXI secolo, un partito inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 31 Dicembre 2017


                                                                              

 

PREAMBOLO


Premesso che in questa legislatura si è assistito all'egemonia culturale e politica del Pd,

Premesso che neppure la significativa pattuglia di deputati e senatori cattolici ha saputo frenare la deriva radicale del Pd,

Premesso che neppure gli alleati centristi (eletti in liste dell'alternatvo Pdl di centrodestra) hanno voluto o potuto limitare la deriva radicale del Pd,

Premesso che Il Pd, sui temi etici, ha preferito, laddove necessario, un asse coi Cinque Stelle, piuttosto che la coerenza della propria maggioranza

 

CONSAPEVOLI DEI PRESUPPOSTI ETICI E MORALI CHE GUIDANO L'AZIONE DELLA DC

 

I soci della Dc impegnano tutte le liste, le mozioni, gli orientamenti, le opzioni e le azioni individuali di chicchessia facente parte del partito a rifiutare l'accordo diretto col Pd o quello, più subdolo, desistenziale col Pd stesso, fatto evidentemente di accordi in singoli collegi maggioritari o in alchimie simili, che condurrebbero la Dc nell'orbita di un Pd che si è macchiato della promozione, in questa legislatura, dei seguenti provvedimenti così sintetizzabili:

- il divorzio express, divenuto più breve ed agevole rispetto alla quasi totalità degli altri provvedimenti giudiziari italiani;

- il matrimonio gay che equipara, anche sotto il profilo previdenziale, una scelta discutibile sotto il profilo etico ed antropologico al matrimonio aperto alla procreazione;

- le disposizioni anticipate di trattamento, che, di per sè stesse gravi, anticipano trattamenti eutanasici,

ma che soprattutto ha promosso un attacco anche nei confronti della legittima obiezione di coscienza, personale o collettiva in strutture, verso tutti questi provvedimenti (cui si aggiunge quello delle pratiche abortive), rispondendo così alla peggiore logica totalitaria.

Il rifiuto di questo preambolo implica gravi conseguenze sul piano morale per qualsiasi cristiano ed in particolare inibisce ad un cristiano impegnato in politica nella Democrazia Cristiana il perseguimento di accordi con le forze politiche che si sono impegnate con forte determinazione (superiore rispetto a qualsiasi lotta contro la povertà ed il disagio sociale) ad approvare provvedimenti lesivi della dignità umana.

 

Il 27 dicembre 2017

 

I Vicepresidenti della Democrazia Cristiana

Alberto Alessi

Mauro Carmagnola

 

I



Prove di Democrazia Cristiana

 

Si va costruendo un’ interessante lista tra i democratici cristiani italiani che ritrovano la loro unità, con il movimento di Energie per l’Italia di Parisi e gli amici dell’associazione Costruire Insieme di Tarolli e con il Movimento di IDEA degli Onn. Quagliariello e Giovanardi con la partecipazione di Massimo Gandolfini, portavoce del Comitato Difendiamo i Nostri Figli e leader  del Family Day.

 

Da un lato la ricomposizione dell’area democratico cristiana sotto lo stesso simbolo storico dello scudo crociato, dopo la lunga stagione della diaspora, rappresenta uno dei fattori più significativi per il centro destra italiano; dall’altro la partecipazione dei movimenti di Parisi e  Tarolli con quelli di Quagliariello e Gandolfini, possono garantire alla coalizione del centro destra di superare la soglia oltre il quale può scattare il premio di maggioranza e la  garanzia della governabilità del Paese.

 

Da parte di noi Democratici cristiani sarà essenziale offrire alla coalizione, proposte politiche economiche e sociali ispirate ai valori della dottrina sociale cristiana, con al centro il valore della persona e della famiglia fondata sull’unione di un uomo e di una donna, il ruolo insostituibile delle autonomie locali e dei corpi intermedi, regolati dai principi di solidarietà e sussidiarietà.

 

Intendiamo tornare al controllo pubblico della Banca d’Italia e al ripristino della separazione tra banche di prestito e banche speculative, ossia alla politica economica e finanziaria da sempre difesa dalla DC, senza la quale non esiste né sovranità monetaria né sovranità nazionale.

 

Ricostruire la coesione territoriale tra Nord e Sud del Paese, insieme a quella generazionale con l’offerta ai giovani di nuove opportunità di lavoro, la difesa delle pensioni e del welfare society;  il ripristino della solidarietà tra gli interessi e i valori delle classi popolari e dei ceti medi produttivi: saranno questi, con la garanzia della sicurezza sul territorio, gli obiettivi che intendiamo sottoporre al giudizio del popolo italiano, stanco di una lunga stagione politica fallimentare in cui sono stati stravolti alcuni valori fondamentali in materia di politiche familiari e per la difesa della vita . Uno stravolgimento destinato a intaccare ancor più seriamente la coesione nazionale. Ora è tempo di ricostruire l’unità nazionale e di offrire al popolo italiano una nuova speranza.

 

Per tutti noi “ DC non pentiti” sarà anche il tempo di: “ Prove di una rinnovata  Democrazia Cristiana del XXI secolo” inserita a pieno titolo nel Partito Popolare Europeo.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)

Venezia, 23 Dicembre 2017

 


Serve una nuova speranza

 

Un incontro organizzato dall’On Paolo Cirino Pomicino e dal sottoscritto, dopo diversi  tentativi compiuti di riannodare le fila, si è svolto Mercoledì 20 Dicembre  presso la sede dell’UDC a Roma. Un incontro nel quale si è compiuto il miracolo della riunificazione delle diverse anime della Democrazia Cristiana, le quali hanno raggiunto l’accordo di operare insieme nella prossima campagna elettorale come indicato nell’allegato comunicato stampa finale condiviso da tutti i partecipanti.

 

Analoga adesione era stata espressa nei giorni scorsi  dall’On. Clemente Mastella in un convegno a Napoli con gli amici On Lorenzo Cesa, segretario nazionale dell’UDC, On  Giuseppe Gargani e lo stesso On Pomicino. Quelli che furono gli esponenti in gran parte della quarta generazione DC hanno ben operato per la riunificazione dell’area democratico cristiana. Un passaggio di testimone doveroso con i più giovani che ci auguriamo possano realizzare la quinta generazione DC.

 

Interesse per il progetto di dar vita a una più ampia aggregazione tra l’area DC e le componenti laiche che condividono i valori dell’umanesimo cristiano è stato già espresso dagli amici dell’associazione Costruire Insieme, presieduta dal sen Tarolli presente all’incontro con i Vice Presidenti Paolo Voltaggio e Francesco Rabotti e il segretario generale, Marco D’Agostini. Analogo interesse anche dal coordinatore del movimento Energia per l’Italia, Stefano Parisi.

 

L’On Domenico Menorello, il più giovane esponente DC presente in Parlamento e componente del gruppo parlamentare che fa riferimento  a Parisi, ha partecipato all’incontro romano con piena condivisione del positivo risultato raggiunto.

 

Si attendono altre adesioni di area cattolica e laica di movimenti, associazioni  e gruppi interessati a concorrere a garantire la governabilità del Paese in alleanza con il centro-destra,  al fine di superare il malgoverno della gestione renziana con il quale si chiude miseramente la stagione fallimentare della seconda repubblica.

 

Compito della lista DC sarà quello di riportare al centro della politica italiana, la realizzazione di politiche ispirate dalla dottrina sociale cristiana, unico credibile antidoto alle disuguaglianze intollerabili prodotte dal  dominio  del turbo capitalismo finanziario.

 

Ripristino della sovranità monetaria con il ritorno al controllo pubblico della Banca d’Italia, il ripristino della separazione tra banche di prestito e banche speculative, ossia alla politica economica e finanziaria da sempre difesa dalla DC; difesa del valore della famiglia naturale fondata sull’unione di un uomo e di una donna, contro le derive laiciste di una cultura relativistica che sta distruggendo il senso stesso della famiglia italiana.

 

Una politica in grado di garantire i pilastri essenziali su cui si fonda l’unità nazionale: la famiglia, il sistema pensionistico e della sanità, la sicurezza senza la quale non esiste più lo stato di diritto con il superamento dei divari territoriali e generazionali non più tollerabili.

 

E’ tempo che i cattolici escano dalla condizione di irrilevanza in cui sono stati ridotti, anche per loro responsabilità, per offrire al Paese una nuova speranza.

 

L’apporto che l’area democristiana insieme alle componenti di cultura laica disponibili a condividere lo stesso progetto, sarà essenziale per garantire al centro-destra, con la vittoria alle prossime elezioni, la governabilità del Paese. Candidati onesti, professionalmente competenti e di assoluta moralità dovranno essere le donne e gli uomini che la DC metterà in campo per portare in Parlamento un nucleo di politici ai quali fare riferimento nell’opera di ricostruzione politico culturale indispensabile nelle diverse realtà locali. Donne e uomini cui chiederemo di condividere il codice etico aggiornato, che fu già quello redatto a suo tempo da Guido Gonella, per non ritrovarci in situazioni incompatibili con la nostra professione di fede.

 

Di seguito si allega copia del comunicato finale condiviso ieri dai democratici cristiani desiderosi di ritrovarsi uniti sotto lo stesso glorioso scudo crociato con cui De Gasperi, Moro e Fanfani hanno fatto grande l’Italia. La DC seppe assicurare  l’indispensabile coesione tra gli interessi e i valori dei ceti popolari con quelli  dei ceti medi; una coesione che il dominio dei poteri finanziari, sostenuti dai giullari del trasformismo renziano,  ha definitivamente travolto, causa essenziale dell’anomia sociale, economica, politica e istituzionale in cui è miseramente precipitata l’Italia.

Ora serve una nuova speranza!

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)

Coordinatore del think tank “ Veneto Pensa”

Venezia, 21 dicembre 2017


Comunicato stampa

 

Riunione nella sede dell’UDC a Roma dei Partiti e Movimenti collegati alla tradizione democratico cristiana.

 

Presenti in rappresentanza delle varie componenti: l’On Lorenzo Cesa, On Alberto Alessi, On Mario Tassone, On Giuseppe Gargani, l’On Paolo Cirino Pomicino, il Dr Ettore Bonalberti, il Dr Mario Magnola, Dott.ssa Valentina Valenti, Dr Leo Carmelo e tanti altri.

 

Si è raggiunto un accordo complessivo che è quello di verificare con tutti coloro che hanno fatto la storia della Democrazia Cristiana e che hanno condiviso valori e aspirazioni, obiettivi e finalità, l’opportunità e la fattiva concreta aspirazione per affrontare insieme le prossime elezioni politiche.

 

I convenuti si sono dichiarati convinti che la DC si presenti compatta con il proprio simbolo e propria denominazione, formando un’alleanza forte dell’autonomia e dell’attualità dei propri ideali fondati sulla sussidiarietà, nonché desiderosa di un’autentica classe dirigente, formando UN’ALLEANZA CON IL CENTRO DESTRA E CON UN’EQUA DISTRIBUZIONE DEI DIRITTI E DEI DOVERI DI CIASCUNA DELLE COMPONENTI.

 

Si è altresì convenuto che con gli alleati è urgente presentare un programma economico-sociale di ricostruzione del settore produttivo per un’autentica apertura alla socialità e per garantire la governabilità del Paese.

 

Roma, 20 Dicembre 2017

Fontana: basta con il doppio gioco

 

Ecco la prova di un navigatore che va di bolina, come ho scritto nella mia ultima nota:

 

 

10/12/2017 07:11, Eleonora Mosti ha scritto a Gianni Fontana e ad altri amici la seguente mail:

 

Carissimi amici, nel dare seguito a quanto felicemente convenuto negli ultimi tempi, tramite incontri o contatti personali, di dar vita ad un Soggetto politico autonomo ispirato alla Dottrina Sociale cattolica e ad impegnarsi congiuntamente in breve tempo per delinearne ogni profilo funzionale alla sua configurazione e organizzazione, siamo invitati a partecipare , sotto i buoni auspici di Mons. Simoni e di Don Gianni Fusco, che cortesemente ci ospita, ad un primo incontro operativo che si terrà lunedì 11 dicembre dalle ore 15,30 alle 17,30 in Roma, Via Alberico II 4, 1° piano (Istituto Pontificio) ( Metro A - Staz. Ottaviano o Lepanto).

Attesa l’importanza dell’iniziativa, viene raccomandata vivamente la presenza.

Un caloroso saluto

Convergenza Cristiana 3.0

 

La domanda che si impone a Gianni Fontana con cui abbiamo combattuto fianco a fianco dal 2012 per la rinascita della DC, è la seguente: come può il Presidente della DC in carica partecipare, come fa da diversi mesi, a incontri e riunioni nelle quali l’obiettivo è la formazione di un nuovo partito? Se a Fontana non sta più bene restare nella DC  smetta di fare il doppio gioco  e compia  un gesto di coerenza e lealtà verso i soci del partito: dia le dimissioni da presidente della DC e corra pure a dar vita al nuovo soggetto politico a lui caro.

Noi siamo interessati a costruire una lista di tutti i democratico cristiani italiani sotto lo stesso simbolo dello scudo crociato disponibili a concorrere con altri amici di culture politiche ispirate ai valori dell’umanesimo cristiano a garantire la governabilità del Paese.

 

Ettore Bonalberti

 

 


Quanto il leader va di bolina

 

Cambia il testo dell’intervento di Gianni Fontana tenuto all’assemblea DC del 18 Novembre., sul sito ufficiale del partito con questa motivazione:

 

“Su indicazione di Gianni Fontana invio il testo dell’intervento da lui pronunciato in occasione dell’ assemblea dei soci iscritti ‘92-‘93, tenutasi il 18 novembre u.s. presso il Teatro Golden di Roma. Il motivo di questa sua richiesta consiste nel rimediare a un equivoco provocato dalla segreteria di Gianni Fontana, la quale aveva provveduto a inviare la bozza di un testo che non corrisponde in parte alle parole da lui effettivamente pronunciate. E’ disponibile anche audio. Dott. Roberto Paolucci” .

 

Peccato perché disponiamo  del testo ufficiale letto da Fontana, con correzioni autografe di Gianni, che ci è stato da  lui consegnato a fine assemblea, affinché potessimo redigere alcune note di commento. Ebbene in quel testo a pag. 2 e 3 si legge testualmente quanto da noi correttamente riportato:

 

“ Tutti insieme, portiamo il nostro fraterno e bene augurante benvenuto anche a Lorenzo Cesa col quale, insieme ad altri democratico-cristiani, ci siamo incontrati due giorni fa presso il suo studio. E’ stata raggiunta un’intesa che, con fattiva e limpida speranza, porto stamattina davanti al vostro giudizio. Essa consiste nell’adesione di diversi soggetti politici di radice popolare e democristiana alla costruzione di una lista, all’interno del centro destra, che si fregerà del simbolo dello scudo crociato e del nome “ Unione democratici-cristiani”. L’obiettivo è riunificare i diversi rivoli in un grande fiume.”

 

Si tratta di capire, allora  perché quella frase decisiva, atteso che era il risultato di un incontro politico svoltosi nello studio dell’UDC di Lorenzo Cesa, giovedì 17 novembre, presenti con Fontana: Bonalberti, Pomicino. Grassi, Alessi e Gargani, è stata tolta dal documento registrato?

 

Noi ci siamo attenuti al testo scritto consegnatoci, mentre dalla registrazione di Paolucci quella frase sembrerebbe dimenticata o volutamente censurata.

 

Ancora una calcolata amnesia di Fontana? Oppure la continuazione di un’ambigua posizione politica che, fosse vera la versione della registrazione, fornirebbe l’immagine di un leader che assume di “andar di bolina”: punta a dritta per andare effettivamente a sinistra?

 

Sarà Fontana a dover sciogliere l’equivoco

 

Da parte nostra la scelta è compiuta: riunire tutti i DC sotto un’unica lista e lo stesso simbolo e partecipare da DC uniti a un più vasto rassemblement populaire inserito nel blocco del centro-destra, unica strada per garantire una rappresentanza ai DC nel prossimo parlamento.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 4 Dicembre 2017

 

 

 

 

Per un soggetto politico NUOVO, PLURALE e DEMOCRATICO

 

Era  presente una piccola minoranza ieri al Russott Hotel di Mestre, quella di coloro che avevano raccolto l’invito a discutere con il sen Ivo Tarolli del libro: “ Il Tempo del coraggio”-L’Italia fra rassegnazione e riscatto . La ripartenza dei cristiano popolari.

 

Peccato perché i temi trattati da Tarolli sono stati quanto mai importanti, collegati a un’analisi puntuale e rigorosa della società italiana che non è ancora comunità, né più società, per dirla con Ferdinand Tönnies, ma vive una condizione di perniciosa anomia di cui l’astensionismo elettorale ne è l’indizio più eloquente.

 

L’Albero della Vita è la metafora efficace elaborata dal prof Pilati dell’Università di Trento, presente all’incontro, cui Tarolli ha fatto riferimento. La metafora che, dal seminario di Rovereto (luglio 2015) sino alla costituzione dell’associazione “Costruire Insieme”, ha accompagnato tutto il lungo percorso  compiuto insieme e del quale, il “ Tempo del coraggio”, è la sintesi più completa di testimonianze autorevoli e di contributi specifici sui temi di diretto interesse della società italiana.

 

Tarolli, facendo riferimento a recenti studi della Banca d’Italia, ha rilevato come nessuno dei principali indicatori economici, finanziari, sociali, culturali e morali, sono minimamente confrontabili tra quelli positivi dei quarant’anni di guida DC del Paese, e gli ultimi venticinque anni della lunga transizione dalla prima a questa seconda repubblica. Anni nei quali la diaspora intervenuta nel mondo cattolico, dopo la fine politica della DC, ha reso la presenza di ispirazione cristiano sociale e popolare del tutto irrilevante sulla scena politica.

 

Di qui la scelta operata da “Costruire Insieme” di inviare, come è stato fatto, una lettera del presidente Tarolli a tutti i vescovi italiani, di  presentazione del nostro libro “ Il Tempo del coraggio”, con il quale indichiamo alcune linee di impegno: “ dall’”appello” di Rovereto a Papa Francesco: “ mettetevi in politica, per favore, nella grande politica, nella politica con la “P” maiuscola”.

 

Riteniamo, infatti, secondo quanto indicato dal Papa e dal card Bassetti, Presidente della CEI, che sia giunto il momento per un nuovo impegno politico dei cattolici, dopo il ventennio della diaspora e la riduzione della cultura di ispirazione cristiano sociale alla condizione attuale di irrilevanza. Come suggerito nel libro da S.E. il card Giovanni Battista Re e dagli Ecc.mi Vescovi,  Mons Toso e Mons Simoni, serve la presenza nella politica di esponenti ispirati dalla dottrina sociale della Chiesa, testimoni fedeli in un tempo dominato dal nichilismo e dal laicismo che stanno alla base della condizione di anomia in cui versa la società italiana e internazionale.

 

Confrontarci con la gerarchia della Chiesa in questa delicata fase della vicenda politica italiana e acquisirne le eventuali indicazioni e proposte, ci sembra quanto mai utile e opportuno, in vista dell’assunzione delle nostre autonome responsabilità di laici cristianamente ispirati nella “città dell’uomo”.

 

Da parte mia, mi sono assunto l’impegno di incontrare i vescovi delle nostre diocesi del Veneto e del Friuli V.Giulia e sono giunte già le prima quattro conferme di incontri  programmati nel mese di Dicembre a Padova, Vittorio Veneto, Vicenza e Trieste.

 

Non cerchiamo endorsement particolari, ma la verifica delle nostre intuizioni e proposte e  la ricerca di eventuali sollecitazioni da assumere nelle scelte che nella nostra autonomia compiremo da qui a pochi mesi.

 

Su queste  il pensiero di Tarolli e di “Costruire insieme”, anche dopo l’importante incontro tenutosi a Roma giovedì 23 novembre, è molto preciso: si tratta di concorrere alla costruzione di un soggetto politico che avrà le seguenti caratteristiche: NUOVO, PLURALE e DEMOCRATICO.

 

NUOVO, perché dovrà essere in grado di recepire modalità di partecipazione e di espressione della volontà popolare corrispondente alle nuove e diverse sensibilità presenti nella realtà italiana.

 

PLURALE, perché accanto al nucleo fondante rappresentato dall’unità delle diverse componenti che si rifanno all’esperienza politica democratica cristiana e della più vasta realtà cattolica e popolare, dovrà mettere insieme le culture storiche liberali e riformiste, che si riconoscono nei principi e nei valori fondanti dell’umanesimo cristiano.

 

DEMOCRATICO, perché i modelli leaderistici e prevalentemente  mediatici che si sono imposti negli ultimi venticinque anni in Italia, si sono rivelati inadeguati a rappresentare una più complessa realtà oggi renitente al voto ben oltre il 50% del corpo elettorale.

 

Di qui l’idea di un vasto rassemblement popolare che, all’interno del centro-destra, con una propria lista autonoma, possa mettere insieme la nostra migliore tradizione politica con quella degli amici di Stefani Parisi e di altri movimenti, associazioni e gruppi interessati al progetto.

 

La scelta di un blocco, come quello del centro-destra, è una linea tattica obbligata, considerati i paletti imposti dalla legge elettorale, il “rosatellum” votato dai “nominati illegittimi” del parlamento, con l’obiettivo prevalente della loro autoconservazione.

 

Molti sono gli ottimisti in giro che auspicano l’avvio di un quarto polo distinto e distante dai tre blocchi. Per la verità essi sono assai poco “vincoli” e molto “sparpagliati”, parafrasando un antico adagio di Peppino De Filippo; lucidi sognatori a rischio di perseguire dei wishful thinking, delle pie illusioni, quando invece, è stato ribadito con forza ieri sera, il nostro primo obiettivo è quello di garantire un’adeguata rappresentanza parlamentare a un’attiva minoranza organizzata di cattolici cristianamente ispirati, in grado di inverare nella “città dell’uomo” gli orientamenti pastorali  delle encicliche sociali della Chiesa cattolica, offrendo una nuova speranza a famiglie, comunità intermedie e imprese , ossia ai pilastri fondamentali della società italiana.

 

Questo è quanto è stato anche approvato all’unanimità (1 solo voto contrario) il 18 novembre scorso dall’assemblea dei soci DC tenutasi a Roma, la cui convocazione rimane aperta per il prossimo 2 dicembre e  nella quale tireremo le somme di questo percorso che, vissuto fianco a fianco a “ Costruire Insieme” , troverà una naturale confluenza alle prossime elezioni politiche.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 25 Novembre 2017

 

 


Verso l’unità dei Democratici cristiani

 

Con l’assemblea dei soci della DC riuniti a Roma, Sabato 18 Novembre al teatro Golden di Via Taranto, prende il via il progetto per la ricomposizione dell’area democratico cristiana, con cui si intende porre fine alla diaspora che ha contrassegnato gli ultimi ventiquattro anni della politica italiana.

 

Nel deserto delle culture politiche in cui si trascina la rappresentanza istituzionale del Paese, torna in campo la volontà di costruire un nuovo soggetto politico ampio e plurale, con il quale si superano le antiche e obsolete divisioni per ricomporre l’unità dei democratico cristiani.

 

Con gli interventi di Gianni Fontana, presidente della DC, di Paolo Cirino Pomicino anche a nome di Lorenzo Cesa, segretario nazionale dell’UDC, di Maurizio Eufemi, anche a nome  di Mario Tassone,   segretario nazionale del NCDU, è stata confermata la volontà di dar vita ad un nuovo soggetto politico unitario, ispirato ai valori e principi della dottrina sociale della Chiesa, impegnato nell’attuazione integrale della Costituzione. Tutti uniti sotto lo stesso simbolo e lo stesso nome.

 

Un obiettivo per il quale anche Ivo Tarolli, presidente dell’associazione Costruire Insieme, ha espresso il suo interesse, con l’intento di contribuire alla costruzione di un rassemblement ampio e plurale.

 

Nella sua relazione, il presidente della DC, Gianni Fontana, ha sostenuto il progetto di “favorire l’adesione di diversi soggetti politici di radice popolare e democristiana alla costruzione di una lista, all’interno del centro destra, che si fregerà del simbolo dello scudo crociato.  In tal modo,  finalmente, il grande fiume carsico disperso in più rivoli negli oltre ventiquattro anni della diaspora democristiana, tornerà a riunirsi in un unico e consistente alveo.

 

Approvata con consenso pressoché unanime ( un solo voto contrario), la relazione di Fontana rappresenta un passaggio importante verso la formazione di un unico partito dei Democratici Cristiani Uniti (DCU).  E’ questa l’importante novità emersa dall’assemblea di Roma, ossia quella di un’offerta politica destinata a mobilitare un vasto movimento periferico, con l’avvio dei comitati civici  dei democratici cristiani in tutti i comuni italiani.

 

Può ritornare la speranza, specie in quell‘elettorato da troppo tempo renitente al voto, con un partito, come quello della DC unita, che si pone l’obiettivo, che fu quello storico dei cattolici democratici, di saldare gli interessi dei ceti medi con quelli delle classi popolari; una speranza che è venuta meno nel ventennio dello scontro senza fine tra berlusconiani e anti berlusconiani.

 

 

L’obiettivo è di far sì che “la Politica sia un vero servizio disinteressato verso la comunità, un alto atto di carità” (Paolo VI), consapevoli che si é per decenni vissuto e  si è continuato a vivere il presente con leader politici che “guardano alle prossime elezioni e non da statisti che guardano alla prossima generazione” (Alcide De Gasperi).

 

Nei prossimi mesi e nell’impegno unitario della campagna elettorale, con tanti cittadini e amici di buona volontà, di tanti movimenti e Associazioni di cattolici e laici ispirati cristianamente, i Democratici Cristiani Uniti (DCU) intendono realizzare un progetto di ricostruzione dell’Italia che sia ispirato agli ideali cristiani con un contributo originale di pensieri e valori.

 

 E’ condivisa l’idea che si debba con urgenza dimostrare di voler “Servire la Politica e non servirsi della politica” (Don Luigi Sturzo) e sconfiggere quella che è degenerata in un’opportunistica appropriazione dello Stato e delle sue Istituzioni a fini personali e di gruppi organizzati; come è unanime la proposta di costruire insieme l’edificazione e il miglioramento del bene comune delle comunità e soprattutto dei più indigenti, per la ricostruzione della Polis e dell’Italia a favore delle nuove generazioni.

 

Se la riapertura degli uffici della DC a Piazza del Gesù la settimana scorsa, ha voluto significare il ritorno simbolico alle radici del partito di De Gasperi, La Pira, Moro e Fanfani, la ricomposizione dell’unità dei democratici cristiani e la fine della diaspora è il contributo migliore che gli eredi di quella storia politica possono offrire oggi all’Italia: tutti insieme sotto lo stesso simbolo dello scudo crociato da Democratici Cristiani Uniti..

 

Ettore Bonalberti

Roma, 18 Novembre 2017

 

 

I

Il ritorno della Democrazia Cristiana: un nuovo lievito per la Politica italiana

di Ettore Bonalberti e Antonino Giannone

 

La capacità che un tempo fu propria della DC e degli altri partiti democratici di saldare gli interessi dei ceti medi e di quelli popolari, è venuta meno nel ventennio dello scontro senza fine tra berlusconiani e anti berlusconiani.

 

Il terzo stato, un tempo largamente rappresentato dalla DC, ha, dapprima, accolto con favore l’illusione della secessione leghista del Nord; successivamente la grande speranza, rivelatasi impossibile, della promessa “rivoluzione liberale” berlusconiana, per ridursi nelle ultime elezioni nazionali e regionali a disertare le urne (quasi il 50% dell’elettorato) o nell’ultimo rifugio per il giovane fiorentino vissuto come l’ultima possibilità di un Paese frustrato e alla deriva. Purtroppo per chi ci ha creduto, Renzi&PD&C hanno fallito per unanime giudizio tranne che per i poteri della grande finanza e delle banche.

 

E’ in questo quadro che perdura una gravissima crisi morale, culturale, istituzionale, economica, sociale e politica le cui origini vanno ricercate non solo negli errori accumulatisi al declino della “prima repubblica” e resi ancor più manifesti in quelli della cosiddetta “seconda”, ma nel concomitante effetto di politiche europee fallaci e di una globalizzazione nella quale, la finanza ha finito con il fare aggio sull’economia reale e sulla politica. Sono state intaccate profondamente le stesse strutture democratiche degli stati occidentali. Inoltre, la perdita della sovranità monetaria e del ruolo delle Banche centrali hanno reso gli Stati dipendenti dalla politica monetaria di una Banca: la BCE fortemente condizionata dalla politica della Germania e dei Paesi del Nord Europa.

 

La sovranità Popolare va progressivamente spegnendosi con effetti negativi sul rispetto dei diritti sanciti nelle Costituzioni Repubblicane che ancora resistono nei Paesi del Sud Europa: Grecia- Italia- Spagna- Portogallo. Non e’ un caso che i grandi poteri finanziari pubblicamente avessero chiesto a Matteo Renzi, allora Presidente del Consiglio, di agire al cambiamento della Costituzione con il SI al Referendum miseramente naufragato con la grande vittoria Popolare del NO al Referendum.

 

Da anni perseguiamo l’idea di una risposta popolare e democratico cristiana alla crisi italiana ed europea, non già per nostalgiche riproposizioni di ciò che è stato e storicamente non è più riproponibile, ma nella consapevolezza che le risposte alla crisi prodotta dal turbo o finanz-capitalismo sono ancora una volta giunte dalla dottrina sociale della Chiesa cattolica.

 

Come fu la “Rerum Novarum” di Leone XIII a indurre i murriani prima e i popolari sturziani poi, di fronte alla crisi e ai drammi sociali del primo capitalismo industriale, a proporre l’esperienza politica dei cattolici in Italia; così come lo fu la “Quadragesimo Anno” di PIO XI e gli insegnamenti pacelliani a guidare l’azione politica dei democratici cristiani dalla Resistenza all’esperienza politica della DC, nell’attuale situazione di crisi mondiale del turbo capitalismo è nella “Centesimus Annus” di Giovanni Paolo II, nella “Caritas in veritate” di Benedetto XVI e nella “l’Evangelii Gaudium” di Papa Francesco che troviamo gli orientamenti pastorali da cui muovere e cercare di tradurre politicamente nella “città dell’uomo”.

 

Ma nell’azione politica da dove partire per mantenere un orientamento coerente? Riteniamo che la nostra azione debba essere coerente con un codice etico e di valori fondanti su cui ritrovare l’ubi consistam di quanti, cattolici e laici cristianamente ispirati, sentono l’urgenza di superare le divisioni e di ricomporre la vasta galassia dei popolari, dei “DC non pentiti”, e di tutti coloro che sono interessati a costruire il progetto di una nuova speranza e di un nuovo soggetto politico democratico, laico, popolare, riformista, europeista, transnazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano e che si collochi nel PPE, che comunque va aggiornato e riposizionato sui suoi valori fondanti di Europa dei Popoli e non delle Banche che ispirarono Adenauer, De Gasperi e Schuman, tre Statisti Cristiani.

 

L’obiettivo è di fare sì che “la Politica sia un vero servizio disinteressato verso la comunità, un alto atto di carità” (Paolo VI). Abbiamo per decenni vissuto e continuiamo a vivere il presente con leader politici che “guardano alle prossime elezioni e non da statisti che guardano alla prossima generazione” (Alcide De Gasperi).

 

Speriamo e siamo fiduciosi che i prossimi leader delle giovani generazioni, non solo della Democrazia Cristiana, siano legittimati dalle scelte dirette fatte dai cittadini e non dei nominati dai partiti politici senza un consenso popolare. Ci rivolgiamo pertanto ai prossimi giovani Dirigenti della DC con questa riflessione che “Tu non sarai un leader se nella massa vedi soltanto lo sgabello per salire. Lo diventerai se hai l’ambizione di salvare tutte le anime. Non puoi vivere, volgendo le spalle alla folla: ti è necessaria la brama di renderla felice” (San J. Maria Escrivà).

 

Nei prossimi mesi, con tanti cittadini e amici di buona volontà, di tanti movimenti e Associazioni di Cattolici e Laici ispirati cristianamente, vorremmo riuscire realizzare un progetto di ricostruzione dell’Italia che sia ispirato agli ideali cristiani con un contributo originale di pensieri e valori. E’ Il Tempo del Coraggio che con l’Associazione Costruire Insieme, stiamo promuovendo presso tutte le Diocesi per ascoltare i bisogni delle persone e delle comunità e ricercare le ipotesi di proposte politiche sostenibili.

 

Serve con urgenza dimostrare di voler “Servire la Politica e non servirsi della politica” (Don Luigi Sturzo) e sconfiggere la politica che e’ degenerata in un’opportunistica appropriazione dello Stato e delle sue Istituzioni a fini personali e di gruppi organizzati.

Serve con urgenza Costruire Insieme l’edificazione e il miglioramento del bene comune delle comunità e soprattutto dei più indigenti per la ricostruzione della Polis e dell’Italia a favore delle nuove generazioni.

 

Ettore Bonalberti e Antonino Giannone

- ALEF (Associazione Liberi e Forti)

- Soci fondatori Associazione

“Democrazia Cristiana” e “Costruire Insieme”

Venezia, 17 Novembre 2017


Da Fasulein a Balanzone: la metamorfosi di Casini

 

 

L’On Casini su La Stampa abbandona il suo tradizionale stile alla “Fasulein” e assume quelli del saccente Balanzone, dichiarando perentoriamente: “ L’Italia non diventi terreno di azione della speculazione finanziaria internazionale”.

 

Ma come? A seguito di mirati Q-Time della Commissione Finanze del Mov. Cinque Stelle di Roma che hanno ricevuto le conferme dal MEF e da Banca d’Italia, è stato definitivamente scoperto (marzo 2017)  che:

 

1) fondi speculatori kazari  controllerebbero le  banche quotate italiane e quindi dal 1992/93 anche Banca d’Italia (risposta del MEF). Vari  giornali, tra cui il Fatto Quotidiano, Il Messaggero,… hanno riportato la notizia di “Mister 99%”  rappresentante di fondi speculatori stranieri.

2) ” i depositi”, utilizzati per concedere prestiti, dal 1992/93 non derivano più da attività di raccolta tra il pubblico, ma sono virtuali, “creati” digitalmente.  Banca d’Italia, con una dichiarazione epocale (in allegato),  in risposta al Question –Time della Commissione Finanze del Movimento Cinque Stelle, ha infatti confermato che i depositi della clientela non sono veri depositi, ma virtuali ,  creati  ossia da qualcuno con un clic. Questa importante asserzione costituisce implicita conferma da parte di Banca d’Italia che pertanto anche gli  importi del prestiti (dei mutui ipotecari/fondiari,…  ),  accreditati,  a titolo di tali depositi,  dal 1992/93 sui conti correnti degli italiani, sono stati a monte creati con un clic e poi illegittimamente prestati in Italia, illegittimamente in quanto le banche in Italia essendo intermediarie del credito possono solo fungere,  per la Legge italiana,  da intermediarie tra “il denaro raccolto tra il pubblico” ( e non invece creato) e prestito. 

CHI E’ QUEL QUALCUNO CHE CONTROLLA LE BANCHE  ITALIANE QUOTATE E QUINDI  PURTROPPO ANCHE BANCA d’ITALIA, SI PRESUME DAL 1992/93.

Tutte le banche italiane quotate  sono  risultate controllata nel capitale flottante (che costituisce dal 1992/93 circa l’85% del totale capitale delle banche quotate italiane ) da una  decina di fondi speculatori stranieri,  precisamente kazari,  attraverso interposte persone fisiche, in realtà avvocati dello studio legale Trevisan di Milano, delegati di circa 1900 entità finanziarie, che a loro volta è risultato che abbiano sub-delegato  ad essi fondi speculatori.  Pertanto essi fondi speculatori stranieri  controllando si presume sin dal 1992/93  Banca Intesa, Unicredit , Carisbo  Carige e BNL, unitamente alle rappresentate al voto Inps e Generali,  controllerebbero , eseguiti tutti i calcoli di sbarramento al voto, con 265 voti su 529 anche l’organo di vigilanza Bankitalia Spa,  dal 1992/93   illegittimamente, quindi in aperta violazione dell’art. 47 della Costituzione Italiana “la Repubblica controlla il credito”  e la Repubblica non sono certamente una decina di fondi speculatori stranieri, con tutte le conseguenze che sono derivate, essendo venuta improvvisamente  a mancare  la vigilanza bancaria in Italia, in termini di colossali truffe (derivati sul tasso e sulla valuta ),  costi abnormi (CMS per 270 miliardi di euro addebitate oltre ad interessi ) ed  illegittimo prestito di denaro creato con un clic .   Fondi speculatori stranieri controllanti le banche italiane  e pertanto amministratori di fatto responsabili secondo Cass. n. 25432/2012 e n. 19716/2013 , quanto le banca, in solido ed in via principale,   nel risarcimento del danno.

 

Questa, caro Pierferdinando, è la realtà bancaria e finanziaria italiana e dovreste partire proprio da lì.

Nella prossima legislatura ci auguriamo che si dia spazio a nuovi attori politici in grado di assicurare:

1)   il ritorno al controllo pubblico della Banca d’Italia;

2)   il ripristino della legge bancaria del 1936, con la separazione tra banche commerciali e banche speculative, ri-appropriandosi in tal modo  della sovranità  monetaria,  sottratta all’Italia nel 1992/93 col d.lgs n. 481 del 14 Dicembre 1992 che abolì di soppiatto, dopo 56 anni, la separazione  bancaria,  decreto emesso da Amato e Barucci e sottratta col Provvedimento di Banca d’Italia del 31 Luglio 1992, emesso da Lamberto Dini, con cui è stata modificata inspiegabilmente all’insaputa di tutti, non essendo,  né una legge , né un decreto legge , né un decreto legislativo, la contabilità di partita doppia del sistema bancario italiano; fatto che avrebbe consentito, a questi fondi speculatori , secondo alcuni autori,  una colossale miliardaria evasione fiscale (circa 1350 miliardi di euro evasi) della sorte capitale pagata dagli ignari piccoli  mutuatari italiani, denaro creato da questi fondi speculatori con un clic a Nassau, doc. desecretati dimostrano,  invece che raccolto tra il pubblico in Italia e ad essi ignari  mutuatari italiani  illecitamente prestato a partire dal 1 Gennaio1993.

Ettore Bonalberti

Venezia, 13 Novembre 2017

 


Riaperta la sede a Piazza del Gesù  e ora avanti con l’unità di tutti i DC

 

In un clima di grande commozione si sono inaugurati ieri gli uffici della DC nazionale nella sede storica di Piazza del Gesù,46.

 

Non sono più le “trenta stanze”  che De Gasperi sosteneva fossero “sufficienti al partito per governare l’Italia”, ma tre ampi locali che gli eredi della Balena bianca, da “medici scalzi”, come ha dichiarato ieri l’On Gianni Fontana, presidente del partito, sono la base di ripartenza per ricomporre l’unità dell’area popolare e democratico cristiana italiana.

 

Erano presenti vecchi e nuovi sostenitori e simpatizzanti, si sono notati, tra gli altri, gli Onn. Mannino, Zolla, Tarolli, Tassone, Nisticò, Eufemi e centinaia di militanti giunti da molte parti d’Italia attratti dalla bella notizia del ritorno a Piazza del Gesù. Significativa anche la partecipazione di alcuni amici sin qui protagonisti di una serie di distinguo critici come Angelo Sandri, Antonio De Simoni e  l’avv. Cerenza, lieti di tornare alla casa comune.

 

Gianni Fontana, nell’improvvisata conferenza stampa tenuta in uno dei locali in cui campeggiavano i ritratti dei padri fondatori: Surzo, De Gasperi, Moro, insieme ad  un manifesto  in cui erano raffigurati tutti i segretari del partito che si sono succeduti nella storia DC, da De Gasperi a Martinazzoli,  ha così esordito: “Oggi inauguriamo la sede storica della DC e partiamo da tre locali, con sobrietà e umiltà, ma con una grande determinazione per cercare di attuare le riforme sociali che servono la Paese. Noi torniamo in politica, per apportare un contributo forte di valori, riprendere il cammino che abbiamo lasciato ma ponendoci nuovi orizzonti per ricostruire l'Italia. Serve un politica che dia speranza nel futuro e faccia uscire il nostro Paese da questo momento di instabilità. Per questo ci presenteremo alle elezioni nel 2018,  con un programma nuovo, tutto rivolto in avanti”.

 

Gli stessi concetti che in maniera assai più approfondita Fontana ha enunciato nella prima riunione del consiglio di presidenza., che ha voluto raccogliere attorno a sé alla vigilia di alcuni importanti appuntamenti che caratterizzeranno il mese di Novembre sino alla data del 10 Dicembre, nella quale il partito è impegnato a concorrere alla costruzione di un comitato nazionale provvisorio espressivo di tutte le diverse anime di ispirazione democratico cristiana  con le quali partecipare alle prossime elezioni politiche.

 

Ricordato che la crisi italiana sta assumendo caratteri di tipo entropico, nella quale non appaiono  chiare le prospettive nella babele delle inculture politiche prevalenti e il sistema rischia di collassare,

 

Fontana ha anche sottolineato che, in questa situazione, risulta ancor più necessaria una proposta politica ispirata ai valori della dottrina sociale cristiana come quella che la DC è in grado di mettere in campo. Serve, ha aggiunto, una minoranza organizzata e forte che abbia la capacità di vedere il futuro; un gruppo minoritario che abbia l’ambizione di diventare la coscienza critica del Paese, in grado di  offrire virtuosi consigli e dialoghi e non per creare la sensazione di divisioni e difficoltà e incapacità di trovare un’idea una prospettiva.

 

Dopo un ampio dibattito nel quale sono intervenuti, tra gli altri, Gubert, Lisi, Fabbrini, Luciani, Zolla, Fago, Barbuto, Portacci, Bonalberti, Cugliari, Rosini, Valenti, Carmagnola e De Maio, l’incontro si è concluso in un clima di grande unità dando il mandato al Presidente di incontrare nei prossimi giorni i diversi esponenti dei gruppi che fanno riferimento alla comune matrice democratico cristiana per verificare le condizioni concrete per giungere alla formazione di un comitato nazionale unitario.

 

Premessa indispensabile: il riconoscimento del  ruolo di Fontana, quale presidente giuridicamente riconosciuto della DC, alla quale appartiene a tutti gli effetti nome e simbolo dello scudo crociato, così come conseguente alla sentenza della Corte di Cassazione che, senza alcun altra possibilità di replica, ha sancito con delibera n.25999 del 23.12.2010 che: “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”

 

Sulla base della verifica dei prossimi giorni, l’assemblea dei soci DC, convocata a Roma Sabato 18 Novembre prossimo al Teatro Golden in via Taranto,36, alle ore 9,30 assumerà le decisioni conseguenti.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 10 Novembre 2017



 

 


Cosa ci insegna il voto siciliano e di Ostia

 

La condizione di anomia e disaffezione che caratterizza la lunga stagione della crisi politica, istituzionale, economica e sociale dell’Italia, si conferma con il voto siciliano e la prova elettorale nella municipalità di Ostia ( oltre 226.000 ab.). In Sicilia si astiene dal voto il 54% degli elettori e al Comune di Ostia quasi due elettori su tre. In entrambi i casi si usciva da una situazione fallimentare  delle  amministrazioni precedenti

 

La più negativa di tutta la storia post bellica siciliana  quella di Crocetta a Palermo; addirittura inquinata da infiltrazioni criminali quella di Ostia.

 

In Sicilia prevale il centro destra  guidato da un galantuomo di Fratelli d’Italia, Nello Musumeci, con quasi il 40% dei voti, grazie a una vasta coalizione di partiti e movimenti, tenuti insieme dal “patto dell’arancino” siglato da Berlusconi, Salvini e Meloni.

 

Qui, come a Ostia, accade un fenomeno destinato a caratterizzare il prossimo scenario politico che precederà il voto delle elezioni di primavera: la nascita di un bipolarismo di tipo nuovo che si svolgerà tra il centro-destra nel quale, volenti o nolenti, si impone l’egemonia del Cavaliere, e il M5S, che, se non vuol fare la fine di Tano Belloni nel ciclismo ( “ l’eterno secondo”) dovrà attrezzarsi all’apertura a forme diverse di collaborazione.

 

Nonostante una legge elettorale, il “rosatellum”, costruito su misura delle forze politiche che hanno sin qui “illegittimamente” occupato le poltrone parlamentari, il PD renziano rischia molto. Dal voto siculo e ostiense risulta essere il grande sconfitto,  destinato a un processo di inevitabile, dolorosa e  seria autocritica dopo l’ubriacatura nel potere dell’effimera e fallimentare stagione  del “giovin signore”.

 

Emblematico il ritiro del guanto di sfida da parte del candidato premier grillino, Di Maio, con la rinuncia al dibattito televisivo con Renzi programmato per stasera; un dibattito che era stato  richiesto qualche giorno fa proprio dallo stesso Di Maio. Un gesto quello di Di Maio, che, seppur discutibile sul piano del galateo dei duellanti, pone l’accento sulla perduta leadership e conseguente credibilità politica funzionale del leader toscano.

 

Il voto siculo, poi, segna il tramonto, forse definitivo, dell’impresentabile Alfano, dopo le capriole compiute dalla sua condizione di delfino berlusconiano prima, a leader del Nuovo Centro Destra poi, per ridursi a reggicoda del centro-sinistra renziano a Roma come in Sicilia.

 

Un’operazione di trasformismo politico che, nemmeno ai suoi corregionali siciliani, esperti da una lunga storia di questa assai poco nobile rappresentazione  di incoerenze nella politica, è risultata digeribile.

 

Resta, infine, un grosso rammarico: la presenza anonima e frastagliata, seppur in campo, di molti gruppi e persone direttamente o indirettamente legati alla nostra tradizione democratico cristiana.

 

Gli amici dell’UDC, da tempo possessori, ma non proprietari, del simbolo dello scudo crociato, la cui legittima proprietà appartiene alla DC storica, oggi rappresentata dal Presidente, Gianni Fontana, che proprio domani si accinge a riaprire gli uffici della DC nella gloriosa sede di Piazza del Gesù, nonostante la recente sentenza favorevole a Rotondi nella causa con Cesa, hanno potuto sfruttare al meglio la loro ben nota presenza in terra siciliana, così come altri amici si sono candidati con alterne fortune, tanto nelle liste a sostegno di Musumeci, che in quelle a fianco del prof  Micari.

 

Insomma anche in Sicilia l’ennesima, e ci auguriamo ultima, palese dimostrazione dell’assenza di una cultura politica di chiara ispirazione democratica cristiana, che, come ha scritto con grande lucidità, l’amico Lillo Mannino  in un’intervista a Luca Rocca, sarebbe invece ciò che meglio servirebbe oggi alla Sicilia e all’Italia.

 

Se, come appare dopo il voto siciliano, il nuovo bipolarismo che si impone è quello tra il centro-destra a trazione berlusconiana, in cerca della definitiva legittimazione di supremazia rispetto a Lega e Fratelli d’Italia, e il M5S, c’è da chiedersi su quali culture politiche avvenga oggi il confronto.

 

Entrambi gli schieramenti, infatti, non solo sono incapaci da offrire una speranza a oltre la metà del corpo elettorale, ma sono loro stessi fondati su equilibri precari. Il centro  destra é un assiemaggio di posizioni diverse su molte questioni qualificanti che attengono ai governo del Paese; il M5S, ricettacolo del voto degli scontenti presenti nella metà degli elettori che partecipano al voto, è  rappresentato da un un gruppo di giovani inesperti che, almeno sin qui, là dove sono stati eletti in posizioni di responsabilità e di guida di governo, hanno dimostrato tutte le loro insufficienze e i loro pesanti limiti.

 

Con una finta sinistra renziana, caratterizzata dal peggior trasformismo di tutta la sua lunga e travagliata storia, molto più funzionale agli interessi dei poteri finanziari forti, che di Renzi sono stati i reali mallevadori, piuttosto di quelli della classi popolari e subalterne, e i due poli della nuova stagione politica prima descritti, risulta ancor più necessaria la discesa in campo di una forte realtà politica di ispirazione democratico cristiana.

 

Un partito come quello della DC che, con la prossima assemblea dei soci, il 18 novembre a Roma, convocherà il XIX Congresso nazionale, dopo una serie di iniziative politico culturali di grande rilievo, finalizzate alla messa a punto del programma per l’Italia, potrà rappresentare un fattore di interesse per il Paese.

 

Insieme agli amici di “Costruire Insieme”, guidati dall’amico sen Ivo Tarolli, Gianni Fontana intende concorrere alla costruzione di un nuovo soggetto politico in grado di offrire una speranza, soprattutto, ai renitenti al voto, e a quanti sono interessati a battersi per l’attuazione integrale della Carta costituzionale e a realizzare politiche ispirate ai valori dell’umanesimo cristiano capaci di saldare, come fece la DC nel suo tempo migliore, gli interessi dei ceti medi produttivi  con quelli delle classi popolari.

 

L’augurio che ci facciamo, da vecchi “DC non pentiti” è che molte altre associazioni, movimenti, gruppi, e persone dell’area cattolica, come in parte hanno già fatto, si aggiungano a tutti noi per realizzare insieme questo progetto. Senza la cultura dei cattolici che pone al centro la persona e la famiglia, il ruolo insostituibile dei corpi intermedi guidati dai principi della solidarietà e sussidiarietà, questo Paese non uscirà dalla condizione di anomia e non avrà futuro.

 

Ettore Bonalberti

Venezia 7 Novembre 2017

 


40 anni dopo

 

5 novembre 2017 – 5 novembre 1977.


Sono quarant’anni dalla Festa in cui quel trapasso è avvenuto: intendo la sua traslazione, da questo mondo corruttibile, alle braccia del Padre. La festa di un santo è il giorno della sua morte, perché segna la sua Nascita alla Vita. Alle donne al sepolcro l’angelo disse “Non temete… non è qui. E’ risorto!”. Ascoltiamolo dunque, questo Confessore della fede, perché è vivente! Il suo operato può riassumersi proprio in questo, nel comunicarci il senso della Resurrezione. “Risorgeremo infatti” proclamava con una convinzione non mai scalfita e con volto gioioso, entusiasta come gli Apostoli nel primo annuncio, quasi ubriachi di prima mattina (Atti d. Apost. 2,13)… e, gesticolando in questo annuncio, quella persona pareva gigantesca, avvolta di luce. “Come va, Professore?” (domanda di rito e generica): rispondeva “Tutto bene!” e spiegava “perché mi finirà bene”. Un entusiasmo contagioso: messaggio che veniva colto da quanti incontrava: lo fermavano a ogni passo, nel pur breve tragitto dall’Università (Via Laura) alla mensa di S. Francesco (piazza SS. Annunziata) e toccavano la sua giacca istintivamente, compresi da una devozione naturale: un riconoscimento di santità dato per normale. Per la “sua gente” della Messa del povero a san Procolo alla Badia Fiorentina egli commentava la liturgia (un uso importante che Pio XII rafforzò, quello di introdurre talora un laico a spiegare il rito dandogli valore di colloquio senza abbassare il tono sacrale della liturgia latina) e faceva un catechismo e una scuola di cultura politica, ascoltava le esigenze concrete e spezzava il pane del perdono e della speranza, tenendo desto il quadro dei valori e trasformando i problemi in sogni e in realtà di accettazione nella preghiera che li riassumeva facendo guardare in alto: e lo ha fatto dal 1934 per 43 anni! Aveva in mano il cuore di tutti e poteva ben scrivere L'attesa della povera gente, da uomo di governo, dopo aver scritto La nostra vocazione sociale, e Premesse della politica: e continuando poi a tradurre la parola degli ultimi ne I colloqui della Badia e ne La Badia (foglio di S. Procolo).

Vi era anche l’eco delle sue operazioni politiche, della scrittura della Costituzione e dell’opera di governo e di quella di sindaco e quella del più grande ministro degli esteri cioè del portatore di pace, che il secolo XX abbia avuto. Ma altri hanno detto di questa prodigiosa pubblica attività di lui. Io qui voglio ricordare il testimone Confessore della Fede nella vita quotidiana pur fermandomi ai minimi consueti spostamenti giornalieri. Il La Pira che ricordo è quello della SS Annunziata, ove chiudeva la giornata dopo esser passato alla Libreria a incontrare gli artisti cattolici, per poi rientrare a Casa Gioventù o al Convento di San Marco ove per tanti anni ha avuto stanza, accanto al Savonarola (che ogni anno a maggio andavamo a onorare nella Infiorata dinanzi a Palazzo Vecchio). Il La Pira della “sua” Firenze – la patria di elezione, da quando questo Levantino di Pozzallo pur fiero della sua terra, seguì il suo maestro Emilio Betti con cui si laureò. E fece di Firenze una città mondiale: scrollandola dalla dipendenza francese e laicista mediante la sensibilità rinascimentale dei santi fiorentini e la cultura medievale dantesca e giottesca e dei due ordini mendicanti di cui era Terziario, e della Pietà mariana. Da cui partì per giungere, sulla scala delle icone di Rubliev e della contemplazione ortodossa, a quella santa Russia che Pio XII consacrò a Maria. E da Palazzo Vecchio i Convegni per la Pace e la Civiltà cristiana, cui convennero politici di tutto il mondo e i Colloqui mediterranei con Israele e con l’Islam, a superare le contese nell’unità della comune famiglia di Abramo. E il suo toccare con mano problemi e movimenti invitando a dipanare le questioni cogliendo in ciascuna le basi nella storia e nell’ambiente geografico  culturale. Non può scindersi in lui il problema generale del mondo dagli agganci con il suo popolo delle parrocchie e della carità. La quale è servizio quotidiano: che egli esercitava avendo a disposizione molti angeli e soprattutto tre Arcangeli che la Chiesa non dimentica: Fioretta Mazzei, Antinesca Tilli, Pino Arpioni, inseparabili compagni della sua attestazione di Fede, uniti nella santità: la vera povertà è “servire” (titolo che egli dette a un foglio e a una editrice). Si tratta di una liturgia ecclesiale che egli professava fuori di chiesa, a rendere sante tutte le cose. E questa liturgia aveva nome Politica, la quale  non si riassume nel senso dello Stato ma nel dar voce alle realtà di base tangibili, a quella società di base che deve essere curata come una pianticella.

E’ qui il La Pira che riscopre la vocazione mediterranea del nostro popolo mentre i più si volgevano all’Atlantico. Il Mediterraneo è realtà che unisce le varie sponde – sottolineava – mentre gli Oceani le separano. E quando il nostro orizzonte era il Mediterraneo abbiamo avuto l’unità del mondo (il diritto romano di cui egli era grande intenditore; e l’interazione tra popoli liberi uniti in una pace universale: e il Cristianesimo è nato in tale contesto). E nel Mediterraneo si concentra la famiglia di Abramo. L’Atlantico porta invece divisione nel cuore dell’Europa, aggregando solo una metà di questa: ma l’Europa come realtà forgiata dal Cristianesimo non esiste senza l’Oriente (per respirare ci devono esserci due polmoni). E dunque i colloqui con l’Est europeo cui il colore rosso ci privò di quella comunione essenziale. Non per nulla Gorbacev riconosce in La Pira il suo maestro, nella formula “l’Europa è una dall’Atlantico agli Urali”: non può esistere un’ Europa legata a una sola metà di se stessa, come l’eredità greca non poté vivere senza l’apporto di quella latina. Da ciò il suo limitato fervore per l’unione europea: importante se vi si intenda il ritrovo di comuni radici cristiane, non invece se è fomento di disunione con l’Est. L’America? se ne stia nel suo, non è stata lei a coniare la formula “l’America agli Americani”? Dunque, né Atlantici né Europeisti: nostra patria è il mondo, e possiamo parlare di pace solo se lo teniamo presente. Ma non per unificare il mondo! bensì per convivere nella diversità, che è condizione insuperabile di esistenza e libertà: la diversità è “costitutiva” della persona individuale e associata, non esiste la cultura ma le culture, unificando violeremmo ciò che la storia e la natura hanno impostato. Perciò far centro sul Mediterraneo, perché si tratta di un bacino collettore di genti diverse, da accogliere nella loro diversità.

E la dottrina cristiana serve al mondo quale valvola di sicurezza per orientare non solo le scelte di pace ma per dettare anche una politica economica: perché questa non sia statalista, ma capace di esprimere forze interne di base: perché la Società è più grande dello Stato, il quale ne è solo una delle molte espressioni. E il cittadino non può essere ridotto al “contribuente”! Ciò vale anche nelle questioni di lavoro: donde la critica alla società che intenda gestire tutti i rapporti: sognava di ridare senso al lavoro come forza creativa e, con il beato Toniolo, i legami corporativi, che lo statalismo ha distrutto: nella corporazione il lavoratore era difeso nel giusto salario e si riappropriava del lavoro da cui il capitalismo lo ha alienato. Puntava sulla “proprietà del mestiere”: il lavoro è un aspetto della persona, la quale non può essere subordinata al posto di lavoro: il Codice civile ha messo il diritto del lavoro nel campo dei diritti relativi (pur con titolo a parte), delle obbligazioni, trasformando il lavoro in merce di scambio, mentre deve inserirli nel campo dei diritti reali, cioè nei diritti assoluti.

E penso alla sua militanza politica cittadina e statuale e internazionale come tessitura a fili intrecciati perché teneva legate tutte le realtà, operando nel piccolo pensando ai grandi problemi: curando anche quel Partito che tenne sempre in onore, quel Partito che c’era e non c’è più: e di cui un po’ tutti avvertono la mancanza. Diceva Pino Arpioni che da La Pira non ci si attendano miracoli di guarigione, poiché egli fu uomo politico e i suoi miracoli saranno politici. Se ne rileggiamo la vita, vedremo che ne ha fatti in molte parti… Eppure uno ne vogliamo chiedere, e in questa Ricorrenza lo attendiamo come imminente: un miracolo di resurrezione nella sfera politica: di un Partito che sia davvero solo “parte” e non gestore del tutto: quel Partito suo, che era espressione sia pur incompleta del popolo cattolico (e ribadiva con Leone XIII “Democrazia non può esserci se non cristiana”) ma che ha voluto suicidarsi, sedotto dal suicidio che altri partiti hanno attuato. Quella DC da cui si è allontanata perfino la Chiesa italiana nelle sue gerarchie… Ma proprio in questa contingenza storica di disaffezione alla politica e di evidente debolezza delle piccole formule esistenti, una rinascita della Democrazia Cristiana, con quel nome convocante, sarebbe un Dono che la “gente comune” apprezzerebbe. I più non lo credono possibile, a meno di un “miracolo”: ma la povera gente - la gente comune - crede ai miracoli… E, se questo miracolo avvenisse… allora rivedremmo un La Pira beatificato come Dottore della Chiesa, che si propone perché la sua Lezione non può interrompersi. Ho idea che il Santo Padre sia propenso alla sua canonizzazione, così come l’attuale Capo della Chiesa italiana che è stato sempre un fedele “lapiriano” … e come erano d‘accordo di fatto i papi che lo hanno conosciuto e hanno avuto corrispondenza anche epistolare con lui.

E’ questo l’augurio che lancio in questa Festa del 5 novembre che segue immediata Ognissanti e la Commemorazione dei Defunti, cioè di coloro che hanno già accolto il Professore e i suoi tre arcangeli nel loro abbraccio.

Fabrizio Fabbrini

 

5 novembre 2017

Il Tempo del coraggio e dell’”unità possibile” dei cattolici

 

Venerdì 3 Novembre si sono incontrati a Verona gli On. Gianni Fontana, Presidente della DC e Ivo Tarolli, Presidente dell’associazione “ Costruire Insieme”, per valutare lo stato di avanzamento dei processi, sin qui svolti autonomamente, per la ricomposizione politica della frammentata area cattolica e popolare italiana.

 

E’ stata condivisa l’idea di concorrere insieme al progetto di costruzione di un nuovo soggetto politico ampio e plurale; un “rassemblement populaire” che abbia come fondamento: l’attuazione integrale  della Costituzione e la fedeltà ai valori dell’umanesimo cristiano.

 

Una serie di incontri e manifestazioni saranno organizzati insieme nelle prossime settimane, in preparazione di una grande assise politico culturale dell’area cattolica italiana che si terrà a Roma il 9 Dicembre prossimo.

 

L’incontro di ieri a Verona segna un’altra tappa del processo avviato da molto tempo, sia all’interno della DC, che nell’associazione “ Costruire Insieme”.  Gianni Fontana, presidente eletto dall’assemblea dei soci DC il 26 febbraio scorso, ha operato in questi mesi per raccordare molti movimenti, gruppi e associazioni, come quelli riuniti nell’associazione “ Solidarietà Popolare”, potendo, alla fine, costruire  un ampio e plurale consiglio di presidenza della DC.  Esso si riunirà a Roma, il 9 Novembre prossimo, dopo che saranno stati inaugurati gli uffici centrali del partito nella sede storica di Palazzo Cenci Bolognetti di Piazza del Gesù.

 

Ivo Tarolli, nello stesso tempo, con la sua associazione, ha compiuto un lungo tragitto: dal Luglio 2015 ( Convegno “appello di Rovereto” dalla casa del Beato Antonio Rosmini) sino agli ultimi due incontri della Bonus Pastor e l’avvio dell’associazione, che vede tra i suoi aderenti, tra gli altri: Marco D’Agostini, Roberto Bettuolo, Fabrizio Bonanni Saraceno, Raffaele Bonanni, Sergio Marini, Gustavo Piga, Fabio Cristofari, Barbara Casagrande, Gabriele De Simone, Antonino Giannone, Luigi Intorcia, Eleonora Mosti, Francesco Rabotti, Giovanni Tomei, Paolo Voltaggio e molti altri esponenti di gruppi e movimenti di ispirazione cattolica.

 

“Costruire insieme”, ha raccolto e editato una raccolta di saggi e documenti nel libro: “ Il Tempo del coraggio”- L’Italia fra rassegnazione e riscatto-La ripartenza dei cristiano popolari, edizioni Rubettino.

 

Trattasi di un’ interessante pubblicazione a cura di Ivo Tarolli, Marco D’Agostini, Fabio Reali e Francesco Rabotti, che è stata presentata nei giorni scorsi alla Bonus  Pastor a Roma. In essa sono raccolti una serie di contributi particolarmente qualificati di esponenti dell’area cattolica.

 

Dopo le introduzioni di Tarolli e Bonalberti, segue una prima parte con tre autorevoli interventi di autorità ecclesiastiche quali: il card Battista Re  e i Vescovi,  Mons Mario Toso e Mons Gastone Simoni.

 

Una seconda parte è dedicata all’”Impegno dei Cattolici per la comunità politica”, con interventi di: Gennaro Acquaviva, Fabio Cristofari, Marco D’Agostini, Paolo Maria Floris, Gianni Fontana, Riccardo Fratini, Antonino Giannone, Cosimo Iannone, Sergio Marini, Tiziano Melchiorre, Domenico Menorello, Giovanni Palladino, Stefano Parisi, Antonio Pisani, Carmine Spiaggia, Mario Tassone e Paolo Voltaggio.

 

La terza parte è dedicata al tema dell’”Economia e Lavoro” con interventi di Raffaele Bonanni, Gaetano Caputi, Natale Forlani, Vitaliano Gemelli, Giorgio Guerrini, Gianluca Oricchio, Gustavo Piga, Luciano Pilati, Antonio Sabella e Andrea Tomasi.

 

Viene quindi affrontata “la questione antropologica ambientale ed educativa” con interventi di Antonella Dursi, Alberto Gambino, Eleonora Mosti, Simone Pillon, Francesco Rabotti, Luisa Santolini.

 

Infine,  una sezione dedicata al tema delle “Istituzioni, Diritti e Giustizia”, con interventi di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno, Barbara Casagrande, Gabriele De Simone, Luigi Di Santo, Giuseppe Gargani e Giuseppe Rotunno.

 

Seguono appendici con i principali documenti sin qui redatti dall’associazione da Rovereto (18 Luglio 2015) alla Bonus Pastor ( 25 Marzo 2017)

 

Nei prossimi giorni l’associazione è impegnata a promuovere in tutte le realtà territoriali, partendo da quelle di diretta espressione delle realtà cattoliche diocesane, il libro citato, che si propone di collegare l’iniziativa associativa “ dall’appello di Rovereto a Papa Francesco”; il quale, come è noto,  nei mesi scorsi, ha fatto appello all’impegno dei cattolici con queste parole: “ mettetevi in politica, per favore nella grande politica, nella politica con la “ P” maiuscola”.

 

Un appello  quello del Papa, ripreso dal presidente della CEI, card Bassetti, nella sua prolusione al consiglio permanente della CEI di Lunedì 25 Settembre.

 

I tempi richiesti dalla politica italiana sono tremendamente stretti e, pur in  presenza di una legge elettorale, “immorale se non incostituzionale”, sentiamo il dovere di impegnarci tutti per superare la condizione di assoluta irrilevanza nella quale è stata ridotta la presenza politica dei cattolici nella vita politica italiana.

 

Riteniamo sia giunto il tempo di risollevare la testa e crediamo che la convergenza possibile della DC e degli amici di Costruire Insieme, su un progetto di costruzione di un nuovo soggetto politico ampio e plurale, che assuma i caratteri di una vera e propria “Unione cristiano popolare”, possa costituire  un ottimo strumento facilitatore e  moltiplicatore in tale direzione.

 

Prova del nove: la grande  assemblea della ritrovata ricomposizione dell’area politica cattolica che si terrà in due giorni di grande significato simbolico per i cattolici italiani: l’8 Dicembre, festa dell’Immacolata e il 9 Dicembre a Roma.  Ricomposti “nell’unità possibile” i cattolici italiani, si potranno tessere le più ampie convergenze con quanti, espressione di altre culture, saranno disponibili a concordare una piattaforma di programma comune fondata sui due capisaldi irrinunciabili: l’impegno all’attuazione integrale della Costituzione e la fedeltà nelle scelte politiche  ai valori dell’umanesimo cristiano.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 4 Novembre 2017

 

 

 


Il compito dei “ DC non pentiti”

 

Dal seminario di Camaldoli agli incontri di Sasso Marconi e Salerno, e, ancor prima, da Rovereto a Orvieto sino ai due convegni della Bonus Pastor, è tutto un fiorire di eventi caratterizzati da un unico obiettivo: ricomporre l’area politica di ispirazione cattolica e popolare.

 

Unanime è la volontà di uscire dalla condizione di irrilevanza cui è stata ridotta la presenza dei cattolici nella vita politica italiana. Una presenza tanto più necessaria in una fase politica caratterizzata dall’assenza di culture di riferimento e da un dominante trasformismo, che è la condizione cui è ridotto un parlamento di “nominati”, eletti con una legge incostituzionale. Un parlamento che ha votato una legge, il “Rosatellum”, che ha come unico obiettivo quello di  riconfermare la casta dominante, togliendo ogni residua capacità di espressione alla sovranità popolare costituzionalmente sancita. Trattasi di una legge frutto di menti luciferine non lontane da quel “giglio magico” composto da furbastri legulei di provincia e politici improvvisati esperti nel commercio di carne. Sono ricorsi al voto di fiducia in entrambe le Camere perdendo per strada anche l’appoggio del Presidente del Senato Grasso.

 

Ad ogni modo è con questa legge che si dovrà votare e non c’è più tempo per tergiversare sui massimi sistemi a partire proprio da casa nostra.

 

Sgombriamo subito il terreno dagli equivoci e fraintendimenti che ancora permangono attorno alle vicende della DC, evidenziando che la stucchevole e miserrima vicenda dell’assalto all’eredità di quel partito è stata definitivamente risolta tra tutti i diversi contendenti dalla sentenza della Cassazione a sezioni riunite n. 25999 del 23.12.2010.Essa   ha deliberato senz’altra possibilità di replica  l’inesistente diritto di alcuno ad erigersi a erede della DC, dato che il partito: “ non è mai stato giuridicamente sciolto”.

 

Che ci siano ancora in giro alcuni falsi eredi che continuano ad agitarsi come gli ultimi dei giapponesi per motivazioni e scopi diversi, non sempre commendevoli, nulla può aggiungersi all’esito definitivo di quella sentenza e spiace che, anche in questi giorni, alcuni isolati giornalisti qualifichino qualche  improvvisato illusionista come “segretario della DC”, col solo risultato di gettare altro fango alla storia del partito che ha retto le sorti dell’Italia per oltre quarant’anni.

Gianni Fontana, presidente della DC, eletto dall’ assemblea dei soci residui democristiani del 1992-93, riunitisi su autorizzazione del tribunale di Roma, il 26 febbraio scorso all’Ergife di Roma, è e rimane l’unico presidente legittimo della DC, proprietario del nome e del simbolo storico della Democrazia Cristiana.

 

Insieme a  Ivo Tarolli,  con il suo movimento “ Costruire Insieme”,  essi sono i due attori che stanno tentando con estrema  determinazione di attuare questo complesso processo di ricomposizione dell’area cattolica e popolare. E con loro, i tanti amici del NCDU di Mario Tassone, l’UDC di Lorenzo Cesa e dello stesso Gianfranco Rotondi , i quali hanno sempre dimostrato la volontà di concorrere alla ricostruzione politica della DC.

 

Ad essi si affiancano i  coraggiosi tentativi degli amici promotori delle grandi manifestazioni del Popolo della famiglia, che, seppur divisi nelle modalità organizzative, tra Adinolfi,  Gandolfini e Pillon, , condividono l’idea di superare la frammentazione tuttora in atto, causa della scomparsa di una presenza attiva della cultura cattolica nelle istituzioni.

 

Sostengo da tempo che la prima ricomposizione, probabilmente più facile da compiersi, possa e debba essere quella dei e tra i democratici cristiani di tutte le chiese  e chiesette nelle quali si sono sin qui accasati senza costrutto, se non per miserevoli condizioni di subordinate sopravvivenze personali.

 

Le stesse che, da Pino Pizza in poi, hanno portato alcuni amici a offrirsi come miglior offerente alla causa del Cavaliere pro domo propria. Una linea da Orazi e Curiazi,  strategicamente  e tatticamente miserevole e  senza prospettive

 

Con l’elezione del Presidente Fontana, ossia del legittimo rappresentante della DC storica, il 26 febbraio, è da lì che si tratta di ripartire. Primo atto: la riapertura degli uffici della DC nella sede storica di Palazzo Cenci Bolognetti a Piazza del Gesù, che avverrà l’8 Novembre prossimo. E sarà un giorno di grande festa per tutti noi “ DC non pentiti”.

 

Seconda tappa: l’assemblea di tutti gli amici soci che furono tesserati al partito nel 1992-93, il 18 novembre prossimo al teatro Golden di Roma per la convocazione del XIX Congresso nazionale del partito .

 

Terzo atto: celebrare tutti insieme, quelli che erano iscritti alla DC nel 1992-93, un Congresso unitario dei democratici cristiani italiani da farsi entro i primi di Dicembre. A Gianni Fontana, Presidente della DC, spetta il compito di invitare tutti gli amici DC, come Cesa e Rotondi, Tassone, Giovanardi e Mario Mauro, insieme agli amici della terza generazione, come De Mita e Pomicino, agli stessi che in questi anni si sono battuti per la continuità storica del partito, come Cerenza, De Simoni e Sandri, a concordare le modalità di celebrazione del congresso dal quale far emergere, con una nuova classe dirigente, la proposta politico programmatica della DC per l’Italia. Inevitabile, poi, sulla base dell’indecente legge elettorale, l’incontro con gli amici di “Costruire Insieme” per decidere insieme  come procedere.

 

Coerenti con la migliore tradizione DC, non potremo che essere disponibili al confronto con quanti, di altra cultura, liberale e riformista, condividano con noi i riferimenti ai valori dell’umanesimo cristiano.

 

Ricerca, dunque, dell’”unità possibile”, all’interno di un’area politica, alternativa ai tre attuali presenti nel Parlamento. Un Polo accomunato da un’unica volontà: ridare una speranza agli italiani, proponendosi l’impegno dell’attuazione rigorosa della Costituzione, ossia della Carta che è impregnata dei valori dei padri fondatori democratico cristiani, i quali hanno voluto venissero iscritti in essa i principi fondanti della dottrina sociale cristiana: la centralità della persona e della famiglia; il ruolo insostituibile dei corpi intermedi, i cui rapporti devono essere regolati dai principi di solidarietà e sussidiarietà; il lavoro posto a fondamento della Repubblica.

 

Quattro i capisaldi di programma: la difesa della famiglia, la garanzia della sanità efficiente, la salvaguardia delle pensioni e del risparmio familiare. A essi vanno aggiunti: la sicurezza e il riconoscimento del valore delle autonomie locali, precondizioni indispensabili per superare  le due grandi fratture determinatesi nel Paese: quella territoriale tra Nord e Sud  e quella generazionale, che costituiscono i fattori di rischio per la stessa  unità dell’Italia.

 

Per ridare fiducia al 50% degli elettori renitenti al voto si deve ricomporre la saldatura tra classi popolari e ceti medi produttivi, che è andata distrutta da una politica subordinata agli interessi dei poteri finanziari dominanti di cui il trasformismo politico attuale è indiretta e colpevole espressione.

 

Questo, a mio parere, è il compito che spetta a noi “ DC non pentiti”, in questa difficile fase storico politica dell’Italia.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 30  Ottobre 2017

 

 

  

 

I nodi da sciogliere

 

Non era un  risultato affatto scontato, considerato che non c’è stato un dibattito antagonista proprio delle campagne elettorali e referendarie. Se si esclude l’amico Dino Bertocco, “popolare” del PD, che ha, quotidianamente, contestato motivazioni ed obiettivi del referendum veneto, l’ampio schieramento politico culturale a favore del SI poteva indurre gli elettori veneti a dare per scontato l’esito. Fortunatamente, anche se non privo di rischi, nella nostra Regione era stato previsto il raggiungimento del quorum oltre 50% più uno degli elettori votanti, quale condizione per la validità dell’esito referendario.

 

Recatomi al seggio alle 8 del mattino, non ero sicuro che avremmo raggiunto quel quorum e, invece, i veneti hanno risposto alla grande, sfiorando quasi il 60% della base elettorale e con un’adesione plebiscitaria alla richiesta di maggiore autonomia. A questo risultato abbiamo concorso significativamente anche noi Popolari e democratico cristiani che, coerenti con la nostra migliore cultura autonomistica,  sin dal Febbraio 2016 ci eravamo schierati a sostegno di una  macroregione triveneta che assumesse la centralità e il valore aggiunto di Venezia.

La nostra proposta non intendeva e non intende ridurre il grado di autonomia conquistato dalle consorelle realtà regionali friulane e trentino-altoatesine, ma, semmai, di aumentare quello ora garantito al Veneto come regione a statuto ordinario. E lo facciamo indicando in Venezia e nella migliore tradizione storico politica della Repubblica Serenissima il punto di riferimento centrale della nostra proposta. Ieri i veneti, come felicemente ha ricordato il Presidente Zaia, hanno risposto alla grande dimostrando che: “ non bisogna voltare le spalle alla mamma” e che la nostra mamma è l’autonomia, nel solco della migliore tradizione politica ispirata ai valori della sussidiarietà.

Nessuna velleità scissionistica, ma il riconoscimento di una specifica autonomia nel quadro di ciò che prevede la nostra Costituzione repubblicana.

Che esista una questione settentrionale, lo ha ben descritto l’amico Achille L. Colombo Clerici in un suo recente saggio,  che ripropone quanto da lui esposto in una conferenza tenuta a Zurigo all’Istituto svizzero per i rapporti culturali ed economici  con l’Italia nel giugno 2008.

Il estrema sintesi Colombo Clerici fa presente quanto segue:

Se la questione meridionale italiana da quasi un secolo è al centro del dibattito storiografico e politico nel nostro Paese, scarsa attenzione viene data alla questione lombarda che si inserisce, più in generale, nella questione settentrionale, il cui confine è tracciato dal perimetro delle cosiddette regioni a residuo fiscale negativo: cioè di quelle regioni che allo Stato danno in tasse più di quanto ricevono in servizi.

 

Si delinea un'area geografica comprendente le regioni del Nord, un'area entro la quale si riscontra una certa omogeneità storico cultural-sociale ed economica. Anche se dobbiamo dire che, grazie a Milano, la Lombardia è la Regione che più assomiglia ad uno stato autonomo, nel quale esiste in modo inequivocabile un vero riconoscibile polo di potere socio-economico-amministrativo a reggerne la vita. La questione settentrionale potrebbe oggi, per grandi linee, affacciarsi nei termini problematici del compito e della responsabilità, maturati sul piano storico, delle Regioni del Nord di tenere agganciato il Paese al mondo internazionale.

 

Mentre le risorse per consentire questo compito non sono per niente definite. Anzi, non se ne parla nemmeno. L’ assistenzialismo centralistico verso le regioni del Sud ha dato luogo a ingenti trasferimenti finanziari alle famiglie senza la contestuale creazione di nuovi posti di lavoro. Si è in tal modo sviluppato un modello di società dei consumi senza una corrispondente produzione.  Lo Stato Italiano ha sottratto ingenti risorse finanziarie agli investimenti in infrastrutture di servizio, tanto al Nord, quanto al Sud; dove peraltro gli investimenti realizzati non hanno dato i risultati ipotizzati.

 

La soluzione? Alcuni sostengono un’idea più avanzata sul piano del “federalismo”, soprattutto in campo fiscale; altri più sfumatamente parlano di “regionalismo”, in aderenza sostanzialmente all’idea di una maggiore autonomia dell’ente locale. Ma poi inevitabilmente nelle risposte degli uni e degli altri emergono tutte le tematiche del dibattito generale: dai principi di interdipendenza, di sussidiarietà, di solidarietà, al policentrismo ed al cosmopolitismo. Il tutto inquadrato in un sistema che sia in grado di conciliare le esigenze di autogoverno–partecipazione locale, con la salvaguardia del principio di unità-solidarietà nazionale.

Questi sono i nodi che, dopo la conferma plebiscitaria alla richiesta di autonomia veneta, il consiglio regionale del Veneto dovrà tentare di sciogliere. Zaia ha garantito che, già da oggi, la Giunta adotterà un disegno di legge da portare all’approvazione del consiglio regionale; una piattaforma per il confronto con il governo di Roma per dare pratica attuazione all’autonomia veneta che guarda a quella garantita alle Regioni confinanti del Friuli V.Giulia e del Trentino AA.AA.

Ci auguriamo che il governo Gentiloni non sia sordo e ondivago come lo è stato il PD, suo principale sostenitore, in questa vicenda referendaria. Se, come è assai prevedibile, la nostra proposta non potrà essere discussa in questa fase terminale di un’equivoca legislatura, sarà il prossimo governo a dover sciogliere i nodi aperti con la locomotiva italiana lombardo-veneta, riscoprendo l’opportunità di un nuovo assetto finalmente federale del Paese, con cinque o sei macroregioni  e una guida autorevole e forte centrale, come il compianto prof Miglio, profeta inascoltato, autorevolmente auspicava.

Ettore Bonalberti

Venezia, 23 Ottobre 2017

 

 

 


Incontro dei DC veneti


Si è svolto ieri, 20 ottobre, a Mestre, l’incontro degli amici veneti sul tema: PROVE DI DEMOCRAZIA-CRISTIANA.

In una sala dell’Hotel Ai Pini affollata e in un clima di forte passione civile e volontà di “tornare a mettersi in gioco per “programmare il futuro del nostro Paese”, l’On Gianni Fontana, Presidente della Democrazia Cristiana,  ha annunciato che tra pochi giorni sarà inaugurata la sede centrale della DC di Piazza del Gesù. Lo storico scudo crociato tornerà sulle finestre  del  Palazzo Cenci Bolognetti che per oltre quarant’anni fu la sede storica della DC.

Unanime la volontà espressa da tutti i relatori e dai partecipanti al dibattito per superare le divisioni e le frammentazioni che hanno caratterizzato la lunga stagione della diaspora dell’area cattolica e popolare per dar vita, a partire dal Veneto, di una Federazione popolare e civica nella quale riunire tutti i partiti, le associazioni, i i movimenti e i gruppi che si ispirano alla dottrina sociale cristiana.

Al termine del dibattito è stato approvato all’unanimità il seguente documento politico:

 

I partecipanti all’incontro promosso dalla DC e dal NCDU veneziani, svoltosi a Mestre, Venerdì 20 Ottobre, sul tema: PROVE DI DEMOCRAZIA-CRISTIANA, ascoltati gli interventi dei relatori:  Ettore Bonalberti (ALEF), Stefano Casali (IDEA), Luciano Finesso (NCDU), Gianni  Fontana (DC), Domenico Menorello (Energie per l’Italia) e degli amici Sen. Bruni, Massimiliano Filippo, Renato Borgato, Lillo Orlando e Stefano Furlanetto

 

FANNO APPELLO

 

a tutti gli amici che si riconoscono, nei valori, nella storia e nella migliore tradizione dei democratici cristiani italiani, affinché superino le attuali  colpevoli e improduttive divisioni per ritrovarsi INSIEME sotto le insegne dello storico scudo crociato.

Partendo da questa iniziativa di Venezia gli amici veneti della DC e del NCDU, insieme ai rappresentanti di tutti gli altri partiti e movimenti  presenti in questo incontro

 

SI IMPEGNANO

 

per dar vita in tempi brevi alla Federazione Popolare e civica veneta:  un raggruppamento di movimenti, associazioni e persone ispirate ai valori dell’umanesimo cristiano, che intendono tradurre nella realtà territoriale regionale gli  orientamenti della dottrina sociale della Chiesa.

Al centro il primato della persona, della famiglia e dei corpi intermedi e l’attuazione di politiche ispirate ai principi della  solidarietà e della sussidiarietà per il superamento dell’attuale   situazione in cui versa il Paese, in preda a una crisi economica, sociale e politico istituzionale tra le più gravi della sua storia.

 

Fedeli alla  migliore tradizione democratico cristiana veneta, assumono come centrale il tema dell’autonomia veneta, nel quadro dell’unità nazionale e confermano la piena adesione a sostegno del SI nel referendum di Domenica 22 Ottobre auspicando la massima partecipazione degli elettori veneti.

 

Mestre, 20 Ottobre 2017


Siamo alla crisi istituzionale dell’Italia.

 

 

La legge elettorale del Rosatellum 2 ,come fece Mussolini con la famigerata Legge Acerbo, passa alla Camera con il governo che impone il voto di fiducia.

Ieri il PD si fa promotore di una mozione con cui  si sfiducia il governatore della Banca d’Italia chiedendo al “governo amico” la sua sostituzione.

E, nel frattempo, nessuno, tranne qualche solerte deputato del M5S, si interessa del fatto che  le più importanti banche private italiane sono controllate direttamente dagli edge fund anglo-caucasici (sede legale nella city of London e fiscale nel Deleware,  origine kazara del Caucaso ) e nordamericani( Vanguard, State Street Fidelity, Black Rock, Blackstone, Northern Trust, T-Rowe price, JP Morgan Trust, Franklyn Templeton) Bnp Paribas Trust, ecc) i quali controllano così la quota di maggioranza della stessa Banca d’Italia.

Non possono più essere taciute le sistematica truffe perpetrate dagli edge funds, che sono la vera guida della cabina di regia bancaria, a danno dei risparmiatori, del fisco italiano e delle stesse banche, dopo la decisione assunta con il d.legislativo n.481 del 14 dicembre 1992, che ha abolito la separazione tra banche di prestito e banche speculative tassativamente prevista dalla vecchia legge bancaria del 1936.

Enormi sono le responsabilità che si assunsero con quel decreto i suoi firmatari Amato e Barucci, ma tutto tace e il PD se la prende con Visco…….

Incomprensibili i silenzi del Parlamento su questa cessione della sovranità monetaria che annulla de facto la nostra sovranità popolare con la democrazia ridotta a un ectoplasma nella mani di un Parlamento di “ nominati illegittimi” che si tende a perpetuare.

Ci attendiamo un sussulto dalla Presidenza della Repubblica garante dell’unità nazionale.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 18 Ottobre 2017

 


E’ pronto il partito per un nuovo umanesimo?

 

A seguito di un invito rivoltomi, qualche mese fa, per  tenere a Vicenza una relazione sui partiti politici, avevo ricevuto una prima positiva impressione del movimento COEMM-Mondo migliore e dei Circoli  Clemm   Mi era poi stato chiesto di indicare alcuni esperti per tenere una lezione sul tema della “sovranità monetaria e democrazia”, nell’ambito dell’attività di formazione che i responsabili dei circoli CLEMM stanno conducendo.

 

Un’attività che, avviata con grande partecipazione, proseguirà anche nei prossimi mesi secondo un progetto di formazione permanente e a distanza in corso di organizzazione.

 

L’incontro, svoltosi Sabato 14 ottobre, presso la sala congressi dell’Hotel Alexander di Abano Terme (Padova), ha visto la partecipazione di oltre 650 soci in un clima di amicizia e di entusiasmo che sempre più raramente si riscontrano in altri consessi politico culturali e associativi  simili o assimilabili.

 

Il dibattito sul tema dell’incontro: “Sovranità monetaria e Democrazia” ha visto una partecipazione attenta e interessata alle analisi e proposte dei tre relatori intervenuti: Prof Massimo Bordin, docente di filosofia ed esperto di questioni monetarie,  Alessandro Govoni, CTU presso il tribunale di Cremona ed esperto di truffe finanziarie e dell’Ing Davide Gionco esperto economico.

 

Il prof Bordin ha analizzato il concetto di sovranità, il ruolo della moneta in uno stato sovrano e ha riassunto la storia della perdita della sovranità monetaria in Italia. Tema ripreso e approfondito, con una vasta documentazione di fatti e schede riassuntive, dal dr Govoni. Egli ha ricordato gli atti legislativi che hanno consentito la cessione di sovranità monetaria ed il controllo occulto della Banca d’Italia da parte di fondi speculativi internazionali, ponendo particolare enfasi al ruolo svolto dal decreto legislativo Amato-Barucci n. 481 del 14 Dicembre 1992, con il quale venne superata la legge bancaria del 1936 e con essa la separazione, sino a quel momento garantita dalla Banca d’Italia pubblica, tra banche di credito commerciale e banche speculative finanziarie.

Altro passaggio decisivo: la lettera che il ministro Beniamino Andreatta, Il 12 febbraio 1981 scrisse al Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, con la quale sancì il “divorzio” tra le due istituzioni. Il provvedimento, formalmente giustificato dall’intento del controllo delle dinamiche inflattive generatesi a  partire dallo shock petrolifero del 1973 e susseguente all’ingresso dell’Italia nel Sistema Monetario Europeo (SME), ebbe effetti devastanti sulla politica economica italiana.

Govoni ha anche evidenziato i modi con cui i fondi speculativi internazionali stanno impoverendo gli enti locali, le piccole e medie imprese, le parrocchie e le famiglie italiane e i gravissimi danni anche di natura fiscale da essi fatti all’Italia.

 

L’Ing. Gionco, con una serie di efficacissime slides, con efficienti tabelle e dati numerici, ha mostrato i danni derivanti al Paese dalla cessione di sovranità monetaria, indicando le soluzioni legislative e politiche per la ripresa di detta sovranità e per far ripartire l’economia interna italiana, avendo come obiettivo la piena occupazione.

 

Ritorno al controllo pubblico della Banca d’Italia e reintroduzione della separazione tra banche commerciali e banche speculative finanziare; ritorno dei crediti all’economia reale dal risparmio raccolto dalle banche e non da quello costruito con un clic dallo strapotere degli edge funds anglo-caucasici che domina il sistema finanziario mondiale.  Un sistema che ha oramai subordinato ai suoi fini tanto l’economia reale che la stessa politica.

 

Risultato drammatico, evidenziato anche dal dr Govoni: al netto dell’attività bancaria, stranamente inserita tra le attività industriali, l’Italia, che nel 1991 era la quinta potenza industriale al mondo, nel 2016 è scesa al 45°-46 esimo posto, con una perdita netta di capitali pubblici e di produzioni industriali trasferite in territori nei quali la mano d’opera non supera gli  80-100 € al mese. Tutto ciò con le drammatiche conseguenze sul piano dell’occupazione generale e giovanile in particolare e con l’impoverimento progressivo dei ceti medi.

 

Infine il prof Bordin ha fatto presente le manipolazioni dell’informazione di massa e universitaria come copertura alle azioni di rapina nei confronti dell’economia italiana, mostrando alcuni esempi di falsi sillogismi del pensiero unico economico largamente diffusi dai media dominati degli stessi poteri di controllo del sistema finanziario.

 

Insomma una lezione a tutto tondo, che si è inserita perfettamente negli obiettivi fondamentali che il movimento COEMM e i Circoli CLEMM si pongono; come quelli della “medietà”, per superare i disvalori che stanno alla base delle enormi disuguaglianze sociali; il passaggio dall’”io” egoistico a un “noi”altruistico, premessa per ricondurre nell’economia principi di relazionalità e solidarietà che sono un forte richiamo a quei temi tanto cari all’economia civile, e che riconducono a quelli della dottrina sociale cristiana.

 

Il richiamo, infine, all’educazione di un’etica più avanzata, quale forma di benessere e felicità diffusa;  un’etica da inserire all’interno dell’economia e non fuori di essa . Tutto ciò in perfetta sintonia con quanto indicato dall’enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVI.

 

Devo dire che, come hanno ben descritto nei loro interventi introduttivi, la presidente di COEMM International,  Dr Maura Luperto, e il fondatore del Coemm International, Dr Maurizio Sarlo, è assai forte la volontà di svegliare le coscienze e di offrire una nuova speranza alla gente.

 

Impressionanti  i dati di diffusione dei CLEMM raggiunti nei due anni di capillare attività condotta su tutto il territorio nazionale. A livello italiano sono 10827 i circoli  costituiti, per un totale di 111.300 persone, con una media di 9,3 persone  ospiti (P.O.) di ciascun circolo.

 

Ogni circolo CLEMM fa riferimento, dunque, a circa 5600 persone presenti in ciascun territorio di competenza, il che significa la presenza fisica di un O.P. ogni 500 persone.

 

La copertura dell’intero territorio nazionale è pari al 63,5% dei comuni, tenendo presente che, nel caso dei piccoli comuni dove non è ancora sorto un P.O. ne esiste uno in un paese vicino.

 

Questi dati assumono un rilievo ancor più rilevante nel Veneto nel quale sono attivati 1460 CLEMM con la partecipazione di 14300 persone, con una media di 9,3 persone per ciascun circolo, la copertura del 98% dell’intero territorio e con un P.O. ogni 335 abitanti.

 

Credo che con una tale articolazione territoriale ci siano tutti i presupposti per sentire parlare presto della nascita di un nuovo partito, in grado di intercettare i bisogni di molti elettori indignati dall’attuale triste spettacolo parlamentare. Elettori appartenenti sia alla fascia del 50% degli attuali votanti, ma, soprattutto, facenti parti di quel 50% che da qualche tempo deserta le urne.

 

Elettori che, nell’attuale deserto culturale della politica, sono  alla ricerca di un nuovo umanesimo in grado coniugare, con la centralità della persona, i principi e i valori etici della solidarietà e della sussidiarietà e il ritorno ai principi del NOMA ( Non Overlapping Magisteria); ossia al primato dell’etica e della politica che dettano i fini e l’economia reale e la finanza che fungono da strumenti essenziali e indispensabili per il loro perseguimento.

 

Tra i 650 presenti ho visto molti ex democratici cristiani e, se non accadono, come auspico,  cose nuove in quell’area alla quale anch’io faccio riferimento,  mi sto convincendo che anche molti altri ex DC potrebbero ritrovarsi in questo nuovo partito, magari sollecitati da procedure di selezione dei candidati di tipo democratico e partecipato dal basso.

 

Se la rete del M5S può contare su circa 30.000 persone, i CLEMM hanno saputo connettere 111.000 persone con la capacità di un effetto moltiplicatore rilevante.

 

Credo che a breve si tornerà a parlare di questo fatto nuovo nella politica italiana.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 15 Ottobre 2017


Una conferma alla teoria dei quattro stati

 

Adesso è ufficiale: l’economia sommersa e le attività illegali in Italia valgono 208 miliardi di euro, il 12,6% del PIL. Queste sono le stime che l’ISTAT ha elaborato per l’anno 2015.

Prende consistenza la mia teoria euristica dei quattro stati, con la quale ho tentato di rappresentare in maniera semplificativa la situazione sociale dell’Italia.

 

Riassumo brevemente quella teoria così come la descrivevo nel 2014:

 

Il primo Stato, quello della casta, è formato da oltre un milione di persone che vivono attorno alla politica e alle istituzioni, con laute prebende e benefits diversi. E’ l’aristocrazia dell’ancien regime trasferita nel XXI secolo.

 

Il secondo Stato è quello dei diversamente tutelati, che contiene l’intervallo compreso tra le alte gerarchie pubbliche ( magistratura, alta dirigenza burocratica dello Stato e degli enti pubblici statali, parastatali e degli enti locali) sino all’ultimo gradino della scala rappresentato dai cassaintegrati e disoccupati con indennità e a quello dei senza tutela, come gli esodati e i disoccupati senza indennità.

 

Il terzo stato produttivo è quello che produce la parte prevalente del PIL: PMI con i loro dirigenti e dipendenti, agricoltori, commercianti, artigiani, liberi professionisti. La struttura portante dell’intero sistema.

 

Con le nuove norme comunitarie si scopre l’esistenza del “quarto Stato”, un settore che potremmo qualificare come l’extra o l’anti Stato, rappresentato dal lavoro nero, droga, prostituzione, contrabbando.

 

Un settore fuori da ogni regola, che preleva  ricchezza dal sistema e in larga parte la rimette in circolo sotto forma di consumi, risparmi e investimenti diversi, sottraendosi a ogni controllo e incidendo, comunque, in maniera significativa sul sistema stesso e non solo sul piano economico e sociale.

 

Solo su quello economico, scrivevo nel 2014, incide per oltre il 14% sul PIL italiano che, nel 2013, è stato calcolato in circa 1393 miliardi di euro, per non parlare delle sue nefaste incidenze anche sul piano politico e dei condizionamenti nelle istituzioni……

 

A distanza di pochi anni i dati da me descritti inerenti al “quarto stato” sono sostanzialmente riconfermati, così come riconfermata è la condizione di anomia sociale, economica e istituzionale del Paese, nel quale il terzo stato produttivo sta vivendo una condizione di progressivo impoverimento che si aggiunge ai dati drammatici della povertà assoluta di circa cinque milioni di persone, secondo gli ultimi dati ISTAT.

 

Se con la vittoria del NO al referendum del 4 dicembre scorso abbiamo contribuito a consolidare la Costituzione, ossia il patto scritto tra gli italiani, la condizione sociale, economica e strutturale del Paese rimane sostanzialmente frantumata, mentre una casta di “ nominati illegittimi” continua a rimanere sorda ai segnali di inquietudine che emergono qua e là, tentando di auto conservarsi nella propria condizione di privilegio.

 

La democrazia in Italia è stata sospesa da un pò di tempo. Imporre il voto di fiducia sulla legge elettorale è la prova definitiva che viviamo sotto un regime. La Casta cerca di rimanere aggrappata al potere come può, e arriva persino a calpestare senza vergogna ogni principio della Costituzione. E ponendosi al di fuori della Costituzione, la Casta dei “ nominati illegittimi” compie un vero e proprio golpe, perdendo ogni legittimità a governare.

 

I quattro pilastri su cui si fonda ciò che rimane della coesione sociale: la famiglia, il patrimonio, le pensioni e la sanità,  risultano, ciascuno in forme più o meno forti, in via di progressivo rapido deterioramento, mentre mancano strumenti di aggregazione unificanti con la scomparsa degli antichi riferimenti culturali, ideali  e politici della famiglia, della  Chiesa, della scuola, dei  partiti e dei sindacati.

 

I partiti dei “ nominati illegittimi” del Parlamento fanno quadrato con una sostanziale convergenza su una legge elettorale che vorrebbe garantire possibilità di governance in un sistema che soffre di una terribile disgregazione sia generazionale sia territoriale.

 

La prima, evidenziata dalle perduranti cifre, oltre il 40%, della disoccupazione di giovani senza più prospettive e speranze; la seconda risultante dai dati sconfortanti su molti elementi di struttura tra il Nord e il Sud del Paese.

 

In questo quadro di forte anomia ho sperato che potesse avverarsi il miracolo di una ricomposizione dell’area cattolica e popolare italiana;  un centro di ispirazione democratico cristiana capace di offrire una nuova speranza all’Italia. Rilevo, invece, il permanere di assurde e suicide frammentazioni, con piccoli leader di movimenti e gruppi più interessati ad accaparrarsi qualche posizione sicura nelle prossime liste elettorali, che a concorrere all’unità politica.

 

Può darsi che mi sbagli, ma, nella confusione dell’”ammucchiata del rosatellum”, se il 50% dei sin qui riluttanti al voto andasse  a votare, l’unico ad averne vantaggio sarebbe il Movimento Cinque Stelle.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 12 Ottobre 2017

 

 

 

I popolari veneti a sostegno del referendum del 22 Ottobre

 

Alla fine del 2015, con molti autorevoli amici veneti, avevamo condiviso l’idea della macroregione del Nord-Est, convinti che: : “esiste, ed è costituzionalmente previsto, un meccanismo, mai esplorato, per arrivare alla macroregione “speciale” triveneta, con Trentino e Friuli Venezia Giulia, omogenee per cultura, storia, caratteristiche economiche e tessuto sociale, a costo “zero” per lo Stato.

Attraverso, cioè, l’applicazione dell’art. 132, comma 1, della Costituzione, ovvero promuovendo la richiesta di fusione delle tre regioni venete da parte di tanti consigli comunali quanti rappresentino 1/3 della popolazione complessiva (circa metà del Veneto), si determinerebbe la convocazione di un referendum, che, se avesse esito positivo obbligherebbe le camere a discutere una legge costituzionale di accorpamento del Triveneto.

Fondere due regioni speciali e una ordinaria comporterà necessariamente la creazione di una macroregione speciale, in cui vi sarà una diversa modulazione, anche mantenendole invariate, delle attuali risorse dello Stato per il medesimo territorio, altresì potendo l’itero triveneto beneficiare della autonomia fiscale ora riconosciuta solo a TTAA e FVA.

Inoltre, sul piano strategico una macroregione del nordest, cuore e crocevia degli assi nord/sud ed est/ovest dell’Europa, appare uno straordinario strumento di attrazione di investimenti, nonché di interlocuzione autorevole con le istituzioni italiane ed europee a immediato beneficio della crescita dell’intero territorio.

La proposta potrebbe nascere da alcuni Sindaci di importanti città venete, sotto l’egida di autorevoli riferimenti veneti nel mondo del diritto, delle professioni, dell’economia, della cultura, dell’editoria.”

 

Quella nostra indicazione, ahimè, non fu raccolta dalle forze politiche presenti nel Consiglio regionale del Veneto e cadde tra i “ wishful thinkings” (pensieri vaghi) impotenti e insoddisfatti. Peccato, perché sarebbero bastati i pronunciamenti dei consigli comunali dei sette comuni capoluoghi del Veneto per far scattare quel referendum.

 

La Lega e il Presidente Zaia, con la maggioranza del consiglio regionale veneto, hanno deciso diversamente, proponendo la strada di un referendum consultivo per la cui indizione si è avuta via libera dalla Corte Costituzionale.

 

Comprensibili le opposizioni di chi considera questa consultazione senza effetti concreti sul piano istituzionale; tuttavia, dopo che altre due richieste avanzate negli ultimi vent’anni erano state ignorate, ritengo che non dobbiamo farci sfuggire l’occasione per gridare alto e forte la nostra volontà di acquisire una più ampia autonomia del tutto simile a quelle di cui godono i nostri fratelli del triveneto: friulani, trentini  e alto-atesini .

 

Una forte partecipazione al voto del 22 Ottobre e un prevedibile voto plebiscitario a sostegno di una maggiore autonomia della nostra Regione, saranno la precondizione politica per aprire un confronto con il governo centrale non più rinviabile.

 

50 miliardi di fondi versati da Lombardia e Veneto al governo centrale, sottratti dall’imposizione fiscale dei lombardo-veneti sono una cifra enorme non più sostenibile.

 

Non ci sottraiamo ai doveri della solidarietà a favore delle regioni italiane meno fortunate, ma non possono più accettare gli sprechi e il malgoverno di realtà istituzionali come quelle che reggono la sanità campana o laziale e lo sfregio a ogni logica elementare di buona amministrazione cui è stata condotta la Regione Sicilia.

 

Da molto tempo sosteniamo, con l’insegnamento del compianto prof. Miglio, l’idea di un’Italia federale organizzata sulla base di cinque o sei macroregioni, ma, ahimè, sin qui le nostre sono state inutili “grida nel deserto”, in un Paese centralista che non si rende conto, così com’è attualmente organizzato, di essere destinato al fallimento.

 

Ecco perché ci associamo all’invito del governatore Zaia e facciamo appello a tutti i democratici cristiani e popolari veneti affinché si rechino al voto domenica 22 ottobre, a sostegno di quell’autonomia regionale che è  parte essenziale della nostra migliore tradizione e cultura politica.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 2 Ottobre 2017

 


Il mosaico si sta ricomponendo

 

Un altro importante tassello del mosaico della ricomposizione dell’area cattolica e popolare italiana  è stato costruito ieri a Roma alla Domus Mariae, luogo evocativo di antiche memorie democratico cristiane.

 

Stimolante Il tema del convegno : “ Cattolicesimo politico e le sfide del terzo millennio”. Moderato da Gianfranco Marcelli, editorialista dell’”Avvenire”  il dibattito si è sviluppato sulle tre relazioni dei proff. Luigi Campiglio ( “Democrazia e capitalismo”), Giuseppe De Rita ( “ Democrazia e Partiti”) e Sergio Belardinelli ( “ Trasformazione della società italiana”).

 

Essi hanno descritto il quadro di un Paese nel quale, pur trovandosi davanti l’opportunità di una “finestra possibile”, in uno scenario internazionale nel quale sembra avviarsi un periodo favorevole di sviluppo e crescita,  il motivo dominante è quello di un’anomia  sociale, culturale e politico istituzionale che reclama uno scatto che il residuale vitalismo della  società civile è ancora in grado di compiere, se accompagnato da un ruolo proattivo dello Stato.

 

Unanime la condivisione di una situazione internazionale caratterizzata dal dominio della finanza che ha subordinato a sé l’economia produttiva e la stessa politica, così come condivisa è stata l’idea che l’unica risposta sin qui credibile e alternativa alle degenerazioni del turbo capitalismo finanziario è quella offerta dagli orientamenti espressi dalla dottrina sociale della Chiesa con le ultime encicliche sociali: dalla Centesimus Annus, alla Caritas in veritate, Evangelii Gaudium e Laudato Si.

 

Di qui la necessità di una ripresa dell’azione politica dei cattolici per tentare di tradurre nella “città dell’uomo” quelle indicazioni pastorali al fine di ridurre le disuguaglianze terribili  e le povertà imposte dal sistema dominante.

 

Il grande merito storico della DC, che fu la capacità di realizzare la giusta mediazione tra gli interessi delle classi popolari con quelli dei ceti medi produttivi, è naufragato nel ventennio della seconda repubblica. Un periodo  nel quale il terzo stato produttivo ( agricoltori, commercianti, artigiani,  dirigenti e operai della piccole  e medie industrie, professionisti), ossia i produttori reali del reddito nazionale, sono i reggitori di un sistema nel quale, al servizio della casta, dei diversamente tutelati e del terzo non Stato, è praticamente privato di una reale rappresentanza a livello politico istituzionale.

 

Marco Follini ha evidenziato nel suo intervento l’esigenza di una grande battaglia culturale finalizzata a ricostruire quella coesione nazionale, che le due grandi fratture determinatesi nel Paese, quella territoriale quella generazionale, hanno frantumato.

 

Siamo in una drammatica situazione di rischio secessione rispetto alla quale è necessario riscoprire i fondamentali della migliore tradizione popolare e democratico cristiana.

 

Il prof Carli di Roma ricordando i quattro essenziali fattori che tengono unito il Paese: famiglia, patrimonio, sanità e pensioni, ha sottolineato che solo tornando a favorire politiche di crescita e di lotta alla disuguaglianza si potranno evitare rischi pericolosi per l’Italia.

 

Paolo Cirino Pomicino che, con De Mita,  è stato uno degli organizzatori di questa giornata di riflessione tra tutti i DC “ ovunque fossero collocati” ha ricordato che quella della Domus Mariae  “è  una riflessione iniziale che dovrà innescare una serie di incontri e di riflessioni ulteriori per fare emergere con forza un pensiero politico compiuto fondato su quel cattolicesimo sociale che ancora oggi alimenta i governi di alcune grandi democrazie europee.

Un pensiero politico che deve innanzitutto offrire soluzioni possibili alle grandi questioni che affannano l’Italia, l’Europa e gran parte del mondo. Il lavoro, il devastante capitalismo finanziario, l’irresponsabile sfruttamento delle risorse del pianeta, le crescenti disuguaglianze e  la crisi democratica sono le sfide fondamentali che il terzo millennio porta con perfida spregiudicatezza alle società nazionali”. Concetti condivisi anche negli interventi degli amici Mario Tassone, Giuseppe Gargani e Danilo Bertoli che ha portato anche l’adesione di Gianni Fontana.

 

Se la politica è lo strumento di mediazione tra interessi e valori, nella condizione attuale dell’Italia e dell’Europa, nelle quali assistiamo al prevalere dei disvalori di una società dominata dall’ateismo, dal relativismo etico, e dalla subordinazione globale agli interessi del turbo capitalismo finanziario  con la riduzione al progressivo impoverimento dei ceti medi e delle classi popolari, serve una nuova e diversa proposta politica rispetto a quella rappresentata dall’attuale tripolarismo impotente parlamentare italiano.

 

Illuminante l’intervento conclusivo di Ciriaco De Mita, il quale, da tempo impegnato a riflettere sulla ricostruzione della storia democratica del Paese, è  giunto alla conclusione che con il prossimo voto politico ci giocheremo probabilmente l’ultima partita della democrazia rappresentativa.

 

Tra un PD impegnato a bloccare, ma incapace di aggregare e un centro-destra che si aggrega ma è incapace di una sintesi credibile, siamo, ha detto De Mita, in una situazione nella quale entrambi questi schieramenti non sono in grado di offrire un’efficace governabilità, ossia  soluzioni ai problemi del Paese.

 

Se il M5S ha potuto rappresentare sin qui il contenitore dello sfogo di quegli elettori stanchi e sfiduciati, fermo restando il 50% di elettori renitenti al voto, dopo il ventennio della seconda repubblica, appare chiaro che l’unica cultura democratica che sopravvive è quella popolare.

“ Non ho mai sentito parlar bene della DC, in questi tempi, come da quelli che furono i nostri più accesi avversari” ha rilevato con una certa ironia l’On De Mita.

 

Forte è la consapevolezza e la volontà espressa da De Mita di lavorare per un progetto ambizioso di lungo periodo, per una nuova e diversa prospettiva per i giovani, senza, tuttavia, perdere di vista la prossima scadenza elettorale.

 

Guai se qualcuno di noi rinunciasse ad apportare il proprio contributo a questo progetto di ricomposizione politica dell’area cattolico-popolare, perseguendo meri interessi di sopravvivenza personale in questo o quello schieramento.

 

Nostro obiettivo è quello  di riaggregarci come DC e batterci insieme con chi vuole difendere la democrazia nel paese. Organizziamo tante piccole riunioni locali finalizzate a sostenere, come abbiamo fatto il 4 Dicembre noi Popolari per il NO, la democrazia in Italia, l’attuazione integrale della Costituzione puntando all’unità possibile dei cattolici.

 

Quella dell’”unità possibile” è lo stesso tema che anche gli amici di “Costruire Insieme”, l’associazione di area cattolica guidata da Ivo Tarolli, si propongono.

 

Dalla Domus Mariae, come  dalle molte altre riunioni di area cattolica che, in queste settimane, si stanno succedendo in varie parti d’Italia, ci auguriamo che si possa condividere:

a) la necessità di moltiplicare su tutto il territorio nazionale iniziative analoghe per coinvolgere e motivare i tanti Movimenti, Associazioni, Gruppi di impegno etc. di ispirazione cattolica, in modo da dare all’iniziativa una connotazione che proviene dal basso e pertanto partecipata e coinvolgente;

b) di ritenere non differibile un impegno generoso, chiaro e diretto nella società italiana per non far mancare il proprio contributo alla soluzione dei tanti problemi sul tappeto;

c) di impegnarsi a elaborare, coinvolgendo le tante energie presenti sul Territorio, un Progetto concreto ed ambizioso e di favorire l'emergere di una classe dirigente nuova e qualificata.

Rispetto alla frammentazione in atto, dovremo convenire, inoltre, sull'imperativo del ritorno all'obiettivo della "Unità Possibile" delle tante realtà italiane di ispirazione Cattolica; come un cammino di condivisione e come occasione di coinvolgimento e nuovo protagonismo. I Cattolici devono ritornare a essere utili alla società italiana e per questo devono far vincere la logica dello "stare assieme", superando la fase della frammentazione che ci ha portato alla condizione non più tollerabile della irrilevanza"

Ettore Bonalberti

Venezia, 30 Settembre 2017

 

 

Non ci sono più alibi

 

Nella  prolusione al consiglio permanente della CEI di Lunedì 25 Settembre, il Presidente card Bassetti ha citato tre eminenti personalità della nostra storia cattolica italiana: Don Primo Mazzolari, Don Lorenzo Milani e Giorgio La Pira, che sono stati anche i punti di riferimento della formazione politico culturale della nostra giovinezza.

 

A conclusione del suo importante intervento, il card Bassetti si è rivolto all’Italia con queste parole:

“Cari confratelli, tra queste priorità irrinunciabili per il Paese che ho appena tratteggiato c’è un unico filo comune: l’Italia. A noi interessa che l’Italia diventi un Paese migliore. Bisogna perciò avere la forza, il coraggio e le idee per rimettere a tema l'Italia nella sua interezza: con la sua storia, il suo carattere, la sua vocazione. L’Italia è un Paese bellissimo, straordinariamente ricco di umanità e paesaggi, ma estremamente fragile: sia nel territorio che nei rapporti socio-politici. Ai cattolici dico che la politica, come scriveva La Pira, «non è una cosa brutta», ma una missione: è «un impegno di umanità e santità». La politica come affermava Paolo VI, è una delle più alte forme di carità. Papa Francesco ha più volte auspicato la necessità dei cattolici in politica. Ma come?

Non spetta a me dirlo. Quello che mi preme sottolineare è che il cuore della questione non riguarda le formule organizzative. Il vero problema è come portare in politica, in modo autentico, la cultura del bene comune. Non basta fare proclami. La proclamazione di un valore non ci mette con la coscienza a posto. Bisogna promuovere processi concreti nella realtà.

Non è auspicabile che, nonostante le diverse sensibilità, i cattolici si dividano in «cattolici della morale» e in «cattolici del sociale». Né si può prendersi cura dei migranti e dei poveri per poi dimenticarsi del valore della vita; oppure, al contrario, farsi paladini della cultura della vita e dimenticarsi dei migranti e dei poveri, sviluppando in alcuni casi addirittura un sentimento ostile verso gli stranieri. La dignità della persona umana non è mai calpestabile e deve essere il faro dell’azione sociale e politica dei cattolici.

I cattolici hanno una responsabilità altissima verso il Paese. Dobbiamo, perciò, essere capaci di unire l’Italia e non certo di dividerla. Occorre difendere e valorizzare il sistema-Paese con carità e responsabilità. Perché il futuro del Paese significa anche rammendare il tessuto sociale dell’Italia con prudenza, pazienza e generosità.”

Si tratta di indicazioni pastorali autorevoli e inequivocabili, in grado di offrire una prospettiva per chi, da cattolico o anche da persona ispirata ai valori dell’umanesimo cristiano, intenda concorrere a superare la grave  condizione di anomia dell’Italia, che il card Bassetti ha evidenziato nella sua pregevole prolusione.

Credo si debba ripartire proprio da queste indicazioni, se vogliamo concorrere alla ricomposizione dell’area cattolico popolare italiana; un’area che sia in grado di assumere la “cultura del bene comune” come obiettivo della propria proposta politica. Bene comune che, nella concreta realtà italiana, comporta di attuare integralmente il dettato costituzionale, che i nostri padri fondatori seppero redigere, insieme a altre nobili culture politiche, assumendolo come uno degli  obiettivi essenziali della Repubblica.

 

I primi a dover dare il buon esempio dovremmo essere proprio noi “DC non pentiti”, con il dovere morale di superare tutte le assurde e colpevoli divisioni che hanno caratterizzato tutti questi anni, impegnandoci con Gianni Fontana, presidente legittimo della DC, “partito mai giuridicamente sciolto”, ad avviare un serio confronto programmatico; ad aprire il tesseramento per accertare se e quanti cittadini italiani intendono riconoscersi ancora nei valori democratico cristiani, oggi ancor più di ieri indispensabili all’Italia, e per celebrare insieme e a tempi brevi un Congresso unitario del partito con l’elezione della nuova classe dirigente.

 

Se questo sembra a molti un sogno o un’utopia, confesso che per me, è quello che ho cercato di perseguire dalla fine infausta della Democrazia cristiana ( 1993) e per il quale ho ritenuto avesse senso continuare  nell’impegno politico,  questo sì, l’ultimo della mia vita.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 27 settembre 2017

Un gonfalone di cui andiamo fieri


Confesso dopo molti anni che, secondo l’opinione del governo Gentiloni, sarei colpevole di aver commesso un reato; infatti,  nel 1984, un anno dopo la mia nomjna a DG dell’ARF ( Azienda regionale delle foreste del Veneto)  fui tra i primi negli uffici regionali a chiedere al Presidente della Giunta, il compianto Carlo Bernini, l’autorizzazione a esporre, accanto alla bandiera nazionale ed europea, la nostra gloriosa bandiera regionale con il Leone di San Marco.

Bernini mi autorizzò, dando incarico al cerimoniale di consegnarmi la bandiera che tenni esposta nel mio ufficio per tutta la durata del mio incarico e che, ovviamente, esponemmo in tutte le sedi dei territori boschivi di proprietà del demanio regionale.

E’ ridicola l’impugnativa da parte del Governo  della legge della regione Veneto n. 28 del 05/09/2017, che riguarda l'esposizione del gonfalone con il leone di San Marco.

Bene ha fatto l’amico On Domenico Menorello a rammentare al Governo che: “ l'art. 2 dello Statuto regionale, che é anche legge dello Stato in cui, caso unico in Italia, si riconosce espressamente il diritto all'autogoverno del popolo veneto".

E quello non fu uno Statuto proposto dalla Lega, ché all’epoca nemmeno esisteva, ma dalla Democrazia Cristiana veneta, quella  del primo presidente della giunta regionale,  Angelo Tomelleri,   con il consiglio regionale presieduto da un altro democristiano Doc, Vito Orcalli.

Condividiamo, dunque, e sosteniamo la scelta operata dal Presidente Luca Zaia in linea con una tradizione autonomistica che ha radici antiche di cui andiamo fieri.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 24 Settembre 2017

 

 

 

Alla vigilia di numerosi incontri di movimenti, associazioni, gruppi e partiti di area cattolica e popolare, da Washington dove sta tenendo alcune lezioni di etica, il prof Antonino Giannone, ci invia questo bel documento che riassume egregiamente il pensiero di ALEF e di Insieme in questa fase nella quale si sta tentando di ricostruire una presenza politica non effimera dei cattolici italiani.


Ettore Bonalberti

Venezia, 16 Settembre 2017

 

I numerosi cespugli cattolici alla ricerca di un'area fertile per diventare una grande foresta                              di Antonino Giannone

 

Cari Amici 

Giovanni Tomei, Piero Pirovano, Sandro Diotallevi, Gianni Fontana, Leonardo Triulzi e Luigi Intorcia, Ivo Tarolli ed Ettore Bonalberti, Mirko De Carli, Gandolfini e Pillon, Paolo Maddalena e Gigi De Giacomo unitamente ai tanti Amici delle Associazioni, Movimenti, Partiti  che rappresentate ufficialmente e che s'incontreranno con Voi in diversi convegni nei giorni 16-21-22-23- 24 cm e in Ottobre, v'invio alcune considerazioni, come mio contributo personale. 

Vi trasmetto la presente da Washington dove sto svolgendo alcuni impegni universitari e professionali, in particolare con approfondimenti sull'Etica e l'Innovazione tecnologica nella società della globalizzazione e dell'era digitale.

Ormai, la valutazione secondo la quale la crisi economica che sta investendo la società occidentale e Italiana, in particolare a partire dal 2008, sia stata originata da cause di tipo morale e non solo economiche, come hanno più volte e opportunamente ribadito il magistero ecclesiale e la Dottrina sociale della Chiesa, è ormai pienamente accettata, condivisa e fatta propria da differenti angolazioni culturali e politiche. 

In Italia, in particolare, si vive in una situazione politica con un Parlamento, considerato "illegittimo" e un Governo senza un reale mandato popolare dal 2011, dopo la "cacciata" di Berlusconi e del suo Governo dal "parterre" internazionale e dallo stesso Parlamento per l'applicazione retroattiva della legge Severino. E' una premessa già condivisa, con molti di Voi, che in questi anni di trasformismo incredibile e' bene tenere presente per le iniziative che si vorranno assumere.

E' ormai del tutto evidente, come ha già più volte scritto l'amico Ettore Bonalberti, che offrire una speranza a quel 50% di elettori renitenti al voto, per "evitare che l’anomia diffusa e il disagio sociale profondo dei ceti popolari e del terzo stato produttivo, possano sfociare nella rivolta sociale",  significa, innanzi tutto, riuscire a ricomporre sul piano politico la colpevole frammentazione che ha caratterizzato la lunga stagione della diaspora cattolica e popolare. 

L'Osservatore della Dottrina Sociale della Chiesa del Cardinal Von Thuan ha significativamente già fatto questa analisi sull'afasia di noi cattolici in questi ultimi 20/25 anni. Adesso, per molti della mia generazione, nati durante la II^ guerra mondiale, non si tratta più di ricostruire la Democrazia Cristiana di Don Sturzo, De Gasperi, Moro e di altri autorevoli politici cristiani, seppure attraverso elementi costitutivi aggiornati, ma semmai di impegnare tutti Voi, amici che Vi accingete a celebrare i prossimi incontri, seminari, convegni autunnali, nell’obiettivo di superare le divisioni e giungere alla formazione di un nuovo soggetto politico ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano e della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica.  

Un soggetto politico in grado di rappresentare “la piazza dei diritti e della società naturale”, che pone al centro della politica la persona, la famiglia e i corpi intermedi, e intende regolare le relazioni sociali e istituzionali secondo i principi della sussidiarietà e della solidarietà. 

Tutti dovremmo convenire sull'imperativo del ritorno all'obiettivo della "Unità Possibile" delle tante realtà italiane di ispirazione cattolica. 

Noi cattolici dovremmo ritornare ad essere utili alla società italiana e per questo dobbiamo far vincere la logica dello "stare assieme", superando la fase delle frammentazioni e individualismi che ci hanno portato alla condizione non più tollerabile della irrilevanza politica nelle scelte dei governi che si sono succeduti. 

Prima di tutto, dunque, l’unità più ampia possibile dei cattolici, e dopo, solo dopo, anche in funzione della legge elettorale che il parlamento dei “nominati illegittimi” ci consegnerà, si decideranno le possibili convergenze. 

Accanto a una piattaforma programmatica capace di rispondere “alle attese della povera gente” e a riconciliare gli interessi e i valori delle classi popolari con quelli dei ceti medi produttivi, servono precisi principi di Valori etici condivisi che vanno riproposti nella formazione dei giovani e delle nuove classi dirigenti. 

Servirebbe il coraggio che ho trovato nella CUA (Catholic University of America) in Washington DC nel proporre pubblicamente le caratteristiche dell'insegnamento e della didattica: "la nostra scuola è diversa dalle altre perché ha una missione molto chiara e questa missione è presentare la dottrina sociale cattolica e aiutare il mondo delle imprese a capire come attuarla in modo che possa essere di beneficio alle  organizzazioni imprenditoriali, alle persone che vi sono impegnate e alla società nel suo complesso". 

Quindi, noi cerchiamo coerentemente nelle prossime scelte politiche di condividere con i laici ispirati cristianamente 

- La dignità della persona umana. - La Sussidiarietà- Il Bene comune -La Solidarieta' e la tutela dei Diritti della Costituzione della Repubblica italiana.

Mi piace definire questa "idea" che ho appreso qui al CUA come "tutto per tutti" che potrebbe significare che ci impegniamo a prestare attenzione a come possiamo lavorare con tutti nei vari ambiti e settori della società ed essere sicuri che ciò che facciamo sia davvero che stiamo cercando di aiutare tutti ad avere positivi risultati. 

In conclusione va riaffermato senza ambiguità il principio che la dottrina sociale cattolica non si oppone al capitalismo e all'economia di libero mercato, ma semmai e' certamente contraria allo strapotere del neo liberismo e del finanz-capitalismo, teoria che ha emarginato ed emargina sempre più la persona, nel mondo del lavoro, con la "strategia dello scarto", come Papa Francesco ha spiegato in più occasioni. 

Vorrei che concludessimo con l'invito ai tanti  cattolici e laici dormienti e assenti a far parte di questa sfida politica, emozionante e ispiratrice per la ricostruzione dell'Italia e a farlo con l'Etica della responsabilità e l'Etica dei principi sia nella società, sia, in particolare, nella politica attraverso coloro che saranno i nuovi rappresentanti che eleggeremo nel nuovo Parlamento. 

^ Prof. Etica professionale e Relazioni industriali. 

- Dipartimento Etica e Società di "Costruire Insieme"

- Vice Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)

 

 

 

Riflessioni d’autunno per l’area cattolica e popolare

 

Nei prossimi due mesi sono in programma un numero rilevante di incontri, seminari di studio, e convegni, organizzati da vari movimenti, gruppi, associazioni dell’area cattolica, espressione di un fermento che non si aveva da tempo. Un fermento che la recente intervista del card. Bassetti, Presidente della CEI a “ La Repubblica”, con la quale si confermava l’’urgenza di un impegno politico dei cattolici italiani, può e deve aver favorito.

 

Siamo in presenza, probabilmente, di una nuova fase, caratterizzata da una più precisa volontà di ricomporre ciò che è stata la frantumazione sul piano politico e culturale dei cattolici dopo la fine della DC.

 

La consapevolezza dell’irrilevanza nella quale sono precipitati i cattolici e la loro cultura, sostanzialmente misconosciuta, salvo rare eccezioni, dall’attuale tripolarismo presente a livello parlamentare, è lo stimolo efficace per questo rifiorire di iniziative dell’ area cattolico popolare in questo autunno pre-elettorale.

 

I tre poli presenti in Parlamento ( centro-destra, centro-sinistra, M5S), sono costituiti dai “ nominati illegittimi”, frutto di una legge elettorale incostituzionale, che sono derivati e sopravvissuti al “golpe blanco” di Napolitano del 2011 e rappresentano gli ultimi  conati della cosiddetta “ Seconda Repubblica”.

 

Portatori di valori laicisti e sostanzialmente anti cattolici, specialmente quelli rappresentati dal PD e dal M5S, ma largamente diffusi anche tra diversi esponenti del centro-destra, i tre poli sono l’espressione diretta del 50% dei cittadini che vanno a votare; quelli, che nella mia “teoria dei quattro stati”, sono prevalentemente membri della “casta”, dei “diversamente tutelati” ( certo quelli meglio garantiti), del quarto “ non Stato” e, solo in parte, del “terzo stato produttivo”.

 

La rottura di quella mediazione storicamente garantita dalla DC tra interessi e valori dei ceti medi e delle classi popolari, il prevalere di culture proprie della “piazza radicale di massa” a forte connotazione relativistica e nichilista, sta alla base di quella condizione di anomia sociale e culturale, aggravata da una condizione economica dominata dalle scelte imposte in Italia, come a livello universale, dal turbo capitalismo finanziario dominante.

 

I cattolici italiani, almeno quelli che non si sono intruppati nei partiti dei tre poli, la cui incidenza reale nelle scelte politico istituzionali è praticamente nulla, hanno coscienza di questa triste condizione. Una consapevolezza che, finalmente, sembra diffondersi anche tra figure eminenti della stessa gerarchia cattolica.

 

Tradurre nella “città dell’uomo” le indicazioni della dottrina sociale della Chiesa, unica vera fonte di una cultura alternativa a quella che sembra dominare nel mondo occidentale, capace di denunciare i limiti e i condizionamenti pesanti di un sistema capitalistico che assegna il primato alla finanza sull’economia reale, riducendo la democrazia e la sovranità popolare a poco più di una finta rappresentazione rituale, è l’arduo compito che compete oggi ai cattolici italiani.

 

Si tratta di offrire una speranza a quel 50% di elettori renitenti al voto, per evitare che l’anomia diffusa e il disagio sociale profondo dei ceti popolari e del terzo stato produttivo, possano sfociare nella rivolta sociale, puntando, innanzi tutto, a ricomporre sul piano politico la colpevole frammentazione che ha caratterizzato la lunga stagione della diaspora cattolica e popolare.

 

Qui non si tratta più di ricostruire la DC, seppur con elementi costitutivi aggiornati (anche se lo sforzo avviato nel 2012 andrebbe portato a termine, verificando il grado di presenza residua dei democratici cristiani in Italia), ma di impegnare tutti gli amici che si accingono a celebrare i loro prossimi incontri, seminari, convegni autunnali, nell’obiettivo di superare le divisioni e giungere alla formazione di un nuovo soggetto politico ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano. Un soggetto in grado di rappresentare “ la piazza dei diritti e della società naturale”, che pone al centro della politica la persona, la famiglia e i corpi intermedi, e intende regolare le relazioni sociali e istituzionali secondo i principi della sussidiarietà e della solidarietà.

 

Tutti dovremmo convenire sull'imperativo del ritorno all'obiettivo della "Unità Possibile" delle tante realtà italiane di ispirazione cattolica; come un cammino di condivisione e come occasione di coinvolgimento e nuovo protagonismo. I cattolici devono ritornare ad essere utili alla società italiana e per questo devono far vincere la logica dello "stare assieme", superando la fase della frammentazione che ci ha portato alla condizione non più tollerabile della irrilevanza.

 

Prima di tutto, dunque, l’unità più ampia possibile dei cattolici, e dopo, solo dopo, anche in funzione della legge elettorale che il parlamento dei “ nominati illegittimi” ci consegnerà, si decideranno le possibili convergenze.

 

In una data, evocatrice di una memoria storica cara ai cattolici italiani, il prossimo 8 dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione, legge e scadenza elettorale permettendo, si potrebbe celebrare una grande Assemblea costituente del nuovo soggetto politico italiano ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, con una piattaforma programmatica capace di rispondere “ alle attese della povera gente” e a riconciliare gli interessi e i valori delle classi popolari con quelli dei ceti medi produttivi.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 10 Settembre 2017

 

 

 

 

Serve umiltà e saggio realismo

 

Nell’attesa delle elezioni regionali siciliane, test importante per quasi tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, assistiamo, da un lato, alla scomposizione progressiva della sinistra, dopo che Renzi ha ridotto il PD a quel Golem senz’anima e senza più cultura di riferimento e, dall’altro, alla ricomposizione, seppur a fasi alterne, di ciò che rimane del centro-destra di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia

 

Alla finestra il M5S, che spera di ottenere prevalendo in Sicilia , il via libera come forza di governo nazionale, dopo le infauste, almeno sin qui, esperienze vissute a livello locale; in primis  nella capitale, la cui guida è nelle mani di quella specie di “ armata Brancaleone” della giunta Raggi.

 

Trattasi dei tre poli in cui si esprime l’attuale rappresentanza parlamentare, incapace di offrire un credibile approdo a quel 50% di elettori sin qui renitenti al voto. Sono contenitori politici nei quali è difficile scorgere la presenza di una qualificata rappresentanza  della cultura cattolica che, dopo la lunga stagione della diaspora, sta vivendo quella della sua definitiva irrilevanza.

 

Non v’è dubbio che in questi anni la più importante manifestazione popolare di ispirazione cattolica avvenuta in Italia è quella del Family Day. Una sorta di “manifestazione di massa della piazza del diritto naturale” contro “ la piazza laicista, radicale e nichilista” cui si ispira una parte non secondaria del PD renziano e di alcune componenti del centro destra.

 

Voglio partire proprio dalla realtà della “piazza del family day”, che sta vivendo il difficile passaggio dalla condizione di statu nascenti a quella di organizzazione politica, da movimento a partito, con le divaricazioni inevitabili già intervenute tra il Partito della famiglia di Adinolfi e Amato e il resto del movimento che si riconosce in Massimo Gandolfini e Simone Pillon.

 

Non c’è dubbio che l’esperienza vissuta da questa  realtà costituisce un punto di riferimento  importante, se si vuol concorrere alla ricomposizione dell’area cattolico popolare; una premessa necessaria, ma non sufficiente per dar vita a un nuovo soggetto politico capace di esprimere una sintesi politica del e per il popolo contro la casta, l’espressione di valori antropologici naturali da proporre in termini discriminanti, in grado di offrire una nuova speranza al Paese.

 

Se, tuttavia, il Pdf (Partito della famiglia) e quel che resta, altrettanto se non più importante, del movimento del Family Day, pensassero di poter costituire da soli la soluzione al problema dell’irrilevanza dei cattolici nella vita politica italiana, credo che commetterebbero un gravissimo errore.

Anche noi  “DC non pentiti”, impegnati nel tentativo di ricomposizione di ciò che resta della cultura democratico cristiana nel Paese, siamo ben consapevoli che quanto stiamo facendo  può  rappresentare un tassello significativo, forse necessario, ma, indubbiamente, non sufficiente, rispetto a quello più generale di ricomposizione dell’area cattolico popolare. Una ricomposizione  che rappresenta l’elemento, questo sì, indispensabile per la costruzione di un “Quarto Polo” in grado di porsi come alternativa credibile e vincente rispetto al falso tripolarismo in cui si sta esaurendo l’esperienza triste della Seconda Repubblica.

 

Non a caso viviamo da “osservatori partecipanti” sia il processo di ricomposizione dei democratico cristiani, avviato nell’ormai lontano 2012 insieme al presidente legittimo della DC, On Gianni Fontana, che a quello che insieme all’amico Tarolli si è ritrovato nell’associazione “Costruire Insieme”, aperta al dialogo e al confronto con altre culture compatibili e, infine, siamo interessati a caratterizzare con il nostro contributo culturale quanto sta avvenendo nella Confederazione di sovranità popolare.

Quest’ultima, sorta alla vigilia del referendum a sostegno del NO, conservando la propria autonomia sul piano dell’elaborazione e della proposta prepolitica, vede molti suoi associati impegnati  a dar vita a un auspicato “ Quarto Polo”, alternativo al tripolarismo dell’attuale Parlamento e finalizzato ad “Attuare la Costituzione”.

Come cattolici che intendono superare la condizione di irrilevanza politica attuale e porsi come risorse disponibili per il governo del Paese, prendiamo positivamente atto dei nuovi orientamenti che emergono dalla stessa CEI, con la nuova presidenza del card. Bassetti, così come sono stati espressi in una recente intervista a “ La Repubblica” (intervista di Paolo Rodari del 30.7.2017)

Mi sembra che, anche a livello della gerarchia ecclesiastica, ci si stia finalmente rendendo conto che, è tempo di tradurre nella “città dell’uomo” gli orientamenti espressi dalla dottrina sociale della Chiesa, interprete “del cambiamento d'epoca che ci coinvolge tutti - credenti e non credenti - e che non possiamo soltanto subire”, come afferma il card Bassetti nell’intervista citata. E con lui, finalmente, anche altri vescovi sembrano condividere questo stesso convincimento. Chissà che anche i parroci delle periferie sappiano superare quell’atteggiamento di neghittosa indifferenza presente negli ultimi anni, in cui é prevalsa l’opzione ruiniana della difesa dei valori in ogni ambito di impegno politico dei cattolici. Una scommessa rivelatasi fallimentare se il giovane cattolico, scout ed ex ciellino, è stato, prima a capo del governo e, ora alla guida del partito che, con il riconoscimento dei matrimoni civili, della cultura del gender, del diritto alla procreazione artificiale e all’eutanasia, si pone all’avanguardia di una cultura alternativa a quella dei cattolici e della dottrina sociale cristiana.

Credo che, conosciuta finalmente la legge elettorale che il Parlamento ci consegnerà, possa prevalere un sano realismo in tutte le diverse realtà della vasta e sin qui frastagliata  area cattolica e popolare. Auspico che si ponga finalmente fine alle divisioni e alle velleitarie aspirazioni leaderistiche personali e/o di gruppi o associazioni, per concorrere tutti insieme a costruire un nuovo soggetto politico ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano. Un partito  che ponga al centro del suo programma, con l’attuazione integrale della Costituzione, il primato della persona e della famiglia, il ruolo insostituibile dei corpi intermedi e le relazioni sociali e istituzionali  regolate dai principi della sussidiarietà e della solidarietà.

L’agenda fittissima di appuntamenti che si annuncia all’avvio di questo autunno pre elettorale mi auguro sia sviluppata facendo prevalere in tutti molta umiltà e un saggio realismo.

Ettore Bonalberti

Venezia, 7 Settembre 2017

 

 

 

 

Il futuro dei cattolici in politica

 

Sono stato attratto dal titolo del libro del prof Fabio Torriero: “Il futuro dei cattolici in politica”, editato da Giubilei Regnani (Gennaio 2017) e, letto l’interessante saggio, ho deciso di organizzare un incontro dibattito con l’autore, a Mestre  il prossimo 20 Ottobre.

 

Si parte  dalla constatazione che “I cattolici, con lo Scudo Crociato, hanno sperimentato i lunghi anni dell’unità politica. Poi, il ventennio dell’unità sui valori ( lo schema Ruini). Ma la secolarizzazione non è stata fermata. E’ possibile, sotto il pontificato di papa Francesco, tornare a parlare di credenti impegnati? Per l’autore sì, a patto che superino i loro vulnus: il privatismo, la mancanza di coscienza pubblica, la “sindrome guelfa” (la sudditanza verso i vescovi pilota), e la “sindrome ghibellina” ( un’idea neutrale e sbiadita di laicità) “.

 

Per chi, come il sottoscritto, ha costruito un’associazione come ALEF ( Associazione Liberi e Forti- www.alefpopolaritaliani.it ) e che, dalla fine della DC (1993), si batte per la ricomposizione dell’area cattolico popolare, quanto descritto dal prof Torriero rappresenta una base critica di discussione e di confronto quanto mai utile ed opportuna.

 

Tanto più  alla vigilia di elezioni politiche, nelle quali molti, forse sin troppi, fermenti si stanno realizzando dentro e fuori il perimetro dei diversi gruppi che si rifanno alla DC, e in quell’area più ampia che da Rovereto, Orvieto alla Bonus Pastor si è ritrovata nell’associazione “Costruire Insieme”, sino al costituendo “Quarto Polo”, nato su iniziativa del prof Paolo Maddalena con il sostegno degli amici della Confederazione di sovranità popolare (www.sovranitapopolare.it).

 

Nell’area assai frammentata degli ex DC, unico elemento di certezza giuridica è l’avvenuta elezione da parte dei soci DC che rinnovarono l’adesione al partito nel 2012, alla presidenza dell’associazione DC, dell’On Gianni Fontana. Per questa realtà ritengo che, al di là delle questioni di natura giuridica che hanno sin qui ostacolato il processo di ricomposizione, considerando i tempi strettissimi imposti dalla concreta realtà politica italiana, sia prioritario:

 

a)    tentare di costruire una lista unitaria dello scudo crociato, a partire dalle prossime elezioni regionali siciliane, anche al fine di valutare il grado di disponibilità a mettersi insieme, da parte di tutte le diverse articolazioni di ispirazione democratico cristiana;

b)   tentare di riaprire il tesseramento e celebrare il XIX Congresso della DC con quanti sono ancora interessati a ricostruire il partito. Un congresso da svolgere INSIEME a tutti i diversi frammenti nei quali è adesso divisa l’area degli ex DC. Ricostruire a livello locale dei comitati civico popolari di ampia partecipazione pubblica, sarebbe un modo per far partire dal basso il processo di riunificazione e rinascita del  partito e di selezione della nuova classe dirigente.

 

Questo processo di ricomposizione dell’area  democratico cristiana può  rappresentare un tassello significativo, forse necessario, ma, indubbiamente, non sufficiente, rispetto a quello più generale di ricomposizione dell’area cattolico popolare che rappresenta l’elemento, questo sì, indispensabile per la costruzione di un Quarto Polo in grado di porsi come alternativa credibile e vincente rispetto al falso tripolarismo in cui si sta esaurendo l’esperienza triste della Seconda Repubblica.

 

Con il prof Torriero condividiamo l’analisi secondo cui:” Dopo la “tesi” ( la globalizzazione liberista, il superamento degli  Stati nazionali, l’idea di un mondo unito, la UE, la democrazia mondiale, la laicità universale), egemonica per almeno il cinquantennio successivo al secondo conflitto mondiale; e dopo l’”antitesi”, in realtà speculare, funzionale alla tesi ( la fase che stiamo vivendo tuttora) , cioè la risposta identitaria, localista, nazionalista e sovranista ( bollata come xenofoba e regressiva), che non riguarda solo i movimenti emergenti di destra, ma anche i governi di alcune nazioni ( come l’Inghilterra con la Brexit e il suo ritorno a politiche protezionistiche, mirate a privilegiare gli inglesi nel mondo del lavoro), ci sarà una “sintesi”. E sarà una Grande Sintesi. Ed è qui che le nuove categorie feconderanno  la storia dei popoli, favorendo la ridefinizione e ricomposizione di soggetti politici, delle comunità organizzate e delle stesse statualità”.

 

In Italia, come sostiene Torriero, dopo Berlusconi, Renzi e Grillo, sarà la medesima cosa: “alto-basso” (popoli contro caste) e “valori antropologici” costituiranno il nuovo discrimine, il nuovo confine che riscriverà radicalmente la cittadinanza”.

 

Contro la Santa Trinità: economia, tecnologia e comunicazione dovremo reagire con la rivoluzione delle identità e della libertà. Come  da tempo andiamo scrivendo, non è con lo sguardo rivolto all’indietro, che abbiamo sviluppato e continueremo a svolgere il nostro impegno, ma con gli occhi e la mente ben aperti e in avanti.

 

Siamo consapevoli che, contro il potere dominante del turbo capitalismo finanziario, che impone i suoi dogmi, combattendo in primis i cattolici e la Chiesa romana, tentando di ridurre gli uomini a soggetti di puro sfruttamento, non sarà “l’americanizzazione della destra” operata da Berlusconi dal 1994  in poi, liberista, laicista e cesarista, né il trasformismo del  falso socialismo renziano,  che ha portato “ il berlusconismo a sinistra” e “ il PD a destra” nella prospettiva del “partito unico americano” il PdN ( Partito della Nazione, magari nella versione post elettorale del Partito del Nazareno) e nemmeno il giustizialismo moralistico del M5S a offrire una nuova speranza al popolo italiano e, soprattutto, a quel 50% di elettori renitenti al voto.

 

Serve una grande risposta di tipo antropologico, fondata sui valori della persona, della famiglia e dei corpi intermedi, declinati secondo i principi della sussidiarietà e della solidarietà, quelli indicati dalla dottrina sociale della Chiesa cattolica, che dalla Rerum Novarum in poi, con le encicliche di  Papa Giovanni Paolo II (Centesimus Annus) , Papa Benedetto XVI (Caritas in Veritate) e Papa Francesco (Evangelii Gaudium e Laudato SI) sono le stelle polari dalle quali intendiamo trarre le giuste indicazioni per il nostro impegno nella “città dell’uomo”.

 

Trattasi di un progetto per un nuovo soggetto politico ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano per il quale sono chiamati a collaborare e a convergere tutti gli uomini di buona volontà, che intendono opporsi alla deriva nichilista dominante e all’anomia politica, istituzionale e sociale del nostro Paese e dell’Europa.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia 31 Agosto 2017

 

 


Un commento all’ultimo libro di Tremonti

 

Scritto e editato  pochi giorni prima del referendum inglese sulla Brexit ( 23 Giugno 2016), l’ultimo libro di Giulio Tremonti: “ Mundus Furiosus” (Ed.Mondadori), costituisce uno strumento quanto mai utile ad avviare un confronto politico degno di una politica alta, distinta e distante da quel piccolo cabotaggio cui ci ha costretti l’ultima fase iniziata con il “golpe blanco” di Napolitano del novembre 2011.

 

Tremonti, dopo la sua ampia produzione pubblicistica ( “ Il fantasma della povertà” del 1995, “Rischi fatali” del 2005, “ La Paura e la speranza” del 2008, “Uscita di sicurezza” del dicembre 2012 e  “Bugie verità” del 2014) con quest’ultima opera  svolge un’analisi rigorosa e impietosa sull’attuale condizione di crisi istituzionale in cui si ritrova l’Europa. Una crisi istituzionale che è si  accompagna ad una concomitante crisi economica, finanziaria e sociale, generatrice di una “ribellione” diffusa tra i popoli europei che, se non trovasse risposte politiche e istituzionali adeguate, potrebbe determinarne la sua stessa fine.

 

Nel sottotitolo del libro, tuttavia, come nella sua conclusione finale, è sottintesa una possibilità di uscita positiva, con “ il riscatto degli Stati e la fine della lunga incertezza”. La proposta innovativa su cui vale la pena di avviare un costruttivo confronto è quella  di impegnarci per concorrere alla costruzione della “Confederazione degli Stati Uniti d’ Europa”, in alternativa a quel “Leviatano” tecno burocratico attuale, lontano mille miglia dagli ideali e dagli scopi originari che furono alla base del Trattato europeo.

 

In un tempo della politica, come quella italiana, caratterizzata dal dominante trasformismo parlamentare, che riduce il confronto alle transumanze continue di uomini e schieramenti, con movimenti, confronti e azioni politiche  interne e autoreferenziali della “casta politica”, del tutto distante, esterna ed estranea alla realtà di un popolo sempre più lontano dalla politica (oltre il 50% ormai di disaffezione e  renitenza al voto)  e  in preda “ al fantasma  della povertà”, la proposta politica tremontiana è un’autentica boccata di ossigeno. Essa, finalmente, permette  di discutere di alcune questioni decisive della nostra attuale condizione italiana, europea e mondiale, elevando la politica al ruolo alto che le compete, quale strumento di mediazione tra interessi e valori alla ricerca del bene comune.

 

E’ importante ripartire dal tema dell’Europa che, secondo Tremonti,“accettando passivamente i termini della più estrema altrui modernità, nella sua conseguente decadenza sta diventando l’Anciene Régime di se stessa”, tanto da dissolvere il suo vecchio “ Liberté, Égalité, Fraternité” nella “dissolvente canzone della globalità, del mercato, della moneta: “ Globalité, Marché, Monnaie”.

 

Sono analizzate le cause essenziali che stanno alla base dell’attuale situazione europea: la migrazione delle masse, con “ il fantasma della povertà che, evocato dal colonialismo sta tornando in Occidente, cominciando lentamente a muoversi da sud verso nord; la degenerazione della finanza che, con la rivoluzione digitale e la globalizzazione rappresenta una svolta epocale della storia contemporanea, con effetti politici disastrosi. Non solo assistiamo al capovolgimento dei principi del NOMA ( Non Overlapping Magisteria, con la politica che dettava i fini, l’economia che forniva gli strumenti e l’etica i valori) e la supremazia e dominio della finanza che detta i fini e subordina ad essi l’economia reale e la politica, sino a ridurre a un ectoplasma la stessa democrazia. A seguire, il  fronte delle guerre coloniali ( o “ la terza guerra mondiale”), parafrasando la tesi di Papa Francesco secondo cui: “ siamo entrati nella terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti….in realtà non è a pezzetti: è proprio una guerra”. Infine un’analisi spietata e rigorosa sulla crisi generale dell’Europa, conseguente a cinque fenomeni assai ben descritti: l’allargamento, la globalizzazione, l’euro, la crisi, l’evoluzione assolutistica dell’Europa, con la sua trasformazione politica da dinosauro in “ Leviatano”.

 

Assolutamente innovativa e approfondita la descrizione di come sia potuto avvenire il passaggio dai fini originari condivisi nel “ Trattato” e il lento progressivo incremento di potere da parte della tecnocrazia comunitaria, capace di utilizzare al meglio il groviglio di competenze e funzioni tra quelle riservate agli Stati, quelle devolute dagli Stati all’Unione in forma esclusiva e quelle cosiddette “concorrenti” tra gli stessi Stati e l’Unione. Di fatto, denuncia Tremonti, “ L’Unione ha operato in modo diverso rispetto a quanto indicato nel “Trattato”, lo ha “disapplicato, ovvero trasformato e ridotto quasi a zero i fondamentali principi delle competenze concorrenti, della sussidiarietà e della proporzionalità. Ed è proprio così, conclude il Nostro, che “ ha potuto estendere a dismisura il suo potere”.

 

Un’Europa che, anziché entrare e fare i conti con la globalizzazione, ne subisce l’impatto: lacci e lacciuoli al limite della stupidità, con decine di migliaia di provvedimenti sfornati annualmente sulle cose meno importanti, sino a giungere a una condizione nella quale non esiste più altra alternativa se non quella di “ tendere al minimo grado possibile di regolamentazione e al massimo grado possibile di semplicità”. Ciò comporterà la necessità di combattere per svegliare i “sonnambuli” che guidano la governance di Bruxelles, sostanzialmente in assoluta e irresponsabile autonomia, mentre assistiamo alla “dis-Unione europea, ossia al fallimento dell’Europa machiavellica e tecnocratica, post- politica e de-democratica”.

 

Siamo così progressivamente giunti a una condizione nella quale “ il deficit democratico è stato ottenuto, ma non si può dire altrettanto per i connessi e promessi benefici compensativi. La sempre più massiccia presenza della “tecnocrazia”, infine, e soprattutto della tecnocrazia finanziaria, non è infatti riuscita a compensare con altro l’assenza né della sovranità, né della democrazia”.

 

A poche settimane o giorni dal voto inglese sulla Brexit, Tremonti ha buon gioco nel prevedere che comunque fosse andato quel voto, le cose in Europa non sarebbero più state come prima.

Non consoliamoci per ciò che è intervenuto dopo il voto inglese dell’uscita dall’Unione, con il voto olandese prima (15 Marzo 2017)  e la vittoria di Macron sulla Le Pen in Francia poi (18 Giugno 2017). Il distacco tra i popoli dell’Europa e un’istituzione onnivora e priva di una legittimazione democratica condivisa dal basso, rimane e si consolida, tenendo sempre presente il principio che risulta impossibile mantenere il dovere della “taxation” “ without represention”. Il deficit di potere democratico in Europa ha permesso il trionfo, alla fine potenzialmente suicida, del “Leviatano” tecnocratico, e, di fatto, il dominio e lo strapotere della finanza.

 

Di qui la via di uscita indicata da Tremonti: aumento degli spazi di libertà  ponendo stop alla legislazione europea e, soprattutto “Rule of Law”, con lo stop allo strapotere della finanza.

Qui siamo stati favorevolmente colpiti, costatando l’assoluta convergenza nell’analisi tremontiana sulla necessità di ritornare alla regola per cui le banche che raccolgono il pubblico risparmio non lo possono più impiegare in operazioni bancarie speculative.

Come dice il Nostro: “ è arrivato il tempo di mettere di nuovo lo Stato sopra la finanza e la finanza sotto lo Stato. E non l’opposto come è ora”.

 

Insomma, come anche noi andiamo sostenendo da tempo: ripristino a livello internazionale del Glass-Steagall Act del 1933, con gli opportuni adattamenti temporali, e, per noi italiani: ritorno, con i dovuti adeguamenti, alla Legge bancaria del 1936, superando il famigerato e irresponsabile Decreto legislativo Amato,n.481 del 14 Dicembre 1992, per re-introdurre la separazione tra banche per il credito e banche d’affari, considerando che è stata accertata la condizione di assoluta dipendenza del nostro sistema bancario, come quello di quasi tutti i rimanenti sistemi bancari europei, allo strapotere di una decina di edge fund anglo caucasici e nord americani, i veri burattinai della finanza e della stessa politica interna e internazionale.

In secundis: “ riportare i contratti cosiddetti “derivati” alla loro originaria funzione assicurativa e non speculativa”.

 

Per far ciò servirebbe una classe dirigente all’altezza del compito, quale oggi è assai difficile intravedere nel triste panorama politico nazionale ed europeo. Servirà, come dice Tremonti, “usare il diavolo che sta nei dettagli”, con ministri e loro incaricati, non solo in grado di parlare le lingue ufficiali europee, ma di partecipare senza la fretta del rientro a casa, alle riunioni dell’International Accounting Standard Board, quello in cui si decidono le questioni più importanti della politica europea, utilizzando al massimo le opportunità di cambiare le consuete regole del gioco. Anziché “battere i pugni sul tavolo”, esercizio muscolare più che cerebrale, servirebbe studiare meglio gli ordini del giorno e le possibilità offerte; appunto cercando di utilizzare  “ il diavolo che sta nei dettagli”.

 

La proposta finale che Giulio Tremonti indica nel suo bel libro, è l’idea di avviare una grande campagna politica dal basso per puntare a superare l’attuale assurda costruzione dell’Unione,  puntando a realizzare quella “formula vecchissima, e tuttavia per l’Europa nuovissima, della “ Confederazione” degli Stati uniti d’Europa.

 

Per noi Popolari e democristiani non pentiti, legittimi eredi dei grandi DC padri fondatori dell’Europa (Adenauer, De Gasperi, Schuman), questo invito all’impegno politico ci entusiasma e vorremmo poter concorrere insieme a uomini e donne preparati e lucidamente determinati come Giulio Tremonti, che ringraziamo per il suo ultimo libro, che consigliamo a tutti gli amanti della democrazia e di un’Europa finalmente madre e non più matrigna.

 

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 11 Agosto 2017

 

 

 


 Manovre di schieramento prima del voto

 

In attesa di conoscere quale sarà la nuova legge elettorale, assistiamo a grandi manovre negli schieramenti politici presenti nel Parlamento  dei “nominati illegittimi” e nel governo, retto da una maggioranza sostenuta dai “mercenari della transumanza parlamentare”.

 

Nei primi, c’è l’inquietudine di chi si sente tremare la “carega” sotto il sedere, ragione di continui spostamenti verso il raggruppamento considerato più affidabile, mentre nel governo si assiste a una sotterranea battaglia di Renzi nei confronti del presidente Gentiloni, terrorizzato “ il giovin signore fiorentino” da ciò che potrebbe accadergli con le elezioni regionali in Sicilia  e dal perdurare del governo sino alla scadenza della prossima primavera.

 

La Sicilia torna ad essere il laboratorio politico nel quale si prefigurano gli schieramenti futuri nel Paese. Il prevalere di qualche punto percentuale del M5S sulle possibili coalizioni di centro destra e, con minori possibilità, del centro sinistra, finisce con il consegnare al partito del ministro Alfano un ruolo decisivo, ben al di là dei meriti di un personaggio che ha fatto del trasformismo utilitaristico, la cifra della sua esperienza politica.

 

Se questo riguarda il teatrino di quei partiti, immagini sfuocate della metà degli elettori che sono andati sin qui a votare, assai movimentato è pure quanto sta accadendo al di fuori degli schieramenti tradizionali. Un fatto nuovo sta emergendo nella società italiana, grazie alle iniziative assunte da un’associazione no profit,  il COEMM (Comitato Organizzatore Etico Mondo Migliore) , che, con la creazione su base territoriale diffusa dei CLEMM  (Circoli Locali Etici Mondo Migliore), sta realizzando un vasto movimento popolare che ha come obiettivo ultimo quello di: “eliminare la povertà partendo dall’Italia (come esempio pilota) per poi “esportare” tale modello nel resto del Mondo”, seguendo quattro semplici regole: eticità, altruismo, riservatezza e buona comunicazione. Una realtà che potrebbe tradursi quanto prima in una realtà organizzativa anche politica.

 

Ho avuto l’occasione di incontrare il gruppo dirigente veneto di tale movimento e ne ho tratta un’idea quanto mai positiva. La mia impressione è che tale realtà sia in grado di intercettare una parte importante di quell’elettorato stanco e sfiduciato di tutti i partiti e dei personaggi politici che hanno caratterizzato questa travagliata vicenda dell’infausta seconda Repubblica.

 

Soffia un vento e una voglia di cambiamento che nessuno degli attuali schieramenti in campo, tranne forse il M5S, è più in grado di intercettare. La fine dell’etica, quale presupposto della cultura politica capace di orientare le scelte attorno alle quali organizzare la finanza e l’economia, sta alla base della condizione di anomia che caratterizza larga parte della realtà italiana. Tutto ciò è il risultato di quel rovesciamento del NOMA ( Non Overlapping Magisteria) evidenziato con estremo rigore nei suoi saggi dal prof.Stefano Zamagni, con la finanza che detta i fini e subordina l’ economia reale e la politica ad essi, riducendo i politici a strumenti docili nelle mani dei poteri finanziari dominanti.

 Chi sta pagando più seriamente tale situazione sono i ceti popolari, ridotti a una condizione di progressivo impoverimento e, soprattutto, il terzo stato produttivo, sempre meno rappresentato politicamente e ormai incapace di sostenere il peso di una casta e dei diversamente tutelati, che costituiscono il pesante fardello di uno Stato gravato da un debito pubblico sul quale incidono pesantemente gli interessi pagati ai poteri finanziari di cui sopra.

Non so se tale stato di anomia sociale, economica e politico istituzionale, sarà risolvibile sul piano delle normali regole democratiche, peraltro da  tempo messe in frigorifero in Italia e in larga parte del mondo; certo, se valutiamo la grande confusione che regna sotto il cielo alla vigilia del prossimo voto politico, non ci sarebbe da stare allegri.

L’ultima importante manifestazione democratica capace di rovesciare il tentativo sollecitato da un rappresentante autorevole di quei poteri finanziari citati, la JP Morgan (quella della “Costituzione troppo socialista” che andava modificata), è stata la grande  battaglia vinta dai comitati del NO nel referendum del 4 Dicembre scorso, nella quale siamo stati capaci di battere il disegno che il trio toscano ( Renzi-Boschi-Verdini) aveva tentato di far passare in ossequio ai voleri dei loro dante causa.

Anche noi che sollecitammo la formazione del comitato dei popolari per il NO e ci siamo battuti strenuamente per la difesa della Costituzione, guardiamo allora con molto interesse all’iniziativa che il prof. Paolo Maddalena, V. Presidente emerito della Corte Costituzionale, con la Confederazione di sovranità popolare, presieduta dall’amico Giovanni Tomei, hanno promosso per il prossimo 30 settembre e 1 ottobre a Roma, con il proposito di organizzare il coordinamento nazionale di “ Attuare la Costituzione”.

Lo faremo anche grazie alle iniziative che sono in corso d’opera per la ricomposizione dell’area di ispirazione cattolico popolare, sia con Gianni Fontana, impegnati nella preparazione del XIX Congresso nazionale della DC, sulla base delle indicazioni assunte a Camaldoli il 18 Giugno scorso ( Codice di Camaldoli 2017) , che con l’associazione “ Camminare Insieme”, presieduta da Ivo Tarolli. Un contributo importante perverrà, infine dall’incontro promosso dagli amici Paolo Cirino Pomicino e Ciriaco De Mita il giorno 30 settembre e 1 Ottobre alla Domus Mariae a Roma.

In quell’occasione riuniremo tutti i diversi gruppi, associazioni, movimenti e persone che affondano le proprie radici nella storia e nella cultura del popolarismo europeo e di molte aree associative e rappresentative del mondo produttivo e sociale. Terranno relazioni introduttive: Stefano Zamagni (democrazia e capitalismo) Lorenzo Ornaghi (democrazia, politica e partiti) Silvio Belardinelli (trasformazioni della società italiana).

Anche dal versante popolare, dunque, come sempre è avvenuto nella storia nazionale, qualcosa finalmente si muove, con la speranza che si possa contribuire, con i nostri riferimenti valoriali, ad offrire una valida risposta ai problemi presenti in Italia e nel mondo.

Ettore Bonalberti

Venezia, 9 Agosto 2017

 


Attuare la Costituzione è l’imperativo categorico

 

Continua martellante su alcuni giornali la domanda: “ Credi sia giusto cambiare la Costituzione?”

Domanda sbagliata: il tema NON È  CAMBIARE, ma, ATTUARE LA COSTITUZIONE!

E’ quello che gli italiani hanno deciso il 4 dicembre scorso, con la vittoria netta del NO alla “deforma” costituzionale voluta dal trio dei “ giuristi dell’Arno”: Renzi-Boschi-Verdini, su sollecitazione dei grandi poteri finanziari, JP Morgan in testa.

Per riprenderci la sovranità popolare serve ripristinare la sovranità monetaria, che non esiste più, da quando, con il decreto legislativo n.481 del 14.12.1992 , superando la legge bancaria del 1936, che stabiliva la netta separazione tra banche commerciali e banche d’affari, si è  reso possibile il controllo maggioritario della Banca d’Italia da una decina di edge fund anglocaucasici  e  nord americani.
Banca d’Italia non è più, di fatto, un istituto di diritto pubblico.
Noi vogliamo la nazionalizzazione della Banca d’Italia per riprenderci la nostra sovranità e il ripristino della separazione tra banche commerciali e banche d’affari.

Serve per questo una vasta mobilitazione popolare, come quella che con i comitati del NO siamo riusciti ad attivare il 4 Dicembre scorso.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 30 Luglio 2017

 



Stato dell’arte nell’area politica cattolico popolare

 

Sono molte le persone che nella confusione in cui è scaduta la politica italiana si chiedono cosa ne sia dei cattolici, dei popolari e dei democratico cristiani.

Seguo da “osservatore attivamente partecipante” quanto avviene nella vasta e articolata galassia del mondo cattolico sin dagli anni della lunga marcia nel deserto (1993-2010) e, soprattutto, con i diversi tentativi compiuti con l’On Gianni Fontana di dare pratica attuazione alla sentenza della suprema Corte di Cassazione n.25999, del 23.12.2010, secondo cui “la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”.

 

Finalmente dopo svariate sperimentazione, su autorizzazione del tribunale di Roma, si sono riuniti i soci storici DC il 26 Febbraio all’Ergife a Roma i quali, a norma del codice civile, hanno eletto Presidente dell’associazione “ Democrazia Cristiana” l’on Gianni Fontana.

L’unica certezza giuridica oggi è proprio l’esistenza di un organo della DC, il Presidente dell’associazione, il quale con l’assemblea dei soci storici, per intenderci quelli che erano tali nel 1992-93 i quali o hanno rinnovato la loro adesione nel 2012 in occasione della convocazione del Congresso o intendano rinnovarla confermando la loro adesione, costituiscono l’unico punto di riferimento che possa legittimamente ricollegarsi alla DC storica.

 

Dalla riunione dell’Ergife, Gianni Fontana, con Renato Grassi sta svolgendo un serio lavoro di ricucitura non solo con gli esponenti più in vista dei partiti e movimenti che si ricollegano alla DC, ma, soprattutto, con tutti gli amici che hanno espresso la volontà di concorrere a celebrare insieme il prossimo XIX Congresso nazionale unitario di tutti i democratico cristiani italiani.

Una prossima assemblea dei soci DC definirà le norme con cui avviare il tesseramento e le regole per la celebrazione del Congresso.

 

Accanto a questa certosina opera di ricomposizione di tutte le diverse anime democratico cristiane che anelano a ricostruire l’unità del partito, molto significativa è stata anche l’azione che Gianni Fontana ha svolto per avvicinare e riunire gruppi, movimenti e associazioni nella Federazione di sovranità Popolare.

 

Parallelamente con il sen Ivo Tarolli ho concorso ad avviare un processo di ricomposizione della complessa realtà cattolica, liberale e popolare, partendo proprio da Rovereto (Luglio 2015) nella casa del Beato Antonio Rosmini, padre del cattolicesimo liberale italiano.

Da Rovereto a Orvieto ( patto di Orvieto del Novembre 2015), dopo alcuni importanti incontri interregionali a Padova e a Salerno, nel Gennaio 2017 si è tenuto alla Bonus Pastor di Roma l’incontro di oltre cinquanta gruppi, associazioni e movimenti di ispirazione cattolica, i quali, in presenza  di Mons Toso, vescovo di Faenza, hanno condiviso il progetto di concorrere a dar vita a un nuovo soggetto politico: ”laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, transnazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori ( Adenauer, De Gasperi e Schuman) , alternativo al socialismo trasformista renziano e ai populismi estremi”.

 

Questa stesso  obiettivo è stato assunto dai DC riunitisi a Camaldoli il 17 e 18 Giugno scorso, così’ come affermato nel documento conclusivo, dopo un serrato confronto con numerosi interventi che saranno raccolti nel “Codice di Camaldoli 2017”.

 

Il 12 Luglio presso l’Istituto Luigi Sturzo a Roma si è costituita con atto notarile l’associazione “ Costruire Insieme” che ha affidato la presidenza  al sen Ivo Tarolli, presente l’ex Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio che ha seguito sempre con grande interesse il processo avviato.

 

Il 25 Luglio l’assemblea dei soci riunitasi presso la sede sociale alla Fondazione Italia sostenibile, ha varato l’organigramma del sodalizio così formato:

Presidente: Ivo Tarolli

V.Presidente vicario: Avv. Paolo Voltaggio;

Tre vice presidenti con deleghe operative: Ing. Fabio Cristofari, con delega per il coordinamento del programma, Dott.ssa Barbara Casagrande, con delega per sussidiarietà e corpi intermedi,  Dott.ssa Antonella Dursi, con delega per relazioni con organismi del volontariato e assistenza.

 

Il Comitato di Segreteria è completato con gli amici: Dott. Sergio Marini, ex Presidente della Coldiretti, Segretario Generale; Dott. Marco D’Agostini, Vice Segretario generale  responsabile  per l'organizzazione, Dott. Ettore Bonalberti, responsabile della comunicazione, l’ex DG Consob, Dott. Gaetano Caputi, responsabile per le relazioni industriali; l’avv. Francesco Rabotti, Tesoriere; Dott. Raffaele Bonanni, già Segretario Nazionale della CISL, responsabile per la formazione; On. Domenico Menorello, responsabile per le relazioni istituzionali.

La parte programmatica sarà sviluppata dal Comitato Tecnico Scientifico formato da diversi  Dipartimenti: Etica e Società Prof. Antonino Giannone; Antropologia e bioetica On. Luisa Santolini, già Presidente del Forum delle famiglie; Sicurezza e Difesa Gen. Giulio Fraticelli, ex Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Globalizzazione e Finanza Dott. Gianluca Oricchio; Politiche Sociali Dott. Tiziano Melchiorre; Giustizia on Giuseppe Gargani; Piccole e Medie Imprese Avv. Fabrizio Bonanni Saraceno; Bio-economia e Ambiente Prof.  Luciano Pilati; Salute dott. Gabriele De Simone; Mov. Cristiani Europei Ing. Giuseppe Rotunno, Casa e Giovani coppie dott. Carmine Spiaggia; Web e Social Media, Avv. Riccardo Fratini, Emigrazione dott. Natale Forlani; Diritti fondamentali e legislazione sull’informazione Prof. Leonardo Bianchi; Lavoro Prof. Giuseppe Sabella; Attuazione Costituzione dott. Leonardo Ranieri Triulzi e Dott. Luigi Intorcia.; Trasparenza Dott. Giovanni Tomei; Enti Locali, Dott. Paolo Floris; Legislazione sulla famiglia Avv. Cosimo Iannone.

 

Da rimarcare che sono già quasi 60 i soggetti coinvolti, che ora sono tutti impegnati a sviluppare una capillare presenza, anche attraverso la Rete, sull'intero territorio nazionale.

“Costruire Insieme”,  espressione  di associazioni e gruppi dell’area cattolica e  popolare.

 

In definitiva é tutto bene ciò che va nella direzione della ricomposizione dell’area cattolica e popolare. In attesa di celebrare il nostro XIX Congresso nazionale unitario della DC, al quale il Presidente Gianni Fontana sta dedicando tutte le sue energie, quest’avvio dell’attività dell’associazione “ COSTRUIRE INSIEME” guidata dall’amico Ivo Tarolli è una tappa importante di un percorso iniziato a Rovereto nel Luglio 2015.

 

Alla fine i vari rami deltizi dell’area cattolica e popolare, ci auguriamo che possano ritrovarsi uniti su una proposta politica all’altezza dei bisogni del Paese e con una rinnovata classe dirigente in grado di conquistare il consenso degli elettori.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 27 Luglio 2017

 



Un grande Piano nazionale di protezione civile

 

“Paese di inaugurazioni e non di manutenzioni”, così Leo Longanesi scriveva dell’Italia e, mai come oggi, quella sua triste connotazione del nostro Paese risulta così appropriata.

Incendi boschivi dolosi ( perché non esistono in realtà fenomeni di autocombustione) che , secondo la stima di Legambiente “solo in questo primo scorcio di estate 2017, da metà giugno ad oggi, sono andati in fumo ben 26.024 ettari di superfici boschive, pari al 93,8% del totale della superficie bruciata in tutto il 2016”; carenza idrica causata dalla siccità e dalla vetustà di una rete idrica che secondo le stime del Censis è soggetta a una perdita d’acqua di almeno il 32%; frequenti succedersi di disastrose alluvioni, frane e la drammatica realtà di un dissesto idrogeologico che è la condizione prevalente in vaste aree del nostro territorio nazionale.

 

Se a questi eventi, le cui cause sono ampiamente riconducibili alla responsabilità di noi cittadini, massime quelle di chi è titolare di funzioni politico istituzionali, aggiungiamo  i  frequenti terremoti che sconvolgono intere comunità locali, l’Italia mostra sempre più l’immagine di un Paese totalmente alla deriva.

 

Con un patrimonio edilizio  storico e  artistico culturale tra i più importanti nel mondo,  mai analizzato nella sua reale capacità di resilienza e strutture abitative accumulate nei secoli, comprese le ultime, poche, costruite secondo regole antisismiche solo di recente obbligatorietà normativa, siamo obbligati a redigere “la carta di identità degli edifici” e a sviluppare un piano di interventi a medio lungo periodo per la preventiva sistemazione strutturale del nostro immenso e assai fragile patrimonio edilizio. Contro la furia sin qui imprevedibile dei terremoti poco o nulla possiamo fare, ma contro l’imprudenza e l’ignavia degli uomini, compresa quella dei responsabili istituzionali di scarsa visione strategica, abbiamo il dovere di reagire e assumerci tutti insieme le nostre responsabilità.

 

Ho avuto la fortuna di conoscere da vicino la realtà del sistema forestale italiano, avendo diretto per quindici anni l’Azienda regionale delle foreste della mia Regione, il Veneto, e, successivamente quella della protezione civile di una delle regioni leader, la Lombardia, nella quale ho svolto la funzione di direttore generale dell’assessorato regionale delle opere pubbliche, politiche per la casa e protezione civile.

 

Sul sistema forestale la mia lunga battaglia condotta con il compianto gen. Alfonso Alessandrini, capo del CFS da lui difeso strenuamente sino alla sua scomparsa, per superare l’assurda dicotomia esistente tra le vecchie competenze e funzioni del Corpo Forestale dello Stato e dell’Azienda di Stato per le foreste demaniali con quelle affidate dalla Costituzione alle Regioni, è miseramente finita con il semplice assorbimento del fu CFS nell’arma dei carabinieri, senza dare soluzione efficiente ed efficace alla frammentazione delle politiche regionali forestali prive di un reale coordinamento strategico.

Unica lodevole eccezione,  il permanere di quel  ancorché debole strumento di scambio di informazioni tecnico specialistiche rappresentato dall’ANARF ( Associazione Nazionale delle Attività Regionali Forestali) che abbi l’onore di avviare con l’amico scomparso Sergio Torsani, presidente dell’Azienda regionale delle foreste di Regione Lombardia.

 

Le esperienze da me maturate a contatto delle realtà forestale italiana e la diretta funzione di guida amministrativa della protezione civile in una realtà tra le più avanzate del Paese, mi hanno permesso di formulare a suo tempo un vero e proprio Piano per la difesa della montagna e della nostra sicurezza idraulica, che denominai PRO.MO.S. ( Progetto Montagna Sicura). Un Piano che non si è mai potuto realizzare perché si sa “ gli alberi non votano” e i tempi per la difesa del territorio sono troppo lunghi rispetto a quello di interesse dei politici dal corto respiro.

 

Gli obiettivi del progetto PRO.MO.S. erano quelli  di definire linee strategiche per la sicurezza in montagna e di promuovere interventi coordinati nell’ambito di una pianificazione a scala di bacino idrografico.

 

Nel campo della protezione del territorio, in particolare dai rischi di tipo idrogeologico, tutte le iniziative dovrebbero essere orientate alla sostituzione dell’attuale approccio “reattivo”, basato prevalentemente sulla gestione dell’emergenza, con un approccio di tipo “proattivo”, basato sulla prevenzione, cioè sulla pianificazione e realizzazione di attività atte a ridurre il rischio di accadimento di eventi calamitosi e comunque di limitarne gli effetti dannosi. In questa ottica si possono identificare alcune specifiche tematiche di studio e di intervento:

 

1.      Monitoraggio di parametri idrologici e geologici

 

L’acquisizione di misure, anche in tempo reale, su parametri idrologici e geologici caratteristici dei fenomeni naturali che possono innescare situazioni di rischio rappresenta sicuramente una delle prime priorità. Una componente rilevante dell’incertezza nella valutazione del rischio, soprattutto di tipo idrologico e idrogeologico, deriva dalla mancanza di dati sufficienti sull’evoluzione nel tempo di elementi dinamici del territorio, quali versanti e corsi d’acqua. Attività di razionalizzazione, coordinamento e potenziamento delle attuali reti di misura (le diverse ARPA regionali , Consorzi, Centri di monitoraggio, ecc.) sarebbero quindi auspicabili, soprattutto in un’ottica di benefici di lungo periodo. 

 

2.     Analisi e mappatura dei rischi naturali

 

L’organizzazione della conoscenza del territorio è il primo strumento operativo per l’analisi e quindi a prevenzione dei rischi naturali. Le iniziative in questa direzione là dove sono state avviate, dovrebbero essere potenziate e coordinate in un programma a lungo termine, in modo da perfezionare la mappatura del rischio di dissesto territoriale. Nell’analisi delle aree di rischio è particolarmente importante l’approfondimento delle possibili interazioni tra i diversi tipi di rischio, in una visione integrata delle problematiche legate sia alla erosione dei versanti e dell’assetto idrogeologico del reticolo idrografico.

 

 

3.     Definizione di piani di gestione delle emergenze in caso di disastri naturali

 

.             I piani di emergenza  rappresentano strumenti nel contempo delicati ed indispensabili per una razionalizzazione  del soccorso qualora dovesse verificarsi una calamità. La normativa vigente in materia definisce quelli che sono gli obiettivi che attraverso questi piani bisogna  raggiungere, ma manca una standardizzazione della loro stesura e dei contenuti che sono indispensabili per attivare la complessa macchina della Protezione Civile in situazioni di emergenza. Pertanto un approfondimento di queste tematiche, nonché la definizione di linee guida  da seguire in tali Piani diviene un obiettivo prioritario in questo settore.

 

 

 

 

4.     Definizione di linee guida di intervento mirati alla riduzione dei rischi

 

La definizione di linee guida per la realizzazione di interventi di tipo proattivo per la riduzione dei rischi consente da un lato di controllarne l’efficacia operativa, dall’altra di orientare la loro pianificazione, inserendoli in un contesto razionale e omogeneo a scala di bacino idrografico. In condizioni di risorse limitate, risulta anche importante l’individuazione delle priorità d’intervento, in base sia alla probabilità di accadimento dei vari tipi di eventi disastrosi, sia alle loro conseguenze sul territorio.

 

Credo che, data l’urgenza della situazione italiana,  sarebbe quanto mai opportuno riproporre quelle linee guida ed avviare un grande Piano di Servizio Civile nazionale da coordinare con e nelle diverse realtà regionali, orientato a progetti di riforestazione tanto più urgenti, dopo le sciagurate distruzioni boschive di quest’estate e tuttora in corso, e per la difesa idrogeologica nazionale non più rinviabile.

 

Con una disoccupazione giovanile che sfiora e in talune aree supera il 40%, questo Piano nazionale potrebbe rappresentare un’utile occasione per offrire alle nuove generazioni la possibilità di mettere in campo le diverse attitudini e/o di acquisirne di nuove, in un ambito, la difesa del territorio, di cui l’Italia ha assoluta necessità primaria.

 

Solo così potremo sfatare la diagnosi di Longanesi e far diventare finalmente l’Italia “un paese di manutenzioni e non solo di inaugurazioni”. Certo servirebbe una diversa classe dirigente dedita veramente al bene comune e non alla mera sopravvivenza autoreferenziale nei luoghi privilegiati del potere. Di questa, però, saranno i cittadini elettori a definirne a breve le future identità.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 23 Luglio 2017

 

 

 

 

Convegno/Congresso del NCDU del Veneto

 

 

Interessante incontro ieri al Convegno/Congresso regionale  del NCDU del veneto tenutosi presso l’Hotel ai Pini di Mestre.

Presenti il presidente nazionale del NCDU, Mario Tassone, con Nino Gemelli e Nino Marinacci, Luciano Finesso è stato confermato coordinatore regionale del NCDU del Veneto.

Anche a nome degli amici Gianni Fontana, Presidente della DC e dell’On Mimmo Menorello, deputato popolare di Padova, ho portato il saluto degli amici democratico cristiani della nostra regione.

Ho esordito affermando che “ va tutto bene ciò che va nella direzione della ricomposizione dell’area popolare e democratico cristiana”, atteso che nostro primario dovere è ricostruire la nostra identità sul piano dei valori  per concorrere da democratico cristiani alla costruzione del nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito  pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori: Adenauer, De Gasperi e Shuman, alternativo al trasformismo socialista renziano e ai populismi estremi.

Dalla dottrina sociale della Chiesa traiamo la forza per opporci al turbo capitalismo finanziario dominante, che ha trasformato la Banca d’Italia da un istituto di diritto pubblico, in un ente controllato, indirettamente, da una decina di hedge fund speculatori stranieri  (Vanguard, State Street, Fidelity, Black Rock, Black Stone, Northern Trust, T.Rowe Price, JP Morgan Trust, BNP Paribas Trust…), che creano i prestiti e i depositi delle banche italiane con un clic.

Senza sovranità monetaria, che in tal modo si è sostanzialmente perduta, anche il concetto di sovranità popolare e, dunque, della stessa democrazia, si riduce a un mero concetto astratto.

Compito dei democratici cristiani sarà quello di concorrere con tutte le componenti politiche disponibili a riportare la Banca d’Italia sotto il diretto controllo pubblico e a reintrodurre la separazione tra attività bancarie commerciali e attività speculative finanziarie, così com’era con la legge bancaria del 1936, colpevolmente annullata con il d.legislativo n.481 del 14 dicembre 1992.

Molto positivo l’impegno assunto di convocare congiuntamente in autunno una grande assemblea di tutti i democratico cristiani e  popolari del Veneto.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 22 Luglio 2017

 

 


Prima tappa per la ricomposizione dell’area cattolico popolare

 

Costruire Insieme, Associazione che si è presentata ieri all'istituto L. Sturzo di Roma e che, fra soci fondatori e soci costituenti, raggruppa quasi una cinquantina di realtà cattoliche italiane nasce con un obiettivo innovativo e ambizioso: quello dell' Unità Possibile dei tanti partiti, movimenti e associazioni impegnati nel nostro Paese.

Un primo passo quindi, per consentire un'aggregazione più ampia, aperta ed estesa a tutto il territorio nazionale.

L'iniziativa è stata condivisa:

1. Per superare la parentesi dell'irrilevanza di questa ultima fase;

2. Per consentire ai Cattolici di essere utili al Paese, soprattutto in una fase difficile, come quella che si registra in questi anni: dove difficoltà e sofferenze hanno raggiunto un grado non più sopportabile.

3. Per innervare i principi e gli insegnamenti  della Dottrina Sociale Cristiana di contenuti e proposte che il tempo richiede.

Questo rinnovato protagonismo che è chiamato a rendere chiara e forte la sua "Identità",  ha come punto d'approdo, il favorire la nascita di un Nuovo  Grande Soggetto Politico che abbia la chiara connotazione della novità, della democraticità  della sua vita interna e della pluralità delle Culture che lo contraddistingue.

Questo percorso, iniziato da tempo, se da una parte non va alla ricerca di primazie, dall'altro non accetta di essere usato o strumentalizzato!

 Intende invece far vincere la cultura del Dialogo, della paziente ricerca di convergenze con altre esperienze che mirano a comuni obiettivi e della collaborazione cooperativa, convinti sia la unica strada che possa aiutare l'italia a superare le sue difficoltà.

Sono affermazioni che abbisognano di testimonianze e progetti concreti che cercheremo di realizzare. È lo dimostreremo!

Ci ha fatto piacere che alla presentazione del Progetto abbiano partecipato parlamentari in carica. Riteniamo perché condividono la necessità che la "ripartenza"per costruire un Grande Progetto veda protagonista e prima fila soprattutto le forze sociali e i Movimenti che chiedono impegno e tanta generosità.

 

I Fondatori:Ivo Tarolli-Presidente, Paolo Voltaggio-vice vicario, Eleonora Mosti, Ettore Bonalberti, Tiziano Melchiorre, Marco D'Agostini, Francesco Rabotti e Fabio Cristofari, Sergio Marini, Raffaele Bonanni

 

Roma, 13 Luglio 2017

Chi tocca i fili muore

 

 

Non è il “ Russiagate” o le altre “minchiate” che Trump pure inanella con le sue quotidiane uscite su twitter che ha provocato la richiesta formale di impeachment presentata alla Camera dal deputato democratico della California, Brad Sherman, con il sostegno del collega texano Al Green, ma la reazione, quella sì decisiva e potente, dell’establishment, che fa capo al signori del turbo capitalismo finanziario, padroni degli edge fund anglo caucasici e nord americani, appena il neo Presidente USA ha minacciato il ripristino della Glass-Steagall.

Nel 1999 quegli stessi poteri, che nell’ultima campagna elettorale erano tutti schierati con Hillary Clinton, fecero pressioni proprio sul presidente Clinton per superare la netta separazione tra banche commerciali e banche d’affari, ossia l’annullamento della Glass- Steagall; una decisione grazie alla quale poterono tornare a fare i loro sporchi affari sino a determinare la grave crisi mondiale del 2007. Ora lo schema si ripete e guarda il caso, sono gli stessi poteri (JP Morgan in testa) che alla vigilia del referendum del 4 dicembre scorso, indussero Renzi a  quella scelta sciagurata, il tentativo di introdurre una “deforma” della Costituzione che per la Banca d’affari americana era considerata “troppo socialista”. Meno male che gli italiani hanno capito l’antifona, mentre “ il Bomba” continua  imperterrito come se nulla fosse accaduto.


Ettore Bonalberti, 13 Luglio 2017

 

 

Si apra un dibattito pubblico sulla situazione bancaria italiana

 

E’ tempo di aprire un dibattito pubblico sulla situazione bancaria italiana e internazionale.

Avuta conferma che le più importanti banche private italiane sono controllate direttamente dagli edge fund anglo-caucasici (sede legale nella city of London e fiscale nel Deleware, origine cazara del Caucaso ) e nordamericani( Vanguard, State Street Fidelity, Black Rock, Blackstone, Northern Trust, T-Rowe price, JP Morgan Trust, Franklyn Templeton) Bnp Paribas Trust, ecc) i quali controllano così la quota di maggioranza della stessa Banca d’Italia, le scelte sin qui effettuate sul MPS (Monte dei Paschi di Siena) prima e quelle proposte per le due banche venete, non possono più essere fatte passare in cavalleria.

 

Non possono più essere taciute le sistematica truffe perpetrate dagli edge funds, che sono la vera guida della cabina di regia bancaria, a danno dei risparmiatori, del fisco italiano e delle stesse banche, dopo la decisione assunta   con il d.legislativo n.481 del 14 dicembre 1992, che ha abolito la separazione tra banche di prestito e banche speculative tassativamente prevista dalla vecchia legge bancaria del 1936.

 

Più volte abbiamo tentato di sollecitare iniziative parlamentari su tali temi, ma anche autorevoli amici hanno fatto come le tre scimmiette: non hanno visto, non hanno udito, non hanno parlato. Che ciò sia dovuto ad ignoranza, ignavia , sudditanza o, peggio a interessi malcelati, non saprei dire. Certo è che molti degli ex dirigenti politici europei e alcuni dei nostrani, alla fine si ritrovano spesso, direttamente o indirettamente, nei libri paga delle solite multinazionali del finanz capitalismo.

 

Sin qui solo il M5S ha sollevato questi temi con interrogazioni parlamentari che hanno dato conferma di quanto su esposto.

 

Anche noi “ DC non pentiti” ci uniamo a sostegno di queste battaglie, considerando che la DC ebbe sempre a cuore la difesa della separazione delle attività bancarie e con la sua politica economica e finanziaria l’Italia poté  raggiungere la quinta posizione tra le potenze industriali del pianeta. Ora, invece, il nostro Paese, sottoposto al giogo del finanz-capitalismo, viene spinto sempre più in basso, le nostre vecchie aziende di valore mondiale sono acquisite a prezzi di svendita e le classi popolari e i ceti medi produttivi vengono  ridotti al progressivo impoverimento.

 

Una class action contro i responsabili di tale sciagurata realtà andrà organizzata con il massimo di partecipazione popolare

Due obiettivi politici li condividiamo con il M5S: nazionalizzazione della Banca d’Italia, prerequisito essenziale della nostra sovranità nazionale e separazione delle attività delle banche di prestito/commerciali da quelle speculative.

Bisogna partire da qui per qualsivoglia politica autenticamente riformatrice nel nostro amato  Paese. Basta con i provvedimenti iniqui come quelli decisi su MPS e che si intendono adottare su Banca Popolare del Veneto e Banca Popolare di Vicenza, con i quali, mentre si riducono alla miseria e alla fame onesti cittadini e risparmiatori, si lasciano in incomprensibile  libertà gli inetti  responsabili di quelle fallimentari gestioni bancarie.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 4 Luglio 2017


INSIEME sì, ma senza confusioni

 

Abbiamo appreso che l’avv.Pisapia intende chiamare il nuovo movimento politico della sinistra: “ INSIEME”.

Tale indicazione se, da un lato, ci fa piacere, a dimostrazione che quanto da noi scelto nell’ormai lontano anno 2000, trova riconoscimento su altra sponda politica alternativa a quella da noi proposta, dall’altro necessita di alcune puntualizzazioni al fine di evitare confusioni.

Risale, infatti, all’11 Febbraio 2000 l’iscrizione della testata giornalistica “ INSIEME” al n. 1358

del ruolo generale della stampa presso il tribunale di Venezia, così come risale al 5 Dicembre 2008 la nascita dell’associazione “INSIEME” .

Insieme è un'associazione, senza scopo di lucro, che si ispira alla carta dei valori del PPE: dignità della persona, libertà e responsabilità, eguaglianza, giustizia, legalità, solidarietà e sussidiarietà.

 

Uno degli obiettivi è di ragionare insieme sui fatti politici, economici, sociali, culturali ed avvenimenti di attualità. Gli strumenti sono convegni, seminari, indagini, ricerche, formazione, pubblicazioni. Per meglio comunicare con tutti è stato creato un portale che informa e dialoga attraverso un blog (www.insiemeweb.net).

 

L'Associazione, alla quale aderiscono principalmente dei democratici cristiani e laici ispirati ai valori dell’umanesimo cristiano,  si relaziona con la società civile per dialogare con la gente, interpretarne le esigenze e sollecitare le Autorità competenti a recepirle, dimostrando che la politica deve essere attenta non solo alla difesa degli interessi, ma anche alla testimonianza dei suoi valori fondanti.

Abbiamo scelto di chiamare la nostra Associazione "INSIEME" proprio perché il filo conduttore è la volontà di mettere assieme più soggetti che, pur avendo esperienze, storie e provenienze politiche diverse, condividono l'obiettivo di collaborare per dare un'anima popolare al costituendo nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare,liberale, riformista, europeista, transnazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, alternativo alla sinistra trasformista renziana e ai populismi estremi.

L'Associazione è nata anche come strumento in grado di stimolare i giovani a riavvicinarsi alla politica intesa come "servizio per il bene di tutti".

Ci auguriamo che gli amici dell’avv.Pisapia tengano conto di quanto da noi esposto al fine di evitare spiacevoli confusioni, in una fase della politica che reclamerebbe il massimo della trasparenza e della  chiarezza.

 

 La redazione di Insieme

Venezia, domenica, 2 Luglio 2017


Una bella notizia


Una bella notizia che attendevamo da molto tempo. E’ stata raggiunta l’intesa e finalmente si potrà celebrare il XIX Congresso nazionale della DC, dando pratica attuazione alla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010 secondo cui: “ la DC non è mai stata sciolta giuridicamente”. Grazie agli amici che hanno concorso alla soluzione di un contenzioso e, adesso, serve la partecipazione convinta di tutti gli italiani “DC non pentiti”.

Ecco il testo della lettera di convocazione dell’assemblea dei soci DC inviata dal Presidente della DC, On.Gianni Fontana:

E' convocata la prossima assemblea dei soci DC- Ecco la lettera di Gianni Fontana, Presidente della DC :

Cari amici,

Nel pomeriggio di oggi, 27 giugno, si è svolta una riunione alla quale hanno partecipato il presidente dell'Associazione Democrazia Cristiana, Gianni Fontana, insieme  con Renato Grassi e altri aderenti all'Associazione, il vice presidente dell'Associazione Iscritti alla Democrazia Cristiana nel 1993, Franco De Simoni, Antonio Di Stefano e Antonio Paris per l'Associazione Italiani del Terzo Millennio, Vincenzo Feola per la coop sociale onlus PRL.

La riunione è stata convocata da Gianni Fontana.
Dopo ampio dibattito, al termine della riunione si è deciso di convocare una Assemblea Nazionale degli iscritti alla Democrazia Cristiana finalizzata alla convocazione del XIX Congresso Nazionale della Democrazia Cristiana.

Alcuni amici hanno all'inizio sostenuto che all'Assemblea dovessero poter partecipare solo gli iscritti all'Associazione presieduta da Fontana, ma dopo ampio dibattito si è raggiunto un accordo generale sulla decisione che l'Assemblea Nazionale sarà aperta, oltre che ai soci dell'Associazione Democrazia Cristiana, a tutti gli iscritti alla Democrazia Cristiana nel 1992/1993.

Si è concordato di convocare l'Assemblea Nazionale dei soci della Democrazia Cristiana attraverso il massimo di comunicazione via internet, facebook, con pubblici proclami e con pubblicazioni a pagamento su alcuni giornali nazionali.
L'Assemblea si terrà a Roma il 9 settembre 2017 in una sede che sarà comunicata nei prossimi giorni. I soci 1992/1993 dovranno dimostrare agli organizzatori dell'Assemblea, entro il 31 luglio p.v. , la loro iscrizione al Partito della Democrazia Cristiana, con modalità che saranno comunicate nei prossimi giorni.

L'Assemblea deciderà le regole e le date dei congressi provinciali e regionali propedeutici a quello nazionale.

Il Presidente della DC

Gianni Fontana

Roma, 27 Giugno 2017



Non possiamo più restare fermi a guardare

 

Perdere Sesto  San Giovanni,” il cuore rosso” della Lombardia e dell’Italia, è il segno indiscutibile della perduta identità. Scrivo del PD renziano, come di una struttura residuale ridotta a un Golem, un ircocervo senza anima e senza più cultura di riferimento ideale e storico politica.

 

Il renzismo, infatti, altro non è che il tentativo, fortunatamente fallito, con cui i poteri finanziari internazionali dominanti hanno tentato di superare ciò che restava della nostra costituzione formale e materiale, per lor signori “ troppo socialista”, come quella di altri Stati del Sud Europa.

 

Fortunatamente la saggezza degli italiani il 4 dicembre scorso ha vinto: i NO al referendum hanno  prevalso sul SI renziano e molti degli stessi elettori del PD, già militanti del PCI-PDS-DS, hanno scoperto il latente inganno; così come lo hanno fatto, Domenica scorsa ai ballottaggi, gli ex comunisti di Genova, La Spezia, Pistoia e, appunto, la  storica base rossa di Sesto.

 

Questo PD renziano, un melting pop di centro sinistra, non risulta più appetibile, né sul centro destra dello schieramento, su cui Renzi puntava le sue fiches, né tantomeno a sinistra, dove ha provocato, semmai, l’avvio di un progetto-processo di ricomposizione di quell’area da sempre presente nella storia, nella cultura e nella politica italiana.

 

L’infantile lettura giustificazionistica dei risultati dei ballottaggi da parte di Renzi ( “ risultati a macchia di leopardo”), è l’ennesima dimostrazione della pochezza di analisi culturale del “ giovin signore fiorentino”.

 

Un Paese, nel quale la partecipazione al voto è ormai ridotta a meno del 50%, vive una crisi di democrazia il cui esito può giungere a conseguenze quanto mai disastrose e non necessariamente di tipo progressista.

 

L’anomia sociale che si accompagna a una crisi morale e politico culturale, di un’Italia dominata a livello finanziario dagli edge funds caucasici e USA (Rothschild, JP Morgan,.Morgan Stanley e C.) inutilmente, almeno sin qui, denunciati in tutte le sedi da alcuni ambienti ben informati sulle cose bancarie interne e internazionali, se non sarà superata da una rinnovata partecipazione politica dal basso, condurrà alla definitiva disgregazione di ciò che resta della nostra democrazia, insieme a quella sovranità popolare rivendicata e difesa dal voto per il NO il 4 dicembre 2016.

 

La disaffezione al voto e le difficoltà delle sinistre in una delle scadenze elettorali, come quelle amministrative locali,  nelle quali storicamente avevano sempre dimostrato le migliori performances, sono alcune delle più importanti risultanze del voto dei ballottaggi  nei quali, tuttavia, per nostra colpevole assenza, è mancata la presenza di una forza politica cristianamente ispirata.

 

Ora ci attendono le elezioni regionali siciliane, ennesimo test elettorale prima di quelle politiche, che oggi appaiono, più realisticamente, slittare al prossimo 2018. Primo impegno, dunque, sostenere gli amici DC siciliani, che si stanno impegnando per la presentazione di una loro lista e, contemporaneamente, avviare da subito la nascita dei comitati civico popolari in tutte le realtà regionali e provinciali dell’Italia.

 

A Gianni Fontana il compito non più rinviabile di unificare nella federazione dei democratici cristiani le ultime frange della nebulosa ex DC, per preparare insieme la prossima tre giorni (14-15-16 Luglio) programmatica, in cui redigeremo la proposta politica della DC per il Paese e il congresso unitario dei DC italiani da celebrarsi entro il mese di Ottobre.

 

L’Italia, stanca degli “innominati illegittimi” e dei saltimbanchi trasformisti parlamentari, attende una nuova classe dirigente che, ispirandosi ai principi della dottrina  sociale cristiana, ossia alla più avanzata analisi e proposta alternativa alle criticità della globalizzazione e al potere del finanz- capitalismo, sappia corrispondere alle attese delle classi popolari e di un ceto medio abbandonato e senza speranza.

 

Ettore Bonalberti

28 Giugno 2017

 


Avvio del primo comitato civico popolare nella città metropolitana di Venezia


Ho inviato agli amici DC della provincia di Venezia l’invito ad avviare il primo comitato civico popolare della città metropolitana.
Mi auguro possa costituire un primo esempio di modello organizzativo per la nuova DC che insieme a Gianni Fontana intendiamo sviluppare, partendo dal basso, con la sperimentazione di nuove forma di partecipazione più aperte alle attese dei nostri cittadini ed elettori. Il preoccupante astensionismo dal voto registrato da tempo ( ai ballottaggi ha votato meno del 50% della base elettorale) o si supera colmando il deficit di partecipazione politica o la nostra democrazia, già ridotta a poca cosa dalla dominanza dei poteri finanziari concentrati a livello mondiale nei gestori proprietari degli edge funds caucasici e USA ( Rothschild, JP Morgan, Morgan Stanley….) finirebbe con il dissolversi totalmente.
Mi auguro che il tentativo trovi adesione tra i nostri vecchi e nuovi amici DC veneziani e che possiate anche voi tentare modelli sperimentali analoghi nelle vostre realtà provinciali.
I comitati civico popolari credo possano rappresentare lo strumento per una rinnovata partecipazione popolare dei cittadini alla vita politica, diventando luoghi di discussione dei principali problemi locali e globali, senza la vecchia strutturazione delle sezioni, oramai superata, e momenti di formazione politica per le nuove generazioni.
Grazie al think tank “ Veneto pensa” e al nostro sito web: www.insiemeweb.net collegabile in rete con altri blog e siti compatibili, si potrà anche sviluppare una partecipazione on line in tempo reale, particolarmente fruibile dai giovani internauti.
Una riunione degli amici DC veneziani interessati sarà indetta entro la prima settimana di Luglio per procedere all’avvio del comitato civico, augurandomi l’adesione di molti degli amici ex DC o aspiranti tali.
Anche dal web mi attendo eventuali richieste di partecipazione.


Ettore Bonalberti

Martedì 27 Giugno 2017

 

 

Un primo commento ai risultati di ieri

 

“ Risultati a macchia di leopardo”, così si consola Matteo Renzi dopo la batosta elettorale di ieri alle elezioni amministrative. Perdere città come Genova, Pistoia, La Spezia, Lodi, Monza, Como, Piacenza e l’ex “Stalingrado d’Italia,” Sesto San Giovanni, è la dimostrazione che l’ircocervo del PD renziano, un Golem senz’anima e cultura politica di riferimento, non è più credibile a un elettorato stanco che diserta il voto per oltre il 50%.

 

Ora si aprirà la caccia a “ smaccchiare il giaguaro”  dentro il PD, mentre si allontana il rischio di elezioni anticipate. Il centro destra gongola per i positivi risultati,  anche se pesante è la sconfitta padovana del leghista Bitonci, mentre crolla il tentativo di riscatto di Flavio Tosi a Verona.  Succede a chi, negli ultimi diciotto mesi, ha cambiato la sua originaria impostazione, sino alla camaleontica scelta a favore del SI al referendum, fidando nella conversione renziana che non ha pagato, nemmeno col disperato tentativo di risolvere i problemi candidando la compagna Bisinella. I veronesi non hanno gradito la proposta di successione ereditaria familiare “ de noantri”. Buon lavoro, dunque, a Sboarina e alla sua squadra.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 26 Giugno 2017


Ricordo di SergioTorsani

 

Sergio Torsani ci ha lasciati. Muore con lui un grande amico, un “compagno socialista” d’altri tempi, uno dei protagonisti della politica forestale regionale lombarda e italiana.

 

Era nato nella sua Romagna, a Sant’Arcangelo e, nel dopoguerra, si trasferì a Cinisello (MI), dove scelse il suo campo di battaglia da socialista, erede della grande tradizione romagnola di Pietro Nenni e di Giuseppe Massarenti, battendosi sempre in prima linea a sostegno delle “attese della povera gente”.

 

Ci siamo conosciuti agli inizi degli anni ’80, lui Presidente dell’Azienda regionale delle foreste di Regione Lombardia e io, direttore generale dell’ARF del Veneto. Insieme decidemmo di dar vita all’A.N.A.R.F. ( Associazione Nazionale delle Aziende Regionali delle Foreste), primo esempio di positiva collaborazione interregionale nelle politiche forestali, dopo che le competenze  di questa materia erano state trasferite totalmente, ma non senza residue criticità verso lo Stato, alle regioni.

 

E con l’Anarf, Sergio Presidente nazionale e il sottoscritto nel ruolo di coordinatore del comitato tecnico, abbiamo saputo sviluppare incontri, ricerche, scambi di esperienze nei settori della vivaistica, della difesa della biodiversità, della forestazione urbana, della formazione forestale e dell’educazione ambientale di grande rilevanza.

 

Carattere forte e al contempo mite, ebbi con lui un dialogo aperto e reciprocamente arricchente. Lui “ mangiapreti” romagnolo, più per cultura che per natura, io papista intransigente e democristiano militante.  Ricordo solo una volta a Merida, nello Jucatan, in occasione di un’edizione della Conferenza mondiale forestale a Città del Mexico, in una serata calda si aprì una discussione animata su questioni di natura politica e insieme religiosa, che ci portò a toni inusuali, per uno come Sergio che, a me, assomigliava sempre a un Forlani socialista dai toni controllati e persuasivi.

 

All’indomani reciproche scuse e un affettuoso abbraccio. Era tanta la stima che ciascuno provava verso l’altro che fu proprio Torsani, in un momento difficile della mia vita professionale, che mi accreditò presso Regione Lombardia, nella quale assunsi un ruolo importante a livello dell’alta dirigenza regionale.

 

Conservò sempre l’amore per la sua terra d’origine, dove ebbi modo di costatare quanto fosse rimasta intatta l’amicizia e la stima dei suoi concittadini romagnoli, così come fu sempre per Cinisello e per i socialisti milanesi un riferimento importante e di sicuro affidamento.

 

Alla moglie Romea e ai suoi due figli vadano i miei sentimenti di fraterna partecipazione al loro dolore, mentre prego il Signore che accolga tra le sue  braccia misericordiose l’anima di Sergio, il quale

 ha condotto la sua buona battaglia, ha terminato la sua corsa, conservando intatta la sua fede .

 

Ettore Bonalberti

Sabato, 24 Giugno 2017

 

Documento finale presentato a Camaldoli


I partecipanti all’incontro promosso dall’Associazione “Codice di Camaldoli” e dalla Democrazia Cristiana, riuniti presso il Monastero di Camaldoli il 17 e 18 Giugno 2017, per discutere sul tema: “Il mondo cattolico e l’impegno dei cattolici”, dopo un ampio libero serrato confronto si sono trovati uniti nelle seguenti conclusioni:

 

1. Consapevoli della condizione di assoluta irrilevanza dei cattolici nella vita politica italiana e del perdurare di una colpevole e incomprensibile frammentazione della vasta galassia sociale, culturale e politica che fa riferimento alla dottrina sociale della Chiesa, noi tutti, senza avere lo sguardo rivolto al passato o nostalgie di una perduta egemonia, abbiamo lucida coscienza della condizione in cui vive l’uomo oggi nella società occidentale, nella quale domina ormai un relativismo morale in cui i desideri individuali si vogliono trasformare in diritti, contro ogni principio etico e contro la stessa legge naturale.

a)  A livello esistenziale e socio culturale prevale una condizione anarchica definibile come anomìa: assenza di regole, discrepanza tra mezzi e fini, venir meno dei gruppi sociali intermedi tra individui e Stato. Donde una diffusa frustrazione morale, che può dar luogo ad atteggiamenti regressivi e di aggressività individuale e collettiva; una Anomìa  anche a livello internazionale tra varie visioni proposte (es. cinese, islamica, occidentale o russa) che appaiono incompatibili, se non entro una visione universale (=cattolica).

b) A livello economico trionfa il cosiddetto “turbocapitalismo”: la finanza detta i fini alla politica, con rovesciamento di funzioni e prospettive: con l’avvio all’oscura globalizzazione in cui l’Occidente intende asservire l’intero pianeta. Da tale rovesciamento di valori e prospettive la politica, anziché servizio al bene comune, viene degradata a supporto di poteri finanziari contrari alle esigenze degli esseri umani.

 

2) È in questa situazione di valori rovesciati che esplodono fenomeni di scontro e guerre che traggono spunto anche da parziali visioni di marca religiosa. E intanto ne fa le spese la stessa concezione sociale additata dalla dottrina sociale della Chiesa.

 

3) Di qui l’invito a una nuova responsabilità dei cattolici, a proporsi come elemento unitivo per tradurre nella città dell’uomo la dottrina sociale della Chiesa, sulla linea delle  indicazioni di Papa Francesco all’Azione Cattolica nel 150° anniversario della fondazione. Nella situazione italiana sentiamo come prioritario il dovere di concorrere a ricomporre, dopo una lunga stagione di diaspora, l’intera area di ispirazione cattolica per offrire una nuova speranza. E lo vogliamo fare non semplicemente da cattolici individualmente impegnati in una qualsiasi formazione politica, ma da persone unite in una politica di ispirazione cristiana.

 

4) Siamo impegnati per la costruzione di un'Europa intesa non come un grande stato che imponga comportamenti uniformi ma come ente sovranazionale accomunato nei valori fondanti, aperto al ruolo decisionale dei singoli stati e delle diverse etnie linguistiche e del gruppi sociali di base ove risiede la prioritaria sovranità, una Europa più umana, che tragga linfa vitale dalle libertà civili derivate dalle sue radici cristiane e  all'interno della quale le peculiarità regionali e locali possano lavorare assieme per il benessere comune: secondo l’idea di un’Europa dei popoli e non dei poteri finanziari, una istituzionale sovranazionale secondo la visione dei fondatori Adenauer, De Gasperi e Spaak e Schumann.

5) Dal punto di vista economico aspiriamo a un mercato libero e civile, ben diverso da quello di una concorrenza che si affidi alla contrapposizione di forze come nel progetto liberale ma che sia controllato dalla società civile con leggi che tutelino le realtà più deboli; e del pari diverso da quello che vuol interventi diretti dello Stato come nel progetto socialista. Vogliamo quella economia “civile” libera da inique imposte su ogni scambio di beni o servizi e sappia tutelare ogni famiglia e ogni individuo non solo nel campo del lavoro ma anche, e prima di tutto, quale consumatore di beni: coniugando in modo equilibrato libertà individuale, responsabilità personale, sviluppo economico e solidarietà sociale. 

6) Riconosciamo il primato della politica quale sintesi ideale e rappresentanza reale di bisogni diversi e diffusi, rifuggendo da inutili conflittualità di parte ma che riassuma i valori sociali di un popolo nella diretta partecipazione dell'Uomo-Cittadino alla costruzione del futuro per sé e per i suoi figli. La traduzione nella “città dell’uomo” degli orientamenti della dottrina sociale della Chiesa e l’applicazione dei principi dell’economia civile alternativi a quelli del finanz-capitalismo dominante quali impegni per una nuova politica ispirata all’umanesimo cristiano, cioè della promozione di tutti i valori umani.

7) La politica non deve limitarsi a strumento per vincere competizioni elettorali, ma agire a salvaguardare e costruire gli interessi delle generazioni future, a cui garantire quel lungo periodo di pace, di libertà e di benessere che i nostri padri hanno assicurato a noi. I valori della Vita, della persona e  della famiglia e dei centri di vita associata che lo Stato deve riconoscere e tutelare, questi gli elementi al centro della nostra proposta.  “Servire la politica e non servirsi della politica” era il motto di don Sturzo e dovrà essere il  monito basilare del comportamento di una nuova classe dirigente. Sosteniamo con forza l'idea di uno Stato che sia espressione delle sue articolazioni territoriali di base come la carta costituzionale ha indicato. Viviamo l'autonomia locale come forma di massima libertà, esaltando la partecipazione responsabile nel rispetto del principio di sussidiarietà portandola anche nella prospettiva europea. Una sussidiarietà che deve riguardare non solo le istituzioni, ma anche il rapporto tra istituzioni e società civile: le istituzioni pubbliche non si sovrappongano a ciò che può far meglio il cittadino singolo o associato nelle sue istituzioni di base che la tradizione e le leggi di natura gli hanno posto dinanzi.

Diamo vita, dunque, a un modello di valori coordinato al primato della Vita e della Famiglia e delle realtà naturali di base, in un assetto democratico italiano ed europeo che sappia coinvolgere tutti coloro che con entusiasmo e motivazione ideale intendono mettere a disposizione le propria intelligenza, capacità e professionalità per il bene comune.

Diamo annuncio della proposta formulata dall’On. Gianni Fontana di incontrarci il 14-15-16 Luglio alla Rocca camaldolese del Garda a Bardolino per predisporre - con rappresentanti delle diverse formazioni sociali, culturali, politiche, delle associazioni e dei gruppi e di singole personalità dell’area cattolica - il programma dei democratico-cristiani per l’Italia; un programma che, coerente con l’ispirazione cristiana, sappia offrire risposte “alle attese e ai bisogni delle famiglie e dei più indigenti e fragili”, ivi compreso il ceto medio vittima di un progressivo impoverimento.

Dall’Abbazia di Camaldoli, 18 Giugno 2017 

Letto, approvato e sottoscritto.

Gianni Fontana

Ettore Bonalberti

Fabrizio Fabbrini

Antonino Giannone

 




Codice di Camaldoli 2017


Nella sala Landino del Monastero di Camaldoli, dove nel 1943 gli intellettuali laici e cattolici prepararono un manifesto di valori etici e di politica sociale ed economica (Codice di Camaldoli) che affidarono ad Alcide De Gasperi - che lo realizzo', per la ricostruzione dell'Italia, attraverso l'azione condotta nel partito della Democrazia Cristiana - il 17 e 18 giugno 2017, un gruppo di laici cattolici, convenuti da tutta Italia, dalla Sicilia al Veneto, da Milano a Roma, appartenenti a movimenti, associazioni e piccoli partiti, che si rifanno alla Dottrina sociale della Chiesa verso un nuovo umanesimo, si e' riunito a convegno per mettere a disposizione l'esperienza maturata, le conquiste e gli errori, un rinnovato impegno di giovani generazioni, al fine di esprimere un impegno morale e civile nella politica, in funzione della propria appartenenza, dei valori condivisi e degli ideali propugnati.

 

L'incontro a Camaldoli aveva come titolo: " Il mondo cattolico e impegno politico dei cattolici'"

I temi riguardanti il compito dei cristiani che vogliano fare politica e che non sia solo quello di testimoniare i valori in cui credono, militando nei diversi partiti, quanto soprattutto quello di elaborare e realizzare una linea di pensiero politico cristiano, cioè di fare una politica cristianamente ispirata, sono stati dibattuti  ampiamente nei due giorni di studio. Le conclusioni saranno prossimamente pubblicate nel saggio:  Codice di Camaldoli 2017.  

Sono previsti a breve, nuovi incontri a livello regionale e nazionale, per favorire l'impegno dei cattolici al servizio della Politica, con la "P maiuscola", e per il miglioramento del bene comune



Alcune riflessioni post elettorali

 

Perdono i grillini e perde il giovin signore a casa sua, Rignano sull’Arno.

In sede locale tornano, spesso camuffate nelle liste civiche, le coalizioni tradizionali del centro destra e del centro sinistra. A parte la scarsa affluenza, poco più del 60%, nei comuni viene sconfitta l’improvvisazione e l’incapacità di guida sin qui dimostrata dei grillini, e l’arroganza dei Renzi nel loro paesello toscano.

 

Unico caso clamoroso : Palermo con la vittoria schiacciante di Leoluca Orlando, alla quinta rielezione a Sindaco,  stavolta grazie alla “disinvolta” coalizione PD con il partito dell’impresentabile Alfano, espressione di un camaleontismo politico  senza limiti.

 

Anche dal voto dell’11 Giugno trova conferma, con l’alto astensionismo ( quasi il 40% degli elettori), la condizione di grave anomia del nostro sistema politico-

 

O riprendiamo e facciamo rivivere la nostra migliore cultura politica ispirata dalla dottrina sociale cristiana o questo Paese non avrà più speranza. Questa settimana un gruppo di amici DC impegnati nella cultura e nella politica si ritroveranno a Camaldoli e, mi auguro, che di lì si possa riprendere il cammino.......

 

Il voto amministrativo locale è, in ogni caso, una più convinta espressione degli interessi prevalenti e dei valori propri delle diverse realtà locali. Non sempre, tuttavia, la salvaguardia degli interessi coincide con la coerente difesa dei propri valori, specie là dove questi ultimi risultano fortemente indeboliti o offuscati. Si comprendono così, anche se difficilmente sono giustificabili, i casi dei trasformismi e camaleontismi come quelli di Palermo e che sono annunciati in alcune delle città venete che il prossimo 25 giugno andranno al ballottaggio.

 

Le dichiarazioni entusiastiche di qualche amico popolare per i risultati del centro sinistra a Padova o della lista familistica tosiana di Verona, dove si profila la conferma di quell’accordo dell’ondivago Tosi e della sua compagna con il PD a guida renziana, non potranno che essere oggetto di attenta riflessione da parte nostra  nei prossimi giorni.

 

Flavio Tosi e la sua corte avevano virato a sinistra verso Matteo Renzi, nella speranza di un futuro credito politico, già all’epoca del referendum del 4 dicembre scorso, schierandosi apertamente e perdutamente per il SI. Ora, come naufraghi, tenteranno di sopravvivere nella gestione residua del potere locale con un’anomala alleanza con la “sinistra veronese renziana”.

 

Ieri sera abbiamo visto Maurizio Lupi, uno dei “nominati illegittimi e dei trasformisti transumanti parlamentari”, plaudire entusiasta al risultato veronese, così come di quello del suo amico Alfano in compagnia di Leoluca Orlando il campione della politica dell’“annaccarsi”: il massimo di movimento con il minimo di spostamento.  Contento lui! La parola nella città scaligera  ora  passa agli elettori veronesi che dovranno decidere: se arrendersi alla continuazione di un sistema che tenta la sua riproduzione per via ereditaria locale; una sorta di via americana alla Kennedy e alla Bush “de noantri”, o girare finalmente pagina  per una nuova esperienza politico amministrativa.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 12 Giugno 2017

 

 


Tempi strettissimi per i DC

 

La situazione politica sembra stia assumendo un’improvvisa accelerazione.

La crisi istituzionale in cui viviamo con un parlamento composto da “nominati illegittimi” e una maggioranza drogata dai voti dei “ transumanti mercenari”, è caratterizzata dalla realtà effettuale di un leader mai eletto, Matteo Renzi, che detta i tempi  e comanda a bacchetta, rammentando al povero  Paolo Gentiloni, che  è stato lui “a metterlo in lista alle passate elezioni – come  riportava ieri il Corriere - perché Bersani lo aveva depennato”;  si aggiunga che  altri due leader delle più importanti formazioni partitiche, come Berlusconi e Grillo, per ragioni simili, risultano allo stato degli atti, ineleggibili.  

 

E’ in questo quadro assolutamente anomalo e mai vissuto prima nella storia della nostra Repubblica e con un Paese in preda a una crisi morale, economica, finanziaria, sociale e politica di assoluta gravità, che il Parlamento degli illegittimi si appresta a varare una legge elettorale frutto del compromesso del Nazareno 2.

 

I tempi che ci eravamo prefissati, come già scritto alcuni giorni or sono, rischiano di ridursi ancor di più, se, come sembra, venisse approvata la legge elettorale entro Luglio, con elezioni anticipate a Ottobre, atteso che “il giovin signore fiorentino “ non intende passare prima tra le forche caudine degli impegni finanziari derivanti dalle direttive comunitarie.

 

L’impegno ammirevole del nostro presidente DC, On Gianni Fontana, in giro per l’Italia  ritengo si possa e debba concretizzare al più presto con le seguenti tappe:


1)   appello a tutte le componenti dell’area cattolica e popolare italiana per ritrovarsi insieme a definire il nuovo codice dei democratici cristiani per l’Italia del XXI secolo. Un incontro da tenersi entro la prima metà del mese di Giugno;

2)   sulla base delle indicazioni  politico programmatiche che sortiranno da questo incontro, dovremo convocare il Congresso di tutti i democratici cristiani italiani per definire la linea politica del partito e indicare la nuova classe dirigente con cui avviare il confronto con le altre componenti che intendono perseguire obiettivi politici ispirati ai valori dell’umanesimo cristiano.

 

Tutto ciò dovrà essere compiuto entro il mese di Luglio se vogliamo disporre dei tempi necessari per partecipare efficacemente alle prossime elezioni politiche.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 26 Maggio 2017


Ora è tempo di un rinnovato impegno

 

Superate le residue difficoltà e consapevoli che i tempi imposti dalla politica italiana non concedono dilazioni in attesa di conclusioni giuridiche, sempre contrastate da chi non vuol vedere rinascere il partito dei democratici cristiani, con l’assemblea dei soci convocata il 26 Febbraio scorso all’Ergife di Roma, l’associazione DC, a norma del codice civile e in conseguenza della sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010 ( “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”)  ha il suo nuovo presidente eletto: l’On Gianni Fontana di Verona.

 

Avevamo due strade percorribili, se avessimo avuto tempi politici normali: seguire la strada maestra del codice civile, come sostenuto dal Prof Luciani, cui va il merito di aver seguito in tutti questi anni, con pochi altri amici, l’intera vicenda; oppure, quella dello Statuto ultimo del partito, anno 1992: strade entrambe irte di difficoltà e con tempi di attuazione incompatibili con le urgenze della politica.

 

Ecco perché, rotto ogni indugio, ci apprestiamo ad allargare la base associativa, partendo dall’elenco dei soci effettivi depositati presso il tribunale di Roma in base al quale, ai sensi delle norme del codice civile è stata convocata l’assemblea del 26 Febbraio scorso, chiedendo a tutti gli iscritti alla DC nel 1992-93 se intendono rinnovare l’iscrizione al partito per partecipare, entro settembre-ottobre, alla celebrazione del congresso nazionale della DC.

 

Stesso invito lo faremo alle generazioni più giovani, che non hanno conosciuto la stagione gloriosa della DC e nemmeno quella più triste della sua fine politica; molti dei  quali  sono stati educati dalla vulgata corrente della “damnatio memoriae” di una DC responsabile di tutti i mali dell’Italia.

 

L’attuale triste situazione politica di un Paese in preda all’anomia morale, culturale, sociale e politica, con le istituzioni allo sbando e lo stato di diritto ridotto a una formula vuota rispetto al vissuto concreto dei cittadini; il deserto culturale degli attuali schieramenti politici rappresentati da un parlamento di “nominati illegittimi” e con un governo espressione di una maggioranza drogata dall’incostituzionale “porcellum” e inflazionata dal sostegno dei transumanti mercenari, ascari di “servo encomio e di codardo oltraggio”, richiede un ritorno in campo della cultura democratico popolare e cristiano sociale.

 

Non a caso Papa Francesco nel recente incontro, in occasione dei 150 anni dell’Azione Cattolica Italiana, ha fatto appello ai cattolici per un impegno nella politica: “quella alta e con la P maiuscola”.

 

Eredi della migliore tradizione democratico cristiana, convinti che il nostro ruolo dovrà limitarsi a favorire l’emergere di una nuova classe dirigente, alla quale consegnare il testimone di una storia politica che ha fatto grande l’Italia, con la fine del tesseramento procederemo a celebrare il Congresso nazionale della DC. Un congresso che intendiamo organizzare insieme a tutte le diverse formazioni di ispirazione politico culturale interessate/bili, per por fine alla tragica diaspora che ha sin qui caratterizzato la nostra vicenda nazionale.

 

Avanguardia, come sempre è avvenuto nella storia dei popolari prima e della DC poi, saranno gli amici siciliani che il 27 Maggio prossimo si riuniranno a Caltanissetta su iniziativa dell’On Alberto Alessi e di Renato Grassi, per avviare la formazione delle sezioni territoriali locali ed eleggere i delegati al congresso nazionale.

 

Seguiremo noi veneti, Sabato 3 Giugno con la riunione di Grisignano di Zocco (Vicenza) presieduta dall’On Gianni Fontana con gli stessi intenti degli amici siciliani.

 

Analogo appello è rivolto a tutti i DC interessati a partecipare al prossimo congresso del partito delle diverse regioni e province italiane.

 

Ogni informazione é pubblicata sul nostro sito nazionale: www.democraziacristiana.cloud

 

Ettore Bonalberti

Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)

V.Presidente Comitato nazionale Popolare per il NO

Promotore del think tank:VENETO PENSA

Via miranese 1/A

30171-Mestre-Venezia

tel. 335 5889798

ettore@bonalberti.com

info@bonalberti.com

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

www.alefpopolaritaliani.eu

http://comitatopopolareperilno.it/,


Mercoledì, 17 Maggio 2017

 


Una nuova Camaldoli per i cattolici italiani

 

 

Come appartenenti all’area di ispirazione cattolica e popolare e stante la nostra non tener età, abbiamo vissuto la drammatica trilogia del mondo cattolico italiano: la diaspora, dopo la fine politica della DC, la frantumazione degli anni 1994-2016 sino all’attuale irrilevanza sul piano politico.

Finalmente una parola “chiara” è venuta da Papa Francesco in occasione della celebrazione dei 150 anni dell’Azione cattolica, con l’appello ai cattolici a impegnarsi nella politica, quella alta, quella con la P maiuscola.

Come A.L.E.F., Associazione Liberi e Forti, che da molti anni si batte per la ricomposizione dell’area popolare italiana ed europea, con Gianni Fontana, presidente della DC, e con Ivo Tarolli, coordinatore del gruppo di Rovereto, che annovera tra i suoi componenti, autorevoli amici, come Luisa Santolini,  Sergio Marini, Raffaele Bonanni, Gustavo Piga e altri, siamo interessati a concorrere a organizzare entro l’autunno l’incontro di tutte le migliori energie presenti nell’area cattolica e popolare, per ricostruire una presenza politica forte e autorevole in grado di proporre soluzioni ai problemi dell’Italia ispirate dalla dottrina sociale cristiana.

Un movimento  forte, ampio, plurale e democratico in grado di partecipare , a seconda della legge elettorale che sarà varata, a un più vasto rassemblement laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 12 Maggio 2017

 



Ricordo di Piero Coppola

 

Ho appreso con grande dolore la notizia della scomparsa di Piero Coppola, amico di tante battaglie politiche dentro e fuori della DC. Piero Coppola é stato un combattente democratico cristiano indomito, coerente con la sua formazione di cattolico intransigente formato alla scuola di Vincenzo Gagliardi, di Alfeo Zanini, di Luigi Tartari;  militante in quella componente della sinistra sociale della DC insieme al sen. Giorgio Longo, all’On Gian Franco Rocelli, al sottoscritto  e a tanti altri amici veneziani, che aveva come leader nazionale Carlo Donat Cattin, al quale restammo fedeli sino e anche dopo la sua prematura scomparsa.

Spiace che il collega Sperandio de “ Il gazzettino” abbia nel suo, peraltro apprezzato articolo, errato su alcuni riferimenti e reiterato l’accostamento tra fine della DC e della prima Repubblica con tangentopoli.  Ribadito, come anche ben evidenziato da Sperandio e nello stesso ricordo dell’On Mario Rigo riportato nell’articolo citato, l’assoluta onestà e rettitudine con cui Piero Coppola seppe testimoniare il suo impegno politico e amministrativo, sempre improntato alla ricerca disinteressata del bene comune, al fine di superare quella fuorviante “damnatio memoriae” che da sempre si accompagna nel ricordo della DC, mi permetto di formulare alcune delle ragioni che sono state alla base della fine politica della Democrazia Cristiana:

la DC è finita per aver raggiunto il suo scopo sociale: la fine dei totalitarismi di destra e di sinistra contro cui si era battuto il movimento dei cattolici in un secolo di storia;

la DC è finita per il venir meno di molte delle ragioni ideali che ne avevano determinato l’origine, sopraffatta dai particolarismi egoistici di alcuni che, con i loro deteriori comportamenti, hanno coinvolto nel baratro un’intera esperienza politica;

la DC è finita per il combinato disposto mediatico giudiziario che l’ha travolta insieme agli altri partiti democratici e di governo della Prima Repubblica;

la DC è finita quando sciaguratamente scelse la strada del maggioritario, per l’iniziativa improvvida di Mariotto Segni, auspice De Mita in odio a Craxi e Forlani, abbandonando il tradizionale sistema proporzionale che le garantiva il ruolo centrale dello schieramento politico italiano.

E, soprattutto, ed è la cosa più grave e incomprensibile, la DC è finita senza combattere. Con una parte, quella anticomunista, messa alla gogna giudiziaria, e quella di sinistra demitiana succube e imbelle alla mercé dei ricatti della sinistra giustizialista.

Aggiungo che “la DC è finita e nessuno sarà più in grado di rifondarla”, consapevole che la nostalgia, nobile sentimento romantico, ma regressivo sul piano politico, culturale ed esistenziale, può rappresentare un fattore servente, forse necessario, ma, certo,  non sufficiente per ricostruire alcunché.

Una sentenza a sezioni civile riunite della Cassazione (n.25999 del 23 dicembre 2010) ha sancito che la DC  non è mai morta, il de cuius non esiste perché non è defunto e non c’è alcun erede universale o particolare del partito dello scudocrociato. Esso andava chiuso solo dai legittimi detentori di quel potere in un’associazione di fatto: gli iscritti secondo le regole del proprio statuto e quelle inerenti alle associazioni di fatto senza personalità giuridica.

Ecco perchè abbiamo scelto di riaprire un nuovo capitolo nella storia dei cattolici nella politica italiana, non per ambizione personale, poiché, come diceva Voltaire, siamo ben consapevoli che alla nostra età “ non possiamo che offrire dei buoni consigli, dato che non siamo nemmeno più in grado di dare dei cattivi esempi”, quanto per consegnare alle nuove generazioni il testimone di una storia politica che ha segnato una fase importante della nostra amata Repubblica. Piero Coppola di quella storia ne è stato un protagonista autorevole, coerente, di assoluta onestà e cristallino disinteresse personale.

 

Ettore Bonalberti, già Consigliere nazionale della DC

Venezia,8 Maggio 2017



Cari amici
ringrazio il Prof Marco Vitale che mi ha autorizzato la diffusione del suo saggio con il quale fa il punto sulla situazione bancaria italiana.
Da tempo con il prof Zamagni condividiamo la tesi dell’avvenuto superamento del NOMA ( Non Overlapping Magisteria) e del primato della finanza sull’economia e la politica,  dopo che Bill Clinton, su pressione delle grandi banche d’affari americane, nel 1999 superò la legge Glass Steagall del 1933, che seppe garantire equilibrio e sviluppo al mercato americano. Il superamento dell’obbligo di separazione tra attività di speculazione finanziaria e attività bancarie tradizionali  diede il via libera ai fenomeni di speculazione finanziaria del mercato dei derivati e dei futures che saranno alla base della grave crisi finanziaria in cui tuttora ci dibattiamo dal 2007.
Il Prof  Marco Vitale analizza con estremo rigore ciò che é accaduto nel nostro Paese, con un contributo che sono certo sarà oggetto di una seria riflessione da parte di quanti hanno a cuore gli interessi del nostro Paese.
Buona lettura e un cordialissimo saluto.

Ettore Bonalberti
Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)
V.Presidente Comitato nazionale Popolare per il NO
Promotore del think tank:VENETO PENSA
Via miranese 1/A
30171-Mestre-Venezia
tel. 335 5889798
ettore@bonalberti.com
info@bonalberti.com
www.insiemeweb.net
www.don-chisciotte.net
www.alefpopolaritaliani.eu
http://comitatopopolareperilno.it/,

TENTATIVO DI FARE IL PUNTO

SULLA SITUAZIONE

DEL SISTEMA BANCARIO ITALIANO

 

 

 

“In conclusione a me pare che esista un preciso disegno che punta ad eliminare le banche del territorio, non in maniera diretta, ma esasperando il rispetto di regole troppo pesanti. Non si ha il coraggio di ammettere questo disegno, ma se si continuerà a ritenere le economie di scala e le ragioni dell’efficienza l’unico criterio di giudizio, a scapito del valore sociale e della fiducia, la strada è segnata”.

Stefano Zamagni

 

 


 

La difficile ricostruzione

Nei primi mesi del 2016 la Presidenza del Consiglio dei ministri, insieme al Ministro dell’Economia, affermava che il sistema bancario italiano era, salvo poche eccezioni, solido e privo di malattie strutturali che affliggevano altri sistemi bancari, come quello tedesco. Da allora si è presa coscienza che il sistema bancario italiano è, invece, in cattive condizioni, probabilmente peggiori di quanto appaiano, anche perché su alcuni dati chiave del sistema domina ancora una inquietante opacità.

E’ certamente esagerato parlare di sistema al collasso come pure qualcuno scrive (Francesco Pontelli in Il Profitto Sociale del 09.01.2017), ma non è certo esagerato parlare della necessità di una vera e propria ricostruzione del sistema bancario italiano, opera che richiederà molto tempo, grande impegno e soprattutto lucidità di pensiero e onestà intellettuale. Per un’operazione di questo tipo è necessario alzare gli occhi dalle singole crisi bancarie che, via via, richiamano l’attenzione e tentare di ricostruire una visione d’insieme. Sottolineo la parola “tentare” nella consapevolezza che, a temi così complessi e articolati, è necessario accostarsi con umiltà, ma soprattutto privi di paraocchi ideologici che hanno, invece, negli ultimi anni offuscato il pensiero e l’azione della Banca d’Italia e soprattutto liberi dalle pressioni di specifici interessi che hanno, invece, gravato sulle scelte di governo.

La ricostruzione sarà non solo lunga e difficoltosa, ma di esito incerto, proprio perché le cause che ci hanno portato ad un punto così critico sono parecchie, potenti e di molteplice natura. Alcune dipendono da noi, altre da grandi forze internazionali, di fronte alle quali noi poco possiamo se non cercare di alzare deboli difese.

Da banca intermediaria, a banca che investe in proprio

La prima delle cause non da noi generata ma da noi subita, può essere illustrata da questo episodio. Luigi Einaudi lesse un’unica Relazione come Governatore della Banca d’Italia nell’aprile del 1945 (la relazione si riferiva all’esercizio 1943). In essa Einaudi disse:

Le banche non sono fatte per pagare stipendi ai loro impiegati,

o per chiudere il loro bilancio con un saldo utile;

ma devono raggiungere questi giusti fini col servire

nel migliore modo il pubblico”

 

Nel corso del 2009 mi capitò di citare queste sapienti parole in un consesso nel quale erano presenti alcuni studiosi americani. Uno di loro, nel corso della discussione che seguì alla mia relazione, esclamò: “se avessi pronunciato queste parole, in un contesto americano, prima del 2007, probabilmente sarei stato ricoverato in un ospedale psichiatrico. Forse oggi non più, ma sarei, comunque anche oggi, guardato come un eccentrico pericoloso”. Questo episodio illustra più di tante parole il conflitto che è sorto negli ultimi decenni tra la visione classica del banchiere – intermediario e quella del banchiere – finanziere e operatore in proprio. Dalla figura del banchiere – intermediario (responsabile amministratore di soldi  da terzi a lui affidati) discende tutto un modo di fare banca, ben sperimentato e anche teoricamente  bene inquadrato). Dalla figura del banchiere – finanziere e operatore in proprio (che fa affari e investimenti per se con “i soldi degli altri”) discende una figura e una metodologia operativa del tutto diversa, meno conosciuta. Infatti questo tipo di banchiere che imperversò soprattutto negli USA a  cavallo tra l’800 e il ‘900, fu gradualmente contenuto sino ad essere completamente bloccato dalle riforme di Roosevelt negli anni trenta del ‘900. Perciò è un tipo di banchiere anche poco studiato in teoria. Il pensiero oggi dominante viene, quindi, da molto lontano. Devo qui citare il mio  scritto in “Banche Popolari, Credito Cooperativo, Economia Reale e Costituzione” libro collettaneo, Rubbettino editore, 2016):

“La verità è che il pensiero dominante, del quale i nostri sono ormai semplici megafoni, viene da molto lontano. Viene dall’America a cavallo tra il XIX e XX secolo, il periodo del formarsi dei grandi trust, delle grandi banche d’affari, dell’accumulo dei grandi patrimoni e della concentrazione dei redditi. Per conoscere questo periodo e le forti analogie con i nostri anni siamo oggi favoriti da un libro appena uscito in Italia: Louis D. Brandeis, “I soldi degli altri e come i banchieri li usano”, (Edizioni di storia e letteratura, 2014). Louis D. Brandeis è stato un eminente giurista ed economista americano della prima metà del ‘900. Ha assistito al formarsi delle grandi concentrazioni di potere finanziario, alla nascita dei grandi trust dell’acciaio, del petrolio, delle ferrovie, all’emergere delle grandi banche favorite dall’unione tra le attività di banca commerciale o di deposito e le attività di banche d’affari (la loro forza era basata appunto sulla possibilità di usare i soldi degli altri, dei depositanti, per i propri investimenti e affari). Si è battuto per l’intera vita contro la concentrazione del potere finanziario, come coautore della legislazione antitrust, come pubblicista battagliero (il libro racchiude i suoi articoli di battaglia dei primi anni del ‘900), come stretto collaboratore di Wilson nella campagna per la presidenza (vinta da Wilson) nel 1912.  E’ interessante osservare che l’unico antidoto che Brandeis vede possibile per opporsi allo strapotere dei grandi conglomerati finanziari è proprio il modello europeo del credito cooperativo e l’unico italiano citato nel libro è Luigi  Luzzatti, alfiere dello stesso. Dal 1915 al 1939 è stato giudice della Corte Suprema degli USA, da dove ha continuato le sue inesauribili battaglie contro i monopoli e le concentrazioni economiche e finanziarie, per la riforma del sistema bancario e la tutela dei diritti civili e del lavoro. Nel 1933, con Roosevelt vedrà realizzarsi il suo sogno della separazione, con il Glass-Steagall-Act, delle banche commerciali (accettare depositi e fare prestiti) dalle banche d’affari (fare emissioni e negoziazioni di titoli). Nel frattempo però l’oligarchia finanziaria, e soprattutto la Morgan, usando e abusando dei “soldi degli altri” aveva guadagnato cifre colossali e acquisito un potere, anche, politico, enorme, che continua anche oggi.

L’inquietante interesse del libro è che scopriamo che oggi, dopo lo svuotamento di fatto della legislazione antitrust, l’abrogazione, sotto la presidenza Clinton, del Glass-Steagall-Act, e il ritorno all’unione tra banche commerciali e di deposito e banche d’affari, la conseguente ripartenza virulenta della concentrazione di ricchezza economica e finanziaria, il proliferare di strumenti finanziari fuori da ogni controllo (“shadow banking system”), siamo più o meno ritornati all’inizio del ‘900”.

 

 

 

Questa grave malattia, che è la base di tante altre malattie che affliggono oggi le nostre economie e il nostro sistema bancario, non origina, dunque, da noi. Ma è certamente nostra la resa incondizionata e servile a questa ondata, senza alcun tentativo di resistenza basata sulla storia, la natura, le caratteristiche del nostro sistema socio economico e della nostra tradizione bancaria.

La corsa al gigantismo bancario

La seconda grande malattia che affligge il sistema ( e che è diretta conseguenza della trasformazione da banca – servizio- intermediario a banca – finanziaria –operatore in proprio), è quella del gigantismo bancario.

I banchieri – finanziari – operatori in proprio non si accontentano dell’onesto, normale guadagno che deriva dal tasso di intermediazione del denaro, proprio di una banca servizio. Spinti da un lato dalla loro spietata avidità (che non è più un fatto morale – individuale, ma è un fatto politico, il tratto caratteristico di una classe che è riuscita, esercitando un potere politico, ad appropriarsi di un plusvalore privo di ogni ragionevolezza economica), dall’altra dalla caduta dei tassi di interesse a livelli non più remunerativi per le banche, i banchieri sono sempre più spinti ad assumersi rischi più elevati, agendo come banchieri e come operatori in proprio, entrando in operazioni sempre più distanti da quelle di una attività di intermediazione in senso proprio. Queste tendenze comportano necessariamente l’assunzione di maggiori rischi. E’ anche da questa corsa verso l’assunzione di maggiori rischi, che nasce la spinta al gigantismo bancario attraverso fusioni e acquisizioni, nella speranza di mascherare e disperdere i rischi in un mare sempre più grande o di rifilarli, con operazioni creative, al mercato. A giustificazione di queste insensate (ma non tali per chi le realizza) tendenze, si evocano le presunte “economie di scala” ignorando l’abbondante e seria letteratura internazionale e l’esperienza concreta che, dimostrano che, salvo rari casi, la storia delle “economie di scala” è soprattutto, nel settore finanziario, una favola. L’affermazione richiederebbe una ampia documentazione che qui non posso fornire per ragioni di spazio. Mi limiterò  quindi a citare il “confiteor” di Greenspan, a lungo l’uomo più influente delle’economia mondiale e uno dei maggiori responsabili del disastro del 2008 realizzato in gran parte attraverso il gigantismo bancario, che nel 2013, scrive:

Le grandi banche sono entità sempre più complesse che generano un potenziale di rischi sistemici ben più ampio del passato… Le ricerche condotte dal Federal Reserve non hanno riscontrato economie di scala nelle banche, di là da quelle di modeste dimensioni, Non vedo alternative: bisogna costringere le banche a dimagrire al di sotto di una soglia tale che, se falliscono, cesseranno di costituire una minaccia per la stabilità della finanza dell’America”.

Anche quella del gigantismo è una malattia non originata da noi. Anzi da noi il sistema soffriva di una malattia opposta, e cioè della eccessiva frantumazione in istituti bancari piccoli. Ma  invece di stimolare e guidare, con intelligenza e competenza, un sapiente processo di concentrazione, quando appropriato e con modalità appropriate, si è tardivamente e ottusamente sposata la tesi della ricerca di maggiori dimensioni, a prescindere e costi quello che costi. Eppure avevamo sotto gli occhi le non lontane lezioni della corsa alle fusioni e acquisizioni, realizzate senza criterio, dalla Banca Popolare di Lodi, dalla Banca Popolare di Verona, dal Monte dei Paschi di Siena, corsa stimolata e favorita dalla Banca d’Italia (chi ha dato il nulla osta all’acquisizione dell’Antonveneta da parte del Monte dei Paschi, senza “due diligence” e ad un prezzo che tutte le persone dotate di un minimo di esperienza giudicarono subito, almeno doppio di quanto fosse un valore ragionevole?). E’ dunque una vera e propria sindrome proveniente dal mondo finanziario internazionale, quella della corsa alle maggiori dimensioni, che, ancora una volta passata attraverso le maglie larghe e acritiche della Banca d’Italia, ha contagiato il top management e tanti amministratori delle nostre banche territoriali, quando hanno assaporato che ciò era una cosa buona, per loro.

Togliete dal conto di tante crisi bancarie gli effetti delle fusioni od acquisizioni mal fatte e scoprirete che il sistema bancario italiano sarebbe in discrete condizioni, nonostante la crisi. Si veda sul tema, il lucido contributo di Tancredi Bianchi nel capitolo “Le fusioni sono una risposta?” dell’eccellente libretto. “Complicazioni inutili” (Egea, Università Bocconi Editore, 2016). E’ a causa di questa sindrome acriticamente importata e diffusa, che la Banca d’Italia, ha continuato la deleteria prassi di stimolare e, in qualche caso, imporre delle fusioni come risposta impropria alle crisi bancarie, nel tentativo di manipolare e nascondere la crisi invece di affrontarla a viso aperto e con gli strumenti propri e tradizionali che hanno sempre portato a buoni risultati (Banco Ambrosiano insegna). Dagli anni trenta del ‘900 i depositanti non hanno mai subito perdite, come è assolutamente giusto che sia.

Il capitale come “stella polare” delle banche

“La stella polare è la forza patrimoniale delle banche”. Questa autentica sciocchezza è contenuta nella Lectio magistralis tenuta dal Direttore Generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, nel marzo 2015, al Collegio universitario Borromeo di Pavia, ed è sintomatica di un modo di pensare pericoloso. Nessuno dubita che  un adeguato livello di capitale sia necessario per gestire bene una banca, anche in funzione del tipo e del volume di attività che essa svolge. Ma in tanti decenni che frequento la materia, mai avevo sentito eleggere il capitale come stella polare, come criterio quasi unico per fare buona banca, come la stella polare è o meglio era per i naviganti privi di bussola. Allora aveva torto  Luigi Einaudi quando insegnava che la stella polare non era il livello del capitale ma il fare buona banca ed essere utili ai clienti. Aveva torto Tovini, creatore di banche con scarso capitale, che sosteneva che gli ingredienti base per costituire una buona banca sono la fiducia dei clienti e l’onestà degli amministratori. Era un pazzo il giovane pretino Luigi Sturzo che, per aiutare i contadini di Caltagirone a uscire dalla miseria, li convinceva a unire le scarse risorse in banche rurali mutualistiche. Allora avevano torto i, per fortuna tanti, grandi banchieri (da Menichella a Baffi, da Luzzatti a Mattioli) e i tanti grandi professori di Economia delle Aziende di Credito che hanno educato intere generazioni alla convinzione che la stella polare del fare buona banca  non sta nel livello del capitale ma nella fiducia di cui gode la banca, nella onestà degli amministratori, e in rapporti equilibrati tra le varie forme di attività e passività. La verità è che non esiste capitale sufficientemente alto per evitare gli effetti della “mala gestio”. Forse che il Monte dei Paschi di Siena (MPS), per fare un solo esempio, non aveva accumulato un patrimonio sufficientemente elevato nei suoi 600 anni di storia senza distribuzione di dividenti, prima che questo patrimonio, una volta diventato SpA, venisse, in breve tempo, dilapidato da una dirigenza disastrosa, profondamente inquinata dalla politica, che ha operato quasi indisturbata dagli organismi di vigilanza e seguendo una strategia basata su quelle fusioni e acquisizioni così’ amate e raccomandate in alto luogo?

Secondo il pensiero dominante, del quale la Banca d’Italia si è ormai fatta semplice portavoce, le banche devono diventare sempre più grandi, sempre più omogenee, sempre più burocratiche, sempre più rigide, sempre più patrimonializzate, sempre più anonime e staccate dal territorio e da simili sentimentalismi, senza anima, identità e cultura. L’unica cosa che conta è che siano ben patrimonializzate ma, soprattutto, contendibili, per la gioia dei raider mondiali. Ma questo pensiero dominante non è esattamente lo stesso che ci ha portato diritti al disastro finanziario del 2008? Oltre tutto la rincorsa alle maggiori dimensioni e a cercare la quadratura del cerchio nel patrimonio elevato è, in tutti i campi, compreso quello bancario, un approccio suicida per il nostro paese. Noi siamo quello che siamo. Un’economia di medie e piccole imprese, con le grandi imprese o distrutte (Olivetti) o emigrate (Fiat) o vendute (Pirelli), con un ordinamento che stimola le medie imprese ( ed ora anche le Banche Popolari) a non crescere, con un mercato dei capitali asfittico (anche ora che nel mondo c’è una liquidità mai vista), con una classe imprenditoriale brava a fare ma non a governare, con un familismo impressionante, con una dipendenza dall’intermediazione bancaria esagerata, con delle condizioni del credito bancario che presentano livelli di diversità inaccettabili a seconda delle dimensioni delle imprese, con un livello di occupazione molto basso, con differenze territoriali drammatiche. Per questo la pretesa di cercare di applicare acriticamente da noi impostazioni, approcci e livelli patrimoniali, dettati da paesi da noi molto diversi, in funzione dei loro interessi specifici, può essere assai dannosa. Un barlume di comprensione di ciò appare nel Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, Fabio Panetta, che, in una buona relazione tenuta a Perugia il 21 marzo 2015, dal titolo: “La transizione verso un sistema finanziario più stabile”, ha detto: “Gli intermediari dovranno accompagnare la ripresa della domanda di prestiti mantenendo un fermo controllo dei rischi, in particolare quelli creditizi. In questa fase un ulteriore inasprimento dei requisiti di capitale e di liquidità per le banche rischierebbe di frenare l’offerta di credito, allontanando la ripresa economica. Aumenterebbero in questo caso, insieme a quelli macroeconomici, i rischi del sistema finanziario, con un esito opposto a quello desiderato”.

Noi siamo condannati a fare di più con meno, in tutti i campi. Se ci mettiamo sulla strada delle grandi dimensioni e del grande capitale siamo, per definizione, perdenti e avviati ad un destino inevitabile di paese coloniale, via nella quale ci siamo già molto inoltrati. Noi dobbiamo concentrarci sulle cose che sappiamo fare e sulle dimensioni che riusciamo a dominare e non scimmiottare gli altri, o farci imporre da altri soluzioni a noi dannose. Quando scoppiò la crisi finanziaria del 2008, per qualche tempo ci si è interrogati seriamente sulle sue cause. Molti indicarono nel gigantismo bancario, nel “too big to fail” le cause principali. Molte e autorevoli furono le voci in questo senso, di studiosi (tra i quali William Sharpe: “C’è una seria discussione da affrontare sulle istituzioni troppo grandi non solo per lasciarle fallire, ma anche per poterle regolare… troppo grandi per poter funzionare non solo per fallire”), ma anche di istituzioni (tra le quali la Banca dei Regolamenti Internazionali e la Banca Centrale Svizzera il cui vice-presidente chiese apertamente la riduzione delle banche troppo grandi “senza remore e senza tabù”. Ma gli interessi dei grandi gruppi prevalsero e, in relativamente poco tempo, il dibattito sui rischi del gigantismo bancario fu  archiviato. Prevalse, invece, come una sorta di compensazione, la tesi del capitale e del patrimonio elevato. Ogni banca poteva fare quello che voleva, poteva crescere a dismisura, purché avesse un capitale sempre più elevato. Ecco da dove viene la stravagante tesi di chi sostiene che la stella polare è il livello del patrimonio e non il fare buona banca. Oltre che con il capitale più elevato si cercò di rispondere ai rischi sistemici propri delle grandi banche, irrigidendo i controlli, le autorizzazioni, i regolamenti. E questo approccio fu esteso, con poche differenze, a tutte le banche gravando le minori con oneri pensati per le grandi. Sicché dal prevalere di questa impostazione, i grandi gruppi uscirono ancora più forti, mentre le banche minori furono, e sono sempre più e comunque, penalizzate in relazione sia ai requisiti patrimoniali, che alla partecipazione ai vari fondi di solidarietà bancaria, che agli adempimenti burocratici che ai controlli. In sostanza la politica bancaria per le banche minori è semplice: se siete piccole, peggio per voi. Dovete morire o sparire.

La guerra contro le  banche territoriali e il tentativo di cancellare le Banche Popolari.

Ragioni di spazio mi obbligano a svolgere in forma più schematica gli argomenti che voglio  ancora toccare. Ma preferisco completare comunque l’agenda, per tentare una sintesi finale.

Deriva dalle malattie sino ad ora analizzate, anche la guerra scatenata contro le nostre banche territoriali ed il tentativo di cancellare le Banche Popolari. Su questo tema faccio riferimento al già citato “Banche Popolari, Credito Cooperativo, Economia Reale e Costituzione” al quale aggiungo ora un riferimento anche all’ottimo libro di Andrea Greco e Franco Vanni: “Banche Impopolari, Inchiesta sul credito popolare e il tradimento dei risparmiatori” (Mondadori, 2017). Che le banche territoriali ed in particolare le Banche Popolari necessitassero di una riforma importante è, da tempo, fuori discussione. Personalmente, in varie sedi e in varie vesti, mi sono ripetutamente impegnato per una riforma modernizzatrice delle Popolari. Non vi è contrasto tra questo impegno e la mia avversità contro i provvedimenti legislativi con i quali si è, recentemente, cercato di scardinare e cancellare le nostre banche territoriali ed in particolare le Popolari e le BCC. Altro è riformare, rafforzare, modernizzare. Altro è cancellare, con un “disegno taciuto” (Stefano Zamagni), e con provvedimenti frettolosi, superficiali, in parte, erroneamente motivati e anticostituzionali. Le banche territoriali e il credito cooperativo sono una fortuna per i paesi che li hanno. Sono gli unici strumenti che possono contrastare ulteriori concentrazioni del potere finanziario. Quella che è stata impropriamente chiamata riforma delle Popolari è, in realtà, un pasticcio, in parte incostituzionale, cosa questa non sorprendente, starei per dire naturale, proprio perché la nostra Costituzione nasce in opposizione alla concentrazione del potere finanziario.  Come ebbi a scrivere:

La nostra Costituzione è un grande baluardo per resistere a ulteriori concentrazioni di potere finanziario, per una economia ed una finanza partecipativa, dove c’è posto per i grandi e per i piccoli, per un’economia del libero intraprendere ma nel rispetto di diritti sovraordinati, rispetto a quelli, pur legittimi, della buona finanza, per un’economia, una società, una cultura equilibrate che si oppongono all’appiattimento ed omogeneizzazione tecnocratica per la quale solo le grandi dimensioni meritano rispetto. Ecco perché non perdono occasione per tentare di scardinarla. Questa, e semplicemente questa, è la partita in gioco nel tentativo in atto di omogeneizzare e banalizzare tutte le nostre strutture bancarie, per sottoporle al pensiero unico di chi pensa che le banche popolari, e tutto il credito cooperativo siano, un’anomalia del sistema. Ed in effetti si tratta di un’anomalia rispetto al loro sistema. Ma il loro sistema è esattamente quello che i padri costituenti non volevano”.

Crisi economica e crisi bancaria, la debolezza della Vigilanza della Banca d’Italia

La crisi economica che ha colpito in misura molto più intensa e prolungata  il nostro tessuto produttivo, con la perdita del 25% della nostra capacità manifatturiera, non poteva non riflettersi sulle banche. La forte crescita dei crediti bancari deteriorati è, quindi, naturale, prevedibile e prevista (secondo il database Mediobanca, un euro su cinque di crediti si è deteriorato). Il rientro verso parametri più equilibrati richiederà tempo, attenzione costruttiva, accompagnamento delle imprese debitrici meritevoli, ripresa economica, buona gestione.

L’alto livello dei crediti deteriorati non può e non deve diventare strumento indiscriminato di accuse al management e agli organi di vigilanza. Ma la crisi economica non deve neppure diventare alibi per coprire ogni “mala gestio”. Abbiamo sotto gli occhi casi gravissimi di collassi bancari, che si sono trasformati in casi sociali di interi territori, come è, per fermarci ai casi più eclatanti il caso del Monte dei Paschi e delle due popolari venete, che non si spiegano solo con la crisi economica. Essi sono casi plateali di “mala gestio” e, conseguentemente di “mala vigilanza”, se è vero che la Vigilanza ha la funzione di vigilare, in anticipo, e di fermare i casi di “mala gestio”, prima che diventino disastri economici e sociali. Chi, come chi scrive, ha avuto modo di osservare sul campo le grandi capacità tecniche della struttura della vigilanza di Banca d’Italia, ha pochi dubbi nell’affermare che la lamentata debolezza non è tecnica, ma politica e culturale, dei vertici. Con Baffi e Sarcinelli sarebbe stata un’altra musica.

Crisi bancarie e il “bail in”. La Vigilanza Europea.

La procedura del cosiddetto “bail in” è una questione europea. Essa prevede l’ordine  di partecipazione al risanamento dell’azienda: prima gli azionisti, poi i titolari di crediti con funzione ibrida di capitale, poi i creditori a lungo termine possessori di obbligazioni non garantite, poi gli obbligazionisti garantiti, poi i depositanti con saldo superiore a quello assicurato da forme di solidarietà interbancaria.

Il “bail in” di una banca, secondo lo schema obbligatorio sopra descritto, è in sostanza un’alternativa a una procedura concorsuale, una specie di concordato imposto e obbligatorio per certe categorie di creditori. Non è il caso di analizzare qui i pro e i contro di questa procedura, anche se non posso non formulare forti perplessità su alcuni suoi  aspetti.

E’, invece, una questione italiana il modo con cui questa procedura è stata recepita in Italia. E’ stata dai nostri rappresentanti subita e recepita con totale e silente passività, ignorando gli effetti sulle operazioni in corso, dando al pubblico una informativa prossima allo zero, non predisponendo strumenti per attenuarne gli effetti in sede di prima applicazione, senza valutare gli effetti a cascata sul sistema, anzi anticipandone, inopportunamente, l’entrata in vigore, come illustra con chiarezza Tancredi Bianchi (op.cit.):

 

la normativa europea sul bail-in – ossia soluzione interna di una crisi bancaria – è entrata in funzione con l’anno 2016, ma in Italia è stata inopportunamente, anche se a motivo di pressioni europee, sperimentata alla fine del 2015, con il cosiddetto salvataggio di quattro banche – Cassa di Risparmio di Ferrara, Cassa di Risparmio di Chieti, Banca delle Marche, Banca Popolare dell’Etruria – in base a un decreto governativo del novembre di quell’anno. Con tale decreto si dispose di annullare sia il capitale proprio delle banche sia le obbligazioni subordinate emesse e circolanti. Si dispose altresì di trasferire in monte, ad apposito veicolo, le partite deteriorate accertate (sofferenze, crediti incagliati, crediti ristrutturati, crediti in ritardo nei piani di rimborso e così via), a un valore inferiore al 20 per cento del nominale, pareggiato dalla solidarietà delle altre banche, chiamate pure a ricostituire i capitali propri delle quattro banche, nella misura minima richiesta dalle autorità di vigilanza europee. Una soluzione innovativa rispetto all’esperienza ormai di quasi un secolo. Decisione che ha trovato contrarietà, forte e determinata, presso i risparmiatori in possesso delle obbligazioni subordinate, ormai di valore nullo, che hanno invocato la truffa a proprio danno, organizzata dalle banche emittenti, e in ogni caso una maliziosa carenza di informazioni al proposito dei rischi connaturati con i titoli in discorso”.

 Insomma si è dato un colpo molto forte e credo, irreversibile, al rapporto di fiducia banca-risparmiatori, seppellendo per sempre la credenza che avevamo sentito tante volte ripetere dai nostri genitori e nonni con la frase: “ è un investimento sicuro, come tenere i soldi in banca”. Non vale più.

Nel frattempo si è realizzato un altro mutamento epocale.- E’ entrata in vigore la Vigilanza europea che ha preso sotto il suo controllo parte importante del nostro sistema bancario. Sarebbe contradditorio criticare la Vigilanza italiana e non essere positivi su questo passaggio alla Vigilanza europea. Io penso che, alla lunga, si tratti di un passaggio positivo, ma per ora esso è anche portatore di complicazioni burocratiche enormi, di ritardi dannosissimi nelle operazioni di risanamenti bancari, di manifestazioni di arroganza inaccettabili da parte dei responsabili della Vigilanza europea, di imposizioni spesso estremamente arbitrarie e dannose per il singolo istituto in ristrutturazione, come quelle di imporre la cessione dei crediti deteriorati entro tempi brevissimi e in misura esagerata, per la gioia degli avvoltoi. Secondo la fonte Mediobanca una cessione in blocco dei 176 mld di crediti deteriorati alla metà del loro prezzo contabile abbatterebbe il netto tangibile del 40% circa. Dunque con la Vigilanza europea e con il vertice BCE bisognerà trovare un passo diverso, più costruttivo e ciò richiederà un non facile negoziato. Il che richiede di avere da parte nostra dei vigorosi negoziatori, tipo il Baffi che negoziò, con successo, ma con tante amarezze, in quasi totale solitudine, la fascia di oscillazione per l’ingresso della lira nello SME.

Un tentativo di bilancio sulla guida della Banca d’Italia .

Un tentativo di bilancio sulla guida della Banca d’Italia nel corso dei dieci anni di crisi  non può non essere critico, sotto vari aspetti.

-       Banca d’Italia come guida economica

La Banca d’Italia dal secondo dopoguerra si era guadagnata il ruolo di reale governo della politica economica (molto efficace su questo punto il paragrafo: “Guido Carli e il ruolo assunto dalla Banca d’Italia, in Pietro Craveri “L’arte del non governo. L’inesorabile declino della Repubblica italiana” Marsilio, 2016). Questo ruolo è stato apprezzato da molti, compreso chi scrive: sulla Banca d’Italia, sul suo pensiero, sulla sua competenza, sulla affidabilità dei suoi dati, si poteva contare, Questa immagine positiva sopravvive, in parte, nel nostro tempo, ma è ormai poco più di una leggenda. Nella crisi del 2008 la Banca d’Italia non ha saputo più svolgere questo ruolo. Ha a lungo alimentato la lettura della crisi come fatto sostanzialmente congiunturale; ha sottovalutato gli effetti a lungo termine della stessa; ha sottovalutato i problemi del sistema bancario; è stata priva di un pensiero  guida sulla ristrutturazione del sistema bancario, alimentando solo la fiaba delle fusioni e delle economie di scala; non ha mai saputo negoziare con dignità, nel quadro d3ei rapporti europei,  la tutela dei nostri interessi.

-       Banca d’Italia come  Vigilanza bancaria

Gli eventi dimostrano che la Vigilanza è stata debole, tardiva e incapace di anticipare e prevenire le maggiori crisi bancarie, non esercitando i poteri preventivi che essa pure ha, di vigilare sulle qualità delle direzioni generali e degli amministratori.

-       Banca d’Italia come depositaria della fiducia dei risparmiatori

La fiducia verso il sistema bancario è stata, almeno a partire dagli anni ‘50 del ‘900, uno dei beni più preziosi per i risparmiatori e operatori economici italiani. Questa fiducia si è rotta e non sarà facile ricostituirla.

Io credo che di fronte a risultati così negativi, il vertice di Banca d’Italia dovrebbe presentarsi alla propria assemblea dimissionario per favorire quell’indispensabile ricambio culturale e operativo, che non può non ripartire dal vertice della Banca d’Italia, che molti continuano a rispettare e ad amare come uno dei pilastri della nostra Repubblica, ma che, anch’esso, ha bisogno di profondi restauri.

 

E per il futuro della nostra economia? Senza un rinnovamento profondo nel pensiero e nell’azione dei vertici economici del Paese, un futuro modesto per un paese modesto e coloniale.

Marco Vitale

Milano, 27 aprile 2017

Scritto per Micromega

 

 

              Venezia, 4 Maggio 2017

Cari amici
ho appena inviato ad alcuni amici parlamentari la mail che vi allego. Attendo le loro repliche.
Un caro saluto

Ettore Bonalberti
Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)
V.Presidente Comitato nazionale Popolare per il NO
Promotore del think tank:VENETO PENSA
Via miranese 1/A
30171-Mestre-Venezia
tel. 335 5889798
ettore@bonalberti.com
info@bonalberti.com
www.insiemeweb.net
www.don-chisciotte.net
www.alefpopolaritaliani.eu
http://comitatopopolareperilno.it/,


Inizio messaggio inoltrato:

Da: Ettore Bonalberti
Oggetto: I: 31 Luglio 1992 Banca d'Italia cambia la contabilità delle banche italiane: sparita l'attività di raccolta
Data: 04 maggio 2017 10:23:26 CEST
A: Mario Mauro Mario , CARLO GIOVANARDI , Gaetano Quagliariello , Roberto FORMIGONI , Menorello , Brunetta Renato Brunetta , luigi.compagna@senato.it, Mario Dalla Tor , Tabacci Bruno
Cc: associati FONTANA GIANNI c/o fontana e , MARIO TASSONE , Ivo Tarolli , stefano Parisi , Paolo Maddalena , Luigi Intorcia , Giovanni Tomei , Emanuela Bambara , de giacomo luigi , Giuseppe Morelli , Antonino Giannone , Giuseppe Gargani , "Publio Rif.ne naz.le DC Fiori" , Calogero Mannino Mannino , Giorgio Zabeo , Amedeo Portacci , alessi alberto , Renato Grassi , Paolo Cirino Pomicino , Giuseppe Guarino , Nino Galloni

Cari amici,
come già inviatovi il 23 marzo scorso ( con grande mia sorpresa sin qui senza alcuna risposta) il solito a me sconosciuto “multicentro risarcimenti” mi invia la nota che vi allego. Non trovate quanto meno strano che denunce a ripetizione effettuate da questo fantomatico gruppo “multicentro risarcimenti” inviate a molte procure della repubblica siano rimaste sin qui senz’alcun effetto? O siamo in presenza di diffusione di notizie destinate a creare panico tra i cittadini e contribuenti ( e allora si tratterebbe di un reato) oppure, perché i reati denunciati da questo gruppo non sono stati sin qui perseguiti? Non è poi strano che solo il M5S presenti tali denunce in parlamento, così come non sarebbe da approfondire la ragione dell’incontro avvenuto ieri  a Palazzo Chigi tra Gentiloni e quello "stinco di santo" del tycoon Soros, "il protagonista delle speculazioni che nel 1992 causarono una svalutazione della lira del 30% e la dissipazione di 40mila miliardi di lire di riserve valutarie della Banca d’Italia, il quale oggi sostiene apertamente la più ampia immigrazione verso l'Italia, propugna e finanzia le politiche LGBT e a favore della liberalizzazione delle droghe”? A proposito di Soros e dell’incontro effettuato ieri con Gentiloni ,leggete l’altra nota sempre ricevuta oggi dal gruppo multicentro risarcimenti.
Possibile che nessuno di voi trovi il  tempo e/o……. il coraggio di denunciare tale situazione? Attendo una vostra cortese replica, in attesa di aprire sui nostri siti un dibattito aperto atteso che, se le denunce fatte corrispondessero a verità, sarebbe in gioco la stessa sopravvivenza del nostro sistema democratico.
In attesa di leggervi gradite i più cordiali saluti.


Ettore Bonalberti
Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)
V.Presidente Comitato nazionale Popolare per il NO
Promotore del think tank:VENETO PENSA
Via miranese 1/A
30171-Mestre-Venezia
tel. 335 5889798
ettore@bonalberti.com
info@bonalberti.com
www.insiemeweb.net
www.don-chisciotte.net
www.alefpopolaritaliani.eu
http://comitatopopolareperilno.it/,



Inizio messaggio inoltrato:

Da: muticentro
Oggetto: 31 Luglio 1992 Banca d'Italia cambia la contabilità delle banche italiane: sparita l'attività di raccolta
Data: 03 maggio 2017 17:48:24 CEST
A: adusbef@studiotanza.it
Cc: antonio-tatulli@libero.it, umbertotatulli@libero.it, registrogenerale.procura.verona@giustiziacert.it, registrogenerale.procura.perugia@giustiziacert.it, procura.generale@corteconti.it, procura.salerno@giustizia.it, procura.cremona@giustizia.it, procura.trani@giustizia.it, procura.palermo@giustizia.it, procura.milano@giustizia.it, vittorio.teresi@giustizia.it, roberto.dimartino@giustizia.it, roberto.pellicano@giustizia.it, paolo.borsellino@giustizia.it, giovanni.falcone@giustizia.it, antonino.dimatteo@giustizia.it, michele.ruggiero@giustizia.it, alfredo.robledo@giustizia.it, procura.forli@giustizia.it, procura.ragusa@giustizia.it, procura.verona@giustizia.it, giulia.labia@giustizia.it, info@orsiniemidio.it, Avv Alessio Orsini , Alessio Orsini , procura.bergamo@giustizia.it, procura.teramo@giustizia.it, procura.brescia@giustizia.it, aldo.moro@presidenzadelconsiglio.it, procura.parma@giustizia.it, procura.rimini@giustizia.it, procura.frosinone@giustizia.it, procura.sciacca@giustizia.it, procura.mantova@giustizia.it, procura.cosenza@giustizia.it, procura.pisa@giustizia.it, procura.lanciano@giustizia.it, Procura Perugia , procura.avellino@giustizia.it, procura.asti@giustizia.it, procura.lagonegro@giustizia.it, procura.ferrara@giustizia.it, procura.fermo@giustizia.it, procura.chieti@giustizia.it, procura.cassino@giustizia.it, procura.cagliari@giustizia.it, procura.bolzano@giustizia.it, procura.matera@giustizia.it, procura.lecce@giustizia.it, procura.livorno@giustizia.it, procura.reggiocalabria@giustizia.it, procura.marsala@giustizia.it, procura.pescara@giustizia.it, procura.padova@giustizia.it, procura.savona@giustizia.it, procura.sondrio@giustizia.it, procura.bari@giustizia.it, procura.brindisi@giustizia.it, procura.venezia@giustizia.it, procura.udine@giustizia.it, procura.ascolipiceno@giustizia.it, procura.nuoro@giustizia.it, procura.spoleto@giustizia.it, procura.viterbo@giustizia.it, procura.vicenza@giustizia.it, procura.vercelli@giustizia.it, procura.alessandria@giustizia.it, nicola.trifuoggi@giustizia.it, giampiero.diflorio@giustizia.it, procura.como@giustizia.it, Roberto Tartaglia , francesco.delbene@giustizia.it, Antonio Tanza , pierfilippocentonze@me.com, Avvocato Gianluca Madonna , "Avv. Marco Della Luna" , "Avv. Luca Berni" , "On. Daniele Pesco" , Marco Della Luna , "Avv. Fabio Galli" , Ferdinando Alberti , marco saba , Galloni Antonino , Enrico Cappelletti , elena.fattori@senato.it, giuseppe@studiolegaledametti.eu, Gianluca Tarantino , info , Roberto Lassini , "Avv. Roberto Vassalle" , VILLAROSA_A@camera.it, RUOCCO_C@camera.it, avv.albericatiranti@email.it, "Avv. Mario Morelli" , alberto vetroni , Valeria Abbondanza , Intimax - Paolo Balossi , Sara Bontempi , Gianluigi Calcagno , Commerciale Spartadiciannove , Dario Quaranta , DELGROSSO_D@camera.it, wail el fatihi , GIULIO STRINGHINI , lettere@ilfattoquotidiano.it, "matteo.nolli@alice.it" , nicola@mavellia.pro, ornella.bertorotta@senato.it, ROSOLINO RIVOLTINI , Stefano Scaglioni , Gieffe , "Pettinenza Guglielmo - MAR.C" , tonispizzone@libero.it, Rubertazzi Maria , "tino.mozzini@virgilio.it" , TOFALO_A@camera.it, lombardiatv.mb@libero.it, maurizio.magni@auricchio.it, maurizio.buccarella@senato.it, Alessio Mattia Villarosa , Filippo Catalano , BARONI_M@camera.it, "Vallati Claudio - MAR.A" , Nicoletta Forcheri , rosanna.durelli@beniculturali.it, Bruno Di Loreto Wurms , Carole Ardigo , Daniele Bassot , Dario Cantarelli , registrogen.procura.reggiocalabria@giustizia.it, lawyersaccani@gmail.com, paolo maddalena , GT ADVOCACY , Tuconfin Vicenza , vicepresidente@tuconfin.it, Sandro Bognier , claudia pasqualini , "michele.assini" , giograif@libero.it,proto.procura.trani@giustizia.cert.it, lauramastrangelo@pec-italia.it, laura@studiomastrangelo.pr.it, Marco Meacci , augustodebeni@ordineavvocati.vr.it, oraziofergnani@tiscali.it, t.sm@libero.it, main@360fsbn.it, Asgeir Brynjar Torfason , enrico@avvbartolini.it, 360fsbn@pec.it, Luigi Fasce , SORIAL_G@camera.it, vivi rosso , avvdinapoli@studiodinapoli.it, Alessandro Cerboni , Human Economy Deutsch , minoranzainunicredit@alice.it, Elman Rosania , francescapoliti@studiovalaguzza.it, gabriele pernechele , ettore bonalberti , Mauro Beschi , claudio@demagistris.it, fc.besostri@libero.it, giancanuto@email.it, iovotonocaserta@libero.it, sindaco.segreteria@comune.napoli.it, Domenico Gallo , Maria paola Gargiulo , Salvatore Settis , Tomaso Montanari , Luca Ciarrocca , Alberto Micalizzi , Sandro Diotallevi , Raffaele Bonanni , Centrostudi L Da Vinci , Giorgio Cremaschi , Pietro Della Corte , Jacopo Tolja , Leonardo Triulzi , laura cima , Ezio Gallori , Quirino Salomone , studiotamburro@gmail.com, rosaria.viviano@unina2.it, ant.pisani@inwind.it, "Avv. Romano Grazia Antonio" , raniero.lavalle@tiscali.it, Antonino Giannone , a.pace@studioprofessorpace.it, Carlo Di Marco , "www.alfierograndi.it" , Jessica Casadei , studiolegalepatrizi@libero.it, Giuseppe Borelli , ngattoni@libero.it, Mauro Minestroni , nicola.gratteri@giustizia.it, registrogenerale.procura.catanzaro@giustiziacert.it, registrogenerale.procura.trani@giustiziacert.it, info@ior.va, Autorità di Informazione Finanziaria , "Elena Marchesini Cucchi Jr." , registrogenerale.procura.bergamo@giustiziacert.it, registrogenerale.procura.udine@giustizia.it, sibilia_c@camera.it, registrogenerale.procura.perugia@giustizia.it, registrogenerale.procura.palermo@giustizia.it, Girolamo Pisano , registrogenerale.procura.cremona@giustizia.it, registrogenerale.procura.trani@giustizia.it, registrogenerale.procura.udine@giustiziacert.it, segreteria@antimafiaduemila.com, affaripenali.procura.trani@giustiziacert.it, segreteria.assessorerolando@comuneditorino.it, g.spinelli1964@libero.it, antonia.divenosa@giustizia.it, lagabbia@la7.it

Un software installato dal 31 Luglio 1992 ha eluso al fisco italiano 1350 miliardi di euro nelle banche italiane quotate in borsa controllate dagli hedge fund,  all'insaputa delle banche italiane  stesse?

Il 29 Giugno 1992 si era insediato il Governo Amato.

Il 14 dicembre 1992 Amato firma il d.lgs n. 481 con cui abolisce la separazione tra banche di prestito e banche speculative: gli hedge fund iniziano a creare l'importo dei mutui  con un clic elettronico eludendo al fisco italiano le quote capitali attraverso le nuove regole di bilancio imposte da Bankitalia Spa ?

Fa la comparsa dal 31 Luglio 1992 nel bilancio delle banche la voce "Debiti verso la clientela":  dovrebbero essere depositi effettuati dai risparmiatori ed invece è l'importo dello stesso mutuo (creato con un clic probabilmente alle Bahamas, dal  1973 la Banca Centrale delle Bahamas è l'unica banca centrale al mondo  che può creare dollari, lira dal 1992 ,  dal 1998 euro, qualsiasi valuta   con un clic elettronico  ) come confermato da Banca d'Italia in risposta al recente Q-Time del Mov. Cinque stelle " i depositi della clientela sono virtuali ".
Dal bilancio delle banche italiane quotate si evince che la banca dal 1992  al momento in cui concede un prestito rateale al cliente  per esempio di 10 mila euro, avrebbe  eseguito la scrittura di partita doppia "crediti verso la clientela " a  "debiti  verso la clientela " per 10 mila euro . Quando il mutuatario restituisce via le rate , le quote capitali , se fosse stata effettuata codesta scrittura di partita doppia iniziale con cui la banca fa figurare come se il mutuatario avesse effettuato un deposito , non trovano più collocazione nel bilancio della banca quotata, dove vanno a finire ?

Quando il mutuatario restituisce la rata, l'importo dei Debiti verso la clientela doverebbe diminuire via via dell'importo della quota capitale, invece le banche italiane hanno inspiegabilmente importi di debiti verso la clientela di complessivi 1700 miliardi di euro, pari ai Crediti verso la Clientela ,pari questi ultimi a complessivi circa  1700 miliardi di euro ( di cui circa 350 miliardi di euro non incassati , in sofferenza , 1700 MLD meno 350 MLD=  circa 1350 miliardi di euro elusi al fisco italiano dagli hedge fund dal 31 Luglio 1992 ?)  .

Dove sono andate a finire le quote capitali ?
Un software installato a partire dal 31 Luglio 1992 genererebbe altre due scritture contabili di partita doppia ,  all'insaputa dell'operatore bancario,  che fanno uscire dalla banca italiana quotata,  attraverso conti di transito,  le quote capitali via via incassate dai mutuatari , verso gli hedge fund che la controllano. Tecnicamente possibile . 
 
Le stesse regole di bilancio di Banca d'Italia del 31 Luglio 1992   e lo stesso sistema operativo , come sotto riportato ,  è stato installato in Equitalia dal  2006, da quando ossia
è stato  conferito ad Equitalia il potere esclusivo di rateizzare le cartelle .
Nei  bilanci di Equitalia Spa compare dal 2006 la voce "Debiti verso i contribuenti" inspiegabilmente di pari importo ai  "Crediti verso i contribuenti", pari mediamente a circa 600 milioni di euro all'anno. Infatti sommando i bilanci di Equitalia dal 2006 al 2014,  essa risulta complessivamente in perdita di circa 3 milioni di euro .
Ciò significa che  Equitalia ai suoi azionisti (Agenzie delle Entrate ed Inps ) non ha distribuito un euro a fine anno dal 2006 al 2014.

Dove sono andate a finire le quote capitali via via restituite dai contribuenti che hanno aderito alla rateizzazione ?

600 milioni di euro x 8 anni sono circa 5 miliardi di euro.
5 miliardi di euro elusi al fisco italiano e confluiti negli hegde fund, all'insaputa di Equitalia ?
Dal bilancio di Equitalia si evince che Equitalia dal 2006, al momento in cui concede la rateizzazione al contribuente per esempio di 10 mila euro, avrebbe  eseguito la scrittura di partita doppia "crediti verso il contribuente" a  "debiti  verso il contribuente " per 10 mila euro . Quando il contribuente restituisce via le rate , le quote capitali , se fosse stata effettuata codesta scrittura di partita doppia iniziale con cui Equitalia fa figurare come se il contribuente avesse effettuato un deposito , non trovano più collocazione nel bilancio di Equitalia, dove vanno a finire ?
Un software installato a partire dal 2006  genererebbe altre due scritture contabili di partita doppia ,  all'insaputa dell'operatore di Equitalia   che fanno uscire da Equitalia   attraverso conti di transito,  le quote capitali via via incassate dai contribuenti,  verso gli hedge fund . Tecnicamente possibile . 


Forse è spiegato perche alcuni senatori statunitensi avessero chiesto,  un anno orsono,   per quale motivo  anche  l'ente di riscossione statunitense risultasse registrato , insieme ad alcuni altri enti di riscossione europei , nel paradiso fiscale del Deleware









Le stesse regole di Bilancio del 31 Luglio 1992 sono state estese da Bankitalia Spa  ad Equitalia nel 2006 





Ogni possibile reato sopra ascritto e descritto è sempre inteso come ipotizzato rimettendo all'illustrissima S.V. la verifica della certezza dello stesso e la sua richiesta punizione.
Trattandosi di ipotizzato reato commesso da ipotizzati soggetti esteri si invoca l'applicazione dell'art 10 del cpp.  


A proposito di Soros ricevo e vi invio la nota del gruppo multicentro risarcimenti:
Inizio messaggio inoltrato:

Da: muticentro
Oggetto: Quante cellule Isis, supposto portate dalle ONG, si attiverebbero se il Mov Cinque Stelle vincesse?
Data: 04 maggio 2017 10:00:41 CEST
A: adusbef@studiotanza.it
Cc: registrogenerale.procura.verona@giustiziacert.it, registrogenerale.procura.perugia@giustiziacert.it, procura.generale@corteconti.it, procura.salerno@giustizia.it, procura.cremona@giustizia.it, procura.trani@giustizia.it, procura.palermo@giustizia.it, procura.milano@giustizia.it, vittorio.teresi@giustizia.it, roberto.dimartino@giustizia.it, roberto.pellicano@giustizia.it, paolo.borsellino@giustizia.it, giovanni.falcone@giustizia.it, antonino.dimatteo@giustizia.it, michele.ruggiero@giustizia.it, alfredo.robledo@giustizia.it, procura.forli@giustizia.it, procura.ragusa@giustizia.it, procura.verona@giustizia.it, giulia.labia@giustizia.it, info@orsiniemidio.it, Avv Alessio Orsini , Alessio Orsini , procura.bergamo@giustizia.it, procura.teramo@giustizia.it, procura.brescia@giustizia.it, aldo.moro@presidenzadelconsiglio.it, procura.parma@giustizia.it, procura.rimini@giustizia.it, procura.frosinone@giustizia.it, procura.sciacca@giustizia.it, procura.mantova@giustizia.it, procura.cosenza@giustizia.it, procura.pisa@giustizia.it, procura.lanciano@giustizia.it, Procura Perugia , procura.avellino@giustizia.it, procura.asti@giustizia.it, procura.lagonegro@giustizia.it, procura.ferrara@giustizia.it, procura.fermo@giustizia.it, procura.chieti@giustizia.it, procura.cassino@giustizia.it, procura.cagliari@giustizia.it, procura.matera@giustizia.it, procura.lecce@giustizia.it, procura.livorno@giustizia.it, procura.reggiocalabria@giustizia.it, procura.marsala@giustizia.it, procura.pescara@giustizia.it, procura.padova@giustizia.it, procura.savona@giustizia.it, procura.sondrio@giustizia.it, procura.bari@giustizia.it, procura.brindisi@giustizia.it, procura.venezia@giustizia.it, procura.udine@giustizia.it, procura.ascolipiceno@giustizia.it, procura.nuoro@giustizia.it, procura.spoleto@giustizia.it, procura.viterbo@giustizia.it, procura.vicenza@giustizia.it, procura.vercelli@giustizia.it, procura.alessandria@giustizia.it, nicola.trifuoggi@giustizia.it, giampiero.diflorio@giustizia.it, procura.como@giustizia.it, Roberto Tartaglia , francesco.delbene@giustizia.it, Antonio Tanza , pierfilippocentonze@me.com, Avvocato Gianluca Madonna , "Avv. Marco Della Luna" , "Avv. Luca Berni" , "On. Daniele Pesco" , Marco Della Luna , "Avv. Fabio Galli" , Ferdinando Alberti , marco saba , Galloni Antonino , Enrico Cappelletti , elena.fattori@senato.it, giuseppe@studiolegaledametti.eu, Gianluca Tarantino , info , Roberto Lassini , "Avv. Roberto Vassalle" , VILLAROSA_A@camera.it, RUOCCO_C@camera.it, avv.albericatiranti@email.it, "Avv. Mario Morelli" , alberto vetroni , Valeria Abbondanza , Intimax - Paolo Balossi , Sara Bontempi , Gianluigi Calcagno , Commerciale Spartadiciannove , Dario Quaranta , DELGROSSO_D@camera.it, wail el fatihi , GIULIO STRINGHINI , lettere@ilfattoquotidiano.it, "matteo.nolli@alice.it" , nicola@mavellia.pro, ornella.bertorotta@senato.it, ROSOLINO RIVOLTINI , Stefano Scaglioni , Gieffe , "Pettinenza Guglielmo - MAR.C" , tonispizzone@libero.it, Rubertazzi Maria , "tino.mozzini@virgilio.it" , TOFALO_A@camera.it, lombardiatv.mb@libero.it, maurizio.magni@auricchio.it, maurizio.buccarella@senato.it, Alessio Mattia Villarosa , Filippo Catalano , BARONI_M@camera.it, "Vallati Claudio - MAR.A" , Nicoletta Forcheri , rosanna.durelli@beniculturali.it, Bruno Di Loreto Wurms , Carole Ardigo , Daniele Bassot , Dario Cantarelli , registrogen.procura.reggiocalabria@giustizia.it, lawyersaccani@gmail.com, paolo maddalena , GT ADVOCACY , Tuconfin Vicenza , vicepresidente@tuconfin.it, Sandro Bognier , claudia pasqualini , "michele.assini" , giograif@libero.it, proto.procura.trani@giustizia.cert.it, Marco Meacci , augustodebeni@ordineavvocati.vr.it, oraziofergnani@tiscali.it, t.sm@libero.it, main@360fsbn.it, Asgeir Brynjar Torfason , enrico@avvbartolini.it, 360fsbn@pec.it, Luigi Fasce , SORIAL_G@camera.it, vivi rosso , avvdinapoli@studiodinapoli.it, Alessandro Cerboni , Human Economy Deutsch , minoranzainunicredit@alice.it, Elman Rosania , francescapoliti@studiovalaguzza.it, gabriele pernechele , ettore bonalberti , Mauro Beschi , claudio@demagistris.it, fc.besostri@libero.it, giancanuto@email.it, iovotonocaserta@libero.it, Domenico Gallo , Maria paola Gargiulo , Salvatore Settis , Tomaso Montanari , Luca Ciarrocca , Alberto Micalizzi , Sandro Diotallevi , Raffaele Bonanni , Centrostudi L Da Vinci , Giorgio Cremaschi , Pietro Della Corte , Jacopo Tolja , Leonardo Triulzi , laura cima , Ezio Gallori , Quirino Salomone , studiotamburro@gmail.com, rosaria.viviano@unina2.it, ant.pisani@inwind.it, "Avv. Romano Grazia Antonio" , raniero.lavalle@tiscali.it, Antonino Giannone , a.pace@studioprofessorpace.it, Carlo Di Marco , "www.alfierograndi.it" , Jessica Casadei , studiolegalepatrizi@libero.it, Giuseppe Borelli , ngattoni@libero.it, Mauro Minestroni , nicola.gratteri@giustizia.it, registrogenerale.procura.catanzaro@giustiziacert.it, registrogenerale.procura.trani@giustiziacert.it, info@ior.va, Autorità di Informazione Finanziaria , "Elena Marchesini Cucchi Jr." , registrogenerale.procura.bergamo@giustiziacert.it, registrogenerale.procura.udine@giustizia.it, sibilia_c@camera.it, registrogenerale.procura.perugia@giustizia.it, registrogenerale.procura.palermo@giustizia.it, Girolamo Pisano , registrogenerale.procura.cremona@giustizia.it, registrogenerale.procura.trani@giustizia.it, registrogenerale.procura.udine@giustiziacert.it, segreteria@antimafiaduemila.com, affaripenali.procura.trani@giustiziacert.it, segreteria.assessorerolando@comuneditorino.it, g.spinelli1964@libero.it, antonia.divenosa@giustizia.it, lagabbia@la7.it, antonio-tatulli@libero.itSenatori statunitensi hanno apertamente incolpato Soros, secondo alcuni autori uno dei maggiori azionisti degli hedge fund dei Rotshild, di finanziare ONG che porterebbero migranti in alcuni Stati europei tra cui l'Italia . Tra di essi migliaia e migliaia che sbarcano ogni giorno sulle coste italiane, il rischio che vi possano essere anche militanti ISIS è elevato o che lo possano diventare una volta giunti in altri Stati dove il proselitismo è attivo piu che mai (Belgio, Francia ,...)  .  E' noto che il  Mov Cinque Stelle è l'unica forza politica  che ha nel suo programma  di nazionalizzare Banca d' Italia e di re-introdurre la separazione tra banche di prestito e banche speculative , provvedimenti che toglierebbero immediatamente centinaia  di miliardi di euro di incassi che questa decina di  hedge fund anglo-caucasici realizzano in Italia dalle quote capitali delle rate dei mutui supposto eluse contabilmente al fisco italiano dal 31 Luglio 1992  e con vendite allo scoperto su titoli quotati di societa italiane facendoli crollare già quattro volte (1994, 2001, 2008, 2016) provocando un impoverimento complessivo della classe media italiana, distruggendo il risparmio italiano e la capacità di risparmiare . Prima del 1992 le famiglie italiane riuscivano a risparmiare circa il 30 % del proprio reddito. Oggi la quasi totalità delle famiglie italiane è costretta continuamente ad indebitarsi per giungere a fine mese. Una ricerca statunitense appena pubblicata ha dimostrato che il reddito pro-capite italiano dal 1992 al 2010 è diminuito del 23% , in realtà se consideriamo il periodo anche dopo il 2010 il reddito pro-capite italiano è diminuito nel periodo 1992-2016  del 30%. E stata sottratta al cittadino italiano la capacità di risparmiare. La borsa è un gioco esattamente a somma zero .Il guadagno dell'hedge fund corrisponde esattamente alla perdita che riesce ad arrecare all'ignaro risparmiatore.  Questo 30% è finito nelle  tasche degli hedge fund. Molte di queste società italiane crollate in borsa sono poi state acquistate a prezzi stracciati e  de-localizzate dal 1992 all'estero non appena acquisito il know how, con perdita di 7 milioni di posti di lavoro in Italia dal 1992. Circa  10 milioni di cittadini italiani e non sono migranti , sono già in povertà assoluta, 1 su 6,  quanti ne vogliamo ancora ? Da calcoli matematici  è stato scoperto che Bankitalia Spa è controllata (265 voti su 529 ) dai Rosthild . E' ovvio che pertanto si opporranno in ogni modo al fatto  che il programma politico, nazionalizzare Banca d'Italia,  del Mov. Cinque Stelle, si realizzi Un po come nel 1992/93 che per distogliere  l'attenzione da atti del governo emessi con decreti legislativi devastanti per qualsiasi nazione, vi fu una stagione di stragi. Nel 1992 fu infatti privatizzata Banca d'Italia e col decreto legislativo n. 481 del 14 Dicembre 1992 fui abolita la separazione tra banche di prestito e banche speculative.Da qui si comprende anche il continuo tentativo della Commissione UE di depotenziare militarmente l'Italia . La Commissione UE è il Governo dell'UE che, con direttive,   salta sistematicamente il Parlamento Europeo che pertanto figura come un pro -forma . Un po come ogni governo italiano dal 1992 che ha saltato con decreti legislativi (mai emessi prima del 1992) il Parlamento che in Italia dal 1992 figura come un proforma . Jp Morgan, società dei Rosthshild , voleva che fosse votato il   Si alla Riforma della Costituzione per eliminare lo strumento del decreto legislativo e dare più forza al Parlamento per evitare che il Mov. Cinque Stelle andando al governo usasse lo strumento del decreto legislativo per nazionalizzare Banca d'Italia e per reintrodurre la separazione tra banche  di prestito e banche speculative.La Commissione Ue ha infatti detto che devono essere eliminati i controlli alle frontiere. Quante cellule ISIS ora dormienti arriverebbero in Italia dal Belgio, dall'Olanda , dalla Francia, dalla Germania .. ? E' stato dimostrato che queste cellule ISIS si attivano,  colpiscono quando in una nazione viene a mancare il controllo da parte .delle forze di polizia . L'attentatore che ha colpito in Germania è stato intercettato  in Italia in una normale attività di controllo dei Carabinieri , perchè i Carabinieri in Italia presidiano il territorio con stazioni quasi in ogni Comune .E' in atto un tentativo al livello europeo di depotenziare militarmente l'Italia,  di accorpare corpi (la forestale, la Gdf,... ) , di togliere mezzi e proventi , in un momento dove invece Stati Uniti,  Regno Unito e Russia hanno ampliato le spese militari e rafforzato i controlli alle proprie frontiere proprio perche non venga a mancare il controllo. Non dimentichiamo che questi hedge fund rappresentano, secondo una recente ricerca eseguita dalla quasi nazionalizzata (dal 2008)  Bank of America Merryl Linch   il 70% del PIL degli Stati Uniti e del Regno Unito. E' necessario che l'Italia mantenga le sue forze di polizia,  anzi le potenzi al fine di garantire la democrazia nel rispetto della Costituzione : il popolo è sovrano ,la Repubblica controlla il credito, la Repubblica tutela la formazione del risparmio, l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Ogni possibile reato sopra ascritto e descritto è sempre inteso come ipotizzato rimettendo all'illustrissima S.V. la verifica della certezza dello stesso e la sua richiesta punizione.i repubblicani usa contro soros. ha preso soldi pubblici per finanziare ...m.dagospia.com/i-repubblicani-usa-contro-soros-ha-preso-soldi-pubblici-per-finanzia...23 mar 2017 - Secondo i senatori repubblicani, Soros sta cercando di “divulgare l'agenda progressista e aiutare la ... L'ATTIVITÀ FILANTROPICA DI SOROS.L’attività filantropica di SorosCome vi avevamo già raccontato, George Soros è l’esponente di spicco del pensiero “progressista” e globalista – è un fedele seguace del filosofo  Karl Popper e del concetto di “società aperta” – che rigetta identità, confini e nazioni. Negli ultimi 20 anni George Soros ha finanziato, tramite la Open Society Foundations, tutte le organizzazioni e associazioni capaci di diffondere i suoi valori e ideali, sia negli Stati Uniti che in Europa, come documentato dagli hacker di DC Leaks. Questi ultimi, lo scorso agosto, hanno pubblicato ben 2576 files trafugati dai server dei principali funzionari e partner della Open Society, rendendo pubbliche le strategie messe in atto dall’organizzazione al fine di influenzare l’esito delle elezioni e l’opinione pubblica in tutto il mondo.Il magnate che paga l’invasione dell’italia e dell’Europa Inoltre, come ampiamente documentato da Gian Micalessin su Il Giornale, il magnate ha recentemente investito 500 milioni di dollari nelle ong per creare una flotta di navi destinata al salvataggio dei migranti nel Mediterraneo. “Investimenti – scrive Micalessin – destinati a contrastare le politiche europee sull’immigrazione e a mettere a rischio la sovranità dell’Italia e di altre nazioni”. Riusciranno i repubblicani a fermarlo, una volta per tutte?

Senatori statunitensi hanno apertamente incolpato Soros, secondo alcuni autori uno dei maggiori azionisti degli hedge fund dei Rotshild, di finanziare ONG che porterebbero migranti in alcuni Stati europei tra cui l'Italia . Tra di essi migliaia e migliaia che sbarcano ogni giorno sulle coste italiane, il rischio che vi possano essere anche militanti ISIS è elevato o che lo possano diventare una volta giunti in altri Stati dove il proselitismo è attivo piu che mai (Belgio, Francia ,...)  .  

E' noto che il  Mov Cinque Stelle è l'unica forza politica  che ha nel suo programma  di nazionalizzare Banca d' Italia e di re-introdurre la separazione tra banche di prestito e banche speculative , provvedimenti che toglierebbero immediatamente centinaia  di miliardi di euro di incassi che questa decina di  hedge fund anglo-caucasici realizzano in Italia dalle quote capitali delle rate dei mutui supposto eluse contabilmente al fisco italiano dal 31 Luglio 1992  e con vendite allo scoperto su titoli quotati di societa italiane facendoli crollare già quattro volte (1994, 2001, 2008, 2016) provocando un impoverimento complessivo della classe media italiana, distruggendo il risparmio italiano e la capacità di risparmiare . Prima del 1992 le famiglie italiane riuscivano a risparmiare circa il 30 % del proprio reddito. Oggi la quasi totalità delle famiglie italiane è costretta continuamente ad indebitarsi per giungere a fine mese. 

Una ricerca statunitense appena pubblicata ha dimostrato che il reddito pro-capite italiano dal 1992 al 2010 è diminuito del 23% , in realtà se consideriamo il periodo anche dopo il 2010 il reddito pro-capite italiano è diminuito nel periodo 1992-2016  del 30%. E stata sottratta al cittadino italiano la capacità di risparmiare. 

La borsa è un gioco esattamente a somma zero .Il guadagno dell'hedge fund corrisponde esattamente alla perdita che riesce ad arrecare all'ignaro risparmiatore.  Questo 30% è finito nelle  tasche degli hedge fund. 

Molte di queste società italiane crollate in borsa sono poi state acquistate a prezzi stracciati e  de-localizzate dal 1992 all'estero non appena acquisito il know how, con perdita di 7 milioni di posti di lavoro in Italia dal 1992.

 Circa  10 milioni di cittadini italiani e non sono migranti , sono già in povertà assoluta, 1 su 6,  quanti ne vogliamo ancora ? 

 

Da calcoli matematici  è stato scoperto che Bankitalia Spa è controllata (265 voti su 529 ) dai Rosthild . E' ovvio che pertanto si opporranno in ogni modo al fatto  che il programma politico, nazionalizzare Banca d'Italia,  del Mov. Cinque Stelle, si realizzi 

Un po come nel 1992/93 che per distogliere  l'attenzione da atti del governo emessi con decreti legislativi devastanti per qualsiasi nazione, vi fu una stagione di stragi. Nel 1992 fu infatti privatizzata Banca d'Italia e col decreto legislativo n. 481 del 14 Dicembre 1992 fui abolita la separazione tra banche di prestito e banche speculative.

 

 

Da qui si comprende anche il continuo tentativo della Commissione UE di depotenziare militarmente l'Italia . 

La Commissione UE è il Governo dell'UE che, con direttive,   salta sistematicamente il Parlamento Europeo che pertanto figura come un pro -forma . Un po come ogni governo italiano dal 1992 che ha saltato con decreti legislativi (mai emessi prima del 1992) il Parlamento che in Italia dal 1992 figura come un proforma . 

Jp Morgan, società dei Rosthshild , voleva che fosse votato il   Si alla Riforma della Costituzione per eliminare lo strumento del decreto legislativo e dare più forza al Parlamento per evitare che il Mov. Cinque Stelle andando al governo usasse lo strumento del decreto legislativo per nazionalizzare Banca d'Italia e per reintrodurre la separazione tra banche  di prestito e banche speculative.

La Commissione Ue ha infatti detto che devono essere eliminati i controlli alle frontiere. Quante cellule ISIS ora dormienti arriverebbero in Italia dal Belgio, dall'Olanda , dalla Francia, dalla Germania .. ? 

E' stato dimostrato che queste cellule ISIS si attivano,  colpiscono quando in una nazione viene a mancare il controllo da parte .delle forze di polizia . 

L'attentatore che ha colpito in Germania è stato intercettato  in Italia in una normale attività di controllo dei Carabinieri , perchè i Carabinieri in Italia presidiano il territorio con stazioni quasi in ogni Comune .E' in atto un tentativo al livello europeo di depotenziare militarmente l'Italia,  di accorpare corpi (la forestale, la Gdf,... ) , di togliere mezzi e proventi , in un momento dove invece Stati Uniti,  Regno Unito e Russia hanno ampliato le spese militari e rafforzato i controlli alle proprie frontiere proprio perche non venga a mancare il controllo. 

Non dimentichiamo che questi hedge fund rappresentano, secondo una recente ricerca eseguita dalla quasi nazionalizzata (dal 2008)  Bank of America Merryl Linch   il 70% del PIL degli Stati Uniti e del Regno Unito. 

E' necessario che l'Italia mantenga le sue forze di polizia,  anzi le potenzi al fine di garantire la democrazia nel rispetto della Costituzione : il popolo è sovrano ,la Repubblica controlla il credito, la Repubblica tutela la formazione del risparmio, l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. 

Ogni possibile reato sopra ascritto e descritto è sempre inteso come ipotizzato rimettendo all'illustrissima S.V. la verifica della certezza dello stesso e la sua richiesta punizione.

 

 

i repubblicani usa contro soros. ha preso soldi pubblici per finanziare ...

m.dagospia.com/i-repubblicani-usa-contro-soros-ha-preso-soldi-pubblici-per-finanzia...

1.  

23 mar 2017 - Secondo i senatori repubblicani, Soros sta cercando di “divulgare l'agenda progressista e aiutare la ... L'ATTIVITÀ FILANTROPICA DI SOROS.

L’attività filantropica di Soros

Come vi avevamo già raccontato, George Soros è l’esponente di spicco del pensiero “progressista” e globalista – è un fedele seguace del filosofo  Karl Popper e del concetto di “società aperta” – che rigetta identità, confini e nazioni. Negli ultimi 20 anni George Soros ha finanziato, tramite la Open Society Foundations, tutte le organizzazioni e associazioni capaci di diffondere i suoi valori e ideali, sia negli Stati Uniti che in Europa, come documentato dagli hacker di DC Leaks. Questi ultimi, lo scorso agosto, hanno pubblicato ben 2576 files trafugati dai server dei principali funzionari e partner della Open Society, rendendo pubbliche le strategie messe in atto dall’organizzazione al fine di influenzare l’esito delle elezioni e l’opinione pubblica in tutto il mondo.

Il magnate che paga l’invasione dell’italia e dell’Europa

 

Inoltre, come ampiamente documentato da Gian Micalessin su Il Giornale, il magnate ha recentemente investito 500 milioni di dollari nelle ong per creare una flotta di navi destinata al salvataggio dei migranti nel Mediterraneo. “Investimenti – scrive Micalessin – destinati a contrastare le politiche europee sull’immigrazione e a mettere a rischio la sovranità dell’Italia e di altre nazioni”. Riusciranno i repubblicani a fermarlo, una volta per tutte?

 


Tempi strettissimi per l’unità dei Popolari

 

 Riconfermata la leadership renziana alla guida del PD, il Golem senza più identità culturale definitivamente approdato alla nuova connotazione di “Partito di Renzi”, nel quale sopravvivono in ruoli residuali, “l’algido Orlando” e “Rodomonte Emiliano”, assai elevato è il rischio di elezioni anticipate. se prevarrà la naturale inclinazione ambiziosa e arrogante del “giovin signore” già più volte esibita.

 

Che in una Paese afflitto da gravissimi problemi di tenuta istituzionale, politica, economica e sociale, con il prevalere di una condizione di anomia premonitrice di possibili esiti incontrollati e incontrollabili, si sia potuto far passare la raccolta al voto delle primarie di un partito, come la panacea dei mali dell’Italia, è la dimostrazione dell’attuale infimo livello politico culturale in cui viviamo. A sinistra si porranno inevitabili esigenze di ricomposizione di un’area fin qui troppo frastagliata, così come la propensione all’orgoglioso isolamento  del M5S, dovrà fare i conti con l’esito parlamentare della nuova legge elettorale, per la quale i grillini sembrerebbero disponibili a soluzioni di legge iper truffa, ipotizzando persino l’abbassamento della soglia alla quale attribuire il premio di maggioranza alla lista maggioritaria.

 

In tale quadro e con un centro destra che non sembra dare segni di reale capacità di ricomposizione, ancor più fragile appare la situazione relativa a quel grande fiume carsico del mondo cattolico, disperso in mille rivoli e sempre più irrilevante, tanto nella capacità di difesa sul piano istituzionale dei valori non negoziabili, che su quello delle politiche economiche e sociali ispirate ai principi di solidarietà e sussidiarietà. Domenica scorsa, Papa Francesco, celebrando i 150 anni dell’Azione Cattolica, ha esortato gli iscritti alla benemerita associazione, a impegnarsi nella politica, quella con la P maiuscola. E’ stata un’indicazione quanto mai autorevole, che fa seguito a quanto in dottrina, la Chiesa ha più volte indicato per i laici cristiani. Speriamo che quell’esortazione pontificia espressa dal Santo Padre, faccia breccia nella dirigenza della CEI, nella quale andrebbe superata l’apparente costante dicotomia tra la Presidenza e la segreteria generale, e, soprattutto, nelle diverse realtà ecclesiali presenti in Italia.

 

I tempi che avevamo previsto per la ricomposizione dell’area politico culturale popolare e democratico cristiana sono inevitabilmente strozzati dai pochi mesi che, oramai, ci separano dalle  prossime elezioni politiche, siano esse a scadenza naturale o, peggio ancora, anticipate. In tale situazione, essenziale sarà procedere alla costituzione di una federazione di tutti i partiti, associazioni, movimenti, gruppi  persone che si riconoscono nei valori dei “Liberi e Forti” e intendono impegnarsi nel realizzare politiche ispirate dalla dottrina sociale della Chiesa. Una Federazione aperta alla collaborazione con altre componenti di ispirazione laica, liberale, europeista, trans nazionale, in grado di proporsi alla guida del governo del Paese. Da parte nostra dovremo concorrere e partecipare alla nuova Camaldoli dei cattolici e popolari italiani, da organizzare entro il prossimo autunno, dalla quale far emergere il programma della Federazione dei Popolari per l’Italia e per l’Europa.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 2 Maggio 2017


A tutti i DC non pentiti

 

Sono in atto tentativi di accelerazione delle procedure che favoriscano le elezioni nel tardo autunno. Molto dipenderà dall’esito del voto delle primarie del PD,con Renzi impegnato ad evitare le forche caudine degli impegni impopolari  conseguenti al fiscal compact, in una situazione di totale disgregazione del quadro politico che ha caratterizzato questa fase di crepuscolo della seconda Repubblica. In attesa dell’esito delle primarie senza regole e controllo delle procedure  del PD, evidenziamo lo stato più volte denunciato della crisi delle culture politiche che sono state alla base del patto costituzionale: quella cattolico-popolare, laico socialista, liberale, repubblicana e azionista.

 

Per quanto ci riguarda, da “DC non pentiti”, sono molti anni, in pratica dalla fine politica, ma non giuridica, della DC, che operiamo per favorire la ricomposizione dell’area cattolica, popolare e di ispirazione democratico cristiana. Un impegno che si tradurrà, dopo il decreto del tribunale di Roma che ha autorizzato la convocazione all’Ergife di Roma il 26 Febbraio scorso,  dell’assemblea dei soci DC, unici eredi legittimi del partito dello scudo crociato, nella volontà espressa dal Presidente eletto, On Gianni Fontana, di procedere alla convocazione del  XIX Congresso straordinario del partito. Un congresso  che si terrà entro il prossimo mese di Luglio. A detto Congresso, al quale parteciperanno tutti i soci DC, seguirà una grande Assemblea Costituente che vorremmo celebrare in un luogo caro alla memoria dei democratici cristiani: a Camaldoli. Lì nel 1943 (18-23 Luglio)  si tenne la settimana di studio dei cattolici che produssero il famoso Codice, anche in base al quale, Alcide De Gasperi, qualche settimana dopo (26 Luglio 1943) , poté redigere  le “ Idee ricostruttive della DC” , con un samizdat , che fu alla base della nascita della DC in tutto il Paese.

 

L’8 Dicembre e per i giorni che serviranno, chiameremo a raccolta tutte le migliori energie  dell’area cattolica: partiti, movimenti, associazioni, gruppi e persone che, nel deserto attuale delle culture politiche, intendono ricostruire l’unità dell’area cattolico popolare, e presentare un progetto politico ispirato ai valori e agli orientamenti della dottrina sociale della Chiesa;  unico antidoto alle disuguaglianze che il turbo capitalismo finanziario ha creato a livello internazionale, ai rischi di una terza guerra mondiale che si compie a pezzi, e credibile risposta alle attese della povera gente.

 

Sappiamo che i tempi che abbiamo davanti sono assai stretti, ma siamo anche consapevoli dell’insufficienza delle proposte politiche oggi presenti nello scenario italiano. Senza alcuna velleitaria volontà di egemonia, ma pienamente consapevoli di poter offrire proposte credibili e condivisibili con un arco ampio di forze politiche di ispirazione laica, democratica, liberale, riformista, europeista e trans nazionale, siamo pronti a concorrere, con la legge elettorale che il Parlamento intenderà approvare, rispettosa delle conclusioni raggiunte dalla Corte costituzionale con la recente sentenza sull’Italicum, e con l’orientamento espresso dalla stragrande maggioranza degli elettori italiani nel referendum del 4 Dicembre scorso, alla costruzione di una credibile coalizione di governo. Facciamo appello a tutti i democratici cristiani che ancora credono ai valori della DC di De Gasperi, Moro e Fanfani, e nella migliore tradizione politica della DC, affinché partecipino al nostro prossimo XIX Congresso straordinario del partito, aperti alla collaborazione con quanti saranno disponibili a perseguire politiche di governo ispirate ai valori dell’umanesimo cristiano.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 30 Aprile 2017

 


Crisi Alitalia crisi del Paese

 

Il referendum tra i lavoratori dell’Alitalia si è concluso con una netta vittoria del NO al 67%.

Sconfessione  totale dell’accordo raggiunto dalle maggiori sigle sindacali con l’azienda e con il governo e consegna inevitabile di quest’ultima all’amministrazione straordinaria con la nomina di un commissario.

 

Col voto di ieri ne escono sconfitti i sindacati, la cui capacità di rappresentanza è stata sostanzialmente sconfessata e lo stesso governo che, per bocca del Presidente del consiglio e di alcuni tra i suoi più autorevoli ministri, aveva sollecitato un voto a favore del SI.

 

Ora per i quasi 12.000 dipendenti si aprono prospettive drammatiche e, difficilmente, essi potranno sperare nell’ennesimo intervento dello Stato, dopo che più di otto miliardi di euro è costata sin qui ai contribuenti italiani la società di bandiera, ora società privata, nella quale, scomparsi da anni gli utili, le perdite sin qui accumulate, oltre che a carico degli azionisti sono state trasferite in parte sulla fiscalità generale.

 

Non solo il governo aveva anticipato che in caso di vittoria del NO la sorte di Alitalia sarebbe stata segnata e il fallimento pressoché inevitabile, ma, quand’anche Gentiloni e il suo governo cambiassero idea, non si vede quali altre risorse  lo Stato potrebbero mettere a disposizione, oltre tutto creando un precedente che innescherebbe immediate repliche  in altre situazioni aziendali parimenti insostenibili.

 

Già i costi degli ammortizzatori sociali previsti per un numero così elevato di lavoratori saranno particolarmente onerosi,  ma, ciò che la crisi profonda della compagnia di bandiera fa emergere, è la débâcle complessiva del sistema Italia, gravato da una crisi economico-finanziaria tra le più violente della storia repubblicana e privato da una seria politica economica, alternativa al “tira a campare” di un governo espressione di un parlamento di nominati illegittimi.

 

Con questa vicenda gravissima di Alitalia la  crisi economica, finanziaria e sociale si combina con quella politica istituzionale che viviamo dal “golpe blanco” del Novembre 2011, creando una miscela esplosiva difficilmente controllabile da un sistema politico logoro e senza prospettive suscitatrici di speranza.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia,25 Aprile 2017

 

Quel guazzabuglio del mondo cattolico

 

Combatto da oltre vent’anni per tentare di concorrere alla ricomposizione dell’area di ispirazione popolare e democratico cristiana in Italia. Confesso che le più grandi difficoltà le ho incontrate, soprattutto, con gli egoismi e gli squallidi “ particulari “di inqualificabili “personaggetti” d’area.

 

Sono giunto alla  conclusione che non valga più la pena di inseguire quelli che credono di poter risolvere il problema politico dell’area cattolico popolare e democratico cristiana in sede giudiziaria. Credo, inoltre, all’evidente realtà caratterizzata da una condizione di anomia sociale, economica e politico culturale che connota uno dei momenti più infelici della storia repubblicana italiana.

 

Ciò che più mi rattrista è il vuoto delle culture politiche nel quale si sta svolgendo il confronto tra gli attuali partiti, che non sono più rappresentativi dei blocchi sociali storici, che caratterizzarono la DC, il PCI, il PSI e gli altri partiti dell’area laica liberale, repubblicana e della stessa destra nazionale.

 

L’anomia dominante nel corpo sociale si riflette nella scarsa partecipazione al voto, ridotta al 50% del corpo elettorale, e alla polarizzazione su tre aree caratterizzate da una dominanza di leadership populiste, più che popolari: quella di Renzi nel PD e di Grillo nel M5S, e la presenza di un’area “sparpagliata”, come quella del centro-destra, dopo che questa ha perduto il collante  di aggregazione berlusconiano.

 

Se tutto ciò lo inseriamo nel lacerante scenario che caratterizza la realtà europea e internazionale, dominate dal dominio del turbo capitalismo finanziario e da venti di guerra sinistramente nucleari, che accompagnano il protrarsi di una lunga stagione di guerre convenzionali condotte a intervalli diseguali in varie parti del mondo, la pochezza del teatrino della politica italiana e dei suoi modesti interpreti  è penosamente inquietante.

 

Sento in maniera forte che servirebbe la presenza di una cultura di ispirazione cristiano sociale in grado di supportare un nuovo soggetto politico, capace di inverare nella “città dell’uomo” gli orientamenti della dottrina sociale della Chiesa; ossia una delle risposte più rigorose e avanzate alle questioni poste dalla globalizzazione e alla sfida lanciata, ahimè vittoriosamente come l’hanno realisticamente confermato nel recente incontro di Davos, dai pochi ricchi della terra sulla sterminata popolazione dei poveri del mondo.

 

Servirebbe un soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans-nazionale, ispirato dai valori dell’umanesimo cristiano, ma, se solo osserviamo la realtà presente nel mondo cattolico italiano, constatiamo che lo stesso, pur avendo una potenza superiore a qualsiasi altra presenza culturale, sociale e politica di questo periodo in Italia, anche se non certo a livello massmediatico, tale potenza non è incanalata e compattata in logiche unitarie (De Rita). Appare piuttosto come un guazzabuglio di difficile interpretazione che, tradotto sul piano politico, comporta l’irrilevanza dello stesso, come si verifica in parlamento ogni volta che si devono decidere questioni che attengono ai “valori non negoziabili”.

 

 

 

Ci sono tre parti diverse e per ora non convergenti:

 

a)  c’è la componente del popolo di Dio che si ritrova nei momenti rituali e comunitari e che, solo da poco tempo, assume atteggiamenti sociali e culturali di stampo extra ecclesiastico;

b) c’è la componente delle grandi organizzazioni di rappresentanza e di azione sociale che avvertono la necessità di rinnovare (quelli degli  incontri di Todi: ACLI-MCL-CISL-CL-CdO-Sant’Egidio sin qui poco costruttivi);

c)  c’è la componente della diaspora della DC, con  i diversi rami partitici in cui i cattolici fanno azione politica cercando di collegarsi con la realtà ecclesiale o almeno interpretarne le attese. Ci sono “i cattolici adulti” alla Rosy, Bindi e Prodi e i cattolici ubbidienti e non sempre coerenti del centro-destra. Anche all’interno della Chiesa ci sono diverse sensibilità e competenze non sempre convergenti. Ci sono quelli dei “DC non pentiti” e popolari che lavorano per la ricomposizione dell’area popolare. In tale situazione sono due gli estremi opposti da evitare: l’appartenenza obbligata in un solo partito come se si trattasse di un dogma di fede, impossibile dopo il Concilio Vaticano II  e la diaspora, ossia l’altrettanto dogmatica tesi della negatività di qualsiasi forma di unità e raccordo politico dei cattolici. Il criterio più convincente potrebbe/dovrebbe essere quello dell’”unità possibile”. Il che significa che: l’unità è fattibile e che la si attuerà secondo il responsabile giudizio prudenziale relativo ai tempi, alle situazioni e alle scelte in gioco.

Si tratta di adoperare, citando Mons. Gianpaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste, il motto: “ In essentialibus unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas”. Ossia sulle questioni fondamentali ci vuole unità, in quelle dubbie è lecito adoperare il libero giudizio personale, in tutto ci vuole la carità.

 

Devo confessare, tuttavia, come sia difficile sul piano politico giungere a una sintesi in grado di portarci a celebrare una seconda Camaldoli, come quella che nel 1943, dal 18 al 23 Luglio, portò i cattolici a riunirsi in quel monastero del Casentino, dal quale uscì quel codice da cui De Gasperi alcuni giorni dopo, con lo pseudonimo di Demofilo, redasse un opuscolo clandestino “ Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana”.

 

Credo, tuttavia, che tutti gli sforzi che con Gianni Fontana, Renato Grassi, Nino Luciani, Leo Pellegrino, Alberto Alessi, Renzo Gubert, Giuseppe Gargani, Paolo Cirino Pomicino, Antonino Giannone, Raffaele Lisi, Francesco Caponetto,  Emilio Cugliari,  e tanti altri, in molte parti d’Italia, abbiamo sin qui compiuti, dovremo cercare di concentrarli proprio nel lanciare un ultimo appello ai Liberi e Forti ancora presenti in Italia, per concorrere da democratici cristiani a favorire l’emergere di un nuovo soggetto politico, ampio e plurale e una nuova classe dirigente che non intende piegarsi alle velleità di rivincita del “giovin signore fiorentino” o all’egemonia-dominio dei guru di un modello di partecipazione informatica, aperto a tutte le mistificazioni e interpretazioni autoritarie già sperimentate.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia 22 Aprile, 2017

 

 

 


Gettare la spugna o rilanciare l’unità dei Popolari?

 

Nella vita di ciascuno di noi e ancor di più in quella  politica, quasi mai i sogni si traducono nella realtà. Combatto da oltre vent’anni un’indomita battaglia per inseguire un sogno: rimettere in gioco la ricomposizione dell’area popolare e democratico cristiana, ma, dopo gli ultimi avvenimenti, ho pensato sia giunto il momento di gettare la spugna. Temo, infatti, che si stia adempiendo “ la maledizione di Moro” che, dal carcere delle BR, prefigurò la fine  ingloriosa e senz’appello della DC.

 

Alcuni “stupidi”, nel senso della teoria di Carlo Cipolla, hanno messo in atto improvvidi tentativi di bloccare il processo avviato con l’autorizzazione concessa dal Tribunale di Roma alla convocazione dell’assemblea dell’Ergife, tenutasi il 27 Febbraio scorso a Roma, nella quale abbiamo eletto Gianni Fontana alla presidenza della DC.

 

“Stupidi”, se sono in buona fede, poiché con la loro iniziativa finiscono solo con il  far  del male a se stessi e agli altri”, impedendo, così, di far avanzare l’unica azione in grado di dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010, secondo cui : “La DC non è mai stata giuridicamente sciolta”.

 

Se, viceversa, come temo, fossero in mala fede, non sarebbero “stupidi” nel senso di Cipolla, me, peggio, indegni sicari politici di qualche  squallido mandante senza scrupoli, interessato a far sì che la DC non abbia a rinascere politicamente.

 

Anche a una persona come il sottoscritto, che nel lungo ventennio della dolorosa attraversata nel deserto della diaspora democratico cristiana, si è qualificato come “ Don Chisciotte”, demoralizzato e frustrato da quest’ennesimo tentativo destabilizzante, non rimane che prendere atto della situazione e gettare la lancia arrugginita e la corazza di latta con cui si era messo alla pugna con forte determinazione.

 

Sono consapevole, infatti, che i tempi della politica italiana, i quali vanno rapidamente volgendo verso un’assai prossima verifica elettorale, sono incompatibili  con quelli che gli sciagurati estensori dei ricorsi vanno inevitabilmente determinando, con l’ennesima disastrosa verifica in tribunale . Tempi e scadenze cui non ho più tempo e voglia di   prestare attenzione.

 

Che fare allora in attesa che la giustizia faccia il suo corso? Nei giorni scorsi, preso dallo scoramento più profondo, ho pensato di gettare la spugna. Diversi amici mi hanno, però, sollecitato a non mollare e, sarà per quell’antica passione civile mai venuta meno o per il senso di corresponsabilità con coloro  che ho spinto e sostenuto in questi anni all’impegno politico, sento doveroso offrire ancora una mia modesta ultima testimonianza.

 

La situazione in cui viviamo è grave ed anche molto seria, caratterizzata, specialmente in Italia, da un deserto delle culture politiche e da una classe dirigente sempre più lontana dalle attese e dal consenso dei cittadini ed elettori. In questa condizione di stallo tra paese reale e istituzioni stanno prevalendo le proposte di improvvisati interpreti di formule populistiche improbabili e del tutto inadeguate alla soluzione dei problemi del Paese.

 

Nel deserto delle culture politiche e dei modesti attori del teatrino della politica italiana, ritengo, invece, che una risposta possibile possa e debba venire da una nuova classe dirigente espressione della cultura popolare e democratico cristiana, ispirata ai valori del cattolicesimo democratico e cristiano sociale.

 

Credo, allora, sia indispensabile che tutti gli amici, i quali a diverso titolo fanno riferimento ai valori e alla tradizione politica della DC, debbano ritrovarsi  per costruire una nuova Camaldoli 2.0 nella quale: partiti, associazioni, movimenti, gruppi, persone dell’area cattolica e popolare potranno confrontarsi e redigere INSIEME il nuovo Appello ai Liberi e Forti e un programma etico, economico e sociale, ispirato ai valori della dottrina sociale cristiana, ai principi dell’economia civile e sociale di mercato per offrire risposte positive “ alle  attese della povera gente”.

 

A Gianni Fontana, Mario Tassone, Lorenzo Cesa, Rocco Buttiglione, Giuseppe Gargani, Mario Mauro, Ivo Tarolli, Carlo Giovanardi, Marco Follini e ai tanti altri che in questi lunghi anni si sono impegnati per la ricostruzione del partito, spetta il compito di attivarsi immediatamente.

 

E con loro le numerose realtà associative, che da  tempo esprimono la necessità di un ritorno in campo dei cattolici italiani, per superare la condizione di irrilevanza in cui sono caduti, al fine  di offrire alla politica italiana il contributo positivo  di una cultura  che è parte rilevante della storia repubblicana e costituzionale dell’Italia.

 

La ricostruzione di quest’area è il passaggio preliminare per confrontarci a breve con i positivi fermenti che stanno emergendo nell’area laica, liberale e riformista, come quelli espressi dagli amici di “Energie per l’Italia”, raccolti attorno a Stefano Parisi.

 

L’obiettivo resta sempre quello di dar vita un partito laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, asse politico centrale di un’Italia che intende progredire nella libertà e in una rinnovata saldatura tra ceti medi produttivi  e classi popolari.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 8  Aprile 2017  

Ricordo di Ugo Grippo


Ugo Grippo ci ha lasciati.

Scompare con lui uno degli amici più cari della DC napoletana.

 

Ci conoscemmo partecipando attivamente alle riunioni settimanali degli amici di Forze Nuove con Carlo Donat Cattin a Roma, dove Ugo portava l’esperienza della DC napoletana, in quegli anni dominata dai dorotei dell’amico Antonio Gava e gli andreottiani che avevano in Paolo Cirino Pomicino l’esponente più autorevole.

 

Assessore regionale all’ambiente, all’epoca del colera che sconvolse le attività della pesca e dell’acquacoltura nel 1973 a Napoli,  ebbi modo di apprezzare il consenso e la popolarità di cui godeva tra le componenti popolari e dei ceti medi produttivi della sua realtà regionale.

 

Deputato e sottosegretario di Stato, Grippo seppe coniugare la sua esperienza e competenza politico amministrativa con i valori di riferimento cattolico democratici e cristiano sociali che furono sempre gli ideali ispiratori della sua testimonianza nella città dell’uomo.

 

Una fedeltà mai venuta meno, nemmeno dopo la fine politica della DC, che vivemmo insieme da componenti del Consiglio nazionale del partito che, il 18 Gennaio 1994, deliberò la trasformazione della DC nel PPI.

 

Ugo Grippo, però, pur sperimentando la lunga transizione della diaspora democristiana, tuttora non conclusa, rimase sempre, come molti di noi “ un DC non pentito e orgoglioso di essere democratico cristiano”. Non solo continuò a battersi da democratico cristiano portando lo scudo crociato a riferimento costante dei DC campani, ma dal 2011 in poi, con tutti noi impegnati nella battaglia attivata per dare pratica attuazione della sentenza della Cassazione del 23.12.2010, secondo cui “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”, fu sempre in prima linea sino ad essere proposto da molti di noi ad assumere il ruolo di Presidente del Consiglio nazionale del partito.

 

Difficoltà insorte al nostro interno impedirono che si potesse realizzare quello che per Ugo sarebbe stato il riconoscimento dovuto, per una vita politica vissuta nella fedeltà ai valori della Democrazia Cristiana.

 

Innamorato della sua gente e della sua terra Ugo Grippo seppe sempre testimoniare nel partito e nelle vicende parlamentari e del governo le attese della povera gente.

 

Anche nelle frequenti discussioni che abbiamo sostenuto nella corrente e nel partito, Ugo ha sempre espresso le sue idee con quella ferma decisione unita sempre a una tolleranza e a uno stile da gentiluomo autentico della nostra migliore realtà meridionale.

 

Ringrazio il Signore di averlo conosciuto e prego l’Altissimo di raccoglierlo nelle sue braccia misericordiose nel Paradiso di coloro  che hanno avuto fame e sete della giustizia, perché Ugo Grippo è stato veramente uno di questi.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 3 Aprile 2017

 

 

Buona la prima, se si combina con l’anima cattolico popolare

 

Oltre 2000 persone, sabato scorso all’Ergife di Roma, hanno partecipato alla convention di presentazione del movimento “Energie per l’Italia” di Stefano Parisi.

 

Erano presenti oltre ai 176 circoli diffusi sul territorio nazionale, rappresentanti di associazioni, movimenti e partiti interessati alla proposta di Parisi della costituzione di un nuovo soggetto politico dell’area liberale e popolare italiana.

 

Un progetto che interessa anche a noi di ALEF ( Associazione Liberi e Forti), convinti come siamo, che serve la ricomposizione di questa area politica centrale che, per quanto ci riguarda, deve superare l’attuale frammentazione della vasta galassia democristiana oggi dispersa in mille rivoli irrilevanti.

 

Con l’amico Ivo Tarolli è dal convegno di Rovereto del Luglio 2016 che si é costruito  una rete di amici ex DC e popolari ( “ Ai tanti in prima linea”), con i quali  si è avviato un proficuo rapporto con Stefano Parisi, preparando la partecipazione all’Ergife con i tre convegni del triveneto a Padova (11 Marzo), in collaborazione con l’amico On Menorello; di Salerno (17 Marzo) in collaborazione con l’amico On Giuseppe Gargani e di Roma ( 25 Marzo) alla Bonus Pastor. Sono state tre occasioni importanti che hanno visto la partecipazione dei rappresentanti di numerose associazioni e movimenti dell’area cattolica e popolare italiana,  che si sono ritrovati Sabato scorso all’incontro dell’Ergife di Parisi.

 

Abbiamo apprezzato e condiviso le dieci proposte per lo sviluppo dell’Italia, che Parisi ha indicato nella sua relazione: riduzione della spesa pubblica e delle tasse sulle imprese; adozione di una flat tax che sostituisca l’attuale IRPEF e mantenga caratteri di progressività  attraverso un apposito sistema, semplice e universale di detrazioni e deduzioni; dimezzamento dell’IMU; riduzione del debito pubblico; adozione dell’imposta negativa sui redditi per aiutare le persone a basso e a zero reddito; sostituzione dello statuto dei lavoratori con lo statuto del lavoro, così come ideato da Marco Biagi; riforma della scuola e dell’Università; adozione della sfiducia costruttiva con legge elettorale proporzionale e introduzione delle macro regioni al posto delle regioni attuali.

 

Assai ben motivati gli approfondimenti sui singoli temi a dimostrazione di una competenza in materia di amministrazione pubblica, che è parte rilevante dell’esperienza e del bagaglio professionale e politico amministrativo di Parisi.

 

Attenti nell’esposizione appassionata delle sue tesi, noi ex DC e popolari presenti in sala abbiamo unanimemente apprezzato i contenuti espressi, non mancando di rilevare che il carattere complessivo di quell’esposizione era quello proprio di una relazione laico liberale con riferimenti, gli unici citati, di chiara matrice socialista riformista ( Craxi, Sacconi); anche se non è mancato l’appello finale alla partecipazione nella costruzione del nuovo soggetto politico a tutte le culture interessate: da quella che fa riferimento all’umanesimo cristiano, a quella liberale, riformista e federalista.

 

Si tratta di partire proprio da quest’ultima affermazione di Stefano Parisi, quella con cui ha annunciato una grande costituente per l’Italia da tenersi Domenica 8 Ottobre, nella quale si dovrebbe votare per la nascita di un nuovo soggetto politico che sappia superare l’attuale drammatica frattura tra popolo e istituzioni.

 

Netto il rispetto per ciò che è stato fatto, con esplicito riferimento all’esperienza di Forza Italia e del Cavaliere, ma piena consapevolezza che quel progetto non è più in grado di rigenerarsi.

 

Serio l’impegno a un confronto vero da svolgersi sulla base di un regolamento che ci riserviamo di conoscere e valutare per concorrere e partecipare al processo avviato.

 

Lo faremo, innanzi tutto accelerando il processo di riunificazione di tutte le anime democratico cristiane che potranno confluire nella storica casa madre oggi presidiata e presieduta da Gianni Fontana. Quella è la casa che potrà riportare all’unità tutte le componenti già pronte a dar vita alla Federazione dei democratici cristiani.

 

Si tratterà di realizzare gli adempimenti giuridici corretti e aperti alla più ampia partecipazione per svolgere il XIX Congresso nazionale del partito entro il mese di Luglio, nel quale eleggere la nuova dirigenza e approvare un programma politico ispirato dalla dottrina sociale della Chiesa: la più alta risposta ai temi e ai problemi posti dalla globalizzazione e dal dominante turbo capitalismo finanziario.

 

Solo così potremo concorrere con tutta  la nostra ispirazione cattolico democratica e cristiano sociale alla costruzione del nuovo soggetto politico, che da tempo abbiamo indicato e che ritroviamo possibile nella proposta di Stefano Parisi con la quale desideriamo confrontarci da “Liberi e Forti”.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 3 Aprile 2017

 

 

Verso il nuovo soggetto politico: fermenti nell’area cattolico-popolare

 

 

Quale strategia si sta seguendo per la costruzione di un soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale e riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel Partito Popolare Europeo? Un PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori: Adenauer, De Gasperi, Schuman, alternativo alle sinistre e alle destre e negli anni duemila, alternativo al trasformismo renziano e ai populismi estremi.

 

In questa nota, provo a rispondere ad alcuni rilievi pervenutimi circa la strategia e le azioni più appropriate da compiere nel perseguimento dell’obiettivo prioritario sopra indicato. 

Da tempo sostengo come, nella drammatica anomia che sta vivendo la società italiana, con gravi rischi che essa possa sfociare in una cruenta rivolta sociale, sia necessaria la formazione di un nuovo soggetto politico nel quale risulti essenziale la presenza della cultura cattolico- democratica e cristiano sociale, da troppo tempo e oggi, ancor più', ridotta all’irrilevanza.

 

A tal fine l’azione che da anni propongo tenta di svilupparsi per cerchi concentrici, su piani e con strumenti diversi che, almeno mi auguro, possano trovare una loro compatibile ricomposizione in grado di offrire una nuova speranza all’Italia con delle risposte concrete “ alle attese della povera gente“.

 

Primo cerchio: l’unità dei “ DC non pentiti”. Un obiettivo per il quale è stato riconfermato a perseguirlo l’amico Gianni Fontana, Presidente della Democrazia Cristiana, eletto il 26 febbraio scorso nell’assemblea dei soci DC all’Hotel Ergife di Roma, che il giudice del Tribunale di Roma ha legittimato per le procedure giuridiche seguite.  A Gianni Fontana spetta il compito di preparare celermente le condizioni per svolgere correttamente il XIX^ Congresso nazionale della DC.

 

A Fontana e al gruppo dirigente che lo coadiuverà, quello di riportare a unità tutte le frantumate formazioni che, a diverso titolo e responsabilità,  e con alterne fortune, traggono origine e/o fanno riferimento alla storia politica della DC . Mi riferisco agli amici dei Popolari per l’Italia di Mario Mauro, del NCDU di Mario Tassone e Ivo Tarolli,  dell’UDC di Cesa e Buttiglione, dei Popolari liberali di Giovanardi, attualmente impegnati con “Idea, Popolo e Libertà”, e con quanti, come l’On Follini e altri, che hanno sperimentato una più o meno lunga stagione nella Margherita e nel PD, sentono la necessità di ricollegarsi agli amici di una non effimera vicenda politica comune. Sensibilità antiche e fortemente riproposte  sono anche emerse in diverse realtà di matrice popolare e democratico cristiana in Puglia, nella Sicilia e nel Friuli V.Giulia. Anche da amici dell’ex NCD, oggi in smobilitazione, ci auguriamo possano venire coraggiosi ripensamenti.  Sono tutte energie disponibili per allargare quell’area cattolico  popolare così decisiva nella costruzione del nuovo soggetto politico.

 

Serve, infatti, una convinta riaggregazione sui valori di riferimento della dottrina sociale della Chiesa, del Popolarismo e del Cattolicesimo democratico per la ricerca delle soluzioni più compatibili per attuare la Costituzione, per tutelare i Diritti dei Cittadini nel perseguimento  del bene comune; una riaggregazione che sia fondata su un codice etico condiviso, nei principi e nei comportamenti pubblici e privati coerenti. 

 

In questo contesto, considero i “Liberi e Forti” e tutti gli altri Amici, precedentemente richiamati, il “nucleo fondante” di una possibile casa comune per tutti i cittadini: cattolici, popolari, moderati e laici italiani cristianamente ispirati, i quali intendano impegnarsi a tradurre nella “città dell’uomo” gli orientamenti della dottrina sociale cristiana. La rete dei rapporti si collega strettamente a tutti gli Amici dell'Appello di Rovereto "Ai tanti in prima linea” che hanno iniziato il percorso politico due anni fa nella casa del Beato Rosmini, grazie all'intuizione di Ivo Tarolli, da me convintamente sostenuta e da vari esponenti di movimenti, gruppi, associazioni di ispirazione cattolica, che sentivano e sentono l’urgenza di superare la drammatica diaspora politica del mondo cattolico e che puntano a costruire una ricomposizione su basi nuove, secondo la formula del “vino nuovo in otri nuovi”.

 

Credo che tra le due importanti iniziative, quella della DC e dei movimenti e partiti che attorno ad essa si possono ritrovare e quest’ultima, avviata con la tre giorni dei popolari a Padova, Salerno e a Roma del 25 u.s. alla Bonus Pastor, un incontro e un serio confronto sia non solo opportuno, ma indispensabile, se non si vogliono disperdere le risorse che da ciascuna di esse possono provenire ed essere meglio valorizzate.

 

Se, da un lato.  la ricomposizione del vasto e articolato mondo cattolico, quel fiume carsico disperso in mille rivoli, è un prius,  da perseguire senza tentennamenti, sino a giungere ad organizzare una nuova Camaldoli per il XXI^ secolo, dall’altro é evidente che anche la gerarchia cattolica dovrà  riconoscere con più forza e determinazione la drammatica realtà dell’attuale perdurante divisione. Oltre ai pronunciamenti di coraggiosi Vescovi, come Mons. Crepaldi e Mons. Simoni e, come quelli che il cardinale Giovanni Battista Re e Mons. Toso, hanno espresso nettamente sabato scorso alla Bonus Pastor, rivolgendosi agli interpreti dell’appello di Rovereto, a sostegno della ricomposizione politica del mondo cattolico, sarebbe necessario un chiarimento strategico nella stessa CEI.

 

Anche dalla CEI ci attendiamo, infatti, linee guida unitarie per l’intera realtà episcopale delle diocesi italiane, senza le quali non saranno sufficienti gli sforzi di noi laici per superare l’attuale irrilevanza dei cattolici sul piano politico e culturale.

 

Consapevoli del dovere di operare nella città dell’uomo, sul piano dell’assoluta laicità e autonoma responsabilità, crediamo, tuttavia, che nella Chiesa italiana sia giunto il momento di prendere coscienza di un’ incontrovertibile verità: dalla “scelta religiosa” in passato compiuta dall’Azione Cattolica Italiana, la fine dei collateralismi dei movimenti operanti nel sociale e la scelta ruiniana della testimonianza diffusa e trasversale nei diversi schieramenti partitici, con la Chiesa senza più strumenti di mediazione esterni con le istituzioni, la condizione attuale del cattolicesimo italiano, lungi dall’aver perseguito una più vasta partecipazione religiosa dei fedeli o un incremento significativo nell’associazionismo di base, si è ridotta all’afasia e alla diffusa e totale irrilevanza nelle istituzioni.

 

Perseguendo in via prioritaria l’unità possibile dei cattolici su una piattaforma programmatica e di valori nella politica italiana, è evidente che non possiamo restare indifferenti a ciò che accade attorno a noi, anche in considerazione delle scadenze dei tempi della politica, che non aspettano quelli a noi necessari per la nostra ricomposizione. 

 

Da molte settimane, molti di noi guardano con interesse a ciò che dal fronte laico e liberale si sta muovendo, in particolare nel movimento “Energie per l’Italia” guidato da Stefano Parisi, nel quale già diversi amici popolari stanno trovando positive forme di collaborazione su temi specifici; così avviene nei confronti delle esperienze già avviate con la formazione del Comitato dei Popolari per il NO al referendum costituzionale e un’ampia sintonia verificata con gli amici della Confederazione di Sovranità Popolare che ha i suoi mentor nel Prof. Paolo Maddalena e Padre Quirino Salomone, con il Presidente Giovanni Tomei ed Eleonora Mosti VP, con Leonardo Triulzi (Segretario) e vede tra i membri del Comitato Scientifico, Alessandro Diotallevi e Antonino Giannone (VP di ALEF), e tra gli altri qualificati esponenti, gli amici: Luigi Intorcia, Giuseppe Morelli, Emanuela Bambara ed Elvio Covino (pres. Società e Famiglia)

 

Con loro non possiamo che condividere l’obiettivo strategico di attuare pienamente il dettato costituzionale, quale conditio sine qua non per riconfermare la piena sovranità popolare e batterci per introdurre politiche economiche alternative a quelle imposte dal dominante turbo capitalismo finanziario; politiche ispirate dai principi dell’economia sociale di mercato e dell’economia civile. 

 

Sono queste le tappe indispensabili da compiere, declinando i tempi in funzione del grado di maturazione del nostro processo di ricomposizione e delle scadenze che le vicende della politica nazionale e locale ci presentano, nelle quali vorremmo far valere i principi, i valori e gli interessi della nostra area di riferimento: morali, culturali , sociali e politici.

 

Ettore Bonalberti-Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 28  Marzo 2017 


Por fine alla diaspora e all’irrilevanza politica dei cattolici

Terza tappa a Roma dei firmatari dell’”Appello ai tanti in prima linea”

 

“Prego per il successo del vostro impegno” per por fine all’irrilevanza dei cattolici nella “città dell’uomo”. Così il card Giovanni Battista Re alla Santa Messa, officiata presso la Bonus Pastor a Roma per i partecipanti all’incontro degli amici di Rovereto firmatari dell’”appello ai tanti in prima linea”, coordinati dal sen Ivo Tarolli di Trento.

 

L’incontro si è aperto  con  la lectio magistralis di Mons Mario Toso, vescovo di Faenza –Modigliana, che ha sottolineato la necessità di superare la dolorosa diaspora del mondo cattolico, che ha sostanzialmente annullata la capacità di incidenza dei valori espressi dalla dottrina sociale della Chiesa in una società secolarizzata e vittima di un relativismo morale e culturale senza più limiti, auspicando di battersi, innanzi tutto per l’unità possibile dei cattolici nella politica italiana.

 

Sono questi alcuni dei più importanti riconoscimenti provenienti da alcuni autorevoli rappresentanti della gerarchia cattolica italiana all’azione avviata con il convegno dei popolari triveneti di Padova (11 Marzo) e quello di Salerno (17 Marzo).

 

Alla Bonus Pastor si è conclusa la tre giorni che ha permesso di chiamare a raccolta alcune delle più importanti realtà associative del mondo cattolico del Nord-Est, del meridione  e del centro Italia.  Oggi a Roma erano presenti, tra gli altri,  Sergio Marini, già presidente della Coldiretti, oggi alla guida della Fondazione Italia sostenibile, Raffaele Bonanni, già segretario nazionale della CISL,  i proff. Gustavo Piga e Andrea Tomasi e il dr Giuseppe Morelli, delegato regionale GPSC, OFS Lazio, i quali hanno discusso il tema: “Emergenza lavoro e povertà”.

Una tavola rotonda seguita in sala con molta attenzione dall’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio.

 

Introdotta dall’avv. Daniele Ricciardi, coordinatore del Laboratorio Ricette x Roma, il Presidente dell’associazione nazionale edilizia sociale, Gian Luca Proietti Troppi con il Dr Gabriele De Simone e l’avv.Francesco Rabotti, comitato S.Ale, hanno discusso sul tema dell’”Emergenza sociale e  ambientale”, cui è  seguita una tavola rotonda sull”Emergenza immigrazione e cooperazione internazionale”, nella quale sono stati diffusi dati interessantissimi dal Dr Rodolfo Roberto Giorgetti sulle caratteristiche demografiche e socio culturali dei quasi quattro milioni di immigrati regolari in Italia.

Sul tema sono intervenuti l’On Nino Gemelli e il DR Rocco Morelli, con il coordinamento del dr Marco D’Agostino,Presidente dell’Associazione nazionale Pier Giorgio Frassati.

 

Un quarto gruppo di lavoro, presieduto dall’On Luisa Santolini ha affrontato, infine, il tema dell’”emergenza antropologica ed educativa italiana”, sul quale  sono intervenuti, la dr.ssa Eleonora Mosti, V.Presidente della Federazione di Sovranità popolare, e il prof Alberto Gambino, presidente di Scienza e Vita. Una nota di saluto è stata inviata dal Dr. Simone Pillon del Comitato difendiamo i nostri figli.

 

All’inizio dei lavori erano intervenuti l’On Domenico Menorello, dei Popolari padovani e il prof Paolo Maddalena, Presidente onorario della confederazione di sovranità popolare.

 

A conclusione dei lavori, il sen Tarolli ha evidenziato l’importanza dei tre incontri di Padova, Salerno e Roma, non solo perché hanno permesso di avviare un dialogo fecondo e costruttivo tra diverse realtà significative dell’area cattolica, ma anche perché, con gli interventi del card Re e di Mons Toso, dopo quello di Mons Simoni, vescovo emerito di Prato, a Padova, si sono potuti raccogliere tre SI di indiscusso valore politico culturale:

 

SI all’unità dei cattolici, per por fine all’irrilevanza;

SI all’integralità della proposta e della testimonianza sui principi della dottrina sociale della Chiesa;

Sì al pluralismo di questo processo che, partendo dall’unità cattolica, deve compiersi, non in solitaria, ma insieme ai laici disponibili a battersi ispirati dai valori fondanti dell’umanesimo cristiano.


 

Come già avvenuto a Padova e a Salerno i partecipanti all’incontro della Bonus Pastor hanno approvato all’unanimità un atto di indirizzo finale nel quale sono evidenziate le richieste ai cattolici impegnati e/o che intendono impegnarsi nella politica:

 

1)   il dovere di rimboccarsi le maniche; l’imperativo di far prevalere e far vincere il peso della responsabilità sia individuale che comunitaria; il coraggio di imboccare percorsi inesplorati con spirito di apertura e di ricerca;

2)   il perseguimento del bene comune nella pratica di tutti i giorni;

3)   l’impegno nella palestra della Polis profuso soprattutto dai laici, con autonomia e spirito di discernimento;

4)   la  volontà di confrontarsi, di approfondire e cooperare con quanti intendono operare nella direzione avviata, per assumere al termine di questo percorso di ricerca le deliberazioni più opportune.

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

Roma, 25 Marzo 2017



Grandi manovre al centro

 

Con la vittoria del NO al referendum, la sconfitta della legge super truffa dell’Italicum e il ritorno alla legge elettorale proporzionale, la corsa al centro della politica italiana sta vivendo il tempo di grandi manovre. Un ruolo speciale lo stanno giocando i diversi gruppi che sono gli elementi residuali di quella che fu la “Balena Bianca” della Prima Repubblica.

 

Con l’assemblea dell’Ergife a Roma,  di Sabato 26 Febbraio e l’avvenuta elezione di Gianni Fontana alla Presidenza della DC, si sono finalmente gettate le basi per la ricomposizione del partito di De Gasperi, Fanfani e Moro, sino all’ultima segreteria dell’on Martinazzoli, dopo che la Cassazione aveva dichiarato che la DC non era mai stata sciolta giuridicamente (sentenza n.25999 del 23.12.2010).

 

Il tribunale di Roma autorizzando la convocazione di quell’assemblea ha di fatto riconosciuto la rappresentanza  giuridica degli eredi legittimi della DC storica agli iscritti che nel 2012, essendo già stato tesserati nel 1992 (ultimo anno del tesseramento della DC storica), rinnovarono la loro adesione al partito. Proprio questi,  adesso,  potranno legittimamente, secondo le norme statutarie del partito, procedere agli adempimenti relativi alla convocazione del XIX Congresso nazionale della Democrazia Cristiana.

 

Venerdì prossimo si riunirà a Roma il Consiglio nazionale del NCDU di Mario Tassone, al quale parteciperà anche l’On Cesa, segretario del CDU, per riconfermare quanto già approvato dalla direzione del NCDU, ossia la volontà di costruire insieme la Federazione dei democratici cristiani.

 

Marco Follini, con la sua intervista al Corriere della sera, ha giustamente ricordato come in giro ci sia “molta voglia di Democrazia Cristiana” e su questa stessa lunghezza d’onda si sono pronunciati gli amici Ciriaco De Mita, Giuseppe Gargani, Rocco Buttiglione e tanti altri espressione di gruppi, movimenti e associazioni che concorrono a costituire la vasta e complessa realtà dell’area cattolica e popolare italiana.

 

Anche a livello ecclesiastico qualcosa sta cambiando; sono sempre più numerosi gli esponenti cattolici che considerano necessaria ed attuale  la ricostruzione di un partito di cattolici ispirati dalla dottrina sociale cristiana.

 

Resta ambigua la posizione di coloro che, come Casini e Alfano con diversi amici che Carlo Donat Cattin definiva “ la Compagnia delle Opere di misericordia corporali”, sperimentata la transumanza parlamentare dalla destra verso il sostegno al governo renziano, tentano delle assai ardue ricollocazioni, con lo sguardo prevalentemente rivolto a sostegno del trasformismo del “giovin signore” fiorentino.

 

Anche dal versante liberale e laico socialista è in atto il tentativo guidato da Stefano Parisi di raccordare esperienze di quella tradizione con quelle popolari così come si espressero negli incontri di Rovereto ( Luglio 2016) e Orvieto (Novembre 2016), nei quali, gli amici Tarolli, Giovanardi, Mario Mauro, Quagliariello, insieme al sottoscritto a nome degli amici di ALEF, concordarono sul progetto di dar vita a un nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori, alternativo alla sinistra e ai populismi estremi.

 

Con i recenti incontri dei popolari triveneti di Padova (11 Marzo), Salerno (17 Marzo) e  il prossimo a Roma ( 25 Marzo) si compirà il trittico destinato a creare le condizioni per l’avvio di un movimento del tipo UMP francese, ossia un’Union pour un Mouvement popoulaire anche nel nostro Paese. L’adesione annunciata  dell’ex ministro Sacconi al movimento di Parisi, Energie per l’Italia, va collocata pure in questa direzione che troverà il suo formale avvio nell’incontro nazionale promosso da Parisi il 1 Aprile a Roma.

 

Da sempre “ DC non pentito” ho cercato in questi anni di seguire quasi tutti quei passaggi che ritenevo e ritengo utili e opportuni verso la ricomposizione di un’area politica centrale, nella quale il ruolo dei cattolici democratici e cristiano sociali possa essere decisivo nel proporre politiche capaci di rispondere lapirianamente “ alle attese della povera gente”. Un contributo significativo verrà dalla ritrovata Democrazia Cristiana, nella quale potranno ritrovarsi tutte le diverse componenti sparse sin qui espressione di una diaspora dolorosa che ha ridotto il contributo di ciascuno a una sostanziale irrilevanza culturale e politica.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 20 Marzo 2017

 

 

 

 




Prima di tutto l’unità dei DC

 

Al contrario di Arturo Parisi, ex mentore con Prodi dell’Ulivo, il quale nell’intervista odierna a “Italia Oggi”, grida contro “ il fatale e dissennato ritorno alla proporzionale”, personalmente non solo mi sono battuto a fianco dei Popolari per il NO nel recente referendum contro la legge super truffa dell’Italicum, ma plaudo alla proposta presentata nei giorni scorsi dall’altro Parisi, Stefano, leader di “Energie per l’Italia”, del disegno di legge sulla legge elettorale secondo il modello tedesco.

 

Proporzionale con sbarramento al 4% e introduzione della sfiducia costruttiva sono state da sempre le proposte di quanti, come noi  minoritari nella DC, ci opponemmo nel 1991 al tentativo, ahinoi riuscito, di Mariotto Segni di introdurre un sistema di tipo maggioritario, concausa non secondaria della fine della DC.

 

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale sull’Italicum e la certezza che al proporzionale si dovrà ritornare con la corretta indicazione del Presidente Mattarella di ricercare l’accordo su un sistema elettorale omogeneo per l’elezione della Camera e del Senato, si assiste a un profondo rimescolamento della carte dentro e fuori i partiti.

 

Lo stesso tripolarismo che da diversi anni caratterizza il sistema politico italiano, con la nuova legge elettorale da approvare, subirà una diversa articolazione.

 

E’ in pieno fermento l’area politica della sinistra a partire dal PD, squassato dalle polemiche del caso Consip che vede confrontarsi nella battaglia delle primarie tre personaggi a diverso titolo interessati, seppur con ruoli differenziati, da quel pasticciaccio brutto tra i più gravi della storia repubblicana.

 

Anche nel centro-destra sono in atto movimenti di scomposizione e tentativi di ricomposizione collegati e/o collegabili al diverso esito che si raggiungerà con la nuova legge elettorale.

 

Il mio interesse è, innanzi tutto, rivolto a ciò che sta accadendo nell’area popolare democratico cristiana, quella che attiene a quel vasto fiume carsico sin qui suddiviso in mille rivoli, espressione della drammatica e dolorosa diaspora vissuta nella lunga attraversata del deserto: 1993-2017.

 

Ciò che si era ridotto al pulviscolo ex democristiano penetrato negli ingranaggi di quasi tutti i partiti e movimenti della seconda repubblica, grazie alla nuova legge elettorale che verrà,

la quale  favorisce la ricomposizione dei diversi frammenti di pari cultura in un comune contenitore, sembra orientarsi verso un  organismo unitario, dapprima federato, condizione essenziale per uscire dall’attuale condizione di  sostanziale irrilevanza politica.

 

Un punto fermo è stato segnato con l’assemblea dei soci DC dell’Ergife di Roma del 26 Febbraio scorso, con l’avvenuta elezione di Gianni Fontana alla presidenza della DC, primo atto conseguente alla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010 secondo cui “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”.

 

Ora grazie a  quella legittimata base associativa della DC,  che si aprirà a coloro che, iscritti nel 1992 intendono riconfermare la loro adesione al partito dello scudo crociato, ci sono le condizioni per poter celebrare finalmente a tempi brevi il XIX Congresso nazionale della DC.

Sarà questo il congresso che potrà eleggere, con gli organi dirigenti del partito, le nuove norme statutarie a misura di un partito per il XXI secolo e la selezione di una nuova classe dirigente a misura della necessità di garantire “ vino nuovo in otri nuovi” pur nella fedeltà ai valori originari.

 

Ci accingiamo a questo obiettivo nel momento in cui i diversi gruppi e partiti di ispirazione DC presenti nel Parlamento o da sempre nel Paese hanno espresso la volontà di attivare una Federazione dei democratici cristiani, nella quale, ovviamente, la DC dell’Ergife potrà rappresentare il catalizzatore funzionale a favorire il processo di ricomposizione.

 

In quello che da qualche tempo connoto come il deserto delle culture politiche, la riaffermazione, da un lato, della dottrina sociale della Chiesa, , e, dall’altro, l’adesione ai valori fondanti del Partito Popolare europeo, di cui la DC è stata attrice e  interprete non secondaria, credo sia una prima netta  indicazione di interessi e di valori che intendiamo rappresentare in una delle fasi storiche più complesse della vicenda umana in Italia e nel mondo.

 

Il richiamo alla dottrina sociale della Chiesa comporta, infatti, l’impegno a inverare  nella città dell’uomo, con la nostra autonomia e laicale responsabilità, gli orientamenti pastorali che sono il risultato delle più approfondite analisi e meditata formulazione di proposte nel tempo della rivoluzione antropologica, della globalizzazione e della rivoluzione digitale.

 

L’appartenenza al Partito Popolare europeo, significa, infine, la volontà di rifarsi agli insegnamenti dei padri fondatori dell’Europa: De Gasperi, Adenauer, Schuman, la riproposizione dei canoni dell’economia sociale di mercato, integrata dagli apporti straordinari della cultura italiana dell’economia civile, contro le deformazioni e i rischi per la democrazia causati dal prevalere del turbo capitalismo finanziario; il primato della persona , della famiglia e dei corpi intermedi, sostenuti dai principi della sussidiarietà e solidarietà.

 

Non possiamo che apprezzare positivamente le recentissime dichiarazioni di autorevoli esponenti dell’area ex democratico cristiana per una ricomposizione che, personalmente e con molti altri amici, perseguiamo da oltre vent’anni.

 

Ora è  tempo innanzi tutto di riunire i democratici cristiani italiani ed europei, per concorrere tutti insieme, con altre forze politiche disponibili, a ridare finalmente speranza alle attese della povera gente.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 8 Marzo 2017

 

 

 


Il granello di senape

 

Domenica 26 Febbraio si è compiuto all’Hotel Ergife un autentico  miracolo: la DC storica, partito mai morto giuridicamente come ha sentenziato definitivamente la Cassazione (sentenza n.25999 del 23.12 2010), sulla base dell’autorizzazione del tribunale di Roma si è ritrovata rappresentata da una modestissima parte della sua  base associativa formata da coloro che, essendo stati soci della DC storica nel 1992 (ultimo anno del tesseramento della DC) rinnovarono la loro adesione nel 2012, nel tentativo di concorrere alla celebrazione del XIX Congresso nazionale del partito.

 

La solerzia di alcuni “amici”, come sempre diversamente motivati, produsse alcuni ricorsi contro le modalità di convocazione e di svolgimento di quel congresso i quali ne determinarono l’annullamento. Lo stesso tribunale romano che accolse quei ricorsi, con provvedimento del giudice Romano del 13.12.2016, in base alla richiesta formulata da oltre il 10% dei soci DC aventi diritto, ha disposto “ la convocazione dell’assemblea nazionale degli associati dell’associazione non riconosciuta “ Democrazia Cristiana”. L’assemblea in seconda convocazione riunitasi Domenica 26 Febbraio era valida qualunque fosse il numero dei presenti.

 

Gli oltre cento partecipanti di ieri erano il “granello di senape” che, eleggendo con oltre il 90% dei voti l’ On Gianni Fontana alla presidenza dell’associazione non riconosciuta “ Democrazia Cristiana”, hanno permesso alla DC, partito mai sciolto giuridicamente, di emettere un primo respiro e di ripartire con la speranza e la determinazione di far crescere un albero robusto nel deserto della politica italiana.

 

Un albero con le radici ben piantate nei fondamentali della dottrina sociale cristiana, così come espressi dalle ultime encicliche pontificie ( Caritas in veritate, Evangelii Gaudium e Laudato SI) e con una nuova generazione di democratici cristiani impegnati a tradurre nella città dell’uomo quegli orientamenti, con l’obiettivo di fornire risposte “ alle attese della povera gente”.

 

Ora è tempo di ricomposizione di tutte le anime sparse nei diversi rivoli del fiume carsico popolare e democratico cristiano presente in tutte le regioni italiane.

 

Una fondazione di partecipazione sul modello della Fondazione Adenauer per la CDU e CSU tedesche, e una scuola di formazione politica per le nuove generazioni dovranno essere i primi impegni della DC.

 

A Gianni Fontana spetta il compito di raccogliere quanti sono interessati alla costruzione del nuovo soggetto politico centrale della politica italiana, concorrendo tutti insieme all’allargamento della base associativa della DC nei comuni italiani, con la nascita di comitati civico popolari della DC dai quali far emergere i delegati democraticamente eletti.

 

Si seguirà scrupolosamente lo statuto vigente del partito, al fine di non incorrere negli errori compiuti nel 2012, per convocare il XIX Congresso nazionale della DC nei tempi più solleciti possibili e solo nel congresso potremo realizzare quegli adeguamenti dello Statuto la cui ultima stesura risale al 1992, un tempo ormai distante anni luce dalla condizione politica, sociale, culturale e morale dell’Italia odierna.

 

Dal discorso fatto ieri da Gianni Fontana sono emerse tutte le motivazioni ideali proprie della migliore tradizione democratico cristiana. Ci conforta la presenza  ieri all’Ergife di alcuni amici ospiti, come Mario Tassone del NCDU e di altri che hanno espresso il loro interesse al processo di ricomposizione dei DC,con i quali vorremmo procedere INSIEME sino al Congresso.

 

Ciliegina finale: la DC oggi può contare già su un deputato regolarmente iscritto al partito. Trattasi dell’On Domenico Menorello di Padova, giovane DC nel 2012, che riconfermò la sua adesione nel 2012 e ora socio a tutti gli effetti della Democrazia Cristiana. Anche Menorello è un pugno di lievito di razza DOC, che crediamo possa concorrere a produrre buoni frutti.

 

Ora serve tanta generosità e disponibilità da parte di quanti hanno creduto e ancora credono negli ideali rappresentati da Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi, Aldo Moro, disponibili a far crescere una nuova generazione di democratici cristiani per il bene dell’Italia.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 27 Febbraio 2017

 

 

 



Serve costruire l'Unione per un Movimento Popolare


Scissione nel PD e diffusa proliferazione di nuove aggregazioni politiche a sinistra come sulla destra della politica italiana. Crisi nei rapporti interni tra Salvini e i bossiani Doc e nello stesso M5S, mentre continua la tormentata marcia nel centro destra privato  dell’ormai consumata  capacità di trazione del Cavaliere dimezzato e in attesa di rilegittimazione.

 

Lo scenario politico italiano più che tripolare appare frantumato in mille rivoli, mentre permane la realtà di un parlamento di “nominati” illegittimi che, obtorto collo, dovranno por mano alla nuova legge elettorale inevitabilmente di tipo proporzionale.

 

Anche nella vasta e complessa realtà di area cattolica, popolare e liberale sono intervenuti e stanno verificandosi una serie di operazioni politiche che reclamano l’esigenza di una ricomposizione verso una prospettiva unitaria  comune.

 

Dal 2015 con gli incontri di Rovereto e di Orvieto 1 e 2, con gli amici Ivo Tarolli, Mario Mauro, Carlo Giovanardi, Gaetano Quagliariello, Mario Tassone, Gianni Fontana, Giuseppe Gargani e altri, abbiamo condiviso il progetto di un nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans-nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori, alternativo alla sinistra e al socialismo trasformista renziano, alle destre e ai populismi estremi.

 

Convinti e determinati a superare le vecchie casematte foriere della conservazione di una frammentazione che conduce solo all’irrilevanza, crediamo sia giunto il tempo di impegnarsi nella costruzione di un’Unione per un Movimento Popolare sul modello dell’UMP francese.

 

Domenica 26 Febbraio sono stati convocati all’Ergife  gli eredi legittimi dell’associazione non riconosciuta e mai giuridicamente sciolta “ Democrazia Cristiana” per eleggere il Presidente; prima tappa di un percorso che dovrebbe condurre alla celebrazione di un congresso in grado di ricostruire la presenza dei democratici cristiani in Italia.

 

Nessuna nostalgia di ritorno all’antico, quanto la decisa volontà di  contribuire ad apportare la migliore tradizione dei cattolici democratici e cristiano sociali nella costruzione dell’Unione per un Movimento popolare nel quale ricostruire il centro politico dell’Italia.

 

Il tema che si porrà a quanti sono interessati al progetto sarà di offrire una nuova speranza ai ceti medi e alle classi popolari, ridotte in condizioni di progressivo impoverimento dalle politiche collegate al dominio della finanza nei mercati della globalizzazione; un ripensamento profondo del nostro stare in Europa  e all’interno della “gabbia d’acciaio” dell’euro che, sino ad oggi, ha garantito solo una condizione di dominio alla Germania e ad alcuni paesi del Nord; la necessità di ripensare le politiche economiche subalterne e distruttive sin qui portate avanti dagli ultimi governi.

 

Si tratterà di mettere insieme le migliori energie culturali e morali presenti nei diversi schieramenti centrali in campo, per tentare di elaborare un progetto politico, economico e finanziario in grado di dare positive risposte “alle attese della povera gente”.

 

Partire  dal basso con la costruzione in tutte le città e i paesi dell’Italia di comitati civico popolari per l’UMP, da organizzarsi nelle case dei militanti interessati a promuovere questa grande mobilitazione popolare.

Un ”vaste programe” che servirà a vincere la disaffezione verso la politica, presente in oltre la metà degli elettori italiani e a ricostruire il nuovo centro essenziale per i nuovi equilibri politici dell’Italia.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 19 Febbraio 2017



 


Oltre il bipolarismo: I cristiani in politica

 

In questa fase complessa e confusa della politica italiana, mentre i partiti tradizionali sono impegnati di più a un dibattito lacerante interno per il controllo e il potere da gestire, ma molto meno si impegnano a ricercare le scelte da fare per soddisfare i bisogni del popolo italiano, all'esterno di questo dibattito surreale, si susseguono nella società civile numerosi incontri e dibattiti per ricercare nuovi percorsi di aggregazione politica e culturale. In tale contesto, ho avuto l'opportunità di partecipare all'incontro “Oltre il bipolarismo”: i cristiani in politica svoltosi nella sala Aldo Moro della Camera  dei Deputati, promosso da Solidarieta-Italia (Presidente Piero Pirovano, giornalista di Avvenire e V. Presidente Prof. Enrico Maria Tacchi dell'Università Cattolica)

 

Sono state indicate le modalità di una proposta fatta da Solidarietà- Italia per un luogo d'incontro, di approfondimento culturale, sociale ed economico con una precisa identità di valori d'ispirazione cristiana per esaminare proposte concrete e sostenibili per la società italiana.

 

Si tratta di coinvolgere movimenti, associazioni di cattolici e laici, cristianamente ispirati ovvero comunemente ispirati da un neo umanesimo che sappia porre prioritariamente al centro l'uomo, la sua dignità, i bisogni delle nuove povertà,  i bisogni dei migrantes, i bisogni del lavoro che non c'è per i giovani e per chi lo perde, e sappia sradicare i mali e allontanare i "malfattori" che si sono impadroniti della Res Publica come ben scriveva San Francesco nel suo famoso Appello ai governanti e potenti. 

 

E' stata confermata l'urgenza di sviluppare nella società, nei giovani e nelle istituzioni di formazione l'Etica delle virtù umane al servizio della società e della politica e non al servizio di gruppi privilegiati o degli interessi personali. 

 

Per noi Cristiani e' il momento, non differibile di un impegno e di una responsabilità per esprimerci e confrontarci con una politica cristianamente ispirata che sia riconoscibile.  Si tratta del "di più" che noi Cristiani possiamo dare alla società perché "siamo nani", ma "sulle spalle di giganti": l'Insegnamento di Gesù Cristo, l'umanesimo della Dottrina sociale della Chiesa, il Popolarismo di Don Luigi Sturzo e la laicità dei grandi democratici Cristiani da De Gasperi ad Aldo Moro, barbaramente ucciso dalle Brigate Rosse in un intrigo politico internazionale rimasto con risvolti oscuri sui responsabili (mandanti e carnefici). 

 

Nell'aula a Lui intestata si è svolta la riunione che e' stata aperta con una preghiera da Padre Quirino Salomone dei Celestiniani di L'Aquila che ha letto l'appello di San Francesco ai politici e potenti del suo tempo. Poi, Mons. Leuzzi, Vicario di Roma, ha espresso fiducia e sostegno per l'iniziativa dei Cristiani in Politica, non per affermare un'identità, ma per attuare proposte politiche riconoscibili nei valori cristiani di riferimento, nei comportamenti di chi le sottopone alla valutazione dei cittadini, nel valore intrinseco delle finalità per il bene comune. 

 

Nel dibattito sono intervenuti rappresentanti di numerose Associazioni di volontariato e che operano nel mondo cattolico, ma con spirito laico per ricercare e dare il loro contributo dalla conoscenza della società che vivono nella realtà quotidiana. Bisognerà sapere fare proposte non solo di bene comune, ma anche che non cancellino i valori cristiani nella società italiana e in Europa, nel rispetto delle altre culture e identità, ma non rinunciando alla nostra identità. 

 

A livello personale, nell'intervento con tempo misurato da una clessidra tradizionale e interrotto dal suono digitale, ho sottolineato l'urgenza di riattivare il principio del N.O. MA. (Non Overlapping Magisteria) nei Paesi dove e' stato capovolto con l'effetto di depauperare le Democrazie e le Sovranità Popolari. 

 

Si tratta di ripristinare il primato della Politica che fissa gli obiettivi della società in virtù di un mandato Popolare, dell'Economia e della Finanza che devono ritornare ad essere strumenti per realizzare quegli obiettivi e dell'Etica che dovrebbe rimanere il collante, il regolatore dell'equilibrio del sistema.

 

Purtroppo da quando e' stata abolita la legge Steagall Glass Act da Bill Clinton con la liberalizzazione alle banche di fare attività speculativa finanziaria e di stampare moneta virtuale, da quando e' stata sottratta ai popoli la sovranità monetaria, l'Italia e i Paesi europei, stanno vivendo l'epoca del dominio della Finanza che fissa gli obiettivi, della politica (con la P minuscola), che e' succube e dell'Etica sempre più confinata ai margini della società politica e civile, al più dichiarata come orpello da esibire, codici etici in tanti settori, ma non realmente applicati. 

 

L'incontro si è svolto con gli interventi autorevoli dei promotori, Piero Pirovano, Enrico Maria Tacchi, Giuseppe Morelli, e le Relazioni di Gianluigi Gigli, Gianni Fontana e Giovanni Tomei. 

 

Con diverse accentuazioni, è stato sottolineato che in questa fase storica non solo in Italia, ma in Europa e nel mondo, la società della globalizzazione ha bisogno di proposte di neo umanesimo integrale, di umanesimo cristiano. 

 

In pratica, la gente comune, in questa fase storica, si aspetta non più illusioni e promesse impossibili, con costi e nuovi debiti non più sopportabili, ma desidera esaminare proposte concrete di contenuti e di valori e principi di tutela dei diritti umani, prima che dei diritti civili. 

 

Dal dibattito sono emerse posizioni condivise che hanno sottolineato l'esigenza di un percorso verso un'aggregazione politica e partitica con un progetto sui tre pilastri: Libertà, Giustizia e Pace proposti da Solidarietà-Italia e sull'Attuazione della Costituzione e dei diritti sostanziali che il NO al Referendum ha espresso con il voto favorevole da parte della stragrande  maggioranza del popolo italiano.

 

Questa prospettiva si potrebbe tradurre concretamente con Federazioni di  Associazioni e Movimenti cattolici e laici in un progetto unitario con Solidarietà- Italia, attualmente un Partito vuoto, ma regolarmente registrato, in grado di diventare un grande contenitore di aggregazioni popolari, di volontariato, di cattolici, di laici moderati e ispirati umanamente. 

 

Noi Cristiani in Politica, possiamo attingere all'enorme patrimonio che caratterizza la nostra cultura e la nostra Fede per essere in grado di corrispondere alle attese di tutti.

 

Si tratta di dar vita a un  progetto politico di Società con una Visione di lungo periodo, Culture e Valori di riferimento e da affidare a una nuova classe dirigente, in particolare non a giovani solo per età anagrafica, ma a giovani che sappiano mettersi al servizio del prossimo con responsabilità nella gestione delle risorse che saranno loro affidate per gestirle esclusivamente per il bene comune della società. 

 

Una Speranza per il futuro che dovrebbero coltivare i più giovani perché il futuro appartiene a loro, senza rinunciare ad essere affiancati dagli anziani, che nelle origini delle civiltà in Occidente e in Oriente, non sono mai stati rottamati, ma utilizzati fino all'ultimo se, nel minore vigore degli anni, erano e sono in grado di trasmettere un'esperienza positiva, l'etica delle virtù etiche (trasparenza, onestà, lealtà, temperanza) e dianoetiche (giustizia, sapienza, saggezza). 

 

Da un lato si tratta di consegnare il testimone ai giovani da parte di chi è anziano, credibile nella trasparenza della sua vita vissuta, e che si accinge a percorrere l'ultimo miglio del suo percorso terreno, verso la meta comune che è Dio. 

 

Dall'altro lato si tratta per i giovani di oggi di assumere la responsabilità di prendere il "testimone" che è stato vissuto, da laici e chierici, attraverso la Parola: Via, Verità e Vita che Gesù ha consegnato come missione ai Cristiani, per farla lievitare per il bene di tutta l'umanità senza distinzioni.

 

* Antonino Giannone

- Docente di Etica professionale e Relazioni industriali

- Comitato Scientifico Confederazione Sovranità Popolare

- V. Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti) 

 

Roma, 18 Febbraio 2017

 



Il gioco dell’oca

 

Alla direzione nazionale del PD di ieri a Roma, Matteo Renzi ha tenuto una relazione di basso profilo, espressiva della povertà culturale di un partito senza più identità che ritorna, come nel gioco dell’oca, al punto in cui il renzismo era nato.

 

Fu con il patto del Nazareno in tasca che Matteo Renzi potè pronunciare il suo velenoso “stai sereno”, con cui pose fine al governo di Enrico Letta. Un patto grazie al quale “il giovin signore fiorentino” fu in grado di assicurare a Napolitano l’approvazione delle riforme istituzionali, agognate non solo dal Presidente della Repubblica, ma dagli autorevoli esponenti delle lobbies finanziarie internazionali.

 

Purtroppo, con il senno del poi per Renzi, quel patto fu rotto con l’elezione non concordata e in opposizione al Cavaliere di Mattarella, in spregio alle intese pattuite. Da quel momento tutto diventò più precario, nonostante il ruolo servente assicurato a Renzi al Senato dai manipoli dei transumanti d’aula guidati da Verdini e Alfano.

 

La rottura con il Cavaliere, insieme alla disillusione diffusa tra gli italiani, sono state tra le ragioni non secondarie della bruciante sconfitta nel referendum del 4 dicembre, causa delle dimissioni di Renzi dalla guida del governo.

 

La scelta del SI ha creato fratture profonde non solo tra gli elettori del PD, divisi tra le indicazioni di un partito che rompeva i suoi tradizionali legami sociali e politico culturali della sinistra (ANPI, vasti settori della CGIL, intellettuali di area), ma anche all’interno del partito, con e tra gli stessi gruppi già saliti sul carro del leader toscano.

 

Renzi si impose nel PD sull’onda del “nuovismo” espresso alla prima Leopolda, tutto declinato sul versante della “rottamazione”; in un quadro politico garantito da una legge elettorale maggioritaria , il porcellum, che permetteva, secondo la logica del vecchio schema bipolare, l’idea di un vincitore che prende tutto, sino al rischio del potere di “ un uomo solo al comando”.

 

Nasceva da questo schema la proposta di una legge elettorale super truffa, come quella dell’Italicum, bocciata, prima, dall’esito disastroso per Renzi del referendum e, infine, dalla sentenza inappellabile della Consulta.

 

Fosse rimasto il patto del Nazareno, probabilmente, Renzi l’avrebbe sfangata, sia con il referendum, che con una legge elettorale a sua immagine, mentre  invece, nella nuova realtà del tripolarismo con tutte e tre le gambe in fibrillazione, egli deve prendere atto della nuova situazione. Una situazione che non potrà che partorire un sistema elettorale proporzionale, espressivo della nuova e più complessa realtà politica italiana.

 

Rispetto a questa nuova realtà effettuale appare del tutto inadeguata e contraddittoria la relazione di ieri di Renzi nella direzione del PD.

 

Un PD che non è più un partito di sinistra, anche se Renzi lo descrive come il più importante partito della sinistra europea, nel momento in cui, con il referendum e alcune delle politiche adottate dal suo governo, Renzi ha rappresentato gli interessi dei poteri forti e non certo “ le esigenze della povera gente”, che furono quelle del compianto Giorgio La Pira, spesso, anche se talvolta impropriamente, evocato dal giovane politico fiorentino.

Lapidaria e definitiva al riguardo la definizione del governatore della Puglia,  Emiliano, sul PD, che sarebbe diventato: “ il partito dei banchieri e dei finanzieri, dell’establishment. Un  partito interessato solo ai potenti e non al popolo”.

 

Quando ieri nella sua relazione Matteo Renzi ha sostenuto che: “ Il nemico, sono trumpismo e grillismo, non chi è in questa stanza", appare evidente che la sua linea appare molto più simile a quella di Macron in Francia e, di fatto, al di là delle questioni tattiche sulla data del congresso e sulla durata del governo Gentiloni,  questa linea apre la strada, come annunciato da Bersani, Cuperlo e Speranza a un’assai probabile scissione a sinistra del PD.

 

Quando poi Renzi, con  riferimento velenoso a Massimo D'Alema ha affermato: "chiediamo il congresso perché  io non sono il custode di caminetti. E non mi piace galleggiare sulle correnti di partito. Se volete quello, votatelo", appare evidente che non ha ancora compreso come, stante la “realtà effettuale”  egli sarà costretto a ricorrere ai caminetti dentro e fuori il suo partito.

 

Con il sistema proporzionale che verrà sarà inevitabile, non solo trovare modalità di conduzione interne diverse da quelle sin qui svolte, ma ricorrere alle necessarie mediazioni con le altre forze politiche con cui si dovranno fare i conti per garantirsi i giusti equilibri di governo.

 

L’assenza del voto di ieri del ministro Orlando, il silenzio di Franceschini e l’anodino intervento di Martina, sono i segnali di qualcosa che si sta muovendo già dentro la stessa maggioranza renziana.

 

La linea politica ancora confusa che, tuttavia, sembra emergere dalla relazione di ieri, appare quella di un ritorno al punto di partenza, come nel gioco dell’oca; ossia la ricerca di un accordo con il partito del Cavaliere, in funzione anti Lega e anti M5S.

 

Una strategia che può già contare sull’appoggio del  direttore de “ Il Foglio”, ma che potrebbe anche condurre ciò che resterà del PD, dopo il congresso, a una condizione di isolamento politico a destra come a sinistra, dopo quanto si è saputo consumare sul piano sociale, culturale e della credibilità di un’intera rinnovata classe dirigente.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia,14 Febbraio 2017

 


Basta con le divisione e con l’irrilevanza politica dei cattolici

 

 

Cari amici,

l’altro giorno, alla notizia dell’annunciato accordo tra PD e M5S per un’accelerazione dei tempi per il varo della nuova legge elettorale, ho inviato agli amici dell’area popolare e liberale la mail che  vi allego.

Comunque vadano i tempi dei lavori parlamentari è evidente la necessità che l’area centrale di ispirazione popolare e liberale si ritrovi unita al fine di offrire come ho scritto una nuova speranza all’Italia.

Intanto noi “ DC non pentiti” il prossimo 26 Febbraio all’Ergife a Roma, all’assemblea convocata su autorizzazione del tribunale di Roma, intendiamo riaprire porte e finestre alla DC, “ partito mai giuridicamente sciolto”, con l’elezione del Presidente dell’associazione non riconosciuta “ Democrazia Cristiana”. Seguiranno le procedure previste dal codice civile e dallo statuto del partito (1992) per la celebrazione del XIX Congresso nazionale e l’elezione dei nuovi organi.

Ci auguriamo che la DC possa diventare quel porto sicuro di riferimento per la vasta, complessa e articolata  realtà cattolico popolare e liberale che si é ritrovata unita sulle ragioni del NO al referendum, nella difesa della Costituzione, impegnata a tradurre nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali della dottrina sociale della Chiesa. Basta con le divisioni e e diciamo fine all’irrilevanza politica dei cattolici e dei popolari del nostro Paese!

Vogliamo un partito vissuto da donne e uomini che intendono sturzianamente  “servire la politica e non servirsi della politica”, disponibili a concorrere alla costruzione del nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far ritornare ai principi dei padri fondatori, alternativo alle sinistre, al trasformismo renziano e, alle destre e ai populismi estremi.

E’ con questi sentimenti che insieme all’amico Gianni Fontana invitiamo tutti gli iscritti DC che nel 2012 rinnovarono la loro adesione alla DC a partecipare all’assemblea dell’Ergife che si terrà in seconda convocazione Sabato 26 Febbraio 2017 con inizio alle ore 10.

Cordial saluti.

 

 

Ettore Bonalberti

Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)

V.Presidente Comitato nazionale Popolare per il NO

componente del comitato di presidenza nazionale dei Popolari per l'Italia

Promotore del think tank:VENETO PENSA

Via miranese 1/A

30171-Mestre-Venezia

tel. 335 5889798

ettore@bonalberti.com

info@bonalberti.com

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

www.alefpopolaritaliani.eu

http://comitatopopolareperilno.it/,

 

 

Inizio messaggio inoltrato:

Da: Ettore Bonalberti <ettore@bonalberti.com>

Oggetto: serve costruire in fretta il nuovo soggetto politico

Data: 01 febbraio 2017 07:56:40 CET

A: Gaetano Quagliariello <gaetano.quagliariello@senato.it>, CARLO GIOVANARDI <info@carlogiovanardi.it>, Ivo Tarolli <ivo.tarolli@yahoo.it>, stefano Parisi <stefano.parisi@stefanoparisi.it>, Mario Mauro Mario <mario.mauro@senato.it>

 

Cari amici

se, come appare, PD e M5S hanno raggiunto l’accordo per un’accelerazione sulla legge elettorale, è indispensabile promuovere con urgenza la nascita del nuovo soggetto politico che abbiamo tutti auspicato nelle scorse settimane ad Orvieto e alla Bonus Pastor.

Credo sarebbe tempo di incontrarci  per organizzare un grande convegno dei popolari e liberali italiani, concordare un programma che dia risposte alle attese della povera gente  e di attivare in tutti i comuni italiani dei comitati civico popolari per offrire una nuova speranza all’Italia.

In attesa delle vostre risposte, invio a tutti voi i più cordiali saluti.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)

firmatario del PATTO DI ORVIETO-

coordinatore del think tank “VENETO PENSA"

Via miranese 1/A

30171-Mestre-Venezia

tel. 335 5889798

ettore@bonalberti.com

info@bonalberti.com

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

www.alefpopolaritaliani.eu





                L'Europa e i Cristiani

                                   di Antonino Giannone

 

Non volere affermare l'origine cristiano giudaica dell'Europa da parte di politici appartenenti a partiti di sinistra e' nella loro cultura che non ammette la presenza di Dio e tanto meno di Gesù Cristo nella storia. Purtroppo, questa posizione politica e' stata assunta anche dall'ex Governo Berlusconi e in particolare dall'ex Ministro Gianfranco Fini che non si impegnarono per fare affermare nello Statuto europeo l'identità cristiana dell'Europa sin dalle sue origini. 

È stata una scelta politica che, i cattolici e gli italiani in generale hanno giudicato negativamente e infatti il popolo dei cattolici, negli anni successivi, ha preso le distanze dai partiti di Berlusconi, non votando Forza Italia, e di Fini, non votando Alleanza Nazionale. 

Berlusconi e Fini fecero anni fa un inciucio culturale e politico con il Partito Democratico&C  negando una Verità storica, fecero un grande errore politico che da allora si portano dietro e che si porteranno sempre come un "marchio".

Il Centro Destra ha pagato con altri errori questo grande errore: la gravissima responsabilità a non essersi impegnati ad affermare l'identità giudaico cristiana dell'Europa.

Parafrasando Crozza si potrebbe dire che  Berlusconi&Fini&C restano dei   "personaggetti" per la loro ignavia e incoerenza politica e almeno tali restano agli occhi del popolo dei cattolici, non solo italiani.

Ben venga un Convegno come quello ....

che voglia approfondire i valori e i principi fondanti dell'UE: la libertà, il rispetto della dignità umana, i diritti dell'uomo e dei popoli, la democrazia, la sussidiarietà e la solidarietà, sono tutti valori che appartengono all'umanesimo cristiano. Abbiamo il dovere di spiegare alle giovani generazioni l'identità dei Cristiani in Europa, prima che l'invasione islamica la trasformi in Eurabia (profezia di una grande giornalista: Oriana Fallaci, rinnegata dai partiti di sinistra).

Sarà poca cosa un Convegno a Bruxelles con l'impegno delle Istituzioni dell'UE a tutelare i Cristiani, ma allo stato attuale va considerato un evento positivo e chiarificatore perché la verita' storica, nel tempo, emerge sempre. 

Antonino Giannone

Vice Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)


AVENIR DE L’EUROPE

 

 


 

 

"Les chrétiens en Europe"

 

 


 

 

Débat avec

 

Martin Maier SJ


Acting Director
Secretary for European Affairs

« Jesuit European Social Centre »

 

présenté par


Pfarrer Wolfgang Severin


St. Paulus, Katholische Gemeinde

Deutscher Sprache Brüssel

et


Simone Ceramicola,


Président de « Avenir de l’Europe »

 

St. Paulus, Katholische Gemeinde


Deutscher Sprache


Avenue de Tervueren 221


1150 Bruxelles

 


Mercredi, 8 février 2017


20h00-22h00

 

Merci de confirmer votre

participation à : avenir.europe@telenet.be

 

******

 

VISITE DU PAPE FRANÇOIS
AU PARLEMENT EUROPÉEN


ET AU CONSEIL DE L'EUROPE

 

Strasbourg, mardi 25 novembre 2014

 

 


 

REMISE DU PRIX CHARLEMAGNE

DISCOURS DU PAPE FRANÇOIS

Rome, Vatican - Salle Royale
Vendredi 6 mai 2016

 

AVENIR DE L’EUROPE,

association indépendante et sans but lucratif (présentation en annexe),

a pour objet:

1. De contribuer à affirmer une identité commune européenne afin de réaliser le

projet d'intégration européenne

2. D'approfondir les aspects de l'identité spirituelle et culturelle de l'Europe basés

sur la relance des valeurs et des principes fondant l'Union européenne,

notamment: la liberté, le respect de la dignité humaine, des droits de l'homme et des

peuples, la démocratie, la subsidiarité, la paix et la solidarité.

 

AVENIR DE L’EUROPE sur Facebook :

https://www.facebook.com/Avenir-de-lEurope-439004439561393/timeline/?ref=hl

 

 

 

AVENIR DE L'EUROPE

 

UN NOUVEAU PROJET ASSOCIATIF

 

- Un cœur qui bat pour l'Europe

 

"Avenir de l'Europe" est née à Bruxelles, au cœur de l'Europe politique. Association sans but lucratif, son objectif premier est d’affirmer l’identité européenne commune aux citoyens de l'Union.
"Avenir de l'Europe" s'adresse aux hommes et femmes de bonne volonté qui désirent s'impliquer et sont prêts à s'engager pour combattre la chute de l'intégration européenne sous les coups des intérêts nationaux et des lenteurs administratives.

 

- Anticiper l'avenir

 

"Avenir de l'Europe" veut aider à transmettre enthousiasme, passion et expérience. Elle vise à promouvoir un esprit libéré du carcan de la pensée politiquement correcte et faible. Notre association veut soutenir ceux qui sont conscients qu'il y a beaucoup de défis à relever pour relancer notre continent. Il est temps de prendre les mesures qui s’imposent pour sauvegarder notre patrimoine inestimable, nos valeurs et nos traditions et de transmettre à nos enfants un monde meilleur, prospère et pacifique.

 

- Agir et construire

 

"Avenir de l'Europe" vise à promouvoir les initiatives culturelles, d'information et de formation, séminaires, conférences, débats, recherches et publications pour construire l’identité spirituelle, culturelle et politique d'une Europe unie et renforcer le sentiment d'appartenance à un destin commun.

 

 - Une équipe internationale et pleine de talents

 

"Avenir de l'Europe" veut être un point de référence pour les organisations qui se reconnaissent dans ses objectifs. Ayant son siège à Bruxelles, poste d’observation stratégique, notre Association a l'intention de collaborer avec d'autres organisations actives au niveau européen, de coordonner les ressources et de promouvoir les idées communes.

Plusieurs associations opérant en Europe ont déjà rejoint "Avenir de l'Europe".

 

Rejoignez-nous pour construire ensemble l'Avenir de l'Europe!

 

 

 

Comment adhérer :

 

Les statuts de l'Association prévoient deux types d’affiliation:

 

1 – Membres effectifs : ceux qui veulent s’impliquer personnellement et activement à la réalisation de l'objectif de l'Association (cotisation: 50,00 € / an)

 

2 - Membres adhérents: ceux qui partagent l'objectif de l’association et souhaitent soutenir l’action avec une contribution (cotisation: 20,00 € / an, réduite à 10,00 € / an pour les moins de 25 ans).

 

Faites votre choix et envoyez votre demande motivée à : avenir.europe@telenet.be


Indiquez-nous votre adresse e-mail et nous répondrons à votre demande.
Après acceptation de votre demande, nous vous demanderons de verser le montant correspondant au type d’affiliation choisi, sur le compte bancaire: 
IBAN: BE07 3631 3082 6566 
BIC: BBRUBEBB

 

 

Extrait de

« La déclaration Schuman du 9 mai 1950 »

La paix mondiale ne saurait être sauvegardée sans des efforts créateurs à la mesure des dangers qui la menacent.

La contribution qu'une Europe organisée et vivante peut apporter à la civilisation est indispensable au maintien des relations pacifiques. En se faisant depuis plus de vingt ans le champion d'une Europe unie, la France a toujours eu pour objet essentiel de servir la paix. L'Europe n'a pas été faite, nous avons eu la guerre.

L'Europe ne se fera pas d'un coup, ni dans une construction d'ensemble : elle se fera par des réalisations concrètes créant d'abord une solidarité de fait. Le rassemblement des nations européennes exige que l'opposition séculaire de la France et de l'Allemagne soit éliminée. L'action entreprise doit toucher au premier chef la France et l'Allemagne.

Dans ce but, le gouvernement français propose immédiatement l'action sur un point limité mais décisif.

Le gouvernement français propose de placer l'ensemble de la production franco-allemande de charbon et d'acier sous une Haute Autorité commune, dans une organisation ouverte à la participation des autres pays d'Europe.

La mise en commun des productions de charbon et d'acier assurera immédiatement l'établissement de bases communes de développement économique, première étape de la Fédération européenne, et changera le destin de ces régions longtemps vouées à la fabrication des armes de guerre dont elles ont été les plus constantes victimes.

La solidarité de production qui sera ainsi nouée manifestera que toute guerre entre la France et l'Allemagne devient non seulement impensable, mais matériellement impossible. L'établissement de cette unité puissante de production ouverte à tous les pays qui voudront y participer, aboutissant à fournir à tous les pays qu'elle rassemblera les éléments fondamentaux de la production industrielle aux mêmes conditions, jettera les fondements réels de leur unification économique.

Cette production sera offerte à l'ensemble du monde sans distinction ni exclusion, pour contribuer au relèvement du niveau de vie et au développement des oeuvres de paix. L'Europe pourra, avec des moyens accrus, poursuivre la réalisation de l'une de ses tâches essentielles: le développement du continent africain.

Ainsi sera réalisée simplement et rapidement la fusion d'intérêts indispensable à l'établissement d'une communauté économique qui introduit le ferment d'une communauté plus large et plus profonde entre des pays longtemps opposés par des divisions sanglantes.

Par la mise en commun de productions de base et l'institution d'une Haute Autorité nouvelle, dont les décisions lieront la France, l'Allemagne et les pays qui y adhéreront, cette proposition réalisera les premières assises concrètes d'une Fédération européenne indispensable à la préservation de la paix.

 

 

 


I doveri della quarta generazione DC

 

Quelli che come noi sono nati tra il 1940 e il 1950 hanno costituito e costituiscono a tutti gli effetti, la prima generazione della Repubblica.  Figli legittimi e destinatari dei principi della Costituzione del 1947,  riconfermata dal voto del referendum del 4 Dicembre scorso dal popolo italiano,  eredi delle grandi culture politiche che hanno attraversato tutto il secolo scorso.

 

Quelli che come noi decisero di aderire alla Democrazia cristiana, tra la fine degli anni ’50 e la prima metà dei sessanta, hanno costituito e rappresentano  la quarta generazione della DC. Quella che conobbe e convisse con alcuni degli esponenti della Prima : De Gasperi, Gonella, Scelba e, soprattutto,  della seconda: Fanfani, Moro, Andreotti, Rumor, Donat Cattin, Piccoli, Marcora, Zaccagnini sino ai componenti della terza generazione dei democratici cristiani: Forlani, Galloni, De Mita, Bisaglia, Malfatti, , Granelli, Bodrato.

 

La quarta ed ultima costituisce proprio l’ultima generazione degli ex DC.

Una parte significativa di essa giunse, seppur in affanno, a condividere l’ultimo potere gestito dalla balena bianca, insieme alla maggior parte di noi, che non fummo mai partecipi reali di quel potere, ma che, tutti insieme, finimmo miseramente nel crollo della prima repubblica agli inizi degli anni ’90,

 

Questa generazione, la mia, ha vissuto gli ultimi anni dell’egemonia democristiana al tempo dell’avvento del centro sinistra (Fanfani-Moro); quelli del dominio della terza generazione con la gestione e successiva crisi del centro sinistra (Rumor-Colombo-Andreotti-Zaccagnini) e la complessa stagione del pentapartito ( De Mita-Forlani) sino alla sua fine. Insomma abbiamo sperimentato sulla nostra pelle il tempo della crisi e della decadenza sino al harakiri finale con Martinazzoli. Un travagliato periodo nel quale, alcuni di noi seppero porsi da co-protagonisti di un ben triste spettacolo ed altri, la maggior parte come il sottoscritto, da ininfluenti comparse.

 

Seguì la lunga stagione della diaspora (1993-2017) nella quale molti  finirono con il collocarsi, più o meno comodamente, tra e nei nuovi partiti a direzione più o meno cesaristica e monocratica della seconda repubblica. Qualcuno a sinistra, nelle mutevoli forme che in quell’area si costituirono i partiti dopo la fine del PCI, dal PDS, DS, Ulivo, Margherita sino all’attuale PD. Qualcun altro a destra, partendo dagli ultimi respiri di AN sino a Forza Italia e al partito del predellino, il Pdl del Cavaliere e successive versioni, dopo le ripetute secessioni intervenute.  Chi, infine, in formazioni centriste, quasi tutte con forti connotazioni personalistiche e di diretta ispirazione democratico cristiana: CCD, CDU, UDC, NUDC e altre formazioni  minori sedicenti democristiane. Non mancarono nemmeno coloro che si rifugiarono nel disimpegno solipsistico, espressione di una frustrazione regressiva e impotente. Una frantumazione particellare con partitini ridotti a percentuali da prefissi telefonici.

 

Al diverso posizionamento di quei rappresentanti della quarta generazione democratico cristiana, anche l’elettorato già DC finì con lo sbriciolarsi, concentrandosi prevalentemente al Nord, nel centro-destra fra Forza Italia e Lega e al Sud, tra Forza Italia, movimenti centristi, con diverse fughe a sinistra, in netta avanzata in regioni tradizionalmente più bianche come la Puglia, la Campania e la stessa Basilicata.

 

Alla fine, una parte consistente di quegli elettori, specie coloro  che appartengono al terzo stato produttivo e ai diversamente tutelati, si sono rifugiati nell’astensionismo o nel voto di protesta a favore del M5S. Gli è che, ovunque si siano collocati, quelli della quarta generazione DC, tranne qualche rarissima eccezione, la condizione prevalente vissuta è stata quella dell’irrilevanza, sino a casi ben noti di acritica sudditanza ai voleri dei capataz di turno.

 

Questi oltre vent’anni della diaspora democristiana sono stati caratterizzati  da una sentenza inappellabile della Cassazione ( n.25999 del 23.12.2010), che ha messo la parola fine ai dissensi e alle lotte fratricide dei contendenti, stabilendo inequivocabilmente e senz’altra possibilità di replica che “la DC non è mai morta” da un punto di vista giuridico, non è mai stata sciolta, non ha lasciato eredi, se non quelli cui spettava il diritto dovere di sancirne l’eventuale fine: gli iscritti del 1992,  oltre 1 milione duecento mila.

 

I tentativi svolti con la celebrazione del XIX Congresso nazionale della DC (Novembre 2012) con l’elezione di Gianni Fontana alla segreteria nazionale del partito,  fallirono per il ricorso di alcuni “zelanti amici” e adesso ci riproviamo, dopo che il tribunale di Roma ha autorizzato l’assemblea dei soci DC che si volgerà all’Hotel Ergife di Roma il 26 Febbraio prossimo. Sono gli ultimi mohicani che, da “ DC non pentiti”,  nel 2012 rinnovarono l’adesione al partito.

 

Tutto questo accade, mentre in questi venti quattro anni, sono nate almeno altre due generazioni di giovani e di elettori, che non hanno mai conosciuto la DC o ne hanno sentite solo le interpretazioni fuorvianti e interessate dei laudatori del nuovo regime. Un regime che, nel frattempo, è andato miseramente in default con la fine della seconda repubblica, evidenziato dal passaggio, senza alternativa disponibile, dal legittimo governo eletto di  Berlusconi a quello dei tecnici di Monti, sostenuto dal trio Alfano-Bersani-Casini, sino a quelli di Enrico Letta e gli ultimi due di Renzi e Gentiloni, espressione del renzismo ormai declinante e di un parlamento di nominati illegittimi.

 

Ce la faremo noi a concorrere nella traduzione sul piano politico, nella città dell’uomo, degli orientamenti pastorali indicati dalle ultime encicliche sociali? Questa è la sfida che abbiamo davanti. Certo una sfida che non possiamo e non vogliamo affrontare da soli. Come diceva Aldo Moro: “meglio sbagliare tutti insieme che avere ragione da soli”. Ecco perché, esaurita la fase della diaspora e della scomposizione, è tempo della ricerca dell’unità e della ricomposizione di tutti i democratici cristiani “non pentiti” e con essi della più vasta realtà cattolica, popolare e liberale presente nel Paese.

 

Noi che stiamo per compiere gli ultimi passi anche della nostra vita, sentiamo forte il dovere della testimonianza.  Guai se venisse meno la nostra Fede e ancor più grave se difettassimo della Speranza. Il peccato maggiore, tuttavia, sarebbe non usare la Carità verso noi stessi e verso gli altri. Penso soprattutto verso i più giovani che nulla sanno, e quel poco magari deformato, di che cosa sia stata la straordinaria esperienza politica della Democrazia Cristiana, partito mai sciolto! Certo servirà partire dalla nostra unità per allargarla a quanto lo straordinario fiume carsico dell’area cattolica sociale, culturale e politica italiana sarà capace di esprimere sul piano della traduzione politico organizzativa, ahimè, sin qui risultata assai modesta.

 

Pur consapevoli delle enormi difficoltà cui andremo incontro nel dialogare con i rappresentanti delle nuove generazioni della seconda e terza repubblica che verrà, quelle generazioni che stanno usando e useranno forme di comunicazione e  codici culturali distanti anni luce da quelli normalmente utilizzati da noi, nostro obiettivo è e rimarrà quello di consegnare ad esse il testimone della migliore tradizione politica della Democrazia Cristiana : un partito aperto in grado di ridare una speranza ad un Paese al limite della tenuta istituzionale, sociale, economica e politico territoriale.

 

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 27 Febbraio 2017

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

 


Il dado è tratto!

 

Cari amici

sabato 21 gennaio scorso ci siamo ritrovati a Bologna con un gruppo di amici “ DC non pentiti”, su invito del prof Nino Luciani, per discutere del codice etico che un gruppo di lavoro di esperti ad hoc costituitosi a Bologna ha redatto, partendo dal codice etico di Guido Gonella della DC storica degasperiana.

Ringrazio gli amici Giannone e Mesini per le ottime relazioni di sintesi svolte presso il collegio San Luigi e il clima di grande unità e collaborazione con cui si é svolto l’incontro anche nella seduta pomeridiana per discutere dei temi inerenti alla convocazione dell’assemblea del 26 febbraio p.v.

L’amico prof Luciani ci ha informati dello stato dell’arte inerente alla raccolta dei fondi per le spese di organizzazione dell’assemblea e, al riguardo mi permetto di sollecitare quanti ancora non l’avessero fatto, di procedere al versamento di un  contributo volontario da effettuare con il bonifico sul conto intestato al prof Luciani dalle seguenti coordinate:

 

LUCIANI NINO, presso banca Carisbo (Gruppo INTESA SAN PAOLO): 

- IBAN IT 10B0638567684510301829810 ;

- CAUSALE: contributo spese convocazione assemblea partito DEMOCRAZIA CRISTIANA storica.

 

Abbiamo tanto atteso questo momento e con il decreto del tribunale di Roma che ha autorizzato l’assemblea del prossimo 26 febbraio finalmente potremo dare pratico sviluppo alla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010 secondo cui “ la DC non é mai stata giuridicamente sciolta”.

Oggi stesso, come ci ha conferma il Prof Luciani sabato scorso a Bologna, sono partite le raccomandate A/R agli oltre 1700 soci DC, che nel 2012 rinnovarono la loro adesione al partito e, in seconda convocazione, ci ritroveremo tutti insieme all’Ergife di Roma per eleggere: il segretario verbalizzante, il presidente dell’assemblea e, finalmente, il Presidente della DC che ci traghetterà a una seconda assemblea per gli adempimenti statutari e  regolamentari relativi al tesseramento e all’indizione del congresso della DC.

Un ringraziamento va all’amico Luciani per aver proposto la strada giuridica del codice civile intrapresa; a  quanti in questi mesi hanno permesso la raccolta delle firme per la richiesta di convocazione dell’assemblea dei soci al tribunale di Roma; a quanti hanno anticipato i fondi per la disponibilità della sala dell’assemblea e per l’invio delle raccomandate A/R. Sottolineo anticipazione di spese che andranno refuso da tutti noi soci “DC non pentiti” che condividiamo l’ira di una ripresa politica della DC specie in un momento come l’attuale in cui prevale il deserto delle culture politiche.

Grato se vorrete inviarmi le vostre osservazioni e proposte e se contribuirete, con un sacrificio corrispondente alle vostre possibilità, al sostegno delle spese che dovremo affrontare da “medici scalzi”, senza padrini e senza padroni, per ricomporre con la DC l’area cattolico popolare e liberale del nostro Paese e per concorrere con quanti condividono le nostre idee alla costruzione del nuovo soggetto politico: laico democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori: De Gasperi, Adenauer e Schuman, alternativo alle sinistre, al socialismo trasformista renziano e ai populismi estremi.

Un caro saluto.

 

Ettore Bonalberti

Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)

V.Presidente Comitato nazionale Popolare per il NO

Promotore del think tank:VENETO PENSA

Via miranese 1/A

30171-Mestre-Venezia

tel. 335 5889798

ettore@bonalberti.com

info@bonalberti.com

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

www.alefpopolaritaliani.eu

http://comitatopopolareperilno.it/,

Venezia, 23 Gennaio 2017

 


Incontri dell’area Popolare e Liberale

 

Ho seguito da “osservatore partecipante” ad alcuni eventi politico culturali svoltisi a Roma dal 12 al 15 Gennaio scorsi che, mi auguro, possano concorrere alla costruzione del nuovo soggetto politico di cui da tempo, con molti altri amici, vado sostenendo la necessità.

 

Il  12 Gennaio si sono riuniti alcuni amici della DC storica che, dopo il decreto del tribunale di Roma, che ha autorizzato la convocazione dell’assemblea dei soci, che nel 2012 rinnovarono l’adesione al partito, dovranno ritrovarsi il 26 Febbraio all’hotel Ergife, già prenotato, per nominare il Presidente dell’associazione che, come ha sentenziato senz’altra possibilità di ricorso la Cassazione a sezioni riunite il 23.12.2010: “ non è mai stata giuridicamente sciolta”.

 

Il compito di detta convocazione, dopo che sono state raccolte le firme necessarie del 10% dei soci per formulare la richiesta di convocazione al tribunale romano, è stato affidato al primo firmatario di quell’istanza, il prof Nino Luciani di Bologna.

 

Il mio augurio, dopo tanti anni di impegno, è che tutto possa procedere per il meglio in grande unità di intenti al fine di  evitare che si adempia quella che per molti di noi “ DC non pentiti” sembra essere “ la maledizione di Moro”, il quale, nel memoriale rinvenuto in Via Montenevoso a Milano, datato Aprile 1978,  abbandonato da tutti al suo destino, così scriveva: “ Ho un immenso piacere di avervi perduti e mi auguro che tutti vi perdano con la medesima gioia con la quale io vi ho perduti. Con o senza di voi, la D.C. non farà più molta strada. I pochi seri e onesti che ci sono non serviranno a molto finché ci sarete voi”.

 

Parole durissime e drammatiche, scritte da Moro a un mese dal suo martirio perpetrato dalle BR, che, per noi che vivemmo da componenti del Consiglio nazionale della DC quei tragici giorni, abbiamo sempre custoditi nella mente e nel  cuore.

 

Spero che Luciani sappia raccogliere il drammatico grido di dolore di Aldo Moro e procedere in feconda e operosa unità all’urgente convocazione di un’assemblea, che potrebbe offrire un elemento di interesse nel progetto di costruzione del nuovo soggetto politico. Quel soggetto che, come un mantra, continuo a  connotare come: laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori, alternativo alle sinistre, al socialismo trasformista renziano e ai populismi estremi.

 

La rinascita politica della DC, dopo che è stato sancito che, giuridicamente il partito non è mai stato sciolto, seppur difficile e irta di ostacoli previsti e imprevedibili, può rappresentare il ravvio di un contenitore nuovo nel quale potranno trovare casa quanti, laici e cattolici, sono interessati a un rinnovato impegno per  tradurre nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali della dottrina sociale della Chiesa.

 

Certo avremo bisogno di una rinnovata e giovane classe dirigente e delle risorse migliori provenienti dal vasto e articolato mondo di ispirazione cattolica e popolare, oggi drammaticamente frantumato e disperso nei mille rivoli di un fiume carsico da ricomporre.

 

In attesa di cosa potrà sortire dall’assemblea dei soci DC del 26 Febbraio, la settimana scorsa si sono svolti a Roma due importanti convegni: quello del partito di IDEA Popolo e Libertà di Gaetano Quagliariello e Carlo Giovanardi, tenutosi presso la sala del refettorio della Camera dei Deputati il 13 Gennaio, e quello degli amici di Rovereto, promosso da Ivo Tarolli e Stefano Parisi alla Bonus Pastor di Via  Aurelia,  Domenica15 Gennaio.

 

Già strutturato  come partito dotato di una fondazione politica di riferimento e di un giornale, “ L’Occidentale”, come ha ben espresso Quagliariello nel suo intervento di apertura:” IDEA   è tuttora  un piccolo partito, con l’ambizione di diventare una nuova e grande forza politica, consapevoli che manca oggi il riferimento di un partito progressista, liberale e “reazionario”. Distruzione dei ceti intermedi e proletarizzazione crescente; stare con gli ultimi e con i penultimi noi vogliamo interpretare questa esigenza: liberali in economia, sapendo che il mercato è regola per correggere meccanismi distorti; reazionari nei costumi.  Diciamo SI, ha continuato il senatore pugliese, all’onestà, alla buona educazione e  alla difesa delle nostre tradizioni e valori; per noi la  famiglia è quella costituita da un uomo e una donna; sentiamo come un abominio l’uso incontrollato  della procreazione con un utero in affitto; diciamo no alla teoria del gender. Siamo consapevoli che esiste oggi  un segmento nella politica italiana scoperto. Si tratta, ha concluso Quagliariello, “di rappresentarlo in termini nuovi.  Non siamo moderati, intesi come palude e compromesso, ma interpreti dei ceti sociali esasperati e  comprendiamo la rabbia di un Paese in declino. Essere moderati oggi vuol dire essere certi della propria identità; noi non smarriamo il riferimento alla necessità di costruire una coalizione che serva al Paese, oggi in una situazione di drammatico sfibramento politico e sociale”.

 

E’ aperto il tesseramento al partito con uno statuto che prevede un’ampia partecipazione democratica con selezione dal basso della classe dirigente. Credo che IDEA, la quale oggi può contare sull’adesione di oltre cinquanta associazioni, gruppi e movimenti e oltre 250 amministratori locali, possa costituire un fattore di aggregazione efficace che concorrerà positivamente alla costruzione del nuovo soggetto politico.

 

Così come essenziale sarà il contributo che verrà dalle iniziative proposte nel seminario della Bonus Pastor, nel quale, presenti oltre sessanta rappresentanti di movimenti e associazioni,  sentito il mio contributo di apertura e le relazioni introduttive di  Ivo Tarolli e Stefano Parisi, si è deciso di:

 

1)  Concorrere a favorire lo strutturarsi di una Grande e quindi composita Area ( di persone, culture, Movimenti, ecc.) che sappia fare emergere le tante idee e i tanti valori che abbiamo in comune, come prologo di un eventuale Nuovo Grande Soggetto Politico. Un soggetto che sia laico e plurale, democratico e popolare, transazionale e dalla chiara ispirazione ai valori propri dell’Umanesimo Cristiano, a partire dalla famiglia, dalla responsabilità e dalla solidarietà.

2)  Rafforzare la propria identità!! Pertanto, accanto ai valori dell’Umanesimo Cristiano è essenziale dotarsi di proposte programmatiche e di un Progetto Paese chiaro e concreto, che miri a far uscire il nostro Paese dal tunnel in cui siamo e a fornire nuove prospettive di lavoro e di crescita.

3)  Condividere, approfondire ed anche emendare la sopra citata proposta progettuale mediante una vasta partecipazione di base e con più incontri territoriali inter regionali (nord est, nord ovest, centro e meridione).

4)  Subito dopo, organizzare la convocazione di tutte le Associazioni, Movimenti e Gruppi interessati, di un Forum Nazionale deliberativo, in vista della costruzione di un Nuovo Soggetto Politico (es. confederazione tipo UMP Francese).

A tal fine si sono costituiti gruppi di lavoro nelle quattro aree territoriali (Nord Ovest-Nord Est-Centro-Meridione) e su due aree tematiche: Statuto e Programma, per realizzare quella rete di associazioni, movimenti, gruppi e persone interessate alla formazione del nuovo soggetto politico. Apprezzata  la disponibilità espressa da Parisi il quale ha riassunto i tre pilastri su cui intende procedere:

1. una rete territoriale, ossia una presenza organizzata fondata su realtà già esistenti, di associazioni, gruppi e persone;

2.  le comunità da mettere in rete per “Energie per l’Italia” sul piano della loro autonomia e libertà; non un partito, ma una grande comunità partitica, una comunità delle comunità;

3  l’utilizzo del WEB con una  nuova piattaforma-5stelle lusso; un modello di qualità per raccogliere persone che hanno idee e per creare comunità. Si smonta il meccanismo delle tessere puntando a premiare la qualità e il merito delle persone con l’introduzione di  meccanismi premiali di garanzia.

 

Parisi ha concluso, ricordando che. “18 gruppi  sono già al  lavoro sul programma- dobbiamo convergere in quest’’attività programmatica- si tratta di dare una struttura più organizzata- abbiamo il dovere di uscire dal rischio paese tra Grillo e Renzi- non fermarci davanti a nessuno- guardare alle persone- la politica tradizionale è molto consumata- recuperare tutte le persone che hanno qualità- tornare a essere una grande forza maggioritaria nel paese- dare rappresentanza al nostro popolo- si tratta, ha detto, di ricostruire sulle macerie una cosa assolutamente nuova- far politica per gli altri. È il fondamento etico della politica che impone di  tener lontano chi vuol far politica per se stesso. Introdurre la responsabilità nella e della politica che presuppone l’ integrità personale di chi fa politica”.

 

Una settimana, dunque, intensa quella svoltasi a Roma, di “passione” e di passioni, dalla  quale traggo la seguente conclusione: innanzi tutto ricostruiamo quanto è possibile dell’unità dei popolari e dei democratico cristiani italiani e, forti della nostra cultura e dei nostri valori, concorriamo insieme a quanti sono disponibili, come gli amici numerosi che sono intervenuti  sia all’incontro di IDEA che al seminario  della Bonus Pastor e altri, alla costruzione del nuovo soggetto politico dell’area centrista.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 16 Gennaio 2017

 

 



Quel vasto fiume carsico del cattolicesimo politico italiano

 

 

Ho utilizzato molte volte questa metafora del fiume carsico per rappresentare la vasta, articolata  e complessa  realtà del cattolicesimo politico italiano. Finita l’esperienza politica della DC, facilitata dal suicidio collettivo compiuto dal Consiglio nazionale del partito il 18 Gennaio 1994 quando, su indicazione del segretario Martinazzoli, fu sancita la fine politica della DC e la sua trasformazione nel PPI, e, vissuta la lunga attraversata, tuttora incompiuta, nella diaspora dell’ultra  ventennio (1994-2016), continua il travaglio di una realtà che sembra incapace di ritrovare insieme le ragioni di una nuova presenza significativa nella politica italiana ed europea.

 

Un travaglio che attraversa non solo il complesso mondo dei gruppi e movimenti di ispirazione cattolica presenti nella società civile, ma negli stessi gruppi, movimenti, partiti, e spezzoni di partito che si sono succeduti sin qui nell’impopolare sovrastruttura istituzionale e non della politica  italiana.

 

Quanto ai primi, a parte la continuità di coerente fedeltà ai propri principi ispiratori del MCL guidato Carlo Costalli, l’importante esperienza del movimento del family day di Gandolfini e Pillon sta vivendo il travaglio causato dall’azione separatista di Adinolfi e amici del PdF, tutti alla ricerca di dare uno sbocco politico istituzionale al movimento valoriale da essi sin qui lodevolmente guidato.

 

Comunione e Liberazione e, soprattutto la servente Compagnia delle Opere, è  in preda della difficile eredità post formigoniana, mentre le ACLI , tutte spostate dagli ultimi presidenti sulle posizioni del PD, dopo Todi 1 e Todi 2, hanno finito con l’accontentarsi degli strapuntini ministeriali assegnati agli ex presidenti Botta e Olivero nell’ultimo governo Gentiloni.

 

La restante vastissima realtà dell’associazionismo cattolico appare confusa e orfana di chiare e univoche indicazioni della pur assai disorientata e divisa gerarchia ecclesiale.

 

Finita con il Concilio Vaticano II, ogni residua forma di collateralismo e con essa la stessa DC che, negli ultimi tempi, fu sorretta quasi esclusivamente dall’occupazione e gestione del potere, movimenti e partiti che, a diverso titolo, in questi oltre vent’anni sono stati e sono tuttora riconducibili all’area cattolica, sono tutti finiti, a sinistra come a destra, nella sostanziale irrilevanza politica.

 

I primi, a sinistra, senza ridursi al ruolo di reggicoda dei vecchi comunisti, anzi conquistando non casualmente un ruolo guida nel PD, espressione del fu PCI-PDS-DS-Margherita, sono ai vertice di un Golem senz’anima e senza una definita e riconoscibile identità politico culturale, obnubilata dal sostanziale trasformismo della guida renziana.

 

I secondi, nell’area centrista e di destra, sostanzialmente irrilevanti sul piano politico, dopo le giravolte pro domo propria dei diversi  capi e capetti succedutisi nella lunga diaspora post DC,  da Buttiglione a  Casini sino a Lupi ed Alfano e ai diversi partiti e partitini sorti a misura degli interessi dei singoli leaderini, ridotti a supporti acritici prima del Cavaliere e ora del renzismo,

 

Ci sono poi quelli che, come il sottoscritto da molto tempo  e altri, più recentemente ( penso alle recenti prese di posizione del prof Diotallevi (  da “Interris” del 9 Gennaio 2017:“ Gregari? Ora basta”) e del prof. Giovagnoli ( da “Cultura e società” del 6 Gennaio 2017: “ I cattolici tornino ad impegnarsi in politica”), sono impegnati nel tentativo di ricomporre l’area popolare e di ispirazione democratico cristiana italiana.

 

Per quanto  riguarda noi “ DC non pentiti”, non abbiamo lo sguardo rivolto al passato e non prevale in noi il sentimento regressivo della nostalgia. Abbiamo lucida coscienza della condizione in cui vive l’uomo oggi nella società occidentale, nella quale assistiamo a una concezione prevalente di relativismo in cui i desideri individuali si vogliono trasformare in diritti, contro ogni evidenza antropologica e concezione giusnaturalistica.

 

A livello esistenziale e socio culturale prevale una condizione di anomia: assenza di norme e regole, discrepanza tra mezzi e fini, il venir meno dei gruppi sociali intermedi. Di qui una condizione di frustrazione prevalente con possibili sbocchi nella regressione solipsistica o nell’aggressività  individuale e collettiva latenti. Anomia  anche a livello internazionale: visione cinese, visione islamica, visione occidentale e visione russa: quali compatibilità e secondo quali regole?

 

A livello più generale economico trionfa il turbo capitalismo, con la finanza che dette i fini e la politica che segue quale intendente di complemento, con un rovesciamento generale di funzioni e di prospettive.

 

Se prima era la politica a dettare i fini e l’economia e la finanza a proporre le soluzioni tecniche per raggiungerli, oggi è il finanz-capitalismo che asserve la politica e la rende subordinata.

 

L’efficienza come fine esclusivo si riduce alla massimizzazione del profitto indipendentemente da ogni altro valore sociale e individuale.

 

Il bene comune non è più il fine della politica, subordinata ad altri valori dominanti che prevedono funzionalmente una quota rilevante del cosiddetto “ scarto sociale” (tra il 20 e il 30% della popolazione)

 

E’ in questa situazione di valori rovesciati e/o di disvalori che è riesploso a livello internazionale il grave scontro tra il fanatismo jihadista del  movimento fondamentalista islamico e le altre culture religiose monoteiste: ebraismo e cristianesimo che ha sostituito quello del XIX e XX secolo tra capitale e lavoro, tra capitalismo e marxismo.

 

Quest’ultimo, anche là dove ancora sopravvive, si è trasformato in un ibrido capitalismo comunista e a livello mondiale assistiamo al confronto scontro tra democrazie di stampo liberale e democrazie autoritarie (Cina, Russia, Singapore, Turchia, Cuba e in molte regione ex URSS divenute indipendenti)

 

Il nostro sguardo è fisso in avanti, supportati dalla lettura critica più avanzata di questi fenomeni da parte, ancora una volta, della dottrina sociale della Chiesa: “Centesimus Annus” di Papa Giovanni Paolo II, “Caritas in veritate” di Papa Benedetto XVI, “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco, sono le stelle polari che ci inducono ad assumere una nuova responsabilità come cattolici e laici cristianamente ispirati.

 

Di qui il nostro dovere che sentiamo di tentare di tradurre nella città dell’uomo quegli orientamenti pastorali.

E, nella situazione concreta italiana, sentiamo come prioritario il dovere di concorrere a ricomporre, dopo la lunga stagione della diaspora, l’area di ispirazione popolare per offrire al Paese una nuova speranza. E lo vogliamo fare non da cattolici impegnati in politica, ma da cattolici e laici impegnati per una politica di ispirazione cristiana.

 

Nostro obiettivo principale è il tentativo di concorrere alla costruzione di un nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, transnazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori, alternativo alle sinistre e al trasformismo renziano e ai populismi estremi.

 

E lo perseguiamo nella convinzione  che  per il bene dell'Italia sia importante che i cattolici tornino a contare e a collaborare con i laici moderati coinvolgendo le tante forze sane del Paese.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 9 Gennaio 2017

 

 


Tra i Popolari qualcosa si muove

 

Gennaio ricco di fermenti in casa popolare. Il 21 Gennaio si riuniscono a Bologna gli eredi legittimi della DC  per approfondire i temi dell’etica in politica e per concordare le modalità organizzative dell’assemblea generale dei soci.

 

Assemblea che si terrà all’Hotel Ergife il 26 Febbraio per la nomina del Presidente della DC, in esecuzione dell’ordinanza del Tribunale di Roma con la quale si dà, finalmente, seguito alla sentenza n.25999 del 23,12,2010 della Cassazione che ha sancito ,senza alcuna altra possibilità di giudizio, che: “ la DC non è ma stata sciolta giuridicamente”.

 

Abbiamo combattuto in tutti questi anni per ricomporre l’area di ispirazione democratico cristiana e guardiamo all’appuntamento del 26 Febbraio come quello che la Provvidenza ci ha offerto a noi, indegni eredi  dei nostri padri fondatori, per rilanciare la presenza dei cattolici organizzati nella vita politica italiana.

 

In contemporanea, fervono i preparativi dei diversi partiti, movimenti e gruppi, alla vigilia della sentenza della Consulta che dovrà decidere sull’Italicum e, di fatto, come accadde con il “porcellum”, indicare la strada da percorrere per la nuova legge elettorale valida per il nostro Paese.

 

Sostenitori del sistema elettorale proporzionale tedesco, con sbarramento al 4-5 %, e premio di maggioranza, con l’introduzione della sfiducia costruttiva, abbiamo combattuto, sin dall’epoca del referendum Segni a favore del maggioritario, ogni tentativo di ridurre la rappresentanza politica dell’Italia attraverso forzature il cui risultato si è vistosamente notato nell’ultima sfilata di  ventitre partiti e partitini dal Presidente della Repubblica, in occasione delle ultime consultazioni per l’incarico al nuovo capo del governo.

 

La storia politica unitaria italiana e quella stessa del suo sviluppo capitalistico è assai omogenea a quella della Germania per tentare di importare sistemi politici ed elettorali di stampo francese o anglosassoni, lontani dalla nostra realtà sociale e politico culturale concretamente vissuta e consolidata.

 

Se il 21 Gennaio si riuniscono gli eredi della DC, qualche giorno prima, il 13 Gennaio è convocato un incontro aperto degli amici di Idea, Popolo e Libertà guidati dai Sen. Giovanardi e Quagliariello,  quale sviluppo delle conclusioni raggiunte nel recente convegno di Orvieto.

 

Il 15 Gennaio, poi, sarà la volta degli amici popolari del patto di Rovereto, guidati da Ivo Tarolli che, insieme a molti altri esponenti dell’area cattolica e popolare si incontreranno al Bonus Pastor di Roma con Stefano Parisi, con l’obiettivo di favorire la nascita del nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai  principi originari dei padri fondatori, alternativo al socialismo trasformista renziano, alla sinistra e ai populismi estremi.

 

Insomma quel soggetto politico nuovo, ad ampia base popolare, caratterizzato da una reale vita democratica interna secondo i dettami dell’art.49 della Costituzione, lontano dai modelli dei partiti a conduzione  personalistica e leaderistica della consunta seconda repubblica.

 

Dal Veneto è già partito il processo di ricomposizione dell’area popolare con l’avvenuta costituzione della Federazione Popolare e civica veneta che può contare sul ruolo di riferimento politico dell’On Domenico Menorello di Padova e sul costituendo gruppo in consiglio regionale.

 

A breve sarà organizzato un grande convegno dei Popolari e delle liste civiche del Triveneto, con gli amici del Trentino e del Friuli V.Giulia insieme a quelli del Veneto.

 

E, intanto, a vigilare, disillusi e combattivi, stanno gli amici della Confederazione di sovranità popolare che, dopo il forte contributo offerto a sostegno del NO al referendum, sono ora pronti a combattere uniti nella difesa e per l’attuazione integrale della Costituzione, come unica efficace ed efficiente modalità per opporsi allo strapotere della finanza che, rovesciati i principi del NOMA ( Non Overlapping Magisteria) intende sottomettere ai propri interessi l’economia reale e la stessa politica, con i bei risultati che stiamo sperimentando a livello globale.

 

Insomma è in atto un grande fermento popolare, laico e liberale che ci auguriamo possa portare alla formazione di quel nuovo soggetto politico in grado di rinsaldare gli interessi del ceto medio produttivo on quelli delle classi popolari, rispondere alle attese della povera gente e, rispettando i principi di sussidiarietà e solidarietà, sappia concorrere positivamente alla realizzazione del bene comune.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 29 Dicembre 2016

 

 

 


Gli auguri natalizi di Antonino Giannone, V.Presidente ALEF

L'Etica è calpestata nella società della globalizzazione, dominata dai sistemi finanziari e non dalla Politica che dovrebbe tutelare la Sovranità Popolare.
La prova?
Non è l'Informazione per l'Uomo, ma è l'Uomo per l'Informazione
Non è la Salute per l'Uomo, ma l'Uomo per la Salute.
Non è l'Economia per l'Uomo, ma è l'Uomo per l'Economia
Non è la Giustizia per l'Uomo, ma l'Uomo per la Giustizia.
Non è la Ricerca Scientifica per l'Uomo, ma l'Uomo per la Ricerca Scientifica
........................................................................
Dove va la Società senza Etica, senza più Umanesimo, senza più Dio?
Auguri di Buon Natale a Tutti per rinnovare INSIEME l'Umanita' che è in Noi.

S.Natale 2016

 



Meglio tardi che mai !

 

Ieri i parlamentari di Forza Italia hanno votato insieme al PD il decreto salva banche che comporterà un incremento del debito pubblico di ulteriori 20 miliardi di euro.

Dedicheremo un’analisi approfondita su tale questione, mentre considerando quanto ha dichiarato sempre ieri il Cavaliere, alla presentazione dell’ennesimo libro di Bruno Vespa, ossia la scelta di Forza Italia per  la legge elettorale proporzionale e conseguente convocazione di un’assemblea costituente per le riforme istituzionali, non ci resta che dire: meglio tardi che mai!

Nel dicembre 2010 scrivemmo all’allora Presidente del consiglio Silvio Berlusconi l’allegata lettera che non ebbe, ahimè, risposta.

Tempo e paglia maturano le nespole e noi popolari e “DC non pentiti” non possiamo che esserne soddisfatti.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 Venezia, 22 Dicembre 2016

 

                                                                                                                                                                                                                 

                                                          Al Sig.Presidente del Consiglio

                                                          On Silvio Berlusconi

                                                          Palazzo Chigi- Piazza Colonna 370

                                                          00187-ROMA

 

Venezia, 19 Dicembre 2010

Oggetto: una proposta per il Presidente del Consiglio- Convocazione dell’Assemblea Costituente..

 

Egr. Sig. Presidente,

mi permetto manifestarle, da “vecchio DC non pentito”, alcune idee che potrebbero risultare utili per Lei e, soprattutto, per la governabilità del Paese.

Il 14 Dicembre, per tre voti, Lei è riuscito a superare lo scoglio della sfiducia alla Camera, un passaggio decisivo per le sorti del suo governo e, soprattutto, per gli equilibri politici dell’Italia e della sua capacità di tenuta a livello internazionale,.

Merito della sua determinazione a tenere duro e giusta sconfitta di un’azione irresponsabile, soprattutto per quei transfughi del Pdl senza futuro e assai poca libertà.

Contro di lei opera da oltre diciassette anni una parte della magistratura militante che, dopo l’avvenuta improvvida eliminazione dell’immunità parlamentare,  si trova in una situazione di diritto e di fatto, di un ordine autonomo, autoreferenziale, irresponsabile e con un potere incontrollato e incontrollabile, garantito dalla possibilità, con una semplice incriminazione, di far saltare ministri e governi legittimamente votati dal parlamento espressione della volontà popolare.

Si aggiunga l’azione di ben noti ambienti economici e finanziari interni e internazionali contrari all’equilibrio espresso dalla maggioranza Pdl-Lega che, oltre al  governo nazionale, è alla guida di molte regioni italiane, tra cui,  quelle che concorrono significativamente a tenere in piedi il sistema Italia: Piemonte,Lombardia e Veneto.

Una Costituzione rigida, come quella italiana del ’48, senza una forte condivisione parlamentare non è riformabile per via legislativa. Il fallimento di tre bicamerali sta lì a dimostrarlo. E si sa che le Costituzioni nascono e si modificano per via legislativa solo a seguito di ampie condivisioni sociali, politiche e parlamentari, oppure per via violenta e per strappi laceranti della storia di un Paese.

Dopo il voto del 14 dicembre  l’Italia si trova a questo bivio: non si tratta solo di cambiare la legge elettorale, obiettivo già di per sé difficilmente perseguibile con l’attuale profonda divaricazione di obiettivi e di frammentazione politica, ma di far corrispondere la Costituzione del 1948 alle nuove esigenze che, in termini di efficienza, rapidità di decisione, equilibrio dei poteri e dei rapporti tra Europa, Stato, Regioni e sistema degli enti locali, la nuova realtà richiede.

La sua maggioranza potrebbe anche sopravvivere, magari facendo dimettere l’ampia squadra di ministri e sottosegretari parlamentari con i sostituti primi non eletti, garantendosi la partecipazione ai lavori parlamentari di coloro che sarebbero liberi dagli impegni quotidiani dell’azione di governo.  Oppure tentando Lei di convincere altri dieci, quindici parlamentari a rientrare nel Pdl o a seguirla per rafforzare la maggioranza in seno alla Camera dei deputati. Tutte manovre tattiche, certamente doverose nel breve periodo, ma di corto respiro strategico.

In realtà caro Presidente, dopo quanto Lei ha già compiuto di straordinario in questa lunga e complessa fase di transizione dal 1994 al 2010, unico caso nella storia delle democrazie occidentali di un leader che si presenta cinque volte al vaglio elettorale, vincendo tre volte, e perdendo nelle rimanenti due ( l’ultima assai contestata quanto all’effettivo conteggio dei voti) ciò che adesso Le si richiede é la capacità di transitare finalmente e definitivamente il Paese verso la Nuova Repubblica.

E per far ciò, se non si persegue il disegno assai rischioso per tutti di elezioni anticipate, dovrebbe proporre a tutte le forze politiche l’indizione di elezioni con metodo proporzionale di un’Assemblea Costituente che dovrà approvare, con successiva verifica referendaria, una nuova Costituzione, entro il termine di questa legislatura.

In cambio Le dovrà essere data garanzia di portare a termine questa stessa legislatura per la quale Le è stato affidato il compito di guidare il governo, approvando quelle leggi senza rilievo costituzionale che sono  indispensabili per il bene del Paese.

La Chiesa italiana, come già fece nel 1948, con gli interventi ripetuti del suo presidente, card Bagnasco, ha dimostrato in questi giorni di essere tra le poche, se non l’unica istituzione, che ha ben chiaro ciò che sta succedendo.

Presidente adoperi il suo riconosciuto coraggio per proporre l’Assemblea Costituente a tutti i partiti presenti in Parlamento e troverà sicuramente su di essa un’ampia maggioranza.

Alla fine sapremo finalmente e con chiarezza quale assetto istituzionale si vuol dare al Paese e Lei stesso passerà alla storia italiana, non solo come colui che impedì alla “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto di trionfare nel 1994, e che permise il recupero alla democrazia dei vecchi missini e l’inserimento pieno della Lega nella gestione del potere dello Stato, ma  come l’artefice del cambiamento democratico della Costituzione legale e materiale dell’Italia e il politico che seppe favorire una grande speranza di rinascita. Il suo nome, a quel punto, sarà segnato a caratteri indelebili nella storia del nostro Paese.

Noi, intanto, continueremo, come da diverso tempo stiamo facendo, nella nostra azione tesa a concorrere alla costruzione della sezione italiana del PPE, con quanti, ispirati dai valori del popolarismo sturziano e degasperiano, coerenti con gli orientamenti pastorali dell’enciclica “Charitas in veritate”, intendono sostenere, a livello politico, coloro che, come Lei e il  Pdl, si schierano in difesa dei valori non negoziabili del diritto alla vita, della libertà scolastica ed educativa e per la centralità della famiglia fondata sull’unione di un uomo e di una donna.

Un’ultima riflessione sul Pdl: lo aiuti a diventare un partito con democrazia interna ed elezione diretta dei suoi rappresentanti, la sezione del PPE che riaggreghi la stragrande maggioranza di coloro che s’ispirano ad autentici valori umani e cristiani.

Con gli auguri a Lei e alla Sua famiglia di un Santo Natale e per un 2011 più sereno di questo travagliato fine anno, La saluto cordialmente.

 

Ettore Bonalberti

Presidente di ALEF- Associazione dei Liberi e Forti

Venezia,18 dicembre 2010

 

 

 

 

 


Anomia sociale e crisi della politica

 

Con la teoria euristica dei “quattro stati” ho cercato di rappresentare la realtà sociale italiana, divisa tra una “casta” dominante, formata da oltre un milione di persone che vivono di politica direttamente e/o e per li rami a essa collegati; il secondo stato dei “diversamente tutelati”, ossia la stratificazione sociale più ampia e assai differenziata per interessi e valori, entrambe sostenute dal “terzo stato produttivo”, costituito dalle  piccole , medie e grandi imprese con i loro dipendenti, i commercianti, gli artigiani, gli agricoltori, i professionisti, che contribuiscono in massima parte alla produzione del PIL italiano.

 

E, infine, last but not least, il “quarto non Stato”, composto dalla malavita organizzata, mafia, camorra, n’drangheta et similia, che sottrare risorse dal reddito nazionale e lo converte, al di fuori di ogni legge, in consumi, risparmi e investimenti da riciclaggio che. unitamente al diffuso lavoro in nero, viene non solo riconosciuto dalle stesse regole europee, ma quantificato in alcune centinaia di miliardi di euro nel calcolo del PIL nazionale.

 

Su questa struttura sociale così euristicamente rappresentata, si è andato organizzando un sistema politico che, nella sua attuale espressione tripartitica del centro-sinistra, M5S e centro-destra, non riesce a portare alle urne più del 50% degli elettori.

 

Un’evidente discrepanza tra la condizione di anomia, ossia assenza di regole, distonia tra i mezzi e i fini,  il venir meno del ruolo e della funzione dei gruppi sociali intermedi, esistente a livello sociale e la sostanziale incapacità di  governance delle classi dirigenti, alle quali si è tentato di porre rimedio con la scorciatoia delle leggi elettorali super truffa.

 

Quella del “porcellum”, bocciata dalla Consulta; quella dell’Italicum, in attesa del giudizio costituzionale, superata, de facto, dal recente referendum del 4 dicembre , ultimo positivo sussulto di un popolo che ha saputo marcare la volontà di difendere la propria sovranità.

 

Tutto questo non può che aggravare la già difficile situazione dell’Italia, inserita a pieno titolo nel processo di globalizzazione a dominanza del finanz capitalismo che, imponendo la priorità dei propri fini di speculazione su quelli propri dell’economia reale, subordina ad esso economia reale e politica, comprimendo, sino ad annullarlo, lo stesso concetto di democrazia così come l’abbiamo ereditato dai nostri padri costituenti.

 

Dall’anomia sociale e concomitante crisi politica istituzionale non può che derivare una condizione di quasi annientamento dello stesso stato di diritto, che è la situazione oggettiva in cui si ritrova oggi il nostro Paese. Una situazione caratterizzata dal deserto delle culture politiche che hanno fatto grande l’Italia.

 

Con un PD, ircocervo senza più identità, alle prese con le laceranti ferite del post referendum, un M5S che, con il fallimento dell’esperienza della Raggi a Roma, mostra tutti i limiti di un movimento –partito assai lontano dai dettami dell’art 49 della Costituzione e un centro destra alla ricerca di una nuova leadership, dopo la lunga egemonia-dominio del Cavaliere ora dimezzato, quel solco tra Paese reale e Paese legale risulta difficilmente colmabile.

 

E’ assai confortante l’impegno confermato nei giorni scorsi a Roma dalla Confederazione di sovranità popolare di continuare la propria azione a difesa e per l’attuazione integrale della Costituzione, attraverso  la formazione di una consulta permanente di sovranità popolare in ogni Comune italiano, che sappia formare, informare, e, soprattutto, attuare la Costituzione sul territorio, contribuendo a governarlo, partendo da capisaldi giuridici e di diritto, dall'Art. 118 della Costituzione e dal secco e lucidissimo Art. 3, punto 5, del TUEL

 

Così come positiva é l’annunciata convocazione dell’assemblea dei soci della DC, partito mai sciolto giuridicamente, secondo una sentenza inappellabile della suprema Corte, che, i residui soci dello scudo crociato intendono far rinascere politicamente, riportando in campo una delle culture politiche di cui la società italiana ha bisogno.

 

Una cultura che, impegnandosi a realizzare nella “città dell’uomo” gli orientamenti pastorali della dottrina sociale della Chiesa, così come indicata nelle ultime encicliche papali sul fenomeno della globalizzazione ( Laborem Exercens, Caritas in veritate e Evangelii Gaudium), sappia essere rappresentata da un partito laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, inserito a pieno titolo nel PPE, da far ritornare ai valori dei padri fondatori, alternativo al socialismo trasformista renziano, alla sinistra e ai populismi estremi.

 

I partiti a dominanza leaderistica personale o privi di quel “metodo democratico” indicato dall’art 49 della Costituzione, hanno dimostrato e stanno dimostrando tutti i loro limiti e l’incapacità di offrire a una società civile in crisi, quella speranza che è la ragione stessa di una politica a misura delle attese della povera gente.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 19 Dicembre 2016

 

 

 

 

Torna la DC

 

Con il decreto n.7756/2016 v.g. il giudice del Tribunale di Roma-Terza Sezione civile,  dr Guido Romano, in data 13 Dicembre 2016 , accogliendo la richiesta di convocazione degli amici Luciani, Alessi, Grassi, Gubert e D’Agrò, a nome di oltre il 10% de  soci DC che nel 2012 rinnovarono l’iscrizione al partito, ha disposto:

 

“ la convocazione dell’assemblea nazionale degli associati all’associazione non riconosciuta “ Democrazia Cristiana” presso la Sala Leptis Magna dell’Hotel Ergife di Roma ( Via Aurelia, n.619) per il giorno 25 Febbraio 2017 ore 21.00 in prima convocazione e per il giorno 26 Febbraio 2017 ore 10.00 in seconda convocazione per deliberare sul seguente ordine del giorno:

a)    nomina del presidente pro tempore della riunione e del segretario verbalizzante

b)    nomina del presidente dell’associazione

c)     varie ed eventuali

 

e, a tal fine: “designa il ricorrente Sig.Nino Luciani a presiedere detta assemblea e ad eseguire tutte le formalità necessarie conseguenti alla disposta convocazione”.

 

Trattasi di un’autentica svolta, che permette, finalmente, di dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010 secondo la quale: “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”.

 

Tutti noi, che dal 1993 abbiamo operato, tra mille difficoltà e incomprensioni, per la ricomposizione dell’area democratico cristiana, popolare e liberale e che, venuti a conoscenza della sentenza della Cassazione del  2010 avevamo concorso a riaprire nel 2012  il tesseramento alla DC di tutti i soci che erano stati iscritti allo scudo crociato nel 1992, data ultima del tesseramento della DC storica, non possiamo che esprimere un sentimento di viva gratitudine nel constatare che finalmente abbiamo trovato un giudice a Roma.

 

Un ringraziamento particolare va fatto a quanti in tutti questi anni della dolorosa diaspora democristiana, hanno sofferto e si sono battuti per dare pratica attuazione alla sentenza della Suprema Corte, e un fraterno e caloroso invito va rivolto a coloro che INSIEME a noi ci aiuteranno a portare a compimento il progetto di rinascita della Democrazia Cristiana Italiana.

 

All’amico Prof Nino Luciani che, con Alberto Alessi e  Leo Pellegrino, è stato tra i principali protagonisti di quest’ultima fase nei rapporti con il tribunale di Roma e nei primi adempimenti da esso richiesti, spetta adesso il compito di procedere agli adempimenti di cui al decreto del giudice.

 

Nell’attuale deserto della politica italiana e con la scomparsa delle culture politiche che hanno costruito il patto costituzionale, rinsaldato dal voto referendario del 4 Dicembre, il ritorno in campo ufficiale della Democrazia Cristiana, ossia di un partito che intende porsi come il naturale interprete degli orientamenti pastorali della dottrina sociale della Chiesa, imperniati sul valore del primato della persona e della famiglia naturale di un uomo e di una donna, la funzione essenziale dei corpi intermedi regolata secondo i principi della sussidiarietà e solidarietà, ritengo costituisca un fattore di grande rilievo.

 

Contro le logiche dell’imperante finanz capitalismo che determina l’asservimento dell’economia reale e della politica ai propri fini speculativi, solo con la presenza di una cultura politica, come quella democratico cristiana, aperta alla collaborazione con altre culture non incompatibili con i valori dell’umanesimo cristiano, possiamo concorrere a proporre una piattaforma programmatica per l’Italia e l’Europa in grado di offrire una nuova speranza alle giovani generazioni e alle attese della povera gente.

 

La nostra azione sarà improntata al massimo di apertura e di inclusione, senza volontà di rivincite e di laceranti rivendicazioni, per puntare, con il nuovo congresso da tenersi a breve, a riportare all’ovile tutti quanti, entusiasti, tiepidi o smarriti e orfani, intendono ricomporre l’unità dei democratico cristiani italiani. Un appello speciale alle donne e ai giovani di cui sentiamo forte il disagio per una situazione di anomia e precarietà che reclama risposte generose e coraggiose non più rinviabili.

 

Una prima forte iniziativa partirà proprio dal Veneto, con una conferenza stampa che intendiamo organizzare a Venezia e con un convegno da tenersi a Gennaio al quale inviteremo tutti coloro che si sentono di far parte della grande casa Democratico Cristiana.

 

Abbiamo bisogno di forze giovani e cristianamente ispirate, con le quali promuovere una nuova classe dirigente attraverso una nuova Camaldoli programmatica, da tenersi a primavera, con le espressioni migliori della cultura cattolica e popolare, della vasta  e articolata realtà sociale del laicato cattolico italiano, dalle quali fare emergere i nostri candidati per le prossime elezioni politiche e amministrative.

 

Ettore Bonalberti

già Consigliere nazionale della DC

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia 16 Dicembre 2016

 

 


 

Basta con le divisioni!

 

Si è svolto a Orvieto, Sabato 10 e Domenica 11 Dicembre, il convegno organizzato dai Popolari Liberali, Idea e Libertà e da ALEF ( Associazione Liberi e Forti) sul tema: e adesso?

 

Un serio confronto di posizioni tra gli Onn. Giovanardi, Augello, Compagna, Quagliariello con Piso, Roccella e Vaccaro, al termine del quale, il leader dei Popolari liberali, Giovanardi ha  annunciato la formale confluenza del movimento dei Popolari liberali nel Partito Idea-Popolo e Libertà fondato assieme a Gaetano Quagliariello.

 

Al Convegno hanno partecipato anche il Vice presidente Nazionale del Movimento Cristiano Lavoratori, Antonio Di Matteo, il Presidente di Alef - Liberi e Forti Ettore Bonalberti e Simone Pillon del Comitato promotore del Family Day. Idea-Popolo e Libertà e il Comitato promotore del Family Day hanno poi sottoscritto un documento comune nel quale: "dando seguito ad una collaborazione sviluppatasi in occasione del referendum costituzionale, Idea- Popolo e Libertà fa propri i contenuti valoriali del Comitato promotore del Family day e si impegna a trasformarli in azione politica, prima fra tutti l'abrogazione della legge sulle Unioni Civili". Dal canto loro i promotori del Comitato Difendiamo i nostri figli, nell'ambito di un programma elettorale dello schieramento alternativo alla Sinistra e al Movimento 5 Stelle, "assicurano la continuazione del rapporto di amicizia, attenzione e collaborazione a Idea-Popolo e Libertà e a tutte le esperienze politiche che si impegnano nella difesa della vita, dal concepimento alla morte naturale, nella promozione della famiglia naturale fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna, nella difesa del diritto dei bambini ad avere un padre e una madre e a ricevere da loro educazione e cura, e nella lotta all'indottrinamento gender".

 

Giovanardi e Quagliariello hanno infine sottolineato come da più di un anno i parlamentari di Idea-Popolo e Libertà erano passati all'opposizione del Governo Renzi, rendendosi protagonisti della campagna per il NO, concludendo con un forte appello alla partecipazione a questo progetto rivolta a tutti i movimenti e le associazioni che si muovono nell'area culturale popolare, liberale e di ispirazione cristiana in alternativa alla sinistra.”

 

Nel mio intervento, anche a  nome degli amici di ALEF, ho sottolineato che:

 

1)   è da valutarsi positivamente tutto ciò che va nella direzione della ricomposizione dell’area popolare, liberale e riformista dell’Italia e in Europa;

2)   esattamente un anno fa, a Orvieto il 29 Novembre 2015, Bonalberti, Giovanardi, Mauro e Quagliariello condivisero e sottoscrissero un documento che, tra l’altro, indicava l’impegno:"di dar vita al Coordinamento dei movimenti Popolari, liberali, conservatori e riformisti di tutti i  partiti,  associazioni, gruppi e persone che sono interessati a sviluppare nel Paese la nascita di un soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista,  trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori, alternativo al socialismo trasformista renziano, ai populismi estremi e alla sinistra post comunista; un coordinamento paritetico, inclusivo e aperto a tutte le forze che condividendo gli stessi valori intendono parteciparvi; coordinamento da organizzare ed estendere in tutte le realtà territoriali del Paese e nelle sedi istituzionali locali e parlamentari”;

3)   allo stato attuale della crisi politica, non sia  più rinviabile dar vita ad un processo costituente e di ricomposizione che, a mio parere, andrebbe avviato con tutti i partiti, movimenti, associazioni, gruppi e  persone che condividendo l’impegno di cui sopra, sono disponibili a chiudere le  precedenti esperienze per dar vita al nuovo soggetto politico.

 

Basta, dunque,  con le divisioni e le frantumazioni su basi personalistiche prive di ogni prospettiva.

 

Ho fatto presente ccome nella mia regione, il Veneto, ciò stia avvenendo con la costituita Federazione Popolare Veneta, la quale mette insieme diverse esperienze politiche di area popolare ed ex DC aperta alla collaborazione con altri partiti e movimenti di ispirazione politica compatibile Di qui la proposta di  un incontro della Federazione Popolare Veneta con tutti gli amici dell’area popolare italiana da tenersi in tempi brevi, per non perdere l’opportunità che ci deriva dal ritorno a livello elettorale, finalmente, di logiche proporzionalistiche, le quali reclamano il massimo di identità politica e culturale nelle eventuali liste da presentare agli elettori. Da sempre sostenitore di un sistema elettorale proporzionale secondo il modello tedesco, mi auguro che possa essere questa la soluzione che alla fine sarà approvata dal Parlamento italiano. Essa imporrà con il massimo di caratterizzazione identitaria sul piano valoriale e politico culturale, l’offerta di una rinnovata e credibile classe dirigente. Lo sbarramento che la caratterizzerà non darà più spazio a velleitarie rappresentazioni d’antan. Basta quindi con le vecchie etichette e si dia il via al nuovo soggetto politico di ispirazione  unitaria popolare.

 

Premessa unificante per l’unità di tutti i Popolari, liberali e riformisti italiani: la scelta compiuta a sostegno del NO al referendum nella condivisione dei fondamentali costituzionali che regolano la nostra vita democratica. Noi dell’area popolare, com’ è noto, abbiamo dato vita al Comitato nazionale popolare per il NO affidando la presidenza all’On Giuseppe Gargani e nella riunione del consiglio di presidenza di Mercoledì 7 Dicembre scorso, allo stesso On Gargani é stato affidato l’incarico di organizzare con tutti i comitati per il NO di area popolare e liberale costituitisi in Italia, un incontro nazionale per concorrere INSIEME alla costruzione del nuovo soggetto politico.

 

Essenziale sarà redigere INSIEME una proposta politico programmatica che, come condiviso sempre ad Orvieto l’anno scorso sia in grado di "dare risposte positive e una nuova speranza non solo agli elettori che continuano a partecipare al voto, ma, soprattutto, a coloro che da tempo hanno deciso di disertare le urne sfiduciati dai comportamenti  di una classe dirigente non più credibile e  da una politica che non corrisponde più agli interessi e ai valori dei ceti medi produttivi e delle classi che più stanno subendo le conseguenze di un finanz capitalismo il quale, rovesciando il principio della non sovrapponibilità tra etica, politica ed economia, ha attribuito alla finanza il compito di assegnare i fini e all’economia e alla politico il ruolo subordinato e ancillare, sino a ridurre la democrazia a mero simulacro formale”.

 

Allo stato degli atti e dopo il fallimento del progetto perseguito dai poteri finanziari internazionali con la prova del referendum affidata al loro portavoce Matteo Renzi, il tema dei rapporti dell’Italia con l’Europa e l’euro non può più essere eluso o rinviato, subendo quotidianamente gli effetti di Trattati che non corrispondono più agli interessi del nostro Paese e a regolamenti nulli, in quanto illegittimi perché conflittuali con gli stessi Trattati liberamente sottoscritti, come il fiscal compact o l’avvenuta sciagurata iscrizione del pareggio di bilancio al rango di norma costituzionale.

 

Per quanto riguarda la nostra area di ispirazione cattolica e popolare serve organizzare una nuova Camaldoli con l’obiettivo di tentare di tradurre nella “città dell’uomo” gli orientamenti della dottrina sociale della Chiesa ( Centesimus Annus, Laborem Exercens, Caritas in veritate, Evangelii Gaudium, Laudato Si) sul piano della nostra responsabilità e autonomia laicale, aperti alla collaborazione con le altre culture compatibili con la nostra visione ispirata ai valori dell’umanesimo cristiano.

 

Assunto un codice etico e valoriale come elemento unificante del nuovo soggetto politico, sul piano delle scelte programmatiche, si dovrà porre al centro la persona e la famiglia e il ruolo fondamentale dei corpi intermedi, parti essenziali del sistema sociale, economico e politico culturale, ispirato dai principi della sussidiarietà e solidarietà, alternativi a quelli propri del finanz-capitalismo dominante.

 

Dal Veneto partirà questa forte iniziativa per l’unità dei Popolari italiani, attraverso un invito rivolto a tutte le diverse realtà politiche, culturali e organizzative del Paese di ispirazione cattolica e popolare, premessa essenziale per presentare una nuova formazione politica cristianamente ispirata alle prossime elezioni politiche.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 12 Dicembre 2016

 

 

E adesso?

 

E’ questo il titolo che è stato assegnato all’incontro organizzato a Orvieto, Sabato 10 e Domenica 11 Dicembre prossimi, dagli amici Giovanardi, Quagliariello e il sottoscritto a nome dei Popolari Liberali, Idea e ALEF.

 

Un primo passo  verso la ricomposizione dell’area popolare e liberale dopo la vittoria del NO al referendum.

 

Trattasi di movimenti e associazioni che si sono ritrovati uniti nella battaglia del NO al referendum e che, esattamente un anno fa, proprio ad Orvieto, avevano condiviso e sottoscritto con i Popolari per l’Italia, il documento finale con il quale decisero:

 

a)    di dar vita al Coordinamento dei movimenti Popolari, liberali, conservatori e riformisti di tutti i  partiti,  associazioni, gruppi e persone che sono interessati a sviluppare nel Paese la nascita di un soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista,  trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, da far tornare ai principi dei padri fondatori, alternativo al socialismo trasformista renziano, ai populismi estremi e alla sinistra post comunista; un coordinamento paritetico, inclusivo e aperto a tutte le forze che condividendo gli stessi valori intendono parteciparvi; coordinamento da organizzare ed estendere in tutte le realtà territoriali del Paese e nelle sedi istituzionali locali e parlamentari;

 

b)   di condividere e sostenere  gli stessi orientamenti e obiettivi in politica estera, immigrazione, integrazione sociale e sicurezza, fisco ed economia,  giustizia e Stato e sulle questioni etiche che attengono al primato della persona e della famiglia,

 

c)    di sostenere e cooperare ad ogni iniziativa che vada verso il recupero e la valorizzazione della nostra cultura politica e dei nostri valori di riferimento;

 

d)   di favorire la nascita sull'intero territorio nazionale di Gruppi Civici Territoriali del  Coordinamento che, aperti alla partecipazione e al coinvolgimento e ricorrendo anche ai moderni sistemi di comunicazione, facciano rifiorire le specificità dei loro territori in un contesto di armonia e di sintesi con le grandi scelte del Paese;

 

e)    di promuovere ad ogni livello (comunale e regionale), in occasione delle prossime elezioni amministrative,  LISTE CIVICHE TERRITORIALI, aperte e caratterizzate da programmi concreti ed innovativi;

 

f)     di sollecitare, un Forum Nazionale di partiti, associazioni, movimenti e semplici cittadini da tenersi entro la primavera del 2016, che dia vita ad  un Nuovo Grande Soggetto Politico che si ponga come obiettivo di offrire un proprio contributo al riscatto della comunità italiana e internazionale: di favorire l’emergere di una nuova classe dirigente che, a partire dalle prossime elezioni amministrative, sappia raccogliere il testimone delle migliori tradizioni politico culturali della storia repubblicana italiana

 

Erano degli ottimi propositi che, come accade da oltre vent’anni, dovettero fare i conti con le solite difficoltà, gli egoismi degli uomini, le inerzie e le resistenze derivate dalle antiche e assai poco commendevoli abitudini.

Tutto ciò è stato miracolosamente superato dall’unità ritrovata dai popolari, liberali e riformisti nella difesa dei valori costituzionali e nell’impegno svolto insieme a sostegno del NO al referendum costituzionale.

 

Dopo il NO alla deforma renziana a Orvieto ci ritroveremo uniti nel SI all’impegno per l’attuazione dei principi indicati dalla nostra Costituzione, in una fase delicatissima della vita politica italiana ed europea.

 

ALEF parteciperà nella convinzione che vada sostenuta ogni azione che punti alla ricomposizione delle culture politiche che sono state alla base del patto costituzionale; culture che si sono ritrovate espresse e riconfermate dalla volontà largamente maggioritaria degli elettori.

 

Nel deserto della politica, dominata da un trasformismo senza valori e dalla mera ricerca della sopravvivenza di una casta non più credibile e ormai respinta nella coscienza civile dei cittadini, guardiamo con interesse alla ricomposizione dell’area popolare, liberale e riformista aperta al dialogo con quanti sono disponibili a battersi per l’attuazione integrale dei principi costituzionali, come indicato dagli amici della Confederazione di sovranità popolare cui partecipiamo convintamente.

 

Rispetto alle manovre tattiche e di corto respiro che sembrano ispirare i quattro raggruppamenti oggi in campo: PD, M5S, Forza Italia e Lega, crediamo che si debba volgere lo sguardo su orizzonti più vasti di quelli a breve termine, impegnati a elaborare una piattaforma programmatica per l’Italia e l’Europa in grado di offrire una nuova speranza alle nuove generazioni e alle attese della povera gente.

 

Un ruolo essenziale spetterà a noi, indegni eredi della grande tradizione popolare e democratico cristiana, cui compete l’onere di inverare nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali della dottrina scoiale della Chiesa, aperti alla collaborazione con tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

 

Ettore  Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 8 Dicembre 2016

 


Ora avanti con l’unità dei Popolari

 

Oggi siamo felici per due risultati intervenuti ieri in Europa: la nostra vittoria del NO al referendum italiano e quella del candidato ambientalista Van Der Bellen alla Presidenza austriaca.

 

Con un verdetto senza possibilità di interpretazioni equivoche il popolo italiano ha detto NO al “golpe blanco” attivato nel Novembre 2011 da Giorgio Napolitano, vero mandante di tutte le operazioni politiche succedutesi a quella data sino all’incarico a Matteo Renzi, esecutore testamentario dei desiderata dei poteri finanziari internazionali annunciati a suo tempo dalla JP Morgan e C.

 

I cittadini italiani hanno compreso la portata straordinaria di questa consultazione referendaria e, finalmente, hanno partecipato massicciamente al voto, che ha sfiorato il 70% dei votanti, con risultati omogenei in tutte le realtà territoriali, con le uniche eccezioni, per ragioni diverse,  della Toscana, Emilia e Romagna e Trentino Alto Adige.

 

Matteo Renzi che ha condotto una battaglia coraggiosa ancorché solitaria, seppur sostenuta dalla quasi generalità dei poteri forti italiani, dei media e con una RAI sdraiata totalmente ai suoi piedi, paga le conseguenze inevitabili di una personalizzazione del referendum, con le annunciate dimissioni da capo dell’esecutivo e, probabilmente, dalla stessa guida del PD.

 

Il partito democratico esce profondamente lacerato da questa prova, che ha finito con l’assumere il carattere di una cruenta ordalia. Dalla direzione annunciata per le prossime ore, comprenderemo cosa accadrà nell’immediato futuro in quel partito, dopo il fallimento della strategia del “partito della nazione”, così caro ad alcuni commentatori giornalistici e a vecchi amici ex DC sempre disponibili ai sicuri galleggiamenti di sopravvivenza.

 

Ora spetta alla dirigenza del PD dimostrarsi all’altezza della responsabilità che le deriva da una rappresentanza parlamentare forzata dal premio del porcellum, così come compete a tutti i partiti che hanno condotto la battaglia contro la riforma-deforma del trio Renzi-Boschi-Verdini con l’accolito Alfano, mostrarsi disponibili a soluzioni politiche e istituzionali coerenti  con le attese e i bisogni della realtà italiana.

 

Servirà da subito un governo impegnato nel ricercare in Parlamento una legge elettorale condivisa, prima o subito dopo che la Consulta si pronuncerà sull’incostituzionalità della legge super truffa dell’Italicum, e senz’altri obiettivi, al di là della gestione degli affari correnti, diversi da quello di portarci quanto prima ad elezioni politiche in grado di esprimere un Parlamento di rappresentanza effettiva della sovranità popolare.

 

Il risultato di questo voto va ascritto, innanzi tutto, alla volontà del popolo italiano che conserva nel suo intimo una fedeltà trasversale ai valori fondanti della nostra Costituzione, presente in tutte le diverse culture politiche antiche e di più recente formazione.

 

Dalla sinistra con l’ANPI e la CGIL e alle altre formazioni d’area, dal M5S alla Lega e a Forza Italia, con un ringalluzzito Berlusconi, pur tra le palesi contraddizioni del suo gruppo economico-finanziario, dai diversi comitati della destra a quelli di diversa ispirazione cattolica, un contributo significativo è giunto anche dal  nostro comitato Popolare per il NO.

 

Non si capirebbero i risultati così favorevoli al NO nelle regioni di antica tradizione democratico  cristiana e popolare, come in alcune regioni del Nord e in quelle del Sud, dove, nonostante gli ignominiosi tentativi laurini dei De Luca e i paventati rischi di brogli ai seggi, ha prevalso nettamente il voto a sostegno della nostra Costituzione repubblicana.

 

Dall’unità raggiunta dai popolari nel comitato a sostegno del NO, noi dovremo ripartire per costruire finalmente le ragioni di una più organica ricomposizione di quest’area. Essa è  indispensabile per concorrere, con le altre culture politiche fedeli alla Costituzione, a garantire soluzioni politiche in grado di collegare le attese della povera gente con quelle del  ceto medio produttivo stanco e sfiduciato.

 

Cartina di tornasole sarà la scelta compiuta dai diversi partiti, gruppi, movimenti e associazioni a sostegno del NO, disponibili a concorrere con quanti si propongono di battersi per l’attuazione finalmente effettiva della nostra Costituzione.

 

Al Capo dello Stato il compito di guidare questa fase delicata della vita politica italiana, assumendo, finalmente, quel ruolo che sin qui è apparso troppo timoroso e silente sino a farlo apparire un arbitro senza fischietto e cartellini d’ordinanza.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 5 Dicembre 2016

 

 

 



Troppo tardi Sig Presidente

 

Ora che lo scontro referendario è al calor bianco, anche il Presidente Mattarella comincia a preoccuparsi, tanto che alcuni giornali ipotizzano un suo ultimo appello al civile confronto e al rispetto reciproco. Troppo tardi e troppo poco: molto avrebbe potuto fare anche prima il Presidente della Repubblica, quando inopinatamente promulgò la legge super truffa dell’Italicum, lui che da giudice della Consulta aveva votato l’incostituzionalità dell’analoga legge del  porcellum.

 

Al sig Presidente vorremmo sommessamente  ricordare quando da lui espresso in aula nel 2005, al tempo della riforma costituzionale proposta dal governo Berlusconi:

 

“Signor Presidente,

tra la metà del 1946 e la fine del 1947, in quest’aula, si è esaminata, predisposta ed approvata la Costituzione della Repubblica. Con l’attuale Costituzione, che vige dal 1948, l’Italia è cresciuta, nella sua democrazia anzitutto, nella sua vita civile, sociale ed economica. In quell’epoca, vi erano forti contrasti, anche in quest’aula. Nell’aprile del 1947 si era formato il primo governo attorno alla Democrazia cristiana, con il Partito comunista e quello socialista all’opposizio – ne. Vi erano contrasti molto forti, contrapposizioni che riguardavano la visione della società, la collocazione internazionale del nostro paese. Vi erano serie questioni di contrasto, un confronto acceso e polemiche molto forti. Eppure, maggioranza e opposizione, insieme, hanno approvato allora la Costituzione. Al banco del governo, quando si trattava di esaminare provvedimenti ordinari o parlare di politica e di confronto tra maggioranza e opposizione, sedevano De Gasperi e i suoi ministri. Ma quando quest’aula si occupava della Costituzione, esaminandone il testo, al banco del governo sedeva la Commissione dei 75, composta da maggioranza e opposizione.

Il governo di allora, il governo De Gasperi, non sedeva ai banchi del governo, per sottolineare la distinzione tra le due dimensioni: quella del confronto tra maggioranza e opposizione e quella che riguarda le regole della Costituzione. Questa lezione di un governo e di una maggioranza che, pur nel forte contrasto che vi era, sapevano mantenere e dimostrare, anche con i gesti formali, la differenza che vi è tra la Costituzione e il confronto normale tra maggioranza e opposizione, in questo momento, è del tutto dimenticata.

L e istituzioni sono comuni: è questo il messaggio costante che in quell’anno e mezzo è venuto da un’Assemblea costituente attraversata – lo ripeto – da forti contrasti politici. Per quanto duro fosse questo contrasto, vi erano la convinzione e la capacità di pensare che dovessero approvare una Costituzione gli uni per gli altri, per sé e per gli altri. Questa lezione e questo esempio sono stati del tutto abbandonati. Oggi, voi del governo e della maggioranza state facendo la “vostra” Costituzione. L’avete preparata e la volete approvare voi, da soli, pensando soltanto alle vostre esigenze, alle vostre opinioni e ai rapporti interni alla vostra maggioranza. Il governo e la maggioranza hanno cercato accordi soltanto al loro interno, nella vicenda che ha accompagnato il formarsi di questa modifica, profonda e radicale, della Costituzione.

Il governo e la maggioranza – ripeto – hanno cercato accordi al loro interno e, ogni volta che hanno modificato il testo e trovato l’accordo tra di loro, hanno blindato tale accordo. Avete sistematicamente escluso ogni disponibilità a esaminare le proposte dell’opposizione o anche soltanto a discutere con l’opposizione……..”

 

Sig Presidente, non Le pare che questo governo sostenuto da una maggioranza di parlamentari nominati da una legge incostituzionale e drogata dal voto dei transumanti mercenari del trasformismo parlamentare al Senato, abbia compiuto le stesse azioni che nel 2005 Lei dichiarava assolutamente deplorevoli?

Una deforma costituzionale che non unisce, ma sta dividendo frontalmente  il Paese, non potrà che essere foriera di rilevanti conflitti sociali e politici.

Questa è la grave responsabilità che si è assunta, ahimé sin qui anche  con il suo autorevole avallo, il presidente del consiglio Matteo Renzi, Presidente de facto del Comitato per il SI al referendum del 4 dicembre.

Noi Popolari fedeli agli insegnamenti di Sturzo, De Gasperi, Dossetti, La Pira, Moro, Fanfani e Mortati ci stiamo battendo e ci batteremo a sostegno delle ragioni del NO per la difesa della sovranità popolare, che questa deforma riduce,  posta alla base dell’art 1 della Costituzione su cui Ella Sig Presidente ha giurato quale garante dell’ unità nazionale.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 23 Novembre 2016



I Popolari padovani e veneti uniti a sostegno del NO al referendum

 

Organizzato dall’associazione “ L’Albero”, il cui leader Roberto Bettuolo ha coordinato i lavori della serata, si è svolto ieri  a Padova, preso la Sala Anziani di Palazzo Moroni, un incontro di “ riflessioni sulla riforma costituzionale e criticità” che è stata la prima occasione di incontro pubblico del neo deputato padovano On Domenico Menorello.

 

Una prima tappa significativa verso l’unità dei Popolari già raggiunta a livello nazionale nel comitato dei Popolari per il NO e che si sta realizzando nel Veneto con la costituenda Federazione dei Popolari, promossa dagli amici Popolari per l’Italia, Nuovo CDU, Associazione Liberi e Forti, Circoli Insieme, Futuro Popolare di cui l’On Menorello, unico deputato popolare veneto presente in Parlamento, è destinato ad assumere la leadership politica.

 

Roberto Bettuolo ha avviato i lavori ricordando l’episodio di Benedetto Croce che da laico liberale, evidenziando la sacralità dei lavori dell’assemblea costituente, invitò i parlamentari a recitare il “Veni Creator” invocando l’aiuto dello Spirito Santo, che, non a caso, ieri sera è stato l’incipit dell’incontro dei popolari padovani e veneti.

 

L’On Menorello ha portato il saluto agli amici intervenuti, condividendo la giusta battaglia a difesa della sovranità popolare che il combinato disposto riforma costituzionale e legge elettorale dell’Italicum intende ridurre, con il rischio di consegnare tutto il potere nelle mani di “un uomo solo al comando”.

 

Sono intervenuti  i massimi esponenti del Comitato dei Popolari per il NO: il sen Mario Mauro, comitato dei saggi del 2013, , leader dei Popolari per l’Italia, già componente della Commissione Affari Costituzionale del Senato in cui svolse una rigorosa azione di contrasto di una riforma destinata a scardinare la Legge fondamentale che ha rappresentato la  garanzia istituzionale della stessa pace e convivenza civile tra gli italiani e l’On Giuseppe Gargani, Presidente nazionale del  Comitato dei Popolari per il NO.

 

Sono state approfondite dai due esponenti Popolari le ragioni dell’opposizione a un disegno autoritario che prefigura un sistema istituzionale ibrido, né parlamentare né presidenziale, con la riduzione degli istituti di garanzia a emanazioni della volontà di un uomo solo al comando e la distruzione dei rapporti tra Stato e Regioni che, con il principio vampiro della supremazia dello Stato, sono ridotte a enti di mera funzionalità amministrativa, lasciando peraltro inalterati i privilegi e i differenziali ora esistenti a favore delle regioni a statuto speciale.

 

Magistrale l’intervento del prof Marco Giampieretti, costituzionalista dell’Università di Padova, il quale ha evidenziato come la riforma renziana punti a ridurre la funzione e il ruolo dei due tronchi essenziali dell’albero costituzionale: sul versante del potere legislativo, riducendo la Camera alla volontà prevalente del partito di più forte  minoranza che con l’Italicum assume tutto il potere e su quello dei rapporti regionali, depotenziando sino ad annullarle, nel caso delle regioni a statuto ordinario, una delle conquiste fondamentali della Carta del ’48, ossia il valore delle autonomie locali e territoriali.

 

Forte e solenne l’ammonimento di tutti gli intervenuti ad andare a votare il 4 Dicembre: non c’è il quorum dei referendum abrogativi, ma basta un voto in più per determinare la vittoria del SI o del NO. I Popolari italiani e veneti si batteranno a sostegno del NO, forti di alcuni giudizi storici e politici di straordinario valore: quello di Alexis De Tocqueville che ammoniva essere  le Costituzioni redatte “per la difesa delle minoranze dalla dittatura della maggioranza”; ruolo di maggioranza che, nel caso italiano e per la legge elettorale super truffa dell’Italicum sarebbe svolto da una minoranza super rappresentata da un abnorme premio di maggioranza ( dal 25-30% dei voti elettorali espressi al 55% di rappresentanza parlamentare)  e le parole di due esponenti della migliore storia democratico cristiana e popolare:

1) Giuseppe Dossetti che, in occasione della festa della liberazione del 1994 così scriveva al sindaco di Bologna:

“Si tratta di impedire a una maggioranza che non ha ricevuto alcun mandato al riguardo, di mutare la nostra Costituzione: si arrogherebbe un compito che solo una nuova Assemblea Costituente, programmaticamente eletta per questo, e a sistema proporzionale, potrebbe assolvere come veramente rappresentativa di tutto il nostro popolo. Altrimenti sarebbe un autentico colpo di stato (Bazzano, 25 aprile 1994)”

Infine quanto sostenne l’attuale Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenendo in Parlamento nel 2005 contro le modifiche costituzionali allora proposte da Berlusconi: “ Il governo di allora, il governo De Gasperi, non sedeva ai banchi del governo, per sottolineare la distinzione tra le due dimensioni: quella del confronto tra maggioranza e opposizione e quella che riguarda le regole della Costituzione. Questa lezione di un governo e di una maggioranza che, pur nel forte contrasto che vi era, sapevano mantenere e dimostrare, anche con i gesti formali, la differenza che vi è tra la Costituzione e il confronto normale tra maggioranza e opposizione, in questo momento, è del tutto dimenticata.

L e istituzioni sono comuni: è questo il messaggio costante che in quell’anno e mezzo è venuto da un’Assemblea costituente attraversata – lo ripeto – da forti contrasti politici. Per quanto duro fosse questo contrasto, vi erano la convinzione e la capacità di pensare che dovessero approvare una Costituzione gli uni per gli altri, per sé e per gli altri. Questa lezione e questo esempio sono stati del tutto abbandonati. Oggi, voi del governo e della maggioranza state facendo la “vostra” Costituzione. L’avete preparata e la volete approvare voi, da soli, pensando soltanto alle vostre esigenze, alle vostre opinioni e ai rapporti interni alla vostra maggioranza. Il governo e la maggioranza hanno cercato accordi soltanto al loro interno, nella vicenda che ha accompagnato il formarsi di questa modifica, profonda e radicale, della Costituzione.”

Parole nette, dure come pietre che suonano nettamente contrastanti con ciò che un presidente del consiglio, espressione di una maggioranza di un parlamento di “nominati”, eletti con una legge incostituzionale, va predicando incessantemente ogni giorno, nel dominio assoluto dei media, ormai riducendo la sua funzione  più a quella di  capo del partito del SI che a guida dell’esecutivo.

Contro questa deriva autoritaria e per la difesa della sovranità popolare i Popolari veneti e dell’Italia si batteranno a sostegno delle ragioni del NO nel referendum del prossimo 4 dicembre.


Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net 


Padova, 17 Novembre 2016


Le delusioni dei popolari del Veneto

 

Crisi al comune di Padova e reazione annunciata a Venezia della Lega contro il sindaco Brugnaro che ha scelto il SI al referendum a favore di Renzi.  Immediata la replica di Flavio Tosi, già “leghista democristiano” e da noi popolari per questo sostenuto alle elezioni regionali,  convertitosi sulla strada di Roma al verbo renziano, con la promessa o di una deroga al terzo mandato da sindaco a Verona o di un posto sicuro nel prossimo parlamento.

 

Con il manipolo dei suoi “transumanti” del trasformismo parlamentare, il sindaco di Verona ha fatto la sua scelta di campo per la quale noi Popolari del Veneto non potevamo che dissociarci, dopo che, proprio sulla scelta del NO al referendum del 4 Dicembre, tanto a livello nazionale che a quello regionale, abbiamo raggiunto l’unità di tutte le diverse frazioni della galassia ex DC.

 

Tosi, dopo la crisi aperta al comune di Padova, ha reso all’Ansa la seguente dichiarazione:

"L'atteggiamento di Salvini nell'ambito del centrodestra sta portando i suoi effetti: rottura dei rapporti con gli alleati, incapacità di amministrare, credo che Berlusconi si stia rendendo conto che una Forza Italia suddita della Lega non va da nessuna parte". Così il sindaco di Verona e leader di 'Fare!', Flavio Tosi, analizza la crisi dell'amministrazione di Padova, con la caduta della giunta Bitonci. "Berlusconi - prosegue Tosi - non può lasciare la leadership del centrodestra ad un demagogo, populista e arrogante, e in questo Bitonci è pari-pari il Salvini di Padova. Ha fatto l'arrogante con la sua maggioranza, cosa che un sindaco non può fare, perchè il capitano della squadra, non è il dittatore". Tosi non crede poi alle minacce di 'rappresaglia' politica in Regione Veneto fatte dal segretario del Carroccio, Da Re, all'indirizzo di Forza Italia: "Da Re - dice - incarna in pieno il populismo salviniano, di chi la spara più grossa. Ci sarà il contrordine, perchè altrimenti cade anche Zaia".

 

Una nota che ben si addice allo stesso Sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, per il quale noi Popolari veneziani ci siamo fortemente spesi a sostegno della sua elezione, ma che, come molti dei suoi elettori, dopo diversi mesi dal suo insediamento siamo profondamente delusi del suo operato.

 

Quanto ad arroganza, Brugnaro, credo non sia inferiore ad alcuno, come ben sperimentano i suoi assessori costretti al silenzio forzato e alle continue minacce di sanzioni. Strana figura quella di Brugnaro, che confonde il suo ruolo di Sindaco con quella di Amministratore delegato della sua azienda, e il suo ruolo politico con quello riconducibile alla sua “libertà personale”.

 

Nel primo caso è convinto di poter trattare i suoi assessori e consiglieri comunali, così come la dirigenza comunale, alla stregua dei suoi dipendenti aziendali; col bel risultato di inimicarsi quelli e questi, rendendo nulla la sua comunicazione con la cittadinanza, alla quale riserva l’esclusiva di tavoli di consultazione su invito, ridotti a ripetitive e inutili passerelle per la sua auto promozione referenziale senza contraddittorio.

 

Nel secondo, cosa assai più grave per un aspirante leader nazionale, il nostro “ Berlusconi della laguna”, ritiene senza alcun fondamento, di poter togliersi la responsabilità della sua funzione amministrativa e politica, compiendo un gesto di sostegno a favore di Renzi con il suo SI pronunciato alto e forte a nome “della sua libertà personale”.

 

Se su un tema come quello delle regole fondamentali che reggono la Repubblica, l’arch. Brugnaro ha tutta la libertà di pensarla come meglio crede, come Sindaco di Venezia, capo di una coalizione politico amministrativa di una delle città metropolitane più importanti dell’Italia, la sua scelta non può non produrre effetti sul piano politico.

 

Non so cosa accadrà con la Lega, con la quale noi Popolari veneti, pur nell’autonomia e distinzione delle nostre scelte, abbiamo condiviso la stessa battaglia a sostegno del NO, ma certo con noi che abbiamo sostenuto Brugnaro alle elezioni amministrative, il periodo dell’attesa si è concluso.

 

Delusi sul piano delle mancate risposte alle tante promesse fatte in campagna elettorale, sordo a ogni sollecitazione che da diverse parti abbiamo rivolto alla sua amministrazione, dopo la sua decisione politica di scelta a favore dell’area renziana, la nostra fiducia nei suoi confronti si è definitivamente consumata.

 

Ripartiremo dall’unità raggiunta dai Popolari veneziani e veneti per il  NO al referendum per costruire la Federazione dei Popolari veneti e con essa concorrere con quanti, condividendo la stessa scelta istituzionale, sono pronti a realizzare nuovi equilibri politici a Venezia, come nel Veneto e a Roma, a difesa della sovranità popolare e per garantire agli elettori il ruolo di cittadini e non di sudditi di improvvisati leaderini locali senza cultura politica e di  un leader nazionale catapultato al potere con metodi distinti e distanti da quelli propri della nostra democrazia.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 14 Novembre 2016

 



La supremazia della politica


Grandi gli Stati Uniti d’America,  capaci di svolte profonde nei momenti cruciali della loro e della nostra storia. Fu così nel 1933 quando, dopo la drammatica crisi del 1929, causa non ultima dell’avvento del nazismo in Germania, seppero approvare la  Glass Steagall Act che pose fine alla finanza creativa del tempo, separando nettamente le attività commerciali delle banche da quelle finanziarie.

 

E lo fa ora con il voto dell’8 Novembre, nella stessa data della caduta del muro di Berlino del 1989, con la vittoria di Donald  Trump alle elezioni presidenziali.

 

Solo le “intellinghezie ideologiche” e  socialmente condizionate potevano essere rassicurate dai media e dai sondaggi e  dalle “profezie che si autodistruggono”, che assicuravano della vittoria sicura di Hilary Clinton, espressione della continuità dell’establishment politico dominante, contro quell’estraneo e anomalo soggetto di Donald Trump, immediatamente bollato come “unfit”, inadatto ad assumere il ruolo di comandante in capo del più grande impero del mondo. Stanotte, contro tutte le previsioni, Donald Trump ha vinto conquistando con la Casa Bianca il controllo maggioritario del Congresso americano.

 

Considero questo risultato come  la riaffermazione del principio del NOMA ( Non Overlapping Magisteria) ossia la ripresa del ruolo finalistico della politica che, contro la subalternità impostale dalla finanza che pretende di assecondarla ai suoi fini insieme all’economia, ha segnato la rivolta pacifica e democratica delle classi popolari sempre più emarginate e lateralizzate.

 

Con un ceto medio e una classe operaia ridotti a subire tagli nei posti di lavoro e riduzione degli stipendi e dei salari in alcuni casi sino al 40-45%, il sogno americano non poteva che tornare a fare i conti con la dura realtà popolare che nel segreto dell’urna, contro tutto e contro tutti, ha fatto valere le ragioni della democrazia.

 

E’ la sconfitta bruciante della casta e dei partiti che, in America come in Europa sono sempre più lontani dal sentir medio della gente;  é il crollo del sistema di governance fasullo derivante dal superamento della Glass Steagall, non a caso, decretato proprio da Bill Clinton il 12.11. 1999, premessa per il via libera al turbo capitalismo finanziario  che in larga parte del mondo detta le sue leggi e impone o tenta di imporre le sue regole e  governanti proni ai suoi desiderata.

 

Contro la casta e grazie alla persistenza della democrazia americana, si è avuta la ribellione attiva dei diversamente tutelati, assai meno diffusi negli USA rispetto ai garantiti del welfare europeo, e dei rappresentanti del ceto medio produttivo delle città e della campagna americana, finendo col far prevalere la bilancia a favore di una novità estranea al sistema consolidato del potere USA che ha cercato in tutte le maniere di delegittimarla.

 

Il primo discorso pronunciato dopo l’annuncio della sua vittoria da parte di Trump, non a caso ha fatto riferimento alla condizione degli emarginati e degli esclusi; un autentico discorso di classe, annunciando il ritorno a quelle politiche espansive e di forti investimenti in opere pubbliche, che hanno fatto immediatamente pensare alle politiche keynesiane che Franklin Delano Roosvelt adottò per superare la crisi del 1929, preoccupato di garantire a tutti una sicura occupazione.

 

Calato nel suo ruolo di Presidente degli USA, Trump ha reso l’onore delle armi alla sua rivale, annunciando che “sarà il presidente di tutti gli americani e si impegnerà a trovare accordi con tutti coloro che nel mondo vorranno fare accordi con gli Stati Uniti d’America”.

 

Giunge dagli USA una diversa musica in materia di politica economica con obiettivi che sarà bene si comincino a perseguire anche in casa nostra.

 

Spiace che Renzi nel suo discorso alla Leopolda abbia usato quell’infelice espressione augurale “ speriamo che sia una femmina”, dovendo immediatamente rincorrere dopo il voto americano la legge ferrea impostagli dalla nuova realtà, mentre non ci dispiace affatto che questo risultato sia giunto indigesto al sicuro partente ambasciatore USA in Italia che, sulla scia della JP Morgan e delle sette sorelle finanziarie americane, tutte schierate con Wall Street a favore della Clinton, non ha trovato di meglio che di impicciarsi negli affari italiani con quel suo indigesto e illegittimo endorsement a favore del SI al prossimo referendum.

 

Negli USA ha vinto la democrazia e la sovranità popolare liberamente espressa, quella stessa che qualcuno vorrebbe ridurre nel nostro Paese; un disegno contro il quale sono certo si alzerà forte e chiaro il NO dei cittadini italiani che non intendono ridursi alla condizione di sudditi dei poteri finanziari interni e internazionali.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 9 Novembre 2016



E’ maturo il tempo della Federazione dei Popolari veneti

 

L’unità raggiunta a livello nazionale dai Popolari nel comitato dei Popolari per il NO al referendum, dopo i molti tentativi falliti nella ricerca di un’unità politico  organizzativa per la ricomposizione dell’area popolare, rappresenta la tappa più significativa di un processo destinato a garantire l’offerta di una cultura politica quanto mai necessaria all’Italia.

 

Nella situazione di crisi istituzionale, politica, culturale, economica e sociale in cui versa il Paese, dominato da un trasformismo parlamentare senza precedenti ( 235 parlamentari traghettati da una sponda all’altra degli schieramenti in meno di due anni!) con un Parlamento votato con una legge elettorale non costituzionale, costituito da parlamentari non scelti dai cittadini, che ha eletto, per disperazione e senza alternativa, un presidente della repubblica in deroga all’art.85 della Costituzione e un presidente del consiglio appoggiato da un’alleanza votata da nessuno, il cui nome non era indicato in nessuna scheda elettorale, che aveva giurato di non diventare mai presidente del consiglio senza passare dalle urne, o si ridà spazio alle culture politiche che hanno contribuito a far grande l’Italia o ci si riduce alla condizione di anomia propria di questa triste stagione politica.

 

La situazione è aggravata dalle decisioni assunte da questo governo e da questo parlamento con la silente complicità dei due presidenti della repubblica che si sono succeduti al Quirinale, con l’avvenuta approvazione di una riforma della Costituzione “casualmente” assai simile al progetto del Venerabile maestro della P2, Licio Gelli, in cui è creato un senato di immuni non eletti da nessuno, un aumento delle firme necessarie ai cittadini per fare leggi o referendum, un capo della maggioranza che controlla anche la magistratura.

 

Un progetto di riforma che diminuisce l’autonomia delle regioni virtuose come il Veneto, ma si lasciano i privilegi alle regioni a statuto speciale come la Sicilia e che con il combinato disposto dell’Italicum crea le condizioni per un regime nelle mani di pochi; un progetto che tra poche settimane verrà sottoposta al giudizio degli elettori con una scheda fuorviante dai quesiti imbroglioni.

 

Se sino ad oggi le incomprensibili divisioni avevano impedito di trovare un punto di equilibrio e di condivisione tra le diverse schegge in cui si era andata suddividendo la galassia ex DC e dei popolari italiani, quando è apparso evidente il tentativo innescato dal prevalere degli interessi dei poteri finanziari internazionali di sovvertire con la rigidità della Carta costituzionale, la stessa realtà democratica che ci ha permesso di convivere civilmente per settant’anni, è accaduto il miracolo dell’unità dei Popolari per il NO al referendum di dicembre.

 

Proprio da lì intendiamo ripatire, in Italia come nel Veneto, interessati a concorrere alla nascita di una Federazione veneta dei Popolari che metta insieme le diverse esperienze che a livello istituzionale e politico culturale sono presenti e vive nella nostra realtà regionale.

 

Lo faremo noi dell’associazione Liberi e Forti, con  gli amici del Nuovo CDU, gli amici dei Popolari per l’Italia, e di quanti vorranno concorrere con tutti noi a ricostruire l’area dei popolari del Veneto.

 

Stella polare della nostra iniziativa: l’offerta di una cultura politica ispirata ai valori della sussidiarietà e della centralità della persona e dei corpi intermedi, traduzione nella “città dell’uomo” dei principi della dottrina sociale cristiana, quanto mai indispensabili in questa età del predominio di un turbo capitalismo finanziario che pone la finanza a dettare i fini, subordinando ad essa l’economia e la politica, con la volontà di distruggere le fondamenta stesse della democrazia, così come l’abbiamo vissuta noi, prima generazione della Repubblica italiana.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 3 Novembre 2016

 

 

 


Tina Anselmi la nostra staffetta partigiana DC

 

La scomparsa di Tina Anselmi crea in tutti noi “ DC non pentiti”, che abbiamo avuto l’opportunità di conoscerla, un sentimento di dolore e il ricordo di una persona che è stata parte importante della storia del nostro partito nel Veneto e in Italia.

 

Da sempre schierata sulle posizioni dell’On Aldo Moro e di Benigno Zaccagnini, Tina Anselmi ha rappresentato per molti di noi, più giovani, una figura esemplare di donna, di cattolica e di democratico  cristiana che seppe vivere la sua esperienza politica in conformità ai valori propri del cattolicesimo democratico e del popolarismo dei veneti.

 

Appassionata sostenitrice delle ragioni che la videro quasi sempre in alternativa al doroteismo e di quanti nella DC, negli ultimi anni ’80, avevano assunto  comportamenti e azioni assai poco commendevoli, Tina seppe sempre far sentire la sua voce autorevole nelle riunioni dei comitati regionali del partito e nel consiglio nazionale della DC.

 

Una voce assai rispettata in un arco ampio di forze politiche, che vedevano nella ex staffetta partigiana “ Gabriella”, inserita a pieno titolo nella brigata partigiana di Gino Sartor, prima donna ministro del lavoro e poi della sanità dell’Italia,  presidente della commissione d’indagine sulla P2 di Licio Gelli, una sicura garanzia di equilibrio e di tolleranza per tutti.

 

Quante volte nei nostri incontri, spesso scambiando il mio cognome con quello di “Bonalumi”, che era stato il mio delegato nazionale nei gruppi giovanili della DC, mi  ha sollecitato all’azione; specie in quelle fasi della vita interna del partito, nelle quali le posizioni di Forze Nuove, la corrente in cui militavo, erano convergenti (il che accadeva pressoché sempre, visto il ruolo che Donat Cattin sempre svolse verso Aldo Moro prima e Zaccagnini poi) con quelle del gruppo moroteo. Posizioni che dovevano confrontarsi sistematicamente con quelle maggioritarie dei dorotei veneti guidati da Tony Bisaglia e Mariano Rumor.

 

La scelta del “premabolo”(XIV Congresso della DC-febbraio 1980) , fu il momento nel quale le nostre posizioni si differenziarono, divisi sull’interpretazione ex post, che Moro avrebbe dato nella ripresa della collaborazione tra la DC e il PSI di Craxi.  Noi di Forze Nuove, sollecitatori di quel re-incontro e una parte dei nostri amici, Guido Bodrato in testa, con gli altri ex morotei Belci, Salvi e Pisanu, favorevoli alle posizioni di De Mita di apertura alla collaborazione con il PCI di Berlinguer.

 

Non venne mai meno, tuttavia, il rispetto e la collaborazione nel reciproco riconoscimento dei valori di riferimento sui quali fondavamo la nostra testimonianza politica nella “città dell’uomo”, convinti com’eravamo di apportare entrambi un positivo e disinteressato contributo alla vita del partito.

 

Un rispetto che mi portò, in un momento difficile della vita interna della DC veneta, allorché tra “i due Carlini”, Carlo Bernini da una parte per i dorotei e Carlo Fracanzani, dall’altra, per le sinistre anti preambolari, a proporre come momento di soluzione a una difficoltà intervenuta nel comitato regionale DC nella scelta del segretario del partito, proprio la candidatura di Tina Anselmi a quel ruolo.

 

Prevalsero le difficoltà di una lunga stagione di contrapposizioni  in terra  trevigiana che impedirono a Carlo Bernini di accettare quella proposta, mancata la quale, ci toccò in sorte la lunga e travagliata stagione dell’illegittimo dominio sul partito di Rosy Bindi.

 

Quante volte ho ricordato al compianto Bernini la gravità di quell’errore politico, convinto com’ero e come sono tuttora, che ben altra storia si sarebbe vissuta nella DC veneta, se, al posto della “pasionaria di Sinalunga”, avessimo avuto la nostra staffetta partigiana castellana, irriducibile sui principi, ma di una fedeltà e amore ai valori dello scudo crociato e al popolarismo dei veneti senza limiti.

 

La voglio ricordare così Tina, donna fiera e appassionata, sempre pronta a combattere per “ le attese della povera gente”, sapendo coniugare i valori cristiano sociali della sua lunga militanza sindacale con quelli della giustizia e della libertà vissuti nel periodo della clandestinità partigiana.

 

Ettore Bonalberti


Venezia, 1 Novembre 2016

 

 


Lo strapotere della Finanza sulla Politica e sulla Democrazia dei Popoli

http://m.ilgiornale.it/news/2016/10/21/referendum-i-no-in-testa-fitch-ricatta-litalia-rivisto-al-ribasso-lout/1321990/

Dopo JP Morgan anche Fitch Rating international ricatta gli Italiani se voteranno NO. Ma chiediamoci perché i grandi sistemi finanziari vogliono che si vada verso l'eliminazione di Diritti sostanziali della Sovranità Popolare che sono presenti nell'attuale Costituzione della Repubblica italiana?  Perché è forte il timore che il popolo italiano si riappropri della Sovranità Popolare votando NO al Referendum della Legge Renzi&Boschi&Alfano&Verdini. Perché è forte il timore che dopo con nuove elezioni, una nuova classe dirigente onesta, competente e non compromessa con sistemi di corruzione, "mafia e ndrangheta" possa vincerle e questa volta possa applicare la Costituzione  più bella del mondo.
In pratica ritorneremmo all'equilibrio del principio del N.O.MA. (Non Overlapping Magisteria): la Politica che fissa gli obiettivi, l'Economia e la Finanza solo strumenti della Politica per raggiungerli e l'Etica regolatrice con alcuni valori condivisi dalla maggioranza reale del popolo. Purtroppo ciò non accade  da quando Bill Clinton cancello' la Legge Steagall Glass Act che impediva alle banche di fare attività speculativa finanziaria e di stampare carta moneta virtuale che oggi ha invaso il mondo (in circolazione oltre 20 volte il PIL di tutti i Paesi).
Ecco perché la politica è diventata succube della Finanza e la democrazia rischia di rimanere una parola vuota, sostituita da una ristretta oligarchia che sceglie l'uomo al comando di un Paese che obbedisce ai comandi ricevuti e non al popolo sovrano. Ecco perché Renzi, Hilary Clinton.....per garantire lo stretto controllo sociale e ridurre la libertà e i diritti dei cittadini che ritornerebbero ad essere dei sudditi, come nei regimi dittatoriali, ma in un modo più sistematico, con metodi più avanzati da un punto di vista tecnologico.

Antonino Giannone

Vice Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)

Comitato Scientifico della Confederazione Popolare

Milano, 22 Ottobre 2016



Nuovi scenari  dopo il voto del referendum

 

Scrive Mauro Mellini nella sua “Renzeide”:

 

DUE STRADE PAR CHE S’APRANO
PER RENZI L’IMBROGLIONE:
FARSI METTERE ALL’ANGOLO
OPPURE LA SCISSIONE

 

Effettivamente, al punto in cui si sono mese le cose in casa del PD, la prospettiva di una scissione di quel partito non è più una semplice ipotesi, magari riconducibile a quella sin qui assai modesta consumata dallo strappo di Beppe Civati.

 

Se al referendum del 4 Dicembre vincesse il SI, l’entrata del gruppo Verdini al governo sarebbe la naturale conseguenza politica di quel voto;  premessa per l’avvio di quel Partito della Nazione che trova tra i suoi sostenitori il “Pierfurby nazionale”, campione di tutti i corsi e ricorsi della politica: Pierferdinando Casini, capace persino di rompere ciò che resta della sua UDC e in netta alternativa a tutti i popolari ed ex DC finalmente riuniti nel comitato popolare per il NO presieduto dall’On Giuseppe  Gargani.

 

E così una delle figure più " controverse " del panorama politico italiano, quella di Denis Verdini,  che per di più ha appena concluso un'alleanza con Zanetti, che frutterà ai due un extra finanziamento di oltre 800.000 euro per il nuovo gruppo parlamentare, entrerebbe a pieno titolo nella maggioranza di governo. La sublimazione del valore del trasformismo politico a suggello di quella fase oscura della vita politica italiana avviata dal “golpe blanco” di Napolitano nel Novembre 2011, in piena sintonia con la volontà dei poteri forti finanziari  internazionali.

 

Sull’avvenuta formazione del gruppo parlamentare Maie-Ala è intervenuto, prima con una mozione alla Camera e poi con una lettera a Laura Boldrini,  proprio l’On Pippo Civati, denunciando la deroga concessa dalla Presidenza della Camera per la creazione del gruppo Maie-Ala di Verdini e Zanetti. Civati sostiene che “ non dovrebbe essere concesso a Renzi di usare il pallottoliere e stravolgere le regole “per rafforzare la sua maggioranza”.

 

D’altronde, non è proprio grazie al gruppo dei transumanti del trasformismo parlamentare guidato da Verdini, che ha potuto contare Renzi al Senato per far passare tutte le decisioni del governo, compreso lo stravolgimento della Carta Costituzionale con il suo progetto di riforma-deforma su cui voteremo il 4 dicembre prossimo?

 

Con  l’ingresso ufficiale  e formale di Verdini nella maggioranza renziana, ossia di un parlamentare “  condannato per corruzione” ( questo sarebbe il prezzo politico da pagare ai neo centristi e civici d’antan) è prevedibile che, se non accadrà già prima, per la divisione tra i PD nel voto al referendum, subito dopo quel voto, un terremoto politico si verificherà non solo in quel partito, ma nell’intero sistema politico italiano.

 

E a quel punto la presunta maggiore governabilità assicurata dalla deforma renziana, promessa già menzognera, se solo si desse corretta e assai difficile interpretazione all’astruso rebus dell’art 70 nella nuova vulgata etrusca della Carta, diventerebbe una fantasiosa chimera.

 

Si sostiene, non senza fondamento, che sul fronte del centro-destra non sarebbe pronta un’alternativa credibile alla leadership renziana. Triste destino per quel popolo e quello Stato che fosse privo di alternative  a “ un uomo solo al comando”! Credo, invece, che, come  sempre è avvenuto, una soluzione politico istituzionale si troverà coinvolgendo innanzi tutto le componenti che già si sono schierate per la difesa della Costituzione e per il NO al  voto di Dicembre.

 

Bisognerà partire proprio da quell’unità di intenti ritrovata tra diverse culture politiche, per concorrere a costruire il nuovo scenario politico italiano, che assuma come elemento qualificante: l’attuazione finalmente concreta e integrale di quanto indicato nella nostra Costituzione.

 

Questo è l’obiettivo che ci poniamo  come Confederazione Sovranità popolare, cui abbiamo aderito e partecipiamo nel consiglio direttivo, e che perseguiremo dopo la vittoria del NO al referendum del 4 Dicembre.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 16 Ottobre 2016

 


Giuramento sulla costituzione e  giuramento massonico: a chi prestare fede?

 

E’ dal 1981 che il tema dell’incompatibilità  tra il giuramento sulla costituzione e il  giuramento massonico è oggetto di alcune mie riflessioni.

 

Come è noto il 17 Marzo 1981 i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone di Milano, nell'ambito di un'inchiesta sul presunto rapimento dell'avvocato e uomo d'affari siciliano Michele Sindona, fecero perquisire la villa di Gelli ad Arezzo ”Villa Vanda” e la fabbrica di sua proprietà (la "Giole" a Castiglion Fibocchi presso Arezzo – divisione giovane di "Lebole"); l'operazione, eseguita dalla sezione del colonnello Bianchi della Guardia di Finanza scoprì fra gli archivi della "Giole" una lista di quasi mille iscritti alla loggia P2, fra i quali il comandante generale dello stesso corpo .

 

Il Presidente del Consiglio Arnaldo Forlani il 21 maggio 1981, rese pubblica la lista degli appartenenti alla P2, che comprendeva i nominativi di 2 ministri allora in carica (Enrico Manca, PSI e Franco Foschi, DC) e n. 5 sottosegretari (Costantino, PSDI; Pasquale Bandiera a, PRI; Franco Fossa, PSI ; Rolando Picchioni, DC e Anselmo Martoni, PSDI, quest'ultimo - peraltro - citato come "in sonno", cioè dimissionario.

 

Fu in quel lasso di tempo, che intercorse tra la data di pubblicazione degli elenchi e l’avvio della commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dall’On Tina Anselmi (Dicembre 1981),  che l’On Carlo Donat Cattin mi diede l’incarico di redigere alcuni articoli per la rivista

“ Terza Fase” della corrente DC, Forze Nuove, sul fenomeno della massoneria e in particolare della Loggia P2.

 

Quegli articoli sono contenuti in alcuni numeri di quella rivista, oggi agli atti d’archivio della Fondazione Donat Cattin di Torino. Ciò che evidenziai in quell’inchiesta era l’assoluta incompatibilità tra il giuramento massonico cui sono tenuti gli affiliati alle logge più o meno coperte che siano, con quello che ogni funzionario pubblico, dal più basso in grado sino al Presidente della Repubblica, deve compiere come atto di fedeltà agli articoli della Costituzione italiana.

 

Fu proprio su quell’evidente incompatibilità che, insieme a Luigi Granelli, proponemmo e riuscimmo a far passare a larga maggioranza, in una riunione animata del Consiglio nazionale della DC, l’incompatibilità statutaria tra l’ iscrizione alla DC e quella alla massoneria. Un’incompatibilità che rimase scritta a chiare lettere sino all’ultima edizione dello Statuto del partito.

 

Come è noto su diversi quotidiani italiani dal Novembre 2013 in poi : Paolo Bracalini-29.11.013: “Urss, Kissinger, massoneria. Ecco i misteri di Napolitano”; Adriano Scianca su www.intelligonews.it del 19 novembre 2014: “Renzi, Berlusconi,Napolitano e la super massoneria nel libro choc di Magaldi. Ma quanto è vero?”; Gianni Barbacetto e Fabrizio D’Esposito su “il Fatto Quotidiano” del 19.11.2014: “Massoneria, libro chock del gran maestro Magaldi: “ Ecco i potenti nelle logge”; Nicola Mente, 20 Novembre 2014 in www.glistatigenerali.com: “Renzi,De Bortoli, Napolitano, Draghi: massoni e para-massoni secondo Magaldi”; “Libero”, 13 Gennaio 2015: “ Giorgio Napolitano massone affiliato alla loggia Three Eyes: l’ultima accusa al Capo dello Stato”.

 

Insomma tutti prendono spunto da un libro pubblicato dalla casa editrice Chiarelettere, azionista del Fatto nel quale Magaldi rivela l’esistenza di 36 superlogge massoniche che dominerebbero il mondo. Tra queste anche la “ Three Eyes”che conta, scrive Magaldi,tra gli affiliati Napolitano. La senatrice del M5S, Laura Bottici,  intervenendo in aula al Senato a conclusione della  372^ seduta pubblica, lunedì 12 gennaio 2015, poneva questa domanda che trascrivo dagli atti del Senato:

 

“Signor Presidente, il 20 novembre 2014 è uscito un libro molto interessante del grande maestro Magaldi, fondatore del Grande oriente d’Italia democratico, intitolato: «Massoni». L’autore afferma – con tanto di foto in bella vista che per vostra informazione vi faccio vedere

(La senatrice Bottici mostra una pagina del libro contenente delle foto)che il nostro attuale Presidente della Repubblica é affiliato alla loggia massonica segreta sovranazionale aristocratica reazionaria Three Eyes.

Mi chiedo come mai il Presidente non abbia mai smentito ufficialmente il grande maestro Magaldi, quando noi parlamentari dobbiamo pure fare attenzione a nominarlo in queste Aule.

Noto però che dopo l’uscita del libro si è iniziato a parlare di dimissioni del presidente Napolitano, ci sarà un collegamento? Boh. Forse si sarà reso conto che aver avallato tre Governi (Monti, Letta e Renzi) non eletti dai cittadini non è una buona pratica democratica.

Chi può darci assicurazione che in questi anni il Presidente abbia agito nell’interesse della Repubblica italiana e non nell’interesse della loggia segreta sovranazionale a cui sembrerebbe affiliato, un avvocato, un giudice?”

E ancora la sen Bottici si domandava: «Come mai i giornali, le televisioni non aprono una discussione politica in merito? Perché tale argomento è considerato un tabù? Vero è che in queste aule ormai siamo abituati a tutto ... compreso avere un ex presidente del Consiglio, fortunatamente per ora ancora senza agibilità politica, affiliato alla loggia massonica illegale ed eversiva P2 con tessera n. 1816». La senatrice così continuava:

«Nel caso della P2 si è fatta una commissione d'inchiesta ... per questa vicenda il futuro senatore a vita Napolitano invece spero trovi il tempo di spiegare a tutti i cittadini l'intera vicenda, con una conferenza stampa oppure direttamente da quest'aula con la sua voce, visto che per ora lui ha ancora l'agibilità politica. I suoi futuri colleghi e i cittadini attendono con ansia», ha concluso la Bottici.

 

Insomma il dilemma che si poneva e si pone: fedeltà alla Costituzione o fedeltà al giuramento massonico? Nessuna risposta da parte dell’ex Presidente Napolitano, il quale, invece, continua ad ammonire consigli e a fornire istruzioni al giovane capo del governo, ma di quanto scritto su quel libro, ripreso dai media e dell’interrogazione della senatrice Bottici non si hanno notizie.

Chi tace non dice nulla, come ci insegnò il prof Trabucchi nel suo celebre trattato “ Istituzioni di diritto privato”,  ma sarebbe il tempo di conoscere la verità, meglio se dalla viva voce del suo protagonista.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia 11  Ottobre 2016

 



Lettera a Flavio Tosi di Ettore Bonalberti, dopo la sua scelta a favore del SI.

 

Caro Flavio mi spiace questa tua scelta a sostegno delle false rappresentazioni che sono proposte agli elettori con i cinque quesiti così come sono formulati nella scheda del referendum di controriforma del trio toscano.

 

Perché non dire la verità ai cittadini ed elettori e renderli edotti della realtà, facendo sapere che:

.    1)  La riforma costituzionale, annientando la garanzia costituzionale dell’art. 138 della Costituzione per le leggi di revisione costituzionale (doppio esame della legge da parte di due Camere di pari dignità), in collegamento con la legge elettorale (che dà la “maggioranza dei seggi” alla “maggiore minoranza”), consente al Governo di modificare l’intera Costituzione, facendo leva su una “maggioranza fittizia”, che non esprime affatto la volontà della maggioranza degli Italiani. In sostanza, sono violati i principi fondamentali dell’eguaglianza dei voti e della reale “rappresentanza politica”. La cosa è estremamente grave, poiché i Governi degli ultimi decenni hanno dimostrato di essere asserviti (come del resto la cosiddetta “troica”) ai voleri della finanza, la quale impone l’approvazione di leggi in proprio favore e contro gli interessi del Popolo (sanità, ambiente, ecc.). Lo si è già visto, da ultimo, con le leggi “Sblocca Italia”, “Jobs Act”, “Riforma della pubblica amministrazione”, le quali subordinano l’interesse alla tutela del diritto al lavoro, alla tutela della salute e alla tutela dell’ambiente, agli interessi dell’impresa, e cioè delle multinazionali. Si rende, in altri termini, legittima la subordinazione dei cittadini alla volontà del governo e la subordinazione di quest’ultimo alla volontà della “finanza” (multinazionali e banche).

.    2)  Tale riforma costituzionale, inoltre, che riguarda 47 articoli della Costituzione, realizza una nuova Costituzione, trasformando indebitamente il potere di revisione in un potere costituente, cosa che è vietata dal citato art. 138 Cost.

            -  Quali sono le argomentazioni ingannevoli dei promotori della riforma costituzionale Boschi-Renzi che anche tu difendi?

.                      1)  E’ falso affermare che si è realizzato un monocameralismo. Infatti il Senato resta, e ha compiti notevoli, mentre non dà la fiducia ed è formato da nominati e da eletti dai consigli regionali, ai quali viene, tra l’altro, assicurata l’immunità.

.                      2)  E’ falso affermare che questa riforma abbrevia i termini per la produzione delle leggi. E’ vero il contrario. Infatti sono previsti ben quattro tipi di procedure: a) leggi di competenza bicamerale; b) leggi il cui esame da parte del Senato può essere richiesto da un terzo dei suoi componenti; c) leggi di cui all’art. 81 Cost., che vanno sempre sottoposte all’esame del Senato, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data di trasmissione; d) leggi di attuazione dell’art. 117, quarto comma, che richiedono sempre l’esame del Senato e le cui modificazioni a maggioranza assoluta dei suoi componenti sono derogabili solo dalla maggioranza assoluta dei componenti della Camera.Lggere l’art 70 e 72  nella versione redatta da Concetto Marchesi su incarico dei padri costituenti (  198 parole comprensibili anche ai meno istruiti) contro le 870 parole della formulazione “etrusca”(incomprensibili agli  studenti di giurisprudenza di Roma cui sono state sottoposte come test) è un esercizio tragicomico da provare come si può ascoltando questa lettura comparata:
https://vimeo.com/174425339?ref=fb-share&1

.  3)  Inoltre, i conflitti di competenza sono risolti dai Presidenti delle due camere, che facilmente potranno non accordarsi mai, con l’aumento dei conflitti davanti alla Corte costituzionale.
4)  E’ falso, infine, affermare che si riducono i costi, poiché la struttura del Senato resta in piedi e il risparmio è minimo ed irrisorio: 50 milioni di euro contro gli oltre 550 milioni di euro di costo di gestione del Senato esclusi gli stipendi dei senatori

            Infine va ricordato che La riforma è innanzitutto illegittima perché votata da un Parlamento dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale la cui maggioranza drogata dal premio del “porcellum” è risultata inflazionata al Senato dall’apporto del voto dei “transumanti” mercenari del traspormismo parlamentare. Inoltre non c’è stato un dibattito che rappresentasse i diversi punti di vista degli Italiani e il Governo (cosa impensabile per una riforma costituzionale) è persino ricorso al voto di fiducia. La vigente Costituzione fu approvata con 453 voti a favore e 62 contrari. 
Per carità poi non scrivere che con la deforma essa : "Controlla e migliora il rapporto Stato/Regioni, togliendo poteri alle regioni inefficienti e sprecone e conferendo allo stato energia, infrastrutture e promozione turistica".
No caro Flavio: con il progetto Renzi-Boschi-Verdini non solo  distruggiamo il sistema dei pesi e contrappesi, ma  anche  il ruolo delle autonomie, a tutto svantaggio delle regioni a statuto ordinario, mentre, essendo il governo dell’inciucio ricattato dal voto dei rappresentanti delle regioni speciali, queste ultime non sono  state minimante toccate dalla controriforma. Con la clausola di supremazia espressamente prevista rischiamo di far valere anche istituzionalmente la “Legge di Gresham” valida in economia: la moneta cattiva scaccia quella buona. Le sanità veneta, lombarda, emiliana e toscana, le migliori del mondo, seppur nettamente differenziate tra di loro e che assegnano all’Italia, nel suo insieme, il 2° posto nel mondo ( mentre nei settori controllati e gestiti dallo Stato come scuola, giustizia, difesa siamo ben lontani nel ranking mondiale) perderebbero il loro livello e si avrebbe un allineamento al ribasso: il Veneto e l’Emilia come la Calabria e la Sicilia.
Un esempio lampante  la recente Legge Madia di riforma della P.A.: 28 pagine di G.U. di principi, illeggibile e difficilmente interpretabile, come l’art.70 del testo di controriforma e che, di fatto, stabilisce che i direttori delle ASL siano indicati con terne da Roma e non scelti a livello regionale.E’ questo che vuoi? E’ questo che insieme intendevamo perseguire con il progetto di macroregione del Triveneto?
Dulcis in fundo ti prego di ricordare che:

.                      La riforma non giova al Popolo, ma alle multinazionali ed alle banche, cioè alla finanza e ai mercati.
La finanza ed i mercati, come dimostra il Trattato transatlantico (TTIP) tra USA e UE e la CETA tra Canada e UE, vogliono cancellare le Costituzioni europee del dopo guerra ponendo al di sopra di esse il principio dell’assoluta libertà di commercio e di investimento, prevedendo che in caso di contrasto di questa libertà con le leggi degli Stati, decide un arbitro nominato e pagato dagli stessi investitori e commercianti; il quale avrebbe il compito di condannare gli Stati al risarcimento dei danni subiti da investitori e commercianti, a causa delle misure di salvaguardia della salute e dell’ambiente adottate dagli Stati stessi. Il che vuol dire che gli Stati, prima di proteggere la salute dei cittadini e l’ambiente devono mettere in conto la altissima probabilità di pagare insostenibili risarcimenti dei danni. 
E cosa non meno disdicevole:
 nella riforma costituzionale Boschi-Renzi è previsto il condizionamento della legislazione italiana ai VINCOLI EUROPEI su materie fondamentali come la moneta e il sistema valutario.

Ad oggi la DECISIONE SBAGLIATA di aderire all'area euro potrebbe essere corretta da un semplice voto del Parlamento.

Con la costituzione "riformata", invece, sarebbe addirittura necessario modificare di nuovo la Costituzione.

Una costituzione del genere non esiste in nessun paese libero del mondo, a parte le colonie che usano la moneta del paese-padrone.


.                      Descrizione: Macintosh SSD:Users:ettore:Desktop:PastedGraphic-1 2.pdf                        




.                       
Caro Flavio non so cosa ti abbia spinto a questa scelta per noi Popolari veneti assolutamente non condivisibile. Saranno le prossime settimane e mesi quelle nelle quali si renderà meglio comprensibile la tua decisione. Chiarezza reclama,tuttavia, che su questa scelta istituzionale dirimente si sappia esattamente da che parte stare: noi Popolari veneti siamo schierati, senza se e senza ma, a difesa della sovranità popolare e per conservare la nostra condizione di cittadini e non ridurci a quella subalterna di sudditi de “ il Bomba” di turno….
Cordialmente.


.                     


Ettore BonalbertiPresidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)

V.Presidente Comitato nazionale Popolare per il NO

componente del comitato di presidenza nazionale dei Popolari per l'Italia

Promotore del think tank:VENETO PENSA

Via miranese 1/A30171-Mestre-Veneziatel.

335 5889798

ettore@bonalberti.com

info@bonalberti.com

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

www.alefpopolaritaliani.it

euhttp://comitatopopolareperilno.it/,


.                       

            






Il Veneto si schiera compatto per il NO

 

Sale riunioni e auditorium stracolmi di cittadini nei primi due importanti incontri a sostegno del NO al referendum a Mestre e a Verona, dopo quella prima apertura organizzata degli amici popolari trevigiani il 29 Settembre scorso.

 

A Mestre, presso la sala del Centro Candiani di Mestre, pubblico delle grandi occasioni e sala strapiena, Lunedì 3 Ottobre, all’incontro organizzato dagli amici del Comitato per il NO, espressione dei simpatizzanti della sinistra e dell’ANPI. Il sen Felice Casson, senatore del PD, bersaniano, ha tenuto un’ottima relazione molto applaudita a sostegno delle ragioni del NO, smontando una per una le false tesi renziane della controriforma del trio toscano.

 

Analoga presenza massiccia di cittadini ed elettori presso l’auditorium della Gran Guardia a Verona, ieri sera, 5 ottobre, dove si è riunita la vasta galassia dei partiti e dei movimenti del centro destra veronese. Mille persone venute ad ascoltare il prof Luca Antonini, ordinario di diritto costituzionale dell’Università di Padova, in un dialogo con Stefano Filippi, giornalista de “ Il Giornale”.

 

Il Prof Antonini é il Presidente della Commissione Tecnica Paritetica per l’Attuazione del Federalismo Fiscale (Copaff), nominato nel 2009 dal Presidente del Consiglio dei Ministri allora in carica e confermato da quelli successivi.  Da giugno 2013 a marzo 2014 è stato Capo del Dipartimento per le Riforme istituzionali presso il Ministero per le riforme costituzionali. E' stato segretario, in tale veste, della Commissione dei Saggi per le Riforme costituzionali, presieduta dal Ministro Gaetano Quagliariello, ha partecipato ai lavori della Commissione e ha contribuito alla redazione della Relazione finale.

 

Proprio dall’esperienza di quest’ultimo incarico egli è partito, ricordando che Napolitano istituisce la Commissione dei Saggi per la riforma della Costituzione nella quale sono presenti, tra gli altri, Onida, Quagliariello, Mario Mauro, poi allargata a venti e nella quale partecipa anche Luca Antonini. Si stabilisce un clima unitario da assemblea costituente, ma il PD di Renzi non dà il via libera e  in direzione del partito  fa passare il licenziamento del governo Letta (“ stai sereno”) accusandolo di non fare le riforme.

 

E così, una riforma costituzionale che poteva passare con i 2/3 del Parlamento viene vanificata con un inganno e un killeraggio politico. Renzi riprende il testo già pronto per la sua approvazione e lo fa stravolgere da una schiera di scrivani incompetenti (vedi art.70 nella nuova versione illeggibile e difficilmente interpretabile, foriera di una sicura ingovernabilità) e siamo al referendum.

 

7 ex Presidenti della Corte costituzionale si schierano per il NO, ma  Renzi li irride, certo che il suo disegno su cui afferma di giocarsi la sua stessa sopravvivenza politica, prevarrà. Siamo di fronte, sostiene Antonini, a  una Costituzione di bassissimo profilo che divide e non unisce.

 

Quella del 1948, che ci ha garantito 70 anni di libera e civile convivenza democratica e che nel 2003 permise  all’Italia di situarsi  al 6° posto nella graduatoria delle potenze economiche nel mondo, viene stravolta con il cambiamento di 47 articoli su 139.

 

La riforma della commissione dei  venti, ricorda Antonini,  prevedeva 400 deputati e 200 senatori, questa 600 deputati e 100 senatori, con un senato ridotto al ruolo di una “suocera inascoltata che dà consigli non richiesti” (prof. Ainis)

 

Stravolge l’equilibrio tra i poteri con il combinato disposto dell’Italicum: elezione del Capo dello Stato, Corte costituzionale , CSM sono alla mercé della Camera, dove il PD ( almeno era e rimane nelle previsioni di Renzi) con 340 deputati ( il 30% di premio di maggioranza- De Gasperi aveva con “la legge truffa” un premio del 5% se avesse raggiunto il 50%+1 dei voti degli elettori) e 100 senatori derivati dalle Regioni, comuni e città , diventerebbe il dominus assoluto con “ un uomo solo al comando”. Insomma una deriva autoritaria pronta per terminare la svendita del Paese, già molto avanzata, ai poteri del turbo capitalismo finanziario mondiale che di questa richiesta di stravolgimento costituzionale, JP Morgan in testa, si sono fatti da tempo sollecitatori.

 

L’errore, secondo Chesterton, ricorda Antonini, “ è una verità impazzita”.

Il testo etrusco della controriforma renziana è una sommatoria di errori, ossia di  verità impazzite. Una falsa verità persino nella stessa formulazione dei quesiti referendari: con il SI e con il NO non scegliamo tra i cinque falsi quesiti rappresentati, ma cancelliamo e trasformiamo 47 articoli della “costituzione più bella del mondo”.

 

Si giustifica così il ricorso presentato al TAR da alcuni avvocati del movimento liberale e da alcuni parlamentari del M5S. Un’iniziativa che, come ha scritto il nostro V.Presidente ALEF, Prof Giannone: “legittima e da condividere unanimemente. Nella scheda elettorale si formulano 5 quesiti in modo che chiunque direbbe SI' se non si spiega il merito e il come si attuano quei quesiti. Ma ciò che è' più subdolo e' che si fa intendere che sono solo 5 gli articoli che si cambiano, mentre sono ben 47 articoli su 139!. Allora per chiarezza bisognerebbe pubblicare tutti i 49 articoli attuali e gli articoli che li modificano e/o lo sostituiscono. Ma se questa è' la verità, come si può fare un Referendum di un SI' o di un NO? Ma perché non chiederci perché Renzi&Boschi hanno avviato questo enorme pasticcio tra Italicum e Costituzione? È' quanto mai opportuno il detto: "cui prodest" perché' porterebbe chiunque, con il buon senso, all'indirizzo degli stessi Mandanti che hanno affondato la Grecia!”

 

E, prosegue, Antonini: con il progetto Renzi-Boschi-Verdini non solo  distruggiamo il sistema dei pesi e contrappesi, ma  anche  il ruolo delle autonomie, a tutto svantaggio delle regioni a statuto ordinario, mentre, essendo il governo dell’inciucio ricattato dal voto dei rappresentanti delle regioni speciali, queste ultime non sono  state minimante toccate dalla controriforma.

 

Con la clausola di supremazia espressamente prevista rischiamo di far valere istituzionalmente la “Legge di Gresham” valida in economia: la moneta cattiva scaccia quella buona. Le sanità veneta, lombarda, emiliana e toscana, le migliori del mondo, seppur nettamente differenziate tra di loro e che assegnano all’Italia, nel suo insieme, il 2° posto nel mondo ( mentre nei settori controllati e gestiti dallo Stato come scuola, giustizia, difesa siamo ben lontani nel ranking mondiale) perderebbero il loro livello e si avrebbe un allineamento al ribasso: il Veneto e l’Emilia come la Calabria e la Sicilia.

 

Un esempio lampante  la recente Legge Madia di riforma della P.A.: 28 pagine di G.U. di principi, illeggibile e difficilmente interpretabile, come l’art.70 del testo di controriforma e che, di fatto, stabilisce che i direttori delle ASL siano indicati con terne da Roma e non scelti a livello regionale.

 

Non è la velocità quello che conta nella produzione legislativa, conclude Antonini, tra gli applausi ( il sen Casson nel suo intervento a Mestre ha dimostrato, numeri alla mano, la capacità virtuosa sotto questo punto di vista delle nostre due camere) quanto la capacità di fare meno leggi ma fatte bene.

 

A Verona, dopo molti anni, il centro destra ritrova la sua unità alla vigilia del prossimo voto per il rinnovo del consiglio comunale, preso atto dello spostamento su posizioni renziane del sindaco Flavio Tosi, ormai lontano dal sentir medio dei veronesi. Anche a Mestre si è potuto verificare un ritrovarsi insieme delle diverse culture della sinistra democratica, premessa per un’evoluzione positiva della politica italiana.

 

Noi popolari veneti, in preparazione di un grande incontro degli amici democratico cristiani non pentiti e popolari liberali che ci sarà entro Novembre con il Presidente del comitato Popolare per il NO, On Giuseppe Gargani e con Mario Mauro, Carlo Giovanardi e Mario Tassone, stabilita un’ottima intesa sia con gli amici della Lega del Veneto che con quelli della sinistra per il NO, stiamo conducendo un’azione di positivo raccordo tra i rappresentanti delle diverse culture politiche scese in campo a sostegno del NO.

 

Dalle prime verifiche fatte a Treviso, a Vicenza, a Mestre e a Verona abbiamo avuto una positiva verifica che l’orgoglio costituzionale è tuttora presente nel DNA del Veneto popolare, liberale, socialista e riformista, considerata la numerosa presenza nei dibattiti di uomini e donne e di molti giovani. Il che fa ben sperare in un esito favorevole alle ragioni del NO nella nostra realtà territoriale.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 6 Ottobre 2016

 

 


Dichiarazione di Ettore Bonalberti,

Presidente dell’associazione A.L.E.F. ( Associazione Liberi e Forti)

 

 

“Se questi sotto elencati sono gli obiettivi del movimento “Alternativa per l’Italia”, ritengo ci siano tutti i presupporti per avviare una proficua collaborazione politico culturale.

Premessa indispensabile sarà il perseguimento del primo obiettivo indicato: ripristino delle originarie garanzie costituzionali. Ciò significa impegno unitario per votare e far votare NO al referendum del 4 Dicembre, contro la deriva autoritaria che il trio toscano Renzi-Boschi-Verdini intendono perseguire, su mandato dei poteri del turbo capitalismo finanziario, JP Morgan in testa, che utilizza quel “mezzano” di Tony Blair, consulente speciale della banca d’affari americana.

Sulle linee guida di Alternativa per  l’Italia  gli amici di A.L.E.F. sono interessati al confronto e a concorrere insieme alla costruzione del nuovo soggetto politico dopo il referendum, del 4 dicembre”.

 

Linee guida di Alternativa per l’Italia

  1. Ripristino delle originarie garanzie costituzionali.
  2. Perseguimento di politiche economiche tese al raggiungimento della piena occupazione.
  3. Priorità degli interessi del cittadino su quelli del sistema finanziario e dei potentati industriali nazionali ed internazionali.
  4. Primato del diritto nazionale su quello comunitario.
  5. Riscatto delle Sovranità nazionali perdute con il rispetto parimenti di quelle degli altri Stati.
  6. .Puntuale verifica delle normative europee in contrasto con l’interesse nazionale e conseguente abrogazione di quelle che risulteranno tali
  7. Rilancio della politica estera italiana al fine di perseguire ruoli attivi e non più passivi nello scacchiere internazionale con particolare attenzione all’area mediterranea.
  8. Abrogazione del pareggio di bilancio in Costituzione (art. 81).
  9. Istituzione di una Commissione d’inchiesta indipendente per la verifica dei comportamenti dei politici e dirigenti dello Stato in relazione all’adesione all’Unione Europea, all’euro e ai Trattati Internazionali e valutazione dei profili di tradimento.
  10. Uscita dall’Unione Monetaria con ripristino di una nuova moneta sovrana, con il supporto di una Banca Centrale Pubblica le cui quote siano detenute dai cittadini italiani e revisione del sistema giuridico bancario italiano con separazione fra banche commerciali e banche d’investimento (Glass-Steagall act).
  11. Abolizione privilegi della classe politica, iniziando dalla revoca dei Senatori a Vita.
  12. Ripristino del sistema elettorale proporzionale, abolizione del premio di maggioranza e delle liste bloccate al fine di ripristinare la piena rappresentatività del Parlamento.
  13. Ribilanciamento del ruolo di coordinamento e controllo dello Stato sull’economia. (artt. 41-47 Costituzione).
  14. Nazionalizzazione dei servizi pubblici essenziali e delle aziende d’interesse strategico nazionale.
  15. Politica industriale che ampli i settori di produzione in Italia.
  16. Ripristino legalità in tema di immigrazione clandestina e programmazione dei flussi migratori.
  17. Imposizione fiscale in funzione dell’effettiva capacità contributiva, cioè del reddito effettivamente prodotto, abolizione di Equitalia, costituzione Commissione d’inchiesta per appurare eventuali soprusi ed abusi dell’Agenzia dell’Entrate.
  18. Responsabilità diretta dei dirigenti per i propri atti d’ufficio, anche con la possibilità di licenziamento diretto e pagamento danni.
  19. Regolamentazione e disciplina del gioco d’azzardo, della prostituzione e dell’uso di sostanze stupefacenti.
  20. Tutela e sviluppo della cultura italiana, dall’arte alla letteratura, dalla musica al territorio, con particolare attenzione anche nei riguardi delle specificità e tradizioni locali.
  21. Riforma del sistema giudiziario italiano con separazione delle carriere tra Magistratura inquirente e giudicante.
  22. Collaborazione con tutte le altre forze politiche che perseguono gli stessi obiettivi.


Venezia, 4 Ottobre 2016

 

 


Quel  voto del 4 dicembre

 

Non so cosa accadrà dopo il referendum del 4 dicembre. So che, se vincesse il SI, la nostra condizione di cittadini si ridurrebbe a quella di sudditi e che tutto il potere passerebbe nelle mani del capo del partito che prenderà più voti, anche se, fosse  sostanzialmente minoritario nel Paese. Ecco perché, tra le altre ragioni, sono schierato apertamente per il NO a sostegno della sovranità popolare.

 

Considero, in ogni caso,  la scelta referendaria come lo spartiacque inevitabile rispetto a ciò che potrà accadere dopo quel voto.  Uno spartiacque tra chi, col SI, intende sottostare al dominio di “ un uomo solo al comando” e chi, viceversa, considera fondamentale l’attuazione, finalmente reale, dei principi e dei valori espressi dalla nostra Costituzione.

 

I concetti tradizionali di destra e di sinistra, nel clima imperante di deteriore trasformismo parlamentare e di sfarinamento di tutti i partiti tradizionali, sono obsoleti o, quantomeno, richiedono un aggiornamento e un’attenta verifica..

 

Cos’è rimasto di sinistra, o di socialista, in un PD renziano, ridotto a un Golem senz’anima e struttura e con una cultura politica ispirata da quel furbastro di Tony Blair, passato disinvoltamente dal ruolo di leader laburista britannico a quello di consulente della JP Morgan, una delle sette sorelle impegnate nel superamento delle “ costituzioni socialiste” del Sud Europa?

 

I problemi di conservazione dell’unità del PD, messi a dura prova dalla scelta referendaria, con D’Alema che ha scelto di guidare la schiera dei militanti di sinistra a sostegno del NO e con una minoranza interna costruita attorno a Bersani e compagni, aggrappati all’ultima speranza di un cambiamento improbabile della legge super truffa dell’Italicum, avranno la loro prova del nove proprio in base agli orientamenti che il popolo di sinistra assumerà nel voto del 4 dicembre prossimo.

 

Dalla parte dei costituenti: Togliatti, Terracini, Longo, Concetto Marchesi, o in quella ispirata dalle multinazionali finanziarie che fissano gli obiettivi   e riducono l’economia e la politica a un ruolo ancillare? Dalla parte “ delle attese  della povere gente”, come sosteneva La Pira, oppure di quella dell’alta finanza, di  Confindustria ed affini? Insomma con Marchionne e Boccia o dell’ANPI e della CGIL? Questo l’arduo dilemma che si presenterà al popolo tradizionale della sinistra.

 

A me fanno tristezza quei vecchi democristiani convertiti al verbo renziano, specie coloro che discendono dalla cultura politica dossettiana e morotea, fortunatamente minoritari nel PD, dimentichi di ciò che Dossetti, Lazzati, La Pira, Fanfani, Moro e Mortati, apportarono, con il loro contributo straordinario da “ Professorini” alla Costituente,  alla costruzione della nostra Carta Costituzionale.

 

Su come si ricostruiranno i soggetti politici  nello schieramento alternativo al renzismo, trattasi anche qui di una materia di ardua valutazione.

 

Il fronte sulla carta è nettamente composito e diverso, perché si va dagli amici della destra presidenzialista di Fini  a quelli della Lega,; da Forza Italia alle varie correnti cattoliche del centro, sino ai popolari finalmente riuniti attorno al NO; dal M5S alle diverse forze della sinistra unificate nel comitato del NO al referendum.

 

Noi Popolari dell’associazione Liberi e Forti  (ALEF) siamo molto interessati, non solo all’evoluzione che sta avvenendo nell’area liberal popolare con il  tentativo avviato da Parisi, ma anche a quello del triumvirato dei governatori del Nord: Zaia, Maroni e Toti.

 

Ci auguriamo che la scelta per il NO di Forza Italia sia veramente unitaria e forte come quella nettamente  espressa dall’on Brunetta, senza gli ammiccamenti ambigui dei soliti ambienti più direttamente collegati agli interessi del Cavaliere, ancora adesso sottoposto alle minacce e ai ricatti dei poteri forti di turno, politici e giudiziari.

 

Infine, e, soprattutto, siamo interessati a ciò che tra qualche giorno, il 9 ottobre, avverrà a L’Aquila, con l’assemblea della Confederazione di sovranità popolare: un passaggio essenziale per l’unità di tutti coloro che si riconoscono nella difesa della sovranità popolare e uniti  nella volontà di attuare integralmente e finalmente il dettato costituzionale.

 

Dal voto degli italiani del 4 dicembre dipenderà come questi processi, oggi allo statu nascenti, potranno concretamente evolversi nei successivi sviluppi organizzativi e istituzionali.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 28 Settembre 2016

 

 

 


Sulla verità del referendum: lucidissima analisi del Prof La Valle

 

Ho meditato la lucidissima relazione tenuta dal Prof Raniero la Valle a Messina, il 16 settembre scorso, a un dibattito sui temi del referendum, con la quale espone in maniera rigorosa le ragioni vere che stanno alla base della scelta operata dal governo Renzi di modifica della Costituzione del ’48.

 

Tale relazione credo rappresenti la più completa analisi delle motivazioni interne e internazionali che hanno sollecitato i governi occidentali a porre in essere i tentativi di superamento delle costituzioni rigide del dopoguerra.

 

La Valle, che fu il riferimento politico e culturale per molti di noi, giovani di Azione Cattolica, negli anni ’60 del Concilio, quando dirigeva il quotidiano dei vescovi “ L’Avvenire”, con Piero Pratesi, suo vice, ricorda in maniera esplicita i condizionamenti specifici della JP Morgan con il documento del 2013, in nome del capitalismo vincente, con cui indicava “quattro difetti delle Costituzioni (da lei ritenute socialiste) adottate in Europa nel dopoguerra: a) una debolezza degli esecutivi nei confronti dei Parlamenti; b) un’eccessiva capacità di decisione delle Regioni nei confronti dello Stato; c) la tutela costituzionale del diritto del lavoro; d) la libertà di protestare contro le scelte non gradite del potere. “

 

E, continua La Valle: “Prima ancora c’era stato il programma avanzato dalla Commissione Trilaterale, formata da esponenti di Stati Uniti, Europa e Giappone e fondata da Rockefeller, che aveva chiesto un’attenuazione della democrazia ai fini di quella che era allora la lotta al comunismo. E la stessa cosa vogliono ora i grandi poteri economici e finanziari mondiali, tanto è vero che sono scesi in campo i grandi giornali che li rappresentano, il Financial Times ed il Wall Street Journal, i quali dicono che il No al referendum sarebbe una catastrofe come il Brexit inglese. E alla fine è intervenuto lo stesso ambasciatore americano che a nome di tutto il cocuzzaro ha detto che se in Italia viene il NO, gli investimenti se ne vanno.”

 

Conclude La Valle: “Ebbene quelle richieste avanzate da questi centri di potere sono state accolte e incorporate nella riforma sottoposta ora al voto del popolo italiano. Infatti con la riforma voluta da Renzi il Parlamento è stato drasticamente indebolito per dare più poteri all’esecutivo”.

 

Condivido l’intera analisi formulata dal professore, che individua lo spartiacque nel mutamento strategico tattico operato dal governo italiano, a misura del nuovo ordine mondiale che si andava costruendo, nella relazione tenuta il 26 Novembre 1991 alla Commissione Difesa della Camera, di cui La Valle era componente, dal ministro della Difesa Virginio Rognoni, sul nuovo modello di Difesa.

 

Se questo è ciò che avvenne sul piano delle strategie politico militari del nostro Paese, credo che la relazione del prof La Valle, andrebbe integrata con l’altrettanto lucida analisi che ci fece nel 2013 il prof .Zamagni in un convegno di studio della DC, nel Gennaio 2013, all’abbazia di Sant’Anselmo a Roma.

 

Secondo Zamagni, prima del fenomeno della globalizzazione si era affermato e condiviso  il principio della divisione del lavoro sulla base del cosiddetto principio NOMA (Non Overlapping Magisteria) (Richard Whately) che, nel 1829, teorizzò la netta separazione  e non sovrapposizione tra etica, politica ed economia. Di qui derivò il concetto dominante che assegna alla politica il compito dei fini e all’economia quello dei mezzi per il raggiungimento di quei fini, entrambe comunque separate dall’etica secondo una visione iper-machiavellica. Tutto questo funzionò sino all’avvento della globalizzazione. Fenomeno quest’ultimo che non sorse spontaneamente dal mercato, ma fu determinato più o meno consapevolmente al G6 del 1975 a Rambouillet ( Italia presente come quinta economia mondiale dell’epoca!) nel quale si decise con atto politico di far partire il processo di globalizzazione, da non confondere con quello di internazionalizzazione presente sin dall’epoca antica. Con l’avvento della globalizzazione il principio del NOMA viene di fatto applicato in termini rovesciati: all’economia è assegnato il compito di decidere i fini e alla politica quello di scegliere i mezzi .

 

Da questo rovesciamento che assegna il primato finalistico all’economia, deriva la stessa scelta di Bill Clinton, pressato dalle sette sorelle (JP Morgan,Morgan Stanly e C.) detentrici del potere finanziario di superare la legge Glass Steagall del 1933 che seppe garantire equilibrio e sviluppo al mercato americano. Il superamento dell’obbligo di separazione tra attività di speculazione finanziaria e attività bancarie tradizionali deciso dal congresso americano e promulgata il 12 novembre 1999 da Bill Clinton diede il via libera ai fenomeni di speculazione finanziaria del mercato dei derivati e dei futures che saranno alla base della grave crisi finanziaria in cui tuttora ci dibattiamo dal 2007.

 

Solo agli inizi del 2013  negli USA fu introdotta la nuova norma Volcker dal nome dell’ex presidente del Federal reserve,  con cui venne ripristinata la separazione tra attività bancarie e di speculazione finanziaria I pragmatici americani hanno saputo rimediare ai guasti clintoniani;  in Europa si continua invece nelle attività speculative.

 

Intanto, però, il danno era fatto con la vicenda dei futures e degli edge funds che hanno finito con l’insozzare l’intero sistema bancario mondiale, sino a raggiungere un volume di debito complessivo di oltre 10 volte il valore dell’ìntero PIL mondiale.

 

Ora, come, con estremo realismo denuncia La Valle, proponendo la stessa tesi che il prof Paolo Maddalena, v.Presidente emerito della Corto Costituzionale, espone nel suo ultimo saggio” Gli inganni della finanza”, sono gli stessi responsabili del superamento del NOMA del 1999 e dei fatti e nefasti successivi che inducono “i governi amici” a darsi da fare per consegnare le mani libere al mercato che è mondiale al quale stanno troppo strette le regole, i lacci e i lacciuoli di ciò che rimane alle democrazie occidentali costruite a misura delle costituzioni post belliche. In questo mercato devono valere solo le leggi del mercato, e non importano le conseguenze sul piano economico e sociale, né, tantomeno, quelle sul piano di diritti politici e civili.

 

Si comincia dai Paesi più in difficoltà, meglio se con “governi amici” più disponibili, meglio ancora se questi sono costruiti su basi di dubbia legittimità con l’aiutino di capi dello Stato consenzienti e/o conniventi, non badando a spese per il controllo monopolistico  dei mezzi di comunicazione con l’obiettivo di puntare al governo di “ un uomo solo al comando”.

 

Se gli italiani abboccheranno sarà la fine della democrazia e la vittoria dei padroni del turbo capitalismo finanziario, con piena soddisfazione di quel “cerasello d’annata”,  renziano senza limiti, indegno erede del nostro Giulianone che fu.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 22 Settembre 2016

 

 

 



COSA SI NASCONDE DIETRO IL QUESITO DEL REFERENDUM

 

NOI SAREMO CHIAMATI A VOTARE AL REFERENDUM SI o NO A QUESTO QUESITO:

 

«Approvate il testo della legge costituzionale concernente "disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione", approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?».

 

NESSUN CENNO ALLA LEGGE ELETTORALE SU CUI LA CORTE COSTITUZIONALE HA DECISO IL RINVIO DEL GIUDIZIO SULLA SUA LEGITTIMITA’ DOPO IL VOTO REFERENDARIO.

 

Formulato nella maniera su esposta, sembrerebbe una formula tautologica a risposta certa: SI, come quella rovesciata mussoliniana: “ volete burro o cannoni?”

In realtà andrebbe spiegato agli italiani che dietro quelle parole assicurative è celato un imbroglio solenne con cui si intende ridurre la nostra condizione di cittadini a quella di sudditi.

 

Spiegazione non facile in un Paese in cui l’informazione è nelle mani dei potenti dell’industria e della finanza, la RAI dittatorialmente  occupata da Renzi come mai nella storia dell’emittente televisiva, nemmeno ai tempi del grande DC, Ettore Bernabei, e dove l’unica strada alternativa per chi come noi sostiene le ragioni del NO, resta quella della comunicazione porta a porta con parenti ed amici, dei dibattiti nei consigli comunali degli enti locali e della costituzione in tutti i comuni italiani dei comitati unitari per il  NO.

 

Sarà una battaglia durissima condotta tra chi utilizza la falsificazione come arma per confondere la volontà degli elettori e chi, come noi, poveri “medici scalzi” ci troveremo a combattere come tanti “don chisciotte” contro i mulini a vento….

 

Siamo, tuttavia, profondamente convinti delle ragioni del nostro NO che vorremmo sintetizzare così:

 

1) NO PERCHE’ NON SI CAMBIA LA COSTITUZIONE CON UN COLPO DI MANO DI UNA FINTA MAGGIORANZA

 

Questa è la riforma di una minoranza che, grazie alla sovra rappresentazione parlamentare fornita da una legge elettorale già dichiarata (anche per questo motivo) illegittima dalla Corte costituzionale, è divenuta maggioranza solo sulla carta. Una simile maggioranza non può spingersi fino a cambiare, con un violento colpo di mano, i connotati della Costituzione.

 

2) NO PERCHE’ QUELLA ITALIANA ERA LA COSTITUZIONE DI TUTTI

 

Il metodo utilizzato nel processo di riforma è stato il peggior modo di riscrivere la Carta di tutti: molteplici forzature di prassi e regolamenti hanno determinato nelle Aule di Camera e Senato spaccature insanabili tra le forze politiche, giungendo al voto finale con una maggioranza racimolata e occasionale. Quello stesso Parlamento la cui composizione è deformata e alterata da un premio di maggioranza illegittimo, e che ha visto in quasi tre anni ben 244 membri (130 deputati e 114 senatori) cambiare Gruppo principalmente per sostenere all’occorrenza la maggioranza, ha infatti portato avanti la riforma, su richiesta dell’Esecutivo, utilizzando gli strumenti parlamentari più estremi, con spesso cancellazione delle garanzie e delle prerogative riconosciute all’opposizione.

 

3) NO PERCHE’ IL REFERENDUM HA UN VIZIO GIURIDICO D’ ORIGINE

 

Alla mancanza di legittimazione della riforma in atto non potrà sopperire nemmeno il referendum. Quest’ultimo infatti non può essere sostitutivo di una deliberazione viziata nel suo fondamento. Soprattutto se la riforma è stata costruita per la sopravvivenza di un governo e di una maggioranza privi di qualsiasi legittimazione sostanziale, come confermato dall’enfasi che è stata posta dallo stesso Presidente del Consiglio sul futuro risultato referendario, che ha trasformato il referendum su testo costituzionale  in una sorta di macro questione di fiducia su se stesso.

 

4) NO PERCHE’ LA COSTITUZIONE DEVE UNIRE E NON DIVIDERE

 

La Costituzione costituisce l’identità politica di un popolo. E’ stato così nel miracolo costituente del 1948, con una Costituzione approvata quasi all’unanimità e che ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo del nostro Paese. Certamente quell’impianto necessita di riforme, che si inseguono invano da decenni, ma questa riforma costituzionale per il suo codice genetico e per i suoi contenuti destituisce il meglio della tradizione democratica del nostro Paese: divide anziché unire, lacera anziché cucire, porta le cicatrici di una violenza di una parte sull’altra. Questa riforma nasce già fallita.

 

5) NO PERCHE’ IL COMBINATO DISPOSTO CON LA LEGGE ELETTORALE PORTA A UN PREMIERATO ASSOLUTO

 

La sommatoria tra riforma costituzionale e riforma elettorale spiana la strada ad un mostro giuridico che travolge i principi supremi della Costituzione. L’“Italicum”, infatti, aggiunge all’azzeramento della rappresentatività del Senato e al centralismo che depotenzia il pluralismo istituzionale, l’indebolimento radicale della rappresentatività della Camera dei Deputati. Il premio di maggioranza alla singola lista consegna la Camera – che può decidere senza difficoltà, a maggioranza, in merito a tutte o quasi tutte le cariche istituzionali – nelle mani del leader del partito vincente (anche con pochi voti) nella competizione elettorale: una assurdità giuridica e un rischio vero per la nostra democrazia.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 21 Settembre 2016

 

 

 


Vittoria di Lega e centrodestra alla provincia di Treviso

 

 

Vittoria del sindaco di Castelfranco Veneto, Stefano Marcon, alle elezioni per la presidenza della “nuova” provincia di Treviso: 56,3%sul collega Sindaco di Treviso, Giovanni Manildo, fermo al 43,61%. Su 1269 amministratori ha votato l’84,86%.

Elezioni indirette, ossia che hanno interessato gli amministratori in carica, sindaci e consiglieri comunali, atteso che con la sedicente riforma delle province, unico risultato raggiunto è stata la perdita del voto dei cittadini interessati.

“ Hanno vinto i partiti” , ha sottolineato il sindaco di Treviso a giustificazione della sua sconfitta.

Certo, ha vinto la Lega con le liste civiche di centro destra alle quali hanno concorso anche gli amici popolari che fanno riferimento a Vittorio Zanini, indomito combattente “ DC non pentito”, contro il Golem del PD, ormai ridotto a un partito senz’anima e senza cultura politica, dominato dal trasformismo renziano e sostenuto dai transfughi perdenti del centro destra, quelli che furono pronti a salire un tempo “ sul carro del vincitore”.

Ora Treviso e la sua provincia è ritornata alla sua naturale vocazione di ex terra bianca ancorata ai valori di fondo della nostra migliore tradizione politico culturale.

Noi popolari veneti siamo lieti del risultato raggiunto  e  facciamo i nostri migliori auguri al neo Presidente, Marcon, mentre da “osservatori partecipanti”, seguiamo con interesse ciò che si sta sviluppando nell’area alternativa al socialismo trasformista renziano, da Parisi al trio del Nord : Zaia, Maroni,Toti.

Terreno di prova e di verifica sperimentale la prossima battaglia referendaria nella quale popolari veneti, Lega e tutti gli amici dell’area democratica, sono schierati a sostegno delle ragioni del NO e a difesa della sovranità popolare.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 19 Settembre 2016


Oltre la kermesse di Milano

 

Parte domani la kermesse di Stefano Parisi a Milano. Avevamo chiesto agli amici firmatari con me del patto di Orvieto ( Carlo Giovanardi, Mario Mauro, Gaetano Quagliariello) di parteciparvi come delegazione: nessuna risposta. Anche la richiesta inviata direttamente a Parisi è stata disattesa. Preso atto del fallimento del tentativo di ricomposizione dell’area popolare e liberale riformista che abbiamo perseguito dalla fine della DC e del fatto che non sarà la riunione dei nostalgici forzaitalioti, peraltro divisi, a ricomporre ciò che nella realtà sociale italiana risulta profondamente diviso  tra la casta, i diversamente tutelati, il terzo stato produttivo e il quarto non Stato, riserviamo le nostre ultime energie a quella che abbiamo definito “ la madre di tutte le battaglie”, ossia l’impegno al sostegno del NO nel prossimo referendum sulla riforma costituzionale e per la difesa della sovranità popolare.

 

Curiosi, come “osservatori partecipanti”, di valutare l’evoluzione dell’interessante tentativo avviato dai tre governatori del Nord: Zaia, Maroni e Toti, è, tuttavia, dal nuovo “vento del Nord” a difesa del patto costituzionale che riteniamo si possa ricostruire un nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale e riformista, alternativo allo pseudo socialismo renziano, quello che ha ridotto “ un partito senza popolo e un popolo senza partito”, e agli estremismi populisti senza prospettiva.

 

Ecco perché partecipiamo fiduciosi al tentativo di costruzione della Confederazione di sovranità popolare, che nasce dal concorso unitario delle diverse culture democratiche alla difesa del patto costituzionale, contro i tentativi ispirati e sostenuti dai poteri forti interni e internazionali di distruggere ciò che rimane della democrazia nel nostro Paese. Noi vi concorreremo forti della nostra cultura politica, ispirati ai valori del popolarismo e dell’umanesimo cristiano, convinti come siamo che, come negli anni migliori della storia unitaria e repubblicana dell’Italia, il contributo dei principi ispiratori della dottrina sociale cristiana, anche nell’età della globalizzazione, siano indispensabili alla ricostruzione di una rappresentanza politico istituzionale capace di offrire risposte adeguate “alle attese della povera gente”.

 

Scomparsa ogni velleità di ricostruire ciò che storicamente appartiene ormai al passato, siamo convinti di poter offrire un ultimo contributo, utile a superare il clima di disaffezione e di sfiducia che pervade un’Italia in cui lo stato di diritto è diventato sempre più debole e nella quale ha finito col prevalere una condizione di anomia, intesa come un’assenza di regole e un progressivo venir meno del ruolo di mediazione dei corpi intermedi.

 

Una condizione nella quale una casta domina e utilizza senza legittimità il potere, contro, soprattutto, le classi popolari e il terzo stato produttivo e  che si presta a possibili sbocchi autoritari di ogni tipo e colore. Essa reclama l’unità di tutte le forze autenticamente democratiche, quelle unite attorno al NO al referendum e contro il tentativo di rottura traumatica del patto costituzionale su cui si è retto sin qui l’equilibrio sociale e politico istituzionale dell’Italia.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 15 settembre 2016

 

 


Oltre le formule sin qui in campo

 

Con una situazione istituzionale del tutto fuori controllo e la precarietà di un tripolarismo rappresentativo di metà dell’elettorato italiano, ritengo siano del tutto inadeguati i tentativi di risposta sino ad oggi in campo.

 

Il PD di Renzi, ridotto a un Golem senza più struttura e anima, o, per dirla con D’Alema: espressione di “ un partito senza popolo e di un popolo senza partito”, e un presidente del consiglio indebolito dalle modalità desuete della sua nomina senza elezione e da una maggioranza drogata dal porcellum incostituzionale e surrogata dai transumanti del trasformismo parlamentare, si accinge ad affrontare la sfida del referendum d’inverno, profondamente diviso al suo interno e nelle stesse componenti sociali del proprio tradizionale retroterra.

 

IL Movimento Cinque Stelle che, in una fase di crisi di tutti i partiti, sembrava rappresentare la speranza alternativa per l’elettorato ancora attivo nella partecipazione, si trova ora ad affrontare a Roma, come già a Parma e a Livorno, uno dei momenti più difficili per la sua stessa tenuta.

 

E, infine, un centro-destra, dilaniato nella guerra di successione apertasi, dopo la conclusione della parabola berlusconiana e il foco fatuo dell’astro nascente Salvini, risulta diviso strategicamente tra le due scelte oggi sul campo: la convention di Milano annunciata da Stefano Parisi e il patto a tre dei governatori del Nord: Maroni, Toti e Zaia. Due proposte politiche  impegnate nella ricostruzione dell’area alternativa al renzismo, con pari difficoltà a individuare una comune proposta programmatica e una leadership credibile da spendere nel prossimo turno elettorale.

 

Di fronte alla grave crisi istituzionale, economica, finanziaria, sociale e morale dell’Italia, tutte queste proposte politiche appaiono, tuttavia, del tutto insufficienti e inadeguate a offrire con la speranza, una risposta all’altezza di ciò che si attende la maggioranza reale, sin qui inespressa, del Paese.

 

Su pressione dei poteri forti del turbo capitalismo finanziario interno e internazionale, impegnati a togliersi gli ultimi lacci e lacciuoli delle “vecchie costituzioni rigide” del dopoguerra, accusate di filo socialismo, Matteo Renzi, sotto la spinta di Napolitano, ha fatto approvare da una maggioranza drogata di un parlamento di nominati illegittimi, una riforma-deforma del patto costituzionale su cui si è retta sin qui l’unità nazionale.

 

Piaccia o no quella del referendum di Novembre-Dicembre ( data ancora incerta per un governo in evidente stato di confusione), non a caso, l’abbiamo definita: “la madre di tutte le battaglie”, perché, insieme alla legge super truffa dell’Italicum, del cui carattere antidemocratico se ne è reso conto, tardivamente, il suo stesso padre putativo Napolitano, il popolo italiano sarà chiamato a decidere del proprio futuro: conservare lo status di cittadini o ridursi consapevolmente a quello di sudditi alla mercé di “ un uomo solo al comando”.

 

Ecco perché noi Popolari, falliti colpevolmente tutti i tentativi sin qui generosamente compiuti di ricomposizione dell’area popolare e democratico cristiana, abbiamo ritrovato l’unità nel NO compatto alla riforma-deforma, nella difesa della sovranità popolare e nel ricercare con tutte le componenti democratiche un nuovo percorso politico, alla fine del quale dar vita a un nuovo soggetto in grado di offrire, in un quadro di garanzia democratica, con la  speranza e il ritorno al voto del terzo stato produttivo e dei ceti popolari, una risposta adeguata alle attese del nostro Paese.

 

Attenti a ciò che accadrà a Milano e nella stessa evoluzione, che ci auguriamo positiva, del patto dei tre governatori del Nord, è alla costituenda Confederazione di sovranità popolare che intendiamo fornire tutto il nostro apporto politico e culturale, convinti come siamo che la battaglia aperta sul piano delle regole fondamentali destinate a garantire il patto degli italiani, imponga la ricerca della più ampia convergenza tra tutte le forze che intendono preservare l’unità democratica del Paese, contro questo sciagurato tentativo di dividerlo nella “guerra” evocata irresponsabilmente dall’ex presidente della Repubblica.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 12 Settembre 2016

 

 

 

Ricordando Machiavelli

 

Il concetto di “superiorità morale” che costituisce uno degli elementi caratterizzanti dell’esperienza grillina non è una novità nel panorama  politico culturale italiano. Da Marx a Gramsci sul versante della sinistra marxista e sino alla riproposizione della questione morale da parte di Enrico Berlinguer e dei suoi immediati successori, Achille Occhetto in testa, la pretesa superiorità morale era connaturata all’ideologia dei comunisti italiani.

 

Idem sul versante azionista, che derivava tale concezione dall’”Ordine Nuovo” di Piero Gobetti sino a Ferruccio Parri e agli altri esponenti dell’azionismo italiano nella resistenza e post bellico. Non sono mancate varianti più autoctone e localistiche, come quelle di Leoluca Orlando al tempo de “La rete” sostenuta dai gesuiti palermitani, o quelle di Di Pietro e De Magistris, novelli masanielli “duri  e puri” del meridionalismo italico.

 

E’ all’interno di queste assai diverse esperienze che si colloca quella innovativa dei grillini che, sin dall’inizio, si sono voluti caratterizzare come gli antesignani del “ radicalmente altro” nella politica italiana. Sta proprio nella crisi complessiva dei partiti in questa fase di passaggio dalla seconda alla terza repubblica, con la disaffezione generalizzata degli elettori nei confronti dei partiti personalistici o in preda al più deteriore trasformismo della storia nazionale, una delle ragioni del successo elettorale del M5S.

 

Gli è che alla fine in politica vale ciò che appare e quando si perde l’efficace rappresentazione della speranza, una delle ragioni essenziali alla base del consenso, si pagano le conseguenze sul piano dell’affidabilità e del voto. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e “governar non es asfaltar” come gridavano i democratici latino-americani al tempo del governo cileno di Salvador Allende.

 

La dura verifica della realtà effettuale messa alla prova da una classe dirigente improvvisata, scelta con criteri assai poco selettivi del voto on line, accanto ad alcuni giovani promettenti e capaci, ha evidenziato i notevoli limiti di leadership in alcune delle amministrazioni locali nei quali il M5S ha assunto il governo. La cosa è tanto più grave e significativa se in ballo c’è il governo della città di Roma, la conquista del quale era stato salutato come il preludio alla futura presa di Palazzo Chigi da parte dei pentastellati.

 

Ciò che è accaduto e sta accadendo a Virginia Raggi è emblematico, da un lato, dei limiti nella capacità di governo degli improvvisati reggitori e, dall’altra, in quella che con grande acume    Nicolò  Machiavelli così descrisse  nel cap.VI De principatibus novis qui armis propriis et virtute acquirunter: “E debbasi considerare, come non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. Perché l’introduttore ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene, et ha tepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbero bene. La quale tepidezza nasce, parte per paura delli avversarii, che hanno le leggi dal canto loro, parte dalla incredulità delli uomini; li quali non credono in verità le cose nuove, se non ne veggono nata una ferma esperienza. Donde nasce che, qualunque volta quelli che sono inimici hanno occasione di assaltare, lo fanno partigianamente, e quelli altri defendano tepidamente; in modo che insieme con loro si periclita.”

 

Forse, con Casaleggio, questa pagina de Il Principe sarebbe stata ricordata ai giovani del M5S assurti al governo della città eterna. Certo che quello che sta accadendo a  Roma è la verifica sperimentale dell’assunto machiavelliano citato.

 

Offuscata la patente della diversità e evidenziate le loro debolezze quanto a capacità di governo, rimane, tuttavia intatta al Movimento la capacità di rappresentare una speranza nuova alternativa al deserto morale e politico culturale dell’Italia.

 

Ha ben poco da sorridere il povero Matteo Orfini del PD, visto alcune sere in TV, irridente, nei confronti della sindaca di Roma. I ragazzotti saranno anche limitati sul piano della capacità di governo, ma a Roma “chi è più pulito ha la rogna”, a partire proprio da quel PD che da “mafia capitale” e ben oltre e dapprima, è stato concausa non secondaria dello sconquasso amministrativo e finanziario della città. Meglio, molto meglio, l’atteggiamento assunto da Alfio Marchini e dal Vaticano, preoccupati e consapevoli che una crisi irrimediabile della giunta capitolina sarebbe esiziale per Roma. Credo che sia questo il modo migliore per aiutare questa nuova e ancora fragile classe dirigente, affinché possa assumere sino in fondo la capacità di governo che una complessa realtà come quella romana richiede.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 9 Settembre 2016

 

 

  

Il mio ricordo di Mino Martinazzoli (oltre l’elegio della mitezza)  

 

L’elogio della mitezza, tema caro a Mino Martinazzoli, è stato il leit motiv dell’intervento del Presidente Mattarella, ieri, alla commemaorazione del politico democratico cristiano bresciano.

 

Il ricordo di Mino Martinazzoli mi è caro, da un lato, essendo stato tra i consiglieri nazionali della DC,  uno dei più favorevoli alla sua elezione a segretario del partito, in un ‘animata riunione dell’organo deliberativo della DC; dall’altro mi turba il ricordo che fu proprio Martinazzoli ad assecondare le spinte irrazionali della “pasionaria di Sinalunga”, Rosy Bindi, e a liquidare il partito dello scudo crociato, con modalità tuttora oggetto di valutazione giurisdizionale,.

 

Al Presidente Mattarella, infine, vorrei sommessamente evidenziare che se, certo, fa parte del suo ruolo di garante quello di richiamare tutti i politici alla mitezza, che non è arrendevolezza o sinonimo di debolezza nelle proprie convinzioni,  lo è ancor di più quello di vigilare affinché non si adottino scelte, da parte di un governo e di un parlamento, de facto, illegittimi, che minano l’unità- sostanziale del popolo italiano.

 

Essa è garantita dal patto costituzionale del 1948, grazie alla “Grundnorm” condivisa dai padri della Repubblica, ed è minacciata dalla riforma-deforma del trio toscano che, con un voto di un parlamento di nominati eletti con legge incostituzionale, punta alla modifica di 48 articoli e con una legge super truffa, quale l’Italicum, a ridurre la condizione dei cittadini a quella di sudditi.

 

Lo scriviamo da molto, troppo tempo: l’unica via istituzionalmente corretta percorribile era e rimane quella di indire nuove elezioni con il “consultellum” per eleggere  un parlamento legittimo e nomina di una  bicamerale rappresentativa dellle reali componenti della società italiana per procedere alle riforme.

 

In alternativa: elezione contemporanea del parlamento e di un’assemblea costituente, quest’ultima impegnata nel processo di riforma costituzionale.

 

Mino Martinazzoli, moroteo di lungo corso, al quale mi legava una sincera amicizia, non avrebbe mai condiviso ciò che è accaduto in Italia, prima e subito dopo la sentenza della consulta sul “porcellum”. Scelte che ci hanno condotti all’attuale situazione di crisi istituzionale assolutamente anomala e pericolosa per la nostra democrazia.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 7 Settembre 2016



Su Affari italiani del 23 agosto scorso, l’ex Presidente della Corte Costituzionale, Annibale Marini ha scritto così:

 

Referendum: parla Annibale Marini, ex Presidente della Corte Costituzionale

"Il dibattito in corso sul referendum trascura un "piccolo" particolare e cioè che questa riforma costituzionale nasce senza una legittimazione parlamentare; non ci dimentichiamo che la Consulta ha dichiarato incostituzionale le leggi elettorali della Camera e del Senato! Di fronte ad un parlamento dichiarato illegittimo bisognava sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni, questo dice la sentenza!
Invece come se la sentenza non fosse stata mai pubblicata il presidente della repubblica dell'epoca non trova niente di meglio che fare riforme. E questo è molto grave. Il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto sciogliere le Camere: è un tipico caso di scuola. Tutto invece si poteva fare tranne che fare riforme e per giunta riforme costituzionali".

"Nel merito è una riforma pessima. Non si è mai visto un presidente del Consiglio (peraltro nemmeno parlamentare) che propaganda e sponsorizza una riforma costituzionale. Bisognerebbe invece garantire imparzialità tra le parti senza tentare di influenzare la volontà popolare".
  

E i risparmi del senato di cui si parla?

Ma quali risparmi: il Senato come struttura burocratico/amministrativa avrà gli stessi oneri economici di prima, per cui dov'è il risparmio?
 

Ma almeno si accelera il procedimento legislativo?
In Italia non abbiamo certo bisogno di accelerare il processo legislativo, semmai abbiamo bisogno di una seria delegificazione (e fare delle serie leggi di sistema) con tutte le leggi che ci sono. Tra l'altro anche oggi quando il governo vuole le leggi vengono approvate in brevissimo tempo.
 

A chi dice che le riforme le chiede il mercato, cosa risponde?Il mercato chiede cose completamente diverse, non chiede queste riforme. Il mercato vuole una effettiva diminuzione dei tempi della giustizia civile, ad esempio. Il mercato chiede una seria riforma fiscale che non strozzi il paese di tasse, il mercato chiede che se una persona viene assolta dallo Stato poi lo Stato non possa di nuovo ricorrere contro l'assoluzione emanata dallo stesso Stato. Queste sono le cose che vuole il mercato non le riforme della Costituzione. Se l'economia italiana è ferma non è certo colpa della Costituzione…."

 Chi legge le mie noterelle sa che scrivo queste stesse idee da tempo e, non a caso, ho attribuito a Napolitano la responsabilità di una sorta di “golpe blanco”,avendo indicato impropriamente e  guidato il processo che ha portato un parlamento di” illegittimi", drogato dal porcellum incostituzionale e surrogato dal voto dei “transumanti mercenari” del trasformismo parlamentare a stravolgere ben 48 articoli del patto costituzionale.

PRIMA SI ELEGGA UN PARLAMENTO LEGITTIMO E POI CON LE PROCEDURE CORRETTE (ASSEMBLEA COSTITUENTE O BICAMERALE) si votino le riforme necessarie per rinsaldare e non per spezzare il patto che unisce il popolo italiano.

 

E, intanto, VOTIAMO TUTTI INSIEME NO AL REFERENDUM DELLA DEFORMA DEL TRIO TOSCANO: RENZI-BOSCHI-VERDINI

 

Ettore Bonalberti

Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)

V.Presidente Comitato nazionale Popolare per il NO

socio co fondatore PATTO DI ORVIETO componente del comitato di presidenza nazionale dei Popolari per l'Italia

Promotore del think tank:VENETO PENSA

Via miranese 1/A

30171-Mestre-Venezia

tel. 335 5889798

ettore@bonalberti.com

info@bonalberti.com

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

www.alefpopolaritaliani.eu

http://comitatopopolareperilno.it/,

Venezia, 6 Settembre 2016

 


Cari Amici,

non potendo partecipare personalmente all'incontro del 5 Settembre per precedenti accertamenti ospedalieri non rinviabili, e non potendo partecipare nemmeno il Vice Presidente, Prof. Antonino Giannone che nel mese di Settembre sarà in USA per impegni universitari e professionali, inviamo questa nota quale nostro contributo all'incontro. 

Ettore Bonalberti e Antonino Giannone

 

Contributo al dibattito del 5 Settembre

 

Questo incontro di oggi è stato promosso dagli Amici Paolo Maddalena e Felice Besostri e condiviso da tanti altri Amici per cercare di dare risposte tempestive, concrete e di mobilitazione democratica contro le minacce che provengono da vari giornali statunitensi e britannici che non sono più tanto velate. 

Si tratta di tentativi di grandi speculazioni finanziarie e di azioni di indebolimento del ruolo dell'Italia, attraverso un suo "coinvolgimento critico" in alcune grandi crisi internazionali in corso (Libia- Nord Africa- Esodo immigrati verso l'Italia e l'Europa). 

Si tratta di azioni esterne, rivolte contro l'economia italiana, che non trovano una forte resistenza politica all'interno del Paese, si tratta di azioni che spingono verso ulteriori privatizzazioni di beni pubblici e demaniali che appartengono al popolo sovrano; privatizzazioni e finanziamenti di salvataggio per diversi miliardi di euro, che sono realizzati con il nuovo e anomalo ruolo "politico" assunto dalla Cassa Depositi e Prestiti (rilievo della Corte dei Conti).

Alcuni tra questi attori, citiamo per esemplificazione il noto finanziere Soros e JP Morgan, che (almeno, va detto, hanno dichiarato pubblicamente le loro ipotesi preferite), sono si' a favore di un abbattimento dell'enorme debito pubblico (cresciuto nel 2016 di altri 77 miliardi di euro) ma da realizzarsi attraverso la vendita di beni pubblici e demaniali, agli amici degli amici, mentre in realtà sono beni che appartengono alla sovranità popolare che, con la nascita dell'Euro (1 gennaio 1999), è stata esautorata della sovranità monetaria a favore di una banca privata BCE. 

Questi operatori e forze di vario genere, che operano contro l'economia italiana, sono a favore dello smantellamento della Costituzione della Repubblica, sia perché vogliono una limitazione dei diritti dei cittadini per accrescere il loro potere,  sia perché vogliono disporre, sul mercato del lavoro, di una manodopera sempre più a basso costo in un modello di globalizzazione del lavoro con il minimo dei diritti e dei salari.

Riteniamo quindi che per l'attuale Governo di Renzi&Alfano&Verdini queste questioni, molto critiche per l'Italia, non possono essere ignorate spostando l'attenzione su altri temi. Renzi, infatti, per nasconderle o per non prendere posizioni politiche, non può, in questi giorni, con cinismo e buonismo, da un lato fare appello all’unità nazionale nel momento dell’emergenza del terremoto dell’Italia centrale, e dall'altro lato sponsorizzare, in tutti i modi possibili (occupazione RAI e Media), il voto per il SI' a una riforma – deforma costituzionale che, con una legge super truffa come quella dell’Italicum, punta a consegnare tutto il potere nelle mani di “ un uomo solo al comando”. 

Assistiamo dal 27 agosto al nuovo teatrino della politica: Renzi ha trovato di nuovo Berlusconi che ha dichiarato pubblicamente di volergli dare un sostegno, (riteniamo mai tolto), per un'azione unitaria, giustificandola pro terremotati con un Patto per l'Italia (in realtà un patto politico del Nazareno 2 è probabile desistenza di Forza Italia sul Referendum).

Matteo Renzi, dimostra sempre di saper essere un abile giocatore d'azzardo e spericolato politico che, con ripetuto cinismo, strumentalizza le persone, gli alleati e poi li scarica (....stai sereno...a Enrico Letta) e strumentalizza ogni fatto di cronaca, anche tragica, ma lo fa sempre come spot di comunicazione o attraverso un twitt (es. più eclatanti sono

-   ....Renzi ci ricorderemo....(slogan del popolo del Family Day, derubricato dalle unioni civili  e dal via libera alla Magistratura (sotto banco) all'utero in  affitto );

-  promessa di restituzione dei debiti dell'amministrazione pubblica (oltre 100 miliardi di euro) alle imprese che poi sono fallite o con imprenditori che si sono suicidati; 

- promessa di visita settimanale alle scuole per piano di rimessa a norma; 

- 100.000 insegnanti nel passaggio da precari a ruolo a tempo indeterminato, ma a con "mobilità di massa" in Regioni lontane dalla propria residenza e sradicamento familiare; 

- sanzioni e ostracismo alla Russia di Putin con danni di miliardi di euro al sistema agro alimentare; 

- sostegno inverosimile per decine di miliardi al sistema bancario (MPS in primis) e nessuna sanzione penale ad amministratori incapaci; 

- scandali bancari enormi senza sanzioni ai dirigenti (Boschi&C) ma azzeramento dei risparmi di decine di migliaia di risparmiatori;

- adesso il grande Piano di ridare casa (antisismica e in tempi brevi...) ai terremotati di Abruzzo-Marche -Umbria e in particolare di Amatrice&Comuni limitrofi. Si ipotizza che sia possibile mettere in sicurezza il territorio nazionale con un investimento di circa 100 miliardi di euro da parte dello Stato. Naturalmente ci sarà un commissario amico del Governo per autorizzare e gestire decine di miliardi di euro. Il Piano, annunciato, prevedrebbe una possibile tassa da 100 a 300 euro al Mq per tutti i proprietari di case!!

- altri populismi e annunci  vari...

Pensiamo che, purtroppo, per l'ennesima volta, Matteo Renzi continuerà ad ascoltare  i consigli ovvero le direttive dei poteri finanziari forti (JP Morgan) e della Massoneria internazionale e italiana (suo sponsor sin dall'inizio), e i consigli più recenti, quasi mai “disinteressati” del miliardario Soros (notissimo anti cattolico e anti Pro-Vita) che si sintetizzano nello smantellamento della Costituzione e quindi favorevoli a fare votare il SI' al Referendum.

Vogliamo invece sperare che Matteo Renzi voglia smentire tutti e se stesso, dimostrando, di fronte alla drammatica situazione del Paese, di onorare la sua responsabilità nazionale verso il bene comune e la sovranità popolare.

A nostro avviso, alcune scelte da assumere con dibattito nazionale potrebbero essere con priorità le seguenti:

- prendere in considerazione con realismo il suggerimento del premio Nobel per l’economia, Stiglitz per l'Euro a due velocità; 

- dedicare l'azione di Governo a cose più urgenti per il Paese, senza proclami populistici;

- ritirare il progetto di riforma costituzionale e rinviare, a dopo le elezioni quando avremo un parlamento che sia di eletti legittimamente, il compito di aggiornare le parti della Costituzione non collegate, né collegabili con i principi fondamentali del patto popolare unitario, sancito all’indomani della seconda guerra mondiale, che consenti' la ricostruzione dell'Italia nelle infrastrutture e nel tessuto sociale interclassista. 

Ricordiamo ai giovani Renzi&Boschi&Alfano che quel patto ha consentito di costruire l'unità del popolo italiano. 

I tentativi in questi ultimi 30 anni di rompere quell'equilibrio con processi politici antitetici e divisivi del popolo italiano (Berlusconi&C) non hanno dato benefici, ma anzi, con gli ultimi governi senza legittimazione popolare (Monti- Letta - Renzi), hanno prodotto vaste lacerazioni nel tessuto sociale e nuove povertà, con scivolamento della classe produttiva intermedia e con un'ulteriore crescita del debito pubblico, senza ridurre i costi per gli sprechi, i costi di oltre 6000 società partecipate pubbliche, spesso inutili carrozzoni (Cottarelli), i costi dei privilegi delle diverse caste che ruotano attorno alla classe dei politici e delle istituzioni. 

A nostro avviso, attorno al NO al Referendum, si possono costruire nuovi processi politici per un nuovo patto del popolo italiano nella società della globalizzazione con una base di Etica condivisa: la carta costituzionale che si andrà a modificare in un'Assemblea Costituente o in una Bicamerale da avviare dopo nuove elezioni di legittimi parlamentari, riaffermando il valore e la centralità della persona e della sovranità popolare.  

Fare vincere il NO al Referendum significa anche dire NO al Renzismo e Populismo, significa dire NO all'avventura e al dominio dei poteri forti del turbo capitalismo finanziario riducendo il nostro status di cittadini a quello di sudditi.

 

Ettore Bonalberti 

- Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti); V.Presidente comitato nazionale Popolare per il NO 

Antonino Giannone 

- V.Presidente ALEF

- Docente di Etica professionale e Relazioni industriali

www.alefpopolaritaliani.eu

http://comitatopopolareperilno.it/

www.insiemeweb.net

(ettore@bonalberti.com)

 

Venezia, 5 Settembre 2016

 

 

 

Si rinvii il referendum


Difficile fare appello all’unità nazionale nel momento dell’emergenza come quello del terremoto dell’Italia centrale, mentre si sponsorizza il voto per il SI a una riforma –deforma costituzionale che, con una legge super truffa come quella dell’Italicum, punta a consegnare tutto il potere nelle mani di “ un uomo solo al comando”.
Matteo Renzi, non ascolti i consigli  quasi mai “ disinteressati” del solito Soros e raccolga, invece, il suggerimento del premio Nobel per l’economia, Stiglitz e ritiri il progetto di riforma per dedicarsi a cose più urgenti e si impegni a rinviare, a dopo che avremo finalmente un parlamento di eletti legittimamente, il compito di aggiornare le parti della Costituzione non collegate né collegabili con i principi fondamentali del patto popolare unitario sancito all’indomani della seconda guerra mondiale.Su di esso abbiamo costruito l'unità del popolo italiano. Rompere quell'equilibrio significa abbandonarci all'avventura e al dominio dei poteri forti del turbo capitalismo finanziario riducendo il nostro status di cittadini a quello di sudditi.

Ettore Bonalberti

Venezia, 27 Agosto 2016



Un piano straordinario per la difesa del nostro Paese

 

 

“Paese di inaugurazioni e non di manutenzioni”: scriveva cosi Leo Longanesi dell’Italia.

L’abbiamo ripresa molte volte questa celebre frase dello scrittore romagnolo a proposito delle ricorrenti alluvioni e dell’abbandono della montagna. La tragedia dell’ultimo terremoto dell’Italia centrale è l’ennesima dimostrazione di questa verità.

 

Piangiamo le vittime di Amatrice  e degli altri paesi coinvolti nell’area laziale e umbro marchigiana , ma oltre al dolore ci accompagna una riflessione critica da porre all’ordine del giorno della politica italiana.

 

Con un patrimonio edilizio  storico e  artistico culturale tra i più importanti nel mondo,  mai analizzato nella sua reale capacità di resilienza e strutture abitative accumulate nei secoli, comprese le ultime, poche, costruite secondo regole antisismiche solo di recente obbligatorietà normativa, siamo obbligati a redigere “la carta di identità degli edifici” e sviluppare un piano di interventi a medio lungo periodo per la preventiva sistemazione strutturale del nostro immenso e assai fragile patrimonio edilizio.

 

Contro la furia sin qui imprevedibile dei terremoti poco o nulla possiamo fare, ma contro l’imprudenza e l’ignavia degli uomini, compresa quella dei responsabili istituzionali di scarsa visione strategica, abbiamo il dovere di reagire e assumerci tutti insieme le nostre responsabilità.

 

Ancora una volta plaudiamo alla generosa disponibilità dei volontari e all’immediato intervento del sistema di protezione civile, ma riteniamo non più rinviabile l’approvazione di un piano straordinario di intervento pluriennale per la difesa dell’assetto idraulico territoriale e del patrimonio edilizio del Paese.

 

 

Ettore Bonalberti, già DG dell’assessorato OO.PP., politiche per la casa e protezione  civile di Regione Lombardia

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 25 Agosto 2016

 

 


Aprire il dibattito sulla riforma negli enti locali

 

Siamo alla vigilia di una scelta di carattere straordinario per le sorti della democrazia italiana, ma il confronto, già effimero nel Parlamento degli illegittimi nominati, conclusosi con una votazione sostenuta da una maggioranza drogata dal porcellum incostituzionale e dall’apporto dei transumanti del trasformismo parlamentare, è bloccato da un’informazione rigidamente controllata dai poteri forti interni e internazionali.

 

La RAI a totale controllo renziano, dopo l’allontanamento delle ultime voci critiche, garantisce il pensiero unico del SI, mentre la stampa, di proprietà di settori economici e industriali ben noti, quando non sia direttamente o indirettamente sottoposta alle pressioni governative cui, per convenienza, è difficile opporsi, esegue spartiti a senso unico a favore dell’esecutivo.

 

La casta, ossia il primo dei quattro stati cui faccio riferimento nella mia teoria euristica dei quattro stati, è prevalentemente orientata alla sua sopravvivenza; i diversamente tutelati, invece, nella loro assai diversa stratificazione  sociale ed economico finanziaria, sono divisi, così come divisi lo sono stati nelle recenti elezioni tra i partecipanti e i renitenti al voto.

 

Il terzo stato produttivo, largamente responsabile dell’astensionismo elettorale, è lo stato che vive direttamente sulla propria pelle il dramma della crisi economica, finanziaria, sociale e culturale del Paese e, privo di una rappresentanza politica di sicuro approdo, è molto disorientato.

 

Il quarto non Stato, quello del malaffare, naviga a vista, pronto ad allearsi, secondo migliore convenienza, col vincitore di turno.

 

Con la scomparsa delle culture politiche che furono alla base del patto costituzionale e la  dominanza del più vasto trasformismo parlamentare di tutta la storia repubblicana, con i partiti ridotti ad effimere sovrastrutture a scarsissima partecipazione e autentico controllo democratico popolare, vengono a mancare le stesse sedi fisiche nelle quali realizzare il confronto tra i sostenitori delle due tesi referendarie. Si giunge alla tragicomica censura del PD, nelle occasioni rappresentate da ciò che rimane dei vecchi festival dell’Unità, nei confronti degli esponenti dell’ANPI che della storia di quel giornale e di quelle kermesse  furono tra i promotori, perché favorevoli al NO.

 

Anche i corpi intermedi, depotenziati da una politica che ha inteso lateralizzarli vieppiù, con le loro dirigenze, come quelle sindacali eternamente insostituibili e parte oramai della stessa casta di potere contro la quale dovrebbero ergersi a difensori delle classi lavoratrici subalterne, sembrano disinteressarsi di un voto destinato a stravolgere nel profondo il concetto stesso di democrazia nel nostro Paese.

 

In alcuni casi si pronunciano, come con quell’endorsemen peloso dell’Annamaria Furlan, segretaria della CISL, a favore del governo o, peggio, tacciono, come nel caso dei massimi esponenti delle altre organizzazioni sindacali, con la sola benemerita eccezione di Maurizio Landini.

 

Sono almeno due anni che, nel clima di crisi complessiva dell’Italia, ipotizzo una possibile reazione sociale dal basso; una reazione che, invece, è rimasta sin qui sotto traccia, limitandosi al disimpegno elettorale e a un senso di impotenza e di frustrazione collettiva che serve solo a fare il gioco di chi è interessato a cancellare il significato stesso della sovranità popolare.

 

Anche la proposta più volte formulata di far nascere dal basso dei comitati civico popolari per il NO, fa fatica a decollare nelle sedi regionali e locali, dove le antiche e residuali divisioni politico partitiche sembrano ostacolare quell’unità di intenti che sarebbe oltremodo necessario realizzare.

 

Ecco allora che, in questa situazione ritengo sarebbe quanto mai opportuno aprire il confronto nelle sedi istituzionali più rappresentative della volontà popolare, che sono quelle dei Consigli  regionali, delle province o in ciò che è rimasto di esse e dei comuni italiani.

 

Nei giorni scorsi ho espresso una valutazione positiva all’iniziativa assunta, tra molte critiche, dal sindaco di Napoli, De Magistris, con l’assunzione della delibera da parte della  Giunta della sua città a sostegno del NO alla riforma-deforma costituzionale del trio toscano Renzi-Boschi-Verdini. Contro il dilagante conformismo alimentato da ingiustificati timori, piccole convenienze o false attese e nel controllo autoritario sistematico dell’informazione RAI, una spinta dalle realtà locali espressioni pressoché uniche rimaste della sovranità popolare, sarebbe quanto mai auspicabile e fattore di mobilitazione delle coscienze democratiche del Paese.

 

Le forze politiche e culturali, specie quelle che sono più penalizzate dalla situazione del monopolio informativo prima denunciato, dovrebbero allora impegnare i loro rappresentanti negli enti locali a promuovere un approfondito confronto sulla riforma costituzionale oggetto del referendum e sulla legge elettorale, in tutte le regioni, province e nei comuni per amplificare al massimo la conoscenza di ciò che con un SI o con un NO saremo chiamati a decidere il prossimo autunno. La convocazione di una seduta ad hoc dei consigli andrebbe richiesta in tutte le regioni, le province e i comuni italiani. E, dovrebbero farlo, non solo come strumenti e momenti di confronto politico culturale delle diverse realtà rappresentate in sede istituzionale locale, ma tenendo presente le criticità che la riforma comporta proprio per le regioni e le autonomie locali.

 

La riforma Renzi-Boschi costituisce, infatti, un “ritorno al centralismo” che rimette interamente nelle mani dello Stato un’ampia parte dei poteri e delle funzioni che la Costituzione del ’48 aveva equamente distribuito, attraverso criteri di democrazia, partecipazione e pluralismo, tra i diversi organi ed entità parti essenziali della Repubblica.

 

Credo sia questa l’unica strada per fare uscire il dibattito referendario, dalla propaganda e dal controllo a senso rigido dei media e per rendere meglio consapevoli i cittadini della scelta che, con il referendum di autunno, saremo chiamati a compiere.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 20 Agosto 2016

 

 

 


Ricordo di Alcide De Gasperi


Il 19 Agosto del 1954 a Borgo Valsugana di Trento moriva Alcide De Gasperi, il padre della ricostruzione italiana del dopoguerra, fondatore della Democrazia Cristiana, il più grande statista italiano dopo il conte di Cavour.

 

La mia generazione, la prima della Repubblica italiana e la quarta della DC, è nata e si è formata nel mito del leader dello scudocrociato.

 

Abbiamo conosciuto uomini e donne che avevano lavorato a fianco di De Gasperi o lo avevano appena potuto ascoltare nei suoi comizi e incontri politici che, dal 1946 in poi, egli aveva tenuto nelle principali piazze italiane.

 

Siamo entrati sedicenni nel partito della Democrazia cristiana agli inizi degli anni’60, quando era ancora intatto il ricordo e la figura dell’uomo che fu l’artefice delle più importanti scelte politiche dell’Italia del dopoguerra.

 

Dal patto atlantico alla riforma agraria, dalla scelta dell’integrazione europea con gli altri padri costituenti di ispirazione cristiano sociale, Adenauer e Schuman, egli ci insegnò il valore della politica dell’equilibrio e del coraggio;  dell’apertura alle alleanze compatibili sempre tenendo diritta la schiena nella difesa dei valori non negoziabili, insieme a quello della laicità e dell’autonomia dell’azione politica dei cattolici nella città dell’uomo.

 

Addolorato dopo l’esito confuso e contestatissimo delle elezioni del 1953, con l’assurda accusa orchestrata da Togliatti e dal fronte popolare della cosiddetta “legge truffa”, che, altro non era che un’intelligente proposta tesa  a garantire la governabilità di un Paese, squassato da contrapposizioni ideologiche e di schieramento incompatibili persino sul piano internazionale, e messo in minoranza all’interno del partito dagli uomini della seconda generazione DC, morì nel suo Trentino nell’estate di 62 anni fa.

 

La tanto contestata “legge truffa” altro non era che un premio di maggioranza alla coalizione che avesse ottenuto la maggioranza assoluta dei voti.  Niente a che vedere con le invenzioni improvvisate della seconda repubblica, dal mattarellum al porcellum, più vicine alla legge Acerbo di mussoliniana memoria che all’onestissima proposta degasperiana, battuta la quale, si consegnò l’Italia alle ricorrenti crisi di governo che hanno caratterizzato tutta la lunga vicenda della prima Repubblica.

 

E nulla da spartire, come qualche giovane ignorantello della storia politica repubblicana si ostina a sostenere, con quell’Italicum di cui a poche settimane la Consulta sarà chiamata a pronunciarsi sotto il profilo della costituzionalità.

 

Nell’attuale momento più basso della politica italiana, con la crisi dichiarata della seconda repubblica, il trasformismo parlamentare dominante, l’assetto di governo imposto dai condizionamenti politico finanziari esterni e dall’impotenza degli ex eredi dei  partiti defunti della seconda Repubblica senza credibili alternative, è quanto mai significativo celebrare il 62° anniversario della scomparsa di Alcide De Gasperi, soprattutto per tutti noi “DC non pentiti” tuttora alla ricerca della ricomposizione dell’area popolare e democratico cristiana di cui l’Italia avrebbe necessità.

 

Noi lo stiamo facendo da tempo con l’impegno di riprendere l’insegnamento morale, prima ancora che politico e culturale del grande statista trentino, con la determinata volontà di perseguire il suo permanente monito a tutti i democratici cristiani: «Solo se saremo uniti saremo forti. Solo se saremo forti saremo liberi».

 

Così come, avendo sperimentato sulla nostra pelle la verità delle sue parole, vogliamo restare fedeli al suo insegnamento, quando ammoniva sui pericoli della frammentazione politica dei cattolici che «li avrebbe indotti ad essere tra di loro più ostili di quanto non lo possano essere verso formazioni politiche diversamente ispirate».

 

E’ con  questi sentimenti, sostenuti dalla volontà di concorrere a riunire tutti i democristiani italiani non pentiti nella costruzione della sezione italiana del PPE, da ricondurre alla sua ispirazione originaria cristiano sociale e liberale, che parteciperemo alle cerimonie trentine in ricordo del nostro padre politico, il cui testimone vorremmo poterlo consegnare con fierezza alle nuove generazioni.

 

Di quell’insegnamento e di quei valori ne ha ancora tanto bisogno l’Italia.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 18 Agosto 2016


Le false motivazioni del SI

 

Cerco con cura, tra le motivazioni addotte dai sostenitori del SI al referendum, qualcuna di seriamente sostenibile, ma, onestamente, non ne trovo alcuna.

 

Quanto alla pretesa governabilità che il combinato disposto riforma costituzionale e Italicum garantirebbero, è evidente a tutti che il prezzo pagato al principio della rappresentanza è troppo elevato, tanto che non è paragonabile, né con quello della famigerata Legge Acerbo, né  con quella democraticissima “Legge Truffa” degasperiana, che fissava il premio di maggioranza alla coalizione che avesse ottenuto il 50%+1 dei voti espressi.

 

In realtà il sistema è predisposto per garantire tutto il potere nelle mani di un uomo solo al comando, realizzando, di fatto, ciò che il Daily Mirror ha denunciato, ossia la volontà dei gruppi finanziari internazionali come JP Morgan: superare le rigidità delle costituzioni europee post belliche. Franco Fracassi , da popoff.globalist.it, scriveva, infatti, già il 14 aprile 2014:

 

“Due cene organizzate per convincere Renzi a seguire i consigli di Blair, oggi consulente della JpMorgan. Obiettivo: disfarsi della Costituzione antifascista. Una cena per decidere, una per confermare le decisioni. Primo giugno 2012, primo aprile 2014. Due protagonisti sempre presenti: il presidente del consiglio Matteo Renzi, l'ex premier britannico Tony Blair. Un terzo (presente con suoi rappresentanti) è l'organizzatore, il vero beneficiario dei frutti degli incontri: la banca d'affari JpMorgan. Scrive il quotidiano britannico "Daily Mirror":

«Renzi è il Blair italiano non solo nelle intenzioni politiche, ma anche nelle alleanze economiche. Un esempio? La JpMorgan».

Riforma delle Provincie, riforma del Senato, riforma del lavoro, riforma della pubblica amministrazione, riforma della Giustizia, riforma del consiglio dei ministri, riforma elettorale. La Costituzione italiana, quella votata dopo la vittoria sul fascismo e la fine della seconda guerra mondiale, quella pensata per impedire una futura svolta autoritaria nel Paese sta per essere stravolta. Così ha deciso il presidente del consiglio Matteo Renzi. Così ha suggerito la JpMorgan.

 

I fatti. Il primo giugno 2012 la banca d'affari statunitense organizza una cena a palazzo Corsini a Firenze. Il padrone di casa Jamie Dimon (amministratore delegato della JpMorgan) invita l'allora sindaco della città Renzi e il già ex primo ministro, e da quattro anni consulente speciale della banca, Blair. Il primo aprile 2014 la scena di sposta Oltremanica. Questa volta gli onori di casa lo fa l'ambasciatore italiano a Londra Pasquale Terracciano. Durante la cena a base di pesce Renzi e Blair discutono in privato. Il giorno successivo Blair rilascia un'intervista a "La Repubblica", in cui afferma:

«I momenti di grande crisi sono anche momenti di grande opportunità. In tempi normali sarebbe difficile per chiunque realizzare un programma ambizioso come quello delineato dal nuovo premier italiano. Ma questi non sono tempi normali per l'Italia. Renzi comprende perfettamente la sfida che ha di fronte. Se facesse solo dei piccoli passi rischierebbe di perdere la spinta positiva con cui è partito. Perciò c'è una coerenza tra il suo programma di riforme costituzionali e le riforme strutturali per rilanciare l'economia. E la crisi può dargli l'opportunità per compiere quei cambiamenti che sono necessari al Paese, ma che finora non sono mai stati fatti per le resistenze di lobby e interessi speciali».

 

E ancora:

 

«A mio parere occorre calibrare tre elementi: la riduzione del deficit, che è essenziale; le riforme necessarie per cambiare politica economica; e la crescita non solo per generare occupazione ma anche per portare più denaro nelle finanze pubbliche. Per fare tutto questo non serve la contrapposizione destra/sinistra, bensì quella tra giusto e sbagliato, fra ciò che funziona e ciò che non funziona. Se la riduzione del deficit è troppo veloce, la crescita non riparte. Ma se non si fanno le necessarie riforme, il deficit non si riduce. E mi sembra che questo Renzi lo abbia capito benissimo».

 

In un'altra intervista, rilasciata al quotidiano britannico "The Times", sempre Blair ha detto:

«Il mutamento cruciale, delle istituzioni politiche, neanche è cominciato. Il test chiave sarà l'Italia: il governo ha l'opportunità concreta di iniziare riforme significative».

Ricapitolando. Blair ha confermato il suo appoggio a Renzi sulla strada delle riforme. Ma come abbiamo ricordato non è più il politico che parla. Oggi il fu leader dei laburisti riceve uno stipendio di milioni di dollari l'anno per fare da consulente a una delle più importanti banche d'affari del mondo (seconda solo alla Goldman Sachs), formalmente denunciata dalla Casa Bianca di essere stata la «responsabile della crisi dei subprime», che ha poi scatenato la crisi economica mondiale.

Ha scritto l'economista statunitense Joseph Stiglitz:

«Le banche d'affari si servono di consulenti come la massoneria si serve dei propri membri. I consulenti oliano gli ingranaggi della politica, avvicinano i politici che contano alle banche giuste e promuovono presso di loro politiche compiacenti a quelle indicate dalle banche».

 

Che cosa si intende per «politiche compiacenti a quelle indicate dalle banche»? Il 28 maggio 2013 la JpMorgan ha redatto un documento di sedici pagine dal titolo "Aggiustamenti nell'area euro". Dopo che nell'introduzione si fa già riferimento alla necessità di intervenire politicamente a livello locale, a pagina 12 e 13 si arriva alle Costituzioni dei Paesi europei, con particolare riferimento alla loro origine e ai contenuti:

«Quando la crisi è iniziata era diffusa l'idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica. Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei Paesi del Sud, e in particolare le loro Costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell'area europea».

«I problemi economici dell'Europa sono dovuti al fatto che i sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell'esperienza. Le Costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo», prosegue l'analisi della banca d'affari.

 

Andando avanti nella lettura il documento entra più nello specifico:

 

«I sistemi politici e costituzionali del Sud presentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti, governi centrali deboli nei confronti delle regioni, tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori, tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo, il diritto di protestare se i cambiamenti sono sgraditi. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I Paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia)».

 

Riassumendo, la JpMorgan ci dice: liberatevi al più presto delle vostre costituzioni antifasciste.

«L'idea d'uno Stato dove i poteri legislativo, esecutivo, giudiziario appartengano a organi diversi e siamo tutti eguali davanti alla legge» a esser malvista dalla parte dominante nel Ventunesimo secolo. Soprattutto, sono malviste le Costituzioni nate dalla Resistenza. Specie quelle del Sud Europa: in Italia, Grecia, Spagna, Portogallo», denuncia il giurista Franco Cordero.

Per l'economista Emiliano Brancaccio: «Maggiore è il potere del parlamento, più è difficile ridimensionare lo stato sociale. Un orientamento di segno opposto, invece, mira a redistribuire il reddito favorendo il profitto e le rendite, non certo a un ammodernamento del Paese. Nella Costituzione italiana e in quelle antifasciste ci sono norme che vincolano la tutela della proprietà privata, che può essere espropriata per fini di pubblica utilità. Le istituzioni finanziarie hanno spesso interesse a realizzare acquisizioni estere di capitali nazionali, e dunque hanno interesse a garantire che la proprietà del soggetto straniero che acquisisce sia tutelata. Con queste Costituzioni il soggetto straniero che viene ad acquisire spesso a prezzi stracciati capitale nazionale di Paesi in difficoltà non è totalmente tutelato perché potrebbe essere espropriato. Dietro la parolina magica "modernizzazione", spesso pronunciata da JpMorgan, c'è dunque la tutela degli interessi di chi vuole venire a fare shopping a buon mercato in Italia e in altri paesi periferici dell'Unione europea».

Scrisse l'ex Cancelliere socialdemocratico tedesco Willy Brandt: «Bisogna correggere la democrazia osando più democrazia».

 

Questo è quanto scrisse Franco Fracassi il 14 Aprile 2014. E’ strano, o forse, perfettamente in linea con il pensiero unico che si tende a realizzare, dopo l’occupazione sistematica di tutta l’informazione RAI e di larga parte degli altri media giornalistici da parte del “giovin signore fiorentino”, che sia sottovalutata la circostanza denunciata dal quotidiano londinese mai smentita.

 

Ridicola, poi, la tesi dei sostenitori del SI del presunto snellimento delle procedure parlamentari, atteso che con la riforma-deforma non si elimina il Senato, né si realizza  la tanto agognata fine del bicameralismo perfetto,  mentre, costituendo di fatto un confuso e farraginoso  bicameralismo imperfetto,  si rende ancor più complicata la formazione delle leggi. Basta confrontare l’art 70 nella versione originaria della Carta e quella illeggibile della nuova, che sembra scritta da analfabeti giuridici, foriera di contenziosi permanenti tra gli organi istituzionali.

 

E, allora, solo per aver diminuito un po’ di parlamentari e il CNEL, si dovevano modificare quarantasette articoli della Costituzione, oltre tutto nelle modalità di sostanziale illegittimità in cui il Parlamento dei “nominati” illegittimi ha proceduto?

 

Spiace che Annamaria Furlan, indegna erede dei Pastore, Storti, Macario, Carniti, Donat Cattin, abbia espresso il suo endorsement per il SI, contraddicendo una cultura politica di ispirazione popolare e democratico cristiana sempre fedele ai valori fondanti della Repubblica italiana.

Quando anche il sindacato è in ginocchio o, peggio, prono ai voleri di un governo come quello farlocco de “ il Bomba”, tempi tristi si annunciano per la democrazia italiana.

 

La speranza che rimane é quella che noi più anziani democratici, esponenti delle antiche culture, si sappia indicare alle nuove generazioni la strada più opportuna, ossia quella del NO alla deforma del trio toscano, per garantire a tutti lo status di cittadini e non quello dei sudditi cui inevitabilmente ci condurrebbe l’eventuale vittoria del SI.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 16 Agosto 2016

 

 

 


Sala, Sindaco PD di Milano, accoglie nella Caserma  Montello gli Immigrati

di Antonino Giannone

 

Mi permetto di fare questo commento sull'immigrazione e sulla decisione di mettere a disposizione degli immigrati la Caserma Montello da parte del Sindaco Sala del PD che è stato eletto con i voti dei Radicali, della Sinistra estrema e grazie al disimpegno al ballottaggio di Salvini, Meloni e alcune Liste civiche  

Il grande equivoco è che non stiamo accogliendo  i profughi, ma nella maggior parte musulmani clandestini che non hanno al seguito le loro famiglie, moltissimi single e giovani dai 30/40 anni,

Ci siamo chiesti perché i musulmani non emigrano verso i Paesi ricchi con la loro stessa cultura musulmana: Emirati- Quatar- Dubai? Nessuno politico denuncia questa ovvietà perché l'Europa, l'Italia fanno grandi business con quei ricchi Paesi. La verità, non viene detta: il progetto dei musulmani è invadere l'Europa e conquistare l'Italia e il Vaticano; lo aveva preannunciato, nel 1976 all'ONU, Boumedienne, Presidente dell'Algeria. Basta rileggere quel discorso (citato nel mio libro Valori fondanti ed Etica per la società della globalizzazione): ogni donna musulmana dovrà  partorire 5/6 figli per consentire l'invasione dell'Europa dopo 30/40 anni. (Oriana Fallaci l'aveva previsto chiamando l'Europa: Eurabia).

Oggi, nel 2016 i figli trentenni e quarantenni di quelle centinaia di migliaia di madri musulmane stanno realizzando quella Mission che è anche scritta nel Corano! 

Noi Cristiani, attratti dal buonismo e dal relativismo imperanti, stiamo rinunciando alla nostra civiltà cristiana, senza più difenderla e trasmetterla ai nostri figli. 

Sta forse finendo l'epoca della Cristianità, come ha scritto Rainero La Valle, iniziata dall'Imperatore Costantino. 

Mi chiedo se i Cristiani della società della globalizzazione ricominceranno dalle nuove catacombe dell'era digitale? 

Con umiltà e rispetto, da semplice cattolico e con spirito di obbedienza mi rivolgo, per una risposta illuminante, al mio Vescovo, il Cardinale Angelo Scola, e al Pontefice della Chiesa Cattolica, Papa Francesco, ma anche al Papa Emerito Benedetto XVI.

 

Antonino Giannone

Vice Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti) 

Milano, 12 Agosto 2016


I morti seppelliscano i loro morti

 

 

La crisi politico istituzionale che sta vivendo il nostro Paese, con l’affermazione di un trasformismo parlamentare senza limiti e la totale scomparsa delle culture politiche della migliore tradizione repubblicana, oltre a interessare i partiti più importanti, come il PD e la sgarruppata area del  centro-destra, colpisce anche e soprattutto le formazioni minori.

 

E’ il caso dell’UDC, una delle ultime schegge della galassia ex DC, che, acquisito illegittimamente  l’utilizzo del simbolo storico dello scudo crociato, sta vivendo le ultime ore prima della sua dissoluzione finale.

 

E’ quanto emerge da un comunicato dell’On Paola Binetti del 7 agosto scorso, con il quale la parlamentare romana lancia un accorato appello al partito invitandolo a “ ritrovare le proprie radici”.

 

Difficile trovare coerenza tra i valori  cui dovrebbe riferirsi un partito di ispirazione cattolico democratica come l’UDC, restando inseriti da accoliti ininfluenti in una maggioranza drogata a sostegno di un governo le cui scelte sono orientate in senso alternativo, come è accaduto con l’approvazione di alcune leggi contrarie a quei “valori non negoziabili” propri della nostra cultura cattolica.

 

Si aggiunga l’ormai perduta affidabilità di alcuni degli attori protagonisti di quel partito, da Pierferdinando Casini, uomo di tutte le stagioni che, come ricorda la Binetti, non ha nemmeno rinnovato la tessera del partito che, pure continua a riconoscergli un’incomprensibile leadership, agli ultimi epigoni di uno scontro insensato, quale quello oggetto dell’appello dell’On Binetti: Lorenzo Cesa, segretario dell’UDC e Giampiero D’Alia, presidente di quello stesso partito.

 

Siamo veramente alla scissione dell’atomo, se un partito il cui consenso, come accertato anche alle ultime elezioni amministrative, è ridotto a cifre da prefisso telefonico, si permette di consumare tale scontro ai vertici e con un padre putativo ormai veleggiante verso il partito della nazione che, forse, non sorgerà mai.

 

Da parte nostra, ossia di amici facenti parte della stessa storia politica seppur vissuta da posizioni di ben diversa responsabilità, non possiamo che suggerire all’On Binetti di prendere atto dello stato preagonico di un partito che ha perduto ogni funzione, se non quella di garantire la sopravvivenza forzata di qualche dirigente;  un partito  trascinato a sostegno di un governo che, con la scelta del referendum di autunno e della legge super truffa dell’Italicum, ne ha deciso la definitiva scomparsa.

 

Bene ha fatto  l’On Cesa ha orientarsi per il NO al referendum costituzionale; una scelta che, tuttavia,  comporterebbe l’immediato abbandono del sostegno al governo Renzi da parte dell’UDC, mentre incomprensibile appare l’opposizione di quei parlamentari del partito che sono ancora disposti a restare nella maggioranza.

 

 

Stando così le cose, più che gli accorati appelli a ritrovare le proprie radici da parte di amici che, di là della difesa del proprio “particulare”,  sembra abbiano perduto la loro anima, sarà bene che “ i morti seppelliscano i loro  morti” e, dopo il voto di autunno, ci si ritrovi con  tutti i democratici che avranno contribuito con il NO alla difesa della sovranità popolare, a concorrere alla rifondazione dei partiti e della politica italiana.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 9 Agosto 2016


La vera destra al di là dei luoghi comuni

 

 

Nell’ampio dibattito che si è aperto all’interno del PD, con particolare riferimento alla prossima scadenza referendaria, è intervenuto ieri il capogruppo al Senato, Luigi Zanda, il quale ha dichiarato: «La storia del centrosinistra italiano ha sempre visto dibattiti molto accesi. La nostra parte politica ha retto e vinto quando, dopo la battaglia interna, si è ritrovata unita. Io lavoro a questo e non mi rassegno. Sia chiaro: col Pd diviso non ci sono alternative, vincono le destre e il populismo».

 

Luigi Zanda non ha radici che affondano nella storia del PCI e dei suoi eredi PDS,DS, essendo piuttosto espressione di una tradizione legata alla cultura politica del compianto Francesco Cossiga, di cui fu collaboratore speciale, con collegamenti personali e funzionali all’editore Caracciolo del gruppo Repubblica-Espresso, sinistro scalfariano di complemento.

 

Conosciamo la sua cultura e onestà culturale per cui ci permettiamo di chiedergli chi rappresenti oggi realmente in Italia, al di là dei luoghi comuni, la vera destra, nel senso della rappresentazione in sede politica degli interessi prevalenti dei poteri dominanti contro quelli della “povera gente”. La destra oggi in Italia, al di là di alcune frange estremiste e ininfluenti, non è certo rappresentata da ciò che è rimasto della vasta e sgarruppata area moderata in cerca di una difficile ricomposizione sul piano politico.

 

Leggendo ciò che ha pubblicato alcune settimane fa  il Guardian in merito ai  desiderata dei poteri finanziari internazionali di smantellare le costituzioni rigide post belliche europee, tra cui quella italiana,  tacciate di eccessiva ispirazione socialista,  JP Morgan,  esplicitamente chiamato in causa, risulta uno dei  suggeritori diretti della pasticciata riforma-deforma del trio toscano Renzi-Boschi-Verdini. Non a caso qualcuno ha scritto della riforma costituzionale: si scrive Renzi si legge JP Morgan.

 

D’altra parte  è evidente che l’area politica che da molto, troppo tempo, è l’interprete coerente degli interessi di quei poteri, risulta essere proprio quella cosiddetta di centro-sinistra,  che ha visto susseguirsi in rapida successione a capi del governo: Prodi, Monti, Letta , direttamente collegati agli ambienti della Goldman Sachs, del Gruppo Bilderberg e compagnie di giro finanziarie varie, sino all’ultimo virgulto coltivato e fatto giungere per vie improprie al potere che è il “ giovin signore di Firenze”, grazie alle decisioni del manovratore capo Napolitano, ancora in servizio permanente effettivo.

 

Ecco perché il giudizio di Zanda andrebbe corretto: se al referendum vincesse il SI con un PD unito, allora sì che vincerebbero le destre e i poteri finanziari dominanti, come lucidamente ha scritto alcuni giorni fa, il V.Presidente emerito della Corte Costituzionale, Prof Paolo Maddalena.

 

Egli senza giri di  parole afferma: “i Governi degli ultimi decenni hanno dimostrato di essere asserviti (come del resto la cosiddetta “troica”) ai voleri della finanza, la quale impone l’approvazione di leggi in proprio favore e contro gli interessi del Popolo (sanità, ambiente, ecc.). Lo si è già visto, da ultimo, con le leggi “Sblocca Italia”, “Jobs Act”, “Riforma della pubblica amministrazione”, le quali subordinano l’interesse dell’impresa (e cioè delle multinazionali) alla tutela del diritto al lavoro, alla tutela della salute e alla tutela dell’ambiente. Si rende, in altri termini, legittima la subordinazione dei cittadini alla volontà del governo e la subordinazione di quest’ultimo alla volontà della “finanza” (multinazionali e banche). Tale riforma costituzionale, inoltre, che riguarda 47 articoli della Costituzione, realizza una nuova Costituzione, trasformando indebitamente il potere di revisione in un potere costituente, cosa che è vietata dal citato art. 138.

Con la trasformazione sino al suo annullamento, dalla Leopolda in poi, della cultura politica della sinistra presente nel PD ad opera del giglio magico renziano, , la riduzione di quel partito a un Golem senza forma e privo di identità, reso ancor più, irriconoscibile dopo l’apporto dei mercenari della transumanza trasformistica parlamentare di marca verdiniana e accoliti,  è evidente che si tenterà in tutti i modi di falsare le carte in tavola e, come sostiene il Prof Maddalena, “subito dopo l’estate aumenterà il flusso di informazioni e controinformazioni sul tema del referendum costituzionale”.

Stavolta però gli autentici democratici italiani non si faranno gabbare e l’augurio è che, anche molti di coloro  che sono ancora parte non effimera del PD, ex comunisti e  ex popolari, sappiano finalmente riprendere le motivazioni ideali fondamentali della loro attività politica, concorrendo con tutti noi che saremo in campo, alla difesa della sovranità popolare; quella  che gli esecutori delle volontà dei poteri finanziari dominanti vorrebbero farci calpestare con un voto suicida.

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 8 Agosto 2016

 


Cosa accade nella travagliata area popolare

 

Ad un caro amico di Roma che mi ha scritto chiedendomi un parere sul progetto Parisi, ho risposto così:

 

L'idea di un nuovo soggetto politico  laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista e transnazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano e inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi ispiratori dei padri fondatori, alternativo al socialismo trasformistico renziano e ai  populismi estremi é il progetto che da tempo propongo, con alterne fortune,  agli amici popolari italiani.

 

Pare che alla base della decisione di Berlusconi di puntare su Parisi ci siano proprio le spinte della Merkel, componente centrale del PPE, per prendere le distanze dalle posizioni più intransigenti e anti europee di Salvini.

 

Parisi è  persona equilibrata, uomo di mediazione, sicuramente un tecnico e non un politico, ancorché di origine socialista lombardiana, il che lo rende assai interessante anche al sottoscritto.

 

Naturalmente si tratta di vedere se, stavolta, il Cavaliere lascerà a ciò che rimane di Forza Italia il compito di confermare la sua indicazione, tanto più se si dovesse giungere, come sembra, a una ricomposizione ampia dell’area alternativa al renzismo; situazione nella quale la leadership, ancorché indicata, dovrà essere condivisa attraverso elezioni tipo primarie con regole democratiche.

 

Troppe volte Berlusconi ha indicato un possibile suo successore (Fini,  Fitto, Alfano, Toti) per poi divorarselo come Saturno con i suoi figli.

 

Da parte mia, come ho detto nel recente incontro di Roma dei popolari di Rovereto e Orvieto e come ALEF siamo interessati a seguire e verificare:

 

1)   ciò che accadrà prima, durante e dopo il referendum tra gli amici aderenti al NO e uniti nella difesa della sovranità popolare. E’ il caso del progetto della Confederazione di Sovranità popolare in corso di sviluppo a Roma con gli amici De Giacomo, Paolo Maddalena, Luigi Intorcia, Giovanni Tomei- www.sovranitapopolare.it ;

2)   al progetto processo di ricomposizione dell’area popolare, liberale e riformista avviato a Rovereto ( Luglio 2015) e Orvieto (Novembre 2015), rilanciato Venerdì 26 Luglio scorso all’incontro di  Roma, presso l’Istituto Sant’Orsola,  con gli amici Tarolli e C. a conclusione del quale abbiamo deciso:

a)    di ritenere l’appuntamento referendario sulle modifiche alla Costituzione un impegno aggregante, perché occasione per esprimere unitariamente e fattivamente la contrarietà alle modifiche apportate. E pertanto di impegnare ogni energia umana e organizzativa per costituire a tutti i livelli, e sull’intero territorio nazionale, Comitati Unitari per il NO.

b)    di considerare tale scadenza un’occasione irripetibile per fornire agli elettori del nostro Paese un Progetto alternativo sull’Italia che vogliamo costruire, dove i caratteri siano improntati alla concretezza degli aspetti programmatici, alla chiarezza delle posizioni politiche, ad un riformismo innovativo del merito e che sappiano trarre ispirazione dalla Dottrina Sociale della Chiesa.

c)     di avviare mediante uno o più appositi gruppi di lavoro iniziative che favoriscano la costituzione di un Tavolo nazionale dei vari comitati del NO, attraverso i quali:

·      Avviare un percorso di collaborazione e di messa a punto di un comune e condiviso Progetto per l’Italia;

·      Individuare un percorso metodologico che porti all’apertura di una Costituente nazionale per un Nuovo Soggetto Politico.

d)    Che la peculiarità di tutte queste iniziative abbia la caratterizzazione della pluralità culturale, di una leadership comunitaria e collegiale, nonché sappia far emergere una classe dirigente all’altezza delle sfide.

e)    Di conferire concretezza ai suddetti impegni promuovendo la costituzione di una nuova Associazione culturale ad hoc -  il cui nome potrebbe essere “Appello ai Comitati popolari e per la famiglia”, salvo altri suggerimenti - lo statuto della quale contempli le seguenti caratteristiche:

·      riferimento nei valori identitari ai principi richiamati nell’Appello di Rovereto del 18 luglio 2015 e nel documento di Orvieto del 29 novembre 2015, con le integrazioni proposte dai soggetti aderenti;

·      ribadisca la condivisione degli obiettivi dei Comitati popolari e dei Comitati delle famiglie;

·      aperto sia all’adesione dei singoli che delle persone giuridiche e delle associazioni di fatto quali Partiti, Movimenti, Comitati per il No al referendum costituzionale e altre associazioni.

 

E, infine, terzo ma non meno importante, siamo interessati all’annunciato seminario-convention di autunno proposto da Parisi, al quale vorremmo presenziare come “osservatori partecipanti” per accertare se e quali fatti realmente nuovi accadranno dopo tante disillusioni…..

 

Premessa, tuttavia, indispensabile sarà la madre di tutte le battaglie, ossia il referendum di autunno, nel quale dovremo valutare se e chi si schiera effettivamente per il NO  a difesa della sovranità popolare, autentica discriminante per ogni futuro e diverso assetto politico e premessa essenziale per concorrere alla costruzione del nuovo soggetto politico.

Da parte mia credo che la battaglia per il NO sarà l’ultima che condurrò come partecipante politico attivo; poi, credo, che, anche per ragioni di età….attaccherò  le scarpette al chiodo.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 1 Agosto 2016

 

 

Intervento Ettore Bonalberti (ALEF) all’incontro di Roma

Venerdì 29 Luglio- Istituto S.Orsola-Via Livorno,50

 

Porto il saluto dell’amico sen Mario Mauro, impegnato per motivi familiari nel Veneto, il quale esprime interesse e adesione alla volontà di riconfermare e portare a compimento le conclusioni di Rovereto e di Orvieto alle quali anche i Popolari per l’Italia hanno aderito.

 

Da parte mia , come sapete, sono 23 anni che combatto per la ricomposizione dell’area popolare ed ex DC. Nel 2010 ho dato vita ad ALEF (Associazione Liberi e Forti)  con un gruppo di amici di varie parti d’Italia che, quasi settimanalmente, tedio con le mie noterelle politiche.

 

Ho attraversato l’esperienza, non ancora conclusa, del tentativo di dare pratica attuazione alla sentenza della Corte di Cassazione n.25999, che, a sezioni civili riunite, il 23.12.2010. ha definitivamente stabilito che: “ la DC non è mai stata giuridicamente sciolta”. Sentenza in attuazione della quale attendiamo l’ordinanza del tribunale di Roma sulla richiesta di convocazione dei soci DC che, nel 2012, decisero di rinnovare il tesseramento al partito.

 

Fallito il nostro meritevole tentativo con il XIX Congresso nazionale della DC del Novembre 2012, ho assistito ai diversi tentativi di amici che connotano la vasta galassia disorganizzata di quello che fu il vasto e complesso retroterra culturale che faceva riferimento alla DC e, più in generale, alla tradizione dei popolari, sino alle due tappe essenziali del 2015: Rovereto ( Luglio 2015) e Orvieto ( Novembre 2015).

 

C’è stato l’ennesimo tentativo di Federazione, alla quale diedi il mio positivo contributo, dovendo prendere atto che si è tentata un’asfittica operazione ad excludendum, tanto più assurda alla viglia delle elezioni amministrative di per sé divisive, espressione di un progetto politico che non corrisponde alla realtà effettuale che ci troviamo d’innanzi sul piano etico, sociale, culturale e politico istituzionale.

 

Credo che ogni tentativo fondato sulla nostalgica riproposizione di vecchi schemi conformi alle vecchie culture politiche scomparse sia destinato al fallimento.

 

Si tratta di prendere atto, da un lato, della necessità di superare quelle che il sen Luigi Compagna denota come “ il mariosegnismo”,  ossia una sorta di rivolta moralistica contro il sistema dei partiti occupanti tutto il potere della Prima Repubblica; un tipo di atteggiamento tuttora in corso, sostenuto nel 1994 dalla Lega e poi dall’illusione liberale berlusconiana, sfociato miseramente nell’attuale dominante trasformismo politico parlamentare di cui scrivo da diverso tempo e che ho raccolto nel mio ultimo saggio sul triennio renziano: “ Popolo! Non avere paura del NO, cosa  cambia con il referendum”.

 

Con la teoria euristica da me rielaborata dei quattro stati ho tentato di rappresentare le ragioni del divario esistente tra la casta dominante, i diversamente tutelati, il terzo stato produttivo e il quarto non stato, evidenziando le ragioni della disaffezione elettorale e la grave crisi istituzionale in cui siamo precipitati dopo il “golpe blanco” tentato nel 2010 dal duo Napolitano-Fini e realizzato, sotto la pressione dei poteri finanziari forti europei e internazionali ,nel Novembre 2011.

 

Gravi le responsabilità, mai sottoposte al giudizio del Parlamento, di Napolitano, ancora in servizio permanente effettivo;  tanto che, in un quadro europeo e internazionale totalmente mutato, dove i poteri finanziari dominano incontrastati sull’economia reale e sulla politica, siamo costretti a porci in difesa della sovranità popolare, messa in discussione dal progetto del combinato disposto della riforma-deforma del trio toscano Renzi-Boschi-Verdini e della legge super truffa dell’Italicum.

 

Fortunatamente, come dicono i friulani: “ non gli è un mal che non sia anca un ben”, e ciò che non siamo riusciti a compiere sul piano politico organizzativo, ce l’ha permesso o costretto il referendum di autunno.

 

Sul NO al referendum, infatti, il 1 Marzo scorso abbiamo contribuito a far nascere il Comitato Popolare per il NO, nel quale hanno trovato rifugio tutte le diverse schegge del fiume carsico ex DC e popolare. Unici esclusi, almeno sin qui, le residue scarse truppe ex popolari che sostengono il governo  dentro e fuori il PD.

 

Nel frattempo e in ragione della crisi istituzionale, politico sociale cui ho fatto prima riferimento, nella sostanziale perdita di ogni residua credibilità di ciò che resta della cosiddetta seconda repubblica, con il PD ridotto a un Golem informe e senza più identità, il centro destra sfasciato, perduta l’antica egemonia a dominanza del Cavaliere e con il M5S ricettacolo del voto degli scontenti che, tuttavia, credono ancora nel valore della partecipazione politica, ciò che si richiede è pensare oltre i vecchi schemi e le antiche pregiudiziali appartenenze.

 

Si tratta di concorrere a costruire una nuova offerta politica soprattutto al terzo stato produttivo e a quella parte dei diversamente tutelati che, sfiduciati e frustrati, abbandonano i seggi elettorali, privi di una  seria e credibile rappresentanza politica. Come la DC seppe compiere il miracolo di  garantire all’Italia una lunga stagione democratica, grazie all’equilibrio sociale offerto dalla capacità della DC di  saldare gli interessi e i valori dei ceti medi produttivi con quelli popolari, così dovremo fare, interpreti nella “città dell’uomo” degli orientamenti pastorali della dottrina sociale della Chiesa, offrendo al terzo stato produttivo e ai diversamente tutelati una nuova speranza, prima che la rivoluzione fiscale passiva ormai prossima prenda il sopravvento, con il rischio di una rivolta sociale dai possibili esiti autoritari.

 

Come ALEF abbiamo seguito con interesse e attenzione i processi in itinere, prendendo innanzi tutto atto del fallimento delle nostre precedenti esperienze, aderendo a ciò che sta avvenendo con l’annunciata costituzione della Confederazione Solidarietà popolare; ossia al tentativo meritorio di mettere insieme le diverse culture politiche che si ritrovano nella difesa strenua dei fondamentali costituzionali; così come abbiamo sempre seguito e sollecitato il percorso avviato a Rovereto e a Orvieto.

 

Infine, siamo interessati, come ha già anticipato l’amico Giannone, V.Presidente ALEF, con la sua ultima nota,  a verificare ciò che sta accadendo nel processo di ricomposizione dell’area moderata. Gli amici Giovanardi, Quagliariello ed ex NCD che hanno avuto il coraggio di abbandonare Alfano e il governo Renzi, hanno deciso di partecipare da Popolari liberali, con gli amici di Italia Unica, al processo di ricomposizione avviato da Stefano Parisi in Forza Italia. 

Anche ALEF, almeno come “osservatore partecipante” intende concorrere e sostenere ogni iniziativa che si ponga in alternativa al trasformismo pseudo socialista renziano. Essenziale sarà, come’è negli intendimenti dell’amico Giovanardi, concorrere al progetto, apportando allo stesso  la nostra cultura e migliore tradizione dei popolari liberali.

 

Oggi, secondo le indicazioni dell’amico Tarolli, che ringrazio per quel suo spirito e passione tutta trentina di autentico democratico cristiano, siamo interessati a partecipare a questa innovativa formula di confronto e di partecipazione paritetica e inclusiva che ci viene offerta in continuità e sviluppo delle conclusioni di Rovereto e Orvieto.

 

Una formula che dovrebbe portarci a organizzare in tempi ragionevolmente brevi, quella che da tempo definiamo la seconda Camaldoli o come diversamente la vorremmo chiamare. In ogni caso sarà quella la conclusione del processo di ricomposizione dell’area popolare, per offrire al nuovo soggetto politico che inevitabilmente dovremo concorrere a far nascere dopo il referendum di autunno, la nostra  migliore tradizione politico culturale e sociale.

 

A conclusione del dibattito intervenuto oggi, assai proficuo, acquisendo le importanti sollecitazioni offerte dagli amici Tarolli, Tomasi, Voltaggio, Carmagnola, Forlani, Cristofori, Bicchielli,De Simone, Venturini, D’Agostini, Melchiorre e Rabotti, formulo seguente proposta:

1)   i partecipanti all’odierno incontro con coloro che hanno dato la loro adesione a Tarolli si costituiscono in gruppo di lavoro attivo, coordinato dall’amico Tarolli e tecnicamente dall’amico Marco D’Agostini, costituendo quella minoranza organizzata e attiva in grado di sviluppare positivamente e inclusivamente il progetto;

2)   si formino gruppi di lavoro sui diversi temi programmatici, partendo da quelle tre indicazioni –base offerte dall’amico Tomasi che lo pregherei di sviluppare. Da parte mia mi prenoto a partecipare al gruppo indicato da Bicchielli che intende seguire il processo di evoluzione in atto nell’area moderata. Si dia ampio spazio alla comunicazione on line inviando a ciascun componente del gruppo l’elenco dei partecipanti con le coordinate relative (e-mail e cellulari) onde evitare i costi delle trasferte romane….

3)   Tarolli si faccia sollecitatore di una sempre più stretta unità e coordinamento tra tutti gli amici popolari che a diverso titolo hanno aderito al Comitato Popolare per il NO e con Gargani si solleciti la formazione del coordinamento dei comitati per il NO a livello nazionale.

4)   Con gli amici di Italia Unica e altri disponibili sollecitiamo la formazione dei comitati civico popolari in tutti i comuni dell’Italia per la difesa della sovranità popolare, puntando ad organizzare incontri regionali e provinciali dei comitati unitari per il NO ovunque possibile.

5)   Come sollecitato da Tarolli raccogliamo i diversi contributi programmatici sin qui elaborati dai diversi gruppi, movimenti e partiti di area popolare, al fine di costruire una proposta programmatica in grado di offrire le risposte alle attese del ceti medi produttivi e delle classi popolari italiane.

6)   Un gruppo ad hoc si interessi di formulare proposte sulla nuova forma partito del nuovo soggetto politico a misura delle attese delle nuove generazioni e dell’ innovazione che si richiede alla nuova offerta politica

Tutto ciò al fine di preparare con quanti interessati la grande Convention nazionale dei Popolari,Liberali e riformisti da svolgersi entro e immediatamente dopo il referendum ( una volta che finalmente ne conosceremo la data).

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Roma, 29 Luglio 2016

 

 

 

 


Quelle polemiche sul Papa e la Chiesa cattolica

 

Sono un papista ortodosso e considero indegne certe allucinanti note che circolano sul web, come quelle di un sedicente Movimento d’Amore San Juan Diego, che giungono a definire Papap Bergoglio come “ il Vicario dell’AntiCristo”, o quegli articoli del solito Socci con i quali si vorrebbe insegnare al Papa “ come fare il Papa”.

 

Confesso, tuttavia, che molte delle persone che abitualmente frequento, alcune delle quali vicine ad ambienti importanti della Curia romana, esprimono sempre più spesso il loro disagio, se non la loro aperta avversione, sia per qualche affermazione “ imprudente” secondo  loro di Papa Francesco, sia per qualche incomprensibile omissione, specie con riferimento alle vicende drammatiche della violenza jihadista contro i cristiani.

 

Riferimento obbligato la lectio magistralis di Papa Benedetto XVI a Ratisbona  nel quale Papa Ratzinger lucidamente espresse  il suo pensiero in merito agli islamisti che “ usano la spada e non la ragione”, dopo quanto accaduto a Padre Jacques sgozzato sull’altare nella Chiesa di Saint-Etienne du Rouvray, ci si attendeva una reazione più ferma da parte della Chiesa con la voce del suo Pontefice.

 

Papa Francesco, ieri, invece, sull’aereo che lo stava conducendo a Cracovia alla Giornata Mondiale della Gioventù, reiterando la sua ben nota affermazione per cui “ siamo in guerra”, nella terza guerra mondiale, sebbene condotta in più tranches, ha con estrema durezza affermato che” siamo in guerra sì, ma non di religione”. La sua conclusione è perentoria: “ tutte le religioni vogliono la pace. La guerra la vogliono gli altri”.

 

Credo che con quest’ultima affermazione il dibattito sull’attuale conduzione della Chiesa Cattolica non mancherà di riservarci altre sorprese. Da parte mia continuo a ritenere Papa Francesco un dono del Signore, offerto a una Chiesa smarrita e da un popolo di fedeli in crisi da molto più tempo di quello che è stato sin qui concesso alla responsabilità del gesuita argentino. Una crisi che finì con l’annientare anche le ultime strenue capacità di resistenza del grande teologo Papa Benedetto XVI, nel confronto del quale spesso i critici di Bergoglio lo mettono in indebita contrapposizione.

 

Se il titolo stesso del Papa, Pontefix, costruttore di ponti, anche nella situazione drammatica che ha visto negli ultimi anni il sacrificio di migliaia di cristiani in varie parti del mondo, quasi sempre per la mano di estremisti in maggioranza ispirati da una lettura faziosa dei testi coranici, costituisce la premessa ontologica dell’agire papale, non si comprende quale alternativa concreta i critici di Bergoglio saprebbero avanzare?

 

La guerra di religione? E con quali truppe? Ci sono crociati disponibili nelle Chiese sempre meno frequentate, con vocazioni sempre più flebili, e con lo stesso associazionismo cattolico che permane in Italia, come nel resto d’Europa, in grave crisi di orientamento e di organizzazione?

 

Al di là delle facili reazioni, espressione più della rabbia e della frustrazione, andrebbero meglio considerate le ragioni più profonde che sono alla base dell’attuale situazione di crisi nei rapporti internazionali, entro i quali si pone la questione dello stesso stato islamico dell’ISIS e delle sue tentacolari manifestazioni più o meno organizzate a livello mondiale.

 

Sul blog che dirigo (www.insiemeweb.net), l’amico Fabio Polettini ha sintetizzato in maniera efficace ciò che sta accadendo, sottolineando che:  Quello che continua a rimanere sottotraccia è l’analisi del disegno sottostante a questi atti di sangue. Esiste una strategia? A cosa è diretta? A che cosa si mira seminando terrore che danneggia il turismo e le economie, in primis, degli stessi paesi musulmani coinvolti? Si mira alla destabilizzazione del medio oriente da parte, questa volta, di alcuni stati di quell’area? O di certi settori di quegli stati, la cui leadership è a base clanica?

Con il progressivo disimpegno degli Usa, nuovi attori stanno riempiendo quel vuoto. La Russia è intervenuta per non vedersi esclusa dal mediterraneo, per controbilanciare la perdita dell’Ucraina, per mitigare le sanzioni e, probabilmente, per affrontare il tema del prezzo del petrolio- di cui è grande produttrice ed esportatrice- tenuto artificialmente basso dall’ Arabia Saudita.  Ma quest’ultima, coi suoi alleati e l’iran conducono un confronto duro e diretto sia in Siria, che in Yemen, che in Iraq. Ecco, è in questo assetto di nuovi equilibri che deve essere inquadrato L’Isis e le sue ambizioni territoriali, nonché la sua origine.

La cosa non è certo facile dal momento che in questo groviglio (dal quale gli Usa hanno preferito chiamarsi fuori, adottando l’antica politica del bilanciamento dei poteri, tesa a fare sì che nessun paese possa prevalere del tutto sull’altro, sapendo che Washington interverrebbe militarmente per riequilibrare il baricentro) ci sono grandi interessi economici di alcuni stati anche europei, nonché di Cina e Russia. Pensiamo soltanto alla delicatezza della Turchia, allo snodo dei gasdotti che fanno transitare gas dalle aree del Caspio sino a noi, al passaggio dei Dardanelli (che con Gibilterra e Suez sono gli unici accessi verso gli altri mari), al fatto di essere area -quella turca- che confina con le frontiere europee e che è terra”.

 

Ecco di qui si dovrebbe ripartire, se non si vuole ridurre la nostra critica a formule prive di fondamenta effettuali. Credo che il Papa e il Vaticano abbiano l’intelligenza e gli strumenti di analisi e di verifica più che efficaci per assumere, con sano realismo e la fedeltà ai valori di riferimento essenziali, le scelte più opportune in questa fase complessa e, per certi versi, drammatica della vita sul nostro pianeta.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 28 Luglio 2016

 

 


O la politica si rigenera o sarà rivolta sociale


La crisi politico istituzionale dell’Italia attraverserà in autunno uno dei passaggi più delicati, quello  del referendum costituzionale.

 

Qualcuno ha scritto: “ si scrive Renzi si legge JP Morgan”, ossia tutto parte dalle grandi compagnie finanziarie internazionali, al libro paga delle quali sono già iscritti leader politici europei, come  l’ex premier inglese Tony Blair e l’ex Presidente dell’Unione europea Barroso; per non parlare di alcuni noti politici italiani abituali invitati del circuito Bilderberg o già ospiti del panfilo “ Britannia” in cui si decisero le sorti e la svendita di molte aziende statali italiane.

 

In gioco è ciò che resta della sovranità popolare, con un combinato disposto: riforma pasticciata costituzionale ( 46 articoli della Carta modificati) e legge super truffa dell’Italicum che persegue l’obiettivo di un “ aggiornamento del sistema”, con il governo affidato a “ un uomo solo al comando”.

 

E’ la rigidità della Carta voluta dai padri costituenti che si intende violare, ultimo baluardo allo strapotere del turbo capitalismo finanziario che, nell’età della globalizzazione, subordina ai propri interessi l’economia e la politica, sino a distruggere lo stesso concetto di democrazia così come lo abbiamo acquisito in Occidente dalla rivoluzione  francese in poi.

 

Tutto ciò accade mentre é in atto a livello del Parlamento dei nominati illegittimi, il più vasto e indegno trasformismo, che, vede in Senato il sostegno al  governo non solo di una maggioranza drogata dal “porcellum”, ma inflazionata dal voto dei transumanti mercenari, eletti nelle liste di centro-destra e oggi sul carro del “ giovin signore” fiorentino.

 

Un referendum che, come ben ha descritto Massimo D’Alema nel suo ultimo dibattito televisivo ( “ In Onda”), chiedendo un SI o un NO su 46 articoli, assume inevitabilmente il carattere di un autentico plebiscito.

 

Con una partecipazione al voto  ormai stabilmente  ridotta a metà del corpo elettorale degli aventi diritto, un Parlamento di “ illegittimi” che continua a  sfornare leggi e addirittura a cambiare con un voto di fiducia la Carta costituzionale, il distacco tra paese reale e paese legale assume un livello mai così grande nella storia della Repubblica.

 

I partiti, almeno quelli che sono espressione del profondo travaglio intervenuto negli oltre vent’anni della cosiddetta seconda repubblica ( 1994-2016), sono tutti in preda a una crisi di identità come nel caso del PD, ridotto alle caratteristiche di un Golem senza forma, privo di una definita cultura politica, espressione di un socialismo fasullo nella versione trasformistica del renzismo dominante. Le punture al curaro espresse recentemente da D’Alema sono la dimostrazione del travaglio presente in quello che è pur sempre il partito di una maggioranza farlocca del corpo elettorale.

 

Il centro-destra, d’altronde, vive la fine dell’egemonia-dominio del berlusconismo, alla ricerca di un nuovo complesso equilibrio tra ciò che rimane tra Forza Italia, la Lega e Fratelli d’Italia.

 

Resta il M5S ricettacolo del voto degli arrabbiati e ultima speranza almeno per coloro che partecipano ancora al voto.

 

Gli è che manca totalmente una rappresentanza significativa e credibile del terzo stato produttivo, quello che costituisce il produttore reale della ricchezza nazionale, composto da artigiani, commercianti, agricoltori, piccoli e medi produttori con i loro lavoratori, liberi professionisti, i quali partecipano in  larga parte alla vasta area  degli astensionisti del voto.

 

Spezzato l’equilibrio tra classe operaia e ceti medi, che nella prima repubblica era stato garantito dalla DC e dai partiti del centro-sinistra d’antan e venuta meno l’illusione rappresentata al Nord, dapprima dalla Lega di Bossi e poi dalla promessa e mancata rivoluzione liberale del Cavaliere, al terzo stato produttivo, fattore dell’equilibrio sociale, restano:

a)    il giogo ormai insostenibile  di un sistema fiscale onnivoro e  una forzata rivoluzione fiscale passiva ( gli ultimi dati Istat indicano un’evasione dell’IVA di oltre il 30%);

b)   l’abbandono delle attività con la chiusura di aziende mai registrata prima in Italia o la fuga in Paesi fiscalmente più convenienti;

c)    la disperazione sino al suicidio che puntualmente si registra in varie parti d’Italia.

 

Con un sistema istituzionale in fibrillazione e la crisi della rappresentanza o le forze politiche saranno capaci di rigenerarsi, scomponendosi e ricomponendosi secondo progetti culturali affini o la rivolta sociale non sarà più un argomento di mera analisi politologica.

 

Come popolari, vittime della dolorosa diaspora democristiana, viviamo con angoscia i comportamenti degli ultimi esponenti di questa antica e nobile cultura ancora presenti in Parlamento e al governo. Salvo alcuni casi di nobili coerenze ( Mario Mauro, Carlo Giovanardi e pochi altri) assistiamo basiti alle capriole dei saltimbanchi e opportunisti indegni eredi della tradizione popolare e democratico cristiana.

 

Da anni chiediamo inascoltati un’assemblea costituente, unica legittimata a procedere a modifiche costituzionali, in base a un’effettiva legittima rappresentanza di tutte le istanze presenti nella società italiana e non certo da un plebiscito forzato e sostenuto dai poteri forti finanziari internazionali.

 

Ecco perché siamo impegnati unitariamente a sostegno del NO al referendum per la difesa della sovranità popolare e a concorrere, con tutti i democratici che credono nei fondamentali della Costituzione, alla costruzione di  un nuovo soggetto politico, che per noi, dovrà avere i caratteri di un partito laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, da far ritornare ai principi dei padri fondatori, alternativo al socialismo trasformista renziano e ai populismi estremi.


Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 25 Luglio 2016

 

E’ nato a Mestre il Comitato dei Popolari veneziani per il NO

 

Il 1 Marzo è stato costituito a Roma il Comitato Popolare per il NO che riunisce tutte le diverse componenti della vasta galassia popolare e di ex DC, la cui presidenza è stata affidata  all’On. Giuseppe Gargani

 

Oggi  presso la sala riunioni dell’Hotel ai Pini di Mestre si è dato vita al comitato dei popolari veneziani per il NO al referendum, così come sono già sorti a Verona, Belluno  e a  Rovigo .

 

Al comitato hanno aderito i primi venti soci che, provenendo da diverse esperienze politico culturali che si rifanno alla tradizione e ai valori dei Popolari Democratico cristiani e liberali, hanno condiviso le ragioni dell’atto costitutivo del comitato nazionale Popolare per il NO e intendono concorrere a far nascere in provincia di Venezia e possibilmente in tutti i comuni del veneziano dei comitati civico -popolari per la difesa della sovranità popolare.

 

Le ragioni del  NO dei Popolari  sono state ampiamente evidenziate da Ettore Bonalberti, della Presidenza nazionale del Comitato Popolare per il NO, il quale ha recentemente editato un saggio dal  titolo: “ Popolo! Non avere paura del NO- cosa cambia con il referendum”- Trattasi di un’approfondita analisi  sul triennio renziano e sulle ragioni che hanno portato alla scadenza referendaria.

 

Bonalberti ha confermato la volontà dei Popolari veneziani di collegarsi con tutte le altre realtà  dei comitati per il NO presenti a Venezia e nel Veneto,  con le quali so condividono i fondamentali della Costituzione, atteso che “la madre di tutte le battaglie” si dovrà combattere contro forze soverchianti per disponibilità di mezzi e risorse finanziarie.

 

Noi, ha continuato Bonalberti, “la combatteremo da “medici scalzi”, ma con tanta passione civile”.

All’incontro ha portato il suo saluto il prof Fabrizio Ferrari, V.Presidente vicario dell’ANPI di Mestre, che è stata la più efficace ed efficiente organizzazione scesa in campo per la raccolta delle firme per il referendum e per l’abrogazione della legge super truffa dell’Italicum.

 

Sono intervenuti nel dibattito gli amici: Di Turi, Malerba, Boscaro, Ranzato, Soccoli e Rossato.

All’arch Ferdinando Ranzato è stato affidato l’incarico della presidenza  del comitato veneziano dei Popolari per il NO al referendum. Ai venti soci che hanno aderito all’appello dei Popolari per il NO il compito di costituire il Direttivo del Comitato dei Popolari veneziani per il NO. Un direttivo aperto all’ingresso di quanti sano interessati  a partecipare all’impegnativa campagna referendaria d’autunno.

E’ sufficiente inviare all’indirizzo: info@bonalberti.com una mail con la dicitura: ADERISCO AL COMITATO POPOLARE VENEZIANO PER IL NO AL REFERENDUM.

 

 

Mestre-Hotel ai Pini- 23 Luglio 2016

 

 

 

 


La profezia che si autoadempie

Il 2 Dicembre dell’anno scorso redassi una nota dal titolo: una rivoluzione fiscale passiva?  Con essa evidenziavo che: “ se agli inizi degli anni’80, nelle fascia pedemontana del Nord, la Lega di Bossi poté affermarsi sulla base di una rivoluzione fiscale attiva ( “ basta con Roma ladrona”) per l’intervenuta rottura del patto con la DC e i partiti del centro-sinistra ( “ non vi opprimo con la tassazione in cambio del voto”), oggi corriamo il rischio di una rivoluzione fiscale passiva per impotenza o incapacità reale dei terzo stato produttivo di corrispondere a vessatori impegni fiscali che lo opprimono oltre il 50% delle proprie entrate”.

E continuavo:  se il terzo stato produttivo non ce la fa più a produrre ricchezza per mantenere gli altri  tre stati (casta, diversamente tutelati e quarto Non stato, nelle loro diversificate sottoclassi) nella migliore delle ipotesi avremo una rivoluzione fiscale passiva per incapacità di far fronte agli obblighi fiscali insostenibili, nella peggiore  una rivolta sociale cruenta.

 

In entrambi i casi assisteremo al crollo della repubblica già pesantemente sgarruppata da scelte istituzionali e politiche folli che hanno ridotto la sovranità popolare a pura giaculatoria liturgica. Denunciavo  il fatto che  viviamo una reale condizione di rottura del sistema e alla vigilia di una possibile rivolta sociale. Ora la protesta si polarizza sul M5S, con un 50 % che si limita a non giocare, ma poi?

 

Sostenevo che: serve una nuova politica economica e un ripensamento organico della costruzione europea giunta a un punto morto inferiore e che, distrutta la sovranità popolare nazionale, non ha saputo garantirla a un livello più elevato e partecipato, quello europeo. Di fatto abbiamo costruito un ircocervo iper-burocratico che ci ha spogliato del potere fondamentale sulla moneta senza offrirci contropartite che non siano i gravi costi sociali conseguenti alle politiche del rigore basate sulle illegittime prescrizioni dei fiscal compact (denunciate dal prof Guarino) e del pareggio di bilancio vigilate a BXL con una Banca centrale priva del potere di emissione della moneta proprio di ogni istituto con quelle competenze e funzioni.

 

In Italia, poi, servirà una tosatura a zero della spesa pubblica : dalle 20 Regioni e società derivate a 5-6 macroregioni con competenze esclusivamente legislative di programmazione e controllo con totale dismissione di tutte le partecipate et similia; un’analoga tosatura nelle spese dello Stato a livello ministeriale e negli enti derivati.

 

Se le caste politiche e burocratiche tenteranno ancora una volta di opporsi, insieme ai nodi scorsoi impostoci dalle assurde e illegittime norme europee ( Guarino docet) e dai poteri finanziari internazionali che hanno sovvertito il NOMA ( Non Overlapping Magisteria)  stabilendo il primato della finanza sull’ economia e la politica ridotte a ruoli ancillari, stavolta non sarà la ghigliottina, ma una  nuova “ assemblea della pallacorda”   destinata a compiere una rivoluzione politico istituzionale levatrice della Terza Repubblica o una drammatica uscita di tipo autoritario.

 

E concludevo così: spero di sbagliarmi, ma nasometricamente non vedo orizzonti diversi.

 

 

Oggi è l'anniversario della presa della Bastiglia, l'evento con cui il terzo stato avviò la Rivoluzione francese.

Da Trieste è partito lo sciopero fiscale e l'appello al Libero Territorio della città. L’ipotesi da me formulata nel dicembre scorso  di una rivolta fiscale passiva da parte del terzo stato produttivo che non ce la fa più, vessato da un'imposizione fiscale oltre i limiti del sostenibile, sembra diventare realtà.

E’ evidente che con un trimestre di riduzione rilevante delle entrate fiscali come l'IVA,, il sistema rischia l'implosione. Una casta che vive sul PIL prodotto dal terzo stato produttivo, incapace, costosa e, in molti casi, delittuosa, finirà per essere travolta dalla  rabbia sociale montante. Forse si stanno superando i limiti dell'equilibrio sociale , anche se “ il giovin signore” fiorentino continua baldanzoso nel suo immarcescibile fatuo ottimismo.

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 14 Luglio 2016

 

 


Antonio Pisani‎  da Organizzazione Cittadini Sovrani


Crisi, atto terzo.


Tutto è iniziato con il crollo dei mostri sacri della finanza a stelle e strisce, appesantiti da mutui concessi ad un settore immobiliare drogato.
Poi, il contagio si è spostato nel Vecchio Continente: qui, però, grazie ad una regia un po’ cinica, un po’ criminale, le difficoltà sono state scaricate sugli Stati periferici. In effetti, le grandi banche tedesche e francesi hanno fatto in modo che a pagare i conti delle loro operazioni in titoli greci, spagnoli ed italiani fossero proprio gli emittenti di quest’ultimi. Così, grazie a governi volenterosi e di rigido rito euro-cratico, i costi delle difficoltà di bilancio sono stati fatti pesare sui popoli: è partito, in questo modo, il ballo fatto di Troike, austerità ed esecutivi non espressione di un voto democratico.
Ora siamo al terzo atto, iniziato con un colpo di scena: i britannici hanno deciso in un referendum di lasciare l’UE. La scelta apre praterie per Francoforte, che può diventare piazza finanziaria continentale. Per farlo, però, deve eliminare gli altri concorrenti: a partire da Milano, cui non può essere perdonato il recente matrimonio della Borsa di Milano con quella di Londra.
E la Borsa italiana – si sa – risente delle stesse tare dell’Italia: è bancocentrica. Quindi, i protagonisti del terzo atto sono gli istituti di credito italiani, vittime facili a causa sia della scarsa fiducia che riscuotono dal pubblico e sia di un governo pressoché afasico in Europa, che ha approvato le nuove regole di risoluzione delle crisi bancarie. Non ci sono più paracaduti pubblici: a pagare saranno i risparmiatori. L’arma scelta per fare cadere gli istituti italiani, e poi magari farli acquistare a prezzi di saldo da consorelle francesi e tedesche, sono gli incagli, i crediti non più esigibili. Questo il grimaldello, su cui punta oggi la tenaglia fatta da speculazione e funzionari UE.
Ovviamente, sarebbe semplice osservare che le difficoltà delle banche sono figlie – anche stavolta – della crisi del settore immobiliare. Esso non è stato drogato dall’avidità, ma affossato da scelte politiche, imposte da Bruxelles, che hanno fatto aumentare la tassazione sugli edifici e depresso il mercato. Di conseguenza, i crediti concessi alle imprese – alla cui base c’erano per lo più garanzie fatte di mattoni – si sono trovati in parte scoperti. Questo ha dato il via all’avvitamento del mercato creditizio, che – ad onore del vero – era stato sempre opaco e condizionato da riflessi poco sani.
Ancora più semplice, dire che spostare il riflettore sulle banche italiane è anche mezzo, con cui si cerca di nascondere che il vero rischio sistemico non è nel nostro paese, ma in Germania. Deutsche Bank non ha superato gli stress test USA, a causa dei derivati di cui è imbottita. L’istituto ha perso da inizio anno più del 50% del proprio valore ed è stato indicato dal FMI come principale fonte di pericolo per il sistema finanziario globale. Con un curriculum del genere è impensabile che Francoforte possa sostituire Londra: allora, per fare un po’ di pulizia, conviene tornare a sparare sull’Italia. Chissà che magari la caduta di qualche birillo nel Bel Paese non faccia tornare al meccanismo secondo cui, se un banchiere sbaglia a pagare, il conto sarà lo Stato.

 


Antonio Pisani

12 Luglio 2016

Per la vittoria del NO serve l’unità dei democratici

 

Come spesso è accaduto  soluzioni tecnico politiche pensate per favorire la propria parte, alla prova dei fatti, finiscono col favorire gli avversari.

 

E’ il caso della legge super truffa dell’Italicum che, partorita dal trio toscano Renzi-Boschi-Verdini e avallata dall’infausto patto del Nazareno che avrebbe dovuto portare all’elezione di un Presidente della Repubblica condiviso tra il “giovin signore” di Rignano sull’Arno e il Cavaliere di Arcore, finì col passare in Parlamento in una condizione di assoluta ìillegittimità politica che denunciammo, all’inizio, da solitari don chisciotte.

 

Un’illegittimità derivata da due camere di nominati eletti con una legge elettorale, il porcellum, dichiarato incostituzionale da una sentenza inappellabile della Consulta, al cui voto partecipò lo stesso attuale Capo dello Stato, componente all’epoca di quella Corte, successivamente eletto dallo stesso organo di “ illegittimi” nominati con quella legge.

 

Una legge collegata a una riforma costituzionale che poté superare il doppio esame parlamentare, grazie, non solo al premio del porcellum illegittimo, ma all’apporto trasformistico dei transumanti del Senato e sotto la spada di Damocle del voto di fiducia in notturna.

 

Mai in tutta la storia repubblicana la legge fondamentale che regola i rapporti tra tuti i cittadini, definendo il punto di massimo equilibrio di interessi e di valori presenti in un dato momento storico politico di una società, fu approvata o revisionata nelle modalità di sostanziale illegittimità come quelle della riforma-deforma voluta da Renzi, che trasforma in un colpo solo 47 articoli della Costituzione della Repubblica.

 

Abbiamo sempre sostenuto che il combinato disposto legge super truffa dell’Italicum destinata ad assegnare con la riforma costituzionale tutto il potere a “ un uomo solo al comando”, espressione di una sicura minoranza che diventa maggioranza grazie a un super premio drogato peggiore di quello che aveva previsto Mussolini con la famigerata Legge Acerbo, costituiva e  costituisce un vulnus irrimediabile alla sovranità popolare e con essa ai  fondamentali della democrazia rappresentativa su cui si é retta la Repubblica nei primi settant’anni della sua storia.

 

Dopo il mancato raggiungimento delle 500.000 firme necessarie per la richiesta del referendum abrogativo dell’Italicum, si impone una serie riflessione tra tutte le forze politiche, sociali e culturali del Paese, a partire da quelle che in questa raccolta hanno meno contribuito: chi per espressa o malcelata volontà, chi per impotenza o inedia o chi, peggio, per quegli atteggiamenti di  “servo encomio e codardo oltraggio” sempre presenti in una società dove, come ricordava Flaiano:  “si é  sempre pronti a salire sul carro del vincitore”.

 

Lasciamo ai leader sindacali di tutte le principali organizzazioni,  puntualissimi a scendere in campo a difesa dei diritti dei lavoratori, il dovere di una seria meditazione sul perché del loro mancato apporto in questa battaglia per la difesa della democrazia.

 

Lasciamo agli amici e compagni delle diverse anime della sinistra interne ed esterne al PD il compito di un’approfondita riflessione sui rischi, in cui noi tutti incorriamo, se restasse il malefico combinato disposto della riforma/deforma costituzionale e della legge super truffa dell’Italicum.

 

Spetta, invece, a tutti noi delle diverse fazioni nelle quali è tuttora divisa e dispersa la vasta galassia dei popolari e dei DC non pentiti, fare una seria e doverosa autocritica sullo scarsissimo apporto dato agli amici del Comitato del NO che, insieme all’ANPI sono stati la struttura portante e quasi esclusiva dell’impegno nella raccolta delle sottoscrizioni, che ha  sfiorato il traguardo delle 500.000 unità solo  per la mancanza di alcune decine di migliaia di firme.

 

Fortunatamente l’amico avv. Felice Besostri, già autore della vittoriosa blitzkrieg contro il porcellum, con una rete di amici avvocati ha presentato il ricorso in una ventina di tribunali a sostegno della richiesta del giudizio della Consulta su alcuni elementi di incostituzionalità  dell’Italicum del tutto analoghi a quelli già dichiarati tali dalla Corte per il “porcellum”.

 

Il tribunale di Messina ha ritenuto fondate le tesi dei ricorrenti e la Consulta è chiamata a pronunciarsi il prossimo 4 Ottobre. Nel frattempo anche il Tribunale di Torino ha accolto con un’ordinanza  alcuni dei fondamentali rilievi di incostituzionalità presenti nell’Italicum e nei prossimi giorni trasmetterà gli atti  alla Consulta.

 

Oggi , però, la situazione politica appare assai diversa da quella improntata all’ottimismo con cui Renzi e la Boschi con estrema sicumera avevano lanciato la sfida del referendum, da loro stessi considerata come la prova del nove della tenuta del governo e della loro leadership e sopravvivenza politica.

 

Le cose sono cambiate dopo le recenti elezioni amministrative, con la dimostrazione che “ il diavolo fa le pentole ma non i coperchi” e una legge elettorale pensata a misura del PD renziano versus un fantomatico partito della nazione, rischia seriamente di tramutarsi nel boomerang per Renzi e compagni e un gratuito e imprevisto regalo al M5S.

 

Nella recente direzione nazionale del PD, il presidente del consiglio e segretario del partito ha fatto la faccia feroce con la sua minoranza interna, confermando la sua volontà di conservare intatto l’Italicum e di rinviare al referendum  la verifica definitiva.

 

Non credo che durerà molto questa rigidità renziana sull’Italicum, salvo che “ il Bomba” non persegua una strategia suicida.

 

Fermenti più consistenti stanno emergendo dentro il PD e nei gruppi sociali e culturali che a esso fanno riferimento. Lo stesso fermento che sta agitando le acque nei transumanti trasformisti di Area Popolare; oggi Lupi, Formigoni, Schifani, Sacconi e altri insieme ad amici di Alfano, ogni giorno di più “mascariato” da accuse  che sembrerebbero riconducibili più ai caratteri dell’ italico familismo, che a fatti o circostanze di evidente rilievo giudiziario.

 

Una cosa è certa: che si attenda un assai improbabile giudizio amico della Consulta ( l’Italicum, brutta copia del porcellum, dichiarato costituzionalmente legittimo) o quello, allo stato degli atti, più probabile ( l’ Italicum incostituzionale almeno per alcuni suoi aspetti decisivi come il super premio di maggioranza al ballottaggio o i capilista nominati dai capi partito) e, dunque, si vada o meno a votare con l’Italicum la madre di tutte le battaglie resta quella di autunno ( sarà confermato il mese di Ottobre?) sulla riforma-deforma costituzionale.

 

Guai se, fatte le opportune autocritiche su ciò che si è fatto o è mancato nella raccolta delle firme per l’abrogazione dell’Italicum, si ritenesse di impostare la battaglia per il NO al referendum con le stesse modalità usate per il referendum sulla legge elettorale. E’ tempo che tutti i diversi comitati per il NO, sorti dal Novembre 2015 in poi, abbandonino ogni residua autoreferenzialità o presunzione di autosufficienza e si aprano al confronto e al dialogo per impostare un’azione comune a difesa della sovranità popolare.

 

Dopo quanto ha riportato Micromega, pubblicando la nota di Franco Fracassi da popoff.globalist.it : “ Una cena per decidere, una per confermare le decisioni. Primo giugno 2012, primo aprile 2014. Due protagonisti sempre presenti: il presidente del consiglio Matteo Renzi, l'ex premier britannico Tony Blair. Un terzo (presente con suoi rappresentanti) è l'organizzatore, il vero beneficiario dei frutti degli incontri: la banca d'affari Jp Morgan. Scrive il quotidiano britannico "Daily Mirror": «Renzi è il Blair italiano non solo nelle intenzioni politiche, ma anche nelle alleanze economiche. Un esempio? La Jp Morgan». “Riforma delle Provincie, riforma del Senato, riforma del lavoro, riforma della pubblica amministrazione, riforma della Giustizia, riforma del consiglio dei ministri, riforma elettorale. La Costituzione italiana, quella votata dopo la vittoria sul fascismo e la fine della seconda guerra mondiale, quella pensata per impedire una futura svolta autoritaria nel Paese sta per essere stravolta. Così ha deciso il presidente del consiglio Matteo Renzi. Così ha suggerito la Jp Morgan.”

 

Oggi ciò che resta degli eredi di PCI-PDS-DS, della Margherita e della sinistra DC  dossettiana tuttora inseriti nel PD, hanno consapevolezza di questo collegamento renziano con gli interessi dei poteri finanziari, quelli che determinano i fini e subordinano ad essi l’economia e la politica a livello mondiale? Hanno compreso che il referendum per la riforma costituzionale fa parte di un disegno per superare la rigidità della nostra Costituzione e rendere la democrazia del tutto permeabile agli interessi di quei poteri? Ecco perché facciamo appello a tutte le componenti democratiche che si ritrovano nei fondamentali della nostra Costituzione e sono pronti a battersi per il NO e per la difesa della sovranità popolare. L’amico Gargani, Presidente del Comitato dei Popolari per il NO, cui mi onoro di appartenere, ha organizzato un incontro il prossimo 21 Luglio con tutti i comitati per il NO. Sarà un momento importante di verifica per la ricerca di un’unità operativa.

 

Noi Popolari e DC non pentiti, che ci rifacciamo agli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa che, sui temi della globalizzazione e del turbo o finanz-capitalismo, da Papa Giovanni Paolo II ( Centesimus Annus) a Benedetto XVI ( Caritas in veritate) a Papa Francesco ( Evangelli Gaudium e Laudato SI) ha saputo indicare le analisi e le proposte più rigorose agli uomini di buona volontà, con il compito di saperle tradurre nelle città dell’uomo, consapevoli del peccato che abbiamo commesso con le nostre perduranti assurde divisioni, dobbiamo ricostruire la nostra unità e  aprirci a quella più ampia con tutte le forze democratiche che intendono battersi contro lo strapotere del turbo o finanz- capitalismo di cui  il trasformismo renziano è il docile strumento politico operativo. Se nel 1948 fu l’unità antifascista alla base della costruzione della Carta fondamentale, oggi, senza chiusure aprioristiche verso alcuno, deve scattare l’unità di tutte le forze democratiche per la battaglia del NO destinata a segnare uno spartiacque nella storia politica dell’Italia e dell’Europa.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 7 Luglio 2016


 

Serve un maggior impegno dei Popolari e dei democratici cristiani non pentiti

 

E’ con grande amarezza che pubblichiamo la nota degli amici prof. Villone, Alfiero Grandi e dell’avv.ssa Silvia Manderino, con la quale si annuncia il mancato raggiungimento delle 500.000 firme necessarie per il deposito della richiesta di Referendum per l’abrogazione della “legge super truffa dell’Italicum”.

Con amarezza e anche con un certo senso di colpa, atteso che è mancato il contributo efficace di noi Popolari ed ex DC alla raccolta delle firme. Lontano dalle nostre abitudini la capacità di organizzare banchetti e dispersi in molti, troppi rivoli, tanto in sede nazionale che in quelle locali,  alcuni di noi si sono limitati a depositare la firma presso i banchetti degli amici del Comitato per il NO e contro l’Italicum che, come nella mia provincia di Venezia, sono stati ben supportati dall’ANPI.

Una seria riflessione si imporrà tra tutte le frammentate schegge di quel grande fiume carsico dei Popolari e dei democratico cristiani presenti in Italia. Raggiunta l’unità con l’avvenuta formazione del Comitato dei Popolari per il NO, ossia l’unità sui fondamentali della nostra Costituzione, ho ritenuto opportuno sollecitare, in accordo con l’amico sen Ivo Tarolli,  un incontro tra le diverse formazioni di ispirazione popolare e democratico cristiana. Un incontro per riprendere il confronto a partire dalle conclusioni positive raggiunte a Rovereto ( Luglio 2015) e a Orvieto ( Novembre 2015) al fine di convergere con tutte le risorse disponibili nella madre di tutte le battaglie, quella che si dovrà condurre a Ottobre per il NO al referendum e per concorrere con tutte le forze democratiche disponibili alla costruzioni in tutti i paesi dell’Italia a comitati civico popolari per la difesa della sovranità popolare. Sarà un passaggio essenziale per la costruzione del nuovo soggetto politico, così come auspicato anche nella recente assemblea romana in cui si è nata la Confederazione Sovranità popolare, alla quale gli amici di ALEF ( Associazione Liberi e Forti) hanno aderito con l’intento di apportare al progetto, insieme a molti altri, la cultura e i valori dei popolari e democratico cristiani italiani.

In calce alla nota degli amici del comitato per l’abrogazione dell’Italicum pubblichiamo la lettera, che ho spedito ieri agli amici delle diverse componenti popolari e democratico cristiane, per sollecitare l’incontro che mi auguro si possa svolgere prima delle ferie estive.

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 5 Luglio 2016

Nota del Comitato per il Si nei due referendum
abrogativi relativi alla Legge 6 maggio 2015 n.52

Dichiarazione di Massimo Villone, Alfiero Grandi, Silvia Manderino del Comitato contro l'Italicum che ha promosso i due referendum abrogativi

Le firme raccolte per i due referendum abrogativi di norme dell’Italicum sono giunte a 420.000 (418.239 per il premio di maggioranza e 422.555 per i capilista bloccati). Non bastano, ma sono comunque uno straordinario risultato della mobilitazione organizzata dal Comitato nazionale e dai comitati territoriali.
Abbiamo proposto l’abrogazione del premio di maggioranza, compreso il ballottaggio senza soglia, che consegna i poteri di governo a un singolo partito, anche ampiamente minoritario nei consensi reali, e dei capilista a voto bloccato, per cui almeno i 2/3 dei futuri deputati sono nominati dai vertici di partito. Norme ancora più gravi alla luce delle modifiche costituzionali - volute dal governo e oggetto del referendum di ottobre - che affidano alla sola camera dei deputati il rapporto di fiducia con il governo e tolgono al senato la natura di assemblea elettiva.
Abbiamo inteso inserire i due quesiti abrogativi sull’Italicum in una più vasta stagione referendaria, volta anche a decisivi temi sociali come la scuola, il lavoro, l’ambiente. Siamo convinti di avere per la nostra parte contribuito a un fondamentale recupero di partecipazione e di consapevolezza democratica. L'impegno di decine di migliaia di cittadini, che hanno dato vita a 400 comitati locali, è di grandissimo valore. Si sono spesi senza limiti nel raccogliere le 420.000 firme, avendo un unico, comune, interesse: la rinascita collettiva della democrazia nel Paese e l'impegno a diffondere e a comprendere quanto siano vitali coscienza e responsabilità di essere cittadini. A loro va il nostro apprezzamento e la nostra gratitudine. Il loro generoso impegno ha confermato che ci sono importanti potenzialità democratiche nel paese, che dovrebbero essere valorizzate da quanti hanno a cuore una democrazia viva.
Denunciamo gli ostacoli palesi e occulti frapposti alla raccolta delle firme, che nonostante le chiacchiere sul radioso futuro informatico del nostro paese viene fatta secondo modalità che si possono definire ottocentesche. Il governo non ha mosso un dito per consentire l'uso della Pec per ottenere le certificazioni dai comuni. Con l’istituzione delle aree metropolitane i funzionari hanno perso il potere di certificazione che avevano nelle preesistenti province. Ringraziamo il Comitato promosso dai radicali per avere fatto con noi questa denuncia pubblica.
Ha pesato l'assenza pressoché totale dell’informazione sulla raccolta delle firme e sulle sue ragioni, effetto del prevalente conformismo dettato dai gruppi di potere dominanti nell'informazione e da autocensure che non fanno onore alla categoria. Ringraziamo i pochi che ci hanno sostenuto, come il Fatto e il Manifesto. Questo assordante silenzio mediatico ha grandemente ostacolato il contatto con l'opinione pubblica, rendendo difficile spiegare perché Italicum e modifiche costituzionali sono un tutto unico, da valutare e modificare insieme. Soprattutto per questo deficit informativo non siamo riusciti a rendere evidente che meccanismi elettorali e modifiche costituzionali non riguardano solo la “casta”. Determinando le scelte politiche e la loro traduzione in regole giuridiche toccano in prospettiva le concrete condizioni di vita delle persone come, ad esempio, l’occupazione, l’istruzione, la salute, le pensioni.
La convinzione di questo nesso inscindibile ci ha indotto a perseguire con la via referendaria anche quella del giudizio davanti alla Corte costituzionale, avviando iniziative giudiziali in venti tribunali con l’obiettivo di far sollevare una questione di costituzionalità. Una iniziativa particolarmente gravosa, che ha già prodotto un primo risultato. La Corte si pronuncerà il prossimo 4 ottobre. Auspichiamo che voglia accogliere le nostre motivazioni di incostituzionalità. Denunciamo i tentativi di premere sulla Corte, fino ad anticiparne il giudizio, segno evidente del degrado di comportamenti pubblici che richiederebbero ben altro stile. E se l’Italicum dovesse superare indenne il giudizio della Corte, non escludiamo la possibilità di riprendere in futuro l'iniziativa referendaria, se ci sarà l’appoggio non episodico di organizzazioni politiche e sociali che possono consentire di raggiungere l’obiettivo.
In ogni caso, la raccolta delle firme è stata un'esperienza positiva e importantissima. I 400 comitati territoriali fin qui sorti sono presenti in ogni parte del paese. Siamo oggi molto più radicati e diffusi di quando siamo partiti. Questo patrimonio va pienamente messo a frutto nella campagna elettorale per il referendum costituzionale di ottobre, Questo è l’impegno prioritario per la difesa della Costituzione e della democrazia, nel quale dobbiamo spendere tutte le nostre energie nazionali e locali con un secco e forte NO alle deformazioni della Costituzione. Un successo del NO riaprirebbe anche il confronto sulla legge elettorale, che, non a caso, le oligarchie nazionali ed internazionali vorrebbero tale da imbrigliare la volontà popolare e bloccare la partecipazione democratica.
La riunione congiunta dei Comitati direttivi per il No alle modifiche della Costituzione e contro l'Italicum, convocata per l'8 luglio, varerà un programma per la campagna elettorale per il referendum costituzionale e per il suo autofinanziamento. Queste proposte verranno portate ad un incontro nazionale dei comitati territoriali convocato per il 16 luglio a Roma.

Massimo Villone, Alfiero Grandi, Silvia Manderino

5/7/2016

Lettera di Ettore Bonalberti agli amici Popolari e DC

Da: Ettore Bonalberti

Oggetto: prima del referendum di Ottobre: che fare?

Data: 04 luglio 2016 18:49:45 CEST

A: Ivo Tarolli

Cc: Mario Mauro Mario , CARLO GIOVANARDI , Carli Mirko De , Maurizio Eufemi , Renzo Gubert , Antonino Giannone , MARIO TASSONE , GIANNI c/o fontana e associati FONTANA , Amedeo Portacci , Diego Marchiori , Domenico Menorello , Giuseppe Gargani , LUCIANI NINO , "massimo.gandolfini@poliambulanza.it" , Francesco Schittulli , Giuseppe Nisticò , Renato Grassi , Vittorio Zanini , "Publio Rif.ne naz.le DC Fiori"

 

Caro Ivo,

ho accolto con soddisfazione la tua proposta di convocazione di un incontro urgente per fare il punto della situazione dell’area popolare, dopo le recenti elezioni amministrative, la nuova situazione europea a seguito del Brexit, i drammatici sviluppi del terrorismo islamico e alla vigilia del referendum di Ottobre.

Dopo il  recente incontro ( Novembre 2015)  in cui abbiamo siglato tra molti di noi il “ Patto di Orvieto”, che, sostanzialmente,  recuperava le conclusioni raggiunte a Rovereto ( Luglio 2015) ci eravamo dati appuntamento dopo le elezioni amm.ve che, come previsto, non hanno facilitato il processo di ricomposizione della nostra area.

Un passo importante assai significativo è stata la formazione del comitato dei Popolari per il NO e l’assunzione della sua presidenza da parte dell’amico Gargani che ringrazio per l’impegno che si é assunto.

Mi auguro che tutti gli amici in indirizzo siano tutti concordi nel portare avanti quella che ritengo essere “ la madre di tutte le battaglie” per la difesa della sovranità popolare e per impedire che prevalga il progetto della JP Morgan e delle multinazionali finanziarie che dettano gli obiettivi all’economia e alla politica a livello internazionale, con pesanti condizionamenti anche sul nostro governo.

Di lì dobbiamo partire, avendo consapevolezza delle criticità derivanti dalle nostre permanenti colpevoli  divisioni ulteriormente verificatesi nelle recenti elezioni amm.ve.

Ecco perché, al di là dei pur lodevoli tentativi messi in atto da parte di molti di noi in diverse direzioni,  riterrei utile ed opportuno ritrovarci per tentare di superare definitivamente le vecchie e ormai obsolete vecchie strutture di appartenenza ripartendo proprio dalle conclusioni raggiunte a Rovereto e a Orvieto.

 

Si tratta di confermare l’unità di tutti i popolari per il NO al referendum e per confermare la disponibilità a concorrere con la nostra cultura e i nostri valori di riferimento alla costruzione di un nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori, alternativo al socialismo trasformista renziano e ai populismi estremi e per la difesa della sovranità popolare.

 

Come da te indicatomi il 28 o il 29 Luglio potrebbe essere una data per organizzare  a Roma una seria riflessione su tale prospettiva con l’ìmpegno a organizzarci al meglio in tutti i comuni italiani con i comitati dei popolari per il NO primo ambito di una più vasta partecipazione politica e democratica per il dopo referendum.

 

La frantumazione del sistema politico italiano richiede una proposta alta di ispirazione popolare capace di suscitare una speranza al terzo stato produttivo e ai ceti meno abbienti dei diversamente tutelati, quale traduzione operativa nella città dell’uomo degli orientamenti pastorali della dottrina sociale della Chiesa che, con le ultime encicliche sociali dalla Centesimums Annus, Caritas in vertiate, Evengelii Gaudium alla  Laudato Si, ha fornito la più rigorosa analisi e  le più adeguate proposte ai temi nuovi e sconvolgenti propri dell’eta della globalizzazione e del turbo o finanz capitalismo che stiamo  vivendo.

In attesa di ricevere le vostre indicazioni invio a tutti voi  un fraterno saluto.

 

 

Ettore Bonalberti

Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)

socio co fondatore PATTO DI ORVIETO componente del comitato di presidenza nazionale dei Popolari per l'Italia

Promotore del think tank:VENETO PENSA

Via miranese 1/A

30171-Mestre-Venezia

tel. 335 5889798

ettore@bonalberti.com

info@bonalberti.com

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

www.alefpopolaritaliani.eu


 

 

 

 


 Cari amici, chi segue le mie note ricorderà che scrivo da tempo di burattini e burattinai, di “ golpe blanco” e del tentativo referendario per corrispondere ai voleri dei poteri finanziari internazionali: superare e annullare le “costituzioni rigide” come quella italiana per renderle malleabili e ridurre i cittadini a sudditi della finanza che fissa gli obiettivi e subordina ad essi economia e politica. Non c’é più spazio per l’etica che persegue solo il profitto da attività speculativa, con i bei risultati che ci ritroviamo dal 2007 in poi: una montagna di derivati e futures, un debito mondiale che si stima 10-20 volte il PIL mondiale. E non saranno le banche a pagare ma i cittadini del terzo stato produttivo e i diversamente tutelati, mentre la casta e il quarto NON STATO continuano con i loro privilegi e i loro incestuosi e delittuosi  rapporti.
Ora si comincia a scriverne anche su " Micromega" da sempre vicina alle posizioni di " Repubblica", organo ufficioso del PD.....
Una ragione in più per il nostro NO alto e forte al prossimo referendum. Liberi e Forti nella nostra Italia!
Un caro saluto
Ettore Bonalberti
Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)
socio co fondatore PATTO DI ORVIETO componente del comitato di presidenza nazionale dei Popolari per l'Italia
Promotore del think tank:VENETO PENSA
Via miranese 1/A
30171-Mestre-Venezia
tel. 335 5889798
ettore@bonalberti.com
info@bonalberti.com
www.insiemeweb.net
www.don-chisciotte.net
www.alefpopolaritaliani.eu


http://temi.repubblica.it/micromega-online/si-scrive-renzi-si-legge-jpmorgan/

Si scrive Renzi si legge JpMorgan

Due cene organizzate per convincere Renzi a seguire i consigli di Blair, oggi consulente della JpMorgan. Obiettivo: disfarsi della Costituzione antifascista.

di Franco Fracassi, da popoff.globalist.it

Una cena per decidere, una per confermare le decisioni. Primo giugno 2012, primo aprile 2014. Due protagonisti sempre presenti: il presidente del consiglio Matteo Renzi, l'ex premier britannico Tony Blair. Un terzo (presente con suoi rappresentanti) è l'organizzatore, il vero beneficiario dei frutti degli incontri: la banca d'affari JpMorgan. Scrive il quotidiano britannico "Daily Mirror":

«Renzi è il Blair italiano non solo nelle intenzioni politiche, ma anche nelle alleanze economiche. Un esempio? La JpMorgan».

Riforma delle Provincie, riforma del Senato, riforma del lavoro, riforma della pubblica amministrazione, riforma della Giustizia, riforma del consiglio dei ministri, riforma elettorale. La Costituzione italiana, quella votata dopo la vittoria sul fascismo e la fine della seconda guerra mondiale, quella pensata per impedire una futura svolta autoritaria nel Paese sta per essere stravolta. Così ha deciso il presidente del consiglio Matteo Renzi. Così ha suggerito la JpMorgan.

I fatti. Il primo giugno 2012 la banca d'affari statunitense organizza una cena a palazzo Corsini a Firenze. Il padrone di casa Jamie Dimon (amministratore delegato della JpMorgan) invita l'allora sindaco della città Renzi e il già ex primo ministro, e da quattro anni consulente speciale della banca, Blair. Il primo aprile 2014 la scena di sposta Oltremanica. Questa volta gli onori di casa lo fa l'ambasciatore italiano a Londra Pasquale Terracciano. Durante la cena a base di pesce Renzi e Blair discutono in privato.

Il giorno successivo Blair rilascia un'intervista a "La Repubblica", in cui afferma:

«I momenti di grande crisi sono anche momenti di grande opportunità. In tempi normali sarebbe difficile per chiunque realizzare un programma ambizioso come quello delineato dal nuovo premier italiano. Ma questi non sono tempi normali per l'Italia. Renzi comprende perfettamente la sfida che ha di fronte. Se facesse solo dei piccoli passi rischierebbe di perdere la spinta positiva con cui è partito. Perciò c'è una coerenza tra il suo programma di riforme costituzionali e le riforme strutturali per rilanciare l'economia. E la crisi può dargli l'opportunità per compiere quei cambiamenti che sono necessari al Paese, ma che finora non sono mai stati fatti per le resistenze di lobby e interessi speciali».

E ancora:

«A mio parere occorre calibrare tre elementi: la riduzione del deficit, che è essenziale; le riforme necessarie per cambiare politica economica; e la crescita non solo per generare occupazione ma anche per portare più denaro nelle finanze pubbliche. Per fare tutto questo non serve la contrapposizione destra/sinistra, bensì quella tra giusto e sbagliato, fra ciò che funziona e ciò che non funziona. Se la riduzione del deficit è troppo veloce, la crescita non riparte. Ma se non si fanno le necessarie riforme, il deficit non si riduce. E mi sembra che questo Renzi lo abbia capito benissimo».

In un'altra intervista, rilasciata al quotidiano britannico "The Times", sempre Blair ha detto:

«Il mutamento cruciale, delle istituzioni politiche, neanche è cominciato. Il test chiave sarà l'Italia: il governo ha l'opportunità concreta di iniziare riforme significative».

Ricapitolando. Blair ha confermato il suo appoggio a Renzi sulla strada delle riforme. Ma come abbiamo ricordato non è più il politico che parla. Oggi il fu leader dei laburisti riceve uno stipendio di milioni di dollari l'anno per fare da consulente a una delle più importanti banche d'affari del mondo (seconda solo alla Goldman Sachs), formalmente denunciata dalla Casa Bianca di essere stata la «responsabile della crisi dei subprime», che ha poi scatenato la crisi economica mondiale.
Ha scritto l'economista statunitense Joseph Stiglitz:

«Le banche d'affari si servono di consulenti come la massoneria si serve dei propri membri. I consulenti oliano gli ingranaggi della politica, avvicinano i politici che contano alle banche giuste e promuovono presso di loro politiche compiacenti a quelle indicate dalle banche».

Che cosa si intende per «politiche compiacenti a quelle indicate dalle banche»? Il 28 maggio 2013 la JpMorgan ha redatto un documento di sedici pagine dal titolo "Aggiustamenti nell'area euro". Dopo che nell'introduzione si fa già riferimento alla necessità di intervenire politicamente a livello locale, a pagina 12 e 13 si arriva alle Costituzioni dei Paesi europei, con particolare riferimento alla loro origine e ai contenuti:

«Quando la crisi è iniziata era diffusa l'idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica. Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei Paesi del Sud, e in particolare le loro Costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell'area europea».

«I problemi economici dell'Europa sono dovuti al fatto che i sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell'esperienza. Le Costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo», prosegue l'analisi della banca d'affari.

Andando avanti nella lettura il documento entra più nello specifico:

«I sistemi politici e costituzionali del Sud presentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti, governi centrali deboli nei confronti delle regioni, tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori, tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo, il diritto di protestare se i cambiamenti sono sgraditi. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I Paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia)».

Riassumendo, la JpMorgan ci dice: liberatevi al più presto delle vostre costituzioni antifasciste.

«L'idea d'uno Stato dove i poteri legislativo, esecutivo, giudiziario appartengano a organi diversi e siamo tutti eguali davanti alla legge» a esser malvista dalla parte dominante nel Ventunesimo secolo. Soprattutto, sono malviste le Costituzioni nate dalla Resistenza. Specie quelle del Sud Europa: in Italia, Grecia, Spagna, Portogallo», denuncia il giurista Franco Cordero.

Per l'economista Emiliano Brancaccio: «Maggiore è il potere del parlamento, più è difficile ridimensionare lo stato sociale. Un orientamento di segno opposto, invece, mira a redistribuire il reddito favorendo il profitto e le rendite, non certo a un ammodernamento del Paese. Nella Costituzione italiana e in quelle antifasciste ci sono norme che vincolano la tutela della proprietà privata, che può essere espropriata per fini di pubblica utilità. Le istituzioni finanziarie hanno spesso interesse a realizzare acquisizioni estere di capitali nazionali, e dunque hanno interesse a garantire che la proprietà del soggetto straniero che acquisisce sia tutelata. Con queste Costituzioni il soggetto straniero che viene ad acquisire spesso a prezzi stracciati capitale nazionale di Paesi in difficoltà non è totalmente tutelato perché potrebbe essere espropriato. Dietro la parolina magica "m odernizzazione", spesso pronunciata da JpMorgan, c'è dunque la tutela degli interessi di chi vuole venire a fare shopping a buon mercato in Italia e in altri paesi periferici dell'Unione europea».

Scrisse l'ex Cancelliere socialdemocratico tedesco Willy Brandt: «Bisogna correggere la democrazia osando più democrazia».

(14 aprile 2014)


Si è svolta a Roma l'Assemblea delle Associazioni e  Movimenti che hanno dato avvio alla Confederazione della Sovranità Popolare, dopo un percorso comune di elaborazione culturale che è iniziato nel novembre del 2015. 

Hanno presieduto il Dr. Giovanni Tomei (CNAC: Comitato Nazionale Attuazione Costituzione) e il sottoscritto come Vice Presidente di ALEF (Associazione Liberi e Forti). Ho aperto i lavori con questa sintesi, come contributo al dibattito: 

- una prima citazione laica al pensiero di Pericle (Colargo, 495 a.C. – Atene, 429 a.C.) nell'antica Grecia, maestra di civiltà: 

            Qui ad Atene noi facciamo così

(http://arengario.net/poli/poli514.html)

Attualissima riflessione che ci aiuta a comprendere  il bassissimo livello raggiunto dalla democrazia in Italia, tanto che sta togliendo progressivamente i diritti alla Sovranità Popolare. 

una seconda citazione è la domanda inquietante di Gesù Cristo nel Vangelo di Luca (18,8): 

             Il Figlio dell'uomo quando verrà, 

                     troverà Fede sulla Terra?

Ebbene, ho detto che nel mio "ultimo miglio" che affronto in Sovranità Popolare, vorrei che "Il Figlio dell'Uomo trovasse la Fede sia in me, alla fine del mio percorso, sia in Voi, nel futuro che vivrete, tantissimi tra Voi, per realizzare la Visione e il Progetto della Sovranità Popolare: 

Ridare alla gente, ai cittadini alle nuove generazioni la Speranza per un futuro migliore. È forse questa la nuova sfida: 

- ripristinare l'equilibrio rotto tra Politica ed Economia/Finanza, con quest'ultima che fissa gli obiettivi e comanda sulla politica che è del tutto succube, come ci insegna con le sue lezioni magistrali Paolo Maddalena con l'ultimo suo libro: Gli inganni della finanza (ed. Donzelli) e come si può leggere in un mio articolo pubblicato da In Terris.

(http://www.interris.it/2016/06/24/97160/opinione/la-finanza-torni-al-servizio-della-politica.html)  

La sfida è dunque: 

- riportare l'Etica nella società e nella politica, ridando all'Etica l'equilibrio sancito dal principio del NOMA (Non Overlapping Magisteria), come è stato per secoli.

- ripristinare le regole della legge Glass- Stegall Act la cui eliminazione da parte di Bill Clinton Presidente USA, ha permesso l'invasione per trilioni di dollari di una moneta virtuale (derivati- futures) da parte delle banche commerciali e finanziarie che hanno in pratica distrutto il risparmio accumulato da decine di milioni di persone in più generazioni 

Personalmente, come appartenente alla generazione dei più anziani ovvero dei diversamente giovani, mi auguro che il prossimo Futuro nella società della globalizzazione e dell'era digitale sia sempre ancorato ai Diritti sostanziali della Costituzione, ai Valori di una nuova Etica politica e istituzionale, con il riconoscimento della Responsabilità individuale e collettiva, e soprattutto ancorato all'esercizio della Sovranità Popolare.  Numerosi gli interventi: Intorcia, De Giacomo, Giancaterino, Della Corte, Covino, Diotallevi, Morelli, Pisani, Citarella Russo, Bonalberti, Tomei ed altri. Tutti si sono soffermati sull'importante ruolo che potrà svolgere la Confederazione nella complessa fase politica dell'Italia e hanno fornito contributi significativi sullo Statuto con proposte migliorative e approvandolo con il logo per procedere alle fasi successive.

I lavori si sono conclusi con la decisione unanime dell'Assemblea di impegnarsi su tutti i territori regionali nella campagna a favore del NO al Referendum Costituzionale della legge Renzi&Boschi&Verdini. Alla fine dei lavori c'è stata la presentazione in ante prima del Libro "Gli inganni della finanza" (ed. Donzelli) da parte dell'autore: Paolo Maddalena, Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale che ha offerto una Lectio Magistralis di elevato contenuto storico, giuridico e politico.

Antonino Giannone 

Vice Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)

Domenica 3 Luglio 2016

Assemblea costituente della Confederazione Sovranità Popolare

Roma- 2 Luglio 2016- Istituto Suor Orsola-Via Livorno,50

 

( contributo di Ettore Bonalberti –Presidente di ALEF-Associazione Liberi e Forti)

 


Politica e bene comune


Secondo un’antica definizione scolastica, la politica è l’arte di governare la società.

La prima definizione di "politica" (dal greco πολιτικος, politikós) risale, come è noto,  ad Aristotele ed è legata al termine "polis", che in greco significa città, la comunità dei cittadini; secondo il filosofo, "politica" significava l'amministrazione della "polis" per il bene di tutti, la determinazione di uno spazio pubblico al quale tutti i cittadini partecipano. Altre definizioni, che si basano su aspetti peculiari della politica, sono state date da numerosi teorici: per Max Weber  la politica non è che aspirazione al potere e monopolio legittimo dell'uso della forza ; per David Easton, essa è l’ allocazione di valori imperativi (cioè di decisioni) nell'ambito di una comunità; per Giovanni Sartori, la politica è la sfera delle decisioni collettive sovrane.

Decisioni che determinano il punto di equilibrio tra interessi e valori che prevalgono attraverso il consenso in una determinata fase storico politica di una società.

Per noi cattolici e popolari la politica, " suprema forma di carità" nella definizione di Papa Paolo VI, deve perseguire il " bene comune" che é " l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente" (Gaudium et Spes-Concilio Vaticano II)

 

 

Partiti e partecipazione:


" Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a detreminare la politica nazionale" (art.49 della Costituzione). Trattasi di un articolo mai attuato pienamente (" concorrere con metodo democratico") e che con l'attualeriforma costituzionale con annessa Legge Super truffa dell'Italicum si intende stravolgere.



Un partito politico è un'associazione tra persone accomunate da una medesima finalità politica  ovvero da una comune visione su questioni fondamentali della gestione dello Stato e della società o anche solo su temi specifici e particolari. L'attività del partito politico è volta ad operare per l'interesse nazionale, si esplica nello spazio della vita pubblica e, nelle attuali democrazie rappresentative,  ha per "ambito prevalente" quello elettorale.


Secondo Max Weber, «per partiti si debbono intendere le associazioni costituite al fine di attribuire ai propri capi una posizione di potenza all'interno di un gruppo sociale e ai propri militanti attivi possibilità per il perseguimento di fini oggettivi e/o per il perseguimento di vantaggi personali». Nella definizione del politologo americano Anthony Downs il partito politico è «una compagine di persone che cercano di ottenere il controllo dell'apparato governativo a seguito di regolari elezioni». Gli elementi centrali delle definizioni sono dunque:

  • Il partito è un'associazione;
  • Il fine del partito è influenzare le decisioni pubbliche;
  • Gli scopi del partito sono ottenuti principalmente attraverso la partecipazione alle elezioni;
  • La strategia principale è l'occupazione di cariche elettive.

I partiti sono mediatori tra lo Stato e i cittadini. I partiti svolgono infatti la funzione di controllo dei governati sui governanti: poiché infatti i candidati si presentano all'interno di liste di partito, è più facilmente punibile un'eventuale rottura del patto di fiducia tra il candidato eletto e gli elettori che lo hanno votato (non votando più il partito di cui fa parte). I partiti strutturano il voto: questo perché i candidati alle elezioni sono prevalentemente membri di un partito, e perché il partito è l'entità con cui gli elettori si identificano. Esso svolge o dovrebbe svolgere  una funzione di socializzazione politica, poiché attraverso la loro azione i partiti educano  o dovrebbero educare gli elettori alla democrazia. Infine, mentre i gruppi di interesse articolano gli interessi dei cittadini, i partiti si occupano di aggregare questi interessi

Teorie elitistiche da Mosca a Pareto e Michels

Tra la fine del 1800 e l’inizio del ‘900 si è avuto in Italia un notevole sviluppo della sociologia anche se ad essa è mancata grande originalità: solo un filone teorico è riuscito a distinguersi e ad imporsi per la sua rilevanza e si tratta delle teorie dei c.d “elitisti”  i cui esponenti più noti sono Gaetano Mosca (1858-1941), Vilfredo Pareto (1848-1923) e Roberto Michels (1876-1936).

D’altra parte i massimi studiosi italiani che si rifacevano al marxismo, quali Antonio Labriola ed Antonio Gramsci, non si consideravano sociologi, anzi, rifiutavano la sociologia in quanto la identificavano, semplicisticamente, con il positivismo e, dunque, incompatibile con la “filosofia della prassi” che Gramsci sosteneva. Essi dunque, tenevano il medesimo atteggiamento critico proprio dell’idealismo classico sostenuto da Croce e Gentile.

Piero Gobetti, Guido Dorso e Filippo Burzio hanno cercato di sviluppare le teorie elitistiche in senso liberale e democratico.

Negli Stati Uniti tali teorie sono state riprese anche al sociologo radicale Charles Wright Mills il quale se ne è servito storicizzando il principio, non considerandolo cioè universale e inevitabile ma vero solo in una realtà storica da negare per costruire un’autentica democrazia: finchè negli USA dominano le élites politiche, economiche e militari le masse sono manipolate e la democrazia è solo parvenza mentre essa resta il vero obiettivo da raggiungere. Ecco come teorie nate con l’intento di dimostrare l’impossibilità della democrazie diventano strumento critico nei confronti di una società non democratica storicamente determinata e considerata come storicamente trasformabile.

Nel clima che abbiamo appena sopra descritto, appare, nel 1884, la prima opera di Gaetano Mosca, Sulla teoria dei governi e sul governo parlamentare,  nel quale viene delineata l’idea centrale degli elitisti cioè che inevitabilmenteuna minoranza organizzata, la quale agisce sempre coordinatamente, trionfa sempre sopra una maggioranza disorganizzata”.

Pareto ha sempre negato il legame che lo connette a Mosca anche se l’idea di quest’ultimo è da lui ampiamente accettata (una minoranza organizzata ha sempre il sopravvento su una maggioranza disorganizzata). E’ vero però che, mentre per Mosca questa minoranza di governo, doveva essere costituita da uomini che praticassero una “politica scientifica” (cioè essi dovevano ispirare le loro decisioni ai metodi e ai risultati delle scienze sociali, e alla scienze politiche in particolare), Pareto deride coloro che avevano riposto nella scienza la fiducia per un miglioramento della società. Egli sostiene la necessità di una sociologia fondata sul “metodo logico sperimentale” che ai fatti si attenga realmente anche se tali risultati sono indipendenti rispetto a ciò che può essere utile e buono per la società.

In Michels, l’influenza del marxismo è evidente soprattutto perché, nato e cresciuto nell’ambiente culturale tedesco, da giovane, aveva militato da marxista nell’ala sinistra del partito socialdemocratico, contro i revisionisti. Forte è anche l’influenza del sindacalismo di Sorel e, poi, della sociologia di Weber. Stabilitosi poi in  Italia, subì l’influenza degli studi di Mosca e Pareto ed aderì al fascismo.

Nella sua opera più famosa, La sociologia del partito politico (1911),  centrale è l’idea elitistica della necessità di una minoranza organizzata mentre marxismo, socialismo, democrazia e partecipazione diretta delle masse al potere, sono i suoi costanti bersagli.

Michels afferma che le masse sono deboli e in quanto tali non possono conservare il potere; per farlo, è necessario che si organizzino ma ciò comporta uno stravolgimento nella loro struttura. Ogni organizzazione politica, sia essa un partito o un sindacato, ha bisogno di una struttura, di personale specializzato e ciò comporta, inevitabilmente, una selezione per la formazione di tale personale e l’impossibilità da parte della massa in quanto tale di esercitare un potere diretto. Si crea dunque un’organizzazione gerarchica nell’ambito della quale è possibile che, all’inizio, il capo governi come “servitore delle masse” ma presto saranno le masse a essere sottomesse al gruppo minoritario organizzato. E’ questa la legge di ferro dell’oligarchia.

Tale principio ha trovato, in effetti più conferme che smentite, ed è anche vero quanto affermato da Michels e cioè che questo fenomeno si riscontra anche nelle democrazie e all’interno dei regimi che si rifanno al marxismo.

A Michels va il merito di non aver accettato la distinzione tra maggioranza disorganizzata e minoranza organizzata come un dato di fatto ma di aver spiegato sociologicamente il processo di formazione delle élites.

Saranno Lenin, con il movimento vincente dei bolscevichi e Gramsci, con la sua teoria del Partito comunista, novello Principe dell’agire politico a tradurre, il primo storicamente e concretamente (Rivoluzione d’Ottobre) il secondo teoreticamente ( PCI), i principi elitisti di cui sopra.

Ho introdotto questi elementi di sociologia politica per rilevare come, qualunque sia la modalità organizzativa che un partito ponga in essere, è sempre presente quella che Michels definisce la “ legge ferrea dell’oligarchia”. Che sia l’antico centralismo democratico comunista, o il cencelliano sistema di equilibri delle correnti democristiane, unici antidoti all’anarchia propria dei socialisti italiani sino al craxismo, questi stessi elementi oligarchici persistono tanto nei partiti a conduzione paternalistico aziendale come è stata e permane tuttora Forza Italia, l’Idv di Di Pietro, o quel nuovo fenomeno del M5S etero-guidato sin dal suo sorgere dal duo Grillo-Casaleggio. Quest’ultimo detentore monopolistico della piattaforma digitale che regge l’intera struttura organizzativa del movimento. Un struttura nella quale i meccanismi di regolazione e di controllo del sistema sono di assai difficile trasparenza e verificabilità.

 

 

 

Opportunità e criticità della partecipazione on line

 

(elementi derivati dal saggio Verso nuove forme di democrazia partecipativa: esperienze, metodologie e prospettive delle-Democracy –

ROBERTA NANNUCCI, MARIA ANGELA BIASIOTTI

 

“La libertà non è star sopra un albero non è neanche il volo di un moscone la libertà non è un spazio libero libertà è partecipazione”

G. Gaber

 

 

Quando si parla di democrazia elettronica (e-Democracy) e dei nuovi spazi di comunicazione offerti dalle reti telematiche, si fa riferimento soprattutto a quegli aspetti che tendono a identificare la democrazia computerizzata con la cosiddetta democrazia diretta, comprendendo in essa l’accesso alle informazioni politicamente rilevanti (tramite la teleconsultazione di archivi ipertestuali in linea), l’offerta di luoghi di discussione plu- ralistica (realizzata per mezzo di conferenze elettroniche, newsgroup e forum di discussione) e la possibilità estesa a tutti i cittadini di intervenire in maniera più o meno vincolante nei processi decisionali (tramite il voto elettronico, i sondaggi permanenti, il televoto, etc.).

 

In questo senso, democrazia elettronica diventa quasi sinonimo di connettività e di scarsa attenzione alle caratteristiche e all’efficacia della comunicazione in rete (al modo in cui viene strutturata, alla qualità dei dispositivi di feedback, alla stessa composizione dei partecipanti).

 

Una volta garantito che tutti abbiano uguali possibilità di partecipazione, l’efficacia del processo di comunicazione viene affidata agli effetti di un determinismo tecnologico i cui contorni restano ancora incerti (Lévy prospetta lo sviluppo di comunità virtuali come “soggetti collettivi di enunciazione)”

 

Ciò si basa sulla convinzione che le nuove tecnologie di comunicazione non saranno in grado, da sole, di semplificare i problemi. Le decisioni politiche resteranno una cosa complessa e i servizi di democrazia elettronica, per essere efficaci, non potranno limitarsi a offrire informazioni o luoghi di discussione o a fare sondaggi: dovranno invece poter coinvolgere i vari attori della politica - cittadini, imprese, associazioni, istituzioni - mettendoli a confronto tra loro e generando così flussi di comunicazione orizzontali e verticali (con le istituzioni e gli organismi di rappresentanza).

 

Secondo Costanzo, un costituzionalista impegnato in queste tematiche, l’espressione democrazia elettronica si presta a ben quattro interpretazioni: in una prima prospettiva la democrazia elettronica potrebbe essere intesa come elettronica democratica, ovvero la disponibilità generalizzata delle nuove tecnologie informative e della rete; in una seconda accezione, potrebbe diversamente interpretarsi come la democrazia nell’ elettronica, ovvero come riconoscimento e garanzia delle condizioni di libertà ed uguaglianza all’ interno della rete; sotto un terzo punto di vista il termine può far riferimento all’elettronica nella democrazia, intesa come utilizzo delle tecnologie in questione per rafforzare ed aggiornare gli strumenti democratici della partecipazione, del controllo e della decisione; infine, si apre la prospettiva pregnante del concetto, vale a dire la formazione di un tertium genus, accanto alla democrazia rappresentativa e a quella diretta.

 

Lo stesso studioso ammette che nell’e-Democracy vi sarebbe un legame ontologico tra il concetto di democrazia elettronica e quello di rete, intesa questa come il luogo delle politiche pubbliche che privilegia aspetti differenti della rappresentanza, dell’ intermediazione, della negoziazione o del comportamento di attori e interessi, tra politica, economia e società.

 

L’e-Democracy, se per alcuni può rappresentare un rafforzamento della democrazia, per altri può allo stesso tempo risultare una sua limitazione. Il cyberspazio infatti può diventare un luogo di esplorazione di problemi, di discussione pluralistica e di decisioni collettive, ma anche negazione di tutto questo: l’accesso ai nuovi media è decisivo; se ne rimangono padroni solo alcune elites, si perde l’opportunità di una qualificazione democratica delle nuove tecnologie. (mia evidenziazione)

 

Per concludere, e riprendendo l’interrogativo iniziale, l’e-Democracy sembra debba essere considerata più un genere nuovo - un tertium genus - come afferma Costanzo - piuttosto che ritenerla equivalente alla cosiddetta democrazia diretta delle vecchie polis o alla tradizionale democrazia rappresentativa. Gli strumenti che utilizza infatti sono ben diversi da quelli utilizzati un tempo e i risultati della sua implementazione possono essere visti come un consolidamento della democrazia rappresentativa attraverso forme di democrazia diretta.

 

Sembrerebbe opportuno considerare l’e-Democracy come una forma più articolata e complessa di Democrazia partecipativa, riconoscendo valore e congruità ai sistemi della rappresentanza caratteristici degli Stati moderni.

 

Attualmente i cittadini partecipano alla res publica solo attraverso il voto (elezioni dei rappresentanti) o con altri strumenti consentiti dalle costituzioni statali (referendum). Con l’e-Democracy si possono instaurare invece forme partecipative più impegnative, complementari e non suppletive degli esistenti modelli democratici.

 

Il dibattito sul tema è ancora molto aperto e contrastato. In uno Stato moderno fatto di milioni di persone e di confini territoriali estesi, è impossibile che i cittadini possano trovarsi fisicamente e contemporaneamente in un medesimo luogo per svolgere le loro funzioni pubbliche, il regime politico non può quindi che fondarsi sulla rappresentanza e la democrazia rappresentativa non può che essere il modello prevalente. Anche se oggi diventa sempre più frequente la possibilità per i cittadini di esprimere la loro opinione su temi importanti attraverso procedure informatiche, questo non può avere lo stesso valore della democrazia diretta, né può essere visto solo in maniera positiva, poiché anche se lo strumento elettronico annulla le distanze e crea assemblee virtuali, non è in grado di eliminare la complessità dei problemi amministrativi, che è enorme rispetto alle competenze, in certi casi, modeste dei cittadini. I rappresentanti eletti, politici di professione, lavorano a tempo pieno su problemati- che complesse e sono quindi più in grado di esprimere posizioni meditate e coerenti. Pur ammettendo che gli strumenti elettronici favoriscono una diversa partecipazione, si può supporre che i cittadini possano anche essere bombardati da una infinità di stimoli più o meno manipolati e non giungere quindi quasi mai a formarsi una opinione fondata sulle questioni su cui devono dare il loro parere; inoltre, chi sceglie quali temi sottoporre ad una approvazione pubblica e come valutare le opinioni espresse dai cittadini?

 

 

La democrazia rappresentativa risulta dunque più adeguata - anche se c’è chi sostiene che non lo è- se l’obiettivo che la società si pone è un governo che curi con lo stesso impegno gli interessi di tutti i cittadini. Spostando infatti la responsabilità di governo dai cittadini ad una élite di rappresentanti, si creerebbe un’apatia politica che può portare al completo disinteresse della popolazione per questioni che la riguardano direttamente. Fatto salvo qualche caso sporadico, il cittadino viene tradizionalmente coinvolto solo nelle elezioni, momento in cui i candidati di questa élite cercano consensi nelle maniere più varie possibili.

 

I nuovi sistemi di comunicazione consentono invece l’apertura di spazi per la discussione, ventiquattro ore su ventiquattro, dove ognuno può entrare secondo le sue necessità ed i suoi orari, dove i cittadini che si interessano di alcuni temi possono esprimere le loro opinioni e le loro proposte, facendo sì che i “politici di professione” che li rappresentano esercitino realmente una rappresentatività che non si limiti al voto al momento di essere eletti. Si porrebbero così le basi per una politica nuova basata su una diversa partecipazione, la cosiddetta Democrazia partecipativa.

 

Se volessimo trarre una conclusione ulteriore da questo confronto, occorrerebbe ribadire che la democrazia partecipativa, così come l’e- Democracy sono al momento processi ancora in fieri, non completamente sviluppati nel mondo e quindi dai contorni e dai risultati incerti, nonostante le molteplici sperimentazioni che si stanno tentando ovun- que. Pur non potendo fare anticipazioni quindi sulle forme che assumerà, possiamo comunque ribadire che il suo successo dipenderà in ugual modo da chi governa e da chi è governato e dalle possibilità che questi soggetti avranno di lavorare congiuntamente.(mia evidenziazione)

 

ESPERIENZE DI E-DEMOCRACY

 

Quando si parla di e-Democracy, si usa distinguere tra due forme di partecipazione diverse, l’e-Voting e l’e-Participation.

 

Mentre l’e-Voting implica che il diritto di voto dei cittadini può essere espresso, utilizzando le nuove tecnologie oltre agli strumenti tradizionali (che possono peraltro anche sostituire i vecchi metodi), l’e-Participation costituisce la vera sfida a cui oggi le varie istituzioni pubbliche devono dare risposta. Essa pone infatti l’attenzione sull’implementazione di stru- menti digitali capaci di sviluppare un nuovo tipo di relazione tra cittadino e pubblico decisore e contribuendo a rinnovare in maniera sostanziale tale rapporto.

 

Molti paesi sia in Europa che nel resto del mondo hanno avviato già da alcuni anni studi e indagini per capire come i concetti emergenti di e- Democracy, e-Voting e e-Participation potessero trovare applicazione per introdurre cambiamento e innovazione nei loro rispettivi territori. Gli studi realizzati per implementare procedure elettroniche sono numerosi, ma anche le esperienze risultano sempre più ricche e diffuse in molte parti del mondo. Pur potendo tener conto degli esempi più significativi, risulta quasi impossibile stendere uno stato dell’arte esaustivo delle appli- cazioni di e-Democracy che non risulti già superato nell’arco di pochi mesi, poiché la realtà mondiale continuamente progredisce ed affina gli strumenti utilizzati migliorandoli o affiancandone di nuovi.

 

I modelli di e-Democracy consentono attraverso l’impiego delle tecnologie prevalentemente informatiche, di coinvolgere in modo più immediato il cittadino nella gestione di quella che i Romani chiamavano res publicae attraverso sia strumenti che facilitino l’espressione e l’esercizio del diritto di voto (e-Voting) sia meccanismi che permettano di prendere parte ai processi decisionali di tipo istituzionale (e-Participation).

Perché ciò funzioni e renda l’e-Democracy una forma avanzata di manifestazione del superiore principio di democrazia, occorre che la realizzazione dei modelli di e-Democracy avvenga nel rispetto del principio di uguaglianza, di cui all’art. 3 della nostra Costituzione.

 

Se, infatti, l’implementazione di strumenti di democrazia elettronica implicano e danno vita a diritti “nuovi” o consentono di esprimere quelli già consolidati in una forma nuova, ciò deve essere vero in ugual misura per tutti i cittadini. Diversamente si creerebbero delle discriminazioni.

 

Risulta fondamentale quindi definire una base comune di elementi e implementazioni che costituisca il c.d. zoccolo duro dell’e-Democracy e che venga necessariamente considerata nelle applicazioni attuate dalle autorità competenti. In particolare ci si propone di giungere ad identificare una serie di elementi chiave e buone pratiche che potranno essere proposti a quegli enti locali che non si sono ancora mossi affinché possano realizzare in un tempo minore buone implementazioni, evitando gli errori fatti da altri in precedenza, accelerando quel processo di trasformazione che risulta necessario per giungere alla concretizzazione di reali forme di democrazia partecipativa in una società della conoscenza pienamente realizzata.

 

 

Trattasi, come si è visto dagli spunti derivasti dal saggio citato, di un tema di particolare complessità sul quale si dovrà costituire un gruppo di lavoro ad hoc per approfondirne tutti i diversi aspetti, soprattutto, per garantire il massimo di partecipazione, trasparenza e verificabilità.

 

Assumerlo, statutariamente e nel regolamento, come l’unica forma con cui assumere le nostre decisioni appare in questo momento onestamente prematuro.

 

 

 

Scenario politico e istituzionale nuovo nell’età della globalizzazione e del turbo o finanz capitalismo:

 

Prima del fenomeno della globalizzazione si era affermato e condiviso  il principio della divisione del lavoro sulla base del cosiddetto principio NOMA(Non Overlapping MAgisteria) (Richard Whately) che nel 1829 teorizzò la netta separazione  e non sovrapposizione tra etica, politica ed economia. Di qui derivò il concetto dominante che assegna alla politica il compito dei fini e all’economia quello dei mezzi per il raggiungimento di quei fini, entrambe comunque separate dall’etica secondo una visione iper machiavellica.

 

Tutto questo funzionò sino all’avvento della globalizzazione. Fenomeno quest’ultimo che non sorse spontaneamente dal mercato, ma fu determinato più o meno consapevolmente al G6 del 1975 a Rambouillet ( Italia presente come quinta economia mondiale dell’epoca!) nel quale si decise con atto politico di far partire il processo di globalizzazione, da non confondere con quello di internazionalizzazione presente sin dall’epoca antica.

 

Con l’avvento della globalizzazione il principio del NOMA viene di fatto applicato in termini rovesciati: all’economia è assegnato il compito di decidere i fini e alla politica quello di scegliere i mezzi .

Da questo rovesciamento che assegna il primato finalistico all’economia, deriva la stessa scelta di Bill Clinton, pressato dalle sette sorelle (JP Morgan, Morgan Stanley, Goldman Sachs,  Lehman Brothers e C.) detentrici del potere finanziario di superare la legge Glass Steagall del 1933 che seppe garantire equilibrio e sviluppo al mercato americano. Il superamento dell’obbligo di separazione tra attività di speculazione finanziaria e attività bancarie tradizionali deciso dal congresso americano e promulgata il 12 novembre 1999 da Bill Clinton diede il via libera ai fenomeni di speculazione finanziaria del mercato dei derivati e dei futures che saranno alla base della grave crisi finanziaria in cui tuttora ci dibattiamo dal 2007.

 

Solo nel dicembre 2012   negli USA è stata introdotta la nuova norma Volcker dal nome dell’ex presidente del Federal reserve,  con cui viene reintrodotta la separazione tra attività bancarie e di speculazione finanziaria. I pragmatici americani hanno saputo rimediare ai guasti clintoniani;  in Europa si continua invece nelle attività speculative.

 

Il ruolo dei cattolici e dei Popolari nell’età della globalizzazione:

 

Le analisi e le indicazioni più rigorose sul fenomeno della globalizzazione sono state fatte sin qui, a nostro avviso,  dalla dottrina sociale della Chiesa:

 

a)    Laborem Exercens di San Giovanni Paolo II ( 14 settembre 1981) (nato Karol Woityla)

 

b)   Centesimus Annus di Papa  San Giovanni Paolo II (1 Maggio 1991) (nato Karol Woityla)

 

c)    Caritas in veritate di Papa Benedetto XVI (29 Giugno 2009) (nato Joseph Ratzinger)

 

d)   Evangelii Gaudium di Papa Francesco (24 Novembre 2013) (nato Jorge Maria Bergoglio)

 

e)    Laudato si di Papa Francesco ( 24 Maggio 2015) (nato Jorge Maria Bergoglio)

 

Come alla fine dell’800 e agli inizi del 1900 nacquero i movimenti politici di ispirazione cristiana quali strumenti per inverare nella città dell’uomo gli orientamenti pastorali della Rerum Novarum, lettura cristiana del fenomeno della prima rivoluzione industriale, terza via tra liberismo e socialismo, così, nell’attuale diaspora dell’area cattolica e popolare, siamo interessati a un progetto di ricomposizione delle diverse culturali che furono alla base del patto costituzionale del 1948. Un patto da difendere contro il tentativo del finanz-capitalismo di ridurre gli spazi di democrazia e di sovranità popolare e, semmai, da aggiornare secondo metodi compatibili con quanto indicato dalla stessa Carta, attraverso un’assemblea o un parlamento costituente eletti su base rappresentativa di tutta la realtà italiana

 

Nostri obiettivi statutari: sono quelli indicati nei  6 punti dell’art.3 :

 

1. Attuazione della Costituzione puntando sul governo dell’economia, sulla partecipazione popolare e sulla funzione sociale dello Stato nel riequilibrio tra diritti e doveri improntati alla sostenibilità e all’equità.

2. Riforma dei Trattati Europei in ragione dell’attuale incompatibilità con la Costituzione della Repubblica Italiana impropriamente modificata per la loro accettazione.

3. Assoggettare la sovranità monetaria allo Stato di diritto e alla volontà popolare per obiettivi di pubblica utilità quali lavoro, crescita e benessere generale del Paese.

4. Investimenti pubblici orientati a incentivare e sostenere la “Ricerca” pubblica, le produzioni e la promozione dei prodotti italiani, le esportazioni e la piccola e media impresa italiani, tenendo conto della sostenibilità ambientale estesa alle nuove forme dell’economia a impatto ambientale positivo e orientate a innovare i rapporti sociali tra impresa e lavoro.

5. La promozione e la tutela della cultura, dell’arte e delle relative forme di associazionismo e dinamismo sociale italiani per la valorizzazione dei patrimonio demaniale, artistico e del paesaggio a fini di tutela e di sviluppo.

6. La cooperazione tra tutte le Organizzazioni europee che rivendicano una confederazione di Stati non asserviti alle oligarchie finanziarie, unite dal perseguimento di obiettivi di pace, di solidarietà sociale, di sostenibilità economica e ambientale, di difesa comune.

 

 

Vale la pena  considerare l’ analisi del prof Severino sul perché quelli del SI vogliono cambiare la costituzione e  la risposta dei cattolici del NO per la penna del prf Franco Astengo.

 

Scrive al riguardo Astengo, esponente del comitato dei Cattolici del NO.

 

“Il filosofo sostiene la tesi che, in un certo modo, il referendum d’autunno sarà misurato su di una “ipotesi”.

Il “sì” alla proposta del governo, già approvata dal Parlamento, conterebbe, infatti – principalmente – non tanto per l’approvazione immediata dei contenuti presenti nelle modifiche del testo del’ 48 quanto piuttosto una “propensione per il cambiamento della Costituzione”, ponendo questo cambiamento al di là del compromesso all’epoca raggiunto dai rappresentanti dei grandi filoni politico – culturali che avevano animato e realizzato la Resistenza al nazifascismo.

In realtà, attraverso la visione contenuta nel saggio di Severino, ci si starebbe muovendo verso un ineluttabile destino che accompagna il futuro delle democrazie: quello riguardante la previsione del dominio della tecnica economica sulla politica.

La meta sarebbe quella di raggiungere un equilibrio politico inserito nel quadro di questo vero e proprio spostamento nell’asse di riferimento dell’azione politica (che risulterebbe sottratta, nella sostanza, alla logica del misurarsi con la “fratture” sia sociali, sia relative all’identità statuale) .

Si tratterebbe, nella visione dei riformatori, di raggiungendo un nuovo equilibrio tale da non  permettere appunto alla tecnica economica di esercitare un primato assoluto.

Le convulsioni dell’oggi, in particolare con riferimento al mutamento di ruolo dello “Stato – nazione” e alle difficoltà di relazione tra i processi globali e la loro dimensione sovra nazionale, non sarebbero altro che la coda di un processo ineludibile, avendo già, scrive Severino: “ la stessa economia capitalistica istituito rapporti tali con l’apparato tecnico – scientifico, che fanno trasparire la destinazione al dominio da parte di quest’ultimo”.

Il livello di mediazione che le deformazioni costituzionali approvate in Italia potrebbe determinare sarebbe, alla fine, quello di rinchiudere le istituzioni in una sorta di gabbia.

L’intento sarebbe quello di preservarle dai sommovimenti dettati dalla fragilità dell’umore dei popoli (vedi Brexit).

Le forze politiche (come del resto scrive anche Maurizio Caprara sulle colonne dello stesso Corriere della Sera) si muoverebbero così in un orizzonte di esercizio del potere in senso tecnico, in parallelo con la oligarchia .finanziaria.

La governance del futuro ricalcherebbe insomma più o meno il modello della Commissione Europea e della BCE : il nodo che si sta, in una qualche misura affrontando con le elezioni USA attraverso la proposta della candidatura democratica.

Il voto popolare servirebbe così soltanto per una verifica interna alle élite, al peso delle cordate che le compongono, della capacità dei leader di vendere illusioni al popolo: la codificazione insomma della “fine della storia” preconizzata al momento della caduta della logica dei blocchi e del “socialismo reale”.

La politica, come sostiene Severino, nella chiusa del suo testo intesa come capacità di coordinamento della tecnica del capitalismo finanziario

Un tipo di lettura molto realistica questa contenuta nel saggio di Severino che disvela i contenuti veri presenti nell’indirizzo della logica di governo sostenuta dal blocco centrista che regge economia e stato in Italia.

Una situazione che dovrebbe far riflettere quanti sostengono il “NO” nel referendum dell’importanza della loro posizione oggettivamente posta ben oltre la semplice difesa dei principi contenuti nel dettato del ’48.

E’ evidente che,a questo punto,perdono di valore le diatribe sul bicameralismo più o meno paritario o più ridondante, sui poteri della Regioni e della Presidenza del Consiglio.

 Risalta però, ancora una volta, in ogni caso il tema della legge elettorale che all’interno del quadro appena descritto  si trasforma ancor di più nell’atto di tipo plebiscitario di legittimazione del gruppo dirigente dominante.

 Non si tratta quindi, all’interno dello scontro che si profila,  di difendere questo o quell’articolo, di considerare (come molti fanno) riduttivo il proclamare la semplice difesa dello status quo e di impostare una campagna per la piena attuazione, pensando anche in futuro a qualche altra modifica.

La Costituzione deve essere intesa, a questo punto, come “programma” esattamente nello stesso senso inteso dalle forze più importanti presenti nell’Assemblea eletta il 2 Giugno 1946: quelle forze che, fuori dalle diverse ideologie professate, esercitarono nel concreto un’azione di esercizio della rappresentatività politica in funzione di una dimensione (e di un’organizzazione) di massa.

Non debbono sussistere esitazioni su questo punto, o ritardi di natura tecnicistica o semplicemente legati alla convenienza politica legata alla prospettiva del dopo – voto (questo elemento sarà cavalcato già da tanti dei protagonisti negativi di questa vicenda).

La Costituzione come programma della democrazia repubblicana, con accenti di specificità nazionale intesa come spazio d’esercizio della sovranità popolare.

 Accenti di specificità collocati in un quadro riferito al “vincolo esterno” di internazionalismo dei principi e dei valori.

La Costituzione intesa come alternativa allo scenario (terribile) del dominio intrecciato tra le diverse oligarchie tecnocratiche.

Una prospettiva agghiacciante che è possibile respingere attraverso l’espressione del NO intesa come passaggio per una fase diversa di concreta alternativa sulla base della cui prospettiva raccogliere forze per dotarle di una adeguata identità politica.

La Costituzione antifascista da difendere oggi nella consapevolezza  piena dello spirito del tempo.”

Franco Astengo

 

 

 

Se per la difesa della Costituzione è essenziale:

 

a)    batterci tutti insieme per il NO al prossimo referendum;

b)   concorrere alla costruzione di un nuovo soggetto politico capace di offrire una nuova speranza alle nuove generazioni e a quel 50% che diserta ormai sistematicamente il voto.

 

Non basta, tuttavia, il solo il richiamo alla Costituzione se non si aggiornano le culture storico politiche che furono alla base del patto costituzionale . Noi intendiamo proprio per questo portare in seno al nuovo soggetto politico la nostra cultura cattolica e popolare ispirata dalla dottrina sociale della Chiesa che, riteniamo, essere attualmente la più avanzata e organica risposta ai problemi collegati alla globalizzazione e al dominio del turbo o finanz-capitalismo.

 

Dall’ampio  dibattito che ho seguìto con attenzione, mi è sembrato prevalente e  pressoché unanime il giudizio complessivamente negativo su ciò che attualmente passa il  teatrino della politica italiana.

 

Noi stessi, dopo oltre vent’anni dedicati all’impegno per la ricostruzione dell’area popolare e democratico cristiana, siamo pessimisti sulle capacità di rigenerazione / rinnovamento degli attuali schieramenti politici.

 

Siamo, tuttavia, anche convinti che non basta la demonizzazione dello scenario politico esistente che, in ogni caso, rappresenta il 50% del corpo elettorale ma serve comprendere se, sulla base della Teoria dei quattro stati  (vedi la mia nota) , si possa e sappia  offrire una nuova speranza e una possibilità di rappresentanza politica ai diversamente tutelati e al terzo stato produttivo.

 

Per la critica al sistema dei partiti attuali c’è già il M5S che da “ statu nascenti,” specie dopo le ultime elezioni politiche del 2013, europee del 2015 e amministrative del maggio scorso, sta diventando a tutti gli effetti un partito-istituzione con tutti i problemi, le opportunità e criticità che tale nuova condizione impone e imporrà anche a questo movimento-partito.

 

Teoria dei quattro Stati di Bonalberti

 

Ho adottato la teoria dei quattro Stati che, seppur semplicisticamente, rappresenta in maniera significativa la situazione sociale dell’Italia. Trattasi di una teoria euristica,, ossia valida ai fini del ragionamento, senza pretese di validità scientifico-sperimentale(in matematica un procedimento euristico è un qualsiasi procedimento non rigoroso, pertanto approssimativo per il contesto in cui nasce, che consente di prevedere o rendere plausibile un risultato che dovrà essere controllato nei fatti e convalidato con rigore e sufficientemente flessibile per adeguarlo in considerazione di variabili note.)

 

 

 

Il primo Stato, quello della casta, è formato da oltre un milione di persone che vivono attorno alla politica e alle istituzioni, con laute prebende e benefits diversi. E’ l’aristocrazia dell’ancien regime trasferita nel XXI secolo.

 

Il secondo Stato è quello dei diversamente tutelati, che contiene l’intervallo compreso tra le alte gerarchie pubbliche ( magistratura, alta dirigenza burocratica dello Stato e degli enti pubblici statali, parastatali e degli enti locali) sino all’ultimo gradino della scala rappresentato dai cassaintegrati e disoccupati con indennità e a quello dei senza tutela, come gli esodati e i disoccupati senza indennità.

Una posizione del tutto particolare assumerà quella speciale e drammatica realtà di coloro che potremmo definire  “gli esclusi”.

 

Vanno considerati in tale stratificazione, all’ultimo stadio inferiore,  i disoccupati privi di ogni tutela ( oltre tre milioni), i lavoratori precari (3.400.000), il drammatico 43% di disoccupati giovanili senza futuro ( oltre 750.000), gli esodati senza speranza. Di questi ultimi non si conoscono le cifre esatte. Dallo Stato non giungono cifre coerenti: nel dicembre 2011 – i ministri del Lavoro (Elsa Fornero) e dell’Economia (Mario Monti) individuano in 65.000 gli esodati da considerare ‘lavoratori salvaguardati'; nell’aprile 2012 – l’INPS annuncia che gli esodati sono 120.000; nel  giugno 2012 – l’INPS porta il numero degli esodati a 390.000. Ancora diverse e più consistenti le cifre fornite dai sindacati.

 

Tra disoccupati, esodati e lavoratori precari, possiamo affermare che siamo in presenza di quasi sette milioni di persone, in qualche maniera espulsi o ai margini del sistema produttivo e di tutela, raggruppabili in un quinto stato, quello degli esclusi.

 

 

 

Il terzo stato è quello che produce la parte prevalente del PIL: PMI con i loro dirigenti e dipendenti, agricoltori, commercianti, artigiani, liberi professionisti. La struttura portante dell’intero sistema.

 

Con le nuove norme comunitarie si scopre l’esistenza del quarto Stato, un settore che potremmo qualificare come l’extra o l’anti Stato, rappresentato dal lavoro nero, droga, prostituzione, contrabbando.

 

Trattasi di un settore il cui valore dell’attività economica è stimato in circa 200 miliardi di euro che, in base alle nuove norme europee, buon per Renzi e Padoan, farebbe calare il rapporto deficit/PIL dello 0,2 %, passando dal 3,7 al 3,5% sui conti del 2011.

 

Un settore fuori da ogni regola,  che preleva  ricchezza dal sistema e in larga parte la rimette in circolo sotto forma di consumi, risparmi e investimenti diversi, sottraendosi a ogni controllo e incidendo, comunque, in maniera significativa sul sistema stesso e non solo sul piano economico e sociale.

 

Solo su quello economico incide per oltre il 14% sul PIL italiano che, nel 2013, è stato calcolato in circa 1393 miliardi di euro, per non parlare delle sue nefaste incidenze anche sul piano politico e dei condizionamenti nelle istituzioni……

 

Acquisito che la casta autoreferenziale e ben intenzionata ad autoperpetuarsi, l’unica direttamente interessata a ciò che accade con i meccanismi elettorali della rappresentanza, domenica non diserterà le urne, le vere variabili indipendenti e largamente maggioritarie rispetto all’esigua minoranza dei privilegiati, sono i componenti di tutte le restanti stratificazioni sociali che determineranno gli esiti elettorali del voto di Maggio.

 

I diversamente tutelati seguiranno, con la più o meno forte coerenza con i propri antichi valori, soprattutto gli interessi collegati e collegabili alle liste in gioco nelle diverse realtà territoriali, con un grado di astensionismo meno pronunciato di quello che prevedibilmente sarà sostenuto dal terzo stato produttivo privo di significative e solide rappresentanze politiche. In ogni caso l’astensionismo sarà molto più accentuato nelle stratificazioni più basse e in quelle fasce che hanno perduto i riferimenti politici tradizionali.

 

Il quarto non Stato illegale opererà, come sempre, trasversalmente a favore degli uni o degli altri secondo le più opportune convenienze, mentre sarà proprio la drammatica realtà sociale degli “esclusi” che potrà far pendere l’ago della bilancia pro o contro il governo e pro o contro gli altri rappresentanti delle residue e fragili formazioni partitiche.

 

Credo si debba ripartire di qui se intendiamo offrire una nuova speranza e la possibilità di una rappresentanza politica a quel 50% che non partecipa più al voto.

Tentare di farlo prescindendo dagli interessi e dai valori che queste diverse e complesse stratificazioni  sociali esprimono sarebbe del tutto inefficace .

 

Ecco perché tornano in gioco gli interessi e i valori che ciascuna delle associazioni, movimenti, gruppi, partiti che hanno aderito e/o intendono aderire al progetto della Confederazione sovranità popolare, rappresenta e decidere INSIEME se e come costruire l’ubi consistam, il punto di equilibrio compatibile, senza arroganze e pregiudiziali insormontabili.

 

SE PERMANESSERO,come mi sembra di capire, ANCORA ALCUNE DIFFICOLTA’, PIUTTOSTO CHE PROCEDERE PER ESCLUSIONE MEGLIO DAR VITA A UNA COMMISSIONE RISTRETTA E RAPPRESENTATIVA DELLE DIVERSE ISTANZE ALLA QUALE ASSEGNARE IL COMPITO DI RIFORMULARE I TESTI DELLO STATUTO E DEL REGOLAMENTO SIN QUI REDATTI.

 

Credo che una riconvocazione a Settembre dell’assemblea plenaria per l’approvazione dei testi definitivi emendati, o anche prima con una consultazione on line da svolgersi con tutti i crismi di regolarità, trasparenza e verificabilità, sarebbe da adottare.

 

 

Ettore Bonalberti

Presidente di ALEF ( www.alefpopolaritaliani.eu)

Venezia, 1 Luglio 2016

 

 

 


                 


Brexit, Unione Europea, Germania: il nuovo ordine che verrà

Articolo di Fabio Polettini

 

Stiamo vivendo momenti storici, paragonabili al crollo del Comunismo avvenuto fra il 1989 ed il 1991.

L’uscita inaspettata di Londra dalla UE, nella quale vi era entrata tardi rispetto ai Trattati fondativi della CEE del 1957, sta letteralmente terremotando i nuovi equilibri in Europa e rischia di vedere dissolversi il Regno Unito in una serie di secessioni interne opposte ai grandi processi di unificazione che avevano consentito ad esso di prevalere sul mare e sul continente per oltre 200 anni.

Anche in questo caso, per una curiosa eterogenesi dei fini, come già avvenuto con la grande crisi del 2008, iniziata in Usa e poi trasmigrata in Europa, l’elemento inaspettato, imprevisto e dirompente porterà ad un nuovo assetto delle relazioni infra europee ed extraeuropee.

Oggi, per l’Italia, o la politica è estera o, semplicemente, non é.

I margini e le leve di manovra per riportare benessere ai nostri cittadini (ruolo che dovrebbe essere messo sempre al di sopra di tutto per chi si voglia impegnare nella attività politica) sono tutte dipendenti dai rapporti internazionali all’interno dei legami europei del cd. Fiscal compact e dalle relazioni con gli Usa.

Fare politica con efficacia, dunque, significa fare politica estera.

De Gaulle lo aveva sostenuto, a buon diritto, tanti anni fa.

La cultura delle relazioni internazionali, la conoscenza dei meccanismi di esse (che non seguono le logiche di politica interna), gli elementi ontologicamente compositivi dello Stato moderno di Hobbes (territorio, popolo, effettività delle leggi, identità culturale e valoriale, sovranità) e logiche proprie delle neuroscienze (che presiedono alle decisioni collettive delle comunità umane- si leggano i testi di Boncinelli e Strata sul funzionamento del cervello umano e sul ruolo dell’amigdala, sede delle emozioni/paure. Si legga anche Le Bon) dovrebbero essere più a fondo conosciuti dai decisori politici chiamati oggi a fare scelte che graveranno sugli italiani per i prossimi decenni.

Vediamo, senza alcuna pretesa di approfondita analisi od esaustività, di fare, qui di seguito, qualche breve considerazione.

Senza ripercorrere la genesi dello stato antico e moderno (da Platone ed Aristotele, a Cicerone, sino a Machiavelli, Botero, Hobbes, Rousseau, Locke, Bodin, Schmitt)  delle motivazioni che hanno portato alla sua costituzione (non intendo fare, qui, distinzioni fra la forma del regime - monarchico o repubblicano, oligarchico o democratico, liberale od assoluto), una prima constatazione da fare è che, senza l’intervento dello Stato (nelle sue diverse vesti di BCE, FED americana, Bank of England e Banca centrale Cinese), che ha immesso liquidità poderosa nel sistema, dalla crisi non si sarebbe usciti.

Può non piacere agli aedi o cantori della fine degli stati, ma questa è la evidenza empirica.

Quando si determinano condizioni che mettono in pericolo le comunità umane sia sotto il profilo militare, che economico-finanziario, che sanitario, solo le istituzioni di quelle comunità, erettesi in stato, possono difendere i cittadini. Altrimenti noi tutti soccombiamo.

Nulla salus extra rem publicam, dunque.

Mi pare un buon motivo per confutare tesi utopistiche che vorrebbero la dissoluzione degli stati.

Tesi che dovrebbero essere ben criticate, qualora fossero indirizzate a distruggere alcuni stati ma a salvarne, invece, altri, magari di potenza superiore…

Come detto in apertura di questo intervento, la politica estera non ha le stesse logiche di quella interna.

Gli ideali vanno sempre rapportati alla realtà delle posizioni di forza, altrimenti si perde la partita (la letteratura è sterminata, da Tucidide, Machiavelli ed Hobbes sino ai nostri giorni con i contributi di Churchill, Kissinger, Romano, Galli della Loggia, Di Nolfo).

Prescindendo da trattazioni interne ai disegni di potere della politica britannica, mi pare di ascoltare in questi giorni soltanto commenti di natura economico-finanziaria sui contraccolpi che deriveranno agli assetti continentali dalla Brexit. Quasi nessuna voce, invece, sulle enormi implicazioni di ordine politico internazionale.

Certamente il commercio fra Londra e la UE (o, meglio, alcuni stati di essa) ne risentiranno. Si parla dell’industria automobilistica tedesca, dei servizi finanziari, del ruolo della borsa inglese, degli esportatori di vino italiano.

Tuttavia, un fatto appare certo e incontrovertibile: il riacquisito status di preminenza che Berlino nei fatti ha ottenuto su tutto il continente, sino ai confini russi. Tale status sarà (dipende dagli esiti delle prossime elezioni francesi del 2017) in parte temperato o cogestito con Parigi che, più debole sotto il profilo economico, appare, però, strettamente interconnesso nel commercio e dotato di una deterrenza militare nucleare e convenzionale che, ad oggi, ne fa lo stato continentale leader, sotto quel profilo (in politica internazionale la dimensione militare ha una sua storica ed ineliminabile importanza. Si vedano gli Usa, la Cina, l’India, la Russia, gli interventi russi in Siria, quelli francesi in Africa, solo per stare ad oggi). La cosa non prevista è che questa nuova dimensione tedesca si determina proprio in conseguenza di tre eventi non dipendenti dalla Germania: lo sfaldamento dell’URSS ed il conseguente sganciamento, voluto da Gorbacev, della DDR; la crisi americana che impatta meno sui conti pubblici tedeschi perché Berlino, grazie alle riforme di Shröeder, aveva migliorato la sua economia; la brexit decisa autonomamente da Cameron.

Occorre, comunque, per onestà intellettuale, dire che i tedeschi oggi possono cogliere i frutti di questa insperata preminenza grazie alla più accorta gestione del loro bilancio pubblico e alle riforme organizzative fatte per tempo (non possiamo, inoltre, tacere che la stessa DDR, pur in un sistema statalizzato e privo di democrazia, aveva tenori di vita superiori a quelli della stessa URSS).

In ogni caso, niente sarà più come prima. Credo che il progetto di un’ unione politica degli stati europei si possa dire tramontato e non realizzabile oggi.

Del resto, alcuni di essi come la Polonia e i paesi baltici appaiono assai più preoccupati dal fatto di ritrovarsi, come nel novecento, stretti fra Berlino e Mosca, che non desiderosi di costruire il leviatano europeo. E’ prevedibile che per questi Washington sia il naturale loro approdo.

Nel mentre i commentatori sciorinano previsioni più o meno allarmistiche, traspare nei sondaggi che gli elettori tedeschi e quelli francesi (che già bocciarono la costituzione europea) non sono disposti ad ulteriori cessioni di sovranità in favore di una ipotetica confederazione europea.

I colloqui di ieri fra Renzi, Holland e Merkel lo stanno dimostrando bene.

Del resto, la vicenda della CED (Comunità europea di difesa) lo aveva già ampiamente certificato decenni fa.

Pertanto, oggi, più di ieri, di questi umori e sentiments (così ben studiati dai neuroscienziati e dagli psicologi sociali ed ignorati spesso dai decisori politici e dagli economisti) sarà bene tenerne conto, visto l’esito del referendum britannico.

Gli scenari che si aprono nel continente possono essere diversi, anche in considerazione degli atteggiamenti che assumeranno Usa, Cina e Russia, intente a salvaguardare anche loro i loro interessi (Status di economia di mercato della Cina con conseguenti ricadute sui dazi, TTIP, Nato, rapporti industriali est-ovest, euro).

La possibilità di un ritorno allo stato di integrazione ante euro è probabile, anche se, dal nostro punto di vista, il vero banco di prova sarà proprio quello della resistenza o meno della moneta unica (a cui sarà sottesa la nuova dimensione di influenza dei vari stati).

E’ auspicabile che la politica italiana prenda contezza del fatto che nuove alleanze potrebbero scaturire ed un nuovo blocco geopolitico continentale potrebbe presto formarsi con una ripartizione degli interessi su scala extra europea (per esempio con Parigi che guarda più all’Africa ed al Medio Oriente e Berlino all’est ed all’estremo oriente).

In questi delicatissimi momenti, in cui ciascuna capitale gioca le proprie carte molto egoisticamente, l’Italia, seconda manifattura, in posizione geo strategica importantissima anche adesso per la proiezione verso l’Africa degli interessi dell’industria italiana e del governo dei flussi migratori, dovrebbe puntare non solo ad attenuare i vincoli comunitari, ma anche ad assicurarsi una condizione privilegiata nel prossimo quadrante euro mediterraneo trattando con i diversi attori coinvolti (Israele incluso) ed aumentando in modo appropriato e sensibile gli investimenti nel segmento della difesa.

Fabio Polettini

29 Giugno 2016

  



BREXIT - FINE DELL’ EQUIVOCO: ORA UN' EUROPA PIU' VICINA AI PAESI MEMBRI

 

COGLIERE LE OPPORTUNITA’ QUALI L’ AUTORITA’ BANCARIA  A MILANO

di Achille Colombo Clerici, Presidente di Assoedilizia - Lunedì 27 Giugno 2016

 

“Molto opportunamente Giuseppe Sala, neosindaco di Milano, ha candidato la città ad ospitare l’Autorità bancaria che Londra, dopo il referendum, dovrà lasciare.

 

Certo, Milano deve giocarsela con poli finanziari quali Francoforte e Parigi: ma il solo fatto che tale candidatura sia proponibile, rivela come l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea non sia da considerare foriera solamente di conseguenze negative. Se Londra è stata fino ad oggi la piattaforma principe europea di servizi globali finanziari e bancari, meta da decenni di molti nostri giovani che vi andavano per l' apprendistato e per la socializzazione in questo campo, ora si aprono orizzonti nuovi.

 

La proposta Sala puo' ribaltare a nostro favore la questione. « L' intera Italia deve sostenerla- afferma il presidente dell’Istituto Europa Asia Achille Colombo Clerici - e occorrera' dar vita immediatamente ad una constituency per la stessa » .

 

Storicamente – prosegue l’analisi di Colombo Clerici - lo spirito nazionalista degli inglesi (da sempre isolani ed autonomi, vedasi il distacco della Chiesa Anglicana da quella Cattolica) ha considerato “altro” il Continente.

 

E mentre il Trattato di Roma del 1957 sanciva le basi della Comunità Economica Europea, Londra vi opponeva l’Efta che ancora sopravvive, sia pure ridotta a quattro Stati (Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Svizzera) .

 

Successivamente i fondatori inglesi si affrettarono ad abbandonare l’Efta per entrare in quella “unione di minoranze” che verrà chiamata Unione Europea, sia pure tenendola sotto scacco e mantenendo un piede dentro ed uno fuori dalla stessa.

 

In questo stato ottenevano condizioni favorevoli, non concesse agli Stati membri e godevano di benefici senza "pagare dazio".

 

Il referendum ha sancito la fine della posizione equivoca di chi, pur aderendo ai valori assunti dall'Europa, quali principi ispiratori di liberta', di solidarieta', di pace, non ne ha mai condiviso integralmente la declinazione pratica e normativa fattane dalla stessa.

 

Ma ha pure evidenziato altre conseguenze:

 

- I Paesi dell' Unione hanno preso atto che si puo' decidere di uscire da questa Europa che Renato Brunetta ha definito “forte con i deboli e debole con i forti” e che in tal modo comunque non puo' continuare funzionare.

 

- Posizioni opposte si sono delineate immediatamente nello schieramento politico italiano.  Da un lato la posizione antieuropeista sostenuta dal leader della Lega Matteo Salvini che propugna decisamente l'uscita dall’Europa; dall'altra quella sintetizzata dal capogruppo del PD al Senato, Zanda, che invoca l' immediata realizzazione di una unione europea sul piano politico.

In ogni caso si auspica un deciso allentamento dei vincoli europei, primo fra tutti il fiscal compact.   

 

In conclusione, la considerazione di fondo che discende dalle valutazioni del dopo Brexit e' che contro lo spirito dei popoli non si puo' andare.

 

La storia europea e' di per se stessa una storia divisiva. Il medesimo problema, in prospettiva, si potra' porre per altre nazioni.

 

Questo il dilemma di fondo da sciogliere: riusciranno i popoli europei, il cui passato storico ben conosciamo, a dar vita ad una futura storia comunitaria ?

 

In un appassionato intervento all’Ispi di Milano, Romano Prodi ha ricordato uno scritto di Giovanni Spadolini: l’Italia è stata fatta grazie a una serie di sconfitte più feconde delle vittorie. La stessa considerazione può valere per l’Europa: crisi economica, terrorismo, immigrazione, populismo, strapotere della finanza,  nazionalismi di Polonia e Ungheria e Brexit hanno portato l’Unione sull’orlo del baratro.

 

Ma hanno pure fatto germogliare l’idea di un’Europa a due velocità: un gruppo di Paesi (Germania, Francia, Italia, Spagna ad esempio) che costituisca un nucleo forte - in grado di procedere sulla via degli antichi valori fondanti dell’Unione al quale si potranno aggregare in seguito anche altri Paesi - che faccia da guida agli altri.  

 

In questa prospettiva si porra' inevitabilmente anche il problema della sostituzione dei quasi duemila funzionari inglesi ( molti dei quali apicali ) in forza all'Unione ed alle sue istituzioni; una burocrazia forte la cui ottica e' sempre stata ed e', non conservatrice ne' laburista, ma esclusivamente britannica, e per la quale non potra' di certo valere, ai fini del mantenimento degli incarichi, il semplice criterio della  acquisizione della cittadinanza comunitaria. 

 

L' Europa del futuro dovrà dotarsi di una politica che miri alla crescita economica dei Paesi membri, piu' che al consolidamento dei loro conti; un’Europa capace di decidere e di interpretare i tempi, di muoversi come un solo Stato nella politica estera, nelle politiche di sviluppo, di formazione, di cittadinanza. Che, come ha suggerito Mario Monti a Cernobbio, sposti anche sull'Africa – di cui oggi si occupa prevalentemente la Cina - ed in particolare sui Paesi mediterranei, attenzione e progetti.

  

 

 

Il cantiere dei moderati

 

Quello che si è aperto a Parma su iniziativa della Lega, più che il cantiere dei moderati, dovrebbe chiamarsi il cantiere degli arrabbiati se, come sostenuto da molti, si pone il problema non tanto o non solo della ricomposizione della vecchia area del centro destra su basi rinnovate, ma di offrire una nuova speranza a quel 50% degli elettori non votanti italiani.

 

Anche i protagonisti presenti a Parma sono espressione della “casta”, che costituisce il primo stato utilizzato nella mia teoria dei quattro; coloro che, in ogni caso, fanno parte di quel ceto di privilegiati, anche loro come i renziani, nella maggior parte “ nominati” illegittimi, non più credibile agli occhi di una parte rilevante dei “diversamente tutelati”, ossia di quelli che vivono le condizioni peggiori del disagio sociale, insieme a quelli del terzo stato produttivo da molto tempo privo di rappresentanza politica.

 

Sono gli stessi ceti e classi sociali che hanno determinato la vittoria del Brexit in Gran Bretagna e che costituiscono la grande maggioranza degli arrabbiati presenti in quasi tutti i Paesi dell’Unione europea.

 

Sino ad oggi la casta politica, espressione di una legge elettorale illegittima, sopravvive nel trionfante indegno trasformismo parlamentare dei transumanti mercenari, ma a sinistra come a destra è sempre meno credibile ad almeno la metà del corpo elettorale. In Italia la questione si è ulteriormente aggravata per la rottura verticale del Paese introdotta da un referendum confermativo di una riforma costituzionale pasticciata, errata nel metodo con cui la si è votata da un parlamento di illegittimi, e irrazionale nel merito con cui si intendono modificare oltre quaranta articoli della nostra Costituzione.

 

Non a caso, proprio partendo dalla necessità di difesa della sovranità popolare, sta nascendo e si concreterà il prossimo 2 Luglio a Roma, “la confederazione  sovranità popolare”, nella quale intendono concorrere le diverse culture politiche che condividono l’esigenza di opporsi allo strapotere delle multinazionali finanziarie, responsabili del caos del debito pubblico mondiale che, dal 2007-2008 ha riempito di carta straccia le banche di tutto il mondo, pari a 10 volte il PIL mondiale. Un debito che si intende far pagare proprio a quei ceti e a quelle classi dei “diversamente tutelati” e del “terzo stato produttivo”, sino a richiedere ad imbelli e manovrati leader politico istituzionali, di annullare gli equilibri democratici sin qui garantiti dalle costituzioni rigide del dopoguerra.

 

Noi Popolari “ Liberi e Forti” abbiamo aderito e intendiamo concorrere con la nostra migliore tradizione politica e culturale alla confederazione di sovranità popolare, anche se siamo attenti a ciò che accade di nuovo nell’area dell’alternativa al trasformismo renziano, specie se emergeranno fatti nuovi significativi. Per ora, almeno così ci sembra, al di là di una vecchia riproposizione di vecchi partiti e movimenti, peraltro ancora divisi su alcune opzioni fondamentali, non si intravedono svolte significative, mentre permane assordante il silenzio della cultura cattolica e popolare, in assenza della quale ogni progetto politico risulterà di assai corto respiro.

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 26 Giugno 2016


Un articolo del prof Marco  Vitale prima e dopo il voto inglese


Pubblichiamo l’ottimo articolo del Prof Marco Vitale scritto poche ore prima del voto inglese, con un addendum redatto alle ore 10 di questa mattina, a votazione conclusa ed esito acquisito: la vittoria del Brexit.

Lo facciamo non solo perché condividiamo pienamente le tesi del prof Vitale, ma anche perché ci accomuna la stessa esperienza da lui citata. Anch’io, qualche anno dopo l’edizione descritta da Vitale, credo nel 1962 o 1963 risultai tra i vincitori della Giornata europea della scuola, anche se quel viaggio premio non potei farlo in quanto cadeva nello stesso periodo nel quale vinsi una borsa di studio del CIVIS in Inghilterra.

In quell’edizione partecipava e vinse con me anche una persona  a me sconosciuta,  Alfredo De Poi di Perugia che, qualche anno più tardi ( 1964-65) me lo ritrovai presidente del consiglio nazionale del Movimento giovanile della DC nel quale fui anch’io eletto. Insomma era la nostra, come quella del prof Vitale, una generazione formata agli ideali di tre grandi democratico cristiani: Adenauer, De Gasperi e Schuman. Abbiamo creduto nei solidi principi di solidarietà e di sussidiarietà su cui era nata l’Europa., garanzia di pace dopo le drammatiche guerre mondiali del secolo scorso.

Ecco perché condividiamo il giudizio positivo espresso da Vitale sul voto inglese, convinti come anche noi siamo che: o l’Europa prende atto della sua avvenuta trasformazione in un ircocervo senz’anima, lontana dalle attese della gente e cambia passo, oppure sarà la sua fine.

Basta con i regolamenti illegittimi come quelli del fiscal compact (Guarino docet) o il bail- in votato da capi di governo e ministri sbadati o corrivi; basta con il prevalere delle logiche dei poteri finanziari che nell’età della globalizzazione decidono gli obiettivi  subordinando ad essi  l’economia e la politica.

Certo, dai tre giganti padri fondatori siamo ridotti agli attuali gnomi senza più respiro strategico per cui non ci resta che chiedere l’assistenza dall’Alto, affinché Frau Merkel, Messieur Hollande e il Sig.  Renzi, che si incontreranno Lunedì a Berlino,  sappiano assumere le decisioni più opportune per il bene di tutti noi europei.

Ettore Bonalberti

Venezia, 24 Giugno 2016

 

 

 

 

MARCO VITALE

VIVA L’INGHILTERRA VIVA L’EUROPA

 

“Et veritas liberabit vos (Giovanni 8-30)

Intenzionalmente scrivo questa nota sul referendum inglese sull’Europa, giovedì 23 giugno alle H. 20,30, prima della chiusura dei seggi e, dunque, senza sapere come andrà a finire. L’unica cosa che so è che nel pomeriggio, i bookmakers pagavano 6 a 1 contro l’exit. Questo è un indizio importante contro l’uscita ma solo un indizio. Il punto vero è che le riflessioni che mi accingo a fare si applicano sia  che prevalga il voto a favore dell’uscita che quello a favore del rimanere.

Ma prima di entrare nel merito, per facilitare la comprensione dei miei commenti, devo fare una piccola deviazione personale. Al liceo ho vinto il primo premio assoluto in Italia e il secondo in Europa, con uno scritto sulla integrazione europea, nella giornata europea della scuola, indetto dalla CECA tra tutti  gli alunni dell’ultimo anno delle scuole medie superiori dell’Europa a sei. Mi fruttò un viaggio meraviglioso di un mese alla scoperta dell’Europa, insieme agli altri cinque vincitori nazionali. Al ritorno dal viaggio, nell’estate 1955, mi iscrissi al Movimento Federalista Europeo nel gruppo di Pavia e, in tale veste, ho vissuto da attivista tutte le grandi battaglie europeiste: dall’elezione diretta del Parlamento Europeo, allo SME, all’Euro. Nel frattempo mi laureai con una tesi sull’integrazione dei sistemi fiscali europei. Insomma il processo di integrazione europea è stato, in tutta la mia vita, il mio punto di riferimento fisso, la mia bussola, il mio sogno, il mio ancoraggio, il mio impegno personale. E i miei riferimenti sono stati i grandi padri dell’Europa, gli Schuman, Monnet, De Gasperi, Adenauer, ed il nonno Churchill. Di tutti  conservo un disco che riporta i principali passaggi dei loro discorsi sull’Europa che si intitola: Le grandi voci dell’Europa.

Nonostante questo retroterra personale, recentemente sono arrivato ad augurarmi che gli inglesi votino a favore del Brexit. Per tre motivi. Perché gli inglesi non sono mai stati veramente dentro il processo di integrazione europea ma sono sempre stati sulla soglia, come ha spiegato in una lucida e amara intervista l’ex commissario europeo Etienne Davignon (Il Sole 24 Ore, 23 giugno 2016) e come ha recentemente illustrato, in una efficacissima vignetta, Giannetti nella quale alla regina Elisabetta che gli spiega che il referendum è sull’uscita  o meno dell’Inghilterra dalla UE, il consorte Filippo risponde: “Perché, siamo mai entrati?”. Il secondo motivo è che le critiche più serie dei grandi intellettuali inglesi all’attuale UE, come gabbia soffocante e perdente, sono straordinariamente veri e condivisibili. Il terzo motivo è che l’insieme del meccanismo, delle politiche e della governance della UE è così disastrato e miserabile che ha bisogno di un grande choc. La vittoria della Brexit potrebbe rappresentare questo necessario e, potenzialmente, positivo choc del quale l’Europa, sia i popoli che i governanti, hanno un disperato bisogno. Io non credo al terrorismo economico-finanziario e sociale che i centri del potere hanno scatenato in relazione agli effetti dell’exit.  Certo la sterlina si svaluterà, come è economicamente corretto. Certo per qualche giorno i mercati finanziari si agiteranno. E poi? Per l’80% si tratta di bufale. Ma certamente il voto a favore della Brexit avrebbe un alto significato politico. Metterebbe paura e noi abbiamo bisogno di prendere paura, per far emergere un po’ di consapevolezza e un progetto per correggere la rotta. Altrimenti vinceranno i populismi disgregatori, alla Le Pen o alla Salvini. Ma per frenarli non basta esorcizzarli a parole. Bisogna fare le cose giuste e questa baraccopoli, tecnocratica e ottusa, che chiamiamo Europa, questa banda di bottegai che hanno permesso che il Mediterraneo si trasformasse in un cimitero, non è, così come è oggi, la cosa giusta. Se vince il “Restiamo” il grande rischio è che ci riaddormentiamo tutti e ritorniamo a coltivare l’illusione che i problemi si risolvano da soli. Ed invece quando una malattia grave colpisce un popolo  o un insieme di popoli è meglio far “scoppiare la verità” e porre rimedio al male. E, come ha detto Davignon: “Ormai l’insoddisfazione è dovunque. Il contagio ha già attaccato l’Unione”.  E se vince il  “Restiamo” cosa ce ne facciamo di una Inghilterra spaccata in due, ferocemente lacerata, intontita dalla montagna di bugie che si sono scatenate in relazione al referendum, sconvolta e commossa dal delitto che ha ucciso una persona di tanta grazia, coraggio e valore,  come Jo Cox, che cercherà di negoziare qualche ulteriore banale vantaggio economico secondo la logica da bottegaio del suo governo, sempre fermo sulla soglia per cercare di cogliere nuove occasioni per dare fastidio e mettere i bastoni fra le ruote? Noi avremmo bisogno di una Inghilterra che, come ha detto Brown, lungi dal ritirarsi si ponga in posizione di leadership, collabori seriamente alla riforma intellettuale e operativa della UE, controbilanci l’ottusità tedesca (che ha vinto tante battaglie ma ha sempre perso tutte le guerre e perderanno anche questa e noi con loro), che attacchi il burocratismo di Bruxelles come fece, nella prima fase, la Thatcher con risultati positivi importanti per tutti (io, allora, scrissi, da europeista, un articolo intitolato: “Grazie Thatcher”, e mi riferivo alla sua azione decisiva e benefica per la liberalizzazione dei movimenti di capitale).

Se, come sembra, vincerà il “Rimaniamo” e la necessità di verità verrà, una volta di più, soffocata, non ci resterà che condividere (con poca convinzione invero) la speranza di Michael Spence (premio Nobel per l’economia 2001): “Questa è la mia speranza, anche se può rasentare un semplice desiderio. Indipendentemente dal risultato del referendum su Brexit (come molti stranieri, spero che la Gran Bretagna voti per rimanere e sostenga una riforma dall’interno), il voto britannico, insieme a simili forti tendenze politiche centrifughe altrove, dovrebbe portare a una profonda revisione delle strutture di governance europee e di accordi istituzionali. L’obiettivo dovrebbe essere quello di ripristinare un senso di controllo e di responsabilità agli elettori. Questo sarebbe un buon risultato nel lungo periodo. Ci vorrebbe una leadership ispirata da ogni angolo d’Europa, compreso governo, imprese, sindacati e società civile, nonché un rinnovato impegno per l’integrità, l’inclusione, la responsabilità e la generosità. Si tratta di un compito arduo; ma non è impossibile da realizzare”.

Se, invece, vincerà Brexit è vero che ci sarà qualche turbolenza sui mercati finanziari (robette), è vero che c’è il rischio dell’effetto domino (ma ci sono altri paesi che frettolosamente e incautamente imbarcati, stanno meglio fuori), è vero che ci mancherà l’intelligenza civile e politica inglese contro l’ottusità della UE (e questo è il guaio peggiore e bisognerà cercare di rimediare soprattutto sul fronte del lavoro comune stringendo i legami bilaterali). Ma il rischio maggiore è quello di mettere la testa nella sabbia, di sfuggire alla verità, di continuare ad accettare questa orrenda UE, così come è.

Milano 23.06.2016 H. 21,00

 

 

ADDENDUM 24.06.16 H. 10,00

Contraddicendo le attese dei bookmakers, i cittadini inglesi, andando a votare in misura massiccia e mai vista in Inghilterra, hanno scelto l’addio non all’Europa ma a questa miserabile UE, dalla quale erano già, peraltro, in gran parte fuori. Io non leggo questo voto come una scelta dettata dalla paura, come la maggioranza dei bottegai dell’UE e dei servi dei mercati finanziari pensano, ma come una scelta dettata dal coraggio, il coraggio della verità, dalla dignità, dalla forza, dall’amore per la libertà propri della grande storia inglese. Ritrovo in questo voto l’Inghilterra che ha insegnato a tutti la democrazia, che ha tenuto testa da sola a Hitler, che ha sconfitto con i suoi agili navigli i galeoni della Grande Armata, quell’Inghilterra che faceva dire ai nostri fascisti: “Dio stramaledica gli inglesi” e invece una volta di più, “Dio benedica gli inglesi”.

Viva l’Inghilterra, viva l’Europa.

Marco Vitale

www.marcovitale.it

www.reset.it

(blog Marco Vitale Mala tempora) Scritto per Arcipelago

Ha vinto il Brexit: prima riflessione  a caldo del prof Antonino Giannone


Il Regno Unito in tanti secoli ha insegnato al mondo, a cominciare da Hume Smith, che la sola via alla ricchezza e alla pace è l'apertura e la capacità di cooperazione.

Purtroppo, per questa tradizione liberale che è in sintonia con la tradizione popolare di Don Sturzo e democristiana di De Gasperi alla quale apparteniamo,  oggi è un giorno triste perché è stata rinnegata e tradita dalle piccole paure irrazionali e dei bassi interessi. Giorno tristissimo, se pensiamo alla memoria dei migliaia di soldati inglesi nei cimiteri di tutta l'Europa. Ma la storia va verso nuove possibili forme d'integrazione e ci auguriamo sempre verso politiche con la persona, qualunque persona, al centro e con la sua dignità. La storia non si farà arrestare da questi pochi milioni di anacronisti che tradiscono secoli di speranze e di sangue in cerca di una unità. Ma queste scelte miopi e stupide purtroppo si pagheranno con molte monete. I muri non durano, il vento della libertà finisce per abbatterli. Peccato davvero per gli inglesi.

L'Inghilterra ha dunque scelto: Brexit; da oggi sarà fuori dall'Europa.

Noi Popolari Liberi e Forti vogliamo l'Europa dei Popoli e non della Finanza, secondo il progetto originario di tre politici cristiani: Adenauer -De Gasperi- Schuman.

Adesso vogliamo togliere i grandi pesi Fiscal Compact - Fondo Salva Stati che il governo di Mario Monti aveva sottoscritto e ridurre lo strapotere della Germania che avvantaggia enormemente l'economia tedesca, vogliamo alleggerire i pesi per il popolo italiano quello operoso, la classe produttiva, il terzo Stato, vogliamo un aggiornamento delle regole comunitarie, vogliamo più Etica nella Società e nelle Istituzioni,vogliamo più Sovranità Popolare, vogliamo il ridimensionamento dei tecnocrati di Bruxelles

 

Antonino Giannone

Professore di Etica professionale e Relazioni industriali

Vice Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)

Milano, 24 Giugno 2016


Finalmente in Regione ci si muove per la “free zone” a Marghera

 

Avevamo lanciato per primi l’idea progetto della “free zone” a Marghera.

Gli amici avv.Filippo Fasulo e Ing Mauro Nicoletti erano stati i protagonisti degli studi e delle proposte di legge possibili.

Avevamo inserito il progetto ne “ La nostra idea di Venezia”, il documento di programma collegato alla lista civica popolare Boraso per la elezione a Sindaco del Comune di Venezia; tale  proposta fu anche recepita nel programma del  candidato sindaco Brugnaro e fu oggetto di uno specifico incontro-dibattito organizzato dai Popolari veneziani in una manifestazione pre elettorale.

Con il centro studi storici di Mestre l’avv.Fasulo ebbe occasione di presentare alla cittadinanza mestrina e veneziana la nostra idea della “free zone”.

Informammo del nostro progetto tutti i gruppi parlamentari regionali e i parlamentari del Veneto. Ottenemmo risposta solo dal gruppo FARE dell’amico Tosi, con il capogruppo Stefano Casali e il loro dirigente, Daniele Stival.

Dopo alcuni incontri di approfondimento, stamane dall’amico Stival ci è giunta notizia del deposito del progetto di legge che alleghiamo dei consiglieri Casali,Negro,Bassi e Conte: Istituzione nella regione del Veneto della zona franca di Venezia.

 

Ora comincia l’iter politico amministrativo che ci auguriamo possa trovare il massimo consenso nel consiglio regionale del Veneto.

Da parte nostra, mentre ringraziamento il gruppo del FARE per aver assunto questa importante iniziativa che può rappresentare un’autentica svolta nella politica e nell’economia della nostra città e per l’intera Regione del Veneto, abbiamo immediatamente offerto la nostra disponibilità a collaborare con i tecnici del  think tank “VENETO PENSA” e di AIKAL nell’azione di divulgazione e sostegno popolare che tale progetto richiede.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF ( Associazione Liberi e Forti)

Venezia, 23 Giugno 2016

 

CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO

DECIMA LEGISLATURA

PROPOSTA DI LEGGE STATALE N.

PROPOSTA DI LEGGE STATALE da trasmettere al Parlamento Nazionale ai sensi dell'articolo 121 della Costituzione
d'iniziativa dei Consiglieri CASALI, NEGRO, BASSI, CONTE

ISTITUZIONE NELLA REGIONE DEL VENETO DELLA ZONA FRANCA DI VENEZIA

Presentato alla Presidenza del Consiglio il

ISTITUZIONE NELLA REGIONE DEL VENETO DELLA ZONA FRANCA DI VENEZIA

RELAZIONE

La presente proposta di legge fonda la sua specificità e valenza alla luce della storia di Venezia, da sempre ponte ideale tra Oriente ed occidente, terminale europeo della mitica via della seta, lungimirante anticipatrice delle Zone Franche, attraverso lo strumento del Fontego delle merci e scambi dei paesi con cui la Serenissima tesseva rapporti commerciali. Basti ricordare il Fontego dei Turchi, dall’architettura veneto-bizantina che a seguito delle decisioni dei Cinque Savi alla Mercanzia, presa nel 1608, potè ospitare 24 magazzini, camere, lavatoi e servizi, registrando in attività operatori economici non solo turchi ma anche mercanti albanesi, bosniaci, sensali, esperti traduttori. Fontego dai traffici in auge fino alla guerra di Candia e comunque operativo fino al primo trentennio del 1800.

Venendo ai tempi odierni bisogna osservare la situazione sociale ed economica del Veneto, che negli ultimi anni, complice una crisi dalle origini esterne, ha visto messo in discussione il tessuto di piccole e medie imprese, preso a modello da altre parti del territorio italiano ed anche da paesi esteri, la capacità di fare “squadra” tra imprese operanti in settori affini, costituendo filiere omogenee in rapporti di interdipendenza, tali da costituire il felice fenomeno dei “distretti”. Con la crisi finanziaria ed economica in cui ancora si dibatte il Paese, preso altresì atto che le valutazioni economiche dell’Organismo per la Cooperazione e Sviluppo Economico (O.C.S.E.), ancora nel maggio del 2013, aveva rivisto al ribasso le stime per il P.I.L. italiano, prevedendo, una ulteriore contrazione per l’anno 2014, tuttavia secondo l’Ufficio studi della Camera di Commercio di Vicenza, i dati macroeconomici indicano una inversione di tendenza a livello mondiale che ha avuto il suo outlook positivo già nell’anno 2014, l’imprevista positiva espansione negli U.S.A., la ripresina in area “Euro” degli ultimi mesi dell’anno 2015, il trend del calo del prezzo dei prodotti petroliferi, l’aumento dei tassi di cambio ed il calo dei rendimenti, dei tassi dei bond statali nei paesi a più forte economia con simmetriche politiche di sostegno alla ripresa, hanno riprodotto condizioni favorevoli al superamento della crisi di cui il Veneto può e deve avvantaggiarsi.

Le imprese venete che hanno potuto o saputo affacciarsi all’estero, hanno goduto di una favorevole moderata crescita, si pensi al settore calzaturiero della Riviera del Brenta che opera per la maggior parte sui mercati esteri dove la qualità ed il “Made in Veneto” sono percepiti come eccellenza, laddove quelle che operano sul mercato indoor rimangono tutt’ora penalizzate dalla domanda depressa, dai notissimi problemi di mancanza di liquidità e di fiducia.

Il 2014 per la nostra Regione è stato un anno tra molte ombre ed alcune luci, si avvicina tuttavia un treno che riparte, anche se il P.I.L. regionale è declinato ancora sotto i livelli dell’anno 2000 e con un minus di ricchezza prodotta nel

settennio 2007/2014 di 10,3 punti percentuali in meno (pari a 15 miliardi di euro). Il comparto più penalizzato è stato quello industriale, con le micro e piccole imprese in ipossia sotto un carico fiscale intollerabile, “dimenticate dalle banche” che, appellandosi a regole discutibili ed autoassolvendosi, hanno perso la propria mission di erogare prestiti. In una spirale di crisi aziendali, ristrutturazione dei debiti, difficoltà, se non impossibilità, di recuperare giudiziariamente i crediti a causa di procedure onerose dai tempi lunghi ed incerti, le imprese in crisi hanno registrato momenti drammatici.

Il settore delle costruzioni ha registrato, nei sette anni della crisi 2007/2014, un calo produttivo, perdendo via via che -secondo i dati Unioncamere 2015- sono passate da 72.544 a 67.580 con saldo negativo di -4.964. L’unico aspetto positivo è dato dalla crescita, stimata al 3,3%, del mercato del recupero residenziale.

Il settore manufatturiero ha sofferto la maggiore emorragia, da 61.445 aziende, si è passati a 53.654 con perdita di -7.791 imprese, ma il 2014 ha visto cenni di ripresa. Dopo l’anno nero 2012, la produzione industriale, secondo i dati di Veneto Congiuntura, denota per il 2015 una dinamica positiva con implementazione di piani di investimento da parte delle piccole e medie imprese. Anche l’agricoltura ha sofferto, passando da 76.774 aziende a 69.501 con differenziale di -7.273 imprese.

Il settore commerciale invece ha registrato una buona tenuta con un plus di 1.397 imprese.
Il
settore terziario dei servizi ha aumentato la sua consistenza, con un incremento di più 10.780 unità accentuando il processo di terziarizzazione dell’economia veneta.

È interessante volgere un breve sguardo ai mercati esteri ove si dirige l’offerta produttiva delle imprese venete. I paesi dell’Unione europea, i tradizionali, Germania e Francia, ed oltre Atlantico gli U.S.A. sono ovviamente privilegiati, ma sebbene gli sforzi siano orientati a potenziare i mercati conosciuti, oggi entrano nel focus commerciale anche gli Emirati Arabi e tra questi Dubai; quest’ultimo sta acquistando sempre più interesse sia per le grandi opportunità commerciali che per le agevolazioni fiscali offerte.

La Camera di Commercio di Padova con intuito lungimirante, già dall’anno 2006, ha aperto un ufficio che collabora con gli imprenditori interessati a sviluppare la loro attività, organizzando e promuovendo incontri per meglio conoscere quella realtà.

Nuovi mercati sono l’Iran, sicuramente interessante alla luce della nuova situazione geopolitica, ma anche l’Algeria, l’India, la Colombia.
I prodotti che costituiscono l’appeal del made in Italy o meglio del made in Veneto sono i macchinari che valgono un quinto dell’export regionale e riscuotono sempre interesse.

Ma altre novità che incidono sull’economia regionale sono costituite dalle nuove normative sul lavoro dipendente, dall’inizio del 2015 si è attivata la decontribuzione dei contratti a tempo determinato e, dal marzo 2015, l’istituzione dei contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti. Il fenomeno è troppo recente per misurare il successo di queste formule presso gli imprenditori, tuttavia

già nel primo trimestre 2015 le imprese che hanno attivato contratti a tempo indeterminato sono state 21.800, quindi relativamente poche secondo i dati Unioncamere.
Luci ed ombre quindi, ma tra le luci le previsioni assegnano un P.I.L. positivo pari all’1,1%. La locomotiva Veneto di nuovo sui binari per fare da traino, unitamente alla Lombardia, all’economia Italiana?

Vari componenti depongono in questa direzione, le esportazioni che dovrebbero crescere ad un tasso del 5,4%, il basso prezzo dei prodotti energetici ed i tassi di interesse in discesa, grazie alle politiche monetarie messe in campo dalla BCE. Nubi nere tuttavia, legate a situazioni politiche internazionali, si addensato creando incertezze all’export; il riferimento è al grande e promettente mercato russo ed ucraino.

Già molte imprese venete, attive nel settore agroalimentare e mobiliere, si sono trovate penalizzate a seguito della chiusura di quel mercato; la situazione tuttavia appare in evoluzione.
Sul piano turistico, il Veneto si posiziona al top con più di 10 milioni di ospiti stranieri e oltre 60 milioni di presenze annuali. Quindi oltre un quinto dei turisti stranieri che scelgono l’Italia come meta opta per la nostra regione. Non v’è dubbio che Venezia, che a buon diritto può pretendere il titolo di capitale mondiale della cultura con le eccellenze del suo territorio, specialità gastronomiche, buon cibo, vino, gode sempre di un appeal internazionale consolidato, aspetti che costituiscono punti di forza per politiche di sviluppo turistico, politiche che la mano pubblica deve sviluppare ricordando che a Venezia è presente la più alta concentrazione di opere d’arte del mondo; la sola Scuola Grande di San Rocco, vera e propria Cappella Sistina in terra Veneta, se adeguatamente ed intelligentemente pubblicizzata, potrebbe costituire un interesse tale da richiamare folle di amatori appassionati del bello. Venezia si proietterebbe ben oltre che la Disneyland odierna del turismo mordi e fuggi.

Per non parlare della Cappella Sistina padovana che è la Cappella degli Scrovegni con il ciclo degli affreschi di Giotto, altro potente motore cultural- turistico.
Se la crisi è la risultante di molte cause, tra queste non può tacersi la burocrazia, a qualunque livello, con le sue astruse liturgie, opacità, sovrapposizioni di competenze e borbonici diritti di veto, tempi non adeguati alle necessità delle dinamiche aziendali, adempimenti spesso slegati da una logica comprensibile e condivisibile. Burocrazia autoreferenziale che si è posta non al servizio dell’utente ma in posizione negativa, i cui risultati sono limitativi dello sviluppo, appesantiscono i costi delle aziende e scoraggiando potenziali interessi stranieri ad investire in Italia.

Secondo stime de Il sole 24 ore, elaborate con ISTAT, la burocrazia “pesa” su imprese e cittadini per 31 miliardi di Euro l’anno: è la struttura amministrativa dello Stato, dal livello centrale a quello periferico, giuridicamente preposta ad erogare servizi ai cittadini. Nella classifica della Banca Mondiale fondata sull’indagine Doing Business, il nostro Paese si colloca ad uno sconfortante 26° posto tra i 27 Paesi dell’Unione Europea, in ordine ai costi ed alle facilitations

per fare impresa.
Tutto questo ha causato forti penalizzazioni alla capacità e possibilità non solo di svilupparsi ma anche in termini di tenuta sul mercato, ma non ne ha affievolito la capacità di idee e la voglia di fare impresa.
Per altro verso la Regione Veneto tra le sue attività istituzionali, ha sviluppato una serie di relazioni internazionali, in collaborazione e sinergia con il Ministero degli Affari Esteri, che sono destinate a creare e favorire sostegno alle imprese, tenuto conto che il Veneto, secondo il “Rapporto al Ministro degli Affari Esteri” del 2013, è in posizione leader per le attività turistiche, vanta ben cinque siti UNESCO, quattro Università, numerose fondazioni di rilievo internazionale, Enti Lirici come l’Arena e la Fenice e la Biennale d’Arte, Architettura, Cinema.
La Regione Veneto ha avuto il privilegio di poter disporre di un Consigliere diplomatico che ha costituito il funzionale ed istituzionale raccordo tra la politica estera nazionale e gli interessi espressi e rappresentati dal territorio, in conseguenza di ciò ha potuto beneficiare di particolare assistenza diplomatica a favore delle imprese del territorio, presso le Ambasciate situate nei più importanti paesi del mondo, sotto questo profilo strategiche ai fini degli scambi commerciali e culturali.
Si è instaurata una efficace e proficua collaborazione con la Rappresentanza Permanente d’Italia presso la UE a Bruxelles con l’apposito Ufficio che rappresenta, in sede comunitaria, gli interessi regionali ed ha in agenda una serie di dossier: “proposta di macro Regione adriatico ionica”, “riforma della politica agricola comune dell’Unione europea”, “revisioni delle reti Trans European Transport Network” “adesione all’Unione europea della Croazia e rafforzamento dei legami tra Veneto ed Istria”, “revisione della politica di cooperazione territoriale UE per il ciclo finanziario 2014/2020”; ed inoltre le questioni relative ad aiuti di stato.
Ma altri aspetti di rilevante importanza per il Veneto sono in discussione, quali il tema della etichettatura dei prodotti tessili, agroalimentari, industriali all’interno dell’Unione Europea; ancora da segnalare la costituzione nel novembre 2012 del Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale (GECT) tra Veneto, Friuli Venezia Giulia e Carinzia, ma aperto ad Istria e Slovenia, dotato di personalità giuridica, rappresenta, per la Commissione UE, il futuro della cooperazione territoriale comunitaria, che si muove sulla promozione della crescita e rafforzamento dei posti di lavoro, collaborando e partecipando inoltre all’iniziativa della Regione Bavaria per il lancio di una Macro Regione Alpina.
Se è vero che ogni fase di trasformazione sociale porta con sé l’evolversi di sistemi economici, con l’affacciarsi di nuove libertà, diritti ed opportunità quali la libera circolazione delle persone e delle merci all’interno del territorio della Comunità Europea, di qui la necessità di regolamentare questi nuovi spazi per i cittadini europei ha portato dapprima al Regolamento CE 12 ottobre 1992 n.ro 2913 che ha istituito il
codice doganale CE. Il successivo Regolamento CE 2 luglio 1993 n.ro 2454 ha dettato Disposizioni di applicazione del Codice. Il combinato disposto dei due regolamenti (articoli 166-181 del Codice ed articoli 799-814 delle Disposizioni di attuazione) ha introdotto la materia delle Free

Zone/Zone Franche.
Il successivo Regolamento CE 450/2008 ha aggiornato la normativa, mancante tuttavia delle necessarie Disposizioni di attuazione, normativa quindi rifusa- concetto del diritto comunitario- nel nuovo ultimo Regolamento CE 952/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea del 9 ottobre 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 10 ottobre 2013. Detto Codice in alcune parti ha esecutività immediata pertanto già dal 30 ottobre 2013, ma per la specifica disciplina delle Zone Franche ne ha rinviato l’entrata in vigore all’1 giugno 2016.
Nei suoi prodromi, la Convenzione Internazionale di Kyoto del 1973 definisce la Zona Franca “...la parte del territorio di uno Stato in cui le merci che vi sono introdotte, sono considerate come fossero fuori dal territorio doganale, per quanto attiene ai diritti alle tasse di importazione e non sono sottoposte agli usuali controlli dell’autorità di dogana...”.
A livello mondiale le Zone Franche, secondo i dati della International Chamber of Commerce, riportati dalla dottoressa Micaela Cappellini nel suo articolo “Free Zone in espansione” pubblicato dal Sole 24 Ore del 12 agosto 2013, sono circa 3.000 in 135 Paesi, impiegano 68 milioni di persone generando un giro di affari di 500 miliardi di dollari. A due anni dal rilevamento è facile presumere un consistente aumento delle Free Zone.
Nella realtà del nostro Paese vi sono alcuni Punti Franchi che non debbono tuttavia essere confusi con la realtà giuridica disegnata dalla normativa comunitaria. L’esperienza di
Trieste. Il porto Punto Franco gode del regime di esenzione doganale ma il suo fondamento giuridico risiede in alcuni privilegi austroungarici confermati dal successivo Regno d’Italia, ripresi dal Trattato di Pace del 1947, ribaditi dal Trattato di Osimo del 1975, recepiti dal Testo Unico in materia doganale e dalla Legge 84/1994 di riordino della legislazione sui porti. La regione Valle d’Aosta. È regione a statuto speciale che, per la collocazione specifica di zona di confine, fruisce in tutta la sua estensione del regime di extradoganalità, riconosciuta dalla Legge ordinaria 623/1949 con l’originale formula che demanda ad una normativa regolamentare l’attuazione del regime di Zona Franca, ma consentendo da subito l’esenzione di numerosi prodotti da dazi ed imposte per beni di consumo per il fabbisogno locale creando così una disparità con altre regioni ad oggi assolutamente anacronistica oltre che ingiusta. La provincia di Gorizia. Anche questa per ragioni storiche fruisce del regime di Zona Franca extradoganale e fiscale istituito con Legge ordinaria 1438/1948; nel suo territorio i beni di consumo sono introdotti in regime di esenzione fiscale. Salvo la Regione a statuto speciale Sardegna che ha perfezionato la proposta di legge n. 22/A per l’istituzione della Zona Franca su tutto il territorio, attualmente risultante giacere presso il Senato, e la Regione Lombardia che è autrice di analoga proposta di legge per l’istituzione di una Zona Economica Speciale

“ZES”, il panorama italiano fino ad oggi non ha visto attivazione di Free Zone. La Regione Vento, utilizzando le facoltà concesse dal nuovo ruolo rivestito dalle Regioni a seguito della modifica del Titolo V della Costituzione operata dalle Leggi Costituzionali n. 3/2001 e n. 131/2003, che consentono alle Regioni di

sottoscrivere Accordi Internazionali con Stati esteri ed Intese con Enti territoriali stranieri, ha istituito la Direzione Relazioni Internazionali, Cooperazione Internazionale e Diritti Umani. Attraverso l’opera di tale Ufficio, l’Ente regionale ha già attivato rapporti di collaborazione, di amicizia, aprendo opportunità al mondo delle imprese, sottoscrivendo Atti di Intesa con Entità regionali estere ed un Accordo di collaborazione con la Repubblica di Serbia. Di rilievo sono i recenti Protocolli di Intesa del febbraio 2012 con la Regione marocchina di Marrakech-Tensift-Al Haouz, il Protocollo con la Moravia Slesia del giugno 2012, quello del settembre 2012 con la Provincia Vietnamita di Thua Thien Hue, infine nel novembre 2012 è stato sottoscritto l’ulteriore Protocollo di Intesa con lo Stato brasiliano del Mato Grosso del Sud.

La novità di interesse di cui alla presente proposta di legge è che nella nuova Sezione 3 del testo del Regolamento CE 952/2013, rubricata “Zone Franche”, agli articoli 243 e seguenti, è prevista la facoltà, quindi diritto potestativo per ogni stato membro, di destinare talune parti del proprio territorio doganale a Zona Franca, aree quindi che assumono carattere di extradoganalità. In forza di tale norma comunitaria lo Stato italiano può servirsi di questo strumento, che gode, per definizione, di agevolazioni doganali, quali esenzione dai dazi e/o i.v.a. tali da

favorire il mondo delle imprese che vi troverà all’interno di tali spazi le più ampie opportunità di produrre, commercializzare beni e servizi.
Guardando all’estero, l’esperienza dell’Emirato di Dubai può essere considerata paradigmatica per l’istituzione di una Free Zone. Dubai infatti conta oltre 10 Free Zone, alcune generaliste, altre specializzate su definiti settori merceologici, di certo sfrutta la propria posizione geografica ad est della penisola arabica.

È sicuramente interessante la Dubai Airport Free Zone Authority (DAFZA), che offre agli investitori un distretto commerciale dotato di comode infrastrutture, servizi, esenzione da diritti doganali; tale Zona si armonizza strategicamente con lo sviluppo dell’aeroporto quale hub per i voli per l’Estremo oriente, Cina, India, Repubbliche ex sovietiche, Australia, entrando in concorrenza con i maggiori aeroporti-hub europei. Già varie aziende italiane ne hanno colto le opportunità offerte, da un lato dalle distanze assolutamente convenienti, e per altro verso dai commoda, burocrazia quasi zero, tempi velocissimi ed un panel di servizi di qualità e pregio, nessun dazio su qualsiasi bene importato o esportato e soprattutto proprietà al 100%, senza obbligo di un socio di maggioranza locale. Tra le aziende insediate vi sono alcuni importanti quali Luxottica, Montegrappa, Ariston, Guzzini, ma anche piccole imprese venete che da tempo guardano ai nuovi promettenti mercati.

Il Veneto, sotto ogni profilo, per la sua dinamica capacità produttiva, economica e commerciale, con la sua rete aeroportuale collegata con i poli del business mondiale in grado di fare sistema con il porto di Venezia e la cantieristica collegata, regione leader nel campo delle nanotecnologie, della ricerca e scientifico, del turismo di qualità con le sue bellezze e beni culturali diffusi sul territorio, si presta ad essere il luogo strategico alfiere dell’attivazione di una Free Zone in grado di diventare opportunità di sviluppo, attrattiva, non solo per

le imprese nazionali ma anche per quelle estere.
La localizzazione della Zona Franca deve tenere in considerazione la situazione del territorio, da un lato rispondendo al criterio del risparmio dei suoli, esulando da mere logiche speculative di consumo, per altro verso deve, ove possibile, valorizzare le aree industriali dismesse o in via di dismissione, perché non più rispondenti alle mutate condizioni di mercato o della produzione o dei nuovi bisogni ambientali, con attenzione ai nodi stradali, ai modi di trasporto via mare o aerei affinché la Zona, così giuridicamente definita, possa fruire fisicamente di tali “commoda” di posizione.
La recente iniziativa della Regione Veneto dell’11 aprile 2014, assunta in accordo con il Comune di Venezia, di impegno ad acquisire in Porto Marghera 110 ettari di aree industriali ed edifici della Syndial S.p.a. con l’obiettivo di metterle a disposizioni di nuovi investitori, attraverso lo strumento della NewCo, diventa strategica ai fini della localizzazione di una Free Zone e ne costituisce forte motivazione. Si tratta di un’area di circa 1.073.358 mq, suddivise in due macro lotti A e B. Gli aspetti di bonifica, gli oneri ambientali, così come individuati ed approvati dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Mare, sono stati regolati. Secondo il contratto preliminare dell’11 aprile 2014, per il macrolotto A, considerato di più immediata re-industrializzazione, pari a 50 ha, è prevista a favore dei promissari acquirenti la somma di 50 milioni di euro per i necessari interventi di bonifica; per il macrolotto B, pari circa a 60 ha, è prevista a favore dei promissari acquirenti la somma di euro 19,5 milioni di euro per oneri ambientali.
Individuata così l’area da destinare a Zona Franca, va previsto un Soggetto attuatore, organismo pubblico-privato con partecipazione della Regione, del Comune e dell’Autorità Portuale, di natura mista tecnico-amministrativa con competenze elevate, investito di poteri di autority, autorizzativi di ogni attività da attuarsi nella prescelta Zona Franca.
L’oggetto della presente proposta di legge, istituzione di Zona Franca su territorio nazionale, risponde pertanto alle necessità di sviluppo dell’economia veneta come più sopra evidenziate.

Nel dettaglio:

  • -  l’articolo 1 definisce le finalità che la proposta di legge persegue

    inquadrandola nell’ambito delle vigenti normative statali di settore e delle disposizioni europee . In particolare, individua fra le finalità principali: la promozione della tutela ambientale e la valorizzazione delle aree interessate, la creazione di condizioni favorevoli in termini fiscali, finanziari e amministrativi per i soggetti che vi si insediano, attraverso la possibilità di beneficiare di particolari regimi, nonché la possibilità di favorire l’insediamento di aziende che svolgono attività di impresa, per incentivare lo sviluppo economico e l’occupazione;

  • -  l’articolo 2 rinvia ad un successivo provvedimento della Regione del Veneto l’individuazione delle aree dove collocare fisicamente la zona franca, il perimetro ed i punti di entrata ed uscita;

  • -  l’articolo 3 prevede che la Regione del Veneto istituisca l’Autorità di gestione individuandola fra soggetti pubblici, privati o a capitale misto pubblico-privato;

  • -  l’articolo 4 definisce le attività consentite, stabilendo che è autorizzata qualsiasi attività di natura industriale o commerciale o di prestazione di servizi, ivi comprese quelle intese alla manipolazione, trasformazione commercializzazione e movimentazione anche internazionale di merci e prodotti;

  • -  l’articolo 5 definisce il sistema di vigilanza;

  • -  l’articolo 6 definisce le agevolazioni fiscali applicate dalla data di entrata

    in vigore della legge fino al 31 dicembre 2045;

  • -  l’articolo 7 introduce la possibilità di un regime doganale speciale,

    prevedendo la stipulazione fra lo Stato e la Regione del Veneto di una convenzione o un accordo interistituzionale che preveda forme di raccordo fra la Zona Franca e il territorio doganale esistente individuandone i termini e le relative modalità d’esercizio;

  • -  l’articolo 8 inserisce la clausola di neutralità finanziaria.

    ISTITUZIONE NELLA REGIONE DEL VENETO DELLA ZONA FRANCA DI VENEZIA

    Art. 1 – Finalità

    1. La presente legge, in armonia con la vigente normativa statale e con le disposizioni europee ed, in particolare, con il regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (CE) 09/10/2013, n. 952/2013 che istituisce il codice doganale dell'Unione (Pubblicato nella G.U.U.E. 10 ottobre 2013, n. L 269) stabilisce procedure, condizioni e modalità per l’istituzione e la realizzazione, della Zona Franca di Venezia, avente le caratteristiche di una zona economica speciale (ZES), in contiguità con il territorio doganale esistente e il Punto franco di Venezia, istituito con decreto legislativo 5 gennaio 1948, n.268 “Istituzione di un punto franco nel porto di Venezia”, da ultimo territorialmente rideterminato con decreto ministeriale 22 marzo 2013 , al fine di:

    promuovere la tutela ambientale e la valorizzazione delle aree interessate;
    creare condizioni favorevoli in termini fiscali, finanziari e amministrativi per i soggetti che vi si insediano, attraverso la possibilità di beneficiare di particolari regimi;
    favorire l’insediamento di aziende che svolgono attività di impresa, per incentivare lo sviluppo economico e l’occupazione.

    Art. 2 – Individuazione e delimitazione della Zona franca di Venezia

1. L’estensione e la dimensione territoriale della Zona Franca di Venezia di cui all’articolo 1, di seguito denominata Zona Franca, è definita dalla Regione del Veneto che individua specificamente le aree dove collocare fisicamente la zona franca, il perimetro ed i punti di entrata ed uscita.

Art. 3 – Autorità di gestione

1. Ferme restando le competenze che la normativa nazionale ed europea attribuiscono all’Autorità doganale o ad altre Autorità, la Regione del Veneto istituisce l’Autorità di gestione della Zona Franca che può essere individuata fra soggetti pubblici, privati o a capitale misto pubblico-privato.

2. L’Autorità di gestione opera quale soggetto amministrativo-tecnico con funzione di progettazione e gestione e, attesa la particolarità dei terreni rientranti nella Zona Franca, anche con funzioni di vigilanza e controllo sulle eventuali operazioni di risanamento e bonifica delle aree, che si svolgono nel rispetto delle vigenti normative nazionali ed europee.

3. Fermo restando quanto previsto da comma 2, l’Autorità di gestione assume, sotto la propria responsabilità, gli ulteriori compiti di gestione e organizzazione, definiti dalla Regione nel provvedimento di istituzione.

Art. 4 – Attività consentite

1. Nella Zona Franca è autorizzata qualsiasi attività di natura industriale o commerciale o di prestazione di servizi, ivi comprese quelle intese alla manipolazione, trasformazione commercializzazione e movimentazione anche internazionale di merci e prodotti , nel rispetto delle disposizioni della vigente normativa statale nonché del Codice doganale dell’Unione Europea e dalle relative norme di applicazione.

ISTITUZIONE NELLA REGIONE DEL VENETO DELLA ZONA FRANCA DI VENEZIA

Art. 5 – Vigilanza

1. Le persone, le merci e i mezzi di trasporto che entrano o escono nella Zona Franca, possono essere sottoposti a vigilanza da parte della competente Autorità doganale nel rispetto delle disposizioni della vigente normativa statale, nonché del Codice doganale dell’Unione Europea e dalle relative norme di applicazione.

Art. 6 – Agevolazioni fiscali

1. Le imprese che avviano una attività economica nella Zona Franca possono fruire delle seguenti agevolazioni, nei limiti delle risorse stabilite:
esenzione dalle imposte sul reddito delle società (IRES) per i primi otto periodi di imposta. Per le piccole e medie imprese (PMI), definite ai sensi del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008, l'esenzione viene estesa anche ai tre anni successivi, nella misura del 50 per cento dell'importo dovuto;

a) esenzione dall'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) per i primi cinque periodi di imposta. Per le PMI, definite ai sensi del regolamento (CE) n.

800/2008, l'esenzione viene estesa anche per i tre anni successivi, nella misura del 50 per cento dell'importo dovuto;
b) esenzione dall'imposta unica comunale (IUC) per cinque anni per gli immobili posseduti dalle stesse imprese e utilizzati per l'esercizio delle nuove attività economiche;

c) riduzione dei contributi sulle retribuzioni da lavoro dipendente a carico delle aziende per i primi cinque anni di attività nella misura del 50 per cento, da determinare solo per i contratti a tempo indeterminato o a tempo determinato per una durata non inferiore a dodici mesi. Per i tre anni successivi la riduzione è determinata nel 30 per cento.

2. Nella Zona Franca le imprese beneficiano dell'esenzione completa delle imposte doganali e dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) sulle attività di importazione, di esportazione, di consumo e di circolazione per tutti i prodotti che entrano, sono lavorati e quindi esportati attraverso la Zona Franca.

3. Il godimento dei suddetti benefici è soggetto alle seguenti condizioni:
a) le imprese devono mantenere la loro attività per almeno cinque anni, pena la revoca dei benefici concessi;
b) almeno il 90 per cento del personale deve essere assunto tra soggetti che, ai fini delle imposte sui redditi e anagrafici, sono considerati residenti nella Regione del Veneto;
c) il beneficio fiscale complessivo viene riconosciuto a ogni impresa nei limiti del 40 per cento del fatturato di ciascun esercizio.
2. L'efficacia delle disposizioni di cui ai commi 1, 2e 3 è subordinata all'esito della procedura prevista dall'articolo 108, paragrafo 3 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
3. Le agevolazioni indicate ai commi 1, 2 e 3 sono applicate dalla data di entrata in vigore della presente legge fino al 31 dicembre 2045.

ISTITUZIONE NELLA REGIONE DEL VENETO DELLA ZONA FRANCA DI VENEZIA

Art. 7 – Regime doganale speciale

1. Per tutte od alcune delle aree ricadenti all’interno del perimetro della Zona Franca può essere stipulata dallo Stato e dalla Regione del Veneto una convenzione o un accordo interistituzionale che preveda forme di raccordo fra la Zona Franca e il territorio doganale esistente e l’eventuale applicazione di istituti e procedure propri dei regimi doganali individuandone i termini e le relative modalità d’esercizio. I contenuti della convenzione o dell’accordo interistituzionale, qualora necessario al fine del rispetto della vigente normativa statale ed europea, vengono successivamente disciplinati con un’apposita legge o atto avente forza di legge.

Art. 8 – Clausola di neutralità finanziaria

1. Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


 

 

Fase finale del trasformismo politico italiano

 

Da molto tempo denuncio ciò che è accaduto in Italia dal “golpe blanco” di Napolitano del Novembre 2011, dimostrazione palese della subordinazione delle nostre istituzioni e dei loro responsabili ai poteri forti finanziari internazionali americani con le loro ramificazioni europee, da cui sono derivate le  attuali mostruose deformazioni politico istituzionali dell’Italia.

 

Un Parlamento votato nel 2013 con una legge, “il porcellum”, dichiarato “incostituzionale”; tre consecutivi capi del governo mai eletti; un Presidente della Repubblica, votato da  quel Parlamento di “nominati illegittimi”, che lui stesso, da giudice costituzionale, aveva dichiarato espressione di una legge incostituzionale e che lo eletto in un’aula in cui, per ragioni diverse, non parteciparono al voto i capi dei tre maggiori partiti italiani: Renzi, segretario del PD perché non eletto; Berlusconi per FI, perché estromesso dal Senato in base alla legge Severino applicata in maniera retroattiva; Grillo per il M5S, perché non eletto. E’ questa la anomala situazione istituzionale del nostro Paese.

 

La precaria maggioranza del Senato ha portato, complice Renzi con il suo conterraneo Verdini, a definitivo e immorale sviluppo, la transumanza dei mercenari che, eletti nel centro-destra, sono passati a sostenere un governo farlocco, espressione del peggior trasformismo di tutta la storia politica nazionale.

 

E’ in questo quadro che “ il giovin signore” che, anche in base alla sentenza sul porcellum della Consulta, avrebbe potuto/dovuto gestire l’ordinaria amministrazione, limitandosi ad approvare una legge elettorale coerente con la sentenza della stessa Consulta, auspice ancora l’amico Verdini, in nome e per conto del Cavaliere con lo scellerato patto del Nazareno, porta all’approvazione quella che, da subito, ho definito “la legge super truffa” dell’Italicum e, senza e contro tutte le opposizioni, ma forte della sua maggioranza drogata, la stessa riforma/deforma di oltre quaranta articoli della Costituzione. Una deforma approvata con nella doppia lettura con maggioranze inferiori ai due terzi e, come tale, da sottoporre a referendum confermativo popolare. Quello che si terrà a Ottobre e che Renzi ha voluto trasformare, al di là del merito, in un referendum pro o contro la sua leadership.

 

E’ in questa situazione di gravissima crisi istituzionale e politica, cui si accompagna la grave crisi morale, sociale, economica del Paese, che si sono svolte le elezioni del 19 Giugno scorso.

 

Utilizzando la mia euristica teoria dei quattro stati leggo così i risultati complessivi del turno amministrativo:

la casta ha partecipato totalmente al voto schierandosi nelle diverse coalizioni a sostegno della propria sopravvivenza; la vasta area dei diversamente tutelati, quella che raccoglie l’ampia fascia sociale che va dagli alti magistrati sino alle componenti sempre più affollate dei disoccupati, giovani e meno giovani,  precari ed esodati, in preda a un fortissimo disorientamento. La presenza di partiti totalmente disarticolati o, come nel caso del PD, preda di una trasformazione genetica che ha ridotto quel partito a un Golem, massa informe e senza più identità, ha finito con disarticolare totalmente il voto di questo stato. Con la perdita di ogni sicuro riferimento ideale e politico, esso ha finito  in parte con  il  votare le forze di riferimento  tradizionali, ma, in misura più consistente la massa dei non votanti e, mentre i più disperati nell’unica voce della speranza di rinnovamento e di alternativa proposta dai grillini.

 

Ha un bel distinguere Renzi tra voto di protesta e voti di cambiamento. Domenica in parte si è protestato non andando a votare e in parte, certo, dando un segnale fortissimo di cambiamento .

 

Il terzo stato produttivo, che da molto, troppo tempo, è orfano di rappresentanza politica, o, come fa da molte elezioni a questa parte, non ha partecipato al voto, o, come a Milano, si rifugia nella continuità del blocco sociale e politico che da oltre vent’anni è dominante nella città.

 

Il quarto non stato, come sempre, avrà concorso nel voto secondo le migliori opportunità che si presentavano nell’articolata e diversa offerta politica locale.

 

Roma e Torino sono, tuttavia, l’emblema  della marcia trionfale dei grillini verso il potere, facilitati dallo sfascio complessiva del sistema politico italiano, entrato nella fase finale del trasformismo politico e nella più forte divaricazione tra gli interessi e i valori e la stessa narrazione falsa della realtà da parte  della classe politica e istituzionale e il paese reale. Non a caso nei mesi scorsi ho scritto di condizioni di anomia foriere di possibile rivolte sociali, oggi ancora limitate a esprimersi nel non voto o nel voto di protesta e per il cambiamento, ma per quanto ancora?

 

Ciò che impressiona in tutta questa situazione è la totale scomparsa di qualsivoglia espressione di cultura e di esponenti di chiara matrice popolare e/o di ispirazione democratico cristiana. Tranne il caso particolare dell’amico Mastella a Benevento, in nessun’altra realtà rilevante abbiamo notizia di sopravvissuti eredi della nostra tradizione politica.

 

Di qui dobbiamo partire anche noi Popolari per l’Italia, cominciando a fare autocritica sugli errori commessi a Roma dove abbiamo rischiato di consumare la definitiva frantumazione.

Al riguardo siamo tutti orfani del compianto Tito Salatto che, nella direzione convocata avrebbe potuto esporre tutte le ragioni del suo disamore e di forte critica per ciò che accaduto al nostro interno.

 

Ora, però, non è tempo di recriminazioni, anche perché non ci resta che prendere atto del fallimento complessivo della nostra azione politica.

 

Dalle conclusioni dei documenti dei Popolari di Rovereto e del Patto di Orvieto dovremo necessariamente ripartire, convinti come siamo, che qualunque alternativa si intenda costruire al trasformismo renziano, la presenza di una forte componente di ispirazione popolare, credibile, innovativa, è indispensabile se vogliamo fornire una speranza e una risposta alle attese di quanti, nel terzo stato produttivo e in quello dei diversamente tutelati, hanno scelto la via del disimpegno o del rifugio senza alternative nell’onda grillina.

 

Certo, si dovrà ricostruire un’alleanza degna di questo nome che possa in tempi ragionevolmente brevi condurci alla costruzione del nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans-nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori, alternativo al socialismo trasformista renziano e ai populismi estremi.

 

Non mancano elementi di novità interessanti come quello di Giovanni Toti, presidente di Regione Liguria, esponente autorevole di Forza Italia e del dopo Berlusconi, cui porre attenzione e con il quale avviare da subito un positivo confronto. Anche con gli amici del Family day vanno consolidati i rapporti già proficuamente sperimentati nelle occasioni delle manifestazioni in difesa dei comuni valori identitari.

 

Pure  sul fronte più ampio che si sta costruendo, come quello degli amici della costituente di sovranità popolare, dovremo impegnarci non solo a dialogare, ma  concorrere alla costruzione della Confederazione per la difesa della sovranità popolare, nella quale apportare in maniera forte e chiara la nostra migliore cultura e tradizione politica.

 

Intanto, però, il primo e prossimo impegno cui dovremo dedicare tutte le nostre energie sarà quello della battaglia per la vittoria del NO al referendum, per la quale ho già sollecitato gli amici del Comitato dei popolari per il NO a concorrere alla formazione di una Federazione di tutti i comitati nazionali del NO.

 

Tre tappe essenziali: un grande convegno nazionale  unitario del NO a Roma e altri due convegni territoriali al Nord e al Sud dell’Italia e, infine, far partire in tutti i comuni italiani dei comitati civico popolari per il NO e per la difesa della sovranità popolare.

 

Ettore Bonalberti (contributo al dibattito nella direzione nazionale dei Popolari per l'Italia del 25 Giugno 2016)

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 23 Giugno 2016

 

 

 

 

 

”RIFORMA COSTITUZIONALE PERICOLOSISSIMA”. MADDALENA, ”VOGLIONO ELIMINARE I POPOLI”

 Maurizio Blondet  18 giugno 2016  

 

Una interessante intervista al Vice Presidente della Corte Costituzionale che svela il retroscena del referendum di riforma costituzionale proposto da Matteo Renzi: si tratta di un favore fatto alla grande finanza transnazionale. Si noti che nell’intervista ad un certo punto Maddalena afferma che il neoliberismo è abbandono del cristianesimo. Assolutamente sottoscrivibile.

http://www.abruzzoweb.it/contenuti/-riforma-costituzionale-pericolosissima-maddalena-vogliono-eliminare-i-popoli-/602672-268/

 

INTERVISTA DI ABRUZZOWEB ALL’EX VICE PRESIDENTE DELLA CONSULTA
”JP MORGAN DIETRO IL PD, SE VINCERA’ IL SI’ AL REFERENDUM SARA’ LA FINE”

”RIFORMA COSTITUZIONALE PERICOLOSISSIMA”
MADDALENA, ”VOGLIONO ELIMINARE I POPOLI”

di Roberto Santilli

L’AQUILA – “Se passerà la pericolosissima riforma della Costituzione, si spalancheranno completamente le porte alle multinazionali, alle banche e alla finanza speculativa. Un passo decisivo verso la miseria di tutti noi, non ci saranno più freni per chi vuole imporci definitivamente il modello, folle e criminale, neoliberista”.

È particolarmente arrabbiato Paolo Maddalena, classe 1936, vice presidente emerito della Corte Costituzionale, “per ciò che sta accadendo al nostro Paese, ormai preda di governi che con la democrazia non hanno nulla a che vedere”, in vista del referendum di ottobre per cui gli italiani saranno chiamati a votare per approvare o respingere la riforma Renzi-Boschi della Costituzione.

Una riforma che, è sicuro Maddalena, “farà in modo che il Senato non conterà più niente e permetterà a un governo, grazie alla legge elettorale anche in caso di ballottaggio, di fare ciò che vuole con il 25 per cento. A quel punto, ci sarà spazio solo per un governo autoritario che renderà conto non al popolo, ma a giganti come JP Morgan”.

Ed è proprio il colosso bancario che avrebbe messo a punto la riforma per il Partito democratico di Matteo Renzi, con l’obiettivo di sbarazzarsi delle Costituzioni nate dopo la caduta del nazifascismo.

“È il popolo che si vuole togliere di mezzo – taglia corto Maddalena – in una versione moderna degli ebrei sotto Babilonia. Avrei fatto volentieri a meno di schierarmi, avrei continuato ad occuparmi degli studi di Diritto romano, ma non è più possibile tacere di fronte a un fatto di una gravità storica”.

“Ed è il caso che il popolo si svegli – ammonisce il giurista – l’indifferenza è il pericolo maggiore in questi casi. Il fatto che le popolazioni siano abituate a guardare al potere come qualcosa di dannoso sempre e comunque, non giustifica l’immobilismo di fronte ad una poderosa accelerazione dei processi antidemocratici.

Siamo in un guano di disoccupazione, di disperazione sociale che peggiora ogni giorno di più, possibile che non basti questo per reagire?”.

“La dottrina neoliberista è una follia – prosegue Maddalena – e i suoi esecutori ‘sul campo’ sono molto pericolosi. Questa è la strada verso lo schianto, l’abbandono del cristianesimo, saremo tutti schiavi, tutti vittime delle privatizzazioni, con il bene comune svenduto a quattro soldi senza risolvere niente. Ci ritroveremo senza territorio pubblico, come sta avvenendo in Grecia”.

L’ex vice presidente della Corte Costituzionale ne ha anche per l’ex premier, Mario Monti, “perché è ‘grazie’ a lui che siamo obbligati al pareggio di bilancio, inserito in Costituzione, che di fatto elimina la politica economica dello Stato e degli altri enti pubblici. E quando saremo senza pubblico, sarà la fine. Moriranno gli Stati, stanno morendo gli Stati sotto i colpi feroci della globalizzazione, che viene propagandata per ciò che non è, cioè l’unità del mondo”.

Eppure sono molti i tecnici, gli esperti, anche tra i suoi colleghi, che si schierano apertamente a favore della riforma che Maddalena contesta.

“Sono ciechi, si bendano gli occhi e non vanno oltre la questione giuridica – il giudizio a tal proposito – evitando i capitoli economici e finanziari. La domanda, in questi casi, è semplicissima eppure fondamentale: cui prodest? A chi giova questa riforma? Non al popolo, ma ai nostri nemici che sono multinazionali, grandi banche e finanza speculativa”.

Lo sguardo, poi, dall’Europa “della brava casalinga sveva, Angela Merkel”, in tono sarcastico, va agli Usa e poi di nuovo all’Europa.

“Anche i cittadini statunitensi sono vittime di questi ‘schemi’, basti pensare al presidente, Barack Obama, che rappresenta le lobby ed è venuto da questa parte di mondo per propagandare l’osceno trattato sul commercio Ttip, che si sostituisce alle Costituzioni e manda in rovina la salute delle persone e l’ambiente, con gli Stati che verranno trascinati in tribunali parziali per essere puniti severamente qualora dovessero ribellarsi“.

“Io vorrei che si tornasse all’economia di Keynes, per eliminare quella dei folli della Scuola Austriaca e di Milton Friedman che ormai sono ovunque. Vorrei che si mettesse in piedi un’Europa vera, non il delirio che ormai viviamo da troppo tempo“.

“Il quadro – conclude Maddalena – è drammatico, ma si può reagire, lo spirito critico cresce, ci sono fior di economisti, di giuristi, che ogni giorno lavorano per il bene. Eliminiamo, insieme, il neoliberismo dalle nostre vite.

I danni che produce sono sotto gli occhi di tutti. Del resto, anche una ricostruzione post-sisma come quella dell’Aquila rispecchia questa folle dottrina, cioè pochi che hanno tutto e comandano a bacchetta i tanti. Siamo di fronte a un momento cruciale. Non sbagliamo”.
17 giugno 2016

da www.abruzzoweb.it


Sul voto milanese

 

Scriveva Salvatore Tramontano a poche ore dal voto milanese:Beppe Sala, vale la pena ricordarlo, è lo stesso signore che per i lavori della sua casa a Zoagli ha scelto l'architetto meno opportuno, cioè lo stesso a cui aveva affidato - da commissario di Expo, e senza gara di appalto - i lavori per i padiglioni. Beppe Sala è quello che non ha inserito nella dichiarazione giurata come manager pubblico una casa a Sankt Moritz. Ed è sempre lo stesso Beppe Sala che ha perso la memoria su una partecipazione da un milione di euro in una società in Romania o nella Kenergy, azienda che si occupa di fotovoltaico in Puglia. Davvero il Pd ha il coraggio di parlare di trasparenza? Con che faccia? La stessa, a quanto pare, che si è vista a San Pietroburgo. Una faccia tosta.”

Questo è, tuttavia, il Sindaco che, metà degli elettori –votanti milanesi, hanno scelto a governare Milano. Con il 25 % dei voti degli elettori, considerato il 50% di coloro che  hanno disertato le urne, Giuseppe Sala è chiamato a guidare la città economicamente più importante d’Italia. Speriamo che non venga gestita con la stessa “ diligenza del buon padre di famiglia” con cui l’ex commissario ha guidato EXPO 2015: dal 2008 ad oggi lo Stato nei suoi vari ambiti (governo, comune di Milano, provincia di Milano, città metropolitana di Milano, Regione Lombardia, Camera di commercio di Milano) ha iniettato in Expo 2015 la bellezza di 1.258.757.215 euro, quasi in miliardo e trecento milioni di euro, a conclusione del suo incarico  l’ex commissario lascia un conto da pagare di 1,1 miliardi.

Ancora una volta il blocco sociale e politico culturale che da molti, troppi anni, domina a Milano, è riuscito ancora una volta a prevalere. Parisi fermo al 48,30% non è riuscito a rappresentare quell’alternativa di cui la città aveva bisogno. La maggior parte del terzo stato produttivo e dei diversamente tutelati ha preferito disertare il voto, cui si è aggiunta anche la scelta improvvida di Nicolò Mardegan, con il suo appello al voto nullo o alla scheda bianca, espressione più di un sentimento di frustrazione che di meditata realistica scelta politica.

Va aggiunto che la coalizione riunita attorno a Parisi non era sicuramente coerente da un punto di vista politico culturale, dato  che riuniva esponenti di partiti di alternativa al governo (Forza Italia e Lega) con quelli di alcuni ondivaghi parlamentari del NCD e Area Popolare reggicoda del governo renziano.  Una miscela indigesta per molti elettori del centro-destra meneghino che hanno preferito il non voto al sostegno a un ircocervo di ambigua espressione politica.

Gli è che, alla fine, per sedicimila voti in più a favore di Sala, sarà l’abortista Bonino a diventare assessore, mentre la nostra Paola Bonzi, la più qualificata esponente del diritto alla vita, avrà vissuto un’interessante parentesi della sua assai più proficua e benemerita azione sul piano sociale e assistenziale.

Ora entriamo nella nuova fase verso il referendum di Ottobre sulla riforma costituzionale e contro la legge super truffa dell’Italicum: un combinato disposto esplosivo che potrebbe consegnare, con il premio di maggioranza alla più forte delle minoranza,  “ tutto il potere nelle mani di un solo uomo al comando”.

E sarà questo il terreno nel quale si misurerà il grado di tenuta delle coalizioni a confronto sulla scena milanese. Noi Popolari “ Liberi e Forti” saremo INSIEME a tutti i democratici che intendono battersi per il NO e per la difesa della sovranità popolare.

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Milano, 20 Giugno 2016

 

 


Il voto dei Popolari “ Liberi e Forti” a Parisi

 

Alla vigilia del voto di ballottaggio nella città di Milano e a seguito degli ultimi avvenimenti, la nostra associazione, che sin dall’inizio ha contributo alla formazione della lista NOIxMILANO con Nicolò Mardegan Sindaco, dopo aver sollecitato con esiti non positivi un incontro tra Stefano Parisi e Mardegan,  preso atto che per quel mancato incontro sono prevalsi i condizionamenti e le pregiudiziali di alcuni ondivaghi personaggi parlamentari, sostenitori del governo Renzi a Roma e inseriti nelle liste di Parisi a Milano, evidenzia quanto segue:

 

1)   non possiamo che stigmatizzare i condizionamenti pesanti che Parisi ha dovuto subire ad opera di persone che da tempo sono espressione di contraddittorie scelte opportunistiche ai diversi livelli istituzionali. Condizionamenti che non hanno permesso a Parisi di valorizzare pienamente il grande sforzo politico culturale di rinnovamento compiuto da Nicolò Mardegan con la sua lista NOIxMILANO, che ha ottenuto un significativo riconoscimento di consensi tra i ceti popolari milanesi;

2)   riconfermiamo la nostra piena solidarietà, stima e fiducia all’amico Mardegan e il ringraziamento per quanto ha saputo fare in una campagna elettorale nella quale ha profuso energie e un impegno totale grazie al quale si è potuto costruire un movimento politico che è destinato a concorrere positivamente nella costruzione del nuovo soggetto politico alternativo al trasformismo socialista renziano a livello locale, regionale e nazionale.

3)   Siamo, in ogni caso, impegnati a batterci in alternativa al governo della città da parte della sinistra; un governo guidato da Pisapia prima e ora che si intende  affidare alla candidatura di un signore, già responsabile della gestione di EXPO 2015 che, a fronte di quasi in miliardo e trecento milioni di euro ricevuti dalle diverse istituzioni, lascia in eredità un passivo di bilancio di oltre un miliardo di euro. No a questo “voltagabbana” della politica, prima al servizio di Letizia Moratti e adesso vessilifero della sinistra estrema, nonché smemorato su alcuni casi inerenti alle cure dei propri affari personali, non intendiamo offrire alcun aiuto, come sarebbe quello  velleitario della non partecipazione al voto di domenica prossima.

4)   Nel programma da noi sostenuto con Mardegan le priorità erano: sicurezza- voce alle periferie e vigili in tutti gli 88 quartieri- sostegno alle Famiglie con l'adesione al Progetto da parte del Popolo della Famiglia e infine, ma come priorità: tutela della vita e sostegno alle donne in gravidanza e al CV Mangiagalli con la sua Presidente  Paola Bonzi, capolista di NoixMilano.

5)   La scelta da parte di Parisi di dare garanzie a queste priorità e di contrapporre una scelta per la Vita con Paola Bonzi al contrario di Sala che sceglie la Bonino, famosa per le sue  iniziative a favore dell'aborto, praticandolo direttamente, ci spinge a fare l'indicazione ai nostri Amici Popolari Liberi e Forti di votare convintamente Stefano Parisi.

6)   Le nostre indicazioni sono una scelta legittima per l'autonomia della nostra Associazione che ci vedrà insieme a Mardegan, a partire dal 20 Giugno, protagonisti su scala nazionale per il sostegno al NO al Referendum Costituzionale contro la legge Renzi&Boschi&Verdini, e ci auguriamo che Parisi sosterrà questa iniziativa con il suo alleato e amico Corrado Passera, e non con i suoi alleati Lupi e Alfano che stanno al Governo con Renzi

ALEF (Associazione Liberi e Forti)

Ettore Bonalberti Presidente 

Antonino Giannone Vice Presidente

Milano, 16 Giugno 2016



POPOLO! NON AVERE PAURA DEL NO

Cari amici,
in previsione del referendum di Ottobre ho organizzato alcune mie note politiche in un saggio sul triennio renziano (2014-2016) di cui allego la copertina. “ POPOLO! NON AVER PAURA DEL NO”- Cosa cambia con il Referendum, espone i perché del NO dei " Liberi e Forti" al Referendum costituzionale del prossimo Ottobre, ossia le motivazioni strutturali, culturali e socio politiche dell'opposizione al combinato disposto della riforma costituzionale e della legge super truffa dell’Italicum. E’ stata inserita una prefazione dell’amico sen Ivo Tarolli che ringrazio per la sua collaborazione. Per acquisti del libro cartaceo ( pg.160- costo 10 €) é sufficiente andare su l’indirizzo riportato sotto e ordinare, arriva in tre giorni:)
http://ilmiolibro.kataweb.it/…/popolo-non-avere-paura-del-…/
A tutti coloro che fossero interessati a inviare un contributo volontario a sostegno delle attività politico culturali di ALEF ( Associazione Liberi e Forti) il saggio verrà inviato gratuitamente on line, in formato pdf.
Il contributo andrebbe versato sul conto di ALEF il cui IBAN è il seguente:

IT82 D084 0736 1800 4400 0090 796
Avanti tutta da “ Liberi e Forti” per la difesa della sovranità popolare.
Un caro saluto.

Ettore Bonalberti
Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)
socio co fondatore PATTO DI ORVIETO componente del comitato di presidenza nazionale dei Popolari per l'Italia
Promotore del think tank:VENETO PENSA
Via miranese 1/A
30171-Mestre-Venezia
tel. 335 5889798
ettore@bonalberti.com
info@bonalberti.com
www.insiemeweb.net
www.don-chisciotte.net
www.alefpopolaritaliani.eu

Ettore. I perché del NO dei " Liberi e Forti" al Referendum costituzionale. Le motivazioni strutturali, culturali e socio politiche dell'opposizione al ...
ilmiolibro.kataweb.it
Venezia, 15 Giugno 2016


Cittadini e non sudditi

 

Un amico economista veneziano, il prof.  Francesco Pontelli, commentando l’andamento dello spread Btp-bund volato sopra i 150 punti base ( vedi il twitt di Focus economia @FocusEconomia delle ore 11,30 del 14 Giugno 2016) mi ha scritto quanto segue:

 

Oggi... ma domani ?

 

È la brexit oggi ad allarmare i mercati che investono in bund tedeschi anche se il rendimento è negativo .

Questo determina l'aumento dello spread anche con un Draghi che continua ad acquistare i nostri titoli del debito pubblico italiano attenuando la spinta in alto dello spread e di fatto togliendo il nostro paese alla valutazione dei mercati .

 

Lascio immaginare cosa succederà quando non ci sarà più il paracadute della Bce .

 

L'Italia si ritroverà nelle medesime condizioni  del novembre 2011 con lo spread a 580 punti base per la mancanza di credibilità, di una politica di sviluppo economico credibile ( chi ricorda le assicurazioni del ministro del MIse che affermava che avrebbe portato la quota export dall'attuale 28.7% ad  oltre il 50% sul Pil? " corriere della sera 2015 ) .

 

 Ma con una piccola variante.  Rispetto al novembre 2011 il debito pubblico è esploso di oltre 234 miliardi arrivando a quota 2227,8 .

 

Parallelamente si sono abbattute sulle spalle dei cittadini manovre finanziarie per oltre 200 miliardi di euro con aumenti strutturali del prelievo fiscale ed imposizione di accise .

 

In questo contesto il sistema bancario considerato da Renzi solo sei mesi fa assolutamente solido sta naufragando sotto il peso in parte degli Npl ma soprattutto dei derivati ormai diventati carta straccia.

 

E questa secondo qualcuno viene definita ripresa economica. 

 

Mi sembrano osservazioni quanto mai puntuali e rigorose, ma, nei media italiani  questi dati vengono colpevolmente ignorati.

 

Sembra che la politica del “giovin signore” per il controllo generalizzato della comunicazione stia dando i suoi frutti, ma i dati della realtà sono più forti della propaganda e i cittadini non sono ancora disponibili al ruolo di sudditi.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 15 Giugno 2016

 

 

 

Ciao Tito

Ci eravamo telefonati Venerdì scorso, alla vigilia dell’inizio delle terapie e l’avevo sentito sereno, consapevole della sua condizione, ma pronto ad affrontare il calvario della chemio.

Il male l’ha sopraffatto e nella giornata di ieri Tito Salatto ci ha lasciati.

 

Perdo un grande amico con cui negli ultimi anni avevamo condotto molte battaglie politiche da democristiani non pentiti, entrambi convinti della necessità di battersi per la ricomposizione dell’area popolare e democratico cristiana da far convergere con la propria cultura e i propri valori, in un nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, transnazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel Partito Popolare europeo, alternativo al socialismo trasformista renziano e ai populismi estremi.

 

Ci eravamo lasciati al telefono con l’impegno reciproco di condurre insieme l’ultima battaglia per la difesa della sovranità popolare, favorendo l’unità di tutte le componenti democratiche per il NO al referendum di ottobre e contro la legge super truffa dell’Italicum.

 

L’appuntamento che ci eravamo dati era per la settimana successiva al voto dei ballottaggi di domenica 19 Giugno, nei quali la nostra attesa fiduciosa , a Roma come a Milano e nelle altre città italiane, era per la vittoria dell’alternativa alle giunte fallimentari della sinistra. Scompare con Tito Salatto una figura esemplare di democratico cristiano della migliore tradizione romana, impegnato nelle organizzazioni sociali e sindacali della CISL e delle ACLI, fortemente inserito nella realtà della città e in grado di raccogliere una vasto consenso elettorale per la sua capacità di interpretare le attese della povera gente. L’aveva fatto da assessore regionale del Lazio e da deputato europeo, inserito in ruoli dirigenziali del Partito Popolare Europeo al quale rimase legato sino alla fine. Al recente congresso dei Popolari per l’Italia aveva sollecitato la mia elezione al consiglio nazionale e al comitato di Presidenza del partito guidato da Mario Mauro e, alle sue insistenze, avevo risposto con il mio: obbedisco!

 

Con le candidature a Sindaco di Roma, qualcosa di profondo si era rotto nel rapporto con Mario Mauro, e, invano, avevo tentato di ricomporre la frattura, che mi proponevo potesse accadere subito dopo il voto del ballottaggio, proprio partendo dall’unità sempre confermata da tutti i Popolari per l’Italia per il NO al referendum di Ottobre.

 

Questa avrebbe dovuto essere la nostra ultima battaglia di testimonianza e fedeltà ai valori per i quali ci eravamo battuti nella vita politica italiana per tutta la nostra vita. Caro Tito mi sei mancato in un momento delicato anche per me e sento che con la tua scomparsa ci manca un pilastro fondamentale per tutti noi “ DC non pentiti”.

 

Ora confortaci da lassù con il tuo entusiasmo dirompente e la tua saggezza, mentre noi, che percorriamo l’ultimo miglio della nostra vicenda umana, ci impegneremo in questa ultima battaglia per la difesa della sovranità popolare.

 

Ettore Bonalberti

www.alefopopolaritaliani.it

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 14 Giugno 2016

 

 

 

 

Alla scelta di Flavio Tosi di votare SI al referendum di Ottobre, ho risposto al sindaco di Verona

con questa nota che  allego:

 

Caro Flavio su questa tua  scelta le nostre strade divergono. "Se tu fiderai del giovin signore sempre aurai delusione”……se intendi aggiungerti ai transumanti del trasformismo parlamentare accomodati pure;  noi siamo per l’alternativa a Renzi senza se e senza ma. Trattasi di un governo illegittimo sostenuto da una maggioranza farlocca amplificata dal voto di mercenari senza dignità che intende consegnare con la legge super truffa dell’Italicum tutto il potere a “ un uomo solo al comando”.

Anche nel Veneto, tenuto conto di questa tua scelta,  i popolari “ Liberi e Forti” non potranno che  trarne le inevitabili conseguenze.

Cordiali saluti

 

 

Ettore Bonalberti

Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)

socio co fondatore PATTO DI ORVIETO componente del comitato di presidenza nazionale dei Popolari per l'Italia

Promotore del think tank:VENETO PENSA

Via miranese 1/A

30171-Mestre-Venezia

tel. 335 5889798

ettore@bonalberti.com

info@bonalberti.com

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

www.alefpopolaritaliani.eu


 

 

Inizio messaggio inoltrato:

Da: "FARE! con Tosi" <segreteria@farecontosi.it>

Oggetto: FLAVIO TOSI SUL REFERENDUM COSTITUZIONALE.

Data: 09 giugno 2016 18:33:28 CEST

A: <ettore@bonalberti.com>

 

FARE! con Tosi newsletter | se non vedi correttamente questa mail clicca qui



9 giugno 2016

 

REFERENDUM COSTITUZIONALE. TOSI: USCIAMO DALLA LOGICA DEL 'CON RENZI O CONTRO RENZI'. SERVONO GOVERNABILITÀ E GRANDI RIFORME.

 


 

 


 

All'Italia servono grandi riforme, e per fare le grandi riforme serve la governabilità. Non si tratta di essere con Renzi o contro, ma di volere o meno che il Paese diventi più stabile e che esca dal pantano. Questa riforma fa sì che finalmente qualcuno vinca le elezioni e che il Premier sia espresso dagli Italiani. Non vorremmo che si ripetesse l'errore del 2006 quando venne bocciata la Devolution per mera contrapposizione politica. Quello fu trasformato in un referendum pro o contro Berlusconi e il centrodestra: non commettiamo lo stesso errore. Noi ci siamo impegnati per rendere questa riforma un po' meno centralista e più federalista, non sarà certamente la miglior riforma possibile, ma in ottobre l'alternativa sarà provare a modernizzare lo Stato o mantenere lo stallo attuale, che è la peggior cosa. Guardiamo ai contenuti: noi siamo per il sì per dire addio al bicameralismo perfetto e al rimpallo infinito di leggi tra la Camera e il Senato; siamo per cancellare poltrone e stipendi attraverso il 'taglio' del Senato; è poi vitale il controllo delle Regioni inefficienti e sprecone per evitare i soliti drammatici sperperi di denaro pubblico.

Flavio Tosi

 

Parisi si apra al confronto con Mardegan

+

Al prossimo ballottaggio di Milano, Stefano Parisi non si chiuda nella sua composita e contraddittoria coalizione. Ha messo insieme partiti di opposizione al governo ( Forza Italia, Lega, FdI, Italia Unica) con quel saltimbanco transumante di Lupi e degli amici di Alfano.

 

Chiudersi in se stessi e non riconoscere la realtà del movimento riunitosi attorno alla lista NOIxMILANO di Nicolò Mardegan sarebbe un grave errore per l’aspirante sindaco di Milano.

Noi Popolari di ALEF ( Associazione Liberi e Forti) abbiamo sostenuto convintamente Mardegan e i suoi giovani, insieme agli esponenti milanesi del Popolo della Famiglia per il  programma ispirato ai valori della dottrina sociale cristiana e per la netta scelta di campo a favore del NO al referendum e in alternativa al trasformismo renziano.

 

Cedere alle ritorsioni degli amici della “Compagnia delle Opere di Misercordia Corporali”, divisi  tra Giuseppe Sala ( Massimo Ferlini) e Stefano Parisi ( Maurizio Lupi), da parte di quest’ultimo sarebbe un grave errore politico.

 

Parisi e Mardegan si incontrino presto e trovino le necessarie convergenze non solo per il bene della città, ma  per rilanciare da Milano le basi per dare vita al nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, transnazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, alternativo al socialismo trasformista renziano e ai populismi estremi. Premessa essenziale l’unità senza se e senza ma al NO al referendum sulla pasticciata riforma/deforma costituzionale e alla legge super truffa dell’Italicum.

 

Ettore Bonalberti

Presidente di ALEF

www.alefpopolaritaliani.it

Venezia, 9 Giugno 2016



Basta con le ambiguità e le divisioni suicide

 

I risultati del voto nelle città capoluogo nelle quali, tranne a Cagliari, nessun candidato raggiunge il 51% dei voti espressi, è la dimostrazione della crisi di rappresentanza dei partiti che costituiscono la platea di questa triste fase del trasformismo politico, di cui il Golem renziano è l’espressione più evidente.

 

Chi ne esce vincitore è il M5S che raccoglie il voto degli scontenti e di quanti si oppongono all’andazzo che ammorba la vita politica italiana.

 

Azzerati o quasi del tutto ininfluenti, gli esangui eredi di ciò che furono i democratico cristiani e i residui popolari incapaci di riorganizzarsi unitariamente, solo l’immarcescibile Mastella a Benevento sventola ancora la bandiera scudo-crociata dovendola vedersela al ballottaggio con l’antagonista del PD.

 

Spiace che ciò che le parti divise dello stesso popolo del family day, là dove si sono impegnate, come a Milano a sostegno del giovane Mardegan con la sua lista NOIxMILANO o a Bologna, con il candidato Mirko De Carli, non abbiano dimostrato sul piano elettorale  la stessa capacità di mobilitazione garantita nella difesa dei valori non negoziabili.  

 

Difficile il passaggio dalla condizione di statu nascenti e di movimento a quella di partito, anche se i semi gettati a Milano come a Bologna, non tarderanno a dare i loro frutti, se, tutti insieme i cattolici, ex DC e popolari, sapremo definitivamente abbandonare anacronistiche velleità e suicide propensioni, per assumere quelle responsabilità dirette sul piano dell’impegno politico cui ci ha sollecitati, anche nei giorni scorsi, Papa Francesco.

 

Avevamo previsto che questo turno elettorale, in assenza di un fatto politico e organizzativo veramente nuovo, sarebbe stato foriero di ulteriori divisioni e inutili dispersioni di energie; così come siamo convinti che si dovrà ripartire dalle conclusioni raggiunte nel Luglio 2015 a Rovereto e nel Novembre dello stesso anno, con il patto di Orvieto, se si intende concorrere alla costruzione del nuovo soggetto politico in grado di offrire al centro della politica italiana una nuova speranza.

 

Esistono alcuni dati incontrovertibili dai quali ripartire. Il primo è la costatazione che l’alternativa al trasformismo del  Golem renziano, in presenza ancora di un assenteismo che anche a livello locale, in molti casi sfiora il 40% dell’elettorato, non è più rappresentato dal vecchio centro-destra, che tiene solo a Milano,  forte di una strana congiunzione di componenti di opposizione (Forza Italia, Lega, FdI, Italia Unica )  e di governo (NCD).

 

L’ambiguità suicida di ciò che rimane del vecchio gruppo del NCD ormai liquefatto a livello elettorale, unita all’incapacità del Cavaliere di ricomporre, come nel caso del harakiri romano, l’unità del centro-destra, rende indispensabile ripartire dall’unico dato unificante che, anche come Popolari, abbiamo raggiunto nei mesi scorsi. Si tratta di consolidare la nostra unità nella madre di tutte le battaglie; ossia la scelta compiuta con l’avvenuta formazione il 1 Marzo di quest’anno del Comitato dei Popolari per il NO al prossimo referendum di Ottobre.

 

Dobbiamo ripartire dalla difesa della sovranità popolare, dal pronunciarci a difesa della Costituzione e contro il tentativo di consegnare il governo, con la legge super truffa dell’Italicum, nelle mani di “ un uomo solo al comando”, scopo esplicito dei poteri finanziari che dettano all’economia e alla politica gli obiettivi generali a livello mondiale, per ritrovare le ragioni del nostro impegno di cattolici nella “città dell’uomo”.

 

Nostro dovere sarà quello di concorrere insieme agli altri uomini di buona volontà alla ricerca del bene comune, attraverso il duro e faticoso esercizio della politica, “ la più alta forma di carità”, come Papa Francesco, riportando le parole di Papa Paolo VI, ci ha ricordato solo qualche giorno fa.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 6 Giugno 2016

Con una sola mossa tutto il piatto

 

Credo sia questo il vecchio istinto egemonico che alligna in molti degli ex comunisti che, sino ad oggi, silenti o acquiescenti, stanno assecondando il disegno del giovin signore fiorentino: con una sola mossa prendere tutto il piatto.

 

In fondo questa sarebbe la conclusione se, alla fine, al referendum di Ottobre prevalessero i SI: tutto il potere nelle mani di un uomo solo al comando grazie al combinato disposto di una sgangherata riforma di quella che per decenni fu declamata come la “ costituzione più bella del mondo” con la legge super truffa dell’Italicum.

 

Non bastava che fosse un parlamento di nominati eletti con una legge elettorale, il porcellum illegittimo, a procedere al sovvertimento di oltre quaranta articoli della nostra Grundnormen, serviva poi una legge super truffa, l’Italicum, peggiore della Legge Acerbo che permise a Mussolini la legittimazione parlamentare del suo potere, per adempiere sino in fondo alla volontà dei poteri finanziari dominanti a livello internazionale.

 

Sono quegli stessi poteri responsabili della crisi finanziaria mondiale che si trascina dal 2007-2008, autori del più grande debito pubblico della storia, pari a oltre 10 volte il PIL mondiale; un debito che ha finito con il travolgere con edge funds e derivati vari, quasi tutto il sistema bancario internazionale e che, adesso, si vuol far pagare al “terzo stato produttivo” e “ ai diversamente tutelati” presenti nelle varie società.

 

Per ottenere questo risultato i detentori del potere finanziario che dominano l’economia e la politica ridotte a strumenti subordinati e serventi, servono esecutori governativi docili e disponibili alla bisogna, meglio se sostenuti da sostanziose modifiche di quelle vecchie e logore costituzioni rigide che sono divenute ostacoli fastidiosi per gli obiettivi di “ lor signori”.

 

Di qui: l’attacco perpetrato da un parlamento farlocco, che ha votato un signore mai eletto in parlamento, frutto di quell’autentico “golpe blanco” compiuto da Napolitano nel novembre 2011 e per tre successivi tentativi ( governo Monti, governo Letta, governo Renzi) e  l’approvazione da parte di una maggioranza drogata e illegittima, allargata dai transumanti mercenari di centro-destra, in una situazione confusa in cui domina il più bieco trasformismo politico.

 

Interessi dei poteri dominanti, con i loro serventi causa, come i rappresentanti della Confindustria nostrana che, pur essendone in larga parte vittime, sono pronti a ridursi anche sul piano istituzionale al ruolo di sudditi abbandonando quello sovrano di cittadini, da un lato, e antica aspirazione al potere assoluto da parte di confusi eredi del partito che fu quello di Togliatti, Longo e Berlinguer, costituiscono una miscela esplosiva contro cui i democratici italiani sono costretti a confrontarsi.

 

La “corazzata Renziomkin” è da tempo scesa in campo con le sue epurazioni televisive delle voci dissenzienti, la riduzione della RAI al ruolo della vecchia EIAR , i giornali di quasi tutte le testate ridotti alla subordinazione acquiescente, e contro di essa non rimane che la mobilitazione democratica e popolare a livello di base.

 

Per il tempo che ci  è dato di vivere abbiamo lucida consapevolezza che quella del referendum di Ottobre sarà la madre di tutte le battaglie per la difesa della democrazia e della libertà nel nostro Paese.

Non compiremo l’errore di svolgerla in colpevole e suicida solitudine, ma insieme a tutti i democratici autentici, disponibili a salvaguardare con la sovranità popolare la libertà e la democrazia in Italia, contro il tentativo di subordinarla agli interessi finanziari dominanti sotto la guida di “ un uomo solo al comando”.

 

In tutte le regioni, le province e i comuni dell’Italia stanno sorgendo i comitati civico popolari per la difesa della sovranità popolare, ai quali anche noi cattolici, democratico cristiani e popolari di tutte le parrocchie intendiamo concorrere con la determinazione e i valori dei “ Liberi e Forti”.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 30 Maggio 2016

 

 


Chiarezza sulle nostre scelte

 

Un amico che punta a costruire “un partito cattolico”, su facebook mi attribuisce l’idea di voler ricostruire la DC.  Trattasi di una lettura superficiale di ciò che da anni, con altri amici, sto perseguendo come progetto politico.

 

In alcuni saggi scritti negli scorsi anni ( “ L’Italia divisa e il centro che verrà”, “ Dalla fine della DC alla svolta bipolare”, “ ALEF: Un futuro da liberi e forti”) avevo sintetizzato così le  ragioni della fine politica anche se non giuridica della DC:

 

la DC è finita per aver raggiunto il suo scopo sociale: la fine dei totalitarismi di destra e di sinistra contro cui si era battuto il movimento dei cattolici in un secolo di storia;

 

la DC è finita per il venir meno di molte delle ragioni ideali che ne avevano determinato l’origine, sopraffatta dai particolarismi egoistici di alcuni che, con i loro deteriori comportamenti, hanno coinvolto nel baratro un’intera esperienza politica;

 

la DC è finita per il combinato disposto mediatico giudiziario che l’ha travolta insieme agli altri partiti democratici e di governo della Prima Repubblica;

 

la DC è finita quando sciaguratamente scelse la strada del maggioritario, per l’iniziativa improvvida di Mariotto Segni, auspice De Mita in odio a Craxi e Forlani, abbandonando il tradizionale sistema proporzionale che le garantiva il ruolo centrale dello schieramento politico italiano.

 

E, soprattutto, ed è la cosa più grave e incomprensibile, la DC è finita senza combattere. Con una parte, quella anticomunista, messa alla gogna giudiziaria, e quella di sinistra demitiana succube e imbelle alla mercé dei ricatti della sinistra giustizialista.

 

E concludevo affermando che “la DC è finita e nessuno sarà più in grado di rifondarla”, consapevole che la nostalgia, nobile sentimento romantico, ma regressivo sul piano politico, culturale ed esistenziale, può rappresentare un fattore servente, forse necessario, ma, certo,  non sufficiente per ricostruire alcunché.

 

Una sentenza a sezioni civile riunite della Cassazione ( sentenza n. 25999 del 23 dicembre 2010) ha sancito, tuttavia, che la DC non è mai morta, il de cuius non esiste perché non è defunto e non c’è alcun erede universale o particolare del partito dello scudocrociato. Esso andava chiuso solo dai legittimi detentori di quel potere in un’associazione di fatto: gli iscritti secondo le regole del proprio statuto e quelle inerenti alle associazioni di fatto senza personalità giuridica.

 

Ecco perchè abbiamo scelto di riaprire un nuovo capitolo nella storia dei cattolici nella politica italiana, non per ambizione personale, poiché, come diceva Voltaire, siamo ben consapevoli che alla nostra età “ non possiamo che offrire dei buoni consigli, dato che non siamo nemmeno più in grado di dare dei cattivi esempi”, quanto per consegnare alle nuove generazioni il testimone di una storia politica che ha segnato una fase importante della nostra amata Repubblica.

 

Vorrei anche assicurare qualche critico osservatore sempre pronto a tranciare giudizi su tutto e su tutti che, accanto alle ragioni suddette, sappiamo anche. come alla fine della DC concorsero e per gravi nostre colpe e inadempienze:

 

·      la mancanza di una vera trasmissione della fede e dei valori nel costruire la città dell'uomo ( scarsa applicazione laica della Dottrina sociale della Chiesa);

·      la mancanza di sostegno forte alla famiglia specie a quelle con più figli;

·      la mancanza di riconoscimento sociale alle casalinghe;

·      la mancanza di formazione dei giovani nella fede religiosa, nella passione e fede politica;

·      la quiescenza nei confronti della criminalità' organizzata;

·      la tiepida lotta alla corruzione dei politici e dei burocrati, nella quale concorsero, ahimè, anche molti amici del nostro partito;

·      la tiepida lotta all'evasione fiscale;

·      la scarsa cultura per la responsabilità, per la meritocrazia e le difficoltà nel ricambio del ceto politico;

·      l’ eccesso di sprechi per creazione di enti inutili;

·      il cumulo esagerato nel cumulo di incarichi  pubblichi ;

·      la poca attenzione a sostenere programmi per la ricerca e l'innovazione, ma solo finanziamenti a pioggia per progetti  talora fasulli e opere mai completate;

·      i pochi o nessun investimento su risorse della PA da mandare all'UE;

·      lo scarso utilizzo dei fondi europei senza follow up sui finanziamenti ottenuti dai progetti italiani;

·      gli enormi investimenti senza controllo nella Cassa del Mezzogiorno;

·      l’ eccesso di appiattimento nell’ accettare e condividere le richieste dei comunisti con gravi oneri per le finanze pubbliche.

 

Insomma abbiamo consapevolezza delle nostre colpe, dei nostri errori e  dei nostri limiti e, non a caso, dopo quell’esperienza è  arrivata la diaspora e la frantumazione dei democratici cristiani nelle piccole formazioni a diverso titolo ispirate alla Democrazia Cristiana.

 

Questo scrivevo nel 2012, quando con Gianni Fontana e Silvio Lega ci proponemmo di dare pratica esecuzione alla sentenza della Cassazione.  Quel processo complesso e che trovò ostacoli giuridici che sembravano insormontabili è ora riaperto, grazie alla positiva testardaggine di alcuni amici, il prof Nino Luciani di Bologna in testa, i quali proprio nei giorni scorsi, in base alle norme del codice civile, hanno depositato al tribunale di Roma, la formale richiesta di convocazione dei soci DC che nel 2012 rinnovarono la loro adesione al partito. Attendiamo fiduciosi l’esito che da Roma il tribunale vorrà fornirci.

 

Altra storia è la strada altrettanto lunga e complessa che, dalla fine ingloriosa del XIX Congresso del partito (Novembre 2012), abbiamo intrapreso, con la volontà di concorrere alla costruzione del nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito e pieno titolo nel PPE che vorremmo far ritornare ai valori originari dei padri fondatori, alternativo al socialismo trasformista renziano e ai populismi estremi. Tentativo che ha avuto come tappe essenziali il convegno di Rovereto (Luglio 2015) e il Patto di Orvieto (Novembre 2015) con cui avviare la Federazione dei Popolari, primo step verso il nuovo soggetto politico più largo.

 

Tutto ciò nella convinzione che senza una forte componente di ispirazione cattolico popolare con una sua riconosciuta leadership, nessuna alternativa forte e credibile si potrà opporre allo strapotere della “corazzata Renziemkim “, specie se vincesse il SI al prossimo referendum costituzionale.

 

Continuare nelle consumate polemiche tra i cattolici su ciò che è stata la DC o sulle velleità della sua ricostruzione, fa solo il paio con l’incapacità di tutti gli indegni eredi  di quel partito che, dopo ventitré anni dalla scomparsa della “Balena Bianca”, sono stati solo capaci di sopravvivere, barcamenandosi senza bussola tra destra e sinistra finendo senza più identità nella melassa del trasformismo renziano.

 

Noi “ DC non pentiti” perseguiamo l’obiettivo politico più ampio di cui sopra, senza alcuna velleità o patetiche e anacronistiche ambizioni di tipo personale e lo facciamo schierandoci senza se e senza ma contro il combinato disposto della pasticciata riforma del trio toscano Renzi-Boschi-Verdini e la legge super truffa dell’Italicum, con i quali, eseguendo l’ordine die poteri finanziari internazionali, si punta ad abbattere la nostra Costituzione e ad instaurare il potere di “ un uomo solo al comando”.

 

Per quanto ci riguarda lotteremo sino alla fine perché questo disegno non possa e debba  passare.

 

Ettore Bonalberti

Venezia 28 Maggio 2016

www.alefopopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

 

 

Boris Johnson e Paola Savona: diversità di analisi ma stesse conclusioni

 

In un’intervista  al Sunday Telegraph di sabato 14 maggio, l’ex sindaco di Londra, Boris Johnson, sostenitore della prima ora e leader di fatto della campagna per il Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, ha affermato che Bruxelles persegue lo stesso obiettivo perseguito dal dittatore nazista, cioè la creazione di un super stato europeo, sebbene abbia precisato che” l’Ue punti a conseguire un’unità sovranazionale “usando metodi differenti rispetto a quelli di Hitler”.

 

Ha poi aggiunto, toccando l’intima sensibilità dei suoi concittadini inglesi, che gli ultimi duemila anni di storia europea sarebbero stati segnati dei tentativi di unificare l’Europa sotto un singolo governo per far rivivere “l’età dorata dell’impero romano”. “Napoleone, Hitler, varie persone ci hanno provato, ed è finita tragicamente”, ha proseguito.

 

Si sono immediatamente levate molti voci critiche, non solo all’esterno del partito conservatore, ma tra gli stessi Tories, il cui leader e capo del governo, David Cameron, come è noto, si sta impegnando a favore della permanenza inglese nell’Unione Europea.

 

Quasi contemporaneamente il prof.Paolo Savona, uno dei più importanti economisti monetaristi italiani, all’ ”invited lecture” dell’Università di Perugia, tenutasi nell’aula magna del Dipartimento di economia e scienze politiche dell’ateneo umbro, concludeva la sua lectio magistralis affermando che: “Con l’Unione europea così com’è, non democratica e germanocentrica, si sta realizzando esattamente il piano di distribuzione di competenze e compiti produttivi in Europa, con al centro l’egemonia tedesca, “tracciato dal ministro degli affari economici di Hitler, Walther Funk. Solo che l’idea di Funk era attuarlo ‘manu militari’, mentre ora viene attuato per via economica”. L’unica speranza per evitare il disastro “è dare vita a una Costituzione europea democratica. Sta prima di tutto a voi, giovani, battervi con decisione e con  argomentazioni solide, che ci sono tutte”.

 

Come si può notare: approssimativa analisi storico populistica quella di Johnson, economico finanziaria quella del prof. Savona, con le medesime conclusioni.

 

Paolo Savona prosegue nella sua analisi critica sulle modalità in cui si è sin qui sviluppata l’Unione europea, denunciando un deficit di democrazia. Un organismo complesso, governato da una tecnocrazia che assume decisioni, come nel caso della moneta unica o del fiscal compact, senza chiedere il consenso ai cittadini europei, con il bel risultato che abbiamo una moneta senza Stato e senza democrazia. Doveva essere salvaguardato un trinomio democrazia-stato-mercato e, invece, abbiamo solo il mercato, la democrazia, non c’è e lo Stato nemmeno.

E’ la stessa serrata critica che il Prof Giuseppe Guarino conduce da molto tempo sui regolamenti comunitari che stanno alla base delle regole del fiscal compact, le quali, non solo sono illegittime, quindi nulle, in quanto contrastanti con gli stessi trattati di Maastricht, Amsterdam e  Lisbona, liberamente sottoscritti dai Paesi dell’Unione, ma hanno determinato un grave vulnus alla stessa democrazia e alle sovranità nazionali dei Paesi aderenti all’area dell’euro.

Risultato finale ha detto il Prof Savona: “ Un’Europa di fatto governata dalla Germania, che ha tratto tutti i vantaggi dalle regole imposte, mentre l’Italia e molti altri Paesi ne hanno tratto molti svantaggi”.

 

Sino a quando tale situazione potrà durare? Tra poche settimane avremo il responso referendario inglese e se vincesse il SI al Brexit dovremmo prepararci a gravissime ripercussioni sul piano della tenuta dello stesso sistema istituzionale europeo, compresa la sopravvivenza dell’euro.

Il prof Savona a Perugia su tale problema ha così concluso: “o resta l’euro, ma allora si fa davvero un balzo verso l’Unione europea federale, cosicché gli squilibri che si vengono a creare possono essere affrontati con trasferimenti tra uno Stato e un altro – trasferimenti governati dallo Stato federale come avviene costantemente negli Stati Uniti – oppure l’euro non può restare con gli squilibri che ha provocato e provoca”.

 

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 16 Maggio 2016


 

 

Popolari ancora divisi alle amministrative,  ma uniti nella difesa della Costituzione

 

Abbiamo combattuto per quasi vent’anni per la ricomposizione dell’area popolare italiana tentando, prima, di ricostruire l’unità dei democratici cristiani a seguito della sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2009, che aveva dichiarato: “ la DC non é mai stata giuridicamente sciolta” e, poi, con i vari movimenti organizzati e gli incontri promossi per l’unità dei popolari.

 

Tappe significative sono state quelle dell’appello di Rovereto ( 18 Luglio 2015) e la sigla del patto di Orvieto (28 e 29 Novembre 2015), dopo le quali si sarebbe dovuta costituire la Federazione dei Popolari italiani impegnata a dar vita ad un nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno nel PPE da far tornare ai principi dei padri fondatori, alternativo al socialismo trasformista renziano e ai populismi estremi.

 

Si è preferito  da parte di alcuni la scorciatoia di un debole raggruppamento di ex combattenti e reduci, nata sulla base di aprioristiche e immotivate esclusioni, con la velleità malcelata di vecchi e consumati attori di tornare a recitare ruoli del tutto anacronistici e per certi versi patetici.

 

Abortita l’ipotesi di una solida Federazione dei Popolari, l’imminenza delle elezioni amministrative di Giugno, non poteva che determinare le scelte per lo più opportunistiche dettate dalle situazioni oggettivamente diverse nelle varie realtà locali.

 

Conseguenza inevitabile: la molteplice varietà delle alleanze a destra,  a sinistra e al centro in solitaria testimonianza, sino al caso emblematico del sen Mario Mauro che, dopo aver sostenuto l’anno prima la candidatura di sinistra di Emiliano a Bari, si ritrova, in solitaria rappresentanza, insieme all’estrema destra a Roma per Giorgia Meloni Sindaco, giungendo a realizzare, in un solo colpo,  il capolavoro della frantumazione del suo già fragile movimento-partito dei Popolari per l’Italia.

 

Unica nota positiva in questo scenario di disgregazione complessiva, l’unità ritrovata dei Popolari nella difesa della sovranità popolare, della democrazia e nei valori della Costituzione repubblicana. Un’unità definita nel comitato dei Popolari per il NO al referendum, sorto a Roma il 1 Marzo scorso, contro il combinato disposto della pasticciata riforma del trio toscano Renzi-Boschi-Verdini e della legge super truffa dell’Italicum.

 

Il comitato dei popolari per il NO affidato alla presidenza dell’On Gargani, che vede tra i soci fondatori tutti i diversi esponenti delle varie sigle e formazioni politico culturali dell’area popolare alternativa al renzismo, ha trovato la significativa adesione del prof. Massimo Gandolfini, coordinatore del comitato organizzatore del Family Day, il quale  ha ribadito il suo NO al referendum di Ottobre nei giorni scorsi e lo riconfermerà nell’annunciata grande manifestazione che il Family Day ha programmato a Roma per Sabato 28 Maggio.

 

Restano fuori, almeno a livello dei dirigenti, gli attuali esponenti del Nuovo Centro Destra di Alfano, che, con la loro scelta in appoggio alla legge Cirinnà sui diritti civili, hanno provocato una netta presa di posizione di rivolta dai e  tra i loro, peraltro ormai esigui, sostenitori.

 

Si può anche dar man forte come accoliti incoerenti alle politiche altalenanti del “giovin signore” fiorentino, dalle leggi conflittuali con “ i valori non negoziabili” dei propri elettori sino alla difesa di una Deforma della Costituzione e ad una legge elettorale in grado di consegnare tutto il potere ad “ un uomo solo al comando”, espressione di una minoranza, ma, alla fine, si rimane da soli, abbarbicati a un’effimera occupazione di scomode poltrone ministeriali.

 

Ci auguriamo che da Milano, Roma, Torino, Bologna e dalle altre città in cui si andrà a votare a Giugno,  giungano segnali di inequivocabile, netta lettura di ciò che sente il Paese, mentre ci prepariamo a costruire con tutte le forze democratiche residue, dei comitati unitari per il NO al referendum di Ottobre per la madre di tutte le battaglie, nella quale i Popolari italiani esprimeranno finalmente la loro unità, coerenti con gli insegnamenti dei padri fondatori: Sturzo, De Gasperi, Moro, Fanfani, Gonella, Rumor, Marcora, Donat Cattin, Bisaglia, Cossiga e i molti altri che hanno contribuito alla storia migliore della nostra Repubblica.

 

Matteo Renzi ha voluto trasformare il prossimo referendum in una  netta scelta di campo dei cittadini pro o contro la sua leadership: attendiamo fiduciosi il responso delle urne.

 

Ettore Bonalberti

www.alefopopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 13 Maggio 2016  


Rifondare la politica

 

Un giovin signore giunto a guidare partito e governo con procedure anomale e al limite della legittimità democratica; un partito, il PD, che, dalla tradizione di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer, congiunta a quella degli ultimi mohicani della sinistra DC di ispirazione dossettiana e prodiana, si ritrova con Matteo Renzi alla testa di un Golem, massa informe senza più identità politica, culturale e morale, attore principale di un teatrino della politica dominato dal trasformismo.

 

Nell’altro campo, un centro destra, squassato da una crisi di leadership dopo la caduta senza alternativa credibile del Cavaliere, alla ricerca affannosa di un nuovo assetto  che sembra irraggiungibile. Spezzato l’equilibrio tra i moderati di Forza Italia e del Pdl  con la Lega e la destra ex missina, restano spezzoni sparsi in cerca di un collante improbabile tra spinte liberali e propensioni lepeniste e anti europee.

 

Dopo un ventennio di lotta senza quartiere “con o contro Berlusconi,” al quale è subentrata una nuova stagione del “con o contro “ il Bomba” fiorentino”, dal drogato e inefficace bipolarismo della Seconda Repubblica siamo giunti all’ attuale tripolarismo, con il Movimento 5 Stelle possibile ricettacolo del voto “ degli scontenti di tutte le ore”.

 

Tutto questo tra un elettorato che partecipa al voto al 50% di rappresentanza, con un astensionismo mai conosciuto prima nella storia repubblicana.

 

La democrazia, così come l’abbiamo conosciuta noi della prima generazione della Repubblica, era il risultato del concorso degli attori, i partiti, che, in base all’atrt 49 della Costituzione, concorrevano o avrebbero dovuto concorrere “ con metodo democratico  a determinare la politica nazionale”.

 

Ora questi partiti sono tutti defunti e con essi sembrano scomparse le culture politiche di riferimento che hanno fatto grande la nostra Repubblica: quella cattolica, liberale e quella riformista di ispirazione socialista e comunista, che sono state alla base del patto costituzionale del 1948.

 

Ad essi sono subentrati organismi senza identità culturale, legati prevalentemente al grado di visibilità delle  leadership personalistiche alla guida dei diversi movimenti -partito.

 

Leadership popolari/populiste fortemente connesse, prima, al tipo di comunicazione dominante, come quella televisiva in larga parte a disposizione di un capo come Berlusconi, e poi, a quella in rapida e crescente dominanza del web, come nel caso di Grillo e dello stesso Matteo Renzi.

 

Quest’ultimo, è il risultato di un combinato disposto assai più complesso, frutto della schizofrenia di un partito, il PD, che ha affidato la scelta del suo leader a primarie aperte al voto di esterni, estranei alla cultura e alle stesse tradizioni delle componenti che hanno costruito l’unità precaria di quel partito. Un combinato alchemico instabile che ha permesso, con la conquista della leadership del partito, l’ascesa del giovin signore alla guida del governo.

 

La procedura assai anomala e unica nella storia della Repubblica Italiana con cui Renzi, auspice quel vecchio esponente di una cultura riformista comunista di cui gli storici si occuperanno con dovizia, che risponde al nome di Napolitano, è il frutto di pressioni di quegli ambienti finanziari e massonici che, con il superamento del NOMA ( Non Overlapping Magisteria), tendono a sottomettere ai loro interessi finanziari gli obiettivi da perseguire attraverso l’economia e la politica.

 

Non si spiegherebbe altrimenti ciò che accade ora nel nostro Paese.: perché dopo oltre due anni non siamo andati ancora a votare, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale sull’illegittimità del porcellum ? Perché siamo giunti alla vigilia di un referendum,  per il quale, proprio oggi a Firenze,  Renzi ha aperto la sua campagna elettorale all’insegna di una sorta di plebiscito pro o contro la sua persona ?

 

In realtà a Ottobre, saremo chiamati a votare sul combinato disposto di una pasticciata, al limite del ridicolo, riforma/deforma della Costituzione, con una legge elettorale, l’ltalicum, brutta copia dell’illegittimo porcellum e peggiore della stessa famigerata Legge Acerbo, in quanto in grado di garantire tutto  il potere a “ un uomo solo al comando” di una forza politica in grado di raccogliere non più del 25-30% della volontà reale dei cittadini elettori.

 

Questo è l’obiettivo che perseguono i poteri finanziari dominanti a livello internazionale: abbattere gli ultimi baluardi al loro strapotere, ossia le Costituzioni rigide del 1948, come quella voluta dai nostri padri fondatori, la legge fondamentale (Grundnormen) della nostra unità nazionale.

 

Ecco perché, in questo deserto delle culture politiche e nell’attacco perpetrato contro la democrazia, siamo interessati a concorrere da popolari alla costruzione di un nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale e riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano,  che sappia mettere insieme le culture politiche che hanno fondato la Repubblica impegnate a opporsi alla deriva autoritaria e turbo capitalista distruttrice dei valori per cui abbiamo combattuto per tutta la nostra vita.

 

Trattasi dell’impegno tremendo e straordinario di concorrere al rinnovamento della politica, per farla uscire dalla morta gora del trasformismo delle transumanze parlamentari dei nominati e dai condizionamenti pesanti dei poteri finanziari dominanti. Un “vaste programme” che reclama l’impegno di tutti i democratici  per por fine alla drammatica confusione istituzionale dell’Italia.

 

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Lunedì 2 Maggio 2016

 

 




Serve l’unità di tutti i democratici

 

A Forte Marghera di Mestre si è svolto Sabato 30 Aprile un incontro organizzato dall’ANPI della “sezione Erminio Ferretto” di Venezia, con il coordinamento democrazia costituzionale e il comitato per il NO al referendum, sul tema: “OGGI come IERI per la DEMOCRAZIA- ORA e SEMPRE con la COSTITUZIONE”.

 

Invitato da un vecchio amico socialista ho partecipato e firmato il modulo per il NO al referendum e alla Legge super truffa dell’Italicum.

 

Dopo l’introduzione del consigliere regionale Pietrangelo Pettenò a nome dell’ANPI, della d.ssa Maria Cristina Paoletti, referente del comitato metropolitano per il NO, l’avv. Felice Besostri, l’artefice del pronunciamento della Corte Costituzionale contro “il porcellum”, ha evidenziato le principali ragioni di ordine politico e giuridico che stanno alla base del nostro NO al referendum e del SI all’abrogazione dell’Italicum,

 

Ha concluso gli interventi il sen. Walter Tocci, espressione della minoranza interna del  PD, il quale ha denunciato le tre grandi menzogne su cui si tenta di stravolgere la legge generale dell’unità degli italiani.

 

Prima menzogna: attribuire alle istituzioni la crisi del sistema, quando invece trattasi della crisi di un’intera classe politica la quale, lungi dall’aver appreso da quanto avevano lucidamente intuito Moro e Berlinguer, dopo trent’anni di inutili tentativi di cambiamenti costituzionali, ha dimostrato che le modifiche introdotte nel 2001 con la frettolosa  e pasticciata riforma del Titolo V° da parte del governo di centro-sinistra  e quelle del 2005 del governo di centro-destra, respinte dal referendum del 2005, sono sempre state esperienze peggiorative degli stabili e motivati equilibri definiti dai padri costituenti.

 

In realtà, ora come allora e in perfetta continuità, il governo Renzi punta a modificare la Costituzione per salvaguardare un governo nato da presupposti di dubbia legittimità, votato da un Parlamento di nominati eletti con una legge dichiarata incostituzionale e oggi sostenuto da una maggioranza frutto della transumanza di senatori trasformisti. Un governo che avrebbe dovuto svolgere quei compiti che, in altre situazioni, sarebbero riconducibili all’ordinaria amministrazione, e, sicuramente, non titolato per procedere a modificare sino  stravolgere oltre quaranta articoli della Carta costituzionale.

 

L’obiettivo che ci si dovrebbe porre, semmai, secondo il sen.Tocci, sarebbe quello di rifondare la politica e favorire la nascita di nuovi partiti e di una nuova classe dirigente pronta a servire la Costituzione e non servirsi di essa per la mera sopravvivenza nel potere.

 

Seconda menzogna: la tesi che trattasi di una revisione costituzionale, da non connotare come riforma, introdotta per accelerare i processi legislativi. L’obiettivo non è fare presto, decidere, fare; considerato che le leggi peggiori che sono state varate sono proprio quelle approvate nelle condizioni d’urgenza come quelle ad personam del Cavaliere, o la stessa riforma del jobs act, i cui effetti perversi li verificheremo alla scadenza dei tre anni dopo i  quale cesseranno i benefici fiscali sino ad allora garantiti alle aziende. Non si tratta, quindi, di fare presto, semmai di fare bene le leggi. In definitiva la revisione costituzionale del trio toscano di quelli illuminati costituzionalisti che rispondono ai nomi di Renzi-Boschi-Verdini, sostanzialmente tende a trasferire tutto il potere dal legislativo all’esecutivo, annullando ciò che la Carta assicurava alle autonomie locali, in primis alle regioni, alle quali si offre la sportula di alcuni rappresentanti nel Senato dopolavoristico, composto con criteri di assoluta follia nella rappresentanza e con metodi elettorali che contraddicono a ogni elementare regola elettiva.

 

Terza menzogna: al Paese serve una guida forte e sicura. In realtà con la revisione del trio toscano non si tratta di affidare maggiore potere all’esecutivo, ma, di fatto, di consegnare tutto il potere nelle mani di “ un uomo solo al comando”. Prove già vissute dal nostro Paese delle quali non vorremmo più fare esperienza.

 

Ho partecipato al dibattito  da “vecchio DC non pentito” e promotore del comitato dei Popolari veneti e veneziani per il NO, esprimendo la nostra volontà di concorrere tutti insieme a quella che sarà la madre di tutte le battaglie per la difesa della sovranità popolare, con il nostro NO al referendum e al combinato disposto con la legge super truffa dell’Italicum, peggio della Legge Acerbo. Peggiore di essa poiché, con il meccanismo della soglia del 40% per far scattare il premio di maggioranza e il ballottaggio successivo, de facto, si potrà assegnare tutto il potere a una formazione politica che potrebbe rappresentare  anche solo il 20-25% dell’elettorato e, sostanzialmente, se si voterà con l’Italicum, nelle mani di “un uomo sol al comando”.

 

Ho espresso le ragioni di noi Popolari veneti e italiani, eredi della migliore tradizione dei nostri padri costituenti: De Gasperi, Moro, Fanfani, Mortati, La Pira, Gonella, consapevoli di essere  impegnati a combattere contro la supremazia del turbo capitalismo finanziario che intende decidere i fini e subordinare ad essi l’economia e la politica, sino a determinare la scelte dei governanti funzionali a tale disegno strategico. Governanti proni alle volontà dei poteri finanziari prevalenti a livello internazionale, strumenti indispensabili per tentare l’assalto all’ultimo fortino di difesa della sovranità popolare rappresentato dalla costituzioni rigide delle giovani democrazie europee post belliche.

 

Questa è la partita vera che si sta per giocare; una partita che sarà truccata da una propaganda menzognera fatta di slogan che punteranno sulla disaffezione diffusa e sulla perdita di credibilità della politica nell’opinione pubblica, per far passare un progetto che non è molto distante da quel piano di Rinascita Democratica del luglio 1982 del venerabile Maestro Licio Gelli, guarda caso, concittadino della ministra Elena Boschi, relatrice del progetto di revisione costituzionale. Sì proprio lei, facente parte di quei 120-130 deputati frutto del premio del Porcellum, legge dichiarata incostituzionale dalla Consulta.

 

Così vanno le cose oggi in Italia, ma per quanto ancora potrà durare? Solo l’unità di tutte le componenti sociali, culturali e politiche fedeli alla Costituzione, potrà impedire il trionfo di questa deriva autoritaria.Un’unità che noi Popolari concorreremo a costruire in tutte le città e i paesi della nostra amata Repubblica.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritalia.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Domenica 1 Maggio 2016

 


Prima uscita pubblica dei Popolari per il NO

 

Si è tenuto ieri a Roma presso la sala dell’Istituto del Senato di Santa Maria in Aquiro, il primo incontro del comitato dei Popolari per il NO presieduto da Giuseppe Gargani.

Presenti con Gargani i soci fondatori Compagna, Giovanardi, Mauro. Tassone, Bonalberti, Tarolli, Giannone, Eufemi, Marinacci, D’Agostini, Pilat  e altri, sono intervenuti illustri giuristi: Mencarelli, Vari, Esposito, Angelo Gargani  e i costituzionalisti Riccardo Chieppa, Ugo De Siervo, Cesare Mirabelli e in rappresentanza del comitato per il NO, il prof Gallo.

Per il comitato dei Presidenzialisti per il NO, l’On Gianfranco Fini e per quello di Forza Italia, l’On Renato Brunetta e i sindaci di Pavia, Vice Presidente ANCI. Alessandro Cattaneo e  di Ascoli Piceno, Guido Castelli.

 

È stata certamente una notizia, la comunicazione del Presidente del Family Day: Prof. Massimo Gandolfini che ha spiegato le ragioni di avviare unitariamente Comitati per il NO al Referendum per salvaguardare i diritti sostanziali della Costituzione che sono un bene comune del popolo italiano.

 

E’ stato unanimemente riaffermato il valore della trasversalità delle diverse culture politiche unite nella difesa della sovranità popolare e della democrazia, messe a rischio dal combinato disposto della pasticciata riforma costituzionale con la legge super truffa dell’Italicum.

 

Una riforma, portata avanti da un ministro, Elena Boschi, parte di quei 130 deputati sovra numerari eletti con la legge illegittima del porcellum, che, in condizioni di assoluta rappresentanza minoritaria e illegittima della sovranità popolare, si propone di cancellare e modificare oltre quaranta articoli della Carta Costituzionale, ben al di là dei limiti e dei poteri che la sentenza della Corte Costituzionale sul porcellum  aveva indicato per il Parlamento dei nominati illegittimi, non poteva che ricompattare le diverse culture che si ritrovano nell’unità della nazione sollecitata dalle norme fondamentali (Grundnormen) scritte dai padri costituenti italiani.

 

Sono state riassunte in venti punti le ragioni per il NO al referendum dei Popolari italiani, in stretta unità con quanti hanno a cuore la difesa della sovranità popolare. Una sovranità messa a rischio dai poteri finanziari dominanti a livello internazionale e di cui gli ultimi tre governi, Monti, Letta e Renzi sono diretta effettiva espressione, con il compito di superare la rigidità delle costituzioni post belliche, ultimo baluardo che si oppone allo strapotere del turbo finanz- capitalismo che intende imporre i fini rendendo ad esso subalterne l’economia e la politica.

 

Sarà una mera coincidenza che da Castiglion Fibocchi, luogo di residenza del fu Gran Maestro Licio Gelli, autore del suo “Piano di rinascita democratica” del Luglio 1982, provenga la stessa ministra Boschi?

 

Un progetto da “padri prepotenti più che costituenti”, come lo ha definito Mario Mauro nel suo intervento conclusivo; un” referendum impropriamente costituente più che confermativo”, come lo ha connotato il Prof Mirabelli, che si propone la modifica di oltre quaranta articoli,  quasi un terzo dell’intera carta costituzionale; mentre la stessa riforma del Titolo V° del 2001 si “ limitava” a modificarne 19. Un progetto quello, respinto dalla maggior parte delle forze politiche oggi dissoltesi nel trasformismo renziano del PD.

 

Dall’assemblea di ieri dei Popolari per il NO, con il contributo degli altri attori intervenuti, è emersa chiara la consapevolezza della necessità di “ marciare divisi per colpire uniti”, insieme alle difficoltà di far conoscere agli elettori ciò che il potere dominante, controllore di larga parte dei mezzi di comunicazione, con questa riforma si propone, sono emerse due indicazioni precise sul piano operativo:

a)    riflettere e diffondere la riflessione ovunque possibile;

b)   costituire in tutti i comuni d’Italia dei comitati unitari per la difesa della democrazia e della sovranità popolare e per il NO al referendum di Ottobre.

 

Più delicata la questione della legge elettorale dell’Italicum. In attesa della sentenza sulla costituzionalità di quelle norme, dopo la presentazione dei ricorsi presentati dal comitato per il NO, molte  parti delle eccezioni dei quali sono state considerate fondate dal Tribunale di Messina e presentate alla Consulta, anche al fine di non trovarsi impreparati, va avviata da subito la raccolta delle 500.000 firme per la richiesta del referendum abrogativo della legge super truffa del trio Renzi&Boschi&Verdini. Un’ operazione da compiersi insieme unitariamente da tutti i comitati schierati per il NO al referendum di Ottobre.

 

Altro elemento emerso ieri dall’assemblea romana sono le conseguenze che tale mobilitazione sta creando in seno alla vasta e sin qui disarticolata realtà di ispirazione cattolica e popolare.

Ciò che non siamo ancora riusciti a realizzare sul piano della ricomposizione dopo Rovereto e Orvieto, si sta concretamente verificando sul piano dell’unità sui valori fondanti della Costituzione.

 

Se anche nelle prossime elezioni amministrative continua la marcia in ordine sparso delle diverse formazioni nei vari contesti territoriali interessati dal rinnovo dei sindaci e dei consigli comunali, sulla difesa della democrazia e della sovranità popolare l’unità è scontata e realizzata.

 

Se son rose fioriranno, ma, intanto, ci prepariamo alla seconda tappa del 22 Maggio prossimo  a Roma con l’Assemblea Costituente di sovranità popolare, dove parteciperemo da Popolari uniti, per concorrere alla costruzione di un nuovo soggetto politico unitario, laico, democratico, popolare, liberale e riformista, unito sui valori costituzionali, al di fuori del bipolarismo vecchio e stantio oggi rappresentato dal Golem trasformista renziano e da ciò che rimane del vecchio centro-destra ormai dissolto e, ovviamente, dai populismi estremi.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Roma, 28 aprile 2016

 

 

 

 


Le verità del  compagno Fausto

 

Nell’interessante intervista rilasciata da Fausto Bertinotti a Luca Telese e pubblicata oggi su “ Libero”, l’anziano leader della sinistra afferma: «Ricordo una storica citazione di uno dei miei maestri, Riccardo Lombardi: “Guardate l’indice di disoccupazione. Se finisce sopra il 10% la democrazia è a rischio”».

 

In Italia, oggi, quel limite è ampliamento superato ( 12,4 % ) con cifre che sfiorano il 40% con riferimento ai giovani e alle donne e anche più alte al Sud, per cui Bertinotti può aggiungere: «Nella prima repubblica era così. Ma la profezia di Lombardi si è avverata. Infatti le regole di gioco sono cambiate». Di quali regole si tratta? «Quelle fondamentali. La democrazia l’hanno già uccisa. Ne discutiamo come se esistesse ancora».

 

La condizione indispensabile,  affinché ciò che è accaduto si conservi,  è il trionfo del trasformismo politico, di cui  la politica renziana  è la palese dimostrazione in Italia.

 

Nasce da queste essenziali evidenze, derivanti dalla condizione di subalternità della politica all’economia e di questa alla finanza, che è il motore propulsivo del turbo o finanz- capitalismo, la ragione della nostra irrimediabile opposizione al trasformismo del giovin signore fiorentino.

 

Ed è pure la ragione del nostro impegno di popolari per il NO al referendum di Ottobre, convinti come siamo che quella sarà l’ultima battaglia autenticamente popolare per salvaguardare i fondamentali della democrazia repubblicana.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 26 Aprile 2016

 

 

 

Se la Piaggio ride i risicoltori italiani piangono

 

Oggi Matteo Renzi ha fatto visita a Pontedera alla Piaggio in occasione dei 70 anni della mitica Vespa- Ha fatto un giro in fabbrica insieme al compagno Colaninno il quale ha dichiarato: “ La Vespa è il patrimonio della Piaggio, se tutto fosse negativo la Vespa è sufficiente per coprire tutto” e “il giovin signore” ha replicato: “ Il compleanno della Vespa ci dice che se ce la mettiamo tutta, è l’Italia che può farcela, basta piangerci addosso”.

 

Fortunato Renzi che a Pontedera non erano presenti i risicoltori italiani che in quello scambio Vespa contro riso vietnamita, sancito da un accordo assurdo siglato dal duo toscano Renzi – Colannino, stanno piangendo sul crollo del mercato di una delle eccellenze della nostra agricoltura nazionale.

Leggere per credere la nota che alcuni mesi fa scrisse il nostro amico prof Pontelli nell’indifferenza  generale.

 

Ettore Bonalberti

Venezia, 23 Aprile 2016


Riso e Vespa

di Francesco Pontelli

 

Qualche mese fa scrissi relativamente alla “Trionfale visita” del presidente del Consiglio Renzi e del presidente della Piaggio Colaninno e proposi una valutazione che comprendesse tutti i reali costi che gli accordi  stipulati avessero  per l'Italia nel suo complesso.

 

Ricordo perfettamente come avanzai l'ipotesi che l'apertura del mercato europeo e quello italiano al riso vietnamita , come contropartita all'ingresso della Piaggio nel mercato del paese asiatico , potesse rappresentare un grosso pericolo per la coltura italiana del riso : ricordo una coltura di eccellenza mondiale.

 

 

Mi spiace dirlo ma  la mia visione si è rivelata giusta in quanto le colture Italiane del riso quest'anno sono calate del 40% con il rischio di una dismissione delle Colture stesse a causa del invasione di riso vietnamita e cambogiano

 

Tutto questo rappresenta ancora una volta un costo per la tipicità del made in Italy italiano che paga la volontà( o peggio il desiderio)  di esportare e per la propria inadeguatezza e  propria incapacità si utilizza il veicolo politico il quale ovviamente deve nell'ottica di  un accordo internazionale anche concedere qualcosa .

 

Nello specifico la possibilità di invadere il mercato europeo a spese della nostra produzione di eccellenza ( 50% prod.europea è italiana) .

 

Un riso italiano e  piemontese  va ricordato che viene espressamente richiesto  dal papa per la sua visita negli Stati Uniti d'America alla chef che si occuperà dei pasti papali.

 

Questo assoluto aspetto della coltura ma anche della cultura  ( espressione perfetta nel caso del riso)  italiana è stato vergognosamente sacrificato per la internazionalizzazione i cui costi andranno a pesare su una nostra specificità del made in italy.

Come troppo spesso avviene.

Francesco Pontelli


Quando nessuno ci credeva, avendo fatto aderire al Patto di Orvieto, Nicolo' Mardegan, ALEF ha scelto il suo Candidato per le elezioni Amministrative di Milano. 

Oggi, con grande soddisfazione Nicolo'  Mardegan si e' rafforzato come nostra unica scelta a Candidato Sindaco di una Lista Civica: NoixMilano, di cui è un co-fondatore Antonino Giannone: Vice Presidente di ALEF. Mardegan ha altresì ottenuto, con il nostro impegno politico, un primo grande risultato: il sostegno del Popolo della Famiglia e di Rivoluzione Cristiana presieduta dall'on. Gianfranco Rotondi. Adesso i Popolari Liberi e Forti potranno scegliere liberamente anche candidati in lista di loro gradimento


A Milano: L'offerta politica di Cattolici, Popolari Liberali e  Liberi e Forti

con il giovane Nicolo' Mardegan Candidato Sindaco

 

 

La competizione delle elezioni amministrative di Milano si sta sviluppando sul piano di una bipolarità: Sala del centro sinistra contro Parisi del centro destra.

 

In realtà la situazione sociale, economica, culturale e politica milanese è assai più complessa e merita una più approfondita  riflessione rispetto alla schematica rappresentazione dei protagonisti e candidati a Sindaco.

 

Giuseppe Sala, un uomo che da dirigente pubblico ha messo sulla testa cappelli di diverse e opposte appartenenze, dalla fedeltà alla Moratti all’ossequente servizio a Renzi, più che il centro-sinistra è la rappresentazione fisica del Golem renziano: l’interprete più esplicito del trasformismo politico che è la cifra della leadership del giovin signore fiorentino.

 

Stefano Parisi, manager di estrazione socialista, collegato alla felice esperienza di governo del Sindaco Albertini, a guida di una coalizione assai variegata che vede insieme l’ondivago Lupi, che a Roma sostiene il Governo Renzi e a Milano sta con Berlusconi, Salvini, La Russa e De Corato.

 

A questi due blocchi si contrappone la lista del M5S che, dopo la scomparsa del guru Casaleggio, potrebbe raccogliere il consenso della disperazione diffusa tra i diversamente tutelati e quelli del terzo stato produttivo che, anche a Milano, soffrono la grave situazione economica e finanziaria del Paese.

 

Si confrontano, insomma, blocchi eterogenei per culture politiche e capacità di rappresentazione degli interessi e dei valori presenti nella realtà milanese, nei quali manca una presenza qualificata e decisiva di ispirazione cattolica e popolare.

 

NOIxMILANO è l’unico fatto nuovo emerso nella vicenda elettorale milanese. Si tratta dell'Associazione venutasi a costruire attorno al giovane Nicolò Mardegan. 

Un movimento nel quale si sono ritrovati giovani esponenti della migliore borghesia milanese e cittadini di ogni classe sociale impegnati sul territorio, insieme a rappresentanti di gruppi, associazioni di ispirazione cattolica e popolare, tra i quali dall'inizio gli amici di ALEF (Associazione Liberi e Forti) guidati a Milano dal Vice Presidente: Prof. Ing. Antonino Giannone.

 

NOIxMILANO si presenterà come lista civica e Alef punta su Mardegan come l’espressione nuova della politica milanese.

 

Il fatto più rilevante accaduto nelle ultime settimane è il sostegno alla lista NOIxMILANO per Mardegan Sindaco degli amici del Popolo della Famiglia, guidati da Paolo Pugni e l’ingresso di una delle più alte espressioni della cattolicità e del solidarismo cristiano lombardo, la Presidente del CAV (Centro per l’aiuto alla vita) della Mangiagalli, Paola Bonzi, la quale ha accettato di essere Candidata Vice Sindaco nella lista civica di Mardegan con l’obiettivo di trasferire sul piano istituzionale quanto di bene ha saputo diffondere su quello sociale e civile della città. Sabato pomeriggio è convocata una riunione di presentazione ufficiale dell’accoppiata Mardegan-Bonzi.

 

A sostegno del Candidato Sindaco Nicolo' Mardegan si unisce anche la lista di Rivoluzione Cristiana con capolista  Gianfranco Rotondi, già Ministro del governo Berlusconi, che guida il Partito di Rivoluzione Cristiana.

 

Ora finalmente i cattolici e i popolari presenti a Milano hanno una lista composta da giovani e meno giovani di chiaro orientamento cristiano sociale, senza ambiguità sul piano politico generale: di alternativa al trasformismo renziano e alle capriole disinvolte degli amici di Lupi e di Alfano. Candidati impegnati su tre obiettivi fondamentali:

1) sostegno, tutela e aiuto della vita; 

2) politica attiva in favore della Famiglia;

3) realizzazione di un piano di case popolari davvero concreto e incisivo.

 

Al primo turno i cattolici e i popolari milanesi sanno che con il loro voto potranno garantire l’elezione nel consiglio comunale di Milano di una nuova generazione di amministratori, che hanno dimostrato il loro impegno concreto nel sociale e in grado di garantire la difesa dei “valori non negoziabili” anche sui banchi di Palazzo Marino.

 

Alla Confcommercio si sono incontrati Venerdì 22 aprile tutti i  candidati a Sindaco di Milano, ospiti del Presidente Carlo Sangalli. Sono emersi chiaramente i funamboli trasformisti collocati a destra e a manca, a  seconda delle convenienze.

 

Mardegan con il suo intervento ha inteso:

a)    rivendicare per Milano il ruolo di non essere una città succube di ogni scelta di Palazzo Chigi;

b)   confermare la volontà di offrire concrete speranze ai migliaia di giovani che vanno all'estero

c)    garantire le 26.000 case popolari di proprietà pubblica ai cittadini che dovrebbero provvedere alla ristrutturazione  senza oneri per il Comune, il quale sconterebbe negli anni l'importo della locazione.

d)   Altra proposta innovativa: istituire la Free zone per l'area EXPO'.

 

Mardegan ha dimostrato di possedere tutte le carte in regola per offrire a Milano la passione civile e l’impegno di una rinnovata classe dirigente in grado di concorrere da cattolici, liberali e popolari a fare di Milano il laboratorio di una svolta politica indispensabile per la città e per l’Italia, fedeli al motto: "Servire la politica e non servirsi della politica" (Don Luigi Sturzo)

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)

www.alefpopolaritaliani.eu 

www.insiemeweb.net

 

Milano, 23 Aprile 2016 

Persa la prima battaglia ora vinciamo la guerra

 

Se tu fiderai nelli italiani, sempre aurai delusione”: così scriveva Francesco Guicciardini parlando dei suoi concittadini dell’epoca. Sono passati alcuni secoli e quella constatazione del grande pensatore politico ha trovato ieri  una nuova conferma.

 

Inutile far finta di niente; alla vigilia del 18 aprile che, per noi “DC non pentiti”, resta la data storica del trionfo della Democrazia Cristiana nel 1948 e della libertà in Italia, elezioni alle quali partecipò oltre il 92% degli elettori, la partecipazione al voto per il referendum sulle concessioni petrolifere si è fermata al 32,15%.

 

Solo la Regione Basilicata supera il 50% dei votanti, seguita dalla Puglia con il 41,65% e il Veneto, prima regione del Nord con il 37,86%. In definitiva un terzo dell’elettorato è andato a votare, mentre due terzi hanno preferito dar seguito alle indicazioni illegittime del giovin signore fiorentino e dell’ex presidente della Repubblica Napolitano, esempi preclari di “difensori” della Costituzione e delle leggi dello Stato.

 

Matteo Renzi a urne appena chiuse ha voluto esternare, alla stregua di un caudillo sudamericano, la sua soddisfazione per il trionfo dell’astensione, brindando ai tecnici e agli operai delle piattaforme petrolifere, in perfetta sincronia con il brindisi dei petrolieri e company così prossimi e incidenti sulle decisioni del governo.

 

 

Scandalo dei petroli in Basilicata, con le dimissioni di una ministra in carica sottoposta alle pressioni permanenti di un famiglio indagato per vari reati, con un gruppo di gentiluomini tra i quali spicca la figura del capo di stato maggiore della Marina, non sono stati elementi sufficienti per una mobilitazione maggioritaria del Paese.

 

La disinformazione televisiva di una RAI asservita senza soluzione di continuità al potere renziano, il sostegno più o meno palese dei grandi giornali di informazione alle tesi del governo, unite alla disaffezione che, da tempo, caratterizza la partecipazione al voto degli italiani; la costante difficoltà incontrata dall’istituto referendario a far breccia nella coscienza degli elettori, correlate a un quesito referendario di scarso appeal popolare, sono state le concause del risultato elettorale di ieri.

 

Sul piano del merito referendario ciò comporta la possibilità degli attuali concessionari delle piattaforme petrolifere nel mare Adriatico di continuare l’estrazione del petrolio ad libitum, sino all’esaurimento delle risorse petrolifere e metanifere, con assai scarse ricadute per la nostra economia e con permanenti rischi sul piano ecologico.

 

Su quello più propriamente politico, considerata la valenza che anche questo referendum aveva assunto come tentativo di una prima spallata al governo, è necessario prendere atto che la prima battaglia è stata perduta.

 

Va, in ogni caso, considerata non effimera la cifra di oltre 14 milioni di voti espressi, in larga parte voti di opposizione a Renzi, e la nascita, senza più veli o ipocrisie, di un antagonista interno nel PD alla leadership del giovin signore fiorentino da parte del governatore della Puglia, Michele Emiliano.

 

Da qui bisognerà ripartire per dar corpo all’alternativa a Renzi. Prossime tappe: le elezioni amministrative, che a Milano, Roma, Napoli e Torino, con molte altre importanti città, potrebbero segnare una netta inversione di tendenza rispetto agli assetti di potere attuali, ma, alla fine, ci attende la madre di tutte le battaglia: la partecipazione, che ci auguriamo veramente ampia degli italiani, al prossimo referendum sul combinato disposto tra la pasticciata riforma costituzionale del trio toscano Renzi-Boschi-Verdini e la legge super truffa dell’Italicum.

 

Noi popolari per il NO, insieme a quanti delle diverse aree politico culturali sono già schierati in alternativa alla riforma votata dal Parlamento degli illegittimi, siamo pronti a costruire in tutti i comuni italiani dei comitati unitari per la difesa della sovranità popolare e per dire NO al governo di “ un uomo solo al comando”.

 

Ettore Bonalberti

www.alefopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 18 aprile 2016

 

 


Uniti  a difesa della sovranità popolare

 

Con Franco Marini, assurto alla guida della corrente di Forze Nuove dopo la morte di Carlo Donat Cattin (marzo 1991), ci battemmo per la difesa della proporzionale e contro il referendum Segni (giugno 1991), concausa non secondaria della fine della “balena bianca”..

 

Con Marini rimanemmo insieme nel PPI, dopo l’ultima battaglia condotta insieme in alternativa a Mancino a sostegno della segreteria di Rocco Buttiglione,  per poi dividerci per sempre, dopo quella infausta vicenda,  nella lunga e dolorosa stagione, tuttora non conclusa, della diaspora democristiana.

 

Un gruppo di ex DC, in prevalenza ex basisti o post democristiani alla Rosy Bindi vicini alle posizioni del cattolico adulto Prodi, furono tra i fondatori della Margherita poi confluiti con gli ex PC-PDS-DS nell’attuale PD. In quella fusione tra ex DC ed ex PCI ritenevo fosse rimasta intatta la tradizione politico-culturale legata ai fondamentali repubblicani che univano democristiani e comunisti nella difesa del patto costituzionale.

 

La mutazione genetica prodotta dal rottamatore Renzi, con la riduzione del PD a quel Golem, massa informe e senza identità, di cui insistentemente scrivo, sembra abbia potuto rottamare con le persone anche ciò che rimaneva delle antiche culture.

 

Martedì 12 aprile, alla sera, la Camera iper-inflazionata di “nominati” eletti da una legge elettorale incostituzionale e drogata dalla confluenza trasformistica di truppe mercenarie elette sotto bandiere alternative, ha approvato in via definitiva la riforma costituzionale, dopo che è già in vigore la nuova legge elettorale dell’Italicum, anch’essa votata dalla stessa maggioranza con il supplemento dell’appoggio schizofrenico dei forzaitalioti sotto la spinta del famigerato patto del Nazareno.

 

Ciò che risulta incomprensibile è il silenzio assordante di senatori e deputati come la Bindi, Bersani, gli ex amici di D’Alema e Marini, proni ai desiderata del trio toscano di quei giganti costituzionalisti di Renzi-Boschi-Verdini.

 

Con gli amici del comitato dei popolari per il NO, presieduto dall’On  Giuseppe Gargani, condividiamo le venti ragioni in base alle quali ci opporremo sino in fondo, con il nostro NO al referendum, al combinato disposto riforma costituzionale e super legge truffa dell’Italicum. Così come condividiamo le quaranta motivazioni ridotte a twitters  semplificatori redatte degli amici popolari di Rovereto.

 

La sintesi comunicativa più efficace resta, tuttavia, quella formulata dagli amici del Comitato per il NO, che dovrebbe far scendere in campo assieme a tutti noi, quanti hanno ancora salde le radici nei valori fondanti della nostra Carta Costituzionale.

 

Riassumendo, il decalogo degli amici del comitato per il NO evidenzia questi 10 buoni motivi per dire NO allo scempio della Costituzione perpetrato dal parlamento e dalla maggioranza drogata degli illegittimi:

1)   La riforma supera il bicameralismo? No, lo rende più confuso e crea conflitti di competenza tra Stato e regioni, tra Camera e nuovo Senato.

2)   Diminuisce i costi della politica? NO, i costi del Senato sono ridotti solo di un quinto e se il problema sono i costi perché non dimezzare i deputati della Camera?

3)   E’ frutto della volontà autonoma del Parlamento? NO, perché è stata scritta sotto dettatura del governo.

4)   E’ una riforma legittima? NO, perché è stata prodotta da un parlamento eletto con una legge elettorale( Porcellum) dichiarato incostituzionale.

5)   Garantisce la sovranità popolare? NO, perché insieme alla nuova legge elettorale (Italicum) già approvata espropria la sovranità al popolo e la consegna a una minoranza parlamentare che solo grazie al premio di maggioranza si impossessa di tutti i poteri.

6)   Produce semplificazione? NO moltiplica sino a dieci i procedimenti legislativi e incrementa la confusione.

7)   E’ una riforma innovativa? NO, conserva e rafforza il potere centrale a danno delle autonomie, private di mezzi finanziari.

8)   Amplia la partecipazione diretta da parte dei cittadini? NO, triplica da 50.000 a 150.000 le firme per i disegni di legge di iniziativa parlamentare.

9)   Garantisce l’equilibrio tra i poteri costituzionali? NO, perché mette gli organi di garanzia (Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale) in mano alla falsa maggioranza prodotta dal premio.

10)                  E’ una riforma chiara e comprensibile? NO, è scritta in modo da non essere compresa.

 

Ecco perché facciamo appello a tutti i sinceri democratici per costruire insieme in tutti i comuni italiani, al di  là delle diverse culture politiche di appartenenza, dei comitati unitari per la difesa della sovranità popolare. Ecco perché condividiamo con gli amici del Comitato per il NO, con quelli di sovranità popolare, con i cattolici per il NO e, ovviamente, con i Popolari per il NO al referendum, la volontà di salvaguardare la democrazia oggi per garantire la nostra libera voce e quella di tutti gli italiani domani.

 

Vorremmo che anche in ciò che resta delle antiche culture ex PCI-PDS-DS e popolari del PD ci fosse la stessa consapevolezza di una riforma che, non riducendo i costi e non migliorando la qualità dell’iter legislativo, serve solo a scippare la sovranità dalle mani del popolo. Essa, di fatto, calpestando la volontà del corpo elettorale, instaura un regime politico fondato sul governo del partito unico e di “ un uomo solo al comando”.

 

Abbiamo combattuto nella DC con Tina Anselmi il disegno autoritario di Licio Gelli della P2, confermata l’incompatibilità statutaria di iscrizione alla DC e insieme alla massoneria, sopportato democraticamente il NO del 1953 alla legge maggioritaria di De Gasperi ( premio al partito o alla coalizione che avesse superato il 50% più 1 dei voti), un esempio preclaro di democrazia rispetto alla super truffa dell’Italicum. Ci auguriamo adesso che, ancora una volta, nonostante il dominio mediatico costruito da Renzi attorno a sé, il popolo italiano sappia partecipare compatto al referendum di Ottobre con un NO deciso e  forte a difesa della propria sovranità.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 14 Aprile 2016

 

 

 


Non c’è più limite all’arroganza del  “ Bomba”

 

Ero intenzionato a disertare le urne Domenica prossima al referendum sulle concessioni petrolifere, ma, dopo la giornata di  ieri, non ho dubbi: andrò a votare e voterò SI .

 

Contro l’arroganza di un giovin signore fiorentino che, dopo essere stato accolto ieri al Vinitaly di Verona al grido di “buffone, buffone” e “ Verdini,Verdini”, è passato alla Camera per pronunciare il discorso della riforma costituzionale in un’aula semideserta, senza i deputati dell’opposizione usciti per protesta. Un discorso svolto da chi non si è nemmeno degnato di ascoltare gli interventi dei rappresentanti dell’opposizione.

 

Non siamo ancora “all’aula sorda e grigia” del bivacco  di Mussolini, ma già a quella vuota e illegittima dei “ nominati” di Renzi e dei supporters  verdiniani.

 

Mattarella se ci sei batti un colpo! L’Italia non ne può più di un Parlamento di nominati illegittimi, di un governo farlocco e di un Presidente del Consiglio inadeguato, che pretendono di scassare la Costituzione e ridurre al nulla ciò che rimane della sovranità popolare.

 

Sorgano in tutti i comuni dell’Italia  i comitati unitari per il NO al referendum costituzionale di Ottobre, contro il combinato disposto della riforma con la legge super truffa dell’Italicum,

entrambe  partorite dalla mente di quei  tre scienziati costituzionalisti toscani: Renzi,Boschi e Verdini.

 

Noi Popolari ci saremo, fedeli eredi dei nostri padri costituenti : De Gasperi, Moro, Mortati, La Pira, Fanfani, Gonella  e Dossetti.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 12 aprile 2016

 


NO alla rassegnazione- NO all'afasia - SI' all'impegno civico-

SI' a ricostruire la Politica con la P maiuscola

 

Il Paese Italia e le sue città sono palesemente in questi anni amministrate da  politici con la p minuscola che governano non per la ricerca del bene comune e del sostegno ai più deboli e diseredati, della tutela della classe intermedia che è costretta a pagare sempre più tasse per  sostenere le altre classi sociali inoperose, le caste privilegiate e gli evasori, ma per i loro interessi personali, addirittura a vantaggio dei parenti senza vergogna e delle grandi lobby a prezzi di saldo. 

 

Senza cura, il malato, purtroppo, sta morendo, soffocato dagli scandali. Abbiamo un Presidente che gira il mondo con aereo da 40.000 euro/giorno,  che impone la sua volontà a un Parlamento farlocco, mentre è ancora in vigore una Costituzione  che lo vieterebbe, un Parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata non costituzionale, tre Presidenti del Consiglio non eletti, ma nominati, un Capo di Stato Maggiore della Marina inquisito, Ministri intoccabili per un principio renziano quasi dogmatico e così via. Cosa vogliamo di più?  Oggi non basta lamentarsi o rifugiarsi nell'assenteismo, nel privato : " tanto che posso fare io...tanto continua tutto come prima.....direi in questi ultimi anni ancora peggio di prima.

 

Sui mali del Paese, oscuri e palesi, sappiamo quasi tutto. Il male è alla radice, in una classe politica incapace, prevalentemente se non corrotta, sicuramente succube della Finanza e che ha smarrito l'Etica pubblica e si propone sempre boriosa e non realmente al servizio delle persone, delle comunità e dei loro bisogni. E' di questa classe partitica che si deve fare a meno; dei politici boiardi, dei governatori personaggetti senza anima. Se si continua a cercare consensi con la vecchia ferraglia, la macchina nuova non partirà mai. Certo, è più facile inserirsi con chi ha già un seggio, una pseudo struttura, un finanziamento pubblico, fondi privati non sempre leciti, accumulati a Panama, come si scopre su tutti i giornali del Mondo; ma seguire questa scelta è un errore fatale, perché si rischia d'essere coinvolti nel disordine generale del sistema e di aggravarlo definitivamente. Serve buttare via l'acqua sporca e i metodi e gli strumenti ormai logori. 

 

Occorre il coraggio di partire da zero con una nuova classe dirigente non nuova per la sola età anagrafica, ma con tutti i difetti e vizi di quella che vuole sostituire (la parabola discendente del finto rottamatore fiorentino e' di grande evidenza).

 

Servirebbero subito giovani e diversamente giovani di buona volontà, competenti, onesti; servirebbero cristiani e laici ispirati  da un umanesimo  integrale che metta al centro la persona con la sua dignità, la tutela della vita e dei più deboli, il sostegno della famiglia, la tutela del creato, dell'ambiente, della terra per consegnarla alle future generazioni, la formazione  dei giovani e la solidarietà ai bisogni della comunità locale dove viviamo e del popolo migrante che cerca un approdo più sicuro nella storia di questa società globalizzata e dell'era digitale.

 

Antonino Giannone

Vice Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)

Socio co-fondatore di NoixMilano

Milano,11 aprile 2016


“Vota e fa votare NO al Referendum Costituzionale”

Una lettera dell’On Antonio Zanforlin

 

Aderisco, oltre che personalmente, anche come Presidente della Associazione Amici del Senatore Antonio Bisaglia (che non è un’associazione partitica), al Comitato per il No al referendum che si celebrerà in ottobre sulla riforma Renzi – Boschi – Verdini, in difesa dei valori fondanti della Carta Costituzionale.

La Costituzione nata 70 anni fa è lo strumento per trovare le ragioni per stare insieme come Paese, appena uscito dalla tragedia della guerra.

La grande stagione costituzionale (1945-1948) è stata un vero momento di crescita del sistema democratico e politico italiano.

In quella Assemblea c’erano le migliori intelligenze delle forze politiche e il dibattito seppur dure e vivace fu un reale confronto tra culture diverse per fare, come diceva Calamandrei, leggi chiare, stabili e oneste.

De Gasperi, La Malfa, Einaudi, Mortati, Dossetti, Moro, La Pira, Fanfani, Togliatti, Nenni e Saragat, in pochi anni diedero un assetto costituzionale, politico, economico e sociale tale da consentire ad un Paese sconfitto, di poter stare da protagonista in Europa.

Il Referendum previsto per ottobre p.v. ha un importante significato per la questione istituzionale: vede la modifica del sistema delle nostre Istituzioni che regolano la vita della democratica rappresentativa, la trasformazione del Senato e la sua composizione.

Con il referendum a Renzi non interessa il giudizio della gente, ma intende legittimarsi perché manca della investitura popolare; ha una maggioranza incerta, in un Parlamento di cui non fa parte. Infatti, non è stato eletto, ma designato dal Presidente Napolitano.

Ora, governa e guida il partito di cui è segretario e lo fa personalizzando e modellando a sua immagine, privo di reale confronto. Decisionista, gestisce il partito e il governo con dinamiche e metodi “alquanto personalistici e autoritari”.

Come è noto, in giugno (scelta fatta volutamente tardi per avere minor partecipazione) si rinnovano i Consigli Comunali di Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna e altri.

Chiediamoci perché non si è voluto far coincidere il referendum con le amministrative?

La risposta del Governo è stata: perché le norme vigenti non lo consentono e per altre ragioni tecniche.

Al riguardo osservo che bastava una legge di poche righe per risolvere il problema.

L’elesction day non si è voluto per ragioni essenzialmente di opportunità politica di parte.

Renzi è convinto che sarebbero andati a votare più del 50% degli aventi diritto al voto, rendendo così valido anche il voto referendario perché si sarebbe superato il quorum.

Se le elezioni amministrative non registrano l’affermazione del PD, le dimissioni del Governo Renzi sarebbero state inevitabili. Il non far coincidere le Amministrative con il referendum costerà ai cittadini circa 330 milioni di euro.

In conclusione, ritengo che il Referendum Costituzionale sia un Referendum sulla persona di Matteo Renzi (capo dell’esecutivo e segretario del PD). Ricordo che Renzi dando notizia del Referendum ha dichiarato che se non venisse approvato, si dimetterebbe. Il che vuol dire che vuole trasformare il consenso alla Riforma Costituzionale in un consenso alla sua persona.

Anche l’astensione, irrilevante in un Referendum Costituzionale, in questo caso assumerebbe importanza che, associata alla percentuale dei NO, sarebbe usata per rinnovare o negare il sostegno o il dissenso verso il Governo. E, soprattutto, verso il Premier 2solitario”.

In una sana democrazia bisogna sempre saper distinguere i tre compiti fondamentali delle istituzioni:

1-    Stimolare e proporre e dei Partiti

2-    Deliberare è del Parlamento

3-    Eseguire ed operare è del Governo

Io voterò e farò votare No al Referendum Costituzionale perché non posso accettare che i partiti, che dovevano essere tramiti di organizzazione e partecipazione politica, siano stati svuotati da Renzi, che così controllerebbe il partito e le Istituzioni.

Con la riforma Renzi – Boschi – Verdini assistiamo alla blindatura del potere, alla sua concentrazione nella mani dell’Esecutivo, meglio del Premier, ai danni del Parlamento e dei cittadini, ridotti ad inutili pedine.

Il disegno di Matteo Renzi è un disegno “autoritario” e nel nostro paese avremmo una “democrazia autoritaria”, un fatto estremamente grave e pericoloso per la democrazia e per la stessa convivenza nazionale.

Spero e auspico che tante persone, esponenti e votanti di tutti i partiti, sindacati, forze sociali e culturali, e del volontariato abbiano il coraggio di scendere in campo con noi, contro lo stravolgimento e non il rinnovamento, perseguito da Renzi, in difesa dei valori fondanti della Costituzione.

Non sono contro il rinnovamento, ma sono a favore di una sana politica di cambiamento, che ascolti, si confronti e metta in essere una mediazione costruttiva e innovativa.

 

On. Antonio Zanforlin, Rovigo, 8 aprile 2016

 

 

 

 

 


L’esempio di  Milano

 

Corrado Passera con molto realismo ha preso atto della situazione e confermato la sua scelta di campo nell’area alternativa al trasformismo renziano che, a Milano, ha il suo porta bandiera nell’ex commissario di EXPO 2015 Giuseppe Sala.

 

La decisione del leader di Italia Unica di rinunciare alla sua candidatura a Sindaco di Milano per convergere su quella di Stefano Parisi rappresenta un modello importante per tutti coloro che intendono costruire la ricomposizione dell’area, liberale, popolare e riformista in alternativa al Golem, materia senza forma e identità, del PD renziano.

 

E’ un processo complesso e difficile che avrà come prima tappa importante le prossime elezioni amministrative e, a seguire, quella decisiva del referendum per il NO al combinato disposto della riforma costituzionale del Senato e della legge super truffa dell’Italicum.

 

Le maggiori difficoltà in tale direzione sono quelle rappresentate da il travaglio che, da oltre vent’anni, vive l’area di ispirazione cattolica, popolare e democratico cristiana, dopo la lunga stagione della diaspora. Una lacerazione e dispersione di consenso  che non ha ancora saputo trovare una sintesi e convergenze unitarie in grado di ridare una seria e nuova rappresentanza politica al centro di ispirazione democratico cristiana.

 

A Milano, tuttavia, sono presenti le condizioni per sperimentare positivamente un tentativo di innovazione e di ricomposizione grazie al coraggio di un giovane, Nicolò Mardegan, che, con la sua lista NOIxMILANO, ha saputo conquistarsi l’adesione di una parte significativa del popolo cattolico; quella più direttamente coinvolta nell’impegno del POPOLO DELLA FAMIGLIA coordinato a Milano da Paolo Pugni e quella degli amici del CAV (Centro di aiuto alla Vita) guidato da Paola Bonzi, “ Ambrogino D’Oro” , fondatrice e direttrice del benemerito Centro milanese della Mangiagalli.

 

Noi amici di ALEF (Associazione Liberi e Forti) sin dall’inizio abbiamo partecipato alla costruzione del movimento e del gruppo dirigente saldatosi attorno alla candidatura a sindaco di Milano di Nicolò Mardegan, riconoscendo nel giovane avvocato milanese quei caratteri di novità e fedeltà ai valori della dottrina sociale cristiana che sono la stella polare del nostro impegno politico.

 

Saldi nella difesa della sovranità  popolare e impegnati nella prossima battaglia referendaria per il NO alle pasticciate riforme del trio Renzi-Boschi-Verdini che con la Legge dell’Italicum intendono consegnare tutto il potere nelle mani di “ un uomo solo al comando”, NOIxMILANO con gli amici dell’area cattolica del POPOLO DELLA FAMIGLIA concorreranno anche con noi nella loro e nostra  autonomia alla costruzione dell’alternativa alla giunta di sinistra che, dal rosso di Pisapia prova a  sfumare nei colori grigi del trasformismo del Golem renziano.

 

Abbiamo la consapevolezza di poter rappresentare una seria alternativa politica e culturale di una vasta area dei ceti medi e produttivi milanesi, di quelli popolari appartenenti all’area dei diversamente tutelati, lontani mille miglia dai privilegi delle caste di potere che anche a Milano galleggiano sulla crisi sui diversi fronti di rappresentanza politica.

 

Al primo turno saremo tutti uniti a sostegno dell’unica novità politica presente nella competizione milanese, a sostegno di  facce nuove e credibili in grado di far tornare alle urne gli stanchi e gli sfiduciati da una politica troppo spesso interpretata da nominati dediti più al loro “particulare” che al bene comune. Una nuova generazione di amministratori impegnati a perseguire, tra gli altri,  questi obiettivi politico - amministrativi prioritari:

1) sostegno, tutela e aiuto della vita; 

2) politica attiva in favore della Famiglia;

3) realizzazione di un piano di case popolari davvero concreto e incisivo.

 

Avanti allora senza indugi con Nicolò Mardegan, per costruire a Milano un nuovo percorso della buona Politica che, da Liberi e Forti, intendiamo sia interpretata da nuovi attori impegnati  sturzianamente “ a servire la Politica e non servirsi della Politica”.

 

Speriamo che l’esempio di Milano, avanguardia del rinnovamento, possa contagiare gli amici dell’alternativa al renzismo presenti a Roma e nelle altre città impegnate nel voto del 5 giugno prossimo.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Milano, 10 Aprile, 2016

 

 


 


Per la rifondazione della politica


Stefano Rodotà scrive su “ La Repubblica” di Venerdì 8 Aprile della “ Democrazia senza morale”, partendo dall’art.54 della Costituzione (“Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.”)  e citando un giudice della Corte Suprema degli USA, Luois Brandeis che nel 1913 scriveva, con espressione divenuta proverbiale, che: "la luce del sole è il miglior disinfettante". Infine ripropone un pensiero di Ennio Flaiano secondo cui: "Scaltritosi nel furto legale e burocratico, a tutto riuscirete fuorché ad offenderlo. Lo chiamate ladro, finge di non sentirvi. Gridate che è un ladro, vi prega di mostrargli le prove. E quando gliele mostrate: "Ah, dice, ma non sono in triplice copia!"".

E’ il riconoscimento doloroso della realtà politica italiana, squassata dagli scandali e dalla corruzione a quasi tutti i livelli della pubblica amministrazione, a partire da quello di un governo farlocco diviso tra affari di famiglia, predominio del giglio magico e scontri tra i ministri sostenuti da linguaggi da suburra senza freni, che si rincorrono sui fili del telefono o con le onde dell’etere sistematicamente sotto controllo. Un Paese allo sbando, che vive la duplice drammatica polarità di un tessuto civile che sembra aver smarrito ogni riferimento etico, rendendo ancor più veritiera quella sentenza profetica di Francesco Guicciardini secondo cui:” se tu fiderai nelli italiani, sempre aurai delusione” e di un sempre più pressante dominio dei poteri del turbo capitalismo finanziario che, imponendo il primato dei suoi fini, intende sottomettere ad essi l’economia e la politica, con effetti devastanti per la condizione dei ceti popolari e delle istituzioni democratiche.

Tra la crisi morale e culturale, prima ancora che sociale e politica dell’Italia, e il trionfo del relativismo etico interno e internazionale, sono entrate in crisi e, in qualche caso a  venir meno,  le strutture intermedie di socializzazione e integrazione sociale quali: la famiglia, la Chiesa, i partiti e i sindacati. Ad essa si accompagna una crisi economica e sociale produttrice del progressivo impoverimento delle classi popolari e dello stesso ceto medio produttivo, una disastrosa disoccupazione giovanile quasi al 40%; tutti fattori che alimentano, con il degrado progressivo della politica affondata nella credibilità popolare dalle quotidiane notizie di scandali, il progressivo distacco non solo dalla partecipazione politica, ma dalla stessa espressione del voto ormai ridotta a meno della metà degli aventi diritto.

Con un PD mutato geneticamente alla condizione di un Golem, materia informe e senza identità, dove un “giovin signore” ha saputo rottamare un’intera classe dirigente, l’ultima dell’era post berlingueriana, sostituendola con gli  amici del giglio magico e catapultando nel governo un gruppo di improvvisati  reggitori della cosa pubblica, più interessati agli affari di famiglia che al bene comune e un centro destra frantumato in mille rivoli e senza più leadership, solo il M5S di Grillo e in parte la Lega di Salvini sopravvivono. Sopravvivono nel ruolo di strumenti capaci di intercettare gli umori viscerali degli scontenti, diffusi soprattutto nel ceto medio produttivo e in quello dei diversamente tutelati, mentre i componenti della casta e del quarto non stato galleggiano sulla barca senza guida nel mare in tempesta della politica italiana e internazionale.

Anche i nostri ormai più che ventennali tentativi di concorso alla ricomposizione dell’area cattolica, popolare e di ispirazione democratico cristiana, si sono infranti contro i muri delle persistenti rivalità e stupide ambizioni di vecchi e nuovi attori, ridotti al ruolo di comparse o di sciocchi reggicoda  dei potenti di turno. Che fare in tale assai sconfortante scenario della politica italiana?  Con Paolo Maddalena, componente autorevole degli Stati generali di Sovranità Popolare, condividiamo l’idea che: “I Partiti non svolgono più le funzioni assegnate ad essi dalla Costituzione (art. 49); oggi il ‘Partito’ siamo noi, liberi cittadini riuniti in libere associazioni.” Con gli amici degli Stati generali di sovranità popolare, cui aderiamo anche noi di ALEF ( Associazione Liberi e Forti), condividiamo l’obiettivo di un’Assemblea costituente dal basso che:” potesse coinvolgere tutte le organizzazioni possibili e che toccasse con le proprie tappe i territori, le città del nostro Paese: un percorso costituente che dal 5 marzo al 22 maggio vedesse i cittadini italiani e le loro organizzazioni partecipare alla costruzione di un nuovo soggetto confederativo capace di:

1)  promuovere un nuovo modello di sviluppo responsabile, solidale e sostenibile, sulla resilienza dei cittadini consapevoli della dignità dovuta ad ogni essere umano di vivere in salute, nell’equilibrio tra diritti e doveri per il bene comune;

2)  fare fronte comune contro i Parlamenti ed i Governi illegittimi dei nominati dai partiti dinastici che hanno occupato e costretto le libertà democratiche in nome di emergenze pubbliche da loro prodotte, fino all’evidenza di oggi, con leggi incostituzionali che mirano a riformare ed a rendere innocua la Costituzione con l’unico obiettivo di limitare l’esercizio della sovranità popolare dei cittadini. “

Perduta ogni speranza di ricomporre ciò che delle vecchie culture sono oramai degli impresentabili interpreti, condividiamo l’appello di molti amici a ricercare “vino nuovo in otri nuovi” e riteniamo sia necessario rifondare la politica partendo dalla condivisione dei fondamentali della Costituzione repubblicana e sostenere tutte le battaglie che consentano di riprenderci la sovranità popolare, messa a rischio tremendo se passasse il combinato disposto del referendum sulla riforma costituzionale bislacca, votata da un parlamento di illegittimi e la legge super truffa dell’Italicum.

Per il perseguimento concreto di detti obiettivi, intendiamo concorrere e partecipare all’utilizzo  dei seguenti strumenti giuridici:

a)    Referendum abrogativo (Art. 75 della Costituzione) e confermativo (Art. 138 della Costituzione)

b)   Proposta di Legge Popolare (Art. 71 della Costituzione).

c)    Intervento sui procedimenti amministrativi riguardanti interessi generali, come 
portatori di interessi diffusi (legge 241/1990).

d)   Esercizio dell’azione popolare anche al fine di portare la questione di legittimità 
costituzionale alla Corte Costituzionale (Art. 118 della Costituzione).

Superate  le vecchie distinzioni tra le culture politiche sopraffatte dal trasformismo dominante parlamentare e nel deserto della partecipazione politica, non ci resta che operare per la rifondazione della politica insieme a  quanti di sincera fede democratica e dai seri convincimenti di natura etica, condividendo con noi principi e valori della Carta Costituzionale, intendono opporsi alla deriva anti democratica e autoritaria che sta ammorbando l’Italia e l’Europa.

Ettore Bonalberti

www.alefopopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 9 Aprile 2016

 


Appello alla sovranità popolare

 

Affari petroliferi e lotte senza quartiere tra clan rivali nel governo; scaramucce e contumelie da suburra  tra “figli di p.”e “pezzi di m.” così espressi  dalla pur civilissima ex ministra Guidi; parentopoli oscena all’interno del giglio magico, che assume ogni giorno di più caratteri inquietanti tra fallimenti bancari e annunci di  riserve di danaro di parenti e amici occultate nei paradisi fiscali panamensi; la ripresa delle ostilità violente di una piazza in rivolta, anche quando, come ieri a Napoli,  “ il giovin signore” apre a prospettive di sviluppo un’area degradata come quella dell’ex Italsider di Bagnoli. E’ questa la condizione in cui versa oggi il governo del nostro Paese.

 

Un governo che continuo a definire “farlocco”, perché guidato da un Presidente del consiglio mai eletto in Parlamento e da un’assemblea legislativa di “nominati” sulla base di una legge elettorale incostituzionale.

 

Ora il Presidente della Repubblica è alla prese con la firma del nuovo ministro per lo sviluppo economico che dovrà sostituire la dimissionaria Guidi, dopo l’interim affidato a Renzi, e, auguriamoci, che non debba avallare la scelta di quello che la signora Guidi appellava come  un “ pezzo di m.”.

 

Siamo alla frutta sotto tutti i punti di vista: dalla  crisi economico e finanziaria a quella sociale, politica e culturale. Un Paese allo sbando e con una guida politica che ha perso ogni residua credibilità. La rottamazione che era stata la cifra della novità renziana ha prodotto il disastro familistico e clanico tra i più indecenti della storia dei governi repubblicani.

 

Non a caso l’ex dirigente DC Massimiliano Cencelli, nei giorni scorsi ricordava come  il suo “ manuale”, con cui nella DC si regolava la distribuzione del potere tra gli esponenti delle diverse correnti, fosse un modello di democrazia rispetto a quello utilizzato  da un premier pigliatutto per sé e per i suoi amici del cerchio magico.

 

Povera Italia priva, d’altronde, di un’opposizione unita capace di proporsi come autentica alternativa al degrado cui è giunto il sistema e con un’opinione pubblica sempre più stanca e rassegnata, assai poco incline alla partecipazione ad una politica ridotta alla mera gestione del potere per il “particulare”, senza alcun riferimento al “bene comune”.

 

Presidente Mattarella, lo andiamo sostenendo da tempo, impotenti come quelli senza potere che tentano di parlare a chi ha il potere: chiuda questa farsa della politica rappresentata da un Parlamento di illegittimi e di un governo senza alcuna credibilità e  ridia voce al popolo sovrano.

 

In attesa di un tale provvedimento, che ci auguriamo possa già sortire dalla richiesta del voto di sfiducia al governo presentato da tutte le opposizioni parlamentari, iscritta al voto per il prossimo 19 aprile; un voto nel quale anche coloro che nel PD sono insofferenti al pesante clima di arrogante intolleranza del premier-segretario dovrebbero esercitare il loro diritto di voto senza timori reverenziali e, più in là,  tutti coloro che, anche da sponde politiche diverse, si oppongono alla deriva trasformistica del renzismo dominante, facciano sentire la loro voce a partire dalle prossime elezioni amministrative.

 

Basta con le divisioni nel centro-destra a Roma dove Bertolaso, Marchini, Meloni e Storace, se continuano nelle loro estenuanti e improduttive battaglie fratricide, finiranno col subire il destino dei “ polli di Renzo”.  Milano, Roma, Napoli siano le città simbolo del riscatto della sovranità popolare.

 

E, nel frattempo, sorgano in tutte le città e i paesi dell’Italia, i comitati per il NO al referendum sul combinato disposto della riforma costituzionale e della legge super truffa dell’Italicum per il recupero e la difesa della sovranità popolare, che si tenta in tutti i modi di eliminare, dopo che dal Novembre 2011, si è già largamente ridimensionata e sostituita con questa triste stagione del trasformismo renziano.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 7 Aprile 2016

 

 

Un Golem privo di forma

 

Nato dall’unificazione alquanto laboriosa dei DS con la Margherita, era sorto come il tentativo di mettere insieme quanto restava delle antiche culture di ispirazione comunista e della sinistra dossettiana  e di scampoli morotei e basisti della DC: da D’Alema alla Rosy Bindi, da Bersani  e i sindacalisti della CGIL a Franco Marini e il giovane Franceschini ex DC.

 

Ne è derivata una fusione complessa e disarticolata tradottasi in una lega assai fragile in cui non sono più riconoscibili nemmeno le più lontane tracce delle antiche culture d’origine.

 

Il collante prevalente di quella fusione era rappresentato soprattutto dall’antiberlusconismo coltivato nel ventennio (1994-2013) dell’egemonia del Cavaliere, contrastata e combattuta in tutti i modi dai diversi versanti nei quali sopravvivevano le casematte ex PCI e DC: dalla presidenza della Repubblica Scalfaro, primo strenuo oppositore di Berlusconi, dopo la sconfitta della “gioiosa macchina da guerra” occhettiana, alle inchieste di cronometrica precisione politica avviate  da alcune magistrature inquirenti amiche e alle puntuali manifestazioni sindacali attivate nei momenti topici di quell’infelice esperienza di governo.

 

Il progressivo distacco dall’antica cultura togliattiana e berlingueriana degli ex PCI, con il prevalere delle posizioni più laiciste e radicaleggianti, che furono assai ben evidenziate da Augusto Del Noce, da un lato, e la dominanza negli ex DC della cultura dei “ cattolici adulti” alla Prodi –Bindi, con le sconfitte progressivamente accumulate, seppur con esiti alternativi, nel ventennio berlusconiano, hanno finito col creare le condizioni dell’emergere della nuova cultura vincente della rottamazione del “giovin signore fiorentino”.

 

Un partito,  il PD, che, con il progressivo affermarsi a livello internazionale dei poteri finanziari del turbo-capitalismo e il venir meno dei fondamentali etico politici delle sue componenti originarie, ha finito con l’assumere sempre di più il ruolo di strumento docile ed efficace per soddisfare le esigenze e gli obiettivi della finanza ormai dominatrice di economia e politica.

 

Un partito totalmente estraneo dalle proprie radici che, solo una provincialissima vulgata continua a connotarlo come partito di centro sinistra, dato che nella realtà, dal “golpe blanco” del Novembre 2011 con la defenestrazione violenta del Cavaliere per opera di una congiura dei poteri forti avallata dai comportamenti di un consenziente Presidente della Repubblica, Napolitano, ai successivi governi “tecnici” dei non eletti di Monti prima e Enrico Letta poi, ha finito col diventare l’esecutore acritico di quei poteri.

 

Ultimo atto di questa triste rappresentazione, la modalità con cui  Renzi, preso con procedure assai discutibili il potere interno al PD, è stato elevato al ruolo di capo di un governo che, definirlo “farlocco”, in quanto espressione di un Parlamento di nominati eletti secondo una legge dichiarata incostituzionale, credo sia la qualificazione più esatta della sua natura.

 

Se alla cultura di ispirazione marxista e comunista e a quella di ispirazione dossettiana e basista DC, subentra il nulla degli amici fiorentini del “ giovin signore” è evidente che ci si trova dinnanzi a un Golem, a “ una massa ancora priva di forma” disponibile a tutti gli usi.

 

E’ in questo clima di un partito collocato tra i socialisti europei per interpretare, di fatto nel merito, le politiche volute dai poteri finanziari forti americani ed europei, che prende corpo il trasformismo che è la cifra che caratterizza la presente triste stagione politica italiana.

 

Un trasformismo che giustifica la rottamazione a sinistra dei D’Alema e Bersani, la liquidazione del ruolo di mediazione dei sindacati amici o distanti, le scelte progressive contro i ceti e le classi popolari, sino all’attacco violento con procedure illegittime della stessa Carta costituzionale con il progressivo annullamento della sovranità popolare.

 

Se poi, come è avvenuto nelle ultime ore, il governo sembra ridursi a un provincialissimo comitato d'affari impegnato a difendere le botteghe familiari di alcune ministre, inconsapevoli marionette al servizio dei poteri del finanz-capitalismo dominante, bastano le riserve amiche degli ultimi mohicani di area popolare e le truppe mercenarie di Verdini per sopravvivere.

 

E’ sufficiente richiedere e ottenere le  immediate le dimissioni della ministra Guidi, come già al povero Lupi, con l’intento di preservare intatta l’intoccabile Boschi di Castiglion Fibocchi, e se le opposizioni con il Movimento Cinque Stelle e la Lega presentano la mozione di sfiducia al governo, è sempre pronto l’arrogante renziano di turno a sentenziare con certezza che, non importa, tanto  “ la mozione sarà come sempre respinta”.

 

E’ una situazione intollerabile per la quale chiediamo al Presidente Mattarella: sei ci sei batti un colpo! Noi democratici cristiani non pentiti insieme a tutti gli autentici democratici italiani non ne possiamo più. Continuare in questa situazione di vilipendio della sovranità popolare non é più tollerabile.

 

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia. 1 Aprile 2016

 

 

 



In attesa fiduciosa di orientamenti sicuri

 

Non so se mi abbiano più ferito le parole di un’amica ciberneuta milanese,Carla Marri,  cattolicissima di tradizione, molto lontana dalle posizioni di Papa Francesco, il cui pensiero in materia di islamismo e immigrazione, a suo parere “debole, non esita a paragonarlo a quello di Woody Allen quanto a superficialità, oppure la notizia della proposta di legge di Pippo Civati e altri ex PD tesa a togliere alla Chiesa Cattolica l’8 per mille ( circa 600 milioni di euro all’anno) per dirottarli a un nuovo fondo di sostegno delle povertà. Una proposta per la quale  Civati ritiene di avere a fianco lo stesso Pontefice.

 

Ho più volte scritto che almeno le due ultime generazioni con la crisi della famiglia, della scuola hanno dovuto scontare anche quella della Chiesa che sta vivendo uno dei momenti più gravi della sua storia. Confesso che sono un papista impenitente che da Papa Pio XII ( Papa Pacelli) a Papa Francesco ho cercato di seguire tutti gli sviluppi dottrinali e pastorali della Chiesa Cattolica, il cui passaggio epocale fu rappresentato dall’evento e conclusioni del Concilio Vaticano II.

 

Dalla Chiesa trionfante pacelliana dei baschi verdi e dei giovani di azione cattolica entusiasti “ qual falange di Cristo Redentore, la gioventù cattolica in cammino….”, agli orientamenti dottrinali e pastorali delle encicliche sociali dei Papi di fine secolo scorso e inizio XXI: da Papa San Giovanni XXIII (Mater et Magistra e Pacem in Terris) , Paolo VI (Populorim Progressio e Octogesima adveniens), san Giovanni Paolo II (Laborem Eercens e Centesimus Annus) sino a Benedetto XVI (Caritas in veritate) e, infine,Papa Francesco (Evangelii Gaudium e Laudato Si), abbiamo potuto cogliere la lungimirante capacità della Chiesa di Roma di analizzare senza pari quanto è avvenuto nel passaggio dalla seconda alle terza rivoluzione industriale, sino al trionfo del finanz-capitalismo nell’età della globalizzazione e dell’Occidente sempre più laicista e ateista pratico, in preda all’egemonia del relativismo etico.

 

La capacità di analisi e di indicazione delle soluzioni per i cristiani e gli uomini di buona volontà del nostro tempo che la Chiesa cattolica è stata in grado di mettere in campo sul piano sovrastrutturale dei principi e dei valori, tuttavia,  è indubbio che non è stata accompagnata da un’analoga efficienza ed efficacia su quello dell’adeguamento della sua struttura istituzionale, organizzativa e funzionale ai tempi nuovi in cui si trova a dover testimoniare la Buona Novella.

 

Diversi gli stili e i modi di approccio al tema, quelli usati dagli ultimi tre pontefici, con Papa Benedetto XVI che, acquisita la pesante eredità del lungo pontificato di San Giovanni Paolo II, se, sul piano dottrinale, ha saputo offrirci l’ultima perla del suo magistero, con la “Caritas in veritate “, sul piano della capacità di riforma della Curia romana e della struttura di governo della Chiesa, ha dovuto  costatare gli enormi ostacoli che si frapponevano e, alla fine,  rinunciare al suo stesso ruolo.

 

L’avvento del “Papa venuto da lontano”, la sua scelta profetica del nome del santo poverello d’Assisi, le innovative abitudini e inconsueti stili di vita adottati come Papa, mai conosciuti prima da altri pontefici e cardinali, con la netta determinazione a superare incrostazioni e facili fughe nella comoda autoreferenzialità degli status e dei ruoli, hanno determinato e stanno provocando sconquassi non solo sul piano della governance della Chiesa, ma, per talune indicazioni teologiche e pastorali di papa Francesco, sullo stesso piano dottrinale.

 

 

Difficile ora ritrovarsi pienamente in quella che è definita “societas juridice perfecta”, se solo analizziamo ciò che accade dentro e fuori l’organizzazione della Chiesa cattolica, tanto sul piano della sua espressione universale, che su quello specifico della Chiesa italiana.

 

Da papista impenitente quale sono, seguo con estremo disagio i ripetuti e frementi interventi di Antonio Socci, il quale giunge a ipotizzare cambiamenti di papa Francesco persino sul piano sacramentale.

 

Posto che del cardinal Kasper, il prelato che Papa Francesco incaricò di presentare al Concistoro del Febbraio 2014 la proposta di aprire nella Chiesa la comunione ai divorziati, sia ben nota la sua posizione distante da quelle dottrinali del Papa emerito Ratzinger, nonostante la sua dichiarazione resa a Lucca nei giorni scorsi secondo cui la firma dell’Esortazione che Papa Francesco si appresta a fare e a rendere nota a metà aprile  sarà “ un documento che segnerà l’inizio della più grande rivoluzione nella Chiesa da 1500 anni a questa parte”, credo sarà bene attendere il testo prima di assumere posizioni più papiste dello stesso pontefice.

 

Ritengo che prudenza e sapienza siano virtù cardinali ben presenti alla natura e alla cultura di papa Francesco. Appartengo alla schiera di coloro che ritengono preziose per la Chiesa cattolica le novità pastorali introdotte dal pontefice venuto da lontano, e resto fiducioso che anche sul piano dottrinale resteranno ben salde le fondamenta e la fedeltà ai valori non negoziabili su cui si è retta sin qui la Chiesa cattolica nella sua millenaria storia.

 

Quanto al caso italiano, non meno difficile da interpretare, specie da chi come me, si è formato nelle sue strutture organizzative dirette o di diretta ispirazione (azione cattolica italiana, Acli, CISL) le quali hanno subito i diversi condizionamenti nel tempo, anche da parte di chi storicamente ha guidato la CEI, penso che vada risolto il dualismo pressoché permanente che si è venuto a creare tra Presidenza CEI ( card Bagnasco) e segreteria generale (Mons Galantino) su quasi tutti i temi all’ordine del giorno: famiglia, immigrazione, politica.

 

Ritengo che, come ho scritto più volte: “ubi major minor cessat”, e se, invece, Mons Galantino si sentisse portavoce di un’autorità superiore, sarebbe ora di por fine a questa imbarazzante conflitto che, traducendosi poi a livello degli episcopati e delle chiese locali, finisce col rendere ancor più precaria e incerta la stessa vita dottrinale e pastorale nelle parrocchie e nei diversi movimenti, associazioni e gruppi in cui si articola il vasto, complesso e assai disarticolato mondo cattolico italiano. Con spirito di fraterna carità cristiana e fiduciosa obbedienza agli orientamenti pontifici, attendiamo i chiarimenti che la situazione a livello universale e italiano richiede.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venerdì santo, 25 Marzo 2016

 

 

  

 

 

No alla congiura dei boiardi

 

Può succedere che tra AD e Presidente di una società sorgano motivi di contrasto, così come sembra sia successo tra il Presidente di Polymnia,  avv.Giampaolo Fortunati e l’AD arch.Plinio Danieli.

Polymnia, come è noto, è la società a responsabilità limitata creata dalla Fondazione Venezia per la realizzazione, tra l’altro, del museo M9 a Mestre:  la “fabbrica del sapere” “che metterà in scena i fondamentali cento anni che hanno rivoluzionato il mondo, le grandi trasformazioni sociali, economiche, demografiche, culturali e ambientali che hanno caratterizzato il Novecento”.

 

Di tale opera che rappresenta un’autentica  svolta per la nostra città, Plinio Danieli è stato l’artefice più illustre che ha offerto per essa molto tempo della sua attività: dalle procedure complesse dell’acquisto del bene sino alla direzione dei lavori che si dovrebbero concludere con l’inaugurazione del complesso nel luglio 2007.

 

E’ molto disdicevole ed espressione di un decadimento progressivo di ogni virtù civica che, come annunciato, un’autentica faida di palazzo tenti di scaricare l’uomo divenuto il simbolo stesso di M9 a Mestre.

 

Chiediamo a Segre che ebbe la felice intuizione di incaricare Danieli se non ha nulla da ridire su ciò che sta accadendo? Non fu lo stesso Segre  a favorire la nomina del dr Giampietro Brunello alla Presidenza della Fondazione? E quest’ultimo, perché sembra prestarsi al tentativo di defenestrazione dell’AD della sua partecipata al 100%?

 

Possibile che una semplice faccenda di allestimento delle sale ( 10 mio di € stanziati dalla Fondazione e che si intende affidare con procedure d’urgenza (?!) a Polymnia) possa costituire il casus belli per privarsi di una risorsa che ha dimostrato di saper portare a compimento un’opera da molti ritenuta impossibile a Mestre?

 

Noi che conosciamo Plinio Danieli da molti anni e sappiamo quanto abbia saputo proporre, realizzare e gestire per lo sviluppo della nostra città, chiediamo al dr Brunello e all’avv. Fortunati di tornare sui loro passi e che, se ci fossero ragioni tali da giustificare le scelte annunciate, si mettessero in condizioni di assoluta trasparenza rendendo edotta l’opinione pubblica su dette ragioni.

 

Non è tempo di congiura dei boiardi quando nei confronti del sistema bancario e per i suoi rami derivati non spira aria buona tra la gente e i risparmiatori, i quali richiedono sempre più trasparenza, imparzialità, efficienza ed efficacia nelle  scelte dei banchieri e loro aventi causa.

 

Si conservi a Danieli il compito di portare a termine i lavori e di poter partecipare come è giusto che sia all’inaugurazione di un’opera per la quale si è tanto prodigato.

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF- Associazione Liberi e Forti (www.alefpopolaritaliani.eu)

Venezia, Giovedì 24 Marzo 2016

 

 


Sto perdendo la speranza

 

 

Con l’ennesimo atroce attentato terroristico di ieri a Bruxelles,  all’Europa e alle democrazie occidentali non è più possibile rifugiarsi nelle solite giaculatorie del politichese.

 

Siamo alla dimostrazione costante della nostra vulnerabilità e delle conseguenze degli errori delle classi dirigenti europee che si sono susseguite da almeno vent’anni a questa parte.

 

Sembra abbia trionfato il principio della stupidità progressiva e che non si sia ancora toccato il punto morto inferiore.

 

L’Europa che ha rinunciato  a porre alla base della sua Costituzione le  radici giudaico cristiane, che toglie i crocefissi e i simboli della cristianità nei luoghi pubblici, che assume il relativismo come fondamento etico della sua conduzione morale, culturale, economica, sociale e politica; l’Europa che non ammette più la distinzione naturale tra uomo e donna e misconosce il valore fondante della società nella famiglia naturale, disponibile a qualunque esperienza e a riconoscere qualsivoglia esigenza di diritti individuali e che, in base al politically correct sembra oscillare tra la predicazione farisaica della tolleranza inclusiva e la chiusura dei confini alzando muri e fili spinati, nello stesso momento in cui è del tutto impotente e negligente nella difesa dei propri valori; un’Europa che sconta il deficit di una denatalità mai conosciuta prima nella sua lunga storia è un continente destinato al suo definitivo decadimento.

 

Se questa è la condizione che ha assunto la quasi generalità dei Paesi europei, una situazione particolare è quella che stiamo vivendo noi in Italia.  

 

La nota da me redatta 14 marzo scorso (“ Poteri forti internazionali e ossequenti esecutori nostrani”)    costituisce una sintesi di quanto da molto tempo andiamo analizzando su ciò che accade a livello mondiale dove ha finito col prevalere il finanz- capitalismo che tutto subordina: dall’economia, alla politica e con l’etica ridotta al trionfo del relativismo senza speranza.

 

Purtroppo, ammaestrati dai maître à penser del ’68, ad almeno due generazioni sono mancati tre pilastri essenziali di formazione:

1) la famiglia, che per molti si presenta disastrata e/o distrutta da divorzi, separazioni, malesseri diffusi;

2) l’educazione civica che noi apprendevano sin dalla scuola elementare da maestri e maestre ispirati dall’amor di Patria e per i valori fondamentali dell’etica;

3) le parrocchie, come luoghi di formazione e socializzazione cristianamente ispirate.

 

Crisi della famiglia, della scuola e della Chiesa sono alla base, con quella economica, della crisi sociale, culturale e morale attuale dell’Italia e dell’Europa, su cui può far leva il dominio dei poteri finanziari internazionali che si servono degli accoliti politici messi al potere, funzionali ai loro disegni ispirati solo dalla logica del profitto a breve; logica aggravata oggi dalla necessità di riparare  agli effetti dei derivati e futures sul sistema bancario internazionale e dei singoli Paesi.

 

E’ in questo quadro nel quale prevale l’anomia, intesa come assenza di regole e valori  condivisi,  la condizione di discrepanza tra mezzi e fini, il venir meno del ruolo e della funzione dei corpi intermedi, che si sviluppa, da un lato, la frustrazione con annessa aggressività palese o latente e/o la regressione verso forme di isolamento e di incomunicabilità.

 

Una società ammalata sulla quale hanno facile   sopravvento schiere di giovani di diversa estrazione sociale, molti dei quali affamati e  prolifici, ammaestrati da un credo religioso che incita alla violenza e alla sopraffazione dell’ ” infedele”.

 

Sulla crisi della famiglia e della scuola s’impone una seria riflessione a tutti i livelli cui competono responsabilità educative. Sulla crisi della Chiesa tenterò di sviluppare più avanti alcuni pensieri, nel momento in cui si è aperto un confronto teologico e pastorale che sembra squassare dalle fondamenta il trono di Pietro.

 

A questo vecchio sopravvissuto, espressione della prima generazione dell’Italia repubblicana, sta venendo meno la speranza e la stessa fiducia nell’esercizio di una responsabilità di ordine civile capace di concorrere, anche solo con l’esempio, al miglioramento delle cose in vista del perseguimento del bene comune.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 23 Marzo 2016

 

 

 

 

No alla legge Super truffa dell'Italicum

No alla legge super truffa dell’Italicum: pronti alla raccolta delle firme per il referendum abrogativo della legge Renzi-Boschi-Verdini.

In allegato l’ordine del giorno dell’assemblea nazionale dei Comitati referendari 18 Marzo 2016.

 

 

 

Ordine del giorno assemblea nazionale Comitati referendari 18 marzo 2016

 

Il nostro primo obiettivo in questo momento è raccogliere le 500.000 firme per ciascuno dei due referendum abrogativi riguardanti l’Italicum. Quesiti referendari che riguardano sia il carattere ipermaggioritario della legge, distorsivo della rappresentanza democratica, che è il risultato del premio di maggioranza e ancora di più del ballottaggio, sia le norme che servono a “nominare” almeno i due terzi dei deputati. Il 9/10 aprile inizierà quindi la raccolta delle firme per abrogare le due norme della legge elettorale che assomigliano fin troppo a quelle del “porcellum”, già sanzionate dalla Corte Costituzionale. Raccogliere almeno 500.000 firme per ciascun quesito referendario è un impegno difficile ma indispensabile, che si accompagna al proseguimento dell’iniziativa presso i tribunali per sollevare l’incostituzionalità della legge elettorale. Iniziativa che ha già avuto un importante risultato a Messina. Se la Camera, a metà aprile, approverà definitivamente il testo delle modifiche alla Costituzione contenute nella legge Renzi-Boschi procederemo al deposito del quesito referendario e inizieremo a raccogliere le firme per esigere il referendum costituzionale per iniziativa popolare.

 

Va chiarito che raccoglieremo le 500.000 firme necessarie per attivare il referendum costituzionale, ex articolo 138, in parallelo all’analoga iniziativa dei parlamentari. Infatti riteniamo necessario ed indispensabile raccogliere le firme sia per dare voce ai cittadini sia per far vivere nella campagna elettorale le ragioni del no sul merito delle modifiche della Costituzione su cui dall’inizio abbiamo insistito.

 

La garanzia che sarà in campo una critica netta ma di merito sulle modifiche proposte dal governo è che vengano raccolte le 500.000 firme necessarie per fare valere le ragioni del nostro No. Altrimenti potrebbe prevalere, per volontà del governo e di almeno parte dei suoi avversari politici, un referendum pro o contro il governo, lasciando in ombra il merito delle modifiche della Costituzione e la legge elettorale. Ci rendiamo conto che chiediamo a tutti coloro che sostengono la nostra iniziativa un imponente carico di impegni perché è prevedibile una sfasatura di qualche settimana tra la raccolta delle firme per abrogare le due norme dell’Italicum, che partirà il 9/10 aprile, e quella per ottenere il referendum costituzionale che deve attendere la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dopo l’approvazione della legge.

 

Dobbiamo sottolineare che gran parte della raccolta delle firme avverrà in contemporanea e che quindi i cittadini potranno esprimersi sul complesso dei referendum proposti da noi e così potremo meglio far comprendere l’intreccio perverso ed inscindibile tra modifiche della Costituzione e legge elettorale (Italicum) che portano al ribaltamento del fondamento parlamentare della nostra Repubblica per mettere al centro il governo, consentendo ad una minoranza di elettori di conquistare la maggioranza della Camera, unico ramo del parlamento rilevante a fronte di un Senato ridotto a dopolavoro di lusso. Si vogliono imporre modifiche istituzionali tali da consentire al governo di imporre politiche in materie di grande delicatezza ed importanza: dall’elezione del Presidente della Repubblica fino alle decisioni in materia di impegno militare, o peggio di guerra, alle condizioni di vita e di lavoro.

 

Il 9 e 10 aprile inizierà la raccolta delle firme per abrogare le due norme dell’Italicum, raccomandiamo ai comitati locali di curare tutti gli aspetti che consentono di garantire la piena validità dei moduli, convalidandoli come abbiamo indicato, assicurando la presenza degli autenticatori delle firme anche costruendo sinergie con gli altri soggetti che raccolgono firme per i referendum abrogativi sul lavoro e sulla scuola, notificando per tempo la presenza dei banchetti per la raccolta delle firme, che debbono sempre avere visibili i due slogan: No alla deformazione della Costituzione e Contro il carattere ipermaggioritario della legge elettorale e per garantire ai cittadini il diritto di eleggere i loro rappresentanti. Inoltre è bene avere materiale di presentazione da distribuire ai cittadini. Appena possibile quindi i moduli per raccogliere le firme diventeranno tre, uno per il referendum costituzionale e gli altri due contro l’Italicum.

 

Questa campagna referendaria è un modo per contrastare la sfiducia, per invogliare i cittadini ad avere protagonismo, a far valere concretamente la possibilità di contare e quindi di eservitare il diritto di ribaltare le decisioni che il governo sta tentando di imporre al paese. Anche per questo riteniamo importante un raccordo non solo operativo con le altre iniziative referendarie che sono in corso di organizzazione sul lavoro e sulla scuola e che sosterremo interamente. Per queste ragioni e perché condividiamo l’obiettivo di merito invitiamo i cittadini a recarsi al voto e a votare si al referendum contro le trivellazioni previsto per il 17 aprile, in modo da fare arrivare anche in questa occasione un chiaro messaggio al governo e alle oligarchie economiche del nostro paese.

 

La campagna referendaria che sta per inziare registra un’evidente sproporzione di mezzi finanziari e mediatici. Abbiamo idee forti e personalità di rilievo che sostengono questa lotta ma le nostre risorse sono del tutto insufficienti malgrado il nostro impegno sia del tutto volontario, senza rimborsi di alcun tipo. Per questo chiediamo a tutti i cittadini di sostenerci con contributi anche modesti per consentire ai due Comitati di svolgere la campagna referendaria su Costituzione e legge elettorale. Anche 5, 10 euro - risorse che tanti possono mettere a disposizione della campagna referendaria - se sottoscritti da molti possono fare la differenza e consentirci di riequilibrare almeno in parte la sproporzione delle forze in campo.


Venezia, 22 Marzo 2016


La festa del papà

Essere contemporanei e al passo coi tempi significa, per molti militanti politici radicali e di sinistra, distruggere tutto ciò che ha caratterizzato fino ad oggi la nostra civiltà occidentale? 

Noi pensiamo di NO.

Noi ci opponiamo a questa visione/ideologia che con il relativismo tende ad affermarsi non solo nelle giovani generazioni.

Lo Stato italiano, come la stragrande parte delle democrazie europee ed americane, hanno incardinato nelle loro Costituzioni il sacrosanto principio di laicità (non di laicisimo o ateismo di Stato): riconoscere ciò che la società vive e sente come ‘propriamente suo’ dentro la legge pubblica.

Un esempio su tutti: l’art.29 della Costituzione dove lo Stato italiano riconosce la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna. Non definisce la Repubblica italiana che cos’è famiglia, ma si assume la responsabilità di riconoscere ciò che la comunità che costituisce lo Stato ha assunto da sempre come tale. La battaglia a difesa delle mamme e dei papà d’Italia non è una battaglia clericale o bigotta: è una lotta di civiltà a tutela dell’umano che da sempre ha riconosciuto la famiglia nell’incontro tra un uomo ed una donna destinato alla procreazione.

Così avviene per le festività cattoliche riconosciute in Costituzione. 

Tutta questa presenza ed evidenza pubblica della fede (cattolica) oggi trova negli amministratori della sinistra rosso-arcobaleno i più agguerriti nemici. 

Anche la polemica relativa alle benedizioni pasquali nelle scuole di Bologna e in alcune scuole di Milano e in alcuni uffici comunali e' frutto della politica di sinistra e anticlericale. 

Cosa accade con la festa del papà, San Giuseppe, che si celebra,  come di consueto il 19 Marzo? A Bologna diverse scuole sono terra di scontro. Con un volantino, tre scuole dell’infanzia hanno fatto sapere che per oggi non organizzeranno iniziative per la Festa del Papà e nemmeno per quella della Mamma ‘nel rispetto di tutte le situazioni familiari’. 

" ....Ecco applicato il metodo del qualunquismo culturale e del relativismo un tanto al chilo. Per non affermare chi sono io, elimino ogni riferimento minimo alla mia storia ed alla mia cultura millenaria Errore enorme e grossolano che si prefigura come boomerang per un’integrazione vera ed autentica e non consente ai più piccoli di familiarizzare fino in fondo con le radici più profonde della propria comunità civile. Quale discriminazione si verificherebbe festeggiando il papà o la mamma? Perché una donna che ha figli che cos’è? Perché un uomo che ha figli che cos’è? Una mamma ed un papà. Punto. Il resto sono frottole. (ha dichiarato e pubblicato Mirko De Carli, Candidato Sindaco per Il Popolo della Famiglia). 

Condividiamo che non sia accettabile la retorica del genitore 1 e genitore 2 che già da tempo si è cercato di regolarizzare nella burocrazia scolastica e non solo: non si può non riconoscere ciò che c’è e ciò su cui si poggia la nostra convivenza civile: mamme e papà. 

Una società che non riconosce un ruolo sociale alle mamme e papà che la costituiscono e la rendono florida è una società che tende ad autodistruggersi e a morire lentamente. Oggi, da Nonno, INSIEME agli altri Nonni, festeggeremo la festa del Papa' e della Mamma e invitiamo i genitori non solo di Bologna ma anche delle altre città, che sono presenti nei consigli di classe o di istituto di scuole che intendono non festeggiarla, di portare la questione in discussione tra genitori ed insegnanti al fine di evitare questa operazione di cancellazione dei simboli laici della nostra storia. 

Il Papa' e la Mamma non sono l’architrave di un club di clericali bigotti, ma sono l’asse portante della comunità civile.

Non c’è società che non si fonda su una visione antropologica fortemente ancorata su ciò che è insito nella natura stessa dell’umanità: uomo e donna

Le scelta di vita per un Papa' e per una Mamma non sia solo un fatto privato, ma sia una testimonianza di bene per la comunità intera nel dibattito e confronto politico che si sta svolgendo nel nostro Paese. 

Come Cristiani, sarebbe un gravissimo danno, per il futuro, che farebbe arretrare la nostra cultura se rinunciassimo alla festa del Papa' e della Mamma, significherebbe sottomettersi alla moda del politically correct e rinunciare ad affermare pubblicamente la nostra Fede e la nostra identità, la nostra storia e le nostre tradizioni.                                              

 

Antonino Giannone                                      

 

 Vice Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)

Milano, 19 Marzo 2016


Chiarezza al centro

 

Le prossime elezioni amministrative saranno il banco di verifica della fine dei cascami partitici della seconda repubblica, entrata nella fase del trionfo del trasformismo politico e del totale distacco delle istituzioni dalla concreta realtà sociale del Paese.

 

Lo sfascio del centro destra e la rottura a sinistra del PD renziano in molte città in cui si voterà, porterà agli esiti estremi il processo di superamento del dilemma Berlusconi SI-Berlusconi NO che aveva segnato il ventennio 1994-2015.

 

Salvini e la Meloni hanno scelto di riunire la destra sulle posizioni lepeniste dando fiato alle possibilità del M5S di conquistare il governo di diverse città italiane, insieme alla necessità di un definitivo chiarimento nel centro della politica italiana.

 

Consumato nel Veneto a suo tempo e in malo modo il divorzio da Flavio Tosi, grazie alle posizioni più equilibrate del governatore Zaia, la Lega ha saputo conservare e rafforzare il suo ruolo di governo di quella regione, nonostante le posizioni lepeniste di Salvini  lontane mille miglia dalla cultura democratica e  popolare di quella terra.

 

In Lombardia, che con la Liguria e il Veneto, è l’ultima roccaforte dell’antica alleanza del centro-destra, invano il Governatore Maroni aveva tentato di  contrastare Salvini ricordandogli che il candidato sindaco della capitale spettava, secondo gli accordi, a Forza Italia.

 

Preoccupato di ciò che potrebbe accadere alla sua giunta lombarda, colpita duramente dalle vicende degli ultimi arresti eccellenti, assai più altisonanti di quelli che a suo tempo costrinsero Formigoni, proprio su sollecitazione della Lega, alle dimissioni, Maroni comprende benissimo che, sulle posizioni lepeniste del giovane dalle felpe multiformi, si può anche incrementare di qualche punto la percentuale del consenso elettorale, ma non si governeranno mai le Regioni economicamente più forti dell’Italia e lo stesso governo centrale.

 

Anche nella Lega, dunque, dopo le amministrative si imporrà un chiarimento, così come lo si dovrà fare in quello che un tempo fu il centro, oggi disarticolato e frantumato in una serie di schegge impazzite le cui traiettorie sono rese complicate e divergenti dalla melassa trasformista a livello parlamentare  e nelle sedi locali, e, soprattutto, dalla pochezza delle leadership sin qui emergenti ed emerse tra patetiche figure di replicanti e aspiranti generali neofiti senza esercito.

 

Non abbiamo condiviso la scelta affrettata compiuta da alcuni amici di dar vita, ieri,  con tempi e metodi errati all’ennesimo tentativo di federazione popolare, per la quale ci siamo pure battuti in tutti questi anni.

 

Sarebbe stato opportuno farla nascere subito dopo il patto di Orvieto, quando alcuni di coloro che oggi si sono ascritti il ruolo di avanguardisti, erano stati i più tiepidi o addirittura gli elementi frenanti di quel progetto. In tal modo si sarebbero potute preparare delle liste unitarie dei popolari alle amministrative di primavera.

 

Farla ora, divisi come gli stessi protagonisti sono nelle diverse realtà in cui si voterà per i rinnovi dei consigli comunali, appare come il tentativo affrettato di naufraghi in cerca di un’improbabile ciambella   di salvataggio e di sopravvivenza.

 

Ne è derivato un organismo espressione di vecchi personaggi, alcuni dei quali sulla scena dagli anni ’60, sostanzialmente chiuso e autoreferenziale per la soddisfazione di qualche cantore di seconda e terza fila in cerca di una prossima candidatura parlamentare.

 

Si tratta di prendere atto che, con le prossime elezioni amministrative si chiude definitivamente con  la seconda repubblica, la composizione degli schieramenti e delle stesse forze politiche che di quella fase sono le eredi.

 

Per noi popolari “ Liberi e Forti”, che non intendono sposare le posizioni estremistiche di Salvini e Meloni, a Roma, come già più volte annunciato, sosterremo il miglior sindaco per la nostra capitale, Guido Bertolaso e a Milano, l’amico Nicolò Mardegan con la sua lista NOIxMILANO; l’unica autentica novità del panorama politico meneghino, preparandoci a sostenere, insieme a quanti intendono porsi in alternativa al trasformismo renziano, la madre di tutte le battaglie: la partecipazione ai comitati per il NO al combinato disposto riforma costituzionale e legge super truffa dell’Italicum.

 

Di lì ripartiremo per ricostruire l’unità del centro alternativo al renzismo e  ai populismi estremi, come concordammo nei documenti di Rovereto e Orvieto sin qui inapplicati.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 17 Marzo 2016

 

 


Triste Spettacolo

 

Ciò che accade a Roma alla vigilia delle elezioni comunali assume i caratteri dell’inverosimile a chi come noi, vecchi DC non pentiti, ne hanno viste tante nella lunga stagione della Prima Repubblica, ma, onestamente, mai ai livelli di bassa lega cui stiamo assistendo.

 

Non sappiamo se il Cavaliere abbia malcelati interessi condivisi con “ il giovin signore fiorentino”. Il salto della quaglia del fedelissimo Verdini, supporter oggi indispensabile alla sopravvivenza del governo farlocco e il fascio-renzismo del berluscones d’antan di Giuliano Ferrara, non credo possano di per sé annullare l’alternatività fisiologica al renzismo, che è nel DNA della maggior parte dei nominati in parlamento e, soprattutto, della base elettorale di Forza Italia.

 

Restano i sussurrati scambi di favore tra interessi di casa Mediaset e quelli che, alcuni maliziosi interpreti della politica nostrana, definiscono gli aiutini che Berlusconi sta offrendo a Renzi con la scelta di alcuni deboli candidati a Sindaco nelle principali città italiane, tali da risultare dei meri sparring partners preparatori degli scontri finali tra quelli del PD e del  M5S.

 

Triste spettacolo aggravato dalla scomparsa di ogni residua rappresentanza di ciò che resta dell’area  cattolico popolare, ancora vittima della propria colpevole  frantumazione e delle residue velleitarie propensioni di qualche presunto leader al ruolo di capo di stato maggiore di un esercito senza soldati.

 

Uno spettacolo triste, aggravato dall’illusione di alcuni interpreti che, da Marchini a Roma a Passera a Milano, tentano la pericolose avventura di corse solitarie destinate a  favorire soltanto il duello finale di cui sopra.

 

Anche a sinistra gli episodi indecenti delle primarie romane e napoletane e il caso della candidata del M5S Bedori a Milano, rappresentano la situazione di progressivo sfaldamento degli ultimi residui di sotto rappresentanza politica e di tenuta dei partiti non partiti.

 

Siamo alla scomposizione progressiva e inarrestabile di quelli che per i vent’anni della seconda repubblica sono stati gli elementi costitutivi dello scontro politico: l’ex Ulivo da un lato e l’ex Casa delle Libertà.

 

Schemi obsoleti ormai relegati ai neuroni della memoria, mentre il trasformismo renziano dominante tutto confonde in una melassa informe nella quale nuotano i transumanti parlamentari.

 

Ciò che rende ancor più grave la situazione è lo scollamento sempre più forte tra un Parlamento e un governo lontani mille miglia dalla reale situazione economica, sociale e culturale di un Paese allo sbando, che non si riconosce più nelle istituzioni inespressive della sovranità popolare.

 

Può darsi che alle comunali possa ritornare una voglia di partecipazione democratica e popolare più forte, ma, rebus sic stantibus, si sta preparando una corsa senza ostacoli per il M5S.

 

Così vanno le cose oggi nel nostro Paese sul piano politico generale con le conseguenti derivate territoriali locali. Una frantumazione di candidati e di liste, nella maggior parte dei casi, senza precisi e ben individuabili riferimenti ideali e culturali, che non facilita processi di ricomposizione di aree politiche omogenee.

 

Il passaggio, invece, successivo  alle prossime elezioni amministrative, sperando che il ministro degli interni non lo tiri troppo per le lunghe, sarà quella che per noi è la madre di tutte le battaglie: il referendum sulla riforma costituzionale e la legge elettorale.

 

Sarà quello, infatti, il banco di prova per una verifica definitiva tra chi si porrà a difesa della sovranità popolare e chi lavorerà, più o meno consapevolmente, per il Re di Prussia.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Martedì 15 Marzo 2016

 

 

 

 

 

Poteri forti internazionali e ossequenti esecutori  nostrani

 

Che la globalizzazione, con il prevalere della finanziarizzazione dei sistemi, punti a scassare le democrazie è  provato palesemente da ciò che accade in Italia: dal “golpe blanco” del Novembre 2011, con la sostituzione dell’ultimo governo espressione di una leadership votata dal popolo e dai seguenti governi a guida Monti, Letta sino all’attuale  di Matteo Renzi.

 

A livello internazionale succede che, superato il  principio del NOMA (Non Overlapping Magisteria), rovesciata la gerarchia tra etica, politica, finanza ed economia, è la finanza che detta gli obiettivi costringendo l’economia e la politica al ruolo servente, facendo trionfare a livello etico l’esclusivo perseguimento del profitto a breve, senza alcuna attenzione per il bene comune.

 

Annullata nel 1999, per responsabilità del presidente USA Bill Clinton, la legge bancaria  Glass Stegall del 1933, sotto la pressione dei grandi gruppi finanziari ( Lehman Brothers, Goldman Sachs, Morgan Stanley), fu superata la netta separazione tra attività bancaria tradizionale e l’attività bancaria di investimento.  In base a quella  legge, infatti,  le due attività non poterono più essere esercitate dallo stesso intermediario ( periodo 1933-1999), realizzandosi così la separazione tra banche commerciali e banche di investimento.  Con il  superamento intervenuto di quella  separazione, il prevalere nelle banche dell’attività di speculazione finanziaria a breve  e l’invenzione luciferina dei futures e dei derivati, si è giunti alla grave crisi finanziaria mondiale del 2007-2008. Con essa si è diffusa la pandemia dei derivati, che, di quella stagione di primazia della speculazione finanziaria, è la peste bubbonica  che ammorba tuttora il sistema bancario e finanziario a livello globale.

 

Una pandemia che, oltre alle conseguenze dirette sul piano delle politiche monetarie internazionali, produce effetti devastanti sugli stessi processi di democratizzazione in atto o emergenti nei diversi Paesi, nei quali viene sempre meno il ruolo degli stati nazionali, mentre si scarica sui ceti popolari, a  partire dal terzo stato produttivo e su quello dei diversamente tutelati, i costi del debito complessivo accumulato dai derivati oggi stimati del valore pari a circa 10 volte il PIL mondiale.

 

La Banca dei regolamenti internazionali (BRI) ha  pubblicato uno studio statistico sull'ammontare dei prodotti derivati nel mondo alla fine del 2013, arrivato ormai all'incredibile cifra di 710.000 miliardi di dollari (710.000.000.000.000 $). Tanto per comparare, il PIL degli Stati Uniti nel 2013 è stato di 16.000 miliardi di dollari, circa 44 volte meno. Questa massa di prodotti derivati è superiore del 20% rispetto al record precedente, raggiunto prima della crisi del 2008. Si parla spesso di bolle speculative, nelle azioni, nelle obbligazioni o nelle materie prime, di tutte, questa è la più gigantesca. Si pensi che il PIL di tutti i paesi del mondo nel 2013 era pari a 73.982 miliardi di dollari. L’ammontare dei derivati è quindi 10 volte il PIL mondiale! Negli ultimi 15 anni, mentre il PIL mondiale cresceva del 9% annuo, i derivati sono cresciuti annualmente del 52%.

Uno degli effetti immediati e riconoscibili del prevalere della finanza internazionale che scarica i suoi tragici errori sui sistemi interni nazionali è il recente decreto legge dell”Investment compact” assunto a Gennaio dal governo Renzi per l’accorpamento e fusione delle banche Popolari. Un provvedimento  tanto decantato dal “giovin signore fiorentino”, che il prof  Sapelli in un’intervista rilasciata a Sergio Luciano su Italia Oggi del Gennaio scorso, non ha esitato a definire  un autentico  “golpe”. Il professore, storico dell’economia e editorialista del  Messaggero, alla domanda di Sergio Luciano: “ Cos’è, ci risiamo con i complotti dei poteri forti stranieri e della Goldman Sachs? Risponde così: “Non ci scherzi troppo. C’è oggettivamente oggi sull’Italia un grumo di connessioni internazionali, di pressioni, dinanzi al quale il governo non ha una risposta. Un blitz del genere, per esempio, mette in pregiudizio anche la figura di Padoan, il ministro dell’Economia è lui. Mi stupisce che un uomo avveduto qual è abbia acconsentito a una cosa del genere.”

 

Si possono sintetizzare così gli effetti economici della finanziarizzazione internazionale, citando ciò che ha evidenziato il prof Marco Vitale in una sua recente lectio magistralis, il 9 Marzo scorso a Castellanza sul tema “ Il Processo di trasformazione del sistema bancario e finanziario”: Niente investimenti= Niente Innovazione=Niente Occupazione.  Ed è proprio quello che sperimentiamo ogni giorno in Italia e in Europa, un dramma cui affannosamente cerca di porre rimedio Mario Draghi responsabile della BCE. Dopo il Quantitative Easing, con l’acquisto di quantità predeterminate di attività finanziarie delle banche del sistema europeo, sin qui rivelatosi insufficiente,   ha introdotto l’ultima novità della scienza economica bancaria dei prestiti a tassi negativi per le Banche che prestano alle imprese e alle famiglie, a sostegno questa volta dell’economia reale, almeno si spera,  dopo che per diversi tempo sono state foraggiate a tassi di convenienza minimi per rincorrere bilanci in perdita sovraccaricati da futures e derivati mai risanati e , probabilmente non risanabili. Tanto che, proprio il Prof Vitale concludeva quella sua lectio con queste frasi: “se non si cambia il pensiero dominante, se non si smantella la finanziarizzazione del mondo, non solo non ci sarà nuova occupazione, ma ci sarà una nuova catastrofe finanziaria ed economica peggiore di quella del 2007-08”.

Ai voleri dei poteri finanziari che dominano il mondo, tuttavia, quanto sin qui richiesto ai fedele esecutori politici non basta. Non basta, com’ è accaduto in Italia, facilitare il processo di fusione e accorpamento decisi dall’”Investment compact” delle banche Popolari e del credito cooperativo, o introdurre  il bail in, l’indecente provvedimento assunto a livello europeo a danno dei correntisti depositari dei loro risparmi oltre il limite dei 100.000 €. Per completare l’opera  al “ giovin signore  fiorentino” i reali danti causa del suo potere fittizio, gli hanno chiesto  un secondo e ben più grave golpe, che è quello rappresentato dall’avvenuta quasi definitiva approvazione del combinato disposto riforma della costituzione con la legge super truffa dell’Italicum.

Uno stravolgimento assoluto della carta fondamentale, la Grundnorm che regola i rapporti istituzionali, politici e sociali dei cittadini italiani, compiuto da un Parlamento di nominati, illegittimamente eletti da una legge incostituzionale, anziché dall’unica istituzione costituzionalmente competente nelle condizioni politiche date, ossia da un’Assemblea Costituente espressa dalla volontà di quel popolo cui appartiene la sovranità nella Repubblica.

No le costituzioni antiche e quelle del dopo guerra, specie se rigide come quella italiana, sono di ostacolo al libero dispiegarsi delle volontà predominanti dei gruppi finanziari internazionali, e devono essere spazzate via con l’aiuto di servitori ossequienti disponibili alle più spericolate avventure.

Matteo Renzi con la conterranea ministra Boschi e supportato dal sodale Verdini si affanna a ripetere che: “ la sovranità appartiene al popolo e sarà il popolo a decidere se la nostra riforma va bene o no», aggiungendo subito dopo: “per noi decideranno i cittadini con buona pace di chi ci accusa di autoritarismo”, ma, gli ha ricordato Piero Ostellino il 12 marzo scorso su Il Giornale: “Se Renzi avesse uno straccio di cultura politica, avesse letto la Costituzione, sulla quale ha pur giurato, sapesse che cosa è e come funziona la democrazia moderna, non si sarebbe avventurato in una affermazione che ne rivela non solo l'autoritarismo, ma anche una buona dose di ignoranza. Se avesse letto le poche definizioni reperibili in qualsiasi buon libro che ne parla, si renderebbe conto di essersi espresso a vanvera. È vero che la sovranità appartiene al popolo, ma è anche un fatto indiscutibile che non è il popolo ad esercitarla, ma sono i suoi rappresentanti, liberamente eletti, ad averne l'«esercizio». La democrazia rappresentativa avrà molti difetti - il principale dei quali è l'abuso che gli eletti dal popolo ne possono fare a danno del popolo stesso, come hanno profeticamente scritto alcuni grandi liberali, da Burke a Constant, da Tocqueville a Einaudi , ma è anche la sola democrazia che conosciamo e che ha mostrato di funzionare. Se il riformismo di Renzi è tutto qui, c'è ampiamente di che rabbrividire...”

Ci sono ancora persone che non hanno compreso o fingono di non comprendere la portata dell’autentica madre di tutte le battaglie che si combatterà con il prossimo Referendum costituzionale? In gioco non c’è soltanto la sopravvivenza del governo farlocco del giovin signore, atteso che  Renzi ha avventatamente legato la sua leadership al successo del SI, ma ciò che rimane della sovranità popolare conquistata con il sangue e la dura lotta politica per la libertà e la democrazia dai nostri padri costituenti.

Non ci rassegneremo al progetto del trio toscano Renzi-Boschi-Verdini, esecutore materiale degli ordini dei mandanti di  poteri finanziari ben noti a livello internazionale  con i loro accoliti europei e nazionali, e combatteremo insieme a tutti gli amici del NO al referendum di qualunque fede e cultura politica, purché accomunati dalla volontà di difendere la sovranità popolare.  Lo faremo non solo per noi, che stiamo percorrendo l’ultimo miglio della nostra vita, ma, soprattutto, per i nostri figli e nipoti, con la speranza che comprendano la portata reale di ciò che siamo chiamati a decidere. Combatteremo da “ Liberi e Forti”, certi che, ancora una volta: NO PASARAN!

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Lunedi, 14 Marzo 2016

 

 

 


 Macroregione triveneta:  finalmente si parte

 

Giornata importante quella di Sabato 12 marzo scorso per il progetto della macroregione triveneta.

A Villa Pisani di Strà (VE), nella splendida sala Tiepolo si è svolto l’incontro promosso dal comitato per la macroregione triveneta con i sindaci veneti interessati al progetto.

Erano molti anni che non partecipavo a una riunione in una sala affollata di sindaci, amministratori locali, operatori economici, rappresentanti di partiti, movimenti e gruppi politico culturali su un tema destinato a elevare il livello del confronto politico nel Triveneto.

A Trieste nel pomeriggio, su iniziativa di un gruppo di giovani guidati da Riccardo Pilat, sul tema: “ Ripartiamo dalla formazione politica per ricostruire la classe dirigente del futuro”, si è svolto un dibattito a due voci tra l’ex Presidente della Regione Friuli V.Giulia,Renzo Tondo e il sottoscritto, sul tema: “Macroregione e specialità FVG”.

A Villa Pisani come a Trieste era programmata la partecipazione del sindaco di Venezia Brugnaro; a Villa Pisani per portare il suo contributo al progetto di macroregione, a Trieste per dibattere con Roberto Di Piazza, candidato a sindaco di Trieste e con Roberto Rosso, candidato a sindaco di Torino, sul tema: “La Buona amministrazione”.

In entrambe le riunioni Brugnaro non si è fatto vivo adducendo “altri impegni” imprecisati.

Passi per Trieste, dove speravo di poterlo in contrare dopo mesi di infruttuosi inseguimenti, ma non presentarsi al convegno di Villa Pisani, nella doppia veste di Sindaco di Venezia e della città metropolitana, credo costituisca un caso di rilevante inadempienza politico amministrativa per un personaggio che, temo abbia scambiato il ruolo pubblico del responsabile politico con quello di operatore industriale privato.

Una buona notizia sembra, tuttavia, pervenuta, con l’invito di Brugnaro ai responsabili del comitato promotore del progetto di macroregione triveneta a presentare lo stesso a Cà Farsetti a tempi brevi.

Confidiamo che Venezia, il cuore del progetto triveneto, sia, se non la prima, tra le prime città in grado di convocare il consiglio comunale per approvare  la delibera di richiesta del referendum popolare ai sensi dell’art 132 della Costituzione (vedi tutti i riferimenti sul sito www.macroregionetriveneta.org) .

 

Se a Villa Pisani i relatori hanno saputo rappresentare al meglio le condizioni, termini e modi per far partire il progetto del triveneto, a Trieste ho trovato,  sia nell’ex governatore regionale Renzo Tondo che nel candidato a sindaco di Trieste, Di Piazza, due validi e positivi interlocutori con i quali instaurare un dialogo proficuo e ampia disponibilità a perseguire obiettivi condivisi.

 

E’ unanime la consapevolezza della necessità di superare l’attuale suddivisione dello Stato in venti regioni, uno schema ritenuto da tutti insostenibile nella nuova realtà della globalizzazione e finanziarizzazione del sistema internazionale; così com’è condivisa l’idea di una macroregione speciale del Triveneto, nella quale non si tratta di togliere le specialità esistenti, semmai di spalmare detta specialità su tutte le realtà di quella che storicamente fu la X Regio di Augusto, ossia Venetia et Histria.

 

Certo si tratterà di avviare un sereno e costruttivo confronto per condividere non solo il percorso indicato dall’art 132 della Costituzione e dalla Legge 352/70 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione), ma le questioni inerenti alla governance del nuovo soggetto politico istituzionale, avendo consapevolezza dei rapporti oggettivi di forza e di rappresentanza esistenti tra Veneto, Friuli V. Giulia e Trentino AA.AA., ma avendo anche presente l’insostenibilità di una situazione che vede il Trentino AA.AA. trattenere il 90% delle entrate fiscali, il Friuli V.Giulia il 60% e il Veneto il 20%.

 

Ho ribadito le premesse su cui si basa il nostro progetto: il Nord Est ha necessità di un nuovo modello di sviluppo, frutto di una rinnovata alleanza fra cittadini. Il modello proposto non ha colore politico e non ha connotazione partitica, anche se piace ricordare che la scelta dello strumento indicato dell’art.132 della Costituzione, è merito del nostro amico Mimmo Menorello e la prima proposta fu proprio avanzata dai Popolari del Veneto in uno dei convegni preparatori della Scuola di formazione politica (Verona-Novembre 2015) e inserita nel Manifesto Popolare per il Veneto in vista delle recenti elezioni regionali. Spiace costatare la reazione a caldo del segretario della Lega Veneta, Da Re, con il suo pessimistico giudizio sulla bontà e praticabilità del progetto.

 

In realtà, di tutti i tentativi sinora ipotizzati e/o concretamente sin qui sviluppati, quello di procedere in sintonia con quanto i previdenti padri costituenti ebbero a prevedere anche per questa fattispecie  di riforma istituzionale, resta il più corretto e inoppugnabile sul piano giuridico amministrativo.

 

Ecco perché riteniamo che per un progetto di tale innovazione politica istituzionale e amministrativa sia giunto il tempo di mettere da parte le divisioni ideologiche e partitiche e  di spronare tutti i Sindaci del Triveneto ad approvare le delibere di richiesta del referendum per la fusione delle tre Regioni nella macroregione speciale del Triveneto. E nel frattempo dialogo aperto, sereno, leale e costruttivo con tutte le realtà culturali, sociali, economiche, politiche e istituzionali del Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige.

 

Ettore Bonalberti

Domenica 13 Marzo 2016




Non ci resta che il NO

 

Il virus del trasformismo che accompagna l’esperienza politico governativa di Matteo Renzi sta ammorbando l’intera scena politica. Se i 235 transumanti parlamentari sono la manifestazione palese dell’assenza di ogni riferimento ideale e politico culturale degli attuali nominati eletti illegittimamente, non più espressione della sovranità popolare, ma della volontà dei capi e capetti loro danti causa, è all’interno e fra i partiti, residue maschere delle culture politiche ormai scomparse, che il trasformismo genera i nuovi mostri.

 

Nel PD, ircocervo senza più anima, con le primarie di Roma e di Napoli si è raggiunto il massimo: nella capitale, con i trucchi delle schede bianche inserite nelle urne per mostrare una più elevata affluenza alle elezioni per la scelta del candidato sindaco; a Napoli con la compravendita del voto alla maniera laurina, indegna per il partito in larga parte erede  della tradizione del partito di Gramsci,Togliatti, Longo e Berlinguer.

 

Se a sinistra si piange o si dovrebbe assistere a un’autentica rivolta etica prima ancora che politico organizzativa, le cose non vanno meglio al centro e sulla destra della politica italiana.

 

Il centro è dominato dalle triste figure di quanti, eletti nelle liste del Cavaliere, sono oggi accoliti ossequienti al servizio del “giovin signore fiorentino” e dagli ostacoli che tuttora permangono nel difficile compito di ricomposizione dell’area popolare e di ispirazione democratico cristiana. Le stesse nuove aggregazioni attorno a Corrado Passera ( Italia Unica) e Gaetano Quagliariello (IDEA) se, da un lato, sono coerentemente schierate in alternativa al renzismo dominante, dall’altro, con grande difficoltà tentano di superare i limiti dell’autoreferenzialità per approdare uniti verso la formazione del nuovo soggetto politico capace di intercettare le attese e i bisogni del terzo stato produttivo e dei renitenti al voto.

 

La destra, come accade in vista delle prossime elezioni romane, mai come ora è stata divisa tra gli eredi dell’ex MSI-AN, dopo l’infausta stagione del delfinaggio finiano.

 

Infine, il Movimento Cinque Stelle, che sembrava potesse raccogliere il disagio di una vasta platea di scontenti, vede esplodere le contraddizioni di un movimento troppo forte per subire senza contraccolpi il condizionamento peloso del duo dominante Grillo-Casaleggio, e troppo giovane per sperimentare il necessario passaggio dallo statu nascenti a un partito strutturato secondo regole certe e democratiche.

 

E’ in questo desolante quadro politico che, tra qualche mese, i cittadini di alcune tra le più importanti città italiane saranno chiamati a scegliere i nuovi sindaci e consigli comunali, mentre si prepara il referendum sul combinato disposto riforma costituzionale del trio toscano e legge super truffa dell’Italicum destinato a segnare per lungo tempo le sorti dell’Italia. Alla mia generazione nata con la Repubblica, stanca e sfiduciata dall’indegno spettacolo offerto dalla politica italiana, compete il dovere di scendere in campo a sostegno del NO al referendum con quanti hanno a cuore le sorti della democrazia nel nostro Paese.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 10 Marzo 2016



Dallo statu nascenti al partito: due tappe decisive

 

Se sul fronte dei frammenti sparsi della vecchia area popolare e democratico cristiana il processo di ricomposizione sta andando avanti con molta difficoltà, le cose non vanno meglio su quello del “nuovo che avanza”.

 

Residui personalismi e presuntuose quanto velleitarie aspirazioni di leadership nell’area popolare rendono sempre più complicata la strada della formazione di una Federazione dei Popolari, tappa obbligata per giungere in tempi ragionevolmente maturi alla formazione del nuovo soggetto politico che, come condiviso a Rovereto e a Orvieto dovrà essere un soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da far tornare ai principi dei padri ispiratori, alternativo al socialismo trasformista renziano e ai populismi estremi.

 

Sin qui tutti d’accordo, ma tra i sopravvissuti in Parlamento, finisce col prevalere il tentativo di costruire una più consistente unione anche con gli amici “conservatori” di Fitto o di conservare uno splendido quanto improduttivo isolamento, mentre tra gli ex CDU, senza più parlamentari,  il pur comprensibile desiderio di non rinunciare al proprio status e ruolo.  Sembra prevalere una difficile combinazione tra l’autonomia rivendicata dagli amici di IDEA ( Quagliariello) e di Passera ( Italia Unica) e il richiamo della vecchia foresta berlusconiana che, allo stato degli atti, può portare solamente alla sommatoria di percentuali di consenso da prefisso telefonico.

 

Se queste sono le condizioni oggettive nelle quali sembra essersi impantanato il progetto dell’area popolare, non meno in salita è ciò che è avvenuto e sta accadendo nell’area più vasta del mondo cattolico con l’annuncio di Adinolfi e Amato del nuovo Partito della Famiglia.

 

Dopo la manifestazione del 30 Gennaio scorso del Family Day al Circo Massimo, è cresciuta l’aspirazione di molti fra coloro che hanno partecipato a quell’evento di cercare di passare dallo statu nascenti di movimento a quella più strutturata di partito, considerata l’inconsistenza politica dell’attuale frantumata  e inefficace rappresentanza di esponenti cattolici in Parlamento.

 

Sul DdL Cirinnà, se si eccettuano le coraggiose solitarie testimonianze dell’indomito Carlo Giovanardi, di Mario Mauro, con il soccorso di alcuni altri amici di altra cultura politica, come Maurizio Sacconi, Gaetano Quagliariello, Luigi Compagna e pochi altri, l’area degli ex DC come Formigoni o Lupi, si è divisa tra il coraggio del NO dell’ex governatore lombardo e la giustificazione a posteriori del compromesso farlocco della legge approvata avanzata dall’ondivago Lupi, prono nella difesa del sostegno al governo Renzi e pronto a schierarsi a Milano a fianco degli anti renziani per il voto di primavera.

 

Troppo poco per una realtà complessa come quella del vasto e articolato mondo cattolico senza più rappresentanza politica.

 

Adinolfi e Amato con il loro articolo su La Croce del 3 Marzo, “ L’Italia ha bisogno dei cattolici”, hanno lanciato la sfida con l’annuncio dell’avvenuta formazione del nuovo Partito della Famiglia. Un gesto  coraggioso che, tuttavia, ha determinato immediate perplessità e divisioni all’interno della stessa organizzazione artefice dei due eventi del Family Day e con lo stesso portavoce leader Massimo Gandolfini.

 

Il neurochirurgo bresciano in un’intervista a La Nuova Bussola, nel rilevare che la decisione del duo romano è avvenuta all’insaputa degli altri componenti del comitato dirigente del Family Day, ha giustamente osservato come: “ i partiti debbano occuparsi dell’impostazione generale e non affrontare le cose tematicamente”.

 

Siamo, dunque, nella classica situazione di stallo: da un lato il vecchio che declina diviso dal permanere di residue velleità di sopravvivenza senza speranza e, dall’altro, il nuovo che avanza con inevitabili fughe a rischio di possibili divisioni e  frustrazioni.

 

Si dovrebbe ricorre a una celebre indicazione di Papa Giovanni XXIII sul rapporto vecchi-giovani quando ammoniva i primi ricordando loro che: “ il mondo non finisce con essi” e evidenziava ai secondi che “ il mondo non comincia con loro”.

 

Dopo il ventennio della diaspora (1994-2016), la scomparsa del partito democratico cristiano, la frantumazione residuale di quel mondo diviso da opportunismi, abbandoni, disinvolte capriole di molti vocati a sopravvivere, da un lato, è forte la necessità di ricostruire un nuovo soggetto ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano interprete sul piano politico degli orientamenti pastorali della dottrina sociale cristiana;  dall’altro, c’è la necessità di verificare se e come facilitare il processo di ricomposizione garantendo l’offerta di “vino nuovo in otri nuovi”, ossia dell’emergere di una nuova classe dirigente.

 

Due le tappe essenziali di tale verifica:

a)    le amministrative di primavera, nelle quali ben vengano liste di area cattolica e popolare come quelle annunciate dal Partito della Famiglia che, ad esempio, ha saggiamente  deciso di scendere in campo a Milano a sostegno del giovane Nicolò Mardegan e della sua lista NOIxMILANO e a Bologna a fianco del combattivo Mirko De Carli.  A Roma attendiamo lo sviluppo dell’ ingarbugliatissima matassa;

b)   il referendum sulla riforma costituzionale del trio toscano Renzi-Boschi-Verdini e della legge super truffa dell’Italicum, che rappresenta il momento più importante e di svolta della politica italiana. Come annunciato dal leader Gandolfini, il popolo del Family Day si schiererà come molti di noi per il NO alla riforma costituzionale e il SI all’abrogazione della legge super truffa dell’Italicum. Sarà indispensabile costruire comitati civico popolari in tutti i comuni italiani nei quali concorreremo da cattolici e popolari con quanti, di altre culture politiche, hanno deciso di scendere in campo in difesa della democrazia ormai sospesa nel nostro Paese.

 

Credo saranno queste le cartine di tornasole per accertare se sono mature le condizioni per dar vita al nuovo soggetto politico, la saldatura tra il vecchio e il nuovo e  il definitivo  passaggio dallo statu nascenti al partito.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 6 Marzo 2016


Riflessioni disincantate di un “ DC non pentito”

 

Divisi sin qui tra chi, come il sottoscritto, da molti anni è impegnato nel tentativo di ricomposizione dell’area popolare di ispirazione democratico cristiana e chi, formulato un giudizio di totale irrecuperabilità di quell’esperienza, vagheggia di partito cattolico,   credo sia  giunto il momento di una seria riflessione in comune, considerato che, dopo la manifestazione del popolo del family day al Circo Massimo di Roma contro il DdL Cirinnà, è stata avanzata  le proposta della nascita del Partito della Famiglia.

 

Comincio con l’evidenziare ciò che accade nell’area di coloro che, con estrema semplificazione, denomino come “gli interni al sistema politico italiano” in progressiva decomposizione. E’ l’area su cui ho rivolto le mie più dirette attenzioni in tutti questi anni. Dopo la lunga attraversata nel deserto (1993-2008) nella quale, con lo pseudonimo di don chisciotte (www.don-chisciotte.net ), ho cercato di analizzare da osservatore non partecipante  ciò che accadeva tra le schegge impazzite della diaspora democristiana, ho dato vita nel 2009 ad ALEF (Associazione Liberi e Forti- www.alefpopolaritaliani.eu ) e, in successione: i circoli di Insieme (2010 www.insiemeweb.net ) , il tentativo di dare pratica attuazione alla sentenza della Cassazione che ha stabilito che la DC non è mai stata sciolta( lungo travaglio tra XIX Congresso nazionale del partito nel Novembre 2012 e azioni conseguenti tuttora in corso d’opera) sino a sperimentare con Mario Mauro, Potito Salatto e i Popolari per l’Italia un significativo percorso di iniziative  comuni. Particolarmente positiva l’esperienza con gli amici popolari del Veneto guidati da Mimmo Menorello, con il quale si continua a tentare di tenere viva la bandiera del popolarismo nella nostra Regione.

 

Con il convegno di Rovereto prima (18 Luglio 2015) e il Patto di Orvieto poi (28 e 29 Novembre 2015- documento sottoscritto con Mario Mauro, Carlo Giovanardi e Gaetano Quagliariello)  ho condiviso con l’amico Ivo Tarolli l’idea espressa nei seguenti otto punti:

1.la domanda di Nuova Politica, o se si preferisce: la domanda di una Nuova Offerta Politica c'è,  è  forte, è oggettiva. Quindi la sfida è intercettarla, sintonizzandosi con essa senza però  farsi risucchiare!!

2. La risposta non può  ridursi alla sola sfera organizzativa!! Che ci deve stare! Per forza! Ma non può  essere la ragione intima di questa iniziativa.

3. La sfida, incompiuta, della riaggregazione dell'area liberaldemocratica,  popolare, che trova alimentazione nella Dottrina Sociale Cristiana, anche sulla scorta degli errori degli ultimi 20 anni, richiede: coinvolgimento (e quindi sollecitazione alla partecipazione della costruzione della polis), coinvolgimento territoriale (se vogliamo superare il modello solo mediatico), richiede progettualità  e concretezza per rispondere alle tante emergenze: da quella del lavoro a quella etica, da quella dell'emigrazione a quella finanziaria, etc.

4. Per questo a Rovereto, si era convenuto che prima di arrivare al Nuovo Soggetto Politico si dovesse lavorare per dar vita ad una Nuova Grande Area politico-culturale, eterogenea, ampia e quindi per forza grande! Composta di Partiti, Associazioni, Movimenti, e anche persone generose e motivate!!! 

5. Queste premesse per dire che: dar vita ad una Federazione, come si tenta di fare in questi giorni, non è sbagliato! Anzi! Purché  si abbia chiaro lo scenario è il punto di arrivo. È  evidente che questo passaggio se vuole aggiungere un mattone a quanto iniziato a Rovereto; proseguito ad Orvieto (ma pure preceduto da coloro che hanno favorito il sorgere del NCDU e dei Popolari per l'Italia!) dovrà  avere la caratteristica di essere: aperto, plurale, grande!! 

6. Per questo lo Statuto della Federazione dovrà essere aperto all’adesione di nuovi ulteriori partiti, associazioni e movimenti, in vista dell’individuazione delle forme più opportune per far convivere l’adesione al nuovo soggetto politico di movimenti e organizzazioni già esistenti e l’adesione dei singoli, donne, uomini, giovani, anziani, personalità del mondo delle professioni, della cultura, dell’associazionismo e cittadini che si sentono esclusi dall’attuale politica e che sono disponibili a nuove forme di impegno civile.

7. Per questo il nuovo soggetto dovrà essere privo di primogeniture (sia aperte che sottintese) ma generoso e, quindi, guidato da un "Coordinamento" dove tutti si sentano protagonisti e parte di una "squadra"!!! 

8. Il referendum prossimo dovrà  essere non una occasione, ma l'occasione irripetibile per aggregare, ascoltare, coinvolgere e motivare attorno ad una questione vera la grande area dei "distanti o delusi". Primo banco di verifica: unità nel comitato Popolare per il NO alla pasticciata riforma costituzionale del trio toscano Renzi-Boschi-Verdini e SI all’abrogazione della legge super truffa dell’Italicum con avviso di sfratto al trasformismo politico parlamentare  su cui fonda il suo governo “ il giovin signore fiorentino”.

 

A maggior ragione questo percorso va sviluppato, tenendo presente, da un lato,  i fattori di inerzia, quando addirittura di freno e/o retromarcia, che permangono nelle consunte e residuali casematte dove si vive la tranquillità dell’inutile, improduttiva e rovinosa autoreferenzialità, e ciò che di forte novità è rappresentato dall’annuncio del nuovo partito della famiglia. Tema quest’ultimo  che sarà oggetto di una mia prossima riflessione.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 4 Marzo 2016

 


E’ nato il Comitato Popolare per il NO al referendum

 

Martedì 1 Marzo con atto notarile si è costituito a Roma il Comitato Popolare per il NO al referendum.

Tra i firmatari, i senatori  Mario Mauro, Carlo Giovanardi, Potito Salatto, Ivo Tarolli, Luigi Compagna; gli Onn. Mario Tassone e Maurizio Eufemi; per  ALEF (Associazione Liberi e Forti) Ettore Bonalberti e Antonino Giannone, per gli amici del documento di Rovereto, Marco d’Agostini, e tanti altri esponenti di associazioni, movimenti e gruppi di ispirazione cattolica, popolare, laico liberale. Le ragioni di questa decisione sono contenuti nel documento sottoscritto che evidenzia  alcuni punti negativi della legge; punti  che saranno spiegati e sviluppati nella campagna per il referendum:

1 Il Presidente del Consiglio ha fatto sin dall’inizio della riforma un problema personale, riforma che stravolge i principi fondamentali della Costituzione Repubblicana, con norme disarticolate, facendo un uso scorretto della stessa Carta. È necessario che si costituisca una larga aggregazione trasversale a difendere, attraverso il referendum, la Repubblica Parlamentare e a ripristinare l’armonia istituzionale, come avvenne inoccasione del referendum del 2004 che bocciò quella riforma costituzionale votata solo da una parte del parlamento.

2 La Riforma Costituzionale modifica radicalmente l’impianto delle Istituzioni democratiche previste dai Costituenti, alterando il principio dell’equilibrio dei poteri e non definisce i compiti dei senatori

3. Gli elettori vengono spogliati dal potere di eleggere i Senatori che saranno espressione verticistica dei Consigli Regionali;


4. Il Senato della Repubblica è stato creato come un mostro dalle varie teste:
organo legislativo; di iniziativa legislativa; di impulso legislativo (ma senza poteri deliberanti), per la conversione dei decreti legge; organo cui viene inviato ogni disegno di legge approvato dalla Camera, in ordine al quale entro termini brevissimi, può formulare proposte di modifica del testo, modifiche che la Camera può disattendere; organo consuntivo; organo di rappresentanza delle istituzioni territoriali e di verifica dell’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori, ecc.;

5. Il Presidente della Repubblica ha poteri ridotti perché non potrà nei casi previsti dalla stessa Costituzione "sciogliere" il "nuovo" Senato;

6. Il Presidente della Repubblica vede affievolito il suo potere di rinvio alla Camera delle leggi, in quanto si scontrerebbe con la posizione dominante del Presidente del Consiglio;

7. La legge elettorale, che ha elementi di incostituzionalità perché non rispetta la sentenza della Corte, collegata alle modifiche costituzionali farà della Camera dei Deputati uno strumento del partito che vincerà le elezioni con una maggioranza relativa dei voti acquisiti in virtù di uno sproporzionato premio di maggioranza;

8. Il Presidente del Consiglio governa con il “suo” partito la Camera dei Deputati con il “controllo” della maggioranza dei deputati del “suo” partito;

9. I cittadini che invocano sempre maggiori controlli e verifiche sulla attività delle Istituzioni e dei rappresentanti, dirigenti e funzionari, si trovano di fronte a una riforma costituzionale che elimina ogni possibilità di sindacato ispettivo sostanziale e lascia il Paese al libero arbitrio del partito di maggioranza e del Presidente del Consiglio che esprime.

In conclusione i sottoscritti ritengono necessaria la battaglia referendaria: dire chiaramente NO a questa riforma costituzionale ed implicitamente alla legge elettorale rappresenta un dovere per ogni cittadino italiano che ha a cuore il valore della “rappresentanza democratica” in una Repubblica Parlamentare, ed allo scopo di promuovere e sostenere tale indirizzo

Accanto al già costituito comitato per il NO al referendum (Alberto Vannucci e Gustavo Zagrebelsky) e al comitato stati generali Repubblica italiana  (Domenico Gallo e Alfiero Grandi, Paolo Maddalena) è sorto ora il comitato di ispirazione popolare che ha affidato la Presidenza all’On Giuseppe Gargani.

 

Due gli obiettivi che ci si propone: No alla pasticciata riforma costituzionale del trio toscano Renzi-Boschi-Verdini, SI all’abrogazione della legge super truffa dell’Italicum ora in corso di esame di costituzionalità presso la Consulta.

Nessuna volontà di divisione, semmai quella di apportare il contributo di una componente politico culturale che ha concorso con i suoi  esponenti migliori (De Gasperi,  Mortati, Lazzati, La Pira, Moro e Fanfani) alla costruzione della Carta fondamentale della Repubblica.

Siamo coscienti che quella del referendum sarà l’ultima occasione per impedire la deriva autoritaria che le forze del turbocapitalismo finanziario stanno determinando in Europa e nel mondo. E sappiamo che non lo facciamo per noi che siamo nati agli albori della Repubblica, ma per inostri figli e nipoti, affinché siano preservati per loro i diritti fondamentali di democrazia, giustizia e libertà oggi a grave rischio.

Con quanti dei diversi comitati saranno disponibili siamo impegnati a costruire in tutti i comuni italiani i Comitati civico popolari per la difesa della sovranità popolare e il NO al referendum.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 3 Marzo 2016

 


O uniti su Bertolaso o cittadinarie con regole

 

A Milano come a Roma, in presenza di candidature plurime,  gli amici di ALEF hanno proposto di utilizzare la bozza di un regolamento che avevano redatto per le elezioni comunali a Venezia per lo svolgimento delle “cittadinarie” per la scelta del candidato a Sindaco.

 

A Venezia non ce ne fu bisogno, considerata l’unanimità che si trovò sulla candidatura di Brugnaro alla fine risultata vincente,  anche se , a quasi dieci mesi dalla sua avvenuta elezione non mancano le delusioni, tra molti degli stessi suoi elettori,  per un sindaco chiuso nella sua turris eburnea e che sta assumendo sempre più il carattere del parvenu di provincie, una sorta di “Berluschino veneziano”.

 

Diverso il caso romano dove, dopo l’annuncio di un accordo tra il trio della manifestazione di Bologna ( Berlusconi-Salvini-Meloni) sulla candidatura di Guido Bertolaso, il leader della Lega ha ritenuto di mettere in discussione quella scelta, aprendo i gazebo per sondare la volontà dei romani su un più ampio schieramento di candidature.

 

Alla fine, poco più di diecimila romani hanno votato e nessuno dei candidati ha superato la soglia del 50%, tanto che Salvini ha dovuto ammettere che “ con questi nomi perdiamo, servono primarie vere”.

 

Una cosa è sicura: divisi si perde per cui  o si ritrova l’unità su una candidatura condivisa o meglio sarebbe ricorrere alle “cittadinarie”, magari utilizzando proprio le regole che ci eravamo permessi di indicare per Venezia e Milano.

 

Da parte degli amici di ALEF come  a  Milano sosteniamo senza se e senza ma l’unico elemento di autentica novità rappresentato dalla candidatura di Nicolò Mardegan con la sua lista di NOIxMILANO, (che ha da sempre espresso la volontà di concorrere alla fine insieme a coloro che intendono battersi in alternativa al dominio esercitato per molti, troppi anni, dalle giunte di centro-sinistra, ora rappresentate dalla candidatura del trasformismo renziano di Giuseppe Sala), a Roma crediamo che Guido Bertolaso possa rappresentare il candidato che può offrire alla città il meglio delle sue competenze professionali dimostrate sul campo.

 

Ho avuto la fortuna di conoscere il dr Bertolaso nei primi anni del 2000, quando in Regione Lombardia dirigevo l’assessorato alle OO.PP. e alla protezione civile, al tempo in cui Bertolaso era a capo della Protezione civile nazionale. Abbiamo instaurato una positiva collaborazione attivata in alcune situazioni emergenziali di particolare gravità ( terremoto in Molise) e ho potuto così apprezzare, accanto alle sue  indubbie capacità tecnico- professionali,  la sua carica umana e la passione civile fondata su solidi principi di ispirazione cristiano sociale.

 

Come sul piano politico siamo impegnati a concorrere alla ricostruzione dell’area popolare, liberale e riformista in Italia e a Roma in particolare, così vorremmo che,  a partire dalle prossime elezioni amministrative romane, la stessa unità di intenti si potesse realizzare per condurre un confronto elettorale destinato a incidere seriamente non solo sui destini amministrativi  di Roma, ma sugli stessi equilibri politici nazionali.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 1 Marzo 2016



E se invece della rivolta politica avvenisse quella fiscale?

 

Uno Stato che richiede ai suoi cittadini onesti un carico fiscale equivalente a sei sette mesi  di lavoro gratis per le pubbliche finanze sino a  quando potrà essere sopportato?

Soddisfatti i membri della casta e in discreta percentuale quelli dei “diversamente tutelati”, spetta al terzo stato produttivo l’onere della tenuta del sistema, mentre il quarto non Stato sguazza nelle inefficienze, mancanze di controlli e nelle connivenze con parti “sensibili” della casta e continua a fare gli affari sporchi suoi. Sul carattere degli italiani hanno scritto pagine memorabili Guicciardini (“ Se tu fiderai nelli italiani, sempre aurai delusione”)  e Leopardi (v. “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'Italiani” per non parlare del compianto Ennio Flaiano “ gli italiani sono sempre pronti a salire sul carro del vincitore”. Anche il Duce non scherzava quando sosteneva, come già  Giovanni Giolitti che: “ governare gli italiani non è impossibile, è inutile”. Il più caustico Giuseppe Prezzolini, che così scriveva: “ In Italia il furbo è sempre in un posto che si è meritato non per le sue capacità, ma per la sua abilità a fingere di averle”. E ancora: “L’italiano è un popolo che si fa guidare da imbecilli i quali hanno fama di essere machiavellici, riuscendo così ad aggiungere al danno la beffa, ossia l'insuccesso alla disistima, per il loro paese. Da molti anni il programma degli uomini che fanno la politica estera sembra riassumersi in questo:  mani vuote, ma sporche.

Esiste, tuttavia, un limite alla capacità di sopportazione di un popolo che pure è rappresentato con queste non commendevoli qualificazioni; un limite che è dato dalla sua capacità di tenuta sul piano concreto economico e finanziario.

Se spetta soprattutto al terzo stato produttivo il maggior onere per il sostegno di un’organizzazione statale vecchia e arrugginita, con costi progressivamente elevati ed efficienza ed efficacia pressoché nulle, considerato che questo stesso terzo stato è rimasto da tempo privo di qualsivoglia rappresentanza politica, vessato oltre ogni limite ragionevole da uno Stato onnivoro, esso finirà con il rifugiarsi o nella sperimentata e in molti casi necessitata evasione o in quella che ho già denominato “la rivolta fiscale passiva”.

Intendo per rivolta fiscale passiva  quella che può accadere, e con molta probabilità accadrà come scrivevo in una nota del 2 dicembre scorso: “se il terzo stato produttivo non ce la fa più a produrre ricchezza per mantenere gli altri  tre stati (casta, diversamente tutelati e quarto Non stato, nelle loro diversificate sottoclassi) nella migliore delle ipotesi avremo una rivoluzione fiscale passiva per incapacità di far fronte agli obblighi fiscali insostenibili, nella peggiore  una rivolta sociale cruenta.”

Matteo Renzi e Padoan continuano a predicare tranquilli e sereni che tutto va bene, mentre, in realtà, se il governo non dovesse intervenire tempestivamente per tagliare la spesa pubblica, le clausole di salvaguardia previste dall’ultima legge di stabilità scatterebbero, portando in dote un aumento di tasse superiore a 54 miliardi di euro. E’ quanto si rileva da un’analisi del Centro studi di Unimpresa.

Ciò che con fatica sembra non emerge a livello politico istituzionale, temo che potrà derivare dalle concrete condizioni di insostenibilità economica e finanziarie  dei ceti medi produttivi e delle classi popolari ridotte alla miseria.

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 29 Febbraio 2016

 




Destra e sinistra nell’età del trasformismo

 

235 cambi di casacca dei parlamentari in meno di due anni sono la cifra del trasformismo imperante nell’attuale Parlamento italiano. Un trasformismo coerente con quello che, a livello partitico, ha caratterizzato l’ascesa di Matteo Renzi. nel PD e  la sua conquista per via desuete della presidenza del Consiglio  

 

Cos’è oggi il PD se non un ircocervo guidato da “ un giovin signore” di origine destrorsa, lontano mille miglia dalle tradizioni fondanti di quel partito, abilissimo scalatore di un partito ormai esangue con la complicità di poteri forti interni e internazionali ?

 

Con il voto sul Ddl Cirinnà si sta verificando la palese condizione della nostra grave crisi politico istituzionale, caratterizzata da un parlamento di nominati, eletti da una legge, “il porcellum”, dichiarata incostituzionale e da un governo che, per la terza volta, è guidato da una personalità mai eletta, il quale, senza il contributo dei transumanti  trasformisti al Senato, non avrebbe neppure la maggioranza.

 

Può dispiacere a qualcuno, ma non c’è dubbio che l’ultimo governo legittimo eletto dal popolo italiano è stato l’ultimo governo Berlusconi caduto, soprattutto,  per i pesanti condizionamenti internazionali nel Novembre del 2011.

 

 Da quel momento abbiamo avuto, infatti, la palese dimostrazione della fine della sovranità popolare in Italia. Una sovranità che si tenta adesso  di annullare anche formalmente con il combinato disposto della riforma costituzionale e della legge super truffa dell’Italicum che, di fatto, se approvato dal prossimo referendum, consegnerà a una minoranza del corpo elettorale il controllo di tutto il sistema politico e di potere in Italia.

 

La condizione nella quale è potuto accadere tutto ciò si collega, da un lato, al venir meno delle culture politiche che hanno fondato il patto costituzionale sancito nella Costituzione del 1947, dopo la crisi della prima repubblica (1948-1994) e la fine dei partiti e, dall’altra, alle profonde trasformazioni epocali geo politiche e di assetto dei poteri a livello internazionale.

 

Quanto alla prima causa con la scomparsa del pentapartito da un lato, e di quello che fu il PCI, costretto alla progressiva trasformazione in PDS, DS sino all’unificazione con la Margherita nel PD.  sulla scena politica italiana hanno fatto irruzione movimenti dai caratteri populistici e leaderistici, i quali, assai faticosamente hanno tentato e tentano di dar voce e rappresentanza a ceti e classi sociali sempre più allo sbando, con una partecipazione politica ridotta al lumicino,  sino alla fuga dal voto che ha raggiunto e superato la soglia del 50% del corpo elettorale.

 

La crisi economica e finanziaria e la crisi politico istituzionale che accompagnano una gravissima crisi della morale e dell’etica pubblica e privata, sono le concause della disaffezione sino all’abbandono dell’esercizio di uno dei pochissimi strumenti  della sovranità popolare che è l’espressione del proprio voto.  Un’espressione resa in sostanza mutilata dal “porcellum” prima e ora dalla proposta dell’”Italicum”,  considerato che gli elettori sono stati privati  totalmente o in parte   della preferenza nel voto dei candidati  presenti nelle liste, i capi in testa delle quali sarebbero tutti designati dai capataz degli ectoplasmi partitici sopravvissuti.

 

L’incapacità da parte degli attuali partiti di offrire rappresentanza al ceto medio produttivo e di larga parte dei diversamente tutelati è una delle condizioni di maggiori rischio per la nostra democrazia.

 

Assai più complessa e grave è la situazione a livello internazionale, da cui discendono la principali conseguenze finanziarie, economiche e politiche istituzionali nei diversi Stati presenti sul pianeta.

 

Con il rovesciamento dei principi del NOMA ( Non Overlapping Magisteria) e il primato affidato alla finanza che fissa gli obiettivi e l’economia e la politica ridotte a ruoli subalterni, larga parte delle decisioni che sono assunte, per quanto ci riguarda più direttamente, in sede europea e nazionale , derivano dagli obiettivi stabiliti dai gruppi finanziari dominanti.

 

Come ha ben sintetizzato Alberto Micalizzi nella recente riunione del comitato provvisorio per la sovranità popolare riunitosi a L’Aquila il 19 Febbraio scorso per lanciare il progetto dell’Assemblea Costituente: “non c’è più contrapposizione tra mondo della finanza e mondo della politica- esiste solo una grande cupola internazionale, non monolitica, ma stratificata;  ci sono piccoli conventi in guerra tra di loro.. Ora è in atto un scontro grande tra le banche centrali e quelle commerciali. Si tratta di non pensare in modo ideologico, reattivo, ma di costruire un sistema che abbia regole diverse, sapendo, tuttavia,  che ora siamo di fronte a un sistema difficilmente scomponibile, né contrattaccabile. Dobbiamo preoccuparci non di come uscire dall’euro o di come  riprenderci la Banca d’Italia; non ci sono i margini per una classe politica che è un insieme di camerieri al servizio delle banche- bisogna lavorare con calma e pacatezza a un progetto articolato che partendo dalla carta costituzionale dovrà andare oltre” avendo consapevolezza che quei gruppi, pur di raggiungere i loro obiettivi, stanno facendo adottare ai governi affidati a servitori sciocchi e ossequienti politiche di attacco diretto ai patrimoni privati e pubblici”. Esempi eclatanti in tale senso: il fiscal compact, figlio di un regolamento comunitario illegittimo, perché contrastante con i trattati europei, adottato da tecnocrati bruxellesi con il colpevole consenso dei governanti europei di turno; lo stesso bail in che stabilisce di far pagare ai correntisti depositanti, oltre agli azionisti e obbligazionisti, la paradossale situazione dei debiti bancari totalmente fuori controllo.

 

Anche le costituzioni rigide di più antica data o quelle stesse uscite dalla guerra di liberazione dal nazifascismo, come quella italiana, rappresentano un ostacolo ai loro progetti di dominio. Di qui la richiesta ai fedeli esecutori degli ordini issati alla guida dei governi  di procedere senza indugio a trasformarle in docili strumenti manovrabili da minoranze subalterne, con il totale controllo dei mezzi di comunicazione indispensabili per il consenso.

 

E’ in questo clima di trasformismo e supina subalternità della classe politica asservita che l’antica distinzione tra destra e sinistra scompare in una funzionale melassa senza senso .Non è strano che in questa Babele dei linguaggi e nella scomparsa delle culture politiche si erga come gigante della difesa degli ultimi e predicatore di un’economia sostenibile sul piano della giustizia e della libertà, Papa Francesco con le sue straordinarie encicliche: “ Evangelii Gaudium” e “ Laudato Si”.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 24 Febbraio 2016


Accoliti di un progetto perverso

 

Paolo Naccarato alla proposta della ministra Lorenzin di cambiamento del nome del NCD nella nuova qualificazione di Nuovo Centro (delle libertà ?!), suggerisce che pregiudiziale sarebbe la benedizione di Matteo Renzi. Da sempre seguace del Presidente Cossiga, Naccarato fa l’ennesimo sfoggio della sua naturale propensione alla subordinazione ancillare sino al punto di condizionare la nascita eventuale del nuovo soggetto politico a una sorta di benedizione preventiva del dominus di turno.

 

Se è vero, da un lato, che in tal modo egli non fa altro che evidenziare la condizione di oggettiva subalternità  degli ex componenti di Area popolare, componenti di quei cinquanta transumanti trasformisti che hanno permesso la sopravvivenza del governo del presidente mai eletto; dall’altro, sarà molto difficile far digerire ai residui elettori del Nuovo Centro Destra questa strana combinazione di ex popolari con i socialisti trasformisti renziani dal cui leader richiedono l’imprimatur.

 

Anche al trasformismo più spinto c’è un limite, se non per la coerenza, almeno per quanto riguarda “ i valori non negoziabili” ai quali i cattolici italiani restano ossequienti, anche se i voltagabbana opportunisti della casta, pur di conservare le posizioni di potere acquisite, sono ben disposti a qualche colpevole rinuncia ed omissione nel nome di un realismo politico che, fortunatamente, non è più tollerato dagli autentici popolari italiani.

 

Quelle di Lorenzin e Naccarato, interpreti minori di uno spartito scritto e diretto da Angelino Alfano, sono variazioni sul tema di un concerto valido solo dentro le rappresentazioni del palazzo, all’interno di una casta chiusa e autoreferenziale espressiva solamente degli interessi di gruppi assai ristretti interni e internazionali, “distinti e distanti”, come direbbe Cossiga, anzi contrapposti a quelli del ceto medio e delle  classi popolari privi di qualsiasi rappresentanza.

 

Il punto più alto dello scontro avverrà, a tempi brevi, nelle elezioni per i prossimi rinnovi comunali, e, un po’ più in là, nella battaglia campale che ci vedrà contrapposti nel referendum sulla riforma costituzionale e sulla legge super truffa dell’Italicum.

 

E’ tragicomico vedere quelli che furono i seguaci del “Presidente picconatore”, grande democratico cristiano intimo di Aldo Moro padre costituente democratico cristiano, schierati con gli esecutori materiali del disegno di mandanti internazionali manovratori del finanz-capitalismo, interessati a distruggere ciò che rimane delle costituzioni rigide troppo scomode per i loro obiettivi.

 

Essi, perseguendo il primato esclusivo del profitto, della finanza sull’economia e sulla politica, considerano la democrazia come l’ostacolo principale ai loro progetti e puntano su servitori disponibili a favorirne l’esito.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 20 Febbraio 2016

 


 

 

A Roma come a Milano: cittadinarie

 

 

Le polemiche scoppiate all’interno del centro destra a Roma nel trio Berlusconi-Salvini.Meloni sul candidato Sindaco, ripropongono la questione del metodo attraverso cui scegliere il candidato comune alle prossime elezioni comunali.

 

Con la fine dei partiti della Prima Repubblica sono prevalsi movimenti e partiti di tipo personalistico, monocratico e a scarsa se non nulla partecipazione democratica.

 

Quello che un tempo, ancorché deciso davanti a un “caminetto” , era il risultato di dibattiti e discussioni ex ante o ex post in organismi legittimati come le direzioni e i consigli nazionali dei partiti, si riducono adesso, nel passaggio traumatico dalla seconda alla terza repubblica, a decisioni  concordate tra i capi e/o capetti delle residue forze politiche senza più solide culture di riferimento.

 

Se l’orizzonte fosse limitato al cinquanta per cento residuale che continua ad andare a  votare i giochi e i giochetti tra i soliti noti potrebbe ancora funzionare, ma se si intende coinvolgere quel cinquanta per cento che da tempo ha scelto di non partecipare al voto, la musica dovrebbe cambiare.

 

“ Non c’è più trippa pé i gatti” dirette il nostro simpatico e rimpianto Franco Evangelisti, braccio destro di Giulio Andreotti nella DC che fu.

 

Continuare a decidere tra Arcore e Palazzo Grazioli i candidati del centro destra da Milano a Roma, non può che produrre i corto circuiti evidenziatisi in questi giorni nel caso della candidatura del pur ottimo Guido  Bertolaso a Roma.

 

In assenza di partiti politici espressivi di autentiche e radicate culture politiche e di reali rappresentanze di ceti e classi sociali presenti nel Paese, con un sistema che dalle elezioni comunali all’infausto Italicum si va sempre più orientando verso un bipartitismo senza basi politiche consistenti, è evidente che in assenza di consensi seriamente condivisi, l’unica strada da percorrere rimane quella delle elezioni primarie o “cittadinarie” come noi le avevamo progettate nelle ultime elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Venezia.

 

A Roma, dove alcune componenti dell’area moderata, Passera e Quagliariello in primis si sono orientate sulla candidatura di Alfio Marchini, e quelle ormai consolidate del trio Berlusconi-Salvini e Meloni su Bertolaso, con l’ultima retromarcia del leader leghista su Guido Bertolaso, a maggior ragione la scelta delle cittadinarie si imporrebbe come quella più opportuna per superare lo stallo in cui si è giunti.

 

Ovvio che ciò che andrebbe fatto a Roma si dovrebbe pure sperimentare a Milano e nelle altre realtà in cui si andrà a votare alle prossime elezioni amministrative.

 

Finita l’epoca delle leadership popolari carismatiche, tanto cara al Cavaliere e al “ giovin signore fiorentino”, se si vuole recuperare la partecipazione e  il consenso del ceto medio produttivo e di quanti tra i diversamenti tutelati (tanto per utilizzare la mia euristica teoria dei quattro stati) intendono tornare ad esprimere il loro voto, non esiste altra strada che quella della presentazione di candidature da sottoporre al giudizio preventivo dei cittadini elettori che si riconoscono negli interessi e i valori delle forze politiche coalizzate.

 

Questo è quanto anche noi popolari intendiamo offrire agli amici interessati a battersi per un’alternativa al socialismo trasformista renziano e ai suoi tentacolari interpreti dei missi dominici indicati nelle diverse realtà locali del voto.

 

Solo così, a Roma come a Milano con il giovane Nicolò Mardegan e la sua lista di giovani appassionati e amanti della loro città, espressione di una rinnovata ed emergente classe dirigente meneghina, si potranno favorire nuove leadership sostenute non dalle mire di autoconservazione dei potenti declinanti, ma espressive dell’autentica sovranità popolare.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.ei

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, Venerdì 19 Febbraio 2016



Salvini annuncia un XXV Aprile di liberazione da Renzi.

 

Quando un governo occupa militarmente tribunali, televisioni, scuole e banche siamo al regime. Roma da Cuba o Corea del Nord. La gente non ne può più, e quando non può più c’è la rivoluzione, ne abbiamo le avvisaglie, e io voglio organizzarla in modo pacifico e democratico».

 

Lo ha detto in conferenza stampa al Senato il leader della Lega Matteo Salvini che annuncia: «Il 25 aprile, Festa della Liberazione, terremo una grande manifestazione di liberazione da Renzi. Mi aspetto che gli alleati siano con noi».

 

Poi l’attacca diretto al premier: «C’è qualcuno che sta cercando di portare il regime sovietico in Italia e a me i regimi non piacciono. Renzi si sta comportando come Stalin e sta occupando ogni spazio di potere». Parole forti non prive di qualche fondamento.

 

Tutti i nodi della crisi istituzionale che l’Italia vive dal Novembre 2011, infatti, stanno venendo al pettine, accompagnati da una crisi economico-finanziaria e sociale tra le più gravi della storia repubblicana.

 

La maggioranza derivata dal porcellum incostituzionale alla Camera e drogata dai transumanti trasformisti al Senato e, tanto più, il terzo governo guidato da un non eletto, non rappresentano più la sovranità popolare, come ha ricordato ieri sera il Cavaliere durante la trasmissione RAI sul ventennale di “Porta a Porta”. Berlusconi, tuttavia, dovrebbe fare ammenda di quel patto scellerato del Nazareno da lui sostenuto, accordo con Renzi da cui discendono la legge  elettorale super truffa dell’Italicum e la riforma costituzionale del trio toscano: Renzi, Boschi,Verdini.

 

Dopo quel patto egli ha perduto anche il suo gauleiter Verdini e un ennesimo manipolo di sbandati, immemore dell’insegnamento del grande Machiavelli, il quale ricordava al Principe che: “ è meglio perdere con truppe fedeli che vincere con mercenari”.

 

Un Paese allo sbando scrissi qualche tempo fa e, oggi, é alla disperazione. Attenti che anche per gli italiani c’è un limite alla sopportazione e a quel limite credo si  sia ormai giunti. Il Parlamento dei “nominati” illegittimi non continui a forzare la mano a colpi di maggioranze farlocche e variabili che non esprimono la realtà dell’Italia.

 

Presidente Mattarella prima ne prende atto e meglio sarebbe per tutti noi, onde evitare che il prossimo ricordo della Liberazione non debba  diventare l’occasione per una rivolta.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net


Venezia, 18 Febbraio 2016

 

 

 

 

A una Grande Milano serve una start up della politicadi Nicolò Mardegan


Milano si trova in questo momento a vivere un periodo fondamentale per il suo futuro: in questo nuovo anno saluteremo la giunta arancione e con essa archivieremo un quinquennio costellato da fallimenti. La nostra città si trova in una posizione unica, aiutata anche dal successo internazionale di Expo 2015, la cui ideazione è in gran parte dovuta al lavoro della giunta Moratti e di un centrodestra coeso e vincente. I cittadini milanesi oggi riescono forse a cogliere appieno il potenziale della loro città e da questa presa di coscienza inevitabilmente nascono una serie di richieste che il futuro sindaco di Milano sarà tenuto a prendere in considerazione.

Il risultato delle primarie di centrosinistra, vinte da Giuseppe Sala, dimostra ancora una volta l’influenza di Roma sul capoluogo lombardo. Stiamo assistendo alla creazione di un blocco urbano che risponde più alle necessità di Palazzo Chigi che a quelle dei cittadini milanesi. Sono questi ultimi cui io, non solo in veste di candidato sindaco ma di cittadino di questa incredibile città, voglio rivolgermi. Mi piace definire la lista civica NoixMilano come una “start-up della politica” e non esiste altra città che possa rappresentare pienamente il significato di questo termine. I cittadini milanesi, soprattutto i più giovani, hanno reso chiara la loro necessità di rendere Milano una realtà che possa competere con le maggiori metropoli europee. Il capoluogo lombardo non è ancora preparato a reggere il confronto con le grandi capitali. Si deve iniziare a parlare seriamente di un ritorno all’«Illuminismo meneghino» che ha caratterizzato la Milano settecentesca. Ed è proprio ricordando e omaggiando la grande tradizione milanese che intendo costruire una città che si apre all’innovazione e può competere con Londra come con Parigi. Per questo motivo ho deciso di rendere la mia adesione al “Manifesto per Milano” chiara, definitiva, palese.

Non posso che essere concorde con chi afferma che la Milano del 2016 è la Milano del 2030. E quello che appare chiaro è che manca la voglia di osare, di muoversi sul territorio per vivere la città, di conoscere i cittadini prima di iniziare a dettare regole. Nel nostro percorso che ci condurrà fino alle elezioni di giugno non vogliamo rivestire una posizione antitetica agli altri candidati. Sono state molte le speculazioni che hanno seguito l’annuncio della discesa in campo di Stefano Parisi. NoixMilano sceglie di camminare a fianco del candidato di centrodestra per poter dare voce a chi in tutti questi anni si è sentito privato di questa possibilità. Nei diciotto anni in cui mi sono occupato della politica in questa città ho avuto la possibilità di conversare con molte persone che vivono in centro, così come in periferia. Ho avuto la possibilità di dare risposta a domande di cui nessuno si stava occupando. Questo fino a riconoscere il momento giusto per farmi avanti e diventare portavoce di tutte le persone che ne avevano bisogno. Sono convinto che questo sia il momento per costruire insieme la città che abbiamo sempre sognato. È il momento per rispondere a tutti coloro che dicono che un idealista non può fare politica. Noi non vogliamo creare un libro dei sogni, siamo concreti e lo dimostreremo con i nostri progetti

 

 Martedì 16 Febbraio 2016

Passera il solitario

 

Leggo con interesse le quotidiane note politiche dell’amico Lelio Alfonso, coordinatore nazionale di Italia Unica , il movimento politico di Corrado Passera. Nel suo ultimo commento di Sabato egli se la prende con il centro-destra e i suoi “errori dell’arroganza”.

 

Errori che deriverebbero dalle contraddizioni e giravolte adottate da Salvini, Berlusconi e Meloni negli ultimi mesi  sino agli ultimi accordi per le candidature di Lettieri a Napoli, Bertolaso a Roma e Parisi a Milano.

 

Realistico e condivisibile il giudizio sui mutamenti del trio del centro-destra, in larga parte dovuti al sommovimento nei consensi all’interno di quell’area politica, ma Lelio Alfonso non crede ci sia altrettanta dose di arroganza in chi, come il suo mentore Passera, sin dall’inizio e tuttora continua a muoversi come se fosse una stella polare attorno a cui dovrebbe inevitabilmente girare l’intero universo dei moderati italiani?

 

Più volte abbiamo tentato di evidenziare al dr Passera e ai suoi collaboratori i limiti di una strategia politica fondata sull”IO SIAMO”, considerato ciò che prevedono le leggi elettorali per i rinnovi dei sindaci e dei consigli comunali e  la stessa legge super truffa dell’Italicum per le politiche. Nessuna risposta ci è mai pervenuta sempre con la riproposizione del mantra:  Corrado Passera è candidato a Milano e chi vuole lo sostenga.

 

Avevamo invitato Corrado Passera e la sua Italia Unica a concorrere con noi alla stesura e condivisione del Patto di Orvieto, che indica la strada per la ricomposizione dell’area popolare, liberale e riformista alternativa al socialismo trasformista renziano, alla sinistra post comunista e ai populismi estremi. Italia Unica con i luogotenenti di Passera è stata sempre presente ma, al dunque, nessuna adesione formale è mai pervenuta. con la sottoscrizione dl quel patto. Scarsa condivisione del progetto o presunzione  di un’autonoma capacità di coagulo della complessa realtà alternativa al renzismo?

 

Permane un atteggiamento di altezzosa autosufficienza che, alla prova della dura realtà della politica con le sue inderogabili regole e la complessità delle culture e sensibilità in gioco, temo che finirà col subire amare disillusioni.

 

Noi di ALEF ci siamo interessati soprattutto del caso Milano, dove, sin dall’inizio abbiamo individuato nella candidatura di Nicolò Mardegan e la sua lista di giovani entusiasti NOIxMILANO  la vera novità in campo a Milano.

 

Consapevoli che da soli non si va da nessuna parte e condividendo le stesse preoccupazioni di Lelio Alfonso circa la scelta del candidato di tutta l’area alternativa al trasformismo renzista a Milano, oggi rappresentata da Giuseppe Sala,  sulla base di un semplice compromesso alla Villa di Arcore, avevamo indicato nelle “cittadinarie”  lo strumento ideale per una scelta operata direttamente dagli elettori milanesi. Delle “cittadinarie” avevamo anche redatto un regolamento finalizzato a evitare quanto è accaduto nelle primarie del PD milanese con lo scandalo delle votazioni multiple e l’utilizzo di truppe cammellate con gli occhi a mandorla.

 

Non fummo degnati di alcuna risposta. Il trio dei capi ha deciso per conto proprio tra Arcore e Roma e Passera continua  indomito come se nulla fosse a Milano come a Roma.

 

Con Nicolò Mardegan noi continueremo la nostra battaglia sempre disponibili al confronto con tutti gli altri candidati della stessa area politica e riteniamo che ci siano ancora i tempi per organizzare una seria mobilitazione per le “cittadinarie”. Siamo, peraltro, altrettanto consapevoli che in assenza di tale decisivo passaggio, se non si vuol fare la fine degli Orazi e Curiazi un accordo si dovrà inevitabilmente perseguire.

 

Continuare nella presunzione pur comprensibile di un’autonoma solitaria candidatura, peraltro di assai dubbia reale consistenza elettorale, servirà solo a portare acqua al pur sgarrupato mulino del centro sinistra renziano.

 

Crediamo che, nelle condizioni miserrime dei comuni che andranno al voto dopo anni di egemonia e dominio delle sinistre,  di tutto i loro elettori  hanno  bisogno fuorché delle ambizioni personali  di velleitari profeti disarmati.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Milano, 15 Febbraio 2016

 

 





E’ tempo di convergenze e di unità per il triveneto

 

Dopo l’editoriale di Sandro Mangiaterra “ Il grande Triveneto” pubblicata da “Il Corriere del Veneto” di Martedì 9 Febbraio,   interviene oggi l’on Andrea Martella, Vice presidente del gruppo parlamentare PD alla Camera dei Deputati, con una nota: “Triveneto e macroregione, così si rafforza il territorio. E il PD è pronto alla riforma”.

 

Avendo avanzato per primi  noi Popolari veneti la proposta della macroregione triveneta sin dalla scuola di politica  popolare che fu organizzata da noi a Verona il 20 dicembre, inserita nel Programma della lista civica e popolare e fatta propria anche dalla Lista Tosi, non possiamo che essere soddisfatti della netta presa di posizione di un autorevole esponente del PD come l’On Martella.

 

Pieno merito all’amico avv. Domenico Menorello, che ha individuato il percorso dell’art 132 della Costituzione quale strumento autenticamente democratico e popolare attraverso cui la maggioranza dei cittadini del Triveneto potranno decidere il loro destino e quello dei loro figli ed eredi. Ottima anche la scelta adottata della formazione di un comitato di promotori formato da esponenti qualificati delle professioni e della migliore cultura giuridica, economico finanziaria e politico sociale  e complimenti ai progettisti e curatori dell’ottimo sito: www.macroregionetriveneta.org da cui si possono derivare tutti i documenti presentati nella conferenza stampa di Sabato 6 Febbraio a Padova dai Proff. Cacciavillani, Bresolin, Bernardi e Chasen.Il comitato, cui ho l’onore di partecipare,  è aperto alle adesioni di altre persone, gruppi e associazioni che condividendo l’idea della macroregione triveneta intendono concorrere alla sua realizzazione.

 

Ora, però, serve diffondere tra i cittadini la proposta destinata a offrire interessanti opportunità alla comunità triveneta e per far questo, accanto all’indispensabile supporto dei media, servirà l’impegno delle forze politiche, sociali e culturali e, soprattutto, le decisioni deliberative degli enti locali secondo quanto stabilito dall’art.132,comm 1 della Costituzione e della legge attuativa n.352 del 1970.

 

Ci auguriamo che la posizione espressa dall’On Martella sia quella che alla fine sarà assunta da tutto il PD, così come da Popolari siamo impegnati a ricercare il massimo di condivisione con gli amici della Lega e del governo regionale del Veneto. Non c’è più tempo per modesti interessi e piccoli calcoli di convenienza elettorale poiché abbiamo di fronte a noi un impegno di straordinario valore strategico destinato a offrire al Triveneto un’occasione storica degna della migliore tradizione della Serenissima Repubblica.

 

Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)

componente della direzione nazionale dei Popolari per l'Italia

Promotore del think tank:VENETO PENSA


Venerdì, 12 Febbraio 2016



No Sig. Presidente, siamo all’emergenza istituzionale

 

Avevo già avuto un vivace scambio di opinioni con l’amico sen Lugi Zanda, capogruppo al Senato del PD, sul tema della legittimità dell’attuale Parlamento e sugli atti da esso compiuti, il più rilevante dei quali, il progetto di riforma costituzionale con annessa legge elettorale dell’Italicum. Il sen Zanda  rispondendo a una serie di miei rilievi concluse così la nostra discussione epistolare: “ Il Parlamento e' legittimo. Non lo dicono dei quaquaraqua': lo ha detto chiaramente la Corte. Se non fosse cosi me ne andrei subito”.

 

La questione  è stata ripresa ieri dal Presidente Mattarella rispondendo a una specifica domanda di uno  studente della Columbia University che metteva in dubbio la legittimità del Parlamento pieno di indagati ed eletto con una legge dichiarata incostituzionale. Questa la risposta perentoria del Capo dello Stato: ». «Non mi risulta che il Parlamento sia pieno di indagati - ha risposto il presidente della Repubblica - ce ne sono alcuni, ma la grande maggioranza non lo è. Quanto alla sua legittimità non ci sono dubbi. Facevo parte della Corte costituzionale nel momento in cui la legge elettorale fu dichiarata non conforme alla Costituzione. Ma noi giudici scrivemmo con chiarezza che, come si fa in questi casi, quella decisione aveva valore per il futuro e che quindi non era inficiata la legittimità del Parlamento».

 

Non abbiamo difficoltà a riconoscere né la buona fede di Zanda, di cui conosciamo da sempre la sua onestà intellettuale e morale, né quella del Presidente Mattarella, peraltro, espressione proprio di quel Parlamento di “nominati” eletti secondo una legge che lo stesso Presidente, da componente della Consulta, concorse a definire illegittima. Nessun dubbio, quindi, sulle conclusioni di quella sentenza ( art.7). Resta, tuttavia, fermo in me il convincimento che assai prima di  quella sentenza n.1/2014 del 4.12.2013, si sono verificati  degli avvenimenti politico istituzionali che hanno alterato la fisiologia del nostro sistema.

 

I fatti el Novembre 2011 sono stati  finalmente confermati da colui che ne fu il protagonista essenziale, il Presidente Napolitano. Egli, subita o condivisa la pressione proveniente dalle solite fonti internazionali dei poteri finanziari dominanti, determinò la caduta del governo Berlusconi, forzatamente consenziente, ultimo presidente di un governo eletto ed espressione della sovranità popolare. Da tempo quei fatti  li ho connotati come un classico “golpe blanco”, un autentico attentato al principio fondante della sovranità popolare.

 

Nacque così il governo di Mario Monti, previa assegnazione del laticlavio a vita per il “tecnico” della Bocconi gradito ai maggiorenti euro americani, che durò in carica 529 giorni dal 16 Novembre 2011 al 28 aprile 2013. Si portarono a giustificazione le ragioni di emergenza economico finanziaria, con le manovre sullo spread che portarono il Paese sull’orlo del baratro, secondo quelle regole comunitarie di cui,  invano il prof Giuseppe Guarino aveva dimostrato, del tutto inascoltato, la loro illegittimità: regolamenti attuativi sul fiscal compact conflittuali e alternativi con i principi, quelli si vincolanti, dei Trattati liberamente sottoscritti dall’Italia.

 

Analogamente dopo le elezioni 2013, in pendenza della sentenza della Consulta che doveva pronunciarsi sulla legittimità della legge elettorale, sempre per l’emergenza di un risultato che non aveva visto un vincitore con capacità di controllo delle due camere, il 28 aprile 2013,   su incarico di Napolitano, Enrico Letta dà vita “al governo di larghe intese “ in quanto si disse “sola prospettiva possibile, quella cioè di una larga convergenza tra le forze politiche che possono assicurare al governo la maggioranza in entrambe le camere», atteso che era risultato impossibile dar vita un governo guidata da Bersani, capo della coalizione di centro sinistra uscita vincitrice alle elezioni del 24 e 25 Febbraio, ma priva della maggioranza al Senato.

 

Da un’ emergenza economica e finanziaria a un’emergenza politica, ma, nel frattempo, il 3 dicembre 2013 la Consulta si esprime sull’illegittimità del porcellum ed è a quel punto che, secondo quanto abbiamo continuato a sostenere, si sarebbe dovuto ridare la voce ai cittadini, atteso che la sentenza della Corte Costituzionale aveva ben indicata la formula di una legge elettorale costituzionalmente ineccepibile: il consultellum. Invece Napolitano, diede spago ai giochetti interni al PD del “giovin signore” che, dando il ben servito col suo “ stai sereno” all’amico compagno Letta, lo costrinse alle dimissioni il 22 Febbraio 2014.

 

Tutto ciò nacque e si consolidò nel momento in cui era in atto la più vasta transumanza di parlamentari da uno schieramento all’altro, col trasformismo eletto a cifra rappresentativa di una condizione estrema di crisi politico istituzionale, col bel risultato che da un’emergenza politica siamo stati catapultati in una crisi istituzionale tra le più gravi della storia repubblicana.

 

Hanno un bel legarsi all’ultimo articolo della sentenza della Consulta, il sen Zanda e il Presidente Mattarella, ma è difficile farci comprendere come possa un Parlamento farlocco politicamente, di “nominati” illegittimi, non diciamo a produrre leggi di ordinario governo, ma addirittura arrogarsi l’ambiziosa presunzione di procedere nelle condizioni di sostanziale illegittimità politica se non giuridica, a riformare la Costituzione.

 

Fatto ancor più indigeribile poi é che il progetto di  riforma sia stato partorito da quello straordinario trio di costituzionalisti toscani, Renzi, Boschi e Verdini con l’aggravante del combinato disposto di una legge super truffa, come quella dell’Italicum peggiore della famigerata Legge Acerbo che permise la piena legittimazione del potere di “ un uomo solo al comando” nel 1924.

 

Egregio sig Presidente Mattarella mi consenta di non essere d’accordo con la sua indulgente assoluzione del caso italiano, poiché ritengo, insieme a molti altri amici con cui abbiamo dato vita al Comitato per il NO al referendum  (cui il governo è stato costretto e non ha concesso, in quanto non disponente della maggioranza qualificata dei due terzi nella doppia votazione parlamentare) che sì la Corte ha salvato gli atti già compiuti da un parlamento eletto con una legge elettorale illegittima, ma dopo avrebbero dovuto esserci nuove elezioni, con un nuovo sistema elettorale, possibile anche con quello uscito dalla sentenza. Invece no. Il parlamento a trazione del governo Renzi per le più disparate , spesso poco nobili, ragioni ha approvato una legge elettorale iper maggioritaria simile al porcellum andando avanti senza remore e con la transumanza dei trasformisti che prosegue senza sosta.

 

Ora siamo in piena emergenza istituzionale, aggravata da decreto legge votato ieri dal Consiglio dei ministri sulle banche di credito cooperativo, ennesima ossequiente obbedienza del governo ai poteri finanziari forti internazionali, frutto di una sudditanza di cui Renzi e compagni di palazzo Chigi sono diretta consapevole espressione.

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 12 Febbraio 2016




NASCE IL COMITATO PROMOTORE DELL'ASSEMBLEA COSTITUENTE


ALEF e INSIEME aderendo al Comitato per il NO al referendum hanno delegato il prof Antonino Giannone a partecipare alla nascita ufficiale del comitato promotore per l’assemblea costituente che si effettuerà a L’Aquila il 19 Febbraio p.v. secondo il programma della locandina allegata.


 tTutti uniti per vincere a Milano

 

Siamo giunti al dunque  con l’indicazione del candidato del centro-destra concordato dal trio Berlusconi-Salvini-Meloni nella persona di Stefano Parisi.

 

Avremmo preferito che la scelta del candidato fosse stato il risultato di elezioni “cittadinarie” da svolgersi secondo regole condivise, in ogni caso assai diverse da quelle che hanno caratterizzato le primarie del PD, a voti multipli ripetuti e da inquinamenti da più parti denunciati  senza alcuna garanzia e controllo.

 

Hanno deciso diversamente i leader del centro destra nazionale e milanese;  adesso bisognerà che gli altri candidati in campo se ne facciano una ragione per evitare le scelte suicide compiute  dai tre antagonisti di sinistra delle primarie a Sala, i quali hanno finito col facilitare la vittoria del candidato renziano.

 

Confesso che avevo visto con interesse la candidatura avanzata per primo da Corrado Passera, una persona che ha avuto il merito di attivare un interessante processo di ricomposizione politica dei moderati con la sua Italia Unica.

 

Ora però è tempo che tutti quanti coloro  che intendono battersi per un’alternativa alla continuità delle giunte che hanno retto sin qui il governo della città di Milano, si ritrovino uniti sugli obiettivi programmatici e sul candidato che sulla carta appare indubbiamente il più forte sul piano dei consensi.

 

A Parisi, invece, vorrei evidenziare che, al fine di corrispondere alle attese di cose nuove che gli elettori milanesi si attendono, faccia lui direttamente un appello alla convergenza sulla sua candidatura del giovane Nicolò Mardegan e della sua lista NOIxMILANO.

 

E’ il candidato che sin dall’inizio noi popolari e amici di ALEF (Associazione Liberi e Forti) abbiamo sostenuto, perché lo sentivamo espressione della nostra cultura politica, di quella che ha motivato la grande giornata del family day  e il politico che ha risposto per primo all’appello all’impegno dei cattolici dell’arcivescovo di  Milano card. Scola, un autentico portatore di una ventata di novità e freschezza nella vita politica milanese lombarda,

 

Mettere insieme le competenze amministrative e istituzionali dell’ex city manager con l’entusiasmo e le presenze fortemente inserite sul territorio metropolitano dei giovani di NOIxMILANO, è il primo passo che spetta al candidato del centro destra milanese se si intende battersi per riconquistare il governo di Milano.

 

Guai se per pur comprensibili ambizioni personali si andasse divisi allo scontro elettorale, si farebbe solo il gioco di Matteo Renzi e dei suoi accoliti.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Mercoledì 10 Febbraio 2016

 

 

 

 

 

 

Un uomo solo al comando a Roma e un Podestà ossequente a Milano?

 

Le sta tentando tutte: si presenta in pubblico in camicia aperta senza cravatta; si fa fotografare mentre mangia avidamente un panino tra popolani osannanti; dichiara di rifuggire dai salotti bene, lui che di quei salotti è il rappresentante qualificato; si confonde nel voto delle primarie con la lunga fila di cinesi che, boldrinianamente si impegna a  non chiamare più:

 “ immigrati”.

 

Insomma un’operazione di maquillage  conforme al trasformismo renziano che è la cifra della sua candidatura: andar di bolina, puntando a destra per andare a sinistra.

 

E chi, meglio di un uomo come Giuseppe Sala, poteva assolvere a questo ruolo?  Commis d’état già collaboratore di fiducia di Letizia Moratti e di una giunta di centro-destra,  scelto da Matteo Renzi alla guida della città di Milano, previo passaggio nelle primarie senza regole e facilitato dalla suicida partecipazione di tre concorrenti alla sua sinistra capaci di dividere, com’era ovvio, il voto della loro parte politica sino a renderla del tutto irrilevante.

 

La sua candidatura è conseguente a quanto Sala ha saputo dimostrare alla guida di EXPO 2015. Una manifestazione in chiaro oscuro la cui storia è ancora tutta da approfondire, compresa quella ultima del bilancio finanziario con conti che, l’ex commissario, si è rifiutato sin qui di rendere noti.

 

Resta il rammarico di un PD, incapace di esprimere un candidato degno della sua seppur breve storia, obbligato a compiere a Milano, come in molte altre città italiane, la rincorsa a candidati dello schermo, figli dell’età della  crisi della politica italiana che stiamo vivendo.

 

Diversamente da ciò che scrive il nostro amico Francesco Damato, appartengo alla schiera di coloro che considerano Matteo Renzi un rischio grave per la democrazia in Italia, sia per le modalità inconsuete con cui è giunto al potere e sia per come sta esercitando la funzione che gli è stata concessa.

 

Non dipende certo dalla sua statura politica, assai modesta sul piano culturale, più portato alle astuzie di corto respiro, ereditate dai suoi giovanili trascorsi tra le ultime file di un’ormai esangue DC. Una figura quella di Matteo Renzi, che il prof Giovanni Sartori ha rappresentato così: “ è svelto, furbo, agile. Uno con i riflessi prontissimi. Però imbroglia le carte su tutto: un conto sono le promesse elettorali, un altro camuffare la realtà”.

 

La mia analisi inserisce Renzi, invece, in un progetto più vasto e complesso quello che vede il primato del turbo o finanz- capitalismo, che ha assegnato alla finanza il compito di dettare i fini  ponendo l’economia e la politica in condizioni subordinate e strumentali. Un primato che, non solo ha determinato lo sconquasso economico e sociale del mondo tuttora in corso,  ma sta sferrando un attacco a tutte le costituzioni rigide presenti nella maggior parte dei Paesi occidentali. Si tende, così, a utilizzare “ servi sciocchi” imposti, come nel caso italiano, alla guida dei governi, impegnandoli a favorire il superamento di quelle costituzioni, sino ad annullare il concetto stesso di sovranità popolare e con essa della democrazia.

 

Ciò sta avvenendo, da un lato, con la bislacca riforma del Senato che con il combinato disposto della legge super truffa dell’Italicum tende ad annullare, come già sta avvenendo dal famigerato Novembre 2011 (ammissioni finalmente fatte dallo stesso esecutore Napolitano), ciò che rimane della sovranità popolare, e, dall’altro, con l’impegno a imporre alla guida delle principali città italiane, leadership prone a quel ritorno del centralismo più spinto, a misura del governo di “un uomo solo al comando”, distruttore delle residue autonomie su cui si è costruita la storia politica democratica del nostro Paese.

 

Giuseppe Sala è l’uomo adatto al processo di normalizzazione che, col superamento del NOMA ( NOn Overlapping Magisteria), impone la finanza ai vertici decisori degli obiettivi e all’economia e alla politica la funzione strumentale e subalterna. Bene ha fatto l’amico Nicolò Mardegan, l’uomo nuovo della politica milanese con la sua lista NOIxMILANO, a definire Sala “ il commissario di Palazzo Chigi a Palazzo Marino”. Il compito del progetto renziano: un uomo solo al comando a Roma e un podestà ossequiente nella capitale dell’economia e della finanza italiana.

 

Siamo basiti dall’idea che su tale progetto possano ritrovarsi a convergere in quella che fu la culla dell’avanguardia della sinistra sindacale e politica  italiana, la migliore tradizione del PCI-PDS-DS  e quella del riformismo socialista.  Stento a credere che sarà così e penso che qualcosa a sinistra accadrà pena la definitiva scomparsa di quella pur nobile cultura politica.

 

I popolari milanesi, invece, saranno a fianco di Mardegan e della sua lista, interessati a costruire la più ampia alleanza omogenea a quella che guida la Regione Lombardia, in alternativa al trasformismo renziano e ai suoi accoliti.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

 

 

 

 

 

 

 

Macroregione del Triveneto: centralità e valore aggiunto di Venezia


La denominazione di Tre Venezie (Venezia Tridentina, Venezia Euganea, Venezia Giulia)  trae ispirazione dal termine con cui era conosciuta in età imperiale la X Regio di Augusto, e cioè, Venetia et Histria. Con l'assetto geopolitico italiano modificatosi a seguito della seconda guerra mondiale e degli eventi a essa successivi (fino al Trattato di Osimo  del 1975), le Tre Venezie individuarono un'area non più interamente parte dello Stato Italiano (parte della Venezia Giulia fu ceduta alla Jugoslavia). In seguito si diffuse l'uso del termine Triveneto per indicare l'area geografica costituita dalle attuali regioni italiane del Veneto, del Friuli Venezia-Giulia e del Trentino Alto Adige.

Nella sua storia plurisecolare Venezia ha rappresentato un fattore di riferimento esemplare e speciale per l’insieme dei territori che, con l’iniziativa politico istituzionale avviata ieri dal Comitato promotore, intendiamo riunificare nella macro regione del Triveneto.

Eredi della migliore cultura politica e istituzionale autonomistica popolare e democratico cristiana del Veneto, siamo interessati a  dare corpo operativo alla felice intuizione dei due governatori di Lombardia e Veneto,  Roberto Maroni e  Luca Zaia,  EUSALP: l’area vasta alpina da loro indicata come elemento in grado di offrire una seria realizzazione all’obiettivo politico dell’Europa delle Regioni. Un progetto politico che il compianto presidente DC della Regione Veneto, Carlo Bernini anticipò, con l’avvio di Alpe-Adria, strumento di collegamento tra le regioni confinanti dell’arco alpino del Nord-Est.

La nostra proposta non intende ridurre il grado di autonomia conquistato dalle consorelle realtà regionali friulane e trentino-altoatesine, ma semmai di aumentare quello ora garantito al Veneto come regione a statuto ordinario. E lo facciamo indicando in Venezia e nella migliore tradizione storico politica della Repubblica Serenissima il punto di riferimento centrale della nostra proposta.

E’ la Serenissima Repubblica di Venezia la prima ha intuire lo stretto legame esistente tra la montagna, la pianura e la laguna, ossia di un ecosistema complesso che portò i reggitori del Ducato a sperimentare la prima pianificazione forestale nel mondo e una delle più avanzate politiche di assetto del territorio e di difesa e sicurezza idraulica. Una sicurezza che, allora come ora, era legata alle necessità da quell’ecosistema fragile e complesso come la laguna veneziana, in cui è sorta e si è mantenuta sin qui, in un equilibrio miracoloso tra terra-cielo e mare, quella perla dell’umanità rappresentata dalla città del Leone di San Marco.

Grazie a Venezia sorse a Padova una delle università più importanti in Europa, con il primo laboratorio anatomico e il primo orto botanico al mondo e ancor oggi essa può costituire un fattore propulsivo e di grande attrattività, non solo sul piano culturale per tutto il Triveneto, ma un punto di snodo strategico tra Nord e Sud del Mediterraneo e per le nuove rotte del Medio ed estremo Oriente.

Venezia con la sua eccezionale dotazione di beni culturali e la sua offerta turistica che si concreta negli oltre venti milioni di visitatori annui provenienti da tutto il mondo, costituisce una vetrina di bellezza e di cultura unica a livello mondiale.

La città che è stata il fulcro dell’editoria sacra e profana, raccolta nella Biblioteca Marciana, nell’Archivio di Stato e in altre sedi, avrebbe tutte le carte in regola per proporsi come sede di Mostre annuali del libro in ogni specificazione (libri d’arte, libri di antica e nuova scienza gastronomica, libri tecnici e scientifici etc.). Da tutte queste manifestazioni non effimere verrebbe un beneficio diretto al sistema di accoglienza cittadino e un fattore di attrattività culturale per l’intero Triveneto.

 

Serve un programma condiviso in grado di coinvolgere con la città metropolitana tutto il territorio triveneto dal Tagliamento al Timavo, dall’Adige al Po sino al Mincio. Venezia come punto di riferimento delle Venezie e tra il Nord e il Sud dell’Europa, tra l’Ovest e l’Est del mondo.

Un altro elemento di forte impatto socio economico è la proposta di istituire a Venezia nell’area di Marghera la “free zone” ai sensi del regolamento CEE n.952 del 2013. Il consiglio comunale di Venezia, nella riunione del 16 giugno 2014 ha approvato la costituzione della newco che gestirà i 110 ettari di Porto Marghera che Syndial (gruppo Eni) ha accettato di cedere. Si tratta di dare pratica attuazione a tale deliberazione. Da tempo i popolari veneziani con l’adesione di diversi consiglieri regionali hanno indicato l’opportunità di realizzare nell’area di Marghera una “free zone”(zona franca)  in base a quanto previsto dai regolamenti comunitari. La “free zone” è un’area destinata alla promozione del commercio, all’esportazione e all’apertura dell’economia nazionale al mondo esterno. In essa sono ammesse attività industriali, commerciali e dei servizi. Al suo interno intendiamo favorire un nuovo progetto, di natura non industriale, per dare all’area uno sviluppo che consenta di impegnare le forze lavorative presenti nella terraferma veneziana e nell’”area agropolitana” ( neologismo coniato dal prof Ulderico Bernardi) del Triveneto.

 

Le aree di porto Marghera dovranno avere utilizzi ecologicamente compatibili( PMI della green economy. artigianato di produzione e di servizi, terziario avanzato)   con l’essere in gronda lagunare, e quindi non inquinanti, e questi utilizzi dovranno valorizzare le aree in termini economicamente compatibili con l’assunzione da parte degli utilizzatori dei costi di bonifica, posto che l’attuale situazione economica del Paese rende poco probabile che questi costi vengano assunti  totalmente dallo Stato. Un percorso che sarebbe grandemente facilitato con la costituzione della zona franca.

 

 

Su questa linea si è mosso il porto di Venezia, acquisendo molte aree da destinare ad una portualità più commerciale che industriale, ma sono state proposte anche altre destinazioni quali il terminal per le Grandi Navi da crociera, la city della PA-TRE-VE, la città metropolitana tra Venezia Padova e Treviso e una destinazione ad area di commercio internazionale, un grande fondaco per la città di Venezia che è nata ed è diventata ricca come città di commercio del mondo medioevale.  In definitiva una nuova offerta per tutti i giovani delle Regioni del Triveneto.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 8 Febbraio 2016

 

 

Avanti con Mardegan  per il governo di Milano

 

L’amico Nicolò Mardegan con la sua lista NOIxMILANO ha lasciato gli ormeggi e con l’odierna conferenza stampa ha lanciato la sua candidatura a Sindaco di Milano. Lo ha fatto con la baldanza e la passione di un giovane che sta interpretando la parte migliore della gloriosa tradizione politica e culturale dei popolari, liberali e riformisti milanesi.

 

E’ vero, come lui ha affermato, che, nell’equivoco sourplace imposto dal Cavaliere al centro-destra, fermo, in attesa di conoscere l’esito delle primarie senza regole del PD meneghino, nel quale Matteo Renzi tifa per il mutevole e contraddittorio ex commissario di EXPO, Giuseppe Sala, oggi sarebbe stato l’ultimo giorno per presentare credibili candidature per l’alternativa alla paralizzante continuità politico amministrativa della sinistra al governo di Milano.

 

Il trionfante turbo o finanz- capitalismo che ha assegnato alla finanza il compito di dettare i fini  ponendo l’economia e la politica in condizioni subordinate e strumentali, non solo ha determinato lo sconquasso economico e sociale del mondo tuttora in corso, ma sta sferrando un attacco a tutte le costituzioni rigide presenti nella maggior parte dei Paesi occidentali. Si tende a utilizzare “ servi sciocchi” imposti, come nel caso italiano, alla guida dei governi, impegnandoli a favorire il superamento di quelle costituzioni, sino ad annullare il concetto stesso di sovranità popolare e con essa della democrazia.

 

Ciò sta avvenendo, da un lato,  con la bislacca riforma del Senato che con il combinato disposto della legge super truffa dell’Italicum tende ad annullare, come già sta avvenendo dal famigerato Novembre 2011, ciò che rimane della sovranità popolare, e, dall’altro, con l’impegno a imporre alla guida delle principali città italiane, leadership prone a quel ritorno del centralismo più spinto, a misura del governo di “un uomo solo al comando”, distruttore delle residue autonomie su cui si è costruita la storia politica democratica del nostro Paese.

 

A Milano si gioca una partita importante non solo per la vasta area metropolitana e lombarda, ma per gli stessi equilibri politici del Paese.

 

Come abbiamo già annunciato e rassicurati da quanto esposto oggi da Mardegan a Milano, i popolari milanesi e gli amici di A.L.E.F. ( Associazione Liberi e Forti) sostengono la lista di Nicolò Mardegan NOIxMILANO,  unica autentica novità nel panorama politico milanese e una candidatura, quella di Nicolò,  che potrebbe unire INSIEME per l’ALTERNATIVA quanti si oppongono alla linea della sinistra trasformista renziana.

 

Spetta ora a quanti intendono opporsi seriamente alla perdurante egemonia della sinistra, oggi in salsa trasformista renziana, mettersi attorno a un tavolo, confrontare i programmi e decidere, raggiunta l’intesa sulle cose da fare, a chi assegnare il compito di guidare la squadra di governo.

 

Noi crediamo che, a Milano come nelle altre più importanti città interessate dalle elezioni di primavera, non sia più il tempo di vecchi o improvvisati attori protagonisti su logori copioni di una commedia vecchia  e stantia ormai fuori tempo.

 

E’ giunto il tempo di consegnare la responsabilità di governo a una nuova generazione, come quella impersonata da Nicolò Mardegan, in grado di raccogliere il consenso della migliore gioventù milanese. Ai più anziani il compito “di dare dei buoni consigli, considerando che non sono nemmeno più in grado di offrire dei cattivi esempi”.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 6 Febbraio 2016

 

 

 




Quella cena dopo il derby: mancavano i popolari

 

E’ tutto bene ciò che va nella direzione di ricerca dell’unità tra quanti, come noi Popolari, ci battiamo, tanto a livello nazionale che in sede locale, per un’alternativa all’attuale situazione di anomia politica e alla deriva autoritaria e centralistica che caratterizza il governo del trasformismo renziano.

 

Il fatto che Berlusconi, Salvini e la Meloni si siano incontrati nel dopo partita del derby, ieri sera, a Milano per discutere dei candidati del centro-destra a Milano e Roma, dopo che avrebbero già raggiunto l’accordo su Lettieri a Napoli e  Osvaldo Napoli a Torino, non può che essere valutato con attenzione, considerata la disastrosa frammentazione esistente all’interno di quell’area.

 

Gli è che il metodo di cene riservate tra i capi ( ricordate “i caminetti “della Prima Repubblica, i quali, tuttavia, precedevano  e non sostituivano, ma semmai semplicemente preparavano quelli che rimanevano, sempre e in ogni caso, i luoghi delle decisioni definitive formali, ossia  le riunioni delle direzione dei partiti) per la scelta di candidati e liste alle prossime amministrative, a noi popolari e firmatari del Patto di Orvieto, non ci sembra quello migliore per raggiungere le ampie intese che le prossime elezioni amministrative richiederanno.

 

A Milano, poi, il rischio che si sta correndo è quello di ritrovarsi con almeno tre candidature di are moderata, alternativa a quella della sinistra che, dopo la giunta Moratti, ha guidato il governo della città meneghina.

 

Non solo Stefano Parisi, ma Corrado Passera che, proprio ieri a Milano, nel celebrare l’anniversario dell’avvio di Italia Unica, ha formalizzato la sua candidatura, e quella, per noi quanto mai apprezzata e sostenuta, in quanto elemento di assoluta novità, di Nicolò Mardegan con la sua lista NOI x MILANO.

 

Agli amici della Lega, di Forza Italia e di Fratelli d’Italia, così come da tempo stiamo facendo, sin qui inascoltati con Corrado Passera, vorremmo sommessamente evidenziare  che: senza o contro un’alleanza con le liste che a livello locale anche noi popolari e firmatari del patto di Orvieto presenteremo ovunque, Insieme per l’alternativa, le possibilità di riconquista di molte della città interessate dal voto sono piuttosto labili.

 

A Roma come a Milano, a Bari, come a Trieste, a Torino come a Bologna, e Cagliari, senza un accordo di tutte le componenti di ispirazione laica, democratica, popolare, liberale e riformista, quelle che a tempi brevi dovranno superare l’attuale condizione di frantumazione per dar vita al nuovo soggetto politico unitario in Italia, le possibilità di conquistare i governi di queste città si riducono al lumicino.

 

E’ in gioco anche una questione di metodo: o si trova un accoro preventivo su programmi e candidati o, l’altra strada da seguire, in assenza di partiti rappresentanti effettivi di interessi e valori della complessa e articolata realtà sociale dei quattro stati, non può essere che quella delle primarie o “cittadinarie” di cui da tempo abbiamo redatto alcune regole basilari.

 

Pensare di riproporre i vecchi schemi del ventennio berlusconiano, con la variante dei mutati rapporti di forza tra le solite forze  in campo, è un esercizio inefficace e del tutto insufficiente rispetto all’impegno che le scadenze politico amministrative di primavera impongono.

 

E’ necessario unire le forze tra tutte le componenti culturali, sociali, politiche ed economiche presenti nelle diverse realtà locali,; proporre programmi realistici e alternativi al soffocante centralismo che il governo Renzi sta imponendo all’Italia con il soffocamento delittuoso delle autonomie locali.

 

Il ruolo dei Popolari a Roma come in tutte le altre città interessate dal voto,  sarà importante, specie là dove, come a Milano, sostengono un candidato espressione della migliore gioventù cittadina che intende assumere il ruolo di guida della loro città. I popolari  sono rimasti, nel deserto delle culture politiche, gli strenui difensori dei valori fondanti della nostra Costituzione: la centralità della persona, della famiglia  e dei corpi intermedi, il ruolo essenziale delle autonomie locali, la partecipazione democratica dei cittadini nelle loro comunità nel rispetto dei principi di sussidiarietà e solidarietà costituzionalmente garantiti. E non sarà una cenetta tra amici del dopo derby a cancellare con estrema miope  semplificazione questa elementare ed evidente realtà.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net 

 

Lunedì 1 Febbraio 2016

 

 


Ora prevalga il buon senso

 

A furia di snobbare i corpi intermedi e di puntare sulla comunicazione diretta con la gente, con un parlamento che perdura nella sua sostanziale condizione di illegittimità e falsa rappresentanza della volontà popolare,  è dalla e con la  piazza che ora Matteo Renzi si trova costretto a  fare i conti.

 

Non ci sono più i partiti mediatori tra interessi e valori del popolo e le istituzioni, primo grande vulnus alla democrazia nel nostro Paese, e anche il sistema di rappresentanza dei corpi intermedi è stato messo all’angolo da un leader che fa del populismo una delle cifre del suo agire politico, non molto diversamente da ciò che il Cavaliere aveva introdotto all’avvio della seconda repubblica.

 

Entrato in crisi il sistema della rappresentanza e con un Parlamento la cui elezioni è il risultato di una legge dichiarata incostituzionale, si continua nel tentativo di sfornare leggi addirittura di rango costituzionale con il beneplacito del silenzio anche di chi dovrebbe essere il garante del sistema.

 

E’ in tale condizione di anomia politica e nella crisi di rappresentanza degli interessi e dei valori soprattutto del terzo stato produttivo e di larga parte dei “diversamente tutelati”, soprattutto di quelli più indigenti, che assume un valore del tutto particolare ed eccezionale ciò che è accaduto ieri a Roma con il Family day.

 

Al di là delle cifre reali o presunte, ieri a Roma si è svolta una delle più grandi, se non la più grande in assoluto, delle manifestazioni popolari del nostro Paese. Un incontro di gruppi, movimenti, associazioni, persone che, dalle Alpi alla Sicilia e alla Sardegna, senza organizzazioni strutturate alle  spalle, ma mossi  solamente dalla volontà di affermare alcuni principi e valori  fondamentali, sono scesi in piazza per dire NO al Ddl Cirinnà e confermare che la famiglia è solo quella naturale fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna e che non è lecito acconsentire a pratiche immonde quale quella dell’utero in affitto e alla mercificazione del corpo delle donne.

 

Era presente solo un vescovo quello di Campobasso-Bojano,  Giancarlo Maria Bragantini, il quale ha voluto accompagnare la sua gente per testimoniare l’adesione della Chiesa, così come avevano ben fatto alcuni giorni proma, sia Papa Francesco che il presidente della Cei, cardinale Bagnasco.

 

Ieri, però, la grande manifestazione al Circo Massimo non aveva il carattere di una risposta del solo mondo cattolico italiano a un governo e un parlamento distanti anni luce dal sentir medio della gente, ma, attraverso le diverse e qualificate testimonianze italiane e straniere ( commovente quelle della rappresentante croata artefice del recente referendum pro famiglia naturale in quel Paese), ha assunto quello di un grido alto e forte nella difesa dei diritti naturali e delle radici storiche della nostra civiltà occidentale. Quelle radici giudaico cristiane che, colpevolmente, non  furono assunte alla base della pasticciata formulazione della costituzione europea, e che, senza la loro riaffermazione ( cosa che si tenterà di riproporre con il referendum propositivo  europeo annunciato proprio ieri a Roma)  il destino del vecchio continente non potrà che risultare segnato dal suo inarrestabile declino.

 

Siamo troppo sfiduciati in merito alla  condizione di assoluta emergenza democratica e istituzionale in cui versa l’Italia, per pensare che i segnali giunti dal Circo Massimo possano essere raccolti da quell’aula che non rappresenta assolutamente la reale sovranità popolare.

 

Sommessamente, tuttavia, consigliamo a Renzi e ai suoi sostenitori, di tener conto di quanto quella piazza ieri con toni di assoluta civiltà ha saputo indicare.

 

Si può anche tentare di governare per ragioni connesse all’emergenza politica, al di fuori delle regole istituzionali della Repubblica, ma farlo da sordi a ogni indicazione popolare contro tutto e contro tutti, può solo portare a esiti disastrosi.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Domenica, 31 Gennaio 2016

 


Dopo il voto  la sportula di ricompensa

 

Acquisiti i voti sulla riforma costituzionale e il NO alla sfiducia presentata nei giorni scorsi dalle minoranze, a Renzi non  rimaneva che corrispondere la giusta “sportula” ai suoi supporters.

 

Una sportula che compensa in maniera consistente il NCD e Scelta civica, con incarichi che, alla fine, risultano, complessivamente, inversamente proporzionali ai consensi effettivi che le due formazioni politiche sono stimati tra gli elettori.

 

D’altronde, con un Parlamento di “ nominati  illegittimi” che hanno scelto la filosofia della sopravvivenza: meglio durare due anni di più che morire subito, dotarsi di qualche strapuntino di potere in più lascia aperta la speranza in coloro che continuano a sostenere il governo del “giovin signore fiorentino”.

 

Qualche attento e critico lettore mi ha redarguito per il mio continuo riferimento al Parlamento degli  illegittimi produttore di atti e nomine da me considerate “farlocche”.

 

Cercherò di spiegarmi meglio, citando quanto al riguardo ha scritto recentemente  Alfiero Grandi, già sindacalista CGIL e deputato della sinistra: “l’attuale Costituzione ha permesso di distruggere la legge elettorale definita “porcellum” perché contraria ai suoi principi, anche se troppo tardivamente, dalla sentenza della Corte. La Corte ha salvato gli atti già compiuti da un parlamento eletto con una legge elettorale illegittima, ma dopo avrebbero dovuto esserci nuove elezioni, con un nuovo sistema elettorale, possibile anche con quello uscito dalla sentenza. Invece no. Il parlamento a trazione del governo Renzi per le più disparate - spesso poco nobili -  ragioni ha approvato una legge elettorale ipermaggioritaria simile al porcellum e ha fissato l’asticella dei deputati nominati dai capi partito ad almeno i due terzi degli eletti della Camera. Innestando questa legge elettorale sullo scasso della Costituzione in corso di approvazione si avrebbe questo esito: il Senato diventerebbe una camera fittizia che avrà più poteri di quanti riuscirà ad esercitarne e con componenti non eletti dai cittadini, ai quali non debbono rispondere del loro operato. Faccio un esempio, se l’Italia dovrà decidere su pace o guerra l’unica sede in cui farlo sarà la Camera dei deputati, in quanto il Senato non conterà nulla. La Camera eletta con un sistema ipermaggioritario avrà la maggioranza di un solo partito, per di più con deputati in buona parte designati, guarda caso,  dal capo del partito.

 

La domanda che, da tempo, mi pongo e alla quale nessuno sa darmi risposta: come può un organo risultato di una legge elettorale dichiarata dalla Consulta  “illegittima” produrre effetti giuridici legittimi? Poteva essere tollerato per i primi mesi successivi a quel voto ( Febbraio 2013) ma siamo quasi a distanza di tre anni è tutto continua nell’illegittimità riconosciuta.

 

Ecco perché connoto come “farlocco” un governo presieduto da un signore mai eletto, la motivazione nella scelta del quale è stata quella di aver scalato la leadership del suo partito, pugnalando alla schiena Enrico Letta con il suo cinico” stai sereno”.

 

Farlocco nel senso etimologico del termine, ossia falso, taroccato, al quale, nel clima del più volgare e indegno trasformismo parlamentare, si sono aggiunti altri accoliti come i verdiniani promotori e fruitori  dello scellerato Patto del Nazareno e qualche altro ultimo naufrago alla ricerca di una cintura di salvataggio.

 

Il distacco crescente tra casta politica e società civile, evidenziato dalla metà degli elettori che si sottraggono ai seggi, Renzi cerca di sostituirlo, da un lato, populisticamente con un rapporto comunicativo diretto con gli italiani, utilizzando senza limiti ogni media, e, dall’altro, scavalcando ogni mediazione con i corpi sociali organizzati e offrendo continue “ sportule” ad amici dentro e fuori le aule parlamentari.

 

Ecco perché, nell’assenza di ogni cultura politica, distrutta dal trasformismo renziano anche ciò che rimaneva del vecchio comunismo nostrano, siamo interessati a dar vita in tutti i comuni dell’Italia a comitati civico popolari di partecipazione democratica. Luoghi nei quali si possano ritrovare quanti, a partire  dalle prossime elezioni amministrative e poi nel successivo referendum, intendono opporsi al renzismo e ai populismi estremi.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 29 Gennaio 2016

 

 


Quell’arrogante de “ Il Bomba”

 

Di fronte a un’aula di “nominati Illegittimi”, a capo di un governo “farlocco”, esito finale del “golpe blanco” del Novembre 2011 supervisionato dall’allora Presidente Napolitano, ieri al Senato, “ il Bomba” fiorentino ha usato toni duceschi che non si erano mai uditi in tutta la storia della Repubblica dalla bocca di un capo del governo.

Mancava solo l’attacco alla “aula sorda e grigia” , quella che, con il Duce, passò come "il discorso del bivacco". Allora Mussolini poteva contare sulle sue squadracce nere e sul consenso progressivo nel Paese; oggi Renzi solo su quello del Parlamento degli “illegittimi” così connotati dalla sentenza della Consulta sul “ porcellum” di cui sono legittimi figli ed eredi.

Spiace che alcuni naufraghi in cerca di una scialuppa di salvataggio finale si siano aggiunti ai mercenari di Verdini e degli ex popolari cavazzoniani al governo.

Di fronte all’arroganza del ducetto toscano dimentico delle gravi responsabilità nell’affare bancario dell'Etruria serve una forte mobilitazione popolare.

Prima tappa: le prossime elezioni amministrative e poi, l’adesione massiccia al Comitato per il NO al referendum con il quale, oltre a bocciare una riforma pasticciata e una legge super truffa come quella dell’Italicum,  cercheremo di  mandare a casa una schiera di dilettanti allo sbaraglio che ci fanno vergognare in tutto il mondo.

 

Avanti da “ Liberi e Forti” sicuri che alla fine: NO PASARAN!!

 

 

Ettore Bonalberti

Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)

socio co fondatore PATTO DI ORVIETO componente della direzione nazionale dei Popolari per l'Italia

Promotore del think tank:VENETO PENSA

Via miranese 1/A

30171-Mestre-Venezia

tel. 335 5889798

ettore@bonalberti.com

info@bonalberti.com

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

www.alefpopolaritaliani.eu

Venezia, 28 Gennaio 2016


Quei ragazzotti senza cultura censori senza vergogna

 

Insomma chi dice la verità: Renzi, Franceschini o la Sovrintendenza? Di chi la responsabilità censoria alle opere d’arte dei Musei capitolini?

L’impressione che si ricava da tutta questa triste faccenda dei nudi ricoperti per non mettere in imbarazzo il presidente iraniano Hassan  Rohani è che, alla fine, la brutta figura la facciamo tutti noi italiani, rappresentati da alcuni provincialotti senza cultura incompetenti e pelosi.

Prima con Monti e accoliti per difendere, senza successo, gli interessi di Finmeccanica abbiamo avuto la stupida idea di riconsegnare i nostri due marò all’India; adesso per   per paura  di mettere a rischio alcuni importanti contratti, che fanno seguito alle lungimiranti politiche avviate da quel grande italiano che fu Enrico Mattei, ci siamo resi ridicoli all’intero mondo vergognandoci della nostra più alta cultura….

Povera Italia se, come ci ricordava con senso del disprezzo Churchill, anche i suoi nuovi illegittimi rappresentanti si dimostrano a livello di quelli usi a “perdere le guerre come se fossero delle partite di calcio” e “ le partite di calcio come se fossero delle guerre”.

 

Prima riusciremo a mandare a casa questi giovanotti, non per niente connotati come i “ Bomba”,  e meglio sarà per tutti noi e per la nostra bene amata Italia.

 

 

Ettore Bonalberti

Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)

socio co fondatore PATTO DI ORVIETO componente della direzione nazionale dei Popolari per l'Italia

Promotore del think tank:VENETO PENSA

Via miranese 1/A

30171-Mestre-Venezia

tel. 335 5889798

ettore@bonalberti.com

info@bonalberti.com

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

www.alefpopolaritaliani.eu

Venezia,27 Gennaio 2016


Una ventata di pulizia e di novità

 

Apprezziamo il quotidiano impegno giornalistico dell’amico Lelio Alfonso che non manca di ricordarci la candidatura di Corrado Passera a Sindaco di Milano e le progressive fortune del partito di Italia Unica.

 

Abbiamo tentato più volte di evidenziare che, senza un accordo tra tutti i partiti, movimenti, associazioni, gruppi, che intendono mettersi Insieme per l’alternativa al trasformismo renzista e al populismo del M5S, a Milano, come nelle altre città in cui si andrà al voto di primavera, si subiranno solo cocenti delusioni e  pesanti sconfitte.

 

Ai nostri appelli si è fino ad ora fatto orecchie da mercanti e, come ci ricorda il proverbio: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

 

Non bastano le disponibilità finanziarie, anche se sono un elemento non indifferente in politica come nella vita, e un buon apparato di comunicazione per fermare “ il giovin signore fiorentino” sostenuto dalle forze più potenti del sistema interno e internazionale, comprese quelle che si occupano di riti esoterici e non solo. Si aggiunga la circostanza di una candidatura, come quella di Giuseppe Sala, gran patron di EXPO 2015, un uomo dalla disinvolta mutevolezza di orientamento politico, fatta apposta per dare ulteriore spinta al trasformismo politico che è la cifra più significativa del caso renziano.

 

A Milano con il prof Antonino Giannone, V.Presidente ALEF, noi Popolari sosteniamo la candidatura e la lista NOI x MILANO di Nicolò Mardegan, con la speranza di costruire una coalizione vincente alternativa al renzismo e ai populismi estremi.

 

Mardegan ha aderito al patto di Orvieto i cui firmatari ( Mario Mauro, Carlo Giovanardi, Mario Tassone, Gaetano Quagliariello e il sottoscritto) si riuniranno il 3 febbraio p.v. a Roma per avviare i comitati di coordinamento locali per le prossime amministrative. Contiamo di farlo anche in Lombardia con una riunione a Milano. A quel patto gli amici di Italia Unica si sono sempre affacciati sull’uscio, ma una scelta concreta di adesione da parte del loro leader non è mai pervenuta. Sempre missi dominici, per quanto autorevoli, ma mai il Passera in persona a confermare una condivisione di proposta e di obiettivi politici di prospettiva.

 

Ecco perché, in assenza di passi significativi per l’unità di tutti coloro che intendono battersi per l’alternativa al governo delle sinistre e delle finzioni trasformistiche renziane, riteniamo che la candidatura di Nicolò Mardegan, popolare espressione della migliore borghesia giovanile meneghina, ispirato ai principi della dottrina sociale cristiana, elemento in grado di offrire una piattaforma di mediazione tra gli interessi e i valori del ceto medio produttivo con quello delle classi popolari, sia la migliore oggi proponibile per Milano.

 

Mancano ormai poche settimane per avviare con efficacia la campagna elettorale e, mentre il Cavaliere dimezzato, continua a traccheggiare senza senso, da parte nostra puntiamo sul nostro alfiere in grado di portare a Milano  una ventata di pulizia e di novità.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

Venezia, 26 Gennaio 2016


Quel mutevole capitano di ventura fiorentino

 

Esecutore materiale del Patto del Nazareno su incarico del Cavaliere, quando trattava per il salvataggio di Berlusconi e l’elezione concordata del Presidente della Repubblica, subito il dietro front renziano, si è andato conformando al “ giovin signore” sino a  consolidare il trio toscano Renzi –Boschi-Verdini.

 

Dalle cronache giornalistiche  e dai rumors del palazzo appare consistente il ruolo giocato da quella consorteria del grembiule, compasso e cazzuola così profondamente radicata nella città di Dante e nell’entroterra aretino. Funzioni e ruoli che il sopravvissuto faccendiere sardo Flavio Carboni, già coinvolto nella morte del banchiere Calvi e nella P3, ha rimarcati in una sua recente intervista,   a proposito dei suoi rapporti con il padre della ministra Boschi e di Renzi, col dire: “ se parlo cade il governo”.

 

Ufficiale di minor rango, ma forte del manipolo di voti sottratti a Forza Italia e portati in dote al governo, la danza a livello istituzionale è efficacemente condotta da quel mutevole capitano di ventura che é Denis Verdini, ispiratore di quel pasticciaccio brutto del combinato disposto riforma costituzionale e legge super truffa dell’Italicum, del cui ultimo voto di approvazione al Senato è stato strumento indispensabile.

 

L'ipocrisia politica della minoranza del  PD in Parlamento é nella tradizione dei comunisti:  si scandalizzano per le tre Vice Presidenze di Commissioni al Senato affidate, dopo il voto, a uomini di Verdini, ma, in realtà, appoggiano Renzi con questa nuova maggioranza con i voti determinanti di AREA (Verdini) per approvare al Senato la riforma Costituzionale!!

Allo stupore e all’ indignazione quali saranno ora le conseguenze nel Partito del Nazareno? Nessuna come al solito. Verdini, salito formalmente a bordo della maggioranza di Governo, finalmente ha preso il largo con l’autorevole e soddisfatto beneplacito del Capitano Renzi. 

E il gioco si sta ripetendo a Milano. Renzi&Verdini&Sala: si avviano, infatti, non solo a Roma, ma anche a Milano ad una attraversata verso “l’Isola che non c’é: verso un ulteriore degrado della politica senza Etica" .

L'ipocrisia politica è presente anche a Milano tra gli arancioni di Pisapia che,  fingono di strapparsi le vesti per l’appoggio di Verdini a Sala,  ma, in realtà, se Sala vincerà le primarie del PD, finiranno sotto sotto per appoggiarlo in cambio di tanti benefici già avuti (EXPO) e promesse elettorali.

Chissà se nei prossimi giorni Verdini con i suoi  mercenari di ALA fara' endorsment in tutte le altre città dove si voterà: siamo ormai all'avvelenamento dei pozzi della politica e al più disinvolto e immorale trasformismo in Parlamento e adesso anche nelle elezioni amministrative.  Mala tempora currunt, ma Usque tandem?

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Domenica, 25 Gennaio 2016

 


No!  Non è la nuova DC

 

In un articolo di  Francesco Verderami su Il Corriere della sera di Mercoledì 20 Gennaio si esponeva una tesi singolare a sostegno del combinato disposto della riforma costituzionale con la legge super truffa dell’Italicum, sottolineando che, a differenza di quanti come noi esprimono netta opposizione a quel pasticciaccio brutto del trio toscano Renzi-Boschi-Verdini, in definitiva, con quella legge un ruolo essenziale verrebbe assunto dalla minoranza PD con cui il premier dovrebbe in ogni caso fare i conti.

 

Insomma Verderami  prende atto del fatto che, con l’Italicum, a una minoranza che acquisisce alle elezioni solo qualche punto in più degli altri contendenti, spetterà tutto il potere, ma che, però, dentro il partito della nazione, le diverse correnti potranno esercitare quelle azioni di verifica e controllo spettanti in un funzionamento fisiologico della democrazia, alle opposizioni.

 

Sarebbe, in definitiva, una sorta di riedizione in chiave trasformistica di un nuovo partito- stato, del tipo di ciò che fu la DC per tutto il tempo della cosiddetta prima repubblica, nella quale, grazie alla conventio ad excludendum, l’altalenante sistema degli equilibri tra le diverse correnti che caratterizzavano quel partito,  era il meccanismo che, in assenza di alternativa politica, segnava i frequenti cambiamenti negli assetti di potere e di governo.

 

A Verderami non sfuggirà, pur nel suo brillante tentativo del solito endorsment del Corsera al potente di turno, l’abissale differenza tra ciò che ha rappresentato nella storia politica dell’Italia la DC e questa esperienza  renziana.

 

Sorta nell’equivoco istituzionale più serio e complesso della Repubblica, il suo fondamento  strutturale è il trasformismo con l’assenza di ogni riferimento politico culturale proprio dei partiti che hanno concorso a realizzare la democrazia nel nostro Paese.

 

Intanto nella DC l’unità si fondava sulla combinazione efficace ed efficiente di interessi e di valori  e sulla comune identità nella cultura politica dei cattolici democratici e dei cristiano sociali, con correnti di pensiero e di potere che rappresentavano larghe porzioni di ceti medi e popolari presenti nella società italiana. Accanto ad essa, sempre aperta, anche dopo il voto a maggioranza assoluta del 1948, alle alleanze con gli altri partiti di ispirazione laico liberale e socialista, ci fu sempre una presenza del più forte partito comunista dell’Occidente da Togliatti, Longo, Berlinguer e sino all’ultimo Occhetto, artefice della svolta della Bolognina.

 

Nel costituendo partito della nazione, invece, dopo l’equivoca miscela uscita dalla trasformazione PCI-PDS-DS-Margherita-PD, con l’aggiunta degli accoliti di Area Popolare e dei neo turiferari verdiniani e di altri possibili aspiranti alle careghe, non potrà che derivare un ircocervo senza identità culturale, la sommatoria dei ristretti “cerchi magici” attorno ad alcuni capi e capetti di complemento, senza alcuna capacità di rappresentare gli interessi e i valori reali che si agitano in Italia.

 

Alla crisi di rappresentanza politica si tenta, insomma, anche attraverso la riforma costituzionale ed elettorale, di porvi rimedio con il totale accentramento dei poteri nelle mani di un uomo solo al comando, con la fine di ogni autonomia ai livelli territoriali locali e con il superamento di ciò che resta delle rappresentanze sociali messe all’angolo senza ritegno.

 

Tutto ciò potrà far piacere ai portavoce di una borghesia bolsa, vecchia e stantia, e ai burattinai che stanno tirando le fila di un governo farlocco, ma non potrà mai essere condiviso dagli uomini “liberi e forti” che sentono il dovere di combattere contro una deriva autoritaria destinata a far regredire irrimediabilmente la democrazia in Italia.

 

E’ un vero psico -dramma quello degli italiani i quali, di tanto in tanto, si lasciano ammagliare da qualche provinciale imbonitore che, alla fine, se lo devono sopportare….. per un ventennio. Noi, però, come molti dei nostri padri, anche stavolta saremo insieme a tutti quelli che dicono NO.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 22 Gennaio 2016

 


Una giornata nera della Repubblica

 

 

Ieri è stata una delle giornate nere nella storia della Repubblica, con il secondo voto favorevole del Senato al progetto di riforma del trio dei  grandi costituzionalisti Renzi-Boschi- Verdini.E’ stato il voto di un Parlamento farlocco di “illegittimi”, dove pullulano nella maggioranza drogata  timidi conigli e molti capponi trasformisti.

È tempo di emergenza democratica, come ha scritto l’amico prof Antonino Giannone, V.Presidente di ALEF (www.alefpopolaritaliani.eu):  vogliono stravolgere la Costituzione senza che abbiano avuto un mandato per farlo. I Senatori che hanno consentito di superare i 161 voti necessari giungendo a 180 voti sono stati Verdini (18) Tosi (3) oltre ad Alfano&C. Tutti fuorusciti da Partiti che non avevano un tale programma quando si presentarono alle elezioni. È in corso una vera truffa della Democrazia

E’ prevalsa la morale dei condannati a morte: meglio tra due anni che subito.

Poveri vecchi ex PCI ridotti alla condizione degli zombies e poveri vecchi DC d’antan intruppati nel PD o, peggio, “venduti” per poche fave al “ Bomba fiorentino”. Spiace che anche gli amici del nostro amico Tosi abbiamo favorito l’infame progetto. Noi restiamo fedeli alla Costituzione, contro questo inganno che toglie ogni autonomia e accentra il potere nelle mani di un sol uomo e ci batteremo con il comitato del NO in tutte le sedi per evitare una deriva autoritaria e la fine della democrazia in Italia.

 

Ettore Bonalberti

Presidente A.L.E.F. (Associazione Liberi e Forti)

socio co fondatore PATTO DI ORVIETO e componente della direzione nazionale dei Popolari per l'Italia

Promotore del think tank:VENETO PENSA

Via miranese 1/A

30171-Mestre-Venezia

tel. 335 5889798

ettore@bonalberti.com

info@bonalberti.com

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

www.alefpopolaritaliani.eu


Venezia, 21 Gennaio 2016

 

 

Tre tappe importanti per i Popolari, i liberali e riformisti italiani

 

Mercoledì 20 Gennaio 2016 è stata una giornata importante nella vicenda politica dei   popolari, liberali e riformisti italiani.

Si è svolto, infatti, il primo incontro dei firmatari del Patto di Orvieto  alla vigilia del family day, delle elezioni amministrative della prossima primavera e dell’annunciato referendum sulla riforma costituzionale. Trattasi di tre tappe fondamentali  per misurare il consenso dei partiti, movimenti, associazioni e gruppi che hanno sottoscritto e intendono aderire al  PATTO DI ORVIETO, ben al di là di ciò che è accaduto e accade nelle vicende quotidiane nel e  del  Palazzo.

Ha introdotto i lavori il sen. Mario Mauro, il quale ha informato i presenti del mandato ricevuto all’unanimità dalla direzione nazionale dei Popolari per l’Italia per condividere le azioni più opportune di un percorso comune verso la formazione del nuovo soggetto politico, così come indicato nei documenti di Rovereto e di Orvieto.

“ Siamo impegnati ad avviare insieme da subito uno strumento di aggregazione concreto per ricomporre a livello territoriale le  risorse presenti delle diverse componenti del patto di Orvieto”; questa l’ indicazione espressa dal senatore Mauro.

Analogo mandato è stato confermato dall’On Mario Tassone,  il quale ha ricordato l’impegno del NCDU a concorrere alla costruzione di un’aggregazione-federazione di tutte le componenti laico liberali e cattolico popolari alternative  ai populismi estremi e alla deriva autoritaria cui sta portando il Paese il socialismo trasformista renziano.

Anche il sen. Carlo Giovanardi ha sostenuto la necessità di darsi finalmente una connotazione unitaria, per offrire agli amici impegnati nelle realtà locali un punto di riferimento certo, consapevoli che, restando divisi, anche alle prossime elezioni amministrative non si va da nessuna parte.

Più prudente la linea espressa da Gaetano Quagliariello, preoccupato per quanto sta accadendo a livello internazionale e italiano, con il progressivo accentramento dei poteri nelle mani di un uomo solo al comando e preoccupato di lavorare al meglio per dar vita a una realtà elettorale consistente, tale da riequilibrare al centro il ruolo progressivamente dominante assunto dalla Lega.

L’On.Potito Salatto,V. Presidente dei Popolari per l’Italia ha fatto presente che le realtà territoriali del partito spingono per procedere senza indugi nel processo di ricomposizione unitario, senza il quale ci si ridurrebbe al pur nobile, ma minoritario, ruolo di testimonianza.

In ogni caso anche il movimento IDEA, firmatario del patto di Orvieto, parteciperà al comitato di coordinamento, già convocato per Mercoledì 3 Febbraio presso la sede nazionale del NCDU a Roma, nel quale si decideranno le azioni più opportune in vista delle elezioni amministrative con l’analisi delle diverse situazioni locali, anche con riferimento alle possibili candidature e si darà il via alla formazione dei comitati locali di coordinamento civico popolari unitari delle diverse componenti che fanno riferimento al Patto di Orvieto.

Ettore Bonalberti, presidente di ALEF ( Associazione Liberi e Forti) firmatario del patto di Orvieto, ha suggerito di denominare provvisoriamente il comitato di coordinamento: “INSIEME PER L’ALTERNATIVA”, Carlo Giovanardi: “ POPOLO E LIBERTA’”.

Intanto una delegazione unitaria delle componenti del Patto di Orvieto parteciperà alla manifestazione del family day del 30 Gennaio prossimo a sostegno della famiglia naturale costituzionalmente tutelata e contro l’equivoco Ddl Cirinnà sui diritti civili.

 

Secondo momento di grande valore politico, la  conferenza stampa tenutasi sempre al Senato per il lancio del comitato dei Popolari e liberali per il NO al referendum.

Mario Mauro, Luigi Compagna, , Carlo Giovanardi, Mario Tassone e Giuseppe Gargani, presenti i capigruppo di Camera e Senato di Forza Italia, Brunetta e Romani, la capogruppo di  SEL al Senato, sen Loredana De Petris, hanno espresso la volontà di dar vita in tutti i comuni d’Italia a comitati civico popolari unitari per il NO al Referendum, al fine di evitare la deriva di tipo plebiscitario che Renzi ha inteso far assumere alla prossima scadenza referendaria .

Contro lo stravolgimento dei caratteri fondanti della Repubblica, pur distinti dalle altre componenti di diversa ispirazione ideale e culturale, ma sempre uniti nella difesa dei valori essenziali della democrazia repubblicana, i popolari eredi della tradizione sturziana e degasperiana, dei padri costituenti Mortati, Dossetti, La Pira, Moro e Fanfani insieme ai laici liberali eredi della tradizione di Croce, Nitti e  Orlando, intendono concorrere con quanti, come gli amici del gruppo degli Stati Generali di Sovranità Popolare e dello stesso centro destra, si impegneranno  per il NO nella prossima  battaglia di  democrazia e libertà.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Roma, 20 Gennaio 2016

 

 


Ubi major minor cessat

 

Con la dichiarazione di ieri del Presidente della CEI, card Bagnasco, ogni residua ambiguità viene spazzata via e finalmente il “Popolo di Dio della Chiesa italiana” conosce il vero orientamento dei Vescovi in merito alla manifestazione indetta il 30 Gennaio a Roma .

 

“Ubi major minor cessat” e il segretario Mons Galantino rientri doverosamente nel suo ruolo di segretario della CEI, lasciando al Presidente il compito e la funzione che gli sono propri.

 

Non possiamo che condividere con il card Bagnasco l’idea che “Il Family Day “ del 30 gennaio è un’iniziativa «a difesa della famiglia, del sostegno pieno alla famiglia che non può essere uguagliata da nessun’altra istituzione o situazione. L’obiettivo è decisamente buono» e «assolutamente necessario perché le politiche familiari sono piccolissime»: «la famiglia è il fondamento di tutta la società»

 

Il presuie ha poi così continuato: «La promozione della famiglia  e l’invocazione di sostegni reali, che fino ad adesso sembra che non ci siano, dovrebbe essere una voce unitaria di tutto il Paese, di tutte le famiglie italiane, anche in modo diversificati». Nessuna ambiguità e possibilità di interpretazioni equivoche da parte di vescovi, sacerdoti e “cattolici adulti”.

La Chiesa italiana si schiera in difesa della famiglia naturale e così come  è indicata nella Costituzione della Repubblica.

 

Lasciamo alla senatrice Cirinnà il compito di difendere il suo equivoco progetto e ci auguriamo che, a partire dagli amici di Area Popolare presenti nel governo, ai cattolici del PD, lo stesso presidente del Consiglio sappia assumere una posizione di equilibrio che, fatti salvi i diritti civili delle coppie omosessuali, non portino a stravolgere il diritto naturale e la stessa carta fondamentale su cui si è costruito il patto sociale degli italiani.

 

 

Come prima più di prima

 

Era già accaduto al Cavaliere che, con la manovra sullo spread e tra i sorrisi beffardi del duo Merkel-Sarkozy, complice un presidente della Repubblica prono al volere dei poteri finanziari forti, fosse defenestrato dalla guida del governo nel Novembre 2011. Fu un’operazione che assunse i caratteri di un vero e proprio “golpe blanco”. Sta accadendo adesso nei confronti del “giovin signore fiorentino”.

 

L’accesa polemica con il Presidente della commissione europea  Juncker e il grave isolamento in cui è incappato Matteo Renzi, sono il segnale di un cartellino giallo tendente al rosso che non mancherà di scattare se le verifiche in atto sul disastrato sistema bancario italiano riveleranno l’esatta consistenza del deficit presente.

 

Sembra svanire così quell’aurea di invincibilità che ha accompagnato sin qui la rapida, seppur ambigua e inconsueta, ascesa del capo del governo mai eletto dagli italiani; mentre si appalesano in tutta la loro drammaticità e pesanti conseguenze per l’Italia, le incapacità e insufficienze di un’azione di governo nelle mani di un furbastro dilettante allo sbaraglio.

 

Si può anche contare su una maggioranza drogata di un Parlamento di “nominati” illegittimi, ma, con politiche ambigue e conti fuori controllo, solo con la propaganda e i messaggini via twitter non si governa un grande Paese come l’Italia. E’ tempo che l’arrampicata veloce del giovin signore si interrompa e si avvii un progetto di ricomposizione dell’unità nazionale che le politiche del renzismo trasformista rampante hanno compromesso non solo sul fronte interno, ma nociuto pericolosamente anche su quello europeo e internazionale.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte-net

 

Martedì 19 Gennaio 2016

 

 


Perché aderiamo al Comitato per il NO al Referendum

 

Sin dall’avvio delle procedure anomale con cui il trio Renzi-Boschi-Verdini hanno operato per modificare i caratteri fondamentali della nostra Costituzione ho deciso di assumere come ALEF una posizione nettamente contraria alle conclusioni raggiunte dallo scellerato patto del Nazareno, ahimè a suo tempo perseguito e approvato anche da Forza Italia e dal Cavaliere.

 

Con l’avvio nei giorni scorsi del Comitato per il NO al referendum al quale l’amico prof Antonino Giannone, anche su mia delega, ha aderito, vorrei spiegare le ragioni della nostra scelta.

 

Premessa: siamo di fronte a un’iniziativa di riforma della Costituzione frutto del patto scellerato del Nazareno e portata avanti da un Parlamento di “ nominati” eletti da una legge dichiarata “ incostituzionale” dalla Corte Costituzionale.

 

E’ ben vero come ha scritto anche Alfiero Grandi che:  "La Corte ha salvato gli atti già compiuti da un parlamento eletto con una legge elettorale illegittima ma dopo avrebbero dovuto esserci nuove elezioni, con un nuovo sistema elettorale, possibile anche con quello uscito dalla sentenza. Invece no. Il parlamento a trazione del governo Renzi per le più disparate - spesso poco nobili -  ragioni ha approvato una legge elettorale ipermaggioritaria simile al porcellum e ha fissato l’asticella dei deputati” e che, come da tempo vado scrivendo, dopo quella sentenza si sarebbero dovuto ridare la voce al popolo sovrano: tenere elezioni con la nomina di un’assemblea costituente avente piena legittimità a procedere alle indispensabili modifiche e aggiornamenti della nostra Grundnorm.

 

Siamo, dunque, in presenza di una fatto politico istituzionale di estrema gravità, ossia al tentativo di procedere con un referendum estremamente manipolabile su un progetto di modifica sostanziale della Carta approvato da un Parlamento” farlocco", e da un governo guidato da un Presidente del consiglio “anomalo” e mai eletto, con l’avallo di un Presidente della Repubblica eletto, a sua volta, da quello stesso parlamento “farlocco", espresso  da una legge che lo tesso Mattarella, da giudice costituzionale aveva contribuito a dichiarare incostituzionale; un Presidente della Repubblica che per la prima volta, infine, non ha potuto ricevere il voto né del segretario del partito di maggioranza (perché mai eletto in Parlamento), né di quello dell’opposizione, perché estromesso dal Senato in base alla Legge Severino su cui pende il giudizio di incostituzionalità e applicata con effetto retroattivo (?!).

Ce ne saranno tanti dei fatti e  delle ragioni di questi anni ( dal famigerato Novembre 2011 in poi)  su cui discuteranno i futuri giuristi e storici a livello nazionale e internazionale . Gli é che siamo in presenza di una situazione del tutto fuori controllo istituzionale che non esito a definire frutto di un”golpe blanco” di tipo sudamericano.

 

In presenza di tale emergenza istituzionale e politica noi che ci sentiamo parte della grande tradizione cattolico popolare che, con De Gasperi, Mortati, Dossetti, Moro, Fanfani e La Pira diede un contributo fondamentale alla stesura della Costituzione, non possiamo che concorrere con la schiena diritta e forti delle nostre argomentazioni all’unico strumento che, allo stato degli atti, ci rimane per evitare uno stravolgimento su basi e fonti istituzionali  illegittime della Grundnorm che regola la stessa nostra convivenza nazionale, ossia l’adesione al comitato per il NO al referendum sulla riforma Boschi-Verdini.

 

Certo avendo consapevolezza delle diverse motivazioni che possono stare alla base di altri amici espressione di diverse culture politiche, ma con i quali ci unisce la volontà di difendere il bene supremo dell’unità costituzionalmente definita, pronti domani, con una nuova assemblea costituente o con un parlamento eletto con la legge del consultellum risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale sulla legge elettorale del “porcellum”, a confrontarci nel merito delle riforme necessarie e compatibili con i nuovi equilibri politici espressi non da alcuni capetti etero guidati dai poteri forti, ma dalla sovranità che appartiene al popolo.

 

Un contributo positivo è già venuto dagli amici del NCDU, la cui direzione si é riunita nei giorni a scorsi a Roma ed ha approvato l’allegato documento.

Ringrazio l’amico Mario Tassone, allievo e seguace del nostro indimenticabile maestro Aldo Moro, per la passione con cui in questi mesi ha difeso l’assetto costituzionale dell’Italia, evidenziando le profonde storture che “ il giovin signore fiorentino” con il sostegno di quel fine giurista da bottega del sen Verdini ha introdotto e intende introdurre in Italia.

 

Mi auguro che altri autorevoli amici esperti costituzionalisti di area cattolica possano unirsi a noi , così come ho già sollecitato gli altri firmatari del Patto di Orvieto ( Giovanardi, Mauro e Quagliariello) che ci leggono in copia a concorrere al comitato del NO al Referendum per il quale ho proposto di organizzare in tutti i comuni d’Italia dei comitati civico popolari per la difesa della sovranità popolare.

Un caro saluto

 

Ettore Bonalberti

Presidente ALEF (Associazione Liberi e Forti)

firmatario del PATTO DI ORVIETO-componente della Direzione nazionale dei Popolari per l'Italia

coordinatore del think tank “VENETO PENSA"

Via miranese 1/A

30171-Mestre-Venezia

tel. 335 5889798

ettore@bonalberti.com

info@bonalberti.com

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

www.alefpopolaritaliani.eu

 

Venezia, 15 Gennaio 2016

 

COMITATO PER IL NO AL REFERENDUM

 

Il Segretario Nazionale del CDU On. Mario Tassone ha riunito la segreteria del partito con i coordinatori regionali per valutare l’opportunità di costituire un Comitato per il NO nel Referendum confermativo della Riforma Costituzionale.

Dopo una approfondita discussione unanimemente si è deciso di procedere alla costituzione del Comitato per:

-        Spiegare ai cittadini, attraverso tutti gli strumenti di comunicazione, che la Riforma Costituzionale modifica radicalmente l’impianto delle Istituzioni democratiche previste dai Costituenti, alterando il principio dell’equilibrio dei poteri;

-        Infatti solo la Camera dei Deputati avrà il potere di valutazione dell’attività di governo, senza alcuna verifica;

-        La legge elettorale farà della Camera dei Deputati uno strumento del partito che vincerà le elezioni parlamentari con una maggioranza relativa dei voti acquisiti in virtù di uno sproporzionato premio di maggioranza che gli verrà attribuito per legge;

-        Il Presidente della Repubblica avrà poteri ridotti perché non potrà sciogliere il “nuovo” Senato, né la Camera dei Deputati governata dal partito politico artatamente maggioritario;

-        Il Presidente del Consiglio governerà senza sottoporsi ad alcun controllo della Camera dei Deputati, la cui maggioranza dei Deputati sarà del partito del Presidente del Consiglio;

-        Il Presidente della Repubblica vedrà affievolito anche il suo potere di rinvio alle Camere delle leggi, in quanto si scontrerebbe con la linea del Presidente del Consiglio;

-        I cittadini che invocano sempre maggiori controlli e verifiche sulla attività delle Istituzioni e dei rappresentanti, dirigenti e funzionari, si troveranno di fronte una riforma costituzionale che elimina ogni possibilità di sindacato ispettivo sostanziale e lascia il Paese al libero arbitrio del partito di maggioranza e del Presidente del Consiglio che questo esprime;

-        Ai cittadini verrà proposta una riforma costituzionale che garantisce la stabilità del governo, ma tale stabilità non garantirà i Cittadini sull’assenza di abusi, di discriminazioni, di violazioni dei Principi e dei Valori a fondamento dell’impianto costituzionale e istituzionale nazionale;

-        Ai Cittadini si dirà che un minor numero di politici servirà per risparmiare risorse, ma non si dirà che finirà definitivamente il principio della “terzietà” delle Istituzioni rispetto a tutti gli orientamenti ideali dei Cittadini;

-        Ai Cittadini si dirà che i provvedimenti saranno più veloci, ma non si dirà che il “principio di uguaglianza” sarà sacrificato sull’altare della elargizione del “favore” alla parte che sosterrà la maggioranza;

-        Ai Cittadini NON si dirà che decadrà il “principio della tutela delle minoranze” e nemmeno gli organi di stampa potranno esprimere valutazioni difformi dall’opinione della maggioranza di governo;

-        Ai Cittadini non si dirà che si sarà trasformato il sistema parlamentare in sistema presidenziale atipico e incontrollato.

 

Tutto questo succederà a tutti Cittadini, e non ad alcuni, se al referendum vincerà una maggioranza favorevole alla proposta di riforma costituzionale e l’Italia, che ha conquistato la Democrazia con il sangue versato nella seconda guerra mondiale e quella di Liberazione, precipiterà in un regime di governo che non renderà conto del suo operato.

 

 


Nun c’è trippa pè gatti

 

Plaudiamo all’indicazione data ieri da Silvio Berlusconi ai parlamentari di Forza Italia di votare no al DdL Cirinnà sulle unioni civili,  che equipara le unioni gay al matrimonio e introduce la pratica della maternità surrogata con tutte le implicazioni di natura morale e sociali  conseguenti. Ci auguriamo che analogo comportamento venga assunto dai parlamentari di Area Popolare che sostengono il governo e da quelli di cultura e fede cattolica presenti nel PD.

 

Più scettici e prudenti sull’ennesima indicazione del Cavaliere sui due super candidati pronti a essere estratti dal cilindro del prestigiatore per i comuni di Roma e di Milano.

 

A Milano da tempo Corrado Passera ha avanzato la sua candidatura, così come dalla base è emersa e sta assumendo sempre maggiore consistenza quella del giovane avvocato Nicolò Mardegan, presidente della Lista NOI x Milano, il quale ha sottoscritto il patto di Orvieto con cui ci proponiamo di ricomporre l’area cattolico popolare, liberale e riformista alternativa al trasformismo socialista renziano, al populismo grillino e alla sinistra post comunista.

 

Non crediamo nella funzione maieutica del Cavaliere, anche se consideriamo indispensabile il suo apporto e quello degli amici di Forza Italia a sostegno di un programma, di una lista e di un candidato alternativi all’equivoco trasformista renziano di Giuseppe Sala a Milano.

 

Il candidato, tuttavia, come continuiamo a insistere da tempo, o si concorda tra tutte le componenti presenti, quelle del Patto di Orvieto unite Insieme per l’Alternativa comprese, o, in caso di disaccordo, si proceda alla scelta attraverso le “cittadinarie” degli elettori  da svolgersi  con regole certe e condivise come quelle che proponemmo a suo tempo per la città di Venezia.

 

Una cosa è certa: senza l’unità di tutte le componenti alternative al renzismo e al grillismo, come ci ricordava il compianto Franco Evangelisti al tempo della DC,  parafrasando il vecchio Sindaco di Roma Ernesto Nathan: ” nun c’è trippa pe’  gatti”….

 

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 14 Gennaio 2016

 

 

 


Nasce anche nel  Veneto il coordinamento civico popolare del Patto di Orvieto

 

Si sono incontrati a Padova, Martedì 12 gennaio, gli amici della Costituente civico popolare del Veneto.

Erano presenti i rappresentanti dei sottoscrittori del Patto di Orvieto (ALEF, Popolari per l’Italia, Popolari Liberali), gli amici del FARE-Lista Tosi, di Italia Unica, del Partito dei Pensionati, del Partito Repubblicano Italiano e  del NCDU.

Dopo un’introduzione di Ettore Bonalberti con la presentazione dei documenti di Rovereto e di Orvieto di cui è uno dei firmatari, nei quali è indicato l’obiettivo della ricomposizione dell’area popolare, laica, liberale e riformista, sono intervenuti, tra gli altri:

Domenico Menorello, coordinatore dei Popolari per l’Italia del Veneto, il quale ha ribadito l’esigenza che anche nel Veneto si debba superare la frammentazione esistente nell’area centrale e  costruire una piattaforma federativa senza alcuna volontà di omologazione, ma puntando a ritrovarsi uniti nel nome della sussidiarietà e contro la demagogia, forti dell'esperienza della piattaforma pluralista messa in campo nel Veneto alle scorse elezioni con la candidatura Tosi.

Fabio Venturi, a nome del Movimento del FARE di Flavio Tosi, ha evidenziato la volontà del movimento a porsi in ascolto attento a quanto si muove nella realtà del Veneto, per costruire un’alternativa al trilemma Renzi,Grillo e Salvini con la formazione di un vasto movimento popolare centrale aperto al dialogo ed equidistante senza pregiudiziali da tutti gli attuali partiti.

Aldo Pagano del PRI ha espresso adesione alle proposte indicate dai documenti di Rovereto e di Orvieto, così come Paolo Avezzù ha portato l’adesione al patto di Orvieto  già espressa nel precedente incontro di Rovigo con Carlo Giovanardi dei Popolari Liberali.

Maurizio Marcassa, a nome del partito dei Pensionati, ha ribadito interesse e condivisione alle iniziative già avviate con la Costituente civico popolare del Veneto.

Particolarmente interessanti gli interventi di Lorenzo Antonini, responsabile del Veneto di Italia Unica, il  partito che fa riferimento a Corrado Passera, anch’egli disponibile con il movimento presente nel Veneto a concorrere alla costruzione di un comitato di coordinamento tra le diverse anime  dell’area laica, liberale e popolare veneta.

Altri interventi da parte di Antonio Foresta , Sebastiano Arcoraci, Roberto Zarpellon e Giorgio Zabeo anch’essi disponibili  a concorrere alla costruzione del nuovo progetto politico.

Si è deciso di proseguire il dibattito Venerdì 29 Gennaio, con la volontà di organizzare in tutte le realtà territoriali venete dei comitati civico popolari per la partecipazione politica dei cittadini ed elettori, a partire dai comuni che saranno interessati dalle prossime elezioni amministrative di primavera.

 

Venezia, 13 Gennaio 2016

 

 


Serve una risposta popolare

 

Matteo Renzi, il presidente eletto da un Parlamento di “ illegittimi” e con le insolite procedure conseguenti al “golpe blanco” del Novembre 2011, ha applaudito al voto di ieri alla Camera di approvazione della sciagurata riforma costituzionale Boschi-Verdini, con la sua  solita  comunicazione via twitter.

 

Mancano due ultimi passaggi “tecnici” che sembrerebbero del tutto innocui, considerando l’inconsistenza politico culturale e morale di ciò che rimane dell’antico spirito e cultura democratico popolare nell’esangui anime morte del fu PCI-PDS-DS.

 

Con Alfiero Grandi, già sindacalista CGIL e deputato della sinistra  condividiamo il suo giudizio nettamente contrario alla riforma partendo dalla constatazione che: “l’attuale Costituzione ha permesso di distruggere la legge elettorale definita “porcellum” perché contraria ai suoi principi, anche se troppo tardivamente, dalla sentenza della Corte. La Corte ha salvato gli atti già compiuti da un parlamento eletto con una legge elettorale illegittima, ma dopo avrebbero dovuto esserci nuove elezioni, con un nuovo sistema elettorale, possibile anche con quello uscito dalla sentenza. Invece no. Il parlamento a trazione del governo Renzi per le più disparate - spesso poco nobili -  ragioni ha approvato una legge elettorale ipermaggioritaria simile al porcellum e ha fissato l’asticella dei deputati nominati dai capi partito ad almeno i due terzi degli eletti della Camera. Innestando questa legge elettorale sullo scasso della Costituzione in corso di approvazione si avrebbe questo esito: il Senato diventerebbe una camera fittizia che avrà più poteri di quanti riuscirà ad esercitarne e con componenti non eletti dai cittadini, ai quali non debbono rispondere del loro operato. Faccio un esempio, se l’Italia dovrà decidere su pace o guerra l’unica sede in cui farlo sarà la Camera dei deputati, in quanto il Senato non conterà nulla. La Camera eletta con un sistema ipermaggioritario avrà la maggioranza di un solo partito, per di più con deputati in buona parte designati, guarda caso,  dal capo del partito. “

 

Sono le considerazioni che da più  di un anno continuo a svolgere nelle mie note settimanali.

 

Constatata l’impotenza delle camere “ farlocche” a opporre la pur minima resistenza allo strapotere di una maggioranza drogata,  come ALEF abbiamo aderito agli  Stati generali di sovranità popolare che proprio ieri alla Camera hanno dato l’avvio al comitato per il NO al referendum

 

Ora si tratta di dare sostanza e sostegno all’iniziativa che vede in prima fila uno stuolo di giuristi e di personalità della cultura e della politica, come il prof Paolo Maddalena, Gaetano Azzariti- Felice Besostri-Domenico Gallo-Alessandro Pace-Stefano Rodota'-Gustavo Zagrebelsky e la mia proposta, che ho già indicato agli altri amici firmatari del patto di Orvieto ( Mario Mauro, Carlo Giovanardi, Gaetano Quagliariello) è quella di attivare in tutti i comuni italiani dei comitati civico popolari per la difesa della sovranità popolare e il NO alla riforma che, se passasse, trasformerebbe l’Italia in un regime.

 

Saranno comitati aperti alla partecipazione di tutti i cittadini elettori interessati alla difesa della democrazia in Italia, accomunati come nei tempi migliori della storia della Repubblica, dalla volontà di non piegarsi ai tentativi di un giovin signore, servo sciocco dei poteri finanziari che, a Roma come a Bruxelles e nel mondo, annullate le regole del NOMA ( Non Overlapping Magisteria) intendono far prevalere le ragioni del turbo capitalismo finanziario assegnando all’economia e alla politica un ruolo ancillare e servente, senza alcun riferimento al bene comune  .

 

Quel bene comune che, tanto per la cultura dei cattolici democratici e popolari, che per quella dei laici, liberali e riformisti  socialisti resta l’obiettivo da perseguire da chi intende la politica come lo strumento basilare nel determinare i fini che una comunità democraticamente intende proporre e rispetto ai quali indirizzare le scelte dell’economia e della finanza.

 

Crediamo che su queste ragioni, al di là dell’ignavia dei “nominati” in Parlamento, l’Italia ancora una volta saprà dire il suo NO ai tentativi del “giovin signore fiorentino”, così terribilmente simili alle idee di quel suo conterraneo aretino di Castiglion Fibocchi.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

 

 



Elezioni locali subito sì, ma uniti per l’Alternativa

 

Condividiamo la proposta annunciata ieri da Corrado Passera di anticipare il voto nelle grandi città per evitare il perpetrarsi di situazioni di totale sfilacciamento politico amministrativo, come nei casi di Roma, Milano e Napoli.

 

Il tentativo di rinviare a Giugno i rinnovi dei consigli comunali, attraverso  il quale Matteo Renzi spera di risolvere i problemi interni al PD nelle diverse situazioni locali, costituisce un equivoco espediente destinato solamente  ad aggravare le già precarie condizioni di governo di quelle città.

 

Agli amici di Italia Unica, tuttavia, rivolgiamo l’ennesimo invito a superare quella che appare come un’ingiustificata presunzione di autosufficienza e di aprirsi, invece, al confronto con gli amici del Patto di Orvieto per costruire a Milano, come a Roma, a Napoli e negli altri comuni in cui si vota, liste unitarie con quanti sono interessati a concorrere alla soluzione dei problemi locali impegnati , altresì, nella prospettiva politica di un alternativa al renzismo e al grillismo.

 

Alla prossima riunione convocata dagli amici del patto di Orvieto il 20 Gennaio p.v. a Roma  si dovranno sciogliere definitivamente questi nodi  e far partire dal basso i comitati civico popolari per l’ alternativa.

 

Si dovranno concordare i candidati a Sindaco nelle diverse città e, in caso di candidature plurime e alternative, ricorrere al metodo delle “cittadinarie” attraverso cui far scegliere dagli elettori il candidato dell’area dell’alternativa.

 

Presumere di essere portatori di un’autonoma e autoreferenziale capacità di attrazione del consenso, senza passare attraverso le procedure democratiche indicate, porterebbe solo a sicure sconfitte, alla colpevole lacerazione di unificazione delle forze dell’alternativa e alla impossibilità  di offrire un serio ricambio alle gestioni fallimentari della sinistra.

 

Da parte nostra nessuna  preclusione aprioristica, ma la determinazione a procedere secondo metodi e regole condivise.

 

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Venezia, 11 Gennaio 2016

                                                        


INSIEME PER L’ALTERNATIVA

 

Rientrato dall’Africa, dove mi sono sottoposto a un tentativo di disintossicazione dalla politica italiana, riprendo la mia funzione di “osservatore partecipante” in uno scenario ancor più contraddittorio e confuso di quello lasciato a Dicembre.

 

Se con l’ultima nota di fine anno avevo pessimisticamente scritto che, con la crisi irreversibile del terzo stato produttivo, “può accadere di tutto”, quanto sta avvenendo sul piano parlamentare e istituzionale assomiglia assai da vicino alle “idi di Marzo”.  Una congiura stavolta avviata dal turbo capitalismo finanziario internazionale ai danni dell’Italia già nel 2011, resa possibile dai “Quinsling” dell’epoca: presidente Napolitano in testa, con l’esecutore materiale Monti e la resa senza condizioni del Cavaliere atterrito dalla prospettiva della perdita del suo patrimonio residuale personale. Una congiura che sta per tradursi nell’attacco finale alla nostra Costituzione sulla base dell’inqualificabile progetto Boschi-Verdini, parto distocico del famigerato patto del Nazareno, approvato da un Parlamento di illegittimi e da un governo farlocco guidato da un leader mai votato da alcuno.

 

La situazione istituzionale, più volte denunciata nei suoi caratteri di sostanziale illegittimità, rischia di precipitare verso esiti di tipo sudamericano, se non avverranno fatti nuovi sul piano politico e giurisdizionale.

 

Seguiamo con interesse il processo penale avviato coraggiosamente dal Sostituto  Procuratore di Trani, Michele Ruggiero, che svelerà, finalmente ce lo auguriamo, quanto accadde nel 2011 con il golpe finanziario che ci ha portato dal governo Berlusconi a Monti e da questi  a Letta e, con  insolite disinvolte procedure, all’attuale capo del governo Renzi.

 

Con altrettanto interesse partecipiamo attivamente e concorreremo con tutte le nostre forze a sostenere le azioni degli Stati Generali  di sovranità popolare che indicheranno, nel loro secondo incontro  convocato a Roma il prossimo 11 Gennaio; così come il 20 Gennaio, sempre a Roma, con i firmatari  del Patto di Orvieto (Giovanardi, Mauro, Quagliariello, Tassone, Tarolli, Schittulli) daremo il via alla formazione dei comitati civici liberali  e popolari in tutte le sedi regionali e locali per concorrere alla costruzione , dopo il voto di primavera, del nuovo soggetto politico più volte enunciato.

 

Opereremo INSIEME per l’ALTERNATIVA al renzismo, al populismo grillino e alla sinistra post comunista, a partire dalla formazione di liste unitarie alle prossime elezioni amministrative, banco di prova della nostra capacità di rappresentanza politica.

 

Bisognerà superare le residue velleità individualiste tuttora colpevolmente presenti nell’area dei moderati, convinti come siamo che solo da una rinnovata classe dirigente scelta dalla base, potrà nascere quel nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE, alternativo al socialismo trasformista renziano e ai populismi estremi e alla sinistra post comunista.

 

A Milano guardiamo con interesse alla scelta operata dal giovane Nicolò Mardegan a sostegno e in rappresentanza locale del Patto di Orvieto e ci auguriamo che con gli amici di Corrado Passera e di Italia Unica si possano trovare  le indispensabili convergenze programmatiche e di leadership  condivisa, conditio sine qua non per puntare realisticamente all’alternativa  al renzismo vieppiù trasformista del candidato Sala.

 

Con altrettanto interesse continuiamo a sollecitare le necessarie indispensabili convergenze con gli amici del Fare di Tosi e con i Conservatori di Raffaele Fitto anche loro essenziali per il progetto dell’Alternativa.

Agli amici di Area Popolare che continuano a reggere il moccolo al governo del giovin signore fiorentino vorremmo ricordare di restare connessi a quel minimo di residuale coerenza con i propri valori. Un solo riferimento storico su cui riflettere: Il 25 Giugno 1964, nel corso della discussione sullo stato di previsione della spesa del Ministero della Pubblica istruzione, passò la proposta dell’On. Renzo Laconi ( PCI) di abolire il capitolo che prevedeva uno stanziamento di 149 milioni di Lire a favore della scuola privata. Una parte rilevante dei socialisti  votarono contro il finanziamento alla scuola privata, determinando la caduta del governo Moro-Nenni.

Un sussulto di coerenza laica che dovrebbe far riflettere quei popolari cavazzoniani presenti nel governo Renzi, nel momento in cui “ il Bomba”, utile strumento alla mercé dei poteri forti finanziari, con la consueta trasformistica disinvoltura, si appresta ad approvare con il voto di SEL e M5S  quel famigerato DdL Cirinnà sulle unioni civili,  ossia la civilpartnership “alla tedesca”, cioè il riconoscimento di unioni di fatto in forma simil -matrimoniale, con adozione del figlio del compagno. Apertura a ogni avventura lecita e illecita sul piano etico e in netta opposizione ai nostri valori di cattolici impegnati nella “città dell’uomo”.

Cari amici di tante battaglie, penso a Formigoni a Lupi e molti altri anche nel PD, se ci siete: “battete un colpo” e assumete finalmente una decisione coerente con i valori non negoziabili ai quali avete dichiarato di ispirare la vostra azione politica, togliendo la fiducia al governo senza farvi irretire da quel  Tecoppa di Alfano, sempre  pronto a ubbidir tacendo, o, al massimo a punzecchiare il governo con quel suo patetico annuncio della successiva sua partecipazione al referendum popolare abrogativo.

 A distanza di cinquant’anni da quel 25 giugno 1964 che vivemmo da dirigenti del MG della DC nazionale, preferiamo mille volte la coerenza laica dei socialisti d’antan  alle tiepidezze e arrendevolezze di questi cattolici e popolari senza più spina dorsale.

Speriamo che alla fine prevalga il buon senso contro ogni residua resistenza o forzata realistica sollecitudine  da inconfessabili  e arcani condizionamenti.

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

venezia, 9 Gennaio 2016

 

  


Torna ai contenuti